Pellegrini verso Roma - Campus

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Pellegrini verso Roma - Campus
© Mondadori Education
Tommaso di Carpegna Falconieri
Pellegrini verso Roma
È un’alba di giugno. Sulla barca ancorata vicino alla grotta prendono posto Tommaso
il pellegrino, i tre ragazzi e la scimmia Tobia. Il viaggio in mare aperto non è lungo:
devono attraversare l’Adriatico da una spiaggia vicino a Valona, porto dell’Epiro,
fino a Otranto in Puglia, che è la città più a oriente d’Italia. Soffia un vento propizio
da nord-est e la barca prende subito il largo con la vela spiegata.
La costa si trasforma in nebbia, poi scompare sotto l’orizzonte. Tommaso manovra
con abilità, come se nella vita non avesse fatto altro, mentre la scimmietta, in cima
all’albero, osserva il vasto mare.
La giornata trascorre pigra. Teofilo si siede al centro della barca e non si avvicina alle
sponde, perché ha paura del mare. – Non so nuotare... – confida in segreto al
pellegrino.
– Imparerai ogni cosa a suo tempo – gli risponde Tommaso, porgendogli il remo che
serve da timone, – per ora ti insegno come si manovra la barca.
Intanto, Paldo e Vittoria gettano le lenze per pescare. Il sole sale alto sulle loro teste e
poi scende dolcemente verso l’Italia invisibile. Si fa notte. I ragazzi si mettono a
dormire sotto la luna; Tommaso continua a navigare e Tobia fa da sentinella.
Lentamente, la luna viene divorata da un’ombra. Il cielo diventa nero.
– Un’eclissi1… – mormora Tommaso. – Chissà se poi sia un presagio buono o
cattivo?
Lentamente, la luna torna a splendere nel cielo.
– Ecco l’Italia! – Tommaso sveglia dolcemente i ragazzi all’alba del giorno dopo:
lontano lontano si vedono le bianche coste pugliesi.
Ma passano solo pochi minuti, ed ecco che Tobia comincia ad agitarsi e a gridare.
Una piccola nave nera è dietro di loro e li sta raggiungendo.
– Di nuovo i predoni del mare! – mormora Tommaso.
I ragazzi sono spaventati. Ripensano ai giorni trascorsi con i pirati e temono per le
loro vite. I pirati sono cattivi. Con le loro agili navi corrono sul mare come topi
famelici: incendiano le città, rapiscono uomini, donne e bambini, li incatenano ai
remi, li vendono come schiavi oppure, se vedono che non servono a niente, li gettano
in acqua.
– Tobia, che cosa facciamo ora? – domanda Tommaso alla scimmietta.
– Combattiamo! Per la vittoria di Roma! – grida Teofilo, sollevando il coltello che ha
preso ai pirati.
– Rimetti la spada nel fodero... – mormora Tommaso. – Qui occorre nuovamente
giocare d’astuzia. Nascondetevi sotto le corde! E tu, Tobia, stai pronto a darmi una
mano!
1. eclissi: oscuramento parziale o totale di un astro.
La nave pirata raggiunse la piccola barca dei pellegrini e si accostò.
– Guarda un po’ chi si rivede! – disse il pirata con la larga cicatrice indicando
Teofilo, che non aveva fatto in tempo a nascondersi.
– Pensavi di scamparla2... ma la pagherai cara! – continuò il pirata con la barba nera,
digrignando i denti, – Ma dove sono gli altri due?
Tommaso, completamente avvolto in un manto nero che gli nascondeva il viso,
cominciò a parlare con voce supplichevole:
– Nobili signori del mare, vi prego, aiutateci!
– E tu chi saresti? – domandò il pirata.
– Nobile signore, aiuta noi poveri ammalati!
Il pirata, che stava per scendere sulla barca, si arrestò di colpo.
– Che malattia è la tua?
– È il male che ha colpito me e i miei compagni a causa dei nostri peccati… guarda
che cosa è successo alla bambina! – disse Tommaso. Accanto a lui c’era un fagotto
informe di stracci.
– Vittoria! – continuò Tommaso. – Mostra a questi nobili signori che cosa ti è
successo!.
Il fagotto di stracci si mosse. Ne uscì una piccola mano pelosa, poi un visetto rugoso
dagli occhi scintillanti.
– Abbiamo la malattia che sfigura gli uomini, che fa cadere il naso e le membra
pezzo a pezzo… abbiamo la lebbra – continuò il pellegrino. – Vi prego, aiutateci,
portateci con voi!
– Orrore! La barca è appestata! – gridò il predone, correndo sulla sua nave rapido
come un topo. La nave pirata virò e si allontanò velocemente.
– Grazie, Tobia – disse Tommaso, riprendendo a navigare.
La barca raggiunse la bianca città di Otranto quello stesso pomeriggio. Si fermarono
per un giorno solo, giusto il tempo di organizzare il viaggio via terra: comprarono
pane e vino, un formaggio, coperte e sandali, poi partirono verso nord.
La comitiva marciò serenamente per un mese, senza incontrare ostacoli. I viandanti
passarono Lecce, Brindisi, Bari e Canosa, salirono le montagne fino a Benevento e
poi raggiunsero Montecassino, dove furono accolti e nutriti dai monaci. Durante quel
lungo viaggio percorsero le antiche strade lastricate e le seguirono fin dove si
perdevano nei tratturi3 per il bestiame e nei sentieri in mezzo ai boschi. Vagarono
nelle paludi, videro case bruciate, incontrarono Bizantini e Longobardi. Si riposarono
tra le messi mature e non raccolte e nei campi che nessuno, da anni, seminava più. A
quanti chiedevano dove stessero andando, rispondevano sempre: – Stiamo tornando a
casa.
Il pellegrino Tommaso apriva la marcia, appoggiandosi a un lungo bastone. Vittoria
lo seguiva, e qualche volta si chinava a raccogliere fiori. Teofilo le stava sempre
vicino e chiacchierava con lei. Le diceva quanto era bello calpestare la rugiada la
mattina presto e quanto gli piaceva addormentarsi vicino al fuoco guardando le stelle,
2. scamparla: salvarti.
3. tratturi: mulattiere.
e Vittoria gli sorrideva.
Paldo invece giocava con Tobia, che viaggiava nella piccola cesta. Quando era certo
che nessuno potesse vederlo, Tobia usciva e si metteva a saltellare gioioso. E quando
Paldo, che aveva le gambe corte, era troppo stanco per camminare, allora Tommaso
se lo metteva sulle spalle.
Finalmente, un giorno di luglio, salirono sui monti di Ariccia e di Albano e videro
Roma in lontananza.
– Questa strada è proprio bella! – disse Vittoria, sedendosi su una pietra miliare4,
sull’ultimo tratto dell’Appia. – Che gioia calpestare queste pietre. Già mi sento a
casa!
Negli ultimi chilometri in direzione dell’Urbe5 la strada antica era straordinaria: si
stendeva diritta, ombreggiata da grandi alberi. Da una parte e dall’altradella via vi
erano molte tombe di marmo, con i nomi di coloro che vi erano sepolti. Alcune di
queste tombe si ergevano ancora imponenti, altre invece erano crollate e ricoperte di
piante.
Sulle costruzioni più massicce si potevano vedere piccole torri di fattura rozza di
legno, mattoni e blocchetti di tufo6, costruite dai Romani negli ultimi tempi. Gli
acquedotti erano rotti, ma l’acqua vi continuava a scorrere formando delle piccole
cascate. Così si erano creati stagni, paludi e acquitrini che costeggiavano la strada e,
di tanto in tanto, la sommergevano, tanto che si doveva passare a guado.
– Il mondo invecchia... – mormorò Tommaso, sollevando la veste per oltrepassare un
torrentello.
Tommaso di Carpegna Falconieri, Ritorno a casa, Il sogno dell’abbazia di Farfa, Carthusia
4. pietra miliare: pietra posta sul ciglio della strada, utilizzata per scandire le distanze lungo le vie.
5. urbe: nome latino per indicare la città di Roma.
6. tufo: roccia formatasi dalla cementazione di sedimenti vulcanici.