La terza rivoluzione rid

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La terza rivoluzione rid
Arte e territorio
Anno scolastico 2013.2014
Dario D’Antoni
La terza rivoluzione
La terza ondata rivoluzionaria in Francia
(dopo la prima
legata al Romanticismo e alla pittura di paesaggio e la seconda di Courbet) fu
iniziata da Edouard MANET (1832-1883) e da un gruppo di suoi amici, che
prendevano molto, molto sul serio il programma di Courbet. Essi erano schierati
contro le convenzioni e contro le convinzioni senza senso, così scoprirono che la
pretesa dell’arte tradizionale di poter rappresentare la natura così come la
vediamo era basata su un
malinteso.
I pittori facevano posare i loro modelli
dentro atelier e laboratori in condizioni alquanto artificiali: la luce entrava dalla
finestra e il lento trapasso dalla luminosità all’ombra suggeriva l’idea del volume e
della consistenza. Gli studenti delle
accademie si allenavano a questi giochi di
chiaroscuro: si disegnava davanti a calchi
di statue antiche, ombreggiando con cura
per ottenere diverse intensità di luce.
Imparato l’espediente, si applicava a
qualunque oggetto, figura umana o natura
morta che fosse. Il pubblico si era talmente
tanto abituato a vedere le cose
rappresentate così che aveva dimenticato
come in realtà all’aria aperta non sia
possibile cogliere le gradazioni di passaggio
tra ombra e luce: alla luce del sole i
contorni sono netti. Le parti illuminate sono
assai più brillanti che non nello studio, e
anche le ombre non sono così EDOUARD MANET Portrait of Victorine Meurent, 1862
Oil on canvas, 43 x 44 cm, Museum of Fine Arts, Boston
uniformemente grigie o nere, dato che la
luce, riverberandosi dagli oggetti circostanti, influisce sul colore delle parti in
ombra.
Non sorprende che, sulle prime, tali idee fossero considerate stravaganti. Da
sempre siamo propensi a giudicare i quadri più da ciò che sappiamo che da ciò
che vediamo. Da quando i Greci introdussero lo scorcio, nell’occidente gli artisti
hanno cercato di creare una rappresentazione persuasiva del mondo visibile,
superando l’idea egiziana che invece cercava una rappresentazione conoscitiva
e non mimetica. Nessuno, però, aveva mai seriamente contestato l’idea che ogni
oggetto ha nella natura una forma e un colore ben definiti e da rendere in
maniera unica. Si può dire che Manet e i suoi seguaci provocarono nella
cromatica una rivoluzione paragonabile quasi alla rivoluzione apportata dai greci
al trattamento delle forme.
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Scoprirono che, guardando la natura all’aria aperta, noi non vediamo
oggetti singoli, ciascuno con il suo colore, ma piuttosto una gaia mescolanza di
toni che si fondono nel nostro occhio, o meglio, nella nostra mente.
Queste scoperte non furono tutte opera di un solo uomo. Però anche le
prime opere di
Manet,
in cui veniva abbandonato il metodo tradizionale
dell’ombreggiatura morbida a favore di forti e aspri contrasti, suscitarono le
proteste degli artisti conservatori.
Nel 1863 i pittori accademici rifiutarono di ammettere i suoi lavori al Salon
ufficiale del Louvre. Ne seguì
una tale agitazione da indurre
le autorità a esporre le opere
condannate dalla Giuria in una
mostra speciale detta Salon
des Refusés.
Il pubblico vi
accorse
soprattutto
per
deridere i giovani pittori delusi
che si erano ribellati al giudizio
degli anziani.
Questo episodio fu il
primo atto di una battaglia
EDOUARD MANET Olympia,1863
Oil on canvas, 131 x 190 cm Musée d'Orsay, Paris
culturale
destinata
ad
imperversare per circa trent’anni. Sembra difficile immaginare la violenza di
queste polemiche tra artisti e critici, tanto più che i dipinti di Manet ci colpiscono
adesso per la loro sostanziale conformità alla tradizione dei grandi maestri del
passato come Goya, Tiziano, Raffaello. Egli negava energicamente di voler essere
un rivoluzionario, e cercava costantemente l’ispirazione nel solco dei pittori
veneziani e dei pittori paesaggisti dell’Ottocento.
Manet,
proveniente da una famiglia della buona borghesia parigina,
frequentò lo studio di Thomas Couture, noto pittore di soggetti storici e famoso
insegnante della seconda metà del secolo. Per tutta la vita
Manet
cercò di
conciliare la fedeltà alla tradizione accademica con la sua personale inclinazione
al nuovo realismo, alla ricerca di un riconoscimento professionale e di un successo
finanziario che avrebbe potuto ottenere solo attraverso l’approvazione del Salon
e della sua giuria, e cioè conformandosi allo “stile” ufficiale.
Via via che
Manet
si allontanava dai canoni ufficiali, il suo lavoro subiva
sempre maggiori critiche. Tuttavia, egli continuò a proporre le sue opere al Salon.
Solamente un anno prima della sua morte, in occasione dell’opera Caffè alle
Folies-Bergère, al Salon parigino del 1882, fu insignito della Legion d’onore. Ma ciò
non servì a cancellare l’amarezza di un riconoscimento giunto ormai troppo
tardivamente.
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Uno dei quadri più controversi di Manet fu Le déjeuner sur l’herbe, proposto
al Salon del 1863, che lo rifiutò. A causa della particolare severità della giuria di
quell’anno (vennero infatti respinte le opere di numerosi artisti generalmente
accettati), l’imperatore Napoleone III fu costretto a intervenire e a far esporre
separatamente le opere rifiutate in un’altra
parte del Palais de l’Industrie, sede del Salon.
LA COLAZIONE SULL’ERBA 1863
L’esposizione fu chiamata il Salon des
(Le Déjeuner sur l'herbe) Refusés, e il quadro di Manet venne incluso nel
Oil on canvas, 208 x 265 cm
Musée d'Orsay, Paris catalogo con il titolo Le bain.
Né
l’imperatore,
né
la
critica
apprezzarono il dipinto, a causa del suo stile e
del suo contenuto. Anche se i critici avevano
notato l’affinità della composizione con il
Concerto Campestre di Giorgione, esposto
al Louvre, considerarono il quadro di Manet
troppo debole rispetto alla sensibilità cromatica
di quello di Giorgione.
L’opinione pubblica inoltre si scandalizzò per
l’accostamento, ritenuto indecente, di un nudo
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GIORGIONE Concerto campestre 1508-09
Oil on canvas, 110 x 138 cm Musée du Louvre, Pari
s
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femminile alle figure di due uomini completamente vestiti. Altrettanto scandaloso
fu considerato il modo in cui Manet dipinse la scena, non essendo stati colti i sottili
riferimenti ai grandi maestri, presenti nella composizione.
È importante notare come Manet abbia preso dal Rinascimento non solo il
soggetto, ma anche alcuni elementi compositivi relativi alla
compenetrazione di archi e triangoli su differenti piani, ripresi dai dipinti
trecenteschi di Giotto e sviluppati con grande raffinatezza nel Cinquecento in
Italia.
Nel quadro sono ritratte quattro persone,
Victorine Meurent (la modella preferita),
Eugene Manet (il
fratello),
Ferdinand
Leenhof (scultore
e
suo
futuro
cognato), e una
figura
chinata
simile a una Venere, insieme a una natura
morta inserita nel paesaggio. Le figure sono
ordinate secondo una serie di triangoli
compenetrati tra loro.
La figura centrale del gruppo è la rielaborazione di un’incisione di
Marcantonio Raimondi tratta dal
Giudizio di Paride di Raffaello. Il
gomito e il braccio destro di Victorine,
che incorniciano uno scuro spazio
vuoto,
non
si
appoggiano
sul
ginocchio, come nell’incisione, e non
arretrano, come dovrebbe accadere
secondo una prospettiva naturalistica.
Manet ha invece creato una forma
triangolare piatta ancorata alla
superficie del piano del quadro. Il
gomito si sovrappone al ginocchio,
formando il vertice di un triangolo che
incornicia la pianta nuda del piede di Victorine, collegata verticalmente alla
scarpa scura di Ferdinand. Questo motivo di chiaro e di scuro, creato dal piede e
dalla scarpa, usato frequentemente da Manet, è ripetuto nelle mani e nell’abito
di Ferdinand.
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Le quattro figure sono tutte insieme contenute in una forma piramidale che
le comprende integralmente, forma il cui vertice è posto nel colorato ciuffolotto in
alto, al centro della composizione.
Piani
triangolari
legano la composizione
anche
in
profondità.
Analizzando la posizione di
ciascuna delle quattro
figure
all’interno
del
paesaggio,
è
possibile
notare la ripetizione di
diversi moduli triangolari.
Queste
interconnessioni
sono sottolineate dalla
composizione
a
fregio
delle figure in primo piano:
l’anca destra di Victorine e
l’anca sinistra e il gomito di
Ferdinand occupano lo stesso piano, mentre il piede destro e il ginocchio sinistro
dell’uomo si intersecano rispettivamente sullo stesso piano con il ginocchio sinistro
e quello destro della donna.
Il messaggio erotico del dipinto proviene proprio dall’aggrovigliarsi degli arti
in primo piano. Manet sottolinea questo significato dando alle mani di Ferdinand e
alla pianta del piede di Victorine lo stesso tono e la stessa consistenza.
Manet si lamentava del fatto che i suoi contemporanei non capissero il
senso del quadro. Invece di notare la ricchezza e la ricercatezza della sua arte e
le innovazioni formali del suo stile, vi scorsero solo grossolanità, volgarità e
crudezza. L’erotismo delle immagini di Manet è nobilitato da accorgimenti formali
che creano un effetto complessivo di grande piacevolezza sia in senso fisico che
spirituale. Trascorrerà molto tempo perché il suo messaggio venga compreso e
purtroppo ciò non avverrà nel
corso della sua vita.
Nelle
ampie
e
piatte
superfici di colore Manet rifiutò la
tecnica accademica di una
pittura perfettamente compiuta e
tridimensionale. Pur utilizzando i
tradizionali
contrasti
del
chiaroscuro, le forme del Déjeuner
sur l’herbe sono più semplificate,
meno lineari e pochissimo dipinte.
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Nel paesaggio di sfondo, ad esempio, il fogliame e i riflessi sull’acqua sono
semplicemente suggeriti da libere
pennellate. Anche i tronchi degli
alberi sono resi mediante
macchie
dai toni contrastanti.
Possiamo ben capire che a
quanti ignoravano le intenzioni di
Manet questo procedimento poteva
sembrare frutto di pura ignoranza. In
realtà, però, all’aria aperta (en plein
air) e in piena luce diurna le forme
rotonde appaiono talvolta piatte,
come semplici macchie di colore. L’assenza di rilievo delle immagini di Manet
spinse Courbet a paragonarle alle figure delle carte da gioco.
Le innovazioni apportate da Manet nella composizione, nell’interpretazione
dello spazio e nella stesura del colore risentono dell’interesse del tempo per
elementi propri della xilografia giapponese1,
gli
quali la prospettiva
ellittica, la bidimensionalità, la composizione
asimmetrica e le lievi gradazioni tonali.
L’arte giapponese si era sviluppata sul
ceppo di quella cinese, proseguendo sulla
stessa falsariga per circa un millennio. Nel
Settecento però gli artisti giapponesi
avevano abbandonato i motivi tradizionali
dell’arte dell’estremo Oriente scegliendo
scene della vita del popolo
come
soggetto delle loro xilografie colorate, di
KATSUSHIKA HOKUSAI coraggiosa fantasia e di impeccabile perfezione
La grande onda di Kanagawa 1832
Xilografia, 25,7 x 37,8
tecnica. Quando il Giappone fu costretto, alla
metà dell’800, a stabilire relazioni commerciali con l’Europa e l’America, queste
1
xilografia Procedimento di stampa con matrici lignee, incise a rilievo. Tecnica tra le più semplici e antiche
(nota in Cina dal 6° sec.) per stampare motivi ornamentali, figure o caratteri su stoffa o altro materiale.
Conosciuta in Europa dal 12° sec., fu utilizzata a partire dal 14° sec. per la stampa di immagini sacre, carte da
gioco e per l’illustrazione di testi, mentre, dalla fine del 19° sec., al pari di altre tecniche incisorie, divenne
mezzo espressivo autonomo.
Fino al 18° sec. per le matrici di stampa furono in genere usate tavolette di legno duro (pero, melo, ciliegio
ecc.), tagliato nel senso della fibra. Sulla matrice è eseguito il lavoro d’intaglio, mediante coltellini affilati e
sgorbie (con il legno di testa è usato anche il bulino), risparmiando il disegno da riprodurre che quindi risulta
a rilievo; dopo aver inchiostrato la matrice, si procede alla stampa manualmente (facendole aderire un foglio)
o mediante una pressa piana; nella stampa le parti incavate corrispondono al colore della carta.
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stampe furono spesso usate come carta da imballaggio e si trovavano a basso
prezzo nelle rivendite di tè. Gli artisti della cerchia di Manet furono i primi ad
apprezzarne la bellezza, facendone avidamente collezione: in esse trovavano una
tradizione non corrotta dalle regole accademiche e dai cliché da cui i pittori
francesi volevano liberarsi. I giapponesi si compiacevano di tutti gli aspetti
inconsueti del mondo. Le
figure di Hokusai e di Utamaro
potevano essere ritagliate dai
margini della stampa e non
era più importante mostrare
una figura intera o la parte
rilevante di una figura.
Kitagawa UTAMARO A chorus of birds 1830 ca. Xilografia Indifferenza per il soggetto rappresentato e angolazioni inattese,
coraggiose; rapidità di esecuzione e immediatezza della resa, con pennellate
veloci e precise. La lezione dei Maestri giapponesi si attualizza e si concretizza in
queste poche, sintetiche regole artistiche.
L’originalità dello stile di Manet, fondata su numerose fonti del passato e del
presente, influenzò profondamene i pittori d’avanguardia suoi contemporanei e
gli artisti delle generazioni successive. Courbet e Manet ebbero il grande merito di
liberare la pittura dai limiti accademici, anche in virtù della esibizione delle loro
opere. L’esposizione indipendente di Courbet del 1855 e quella di Manet del 1867
furono prese a modello dagli Impressionisti.
Tutte le considerazioni sono rielaborate e sintetizzate da Dario D’Antoni.
Le citazioni sono liberamente tratte dai testi
Ernst H. Gombrich
Il mondo dell’arte (Verona 1952)
Donald Reynolds
LA TERZA RIVOLUZIONE
L’Ottocento (Milano 1989)

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