Antonio Sagredo OXFORD
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Antonio Sagredo OXFORD
Antonio Sagredo OXFORD (2 0 0 7) (by elizabeth moriarty) Antonio Sagredo Neobar eBooks – Edizioni Accademia di Terra d’Otranto www.neobar.wordpress.com - Gennaio 2014 Ttich Thomas, andiamo ad occidente, a Oxford! A Oxford, in una stupida notte d’inverno, io fui testimone d’un obbrobrio, a dir poco malsano, quando fu decapitato il fanciullo Miris che il grecoro cantò senza rimorsi e afflizioni… disputava di Titch Thomas e San Tommaso! Come potrei io opprimere una fede secolare che già da sé s’opprime, così che io possa almeno convertirmi con semplicità francescana (io l’ho visto… che con un ferro si procurava le stimmate!) ma non sopporterò mai il peso d’una triplice maschera che gioca a nascondino vomitando simboli pestiferi… questi tre deucci… complici crudeli e intolleranti! C’era il bardo che pisciava dietro l’angolo d’una chiesa anglicana, ma sull’insegna d’una bettola era scritto: l’evacuazione è un diritto della chiesa di Roma! Sei solo uno stupido – gli gridai – queste cose si dicono soltanto in un licenzioso poema che non ha l’imprimatur papale! L’Ottimo Massimo è un dittatore di nome e di fatto, perché ti meravigli se con piacere stringe le mani ai suoi pari insaguinati? Sei, è vero, forse, il bardo più grande, ma come uomo sei inferiore a una cagna di madonna che fa la vergine solo per pragmatismo, costruisci versi indivinati, fai scattare nei cuori lutti musicali, marce funebri e sonate di stermini, celebri finzioni, duelli, enigmi… ma per le tue opere e quelle di Christopher e altri, il mondo non perdona col sangue… robotizza gli animi di buon senso, perché la normalità si muti in patologia delle fedi, che s’affligono se il ripudio d’un credo è una rivolta calcolata, vanno a braccetto e ridono, e cantano squarciando la gola di chi non dondola il capo di chi non fa il segno della croce di chi non s’inchina fino a toccare la propria cenere. Danzano il fox-trot sulla pista indiavolata del bene e del male! Nel college, studenti e poeti, come camionisti o ergastolani, veneravano lo specchio dell’imago mundi… femmina che a gambe divaricate offriva in dono l’origine del mondo… filosofa traviata e santa che la vera fede praticava svelando un mistero che non lo è stato - mai! Ecco – disse – io mi apro a voi, come un tabernacolo prima dell’offerta al più devoto! Qui, giacciono ragazze, vergini o madonne consumate io non so, coi reggicalze ben in vista… l’incarnato che pulsa ancora per un coito da poco dismesso a malincuore! Il bardo urlò: per questo io canto la preghiera più celestiale: l’incontro del mio corpo con la sua anima! Maschio il carnefice e vittima la femmina… vedete, concorda e ammette perfino la sintassi questa complicità antica più d’ogni verbo. (ma lo scambio delle parti è prerogativa d’una sacra alcova!) Ma Christopher azzardò con uno stiletto affilato: La mia parola soltanto può sezionare le libbre di carne! Ma i sermoni di John hanno l’eloquenza del verme che tenta d’unire invano due confessioni, come se le splendenti armille dei suoi poemi potessero competere coi trionfi della morte! Per fortuna – urlò – sei un pazzo poeta! Per fortuna che hai abbassato le tue palpebre ad Oriente! Per fortuna che sei stato un grande attore! Vedevo il Golgotha sussultare per i singulti degli strazi d’aceto… e la neve cadeva sul martirio, fittamente cadeva come la Melencolia di Dürer velando di cupi vortici i fangosi sentieri… sincopati i passi regali – qui, la rugosa regina ordinò una quinta, un palco e pure un patibolo, temendo la tragedia si mutasse in diabolica farsa o caricatura, perché anche le parole infine riflettono uno specchio dove le ossa sono gravide per divinare una malizia o una fattura! Per questo era già pronta a Fairport una fabbrica per carbonizzare gli avanzi di putrida carne di Bacon e i gialli festoni di grassi vermi… Il bardo che aveva il volto del Ponte del Terrore mi disse con voce arrochita: sai, i poeti sono come gli animali… non hanno parola, non una su cui posare un piede. Mai furono in alcun luogo. Perché il mondo fu evocato, con nomi dall’aria vuota… Qui non c’è una voce che possa ascoltare un’altra voce, è inutile che gridi e si lamenti quello, da lassù… noi poeti sappiamo che è figlio d’ignoti, un enne enne come tanti, è soltanto una comparsa… e poi io devo scrivere, che non mi secchi! Mi aspettano versi e stanze, e non so quali metrò prendere! cadeva la neve… cadeva… e la candela bruciava… brillava… Oxford, tutta canuta e vegliarda, come la regina, suggeriva ai tre bardi di metter in scena la Trinità… perché – spiegava – nel circo tutto è possibile, anche l’esistenza degli dei, delle religioni come surrogati, dei santi… dei martiri, e angeli a ufo di tutte le taglie, e ancora sacerdoti: comparse-canaglie che mai svaniscono! – perfino la dignità libertina degli eretici, dal cilindro! Ma attenti ai patiboli, poeti, e ai roghi! La spada damoclea sia il vostro mentore, la vostra guida il tutore-carnefice che senza requie vi insegue, perché ogni scena sia una sindone: urlo di vela ricamata con cippi funerari!... e lapidi, e epitaffi non si sprechino a caso! Pure la teologia dovete ornare di fittizie leggi divine e immortali, come fosse una fanciulla pronta alla spremitura, perché la castità se ne infischia delle altrui sofferenze, e non teme i miracoli della finzione riflessa, anche se Dio ha un Servizio di Controspionaggio! E ancora una volta i sentieri s’inventarono i tracciati. Le vie consolari ricordare alle dimore le proprie stanze. I secoli indossare i vestiti di sempre più nuove generazioni. Sul palco pizzicava una spinetta, il corvo e il tacchino danzavano… il vate maiŏre recitava che aveva spedito una e-mail a Praga, dove un collega-cantore aveva onorato il suo oblio con tre serrature, il proprio destino infiammato con l’autoesilio, perché anche con le lacrime si profana il dolore! Edwin, prudente, in falsetto: venite a Oxford, qui vi aspettano i bardi! Ma non per sua colpa i muri erano inviolabili per una partenza disattesa. Rispose: Ma io sono sempre con voi! Sempre, di notte, Amleto, mi consola! Pure su una veronica colma di sospiri il mio corpo s’è disteso, come il notturno epitaffio di Lucia! Siamo i sepolcri dell’assenza… perché già da vivi i balsami e i vermi non ci resero umani? Che cosa io ho fatto per divenire, prima di vivere? Perché nemmeno da vivi noi ci muteremo in morti? I versi distillavano a una a due a tre ecc. occhi miei e lacrime, come un uscir di scena quelle parole che sedussero Carmelo al pianto e al recitar-cantando… Ah, i bardi, da tempo sapevano che l’altissima Voce pulsava dal futuro un moresco oriente! Che il grecoro già la primissima Voce di Maria aveva generato! Come vicine le loro terre! Come lontane dalla fumosa Londra! Quel giorno di Pentecoste tra pozze di catrame e merda quando i cani aizzarono al martirio la sacra sindone - reliquie di ratti albini nei fondali d’una chiavica gonfiarono la sinistra copula di un’astinenza presenile… e se mai, qui, tra ostie e tabernacoli s’avventa un prodigio sciogliete l’enigma con leggi naturali, ma non fate l’intervista al Divino, perché dica che un mistero o una fede la giustifica! Mai c’è stata una strada maestra o un sobborgo imperiale che tra pozze di sangue infantile abbia seminato la compassione per celebrare un festino con una corona lasciva di misericordie… collane e diademi per deviare gli altari a sacrifici orridi in quei giorni che il pastorale ofidico ascolta l’autodolore e sbandiera ovunque quel risorto trionfo che sa di pesce putrido… così la fede sparge un pestifero tatuaggio per il corpo, il verbo si costruisce solide fondamenta con le superstizioni, non più l’occhio illumina o s’inventa una nuova luce, né i malleoli scendono a patti con sentieri ignoti e intricati… la forma genera la materia di un grido che s’allarma! Morire di Pentecoste non è una gioia prematura e presofferta se la mia stanza è tutta una musica di spirali e bafometti… carnevali di risibili ectoplasmi le bende sfilacciate dei cervelli, sogghigni di fittizie cicatrici sul mio corpo invasato da tarante! E mi circondano angeli cretini che ai tarocchi si giocano un capezzale di sconfitte e di vittorie… candelabri, croci e mezzelune! bruciava la neve… brillava… e la candela cadeva… cadeva… I ritratti d’inverno, a Oxford, sono pieni di promesse. I tradimenti regnano, e sono vigilie di ombre e di timori. Gli attori e i poeti si scambiano le ossa, le donne amano i festini. William scrisse una lettera segreta, sigillata con grumi di sangue carbonioso, a Iulius Vaninus, Caesar Magister dallo sguardo taurino, gli ricordò i suoi natali, le glorie immortali del suo pensiero, la nuova ateologia che lo affascinava, quel libero speculare che ricreava la Natura senza macchia… le passioni e i furori… gli predisse la morte per fuoco… l’intollerabile martirio… allora il bardo si sollevò dal suo cantuccio di pergamene e inchiostri, celebrò le morti innocenti dei patiboli, maledisse tutte le fedi, ripudiò il suo monologo, affilò il suo stiletto… ordinò: Le maschere siano pronte! Che il canto sia fermo! Le reliquie infiammino i volti! Gli specchi tacciano! o non vi sarà più morte… e tu, morte, morrai! Christopher, amico mio! Vládimirku! Edwin! Dannatemi la lingua che implorava perdono per lo scorno dei carnefici! Che sono gelosi dell’orrenda voluttà della pena! Ditemi, dunque: furono quei giorni di passione che mutarono le epoche o le celebrazioni di finte apocalissi? Cadeva il London Bridge mentre io lo attraversavo o era il Ponte Nero? Boris, vieni, lascia stare le mie parole! Hai la storia da tradurre! E pure vi invitai a cena al Cannon Street Hotel, voi tre, ma Philip di Conventry non amava quella cricca che aveva strizzato le poppe di Tiresia, e cantato il mese più imbecille! Robert, quel bosco fu avvelenato dalle bacche del tasso, perché, Lui, fosse chiodato dai suoi stessi miracoli! Miravo il Golgotha… Nessuna idolatria mi assicura una pietosa morte. Lui, un capocomico! piangeva, irritato per mancanza di Grazia… suppliche, istanze e bestemmie gli giungevano per via telex, dietro le quinte quei volti di donna erano squassati da singulti- canini! … così cadute in basso, queste troie, in una fossa - comune! …io, io, io un commesso, deforme traghettatore di anime – creatura di Bacon! – ridevo per la beffa di una rovina, per una teatrale profezia! e gridai: vedete, anche gli uccelli scansano quella croce! e il cielo si scurì per neri ombrelli… tuniche rossastre e livide veroniche macchiarono i rauchi tramonti in verità – quale?... vi dico: Lui cercò invano di evitare la (sua) croce non vi riuscì e fu l’inizio - della nostra! Promise a un se stesso – sosia infernale – le meraviglie tutte della Terra e degli Universi… tutti! Fu tentato da un altro se stesso a una vittoriosa copula! Non si raccapezzava più… s’era allenato fin dall’infanzia alla Passione! A una metafisica finzione! Non ne poteva più! Era stufo! Ma non poteva più rinnegare la sua parola! Passò allora il testimone alla sua controfigura… lo istruì il Maestro, perché condannasse chi in nome suo era strumento di stermini… li conosceva bene i suoi sacerdoti: questi attori-lupi-sciacalli-iene… non vi è fine… ma non era sua la gola… già piagata gola - dalle Sette Misericordie! Dopo cena, ubriaco, baciò uno per uno i dodici artisti in deliquio, drogate le sacerdotesse gli lavarono i piedi… Titch Thomas, eretto, ascese al cielo! La sua parte era finita: libero dalla croce, finalmente! E dalla risurrezione! Piangeva di gioia caprina per la fuga imminente, colava bava verdastra… ci mancò poco che se ne venisse… nel calice! Piangeva, simulando la dissimulazione: Iulius, fratello! Mio fratello di martirio dov’è la Verita cosparsa di cenere? non rispose: io non posso gridare come te! io non posso cantare a piena voce, come te! mio Padre è orfano della mia voce! mi hanno reciso la lingua i tuoi carnefici! ma i guardiani, in coro: l’attesa non deve deviare la velocità di una stazione! Dio lo voglia, che col cazzo stasera ceniamo senza il… Maestro! (le scoregge notturne non sono gradite) Per questo, ora, giochiamo alla crocifissione! Per questo, ora, giochiamo alla risurrezione! a Oxford la notte era rugosa come un guanto di finto ermellino rovesciata da raffiche di gelo mostrava al Nulla avanzi di scarnificate stelle… e la neve non brillava… e la candela non bruciava…. antonio sagredo Vermicino, 13-20 giugno 2007