Rezension über: Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il

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Rezension über: Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il
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Testi, Arnaldo: Rezension über: Nadia Venturini, Con gli occhi fissi
alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili, Milano:
FrancoAngeli, 2010, in: Il Mestiere di Storico, 2011, 1, S. 231,
http://recensio.net/r/0c2b21498269b53bc6b2aa21d2b57592
First published: Il Mestiere di Storico, 2011, 1
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i libri del
2010 / 1
231
Nadia Venturini, Con gli occhi fissi alla meta. Il movimento afroamericano per i diritti civili,
Milano, FrancoAngeli, 426 pp., € 44,00
Il movimento è quello che crediamo di conoscere nelle sue linee generali: negli Stati
del Sud degli Stati uniti, contro la segregazione razziale, per il diritto di voto degli afroamericani. L’arco cronologico lungo è quello giusto: dalla nascita dei regimi segregazionisti e quindi delle prime associazioni afroamericane di protesta, intorno al 1900, fino
all’approvazione della legislazione sui diritti civili e politici del 1964-1965. Il corpo più
cospicuo e dettagliato del libro riguarda gli ultimi venticinque anni di quella storia, a cominciare dalla seconda guerra mondiale e in particolare dagli sviluppi cruciali della metà
degli anni ’50: il boicottaggio degli autobus di Montgomery, Alabama nel 1955-1956, e
l’emergere della leadership di Martin Luther King, Jr.
Si tratta di un lavoro di sintesi, basato su fonti secondarie. Il suo principale pregio
è quello di mettere a frutto la più recente storiografia sull’argomento, per raccontare una
storia che al lettore italiano risulterà piuttosto nuova, certo più articolata di quella di solito raccontata. Di questa produzione storiografica, ricchissima, l’a. rende conto in maniera
diretta nell’introduzione; le sue tracce si ritrovano poi in tutto il testo. Il testo presenta un
percorso cronologico nella prima parte, e un percorso tematico (reti interrazziali, leadership femminile, organizzazioni grassroots) nella seconda parte. Talvolta i rinvii tematici da
un capitolo all’altro, dalla prima alla seconda parte possono essere faticosi.
La nuova storiografia illumina lotte, strutture di base, biografie di militanti rimaste
nascoste nel cono d’ombra di King, della sua enorme visibilità, della sua tragica fine, della
sua santificazione postuma. Non che King non fosse importante, lo era, eccome. Era un
eccellente mobilitatore, capace di coinvolgere molte persone in eventi radicali e sovversivi,
di immediato impatto drammatico sulla comunità nera e sul sistema mediatico bianco.
Era un eccellente leader carismatico capace di tenere insieme, a lungo, anime politiche e
sociali diverse, mediando diversità e rivalità. Ma non era un organizzatore. Questo lavoro
locale e di lunga lena, che rendeva possibile ed efficace il suo, era di altri. Come disse
qualcuno, «fu il movimento a fare Martin, piuttosto che Martin a fare il movimento».
Una lettura «dal basso» consente di portare in primo piano (e l’a. lo fa bene) nuovi
aspetti, nuovi problemi. Ne enuncio due. C’è il tema della continuità storica delle culture
di resistenza, che dal primo ’900 si trasferiscono attraverso le generazioni, si sedimentano in
una varietà di organizzazioni, e lasciano eredità senza le quali l’esplosione degli anni ’50-60
sarebbe impensabile. E c’è il tema della complessità delle comunità nere, che producono reti
locali di leadership assai variegate, dai pastori colti e middle-class delle Chiese protestanti a
donne e uomini con poca istruzione formale ma grande sapienza e determinazione politica.
Si ripete qui il miracolo dei genuini movimenti popolari: sarte, mezzadre, ferrovieri, che
diventano agguerriti leader naturali senza i quali il Dr. King sarebbe impensabile.
Arnaldo Testi
Il mestiere di storico, III / 1, 2011