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IL CIRCUITO DI MONZA E IL GRAN PREMIO D’ITALIA DEL 1922
Il primo Gran Premio d’Italia, corso a Brescia nel 1921, era stato un disastro per i
colori italiani. Nell’affanno di mettersi al passo con le nazioni automobilisticamente
più progredite, nella convinzione che la Fiat avrebbe sbaragliato ogni avversario, si
era scelto di allestire di furia un circuito a Montichiari, nei dintorni della città che più
si era distinta nell’anteguerra nell’organizzazione di eventi sportivi. Fu steso
rapidamente un progetto, che prevedeva un circuito veloce a forma di triangolo
isoscele con il vertice nella zona sud di Brescia, tre rettilinei raccordati da tre curve di
cui una parabolica di 554 metri, e una lunghezza complessiva di 17 chilometri.
L’Automobile Club di Milano, nella persona del suo infaticabile direttore, il
commendatore Arturo Mercanti, trovò i finanziamenti necessari alla spesa di un
milione e trecentocinquantamila lire, fece costruire le tribune, la sala stampa, il
pronto soccorso, persino una pista per gli aeroplani…e iniziò la trepidante attesa del
giorno della gara, domenica 4 settembre. Risultato: le squadre italiane persero tutte le
competizioni in calendario, dal Gran Premio d’Italia a quello per Vetturette, dal Gran
Premio Motociclistico delle Nazioni al Gran Premio Gentlemen. E in compenso non
mancarono imbottigliamenti ed ingorghi, confusione e caos, accompagnati da una
palpabile, grandissima delusione.
Si disse che parte di quel disastro poteva essere attribuito al fatto che, in mancanza di
un autodromo permanente, le case italiane non potevano (come invece succedeva per
le case estere) sperimentare e collaudare i propri modelli. Mercanti di questo era
consapevole, tanto da proporre al Comune di Brescia, all’indomani della gara, una
serie di richieste che avrebbero di fatto consegnato la gestione del circuito
all’Automobile Club di Milano, a cui nel frattempo l’Automobile Club d’Italia aveva
affidato anche l’organizzazione del Gran Premio d’Italia del 1922. I bresciani, com’è
ovvio, esitarono, e questa perplessità fu loro fatale. Cominciarono a fioccare le
proposte per una nuova soluzione, miranti alla costruzione di un autodromo
permanente, stabile, chiuso alla circolazione normale (dunque che non utilizzasse
strade ordinarie), sull’orma di Brooklands in Gran Bretagna o di Indianapolis in
America. Si pensò ad una zona nella brughiera di Gallarate, dove ora sorge
l’aeroporto di Malpensa; ad una zona presso la Cagnola, alla periferia di Milano.
Infine, nell’inverno 1922, Mercanti propose di far sorgere l’autodromo a Monza, nel
parco già annesso alla Villa Reale.
Fu una proposta che conquistò immediatamente tutti. Si trattava di un’estensione di
terreno pianeggiante, continua, in un solo pezzo, di un solo proprietario, e nello stesso
tempo così vasta da poter consentire al suo interno una pista di almeno undici
chilometri, senza che venissero incrociate strade a traffico ordinario. Il proprietario
era l’Opera Nazionale dei Combattenti, un ente morale. Vi erano a disposizione spazi
immensi per disporre e sistemare gli impianti, i servizi, le tribune, i box, le sale per la
stampa; soltanto dieci chilometri separavano da Milano, ossia dalla capitale
industriale d’Italia, con la possibilità perciò di alloggiare gli spettatori, i tecnici, i
giornalisti senza difficoltà e di poter contare sui servizi offerti da una metropoli, su
comunicazioni ferroviarie dirette, su accessi automobilistici facilitati. La stessa
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stazione ferroviaria di Monza, a pochi passi dal parco, era servita da linee
internazionali che salivano fino ad Anversa e ad Amsterdam e scendevano lungo
l’intera Penisola.
L’entusiasmo con cui si accolse il progetto, da parte della stampa, degli appassionati,
degli sportivi, fu grandissimo. “L’iniziativa dell’Automobile Club di Milano –
scriveva Mario Morasso, insigne giornalista dell’automobile – segna una data
memorabile e una nuova era nella storia automobilistica nazionale”. Parve uno
splendido modo di celebrare i primi venticinque anni dell’ACM (fondato il 16 marzo
1897), di favorire l’industria motoristica, considerata l’industria tipo, “la pietra di
paragone, la eccellente tra le industrie meccaniche”, di assicurare un fulgido
avvenire allo sport italiano, nella convinzione che “la nazione che batte le altre in
una gara automobilistica dimostra di avere materiali, menti direttrici, esperienza e
valore di braccia capaci di batterla anche in tutte le altre industrie” (MACS,
31.01.22). Un Gran Premio era considerato già allora “il sommo avvenimento
sportivo nazionale: non vi è altra prova in alcun altro genere di sport…che possa
neppure lontanamente stare al confronto per importanza, per commozione, per
significato, per ampiezza, per richiamo di folla e per estensione di conseguenze…è
un formidabile cimento industriale, un’eccezionale prova di valori tecnici, scientifici,
costruttivi”.
L’Automobile Club di Milano, per garantirsi da rischi finanziari, costituì la Società
per l’Incremento dell’Automobilismo e dello Sport (S.I.A.S.), e stipulò tramite tale
società un contratto della durata di ventinove anni con l’Ente Autonomo MilanoMonza Umanitaria, cessionario dell’Opera Nazionale dei Combattenti. In tale
contratto veniva concesso all’ACM l’uso di una parte del parco Reale di Monza
sufficiente per la costruzione di un grande autodromo. La S.I.A.S. fu costituita tra
pochi soci, sotto la Presidenza di chi già presiedeva l’Automobile Club di Milano, il
senatore Silvio Crespi, con un capitale di 50.000 lire (rogito Guasti 17.01.22). I primi
sottoscrittori si obbligarono fin dall’inizio ad elevare il capitale sociale ad un milione,
e fu lanciata subito una sottoscrizione per portarlo ad almeno due. Una seconda
pubblica sottoscrizione a fondo perduto fu aperta a febbraio per il reperimento dei
fondi necessari ai premi in denaro e in oggetti per i vincitori del Gran Premio. Era
prevista infatti per il primo arrivato una riproduzione in argento, oro, ferro e pietre
dure della storica corona ferrea dei Re d’Italia, del valore di 20.000 lire; grandi
medaglie d’oro per i secondi e terzi classificati; e altri premi in denaro, da 100.000 a
5.000 lire, per un totale di 300.000 lire (pari circa a mezzo miliardo di lire).
Ora però bisognava pensare al circuito. Il 19 febbraio (il Gran Premio era previsto
come già l’anno prima per l’inizio di settembre!) vennero presentati al pubblico tre
diversi progetti. Tutti e tre prevedevano la costruzione di una pista, rispettivamente di
4 km, 4,5 km e 5 km, di larghezza minima di 16 metri, che si raccordava ad un
circuito stradale, studiatamente accidentato, per uno sviluppo complessivo di circa
dodici chilometri e un fronte di tribune di circa un chilometro. La scelta cadde su
quella da 4,5 km, superando in questo modo sia la pista di Brooklands, 4 km, sia
quella d’Indianapolis, 4,2 km. Grande plauso ottenne l’intenzione, comune a tutti e
tre i progetti, di costruire due circuiti diversi raccordati tra loro, in modo da utilizzare
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quello stradale come pista di collaudo permanente e offrire all’industria
automobilistica italiana ogni possibilità di sperimentazione sul campo.
Il 26 febbraio fu il giorno designato per il primo colpo di badile, alla presenza di
giornalisti, costruttori, piloti, appassionati. Si radunò il fior fiore dell’aristocrazia
industriale e sportiva italiana: le autorità dell’Automobile Club e della Commissione
Sportiva, tecnici e dirigenti d’industria come Vincenzo Fraschini e Felice Bianchi
Anderloni (Isotta Fraschini) e Giorgio Rimini (Alfa Romeo), piloti come Antonio
Ascari, Felice e Biagio Nazzaro, Ferdinando Minoia. Per compiere il gesto inaugurale
fu scelto tra tutti Vincenzo Lancia, perché compendiava in sé le due figure di
costruttore e di pilota, le categorie che maggiormente avevano a rallegrarsi
dell’iniziativa. Mercanti, raggiante, annunciò che l’autodromo avrebbe avuto una
forma ellissoidale, con un anello esterno dello sviluppo di 4.500 metri ed un sistema
stradale, dello sviluppo di 6.000 metri, costituito dal più piccolo anello interno e dal
prolungamento verso nord, per una lunghezza complessiva di dieci chilometri e
mezzo. Nel punto in cui strada e pista si fondevano insieme, davanti alle tribune, la
larghezza del circuito avrebbe raggiunto i trenta metri. Fu una giornata di festa, e
l’entusiasmo giunse al culmine.
Neanche quarantotto ore dopo, l’imprevedibile. Il 28 febbraio, ad appena 24 ore
dall’insediamento del nuovo governo, il sottosegretario alla Pubblica Istruzione on.
Lo Piano (un bel nome per chi si vuole scontrare con l’industria automobilistica
nazionale!) ordinò di sospendere i lavori, diramando il seguente comunicato: “La
Commissione conservatrice dei monumenti e degli oggetti di antichità e di arte della
Provincia di Milano ha preso in esame i progetti relativi alla costruzione nel Parco,
già Reale, di Monza di un circuito stradale per corse automobilistiche…ed ha
espresso il suo voto recisamente contrario a trasformazioni e modificazioni che
utilizzando il Parco stesso a scopi diversi da quelli cui fu originariamente destinato
ne limiterebbero l’uso da parte del pubblico…Si finirebbe per deturpare e
distruggerne le naturali bellezze…in una zona che per avere interesse storico ed
artistico rientra tra quelle soggette a tutela e vigilanza. Qualora i lavori fossero già
stati iniziati la Prefettura è invitata a ordinarne l’immediata sospensione”. I lavori
non erano ancora stati iniziati, se non formalmente, ma la tegola era pesantissima. Gli
organizzatori ebbero un bel protestare che la zona all’interno del Parco dove era
previsto sorgesse l’autodromo non era quella di più comune frequentazione da parte
del pubblico, e che se mai il loro intervento doveva essere visto come valorizzazione,
conservazione ed abbellimento del Parco. Si dovette ricominciare tutto da capo, tra
intimazioni, diffide, polemiche e discussioni, sia pure sotto l’occhio benevolo del
Prefetto di Milano, senatore Lusignoli, più propenso ad appoggiare l’ACM che il
Governo. Fu necessario un nuovo progetto (che per la verità non differiva di molto da
quello originale), furono ottenute le autorizzazioni, furono firmati i contratti di
appalto…ma intanto si era arrivati a metà maggio, quaranta giorni erano passati senza
un solo colpo di piccone. La pista doveva essere pronta per le prime prove
automobilistiche non oltre il 15 agosto: novanta giorni, non uno di più.
Furono perciò iniziati i lavori a spron battuto, insieme a calcoli complicatissimi. I
tecnici si posero come primo problema quello di approntare un fondo in grado di
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sopportare, senza deteriorarsi, un passaggio di vetture dieci volte superiore a quello
dell’ultimo Gran Premio d’Italia. Allora infatti le automobili iscritte alle varie gare
furono complessivamente trentotto, con una media di circa 8 ore ciascuna di percorso
tra prove e corsa. Le strade del circuito sostennero dunque uno sforzo corrispondente
ad una sola macchina che avesse girato ininterrottamente per 300 ore. Per il Gran
Premio del 1922, era previsto il quadruplo, sia perché la formula imponeva un
percorso più lungo (800 km il Gran Premio e 600 km per le vetturette) sia perché le
ore di prova sarebbero state più numerose. Si decise per una pavimentazione dei
rettilinei in macadam (pietrisco con legante all’acqua che si disponeva mediante rullo
compressore) catramato; per le curve, la pista e il circuito stradale si optò per il
calcestruzzo pure catramato. Nel suo progetto definitivo, il Circuito di Milano si
componeva di un grande anello di 4,5 km, con uno sviluppo planimetrico tipo pista di
Indianapolis, e di un altro anello allungato di 5,5 km con andamento planimetrico
accidentato a circuito stradale. Le due grandi curve semicircolari del grande anello,
del raggio di 320 metri, e la piccola curva del circuito stradale nell’interno della pista,
del raggio di 151 metri, sarebbero state sopraelevate, in modo da permettere una
velocità rispettivamente di 180 km/h e di 120 km/h. In questo consisteva la
fondamentale differenza dal progetto originale, nel quale la sopraelevazione era tale
da consentire una velocità di 300 km/h. La Soprintendenza ai Monumenti impose
invece una sopraelevazione non superiore ai 2,60 metri dal terreno. La pista stradale,
l’anello di 5,5 km, con larghezza variabile tra i 7,5 e i 9,5 metri, comprendeva, oltre
ai due rettifili di fronte alle tribune, una serie di curve a lieve inclinazione trasversale
di raggio diverso, da un massimo di 600 ad un minimo di 90 metri; verso sud i due
rettifili erano collegati da una curva semicircolare di profilo trasversale simile a
quello delle curve di velocità. I tracciati delle due piste si incrociavano mediante un
sottopassaggio in corrispondenza della grande curva nord della pista di velocità. Il
tratto di rettifilo di fronte alle tribune era comune alle due piste. Usate
contemporaneamente, le due piste davano luogo ad un tracciato di dieci chilometri.
Intanto, ferveva anche l’organizzazione del Gran Premio. Alla fine di aprile
risultavano iscritte ben 30 vetture: tre Fiat, tre Bianchi, tre Mercedes, quattro Benz,
quattro Austro Daimler, quattro Rolland Pilain, tre Heim, tre Sunbeam, tre Talbot
Darracq. La formula imponeva una cilindrata non superiore ai due litri, un peso
minimo dei veicoli a vuoto di 650 kg, un peso minimo complessivo di pilota e
meccanico non inferiore ai 120 kg, una distanza massima tra l’estremità posteriore
della carrozzeria e l’asse delle ruote posteriori di 1,5 metri. Le iscrizioni erano
riservate ai costruttori, con un massimo di cinque vetture ciascuno. Non lieve la tassa
di iscrizione (5.000 lire per ogni veicolo iscritto) che però sarebbe stata rimborsata in
ragione di due terzi se l’iscrizione avveniva entro il 28 febbraio; per metà per le
iscrizioni effettuate tra il 1° e il 15 marzo. Le vetture avrebbero dovuto compiere 80
giri del circuito completo di dieci chilometri, per un percorso complessivo di 800
chilometri. Sarebbero stati consentiti durante la corsa sia i rifornimenti, sia le
riparazioni, purché effettuati dall’equipaggio.
Sotto la direzione tecnica del commendatore Puricelli 1, che sovrintendeva i lavori,
vennero impiegati fino a 3.000 operai, 200 carri, 30 autocarri e persino una piccola
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ferrovia Décauville di cinque chilometri con due locomotori e ottanta vagoni per la
movimentazione dei materiali (si calcolò che furono spostati complessivamente
120.000 metri cubi di terra). Si lavorava dieci ore al giorno, senza riposi festivi; gli
uomini alloggiavano in baracche di legno e nei vicini cascinali, e l’impressione era di
un accampamento enorme e perennemente animato. Grande impegno richiese
l’organizzazione dell’area da riservare al pubblico, all’interno del circuito, e
suddivisa in due zone, il recinto tribune e il recinto parco. Nell’ambito di ciascuno di
essi era previsto che il pubblico potesse circolare liberamente a piedi o in automobili,
e dunque vennero costruiti servizi, parcheggi, impianti di ricezione. La tribuna
d’onore comprendeva 3.000 posti; altre sei tribune ai lati garantivano
complessivamente seimila posti. Due grandi sottopassi ai lati delle tribune, diverse
passerelle e una rete di strade interne di diversi chilometri consentivano l’accesso
degli spettatori a tutti i punti del circuito. Ma non finiva qui. Bisognava anche
prevedere il padiglione per i cronometristi e la stampa, i quadri di segnalazione, gli
orologi, i box di rifornimento, i garages, un padiglione per il deposito della benzina,
ristoranti, chioschi di ristoro, servizi igienici…un lavoro immane.
Al 14 luglio risultavano iscritte trentotto vetture, essendosi aggiunte tre marche, la
Diatto, la Ballot e la Bugatti. Al 28 luglio fu effettuato un sopralluogo sul circuito da
Giovanni Agnelli e Guido Fornaca, rispettivamente Presidente e Amministratore
Delegato Fiat, e dai due piloti della Casa Nazzaro e Bordino. Rimasero tutti
impressionati dall’imponenza dell’opera. Ebbe a dichiarare Giovanni Agnelli: “Ero
stato informato della grandiosità dell’impresa, ma francamente non mi aspettavo
tanto. E’ un’opera colossale e perfetta, in un ambiente pittoresco e suggestivo, che le
nazioni estere ci devono invidiare. Da buon piemontese mi dolgo che simile
costruzione non costituisce un vanto per Torino, ma devo dichiararvi che il Circuito
di Milano è ben degno della capitale industriale dell’Italia”.
Era fatta: l’anello dell’autodromo fu regolarmente consegnato lunedì 20 agosto per
l’inizio delle prove ufficiali. Si facevano intanto i primi conti di quanto era costato il
circuito. La mano d’opera per i movimenti di terra, da sola, era venuta a costare un
milione e trecentomila lire; l’acquisto e il trasporto del pietrisco, della sabbia e della
ghiaia altri due milioni. Complessivamente se ne erano spesi nove, a cui andavano
aggiunti i costi dei premi, le spese per gli stipendi al personale di sicurezza e di
sorveglianza, di biglietteria, di controllo e di ispezione: probabilmente si superarono i
dieci milioni. Si trattò di una cifra enorme per allora, ma ridicolarmente bassa per i
canoni di spesa odierni (corrisponde a circa 14 miliardi di lire 2001).
Arrivò finalmente il tanto atteso giorno del Gran Premio, domenica 10 settembre.
Funzionò tutto in maniera splendida, oltre ogni più rosea aspettativa: vinse la Fiat con
larghissima evidenza, vi fu un concorso di pubblico immane (centomila persone,
diecimila vetture), non un intoppo, non un ingorgo, non un incidente.
Eppure…qualcosa non funzionò. Scrisse Morasso, che pure non aveva lesinato nei
mesi precedenti l’adesione più convinta: “A definire come vorrei in una espressione
concisa ma riassuntiva la giornata e la corsa del Gran Premio d’Italia io mi sento
estremamente contrariato…Si urtano dentro di me impressioni discordi di
entusiasmo e di malcontento, quasi di irritazione…Da una parte vi è qualcosa di così
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grande di così maestoso di così inaudito che non si potrebbe manifestare se non in
termini iperbolici…dall’altra vi sono ombre, manchevolezze, fatti ambigui e penosi
che lasciano intravedere uno sconcerto, un intoppo, una causa insomma perturbante
da eliminare”. Cominciamo con il dire che dei trentotto iscritti, qualcuno aveva già
cominciato a mettere in forse la propria partecipazione all’inizio di luglio; dopo il
Gran Premio di Francia corso a Strasburgo il 15 cominciarono le diserzioni. Al 9
settembre, giorno prima della gara, i concorrenti erano rimasti in tredici. Al mattino
della corsa, otto, ridotti però subito a cinque perché uno non partì e i due tedeschi
della Heim era come se non ci fossero. Rimanevano due Fiat, due Diatto, una Bugatti.
Quest’ultima però iscritta contro la espressa volontà del costruttore e con ruote e
gomme generosamente imprestate dalla Fiat. A questo punto la gara non aveva
praticamente più senso, talmente scontata la superiorità di quest’ultima. “Si proclama
a perdifiato che i nostri circuiti, i nostri impianti per il Gran Premio la nostra
organizzazione di corsa sono superlativi, incomparabili, mai visti, eppoi all’atto
pratico mentre i concorrenti non si fanno pregare per intervenire ad Indianapolis, a
Strasburgo, alla Targa Florio divengono ostinatamente recalcitranti a mantenere
fede alle loro iscrizioni, a venire in Italia; e gli organizzatori sono costretti ad ogni
specie di atti, ad arrivare ai più inverosimili estremi per condurne qualcuno alla
partenza” – scriveva desolata la stampa dell’indomani. Una ragione era sicuramente
l’eccessiva vicinanza al Gran Premio di Francia, più blasonato; certo la defezione di
trenta concorrenti su trentotto aveva svuotato la gara di qualsiasi significato,
riducendola ad una partita tra Nazzaro e Bordino (vinse quest’ultimo), i piloti di
punta della Fiat, che essendo compagni di squadra si guardarono bene dal darsi
battaglia. Parve anzi agli spettatori che il fattore umano, stavolta, avesse contato ben
poco; che a vincere fosse stata soprattutto la macchina, la formidabile 804, più che il
pilota, e anche questo può contribuire a togliere mordente e suspense ad una gara.
Vi fu anche un piccolo giallo riguardo alla partecipazione della Bugatti. Alle otto del
mattino una comunicazione ufficiale annunciava il suo ritiro dalla gara “per
riconosciuta inferiorità di fronte alle vetture italiane”. Neanche dieci minuti dopo, una
seconda comunicazione avvertiva della partenza ritardata di mezz’ora, per dar tempo
ad una Bugatti, guidata da De Vizcaya, di montare le ruote imprestatele da un
concorrente e presentarsi sulla griglia. Si trattava allora di una partecipazione privata
(che il regolamento escludeva)? Dal verbale dei Commissari Sportivi: “Il concorrente
Bugatti avendo fatto richiedere mezz’ora di ritardo della partenza per presentarsi, i
Commissari Sportivi, dietro consentimento unanime dei sopraddetti concorrenti,
hanno concessa la richiesta mezz’ora di ritardo”. Il giorno successivo alla gara, però,
anche Bugatti diramò una comunicazione ufficiale, in cui diceva di essere stato
forzato a correre contro alla sua volontà da alcune persone, da lui non conosciute
(quindi estranee all’organizzazione della corsa!), che si erano recate da lui alle sette
del mattino, impegnandosi a far ritardare di mezz’ora la partenza e a fargli cedere
quattro ruote complete di gomme dalla Fiat. Ma da quando un concorrente cede ad un
avversario parte del proprio materiale, per metterlo in condizione di gareggiare? Chi
erano queste persone, e con quale autorità intervenivano sui costruttori e sui piloti? E
che significato ebbe, in questa vicenda, un fatto che la Commissione Sportiva
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considerò trascurabile ma che invece, alla luce di questi fatti, riveste un’importanza
diversa? Stiamo parlando del terzo pilota della squadra Fiat, Giaccone, che non riuscì
a partire. Il resoconto CSAI diceva: “…i quali (elenco dei concorrenti) sono tutti
partiti salvo il n. 29 Fiat, Giaccone, rimasto al traguardo per guasto al veicolo”. Un
guasto strano, per la verità, mai spiegato plausibilmente. La vettura non ebbe un
sussulto, una fiammata, niente di niente: non si mosse, al via, e subito ne discesero
pilota e meccanico, già convinti che non vi fosse nulla da fare. Ed immediatamente si
decise di consegnare le cinque gomme della vettura di Giaccone alla Bugatti di
Vizcaya, come treno di riserva. E veniamo all’arrivo. Recita il resoconto CSAI:
“Dopo l’arrivo delle due Fiat, con la Bugatti ancora in pista, la folla ha straripato
dagli sbarramenti ingombrando la pista alle estremità Ovest della Curva Sud. I C.S.
hanno allora ritenuto pericoloso per i concorrenti e per il pubblico lasciar
continuare la corsa e valendosi del disposto dell’art. 5… hanno fermata la corsa
prima dello scadere del tempo massimo fissato in un’ora e mezza dall’arrivo dal
primo. Nessun reclamo essendo stato presentato… la classifica viene stabilita come
segue: 1. N. 18 Fiat, Bordino, km 800 in ore 5 43’13”, media km 139,848; 2 N. 5
Fiat, Nazzaro, km 800 in ore 5.51’35”, media km 136,525; 3N. 16 Bugatti, De
Viscaya, km 760 in ore 6.1’43” alla media di km 126.064”.
In realtà la Bugatti avrebbe dovuto essere esclusa dalla classifica, proprio perché le
mancavano quattro giri alla fine della corsa. Un comportamento come quello dei
commissari sarebbe stato ineccepibile se il tempo massimo fosse coinciso con quello
del vincitore. Se la corsa finisce nel momento in cui qualcuno arriva per primo al
traguardo, è giusto che tutti gli altri concorrenti siano inseriti in classifica a seconda
della loro posizione in quel momento. Ma per un regolamento che prevede un tempo
massimo, retaggio delle partenze scalate, tutti devono percorrere lo stesso numero di
giri, in questo caso ottanta. Chi non lo fa, merita la squalifica. Dunque sono già tre le
irregolarità. Trattative svolte e pressioni esercitate sui concorrenti da persone estranee
all’organizzazione della corsa prima della corsa stessa. Ritardo della partenza di
mezz’ora e partenza forzata di un concorrente contro l’espressa volontà del
costruttore, mancata partenza di un altro concorrente per ragioni non chiarite.
Invasione della pista da parte del pubblico, arresto della corsa e dei concorrenti
ancora in gara, i quali però vengono ugualmente contemplati nella classifica. Ma non
basta ancora. Qualche giorno dopo la gara, la casa francese Ballot diramò uno
sconcertante comunicato, che diceva: “Noi teniamo a protestare contro ciò che i
nostri amici italiani hanno voluto presentare come una diserzione…non è il caso di
parlare di forfait da parte nostra per la buona ragione che noi non abbiamo mai
mandato alcuna iscrizione e neppure fatto alcuna promessa verbale per la corsa in
questione. Al contrario fin dal principio dell’anno gli organizzatori erano avvertiti
della nostra non partecipazione e tutte le manovre e tutte le offerte più
allettanti…non sono mai riuscite a farci cambiare di decisione. Noi ci eravamo
astenuti dal protestare contro questa inscrizione d’ufficio per riguardo ad una
personalità dirigente italiana che ci aveva amichevolmente pregato di non
sconfessarlo. Ma dopo i fatti accaduti a Monza non crediamo di essere più obbligati
al silenzio…” Dunque, da una parte gli organizzatori del Gran Premio hanno dato la
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Casa Ballot regolarmente iscritta con due vetture, hanno annunciato i due guidatori
nelle persone di Goux e Foresti, hanno fatto partecipare la Ballot all’estrazione a
sorte per l’ordine di partenza assegnando alla vettura di Goux il N. 1 e alla vettura di
Foresti il N. 14, hanno infine incluso le Ballot nel programma ufficiale. Dall’altra la
Ballot dichiara di non essere mai stata iscritta, di aver respinto ogni invito ed offerta,
e di non aver denunciato la sua iscrizione abusiva soltanto per riguardo ad un
organizzatore che li aveva pregati di non sconfessarlo!
C’è materiale per un poliziesco di Camilleri. Perplessità, interrogativi, domande
rimaste senza risposta, dubbi non soluti, irregolarità, delusione per il mancato
spettacolo…eppure il giorno dopo si scrisse che “chi è stato a Monza sabato e
domenica…ha visto, sentito e capito che il mondo è dell’automobile, che
l’automobile è il mondo, la vita, la forza della vita moderna, e come tale ha diritto
assoluto di dominio, che l’automobile è il signore delle folle e le folle sono fanatiche
dell’automobile” (M.A.C.S., 14 settembre 1922). E questo era l’importante.
QUANTO E’ COSTATO L’AUTODROMO DI MONZA
Mano d’opera per i movimenti di terra
Acquisto e trasporto del pietrisco, della sabbia e della ghiaia
Mano d’opera in economia
Mano d’opera per sistemazione strade interne
Costruzioni n calcestruzzo
Cemento
Catrame
Opere artistichie, ponti, sottopassi, altre costruzioni relative
Staccionate
Impianti elettrici
Impianti idraulici e tubazioni
Edifici del peso e dei collaudi
Impianti sanitari
Impianti telegrafici e telefonici
Cabine, box, quadri di segnalazione e materiale accessorio
Tribune principali
Tribune gradinate
Passerelle
Sacchi a terra per la difesa delle curve
Cunicoli ed accessi
Autoinnaffiatrici, pompe centrifughe
Totale
1.300.000 lire
1.800.000
500.000
600.000
700.000
900.000
180.000
400.000
200.000
130.000
240.000
120.000
150.000
120.000
200.000
700.000
420.000
60.000
180.000
100.000
100.000
9.100.000 lire
CALENDARIO MANIFESTAZIONI, COSTO BIGLIETTI E FACILITAZIONI
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Calendario:
3 settembre 1922 (giornata inaugurale): Gran Premio d’Italia per Vetturette da 1500
cc ; giri 60, 600 km. Premi per £ 150.000
8 settembre: Gran Premio Motociclistico delle Nazioni; premi per £ 15.000
10 settembre: Gran Premio dell’Automobile Club d’Italia per vetture da 2000 cc; 80
giri, 800 km. Premi per 300.000 lire
1° ottobre: Gran Premio Automobilistico d’autunno; premi per £ 50.000
Prezzi
Posti numerati delle tribune principali lire 150 per le tre giornate; tessera per il
recinto tribune e per il Belvedere £ 80 per le tre giornate; lire 40 il 3 settembre; lire
20 l’otto; lire 60 il dieci (Gran Premio). Per le gradinate con posti a sedere: lire 10 per
le giornate del 3 e 8 settembre; lire 20 il 10, oltre l’ingresso, che è stabilito in lire 10
per il 3 settembre, lire 5 per l’otto, lire 15 per il dieci. Col semplice biglietto
d’ingresso si accede al recinto popolare.
Facilitazioni
Ribasso ferroviario del 60° per chi acquistava un biglietto con destinazione Monza e
ritorno dal 1° al 10 settembre. Al viaggiatore veniva anche consegnata in omaggio
una tessera per l’ingresso al Parco per le giornate del 3 e del 10, e ai recinti speciali
della curva Sud, della curvetta, dell’intreccio Est. Un ufficio informazioni alloggi era
attivo dal 16 agosto alla stazione centrale di Milano
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Si tratta dell’ing. Piero Puricelli, che nel 1924 realizzò la prima autostrada del
mondo, la Milano-Laghi.
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
2002
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