IL SOGNO DI ALDO

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IL SOGNO DI ALDO
Michele Moretti Caboto IV A I.P.S. “G. Caboto” - Chiavari
Secondo classificato Concorso 25 Aprile festa della Liberazione – A.N.P.I. Sez. Chiavari
Tema n.2
Nella prima metà del secolo scorso l'impegno di tanti italiani è stato quello di resistere
all'oppressione del nazifascismo: grazie ad esso sono nate la nostra Repubblica e la sua
Costituzione. Ma resistere continua a essere un impegno necessario anche nell'Italia di oggi, in cui
altri “mostri”, in particolare le mafie, minacciano ciò che è stato conquistato a prezzo di immensi
sacrifici.
Svolgimento.
IL SOGNO DI ALDO
“Sono partigiano, perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”
Questa è la frase che meglio rispecchia la mia lunga vita ormai prossima alla fine.
Mi chiamo Aldo Porfido e vi parlo con la voce tremante e rauca di un vecchio ottantacinquenne.
A differenze di quando ero giovane e nel pieno delle forze, ora passo le mie giornate seduto su una
sedia a dondolo.
Dalla finestra della mia casa posso contemplare ogni mattina il levarsi del sole e vederlo dileguarsi
la sera al tramonto dietro le montagne della mia giovinezza.
Non sono mai stato una persona ingenua, quindi, so benissimo che la mia avventura su questa terra
sta per volgere al termine.
Proprio ieri notte mi è successa una cosa a dir poco insolita.
Avevo appena preso sonno sotto le calde coperte del mio letto, quando, a un certo punto, mi è
apparso in sogno l’autore della frase che vi ho citato poco fa.
Subito non lo riconobbi, in effetti era la prima volta che, per così dire, lo vedevo di persona.
Non è trascorso molto tempo che ho cominciato a distinguere i tratti di un volto familiare.
Venuti meno gli ultimi dubbi ho esclamato: “Antonio! Antonio Gramsci!”
“Chiamami solo Antonio, oppure se preferisci compagno Antonio.”
“ Ah … Compagno Antonio” Ho esclamato ancora incredulo di quanto stavo mi stava accadendo.
“Sono passati decenni dall’ultima volta che ho chiamato qualcuno “compagno”; e quelli erano
decisamente altri tempi.”
All’udir queste parole il mio interlocutore ha mutato il suo sorriso in un’espressione di perplessità e
subito ha cominciato a spiegarmi il motivo della sua “visita”
“So che tu, caro Aldo, sei stata una brava persona e mi chiedevo se mi potevi chiarire alcuni dubbi e
perplessità che mi hanno assalito osservando quanto accade al giorno d'oggi”.
“Bene... innanzi tutto devi sapere che tu per me hai rappresentato sempre un punto di riferimento
nella mia vita, non tanto per le tue idee politiche, di cui confesso di non aver mai capito poi molto,
ma per i tuoi insegnamenti morali e per la tua insofferenza nei confronti di coloro che invece di
prendere una posizione chiara e decisa nei confronti delle ingiustizie e dei soprusi preferiscono
restare con le braccia conserte e assistere a quanto gli succede intorno senza far nulla.
Quando ero giovane mi rifiutai di restare in disparte, come fecero tanti miei coetanei, a farmi
scivolare dalle mani il potere di far sentire la mia voce. Così, mentre molti miei vecchi amici
stringevano le mani ai fascisti, per stringerle nuovamente, qualche anno dopo, agli Americani, io
scappai di casa e mi arruolai nella divisione Coduri.
All’inizio, considerata la mia giovane età, ero una semplice staffetta, ma dopo un paio di mesi mi
venne data un’arma in mano e presto capii che a volte si è costretti a fare la guerra per conquistare
la propria libertà.
Quelli furono anni terribili, tu lo sai meglio di me, ma nonostante tutto ebbi l’onore di combattere e
di soffrire la fame e il freddo a fianco a uomini come Riccio, il comandante della mia brigata, o di
Cannella, il vice Comandante della Zelasco.
Tanti altri ragazzi come me combatterono e, ahimè, spesso morirono per un futuro migliore.
Accanto a me non c’erano geniali pensatori o illustri politici, ma quella sono era la meglio gioventù
d’Italia di allora.”
“Il tuo passato ti fa senz’altro onore, ma dimmi… come vivono il futuro che sognavate i figli e i
nipoti della vostra generazione?”
La domanda che Gramsci mi aveva fatto mi rese di colpo pensieroso, spegnendo di colpo
l'eccitazione che si era impossessata di me pensando ai vecchi ricordi della lotta partigiana e ai miei
diciott’anni.
“ Non esiste una risposta facile alla tua domanda, o quantomeno, occorre fare attenzione a non
generalizzare. Ai miei due figli non parlai mai troppo della mia giovinezza, cresciuti in un’epoca in
cui contava solo fare soldi e divertirsi, erano gli anni del boom economico, sarebbe risultato loro
difficile capire cosa significa patire la fame o dover imparare a usare un fucile, invece che guidare
un'automobile.”
Ad un tratto, il mio interlocutore m'interruppe preoccupato: ”Sì, ma allora… la vostra memoria si
perse subito, sbiadì nel giro di una manciata d’anni!”
“Oh, no! Certo che no; subito dopo la guerra si prese a festeggiare il 25 aprile e poi il 2 giugno…”
“Ma quelle che tu mi elenchi sono solo date segnate in rosso sul calendario!” Esclamò con tono di
rimprovero Antonio, che iniziava a scaldarsi sull’argomento. “ Se non si testimoniano e non si
valorizzano questi giorni rischiano di confondersi con feste ordinarie, di diventare occasioni per non
lavorare, insomma, di diventare come ferragosto e capodanno!”
A quel punto non sapevo più cosa rispondere, mille dubbi e perplessità si stavano impadronendo di
me.
In quel momento, decisi di parlargli di Massimo: “Stai tranquillo, caro Antonio, forse ciò che io
imparai sulla mia pelle non sono riuscito a trasmetterlo, ma di sicuro quei preziosi ideali non sono
andati persi. Oggi forse sono un po’ sbiaditi, però posso assicurarti ad esempio che Massimo, uno
dei miei nipoti, suscita in me una grande fiducia per il domani.
Qualche giorno fa è andato a Genova, è sceso in piazza con un’associazione che si chiama “Libera”
per chiedere giustizia per le vittime della mafia gridando ad alta voce con altre centinaia di giovani
il loro no alle ingiustizie e ai crimini che vengono perpetrati nel nostro paese nell'assoluta
indifferenza di tanti di noi.”
Il suono delle mie parole stava iniziando a ridarmi coraggio e speranza e, vedendo pian piano
riaffiorare anche sul volto di Antonio una specie di sorriso, decisi di continuare:”Pensa che invece
Gabriele, un altro mio nipote di vent’anni, qualche mese fa si è recato a Roma dove, insieme ad altri
centinaia di migliaia di ragazzi, ha sfilato per le strade della capitale dichiarandosi, da come ho
capito, “indignato” dall’attuale classe dirigente di questo Paese. La sua buona volontà è stata messa
a dura prova da alcuni gruppi di ragazzi che hanno cercato di trasformare una protesta pacifica in
momenti di vera e propria guerriglia; ma il ragazzo non si è dato per vinto e con i suoi amici ha
continuato a manifestare in altre vie… Massi e Gabri ricordano proprio me quando ero giovane.”
“Dici davvero?” Mi chiese Antonio visibilmente coinvolto dai miei enfatici racconti.
“ Pensi che loro ti avrebbero seguito sui monti nel ’43?”
“Senz'ombra di dubbio! Pensa che hanno pure litigato con i genitori per andare a far sentire le
propria voce, proprio come me che dovetti scappare di casa per servire la mia patria. Vedi… può
darsi che molti ragazzi preferiscano rimanere indifferenti a quanto vedono accadere intorno a loro,
ma più ti parlo, più mi convinco del fatto che una parte dei giovani Italiani riuscirà sempre a capire
quale sia la strada giusta, anche se seguirla sarà faticoso e difficile.”
“Grazie infinite, Aldo. Le tue parole mi hanno davvero reso più fiducioso nel futuro. Spero proprio
che tu non ti stia sbagliando.”
Detto questo e tornato a sorridere, il vecchio “compagno” Antonio sparì.
Questa mattina mi sono svegliato parecchio confuso e oggi pomeriggio non ho esitato a chiamare
prima Massimo e poi Gabri per farmi raccontare bene tutti i particolari delle loro avventure che
avevano omesso nel “resoconto” delle loro imprese fatto ad Antonio.
Devo ammettere che erano piuttosto incuriositi da quella mia telefonata, così gli ho proposto di
passare da me uno di questi giorni, così avremmo potuto un po’ parlare.
Magari gli racconterò qualche episodio dei miei anni di combattente della libertà.
Sarà faticoso parlarne, ma infondo glielo devo, loro sono i “partigiani” di oggi.