Ing.S.Rossi, Dr

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Ing.S.Rossi, Dr
Convegno
Una Scelta estetica per la durabilità nel tempo:Vernest
L’acciaio inossidabile colorato
Bologna SAIE 17 ottobre 2003
L’ECCEZIONALE DURABILITÀ DERIVANTE DALL’ASSOCIAZIONE TRA
SUBSTRATO INOSSIDABILE E RIVETIMENTO ORGANICO
S. Rossi, F. Deflorian
Dipartimento di Ingegneria dei Materiali, Università di Trento, Via Mesiano 77, Trento,
[email protected]
La possibilità di verniciare dei laminati in acciaio inossidabile, oltre a rappresentare una
interessante alternativa ai prodotti tradizionali con caratteristiche estetiche particolari,
permette di utilizzare un materiale con un’apprezzabile durabilità.
Questo risultato, non scontato in partenza, è il prodotto di una serie di attività di ricerca svolte
presso l’Università di Trento, una parte delle quali, quella relativa all’effetto delle
deformazioni meccaniche è riportata di seguito come esempio.
Il quadro complessivo che ne consegue è che nelle condizioni ottimali, questo prodotto ha una
resistenza al degrado in ambienti aggressivi particolarmente interessante per applicazioni in
edilizia.
EFFETTO DELLE DEFORMAZIONI MECCANICHE SUL DEGRADO DI ACCIAIO
INOSSIDABILE PRERIVESTITO
INTRODUZIONE
La produzione di acciaio inossidabile rivestito in linee coil coating rappresenta una
interessante prospettiva per il panorama industriale europeo ma è una realtà consolidata da
tempo in altri paesi come il Giappone.
Le finalità di un rivestimento organico su acciaio inossidabile non sono ovviamente
principalmente protettive ma dettate da altre esigenze, prevalentemente estetiche (per uso in
edilizia) o antiriflesso (barriere antirumore o coperture interne a tunnel stradali) o funzionali
(segnaletica stradale). Il prodotto finale dovrebbe garantire comunque una resistenza alla
corrosione maggiore di quella dei prodotti tradizionali su substrati quali l’acciaio zincato o
l’alluminio, in modo da compensare i maggiori costi della materia prima. Inoltre la presenza
di zone scoperte, quali bordi di taglio o graffi, potrebbe risultare meno critica.
In realtà la verniciatura di una superficie come quella dell’acciaio inossidabile offre numerose
difficoltà legate alla bassa adesione che generalmente si sviluppa, inoltre la possibilità di
formazione di blister e zone ad aerazione e concentrazione differenziata potrebbero indurre
nell’acciaio inossidabile fenomeni di crevice corrosion, anche maggiori di quelli presenti su
una superficie non rivestita.
Per questo motivo sono stati caratterizzati diversi tipi di rivestimenti organici applicati su
acciaio inossidabile AISI 304 con diverse finiture superficiali. L’attività di ricerca si è
sviluppata attraverso diverse fasi atte ad individuare gli acciai inossidabili più adatti a questo
tipo di applicazione, le migliori finiture superficiali per ottenere un’adeguata adesione ed
infine le tipologie di rivestimento organico in grado di garantire una buona durabilità. In
questo scritto in particolare ci si occuperà di studiare il comportamento di questi materiali
dopo deformazione meccanica ottenuta per imbutitura. Successivamente alla produzione
infatti, nelle operazioni di formatura si possono introdurre difetti e sforzi residui
all’interfaccia metallo-rivestimento tali da accelerare i processi di degrado soprattutto
delaminativi. Ricordando come le caratteristiche estetiche siano sempre molto importanti per
questo tipo di prodotti, si può riconoscere l’importanza di valutare questo tipo di degrado.
L’approccio sperimetale ha fatto uso sia di tecniche elettrochimiche (spettroscopia di
impedenza) sia di tradizionali tecniche di invecchiamento in ambienti che accelerano i
processi degradativi.
MATERIALI E PROCEDURA SPERIMENTALE
I materiali oggetto dello studio sono lamierini di acciaio inossidabile austenitico di tipo AISI
304 e si differenziano sia per il tipo di finitura superficiale (BA e 2B) che per il tipo di
rivestimento applicato (poliuretanico, poliestere A, poliestere B).
La finitura BA (bright annealing) è una finitura standard (ASM Committee on Cleaning and
Finishing of Stainless Steel) per l’acciaio inossidabile, che si ottiene attraverso un processo di
ricottura in ambiente riducente (idrogeno o ammoniaca dissociata) che segue la laminazione.
Il risultato è una superficie brillante e liscia, priva di scaglie d’ossido superficiali. La finitura
2B consiste invece in una ricottura, dopo laminazione, in una atmosfera non controllata,
seguita da un trattamento di pulizia per eliminare la scaglia di ossido. La pulizia è eseguita
mediante immersione in sali fusi a 420-500°C, rapido raffreddamento in acqua, attacco acido
mediante una soluzione di HNO3 6-8% a 40°C circa ed infine un decapaggio a 70°C con una
soluzione di 8-10% HNO3 e 1.5-1.8% HF. In questo caso la superficie è di apparenza meno
brillante ed al microscopio elettronico a scansione è possibile osservare un leggero attacco a
bordo di grano che evidenzia la grana cristallina. Queste due finiture erano state scelte fra una
più ampia lista di possibili finiture attraverso un lavoro sperimentale preliminare che le ha
evidenziate come quelle più efficaci.
Al fine di contenere le fasi di produzione e limitare i costi del ciclo ci si è orientati su
rivestimenti protettivi tipo coil coating a mano unica. Le proprietà di resistenza alla corrosione
sono infatti in gran parte garantite dalla natura inossidabile del substrato, mentre il
rivestimento ha principalmente funzioni estetiche. Scegliendo quindi materiali che
garantissero contemporaneamente buona adesione al substrato e sufficiente resistenza al
degrado ambientale (ad esempio alla foto-ossidazione) è possibile limitare ad uno solo gli
strati di rivestimento. Ci si è quindi orientati, dopo uno screening iniziale, su rivestimenti di
tipo poliestere (di due tipi, A e B, dove B si differenzia principalmente per la presenza di uno
speciale stabilizzante UV) e poliuretanico. Lo spessore di tutti i rivestimenti è di circa 20 m.
In un precedente lavoro sono state studiate le proprietà di questi sistemi in condizioni
indeformate. In questo lavoro invece tutti i materiali sono stati imbutiti al fine di simulare il
comportamento dopo formatura.
I campioni sono stati quindi deformati con imbutitore Erichsen (ISO 1520) a 3 diverse frecce:
2, 4 e 6 mm. L’obiettivo principale era quello di verificare se uno stato di deformazione
poteva indurre delle tensioni all’interfaccia substrato-rivestimento tali da favorire la
delaminazione del rivestimento e la totale perdita di adesione. E’ stato inoltre sviluppato un
modello agli elementi finiti per individuare in modo puntuale lo stato di deformazione sui
campioni dopo imbutitura.
Figura 1: Imbutitore Erichsen utilizzato e campione imbutito fino a rottura del rivestimento
organico
I rivestimenti sono stati testati mediante spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS)A nel
range di frequenze (105-10-3 Hz), ampiezza di segnale 10 mV in una soluzione aerata
A
La spettroscopia d’impedenza elettrochimica (EIS) è oggi la tecnica d’analisi più diffusa e più utile per valutare
le proprietà protettive di un rivestimento organico. Brevemente descriviamo i presupposti teorici. Sul campione
rivestito si applica una perturbazione sinusoidale in un range di frequenze che normalmente è compreso fra
100000 e 0.001 Hz:
contenente cloruro di sodio 3.5% per una durata di 20 giorni circa (figura 2). Come
informazioni di confronto sono state anche eseguite prove di invecchiamento accelerato in
camera a nebbia salina (ASTM B117)B e in camera umidostatica (ASTM D2247)C.
Sono state inoltre eseguite osservazioni al microscopio ottico ed elettronico per individuare la
difettosità e prove di adesione mediante immersione in solvente.
Figura 2: Cella elettrochimica utilizzata per le prove d’EIS
RISULTATI E DISCUSSIONE
Lo stato di deformazione introdotto dalla prova di imbutitura è piuttosto complesso essendo di
natura biassiale e variabile da punto a punto. Per fare delle considerazioni approfondite è
Et = E0 sin (t) = E0exp(jt). Se il sistema è lineare (con piccole ampiezze della perturbazione) si ottiene una
risposta in corrente:
It = I0sin(t + ) = I0 exp(jt -)
dove:
Et: perturbazione di potenziale nel tempo (volt);
E0: ampiezza della perturbazione (volt);
It: risposta in corrente del sistema in funzione del tempo (Ampere);
I0: ampiezza della risposta in corrente del sistema (Ampere);
t: tempo (s);
 : (rad);
 frequenza angolare (rad/s).
L’impedenza viene definita come il rapporto fra il potenziale della perturbazione e la corrente di risposta:
Z(exp(j) = |Z|exp(j) = |Z| (cos + sin) = Z’ + jZ”.
Considerando i valori di impedenza alle diverse frequenze si possono ottenere informazioni sulle caratteristiche
del sistema protettivo e sulle reazioni che avvengono sul substrato. Per ulteriori informazioni si rimanda ai
riferimenti 1 e 2
B
La prova d’esposizione in camera a nebbia salina è una delle prove di corrosione più diffuse in ambito
industriale. Nonostante numerose limitazioni e la difficile correlazione con il comportamento reale del materiale
che questo test presenta la prova ha avuto, ed ha un’ampia diffusione, per la sua facilità d’esecuzione e
comprensione. Numerose normative internazionali3 stabiliscono i parametri di prova. Quelli più comunemente
utilizzati sono i seguenti: esposizione continua in una nebbia prodotta da una soluzione di cloruro di sodio al 5%
con la temperatura della camera di 35°C; nel test di campioni potetti mediante un rivestimento organico viene
prevista l’effettuazione di un intaglio a croce al fine di evidenziare possibili problemi di scarsa adesione fra
rivestimento e substrato. Alcune normative prevedono modifiche della soluzione di partenza per renderla più
aggressiva e la possibilità di effettuare cicli secco-umido.
C
Molto simile alla prova di esposizione in camera a nebbia salina consiste nell’esposizione in una camera a
saturazione di umidità a temperature comprese fra 35 e 40°C. 4
necessario conoscere in maniera esauriente lo stato di deformazione. Per questo motivo è stato
necessario ricorrere a una modellazione agli elementi finiti per calcolare lo stato di
deformazione punto per punto dei campioni imbutiti. Il contributo alle proprietà meccaniche
del rivestimento polimerico è stato trascurato mentre il comportamento meccanico sia in
campo elastico che plastico degli acciai studiati è stato ricavato da dati di letteratura. Gli
sforzi e deformazioni nominali (n e n) sono stati trasformati in quelli reali (r e r) mediante
la seguenti relazioni:
r = n (n + 1)
(1)
r = ln(n + 1)
(2)
La deformazione è stata quindi scomposta in direzione radiale e lungitudinale a partire dal
centro del campione, avendo il campione simmetria radiale. Da questi dati è possibile ricavare
i valori di massima deformazione, di deformazione media e di area interessata alla
deformazione, utili soprattutto per confrontare i dati che verranno descritti con altri tipi di
deformazione, diverse dall’imbutitura (tabella 1).
Grado di
deformazione
freccia 6 mm
freccia 4 mm
freccia 2 mm
max circonferenziale (%)
max radiale (%)
5
7
10
3
10
17
raggio area
deformata [mm]
8
10
12
Tabella 1: Valori di deformazione associati alle frecce di imbutitura.
Definito lo stato di deformazione in questo modo, si è passati alla caratterizzazione dei
campioni deformati mediante spettroscopia di impedenza. Va subito precisato che il
comportamento elettrochimico di un acciaio inossidabile rivestito è particolarmente
complesso ed è stato oggetto di studi specifici atti a individuare un modello (circuito elettrico
equivalente) che pur con sensibili semplificazioni potesse essere utile a studiare il sistema
inox-rivestimento. Il modello proposto per campioni piani è riportato in figura 3.
Qc
Q1
Q2
Rp
R1
R2
Figura 3: Circuito elettrico equivalente per acciaio inossidabile protetto mediante un
rivestimento organico.
Il circuito descrive il comportamento elettrico del rivestimento (capacità del rivestimento Qc e
resistenza del rivestimento Rp), il comportamento elettrico dell’ossido superficiale (R1 e Q1)
ed il comportamento elettrochimico dell’interfaccia (R2 e Q2). La notevole semplificazione
che viene introdotta modellando semplicemente con una capacità (Q2) ed una resistenza (R2)
il complesso comportamento dell’interfaccia, ci induce a non usare i termini resistenza a
trasferimento di carica e capacità di doppio strato per questi parametri, i quali sono in realtà
influenzati anche da altri fattori, quali la presenza di intermedi di reazione, che non sono
direttamente associabili alla reazione faradica o alla capacità di doppio strato. I parametri R2 e
Q2 potrebbero essere definiti pseudo-resistenza a trasferimento di carica e pseudo-capacità di
doppio strato. Ciò che comunque risulta molto importante per i nostri scopi è che tali
parametri possono essere considerati proporzionali alla capacità di doppio strato e alla
resistenza a trasferimento di carica. Possiamo cioè utilizzare i valori di R2 e Q2 per avere una
stima della entità dei processi elettrochimici sulla superficie dell’acciaio e fare confronti sulla
ampiezza della superficie bagnata dall’elettrolita e quindi sui processi di delaminazione.
La prima coppia di parametri che può essere discussa riguarda le proprietà del rivestimento:
Rp e Qc. Tali caratteristiche sono dipendenti dalla tipologia e natura del rivestimento, e non
dalle caratteristiche chimiche o di finitura superficiale del substrato. La resistenza al flusso
ionico attraverso il rivestimento Rp è una indicazione della presenza di difetti, di natura
microscopica o macroscopica nel rivestimento1. Dopo deformazione tali difetti possono essere
accresciuti in numero e dimensione, e benché nel nostro caso tale difettosità non sia così
critica come nei casi in cui il rivestimento sia il metodo principale di protezione dalla
corrosione (ad esempio rivestimenti organici su substrato d’acciaio) è evidenti che tali difetti
passanti attraverso il rivestimento possono fungere da punto di nucleazione per processi di
delaminazione all’interfaccia con il substrato e, quindi, devono essere tenuti sotto controllo. In
figura 2 sono riportati come esempio i valori di Rp dopo diversi tempi di immersione per il
rivestimento di tipo poliuretanico imbutito a tre frecce diverse di imbutitura.
Il primo commento che emerge dai dati di figura 4 riguarda i valori relativamente bassi di Rp,
compresi fra 1.8 e 4 Mcm2. Sono comunque valori accettabili se si considera il fatto che
sono riferiti a rivestimenti ad un unico strato e con spessori limitati (20 m). In secondo luogo
risulta evidente, come era lecito attendersi, un aumento della difettosità (e quindi una
riduzione di Rp) all’aumentare del grado di deformazione. Infine si nota una tendenza
all’aumento della difettosità passante al crescere del tempo di immersione, più chiara però per
i livelli più bassi di deformazione.
4,00E+06
14 ore
67 ore
214 ore
3,50E+06
Rp (ohm cm2)
3,00E+06
2,50E+06
2,00E+06
1,50E+06
1,00E+06
5,00E+05
0,00E+00
freccia 2
freccia 4
freccia 6
Figura 4: Valori di resistenza dei pori (Rp) per il rivestimento poliuretanico a diversi tempi e
frecce di imbutitura.
Confrontando i diversi rivestimenti, riportiamo di seguito in tabella 2 i valori medi di Rp dopo
50 ore di immersione nel caso di imbutitura a freccia 4.
RIVESTIMENTO
Poliestere A
Poliestere B
Poliuretanico
Rp (M cm2)
6
5
2.7
Tabella 2: Valori della resistenza dei pori (Rp) dopo 50 ore di immersione per i campioni
imbutiti a freccia 4 mm.
Ripetendo questi confronti anche per gli altri valori di freccia e per campioni indeformati, la
minore difettosità complessiva dei campioni di tipo poliestere rispetto ai campioni di tipo
poliuretanico è stata confermata, con un leggero migliore comportamento del campione
poliestere A.
Tali differenze possono essere messe a confronto con i valori di assorbimento d’acqua dei
rivestimenti ricavati dai valori di capacità del rivestimento Qc mediante l’equazione di
Brasher Kingsbury5. Tali valori sono riportati in tabella 3 nel caso di deformazioni a freccia 2
mm.
RIVESTIMENTO
Poliestere A
Poliestere B
Poliuretanico
Assorbimento d’acqua
(% volumetrica)
10
9
15
Tabella 3: Valori di assorbimento d’acqua espresso come percentuale volumetrica per i
campioni deformati a freccia 2.
Nuovamente il campione poliuretanico si differenzia dagli altri due per un’azione di barriera
all’acqua meno efficace. Dopo questa analisi preliminare delle proprietà del rivestimento
viene discussa la parte più significativa delle informazioni ottenibili dalle misure di
impedenza: i valori associabili all’interfaccia rivestimento-metallo, cioè Q2 e R2, trascurando
in questo contesto la discussione dei dati relativi allo strato d’ossido.
Sia Q2 che R2 possono essere messi in relazione con l’area di metallo a contatto dell’elettrolita
sotto-vernice. In realtà per R2 l’analisi risulta un po’ più complessa poiché il valore della
resistenza che si misura è influenzato sia dall’area di metallo su cui avvengono le reazione
elettrochimiche, sia dal tipo di reazioni elettrochimiche che avvengono. Risulta quindi più
conveniente focalizzare l’attenzione sull’andamento del parametro Q2, che essendo
collegabile alla capacità di doppio strato può essere assunto come direttamente proporzionale
all’area del metallo a contatto con l’elettrolita, e quindi alla perdita di adesione.
In figura 5 è mostrato l’andamento del parametro Q2 in funzione del diverso rivestimento su
substrato con finitura 2B e imbutito a freccia 4 mm.
5
Q2 (nF/cm2)
4
3
POLIESTERE A
POLIURETANO
POLIESTERE B
2
1
0
0
50
100
150
200
tempo (ore)
Figura 5: Valori di Q2 in funzione del diverso rivestimento sulla finitura 2B, con freccia di
deformazione 4 mm.
Innanzitutto si può notare che i valori sono per tutti i campioni piuttosto bassi, inferiori cioè a
5 nF/cm2; approssimando tale valore ad una vera capacità di doppio strato la quale, misurata
sul metallo nudo vale circa 50 F/cm2, l’area delaminata ricavabile dal rapporto è comunque,
inferiore allo 0.01%. Sono però chiare le differenze fra i diversi rivestimenti. Il rivestimento
poliuretanico mostra un sensibile incremento nel valore di Q2 già dopo una decina di ore di
immersione, al contrario dei campioni di tipo poliestere che mostrano una crescita più lenta e
valori dopo una settimana di immersione molto inferiori. La stabilità dell’interfaccia migliore
è comunque quella del rivestimento poliestere A. Tale risultato è stato confermato anche a
diversi gradi di deformazione ed è indipendente dalla finitura superficiale (BA e 2B).
Il confronto tra le due diverse finiture non ha permesso di evidenziare significative differenze,
mentre più interessante è risultato il comportamento a diversi gradi di deformazione. A titolo
di esempio è riportato in figura 5 l’andamento di Q2 per il campione con rivestimento
poliestere su finitura BA a diversi gradi di deformazione.
E’ immediato notare come la freccia d’imbutitura influenzi sensibilmente il valore di Q2,
indicando per la freccia 6 una più ampia delaminazione (maggiore ampliamento assoluto del
valore di Q2), mentre molto simile sembra essere il comportamento degli altri due campioni.
E’ probabile che livelli di deformazione elevati come quelli che si hanno con imbutitura con
freccia 6 (vedi tabella 1) siano critici per questo tipo di rivestimento, sia causando maggiore
difettosità attraverso il rivestimento, sia inducendo stress all’interfaccia e difettosità tali da
compromettere almeno in parte l’adesione (delaminazione). Risultati analoghi sono stati
ottenuti con gli altri due rivestimenti.
Figura 6: Valori di Q2 in funzione del diverso grado di deformazione del campione poliestere
B sulla finitura BA.
Sono state eseguite, come prove di confronto sia prove di esposizione in camera a nebbia
salina per 800, ore sia prove in camera umidostatica a 40°C per 40 giorni sui campioni in
studio non deformati, dopo incisione a croce secondo normativa ASTM. Alla fine di entrambe
queste prove non era evidenziabile nessuna presenza di blisters o stacchi del rivestimento
visibili ad occhio nudo. Nelle vicinanze dello scratch però, con l’azione di una lama affilata,
era possibile staccare, a partire dall’incisione scaglie di rivestimento, soprattutto alla fine delle
prove umidostatiche. Tale fenomeno testimonia che un indebolimento dell’adesione nelle
vicinanze dello scratch è effettivamente avvenuto, pur senza portare a completo stacco della
vernice e quindi compromettere le caratteristiche estetiche del prodotto. Comunque la
mancanza di sostanziali degradi è stata ritenuta una conferma importante della adeguatezza
della adesione inox-rivestimento; tuttavia questo tipo di prove non ha permesso di
differenziare in modo significativo le differenti finiture o rivestimenti organici.
Per avere una ulteriore fonte di informazione sulle proprietà di adesione è stato eseguito un
test di immersione in solvente (NMP, normal-metil pirrolidone).
Il NMP è un liquido incolore di formula C5H9NO. Per effetto della sua forte polarità tende a
dare swelling, cioè a solvatare i segmenti delle catene del legante facendolo rigonfiare, senza
però dissolverlo. L’aumento di volume della vernice fa nascere all’interfaccia con il metallo
uno sforzo di taglio che causa delaminazione che risulta inversamente proporzionale
all’adesione. La valutazione dell’adesione si può quindi fare misurando il tempo di distacco,
se la vernice si pela completamente, oppure l’area delaminata in un tempo prefissato, se il
distacco del film non è totale.
Il test NMP dà risultati riproducibili, ma il loro valore numerico non è significativo in termini
assoluti: due vernici con formulazione completamente diversa danno tempi di distacco non
confrontabili. Risulta invece particolarmente adatto a confrontare vernici simili differenziando
l’effetto dei pretrattamenti e dei substrati. In questa situazione il metodo è sensibile e consente
di distinguere variazioni anche minime.
Sono state eseguite prove di immersione in NMP su tutti i campioni studiati a diverse
deformazione, dopo essere rimasti in immersione in 3.5% NaCl per 20 giorni. Lo stacco
completo del rivestimento è avvenuto dopo pochi minuti in tutti i casi. Questo indica una
volta di più la non elevata adesione inox-rivestimento, anche se questa può essere considerata
sufficiente per le funzioni prevalentemente estetiche che il rivestimento deve svolgere. Le
differenze in funzione delle diverse finiture, a parità di rivestimento, sono risultate così
contenute da non essere facilmente misurabili e, quindi, con questo metodo non è stato
possibile ottenere informazioni sull’influenza dei pretrattamenti. Interessante è risultata invece
la differenza nei tempi di stacco in funzione delle deformazioni. Infatti i campioni imbutiti a
freccia 2 hanno mostrato tempi di pelatura circa doppi (e molto simili ai tempi di stacco dei
campioni non deformati) rispetto ai campioni imbutiti a freccia 6. Tempi intermedi si sono
misurati per i campioni imbutiti a freccia 4. Questo dato dimostra come gli stress residui
all’interfaccia abbiano indotto una perdita di adesione durante i 20 giorni di immersione,
evidenziata dal test NMP.
CONCLUSIONI
 La durabilità di acciaio inossidabile prerivestito, ottimizzata per quanto concerne
pretrattamenti e rivestimenti in un precedente studio, è accettabile anche per materiali
deformati fino a livelli di deformazione associati a imbutitura a freccia 6 mm.
 Fra i diversi rivestimenti studiati, sia le proprietà di barriera che quelle di adesione del
rivestimento poliuretanico sono inferiori a quelle dei rivestimenti di tipo poliestere. La
scelta fra poliestere A e B in fase di produzione potrà essere fatta principalmente in
funzione del fatto che le applicazioni siano per esterni o per interni, contenendo il
poliestere B uno stabilizzatore UV.
 Entrambe le finitura superficiali (BA e 2B) sono adatte a favorire una adeguata adesione
con i rivestimenti protettivi, anche in condizioni di deformazione.
 L’approccio di studio che fa uso della spettroscopia d’impedenza elettrochimica ha
permesso di evidenziare differenze e valutare proprietà altrimenti difficilmente
quantificabili con prove di tipo tradizionali.
 L’associazione dello studio dello stato di sforzo mediante analisi agli elementi finiti e la
caratterizzazione mediante impedenza rappresenta un modo preciso e sufficientemente
veloce per la valutazione delle proprietà protettive di lamiera verniciata deformata.
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