la nuova frontiera del business
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la nuova frontiera del business
Italia | L’economia del futuro In Italia il settore delle telecomunicazioni risente di pesanti lentezze ma rappresenta una concreta opportunità per la crescita del Paese Banda larga la nuova frontiera del business Rende più veloce l’accesso alla Rete. Permette la nascita di nuovi servizi e attività. È talmente strategica che tra una decina d’anni sarà essenziale per ogni forma di comunicazione e di commercio. Ecco perché dotare il Belpaese di questa tecnologia avrà la stessa importanza dell’autostrada del Sole nell’Italia del boom di Ugo Bertone I cittadini che si collegano al web almeno 16 OUTLOOK 1 volta al giorno sono 12 milioni e ne parla da non più di dieci anni. Ma, nel mondo digitale, dieci anni valgono quanto un secolo. O forse ancora di più. E questo spiega perché la banda larga, cioè la tecnologia che ha effettivamente consentito l'accesso più veloce al mondo Internet, sia diventata l'infrastruttura strategica che supporta il sistema economico e sociale di un Paese, rendendo possibile la nascita di nuovi modelli di business e nuove modalità di fruizione dei servizi. E questo, naturalmente, spiega perché attorno al «dossier» della banda larga si moltiplichino tensioni e pressioni, vuoi sul fronte della sfida finanziaria (vedi l'interminabile contesa per il controllo di Telecom Italia) vuoi su quella delle regole. Una sfida politica, ma anche di interessi di settore dove si combinano e si scontrano le lobby della tv e delle telecomunicazioni (tlc), gli interessi (deboli) dei tradizionali fornitori di contenuto (l'editoria e il cinema) con quelli dei motori di ricerca (Google in testa) piuttosto che dei pionieri dell'offerta sul web (vedi Babelgum, l'unica carta italiana in gioco) o dei nuovi «tool» (che letteralmente significa «strumento» ma che nell'era di Internet acquisisce un'accezione più tecnologica), vedi iPhone o Android. E, più ancora, il conflitto di interes- S se tra ex monopolisti (come Telecom Italia) od oligopolisti (il duo Rai-Mediaset) contro i concorrenti; le reti alternative di tlc (Fastweb, Vodafone, Wind) piuttosto che i fornitori di servizi di telefonia mobile che rivendicano uno spazio dell'etere oggi occupato solo dalle tv e che, così facendo, difendono anche la propria leadership pubblicitaria. Il tutto in un quadro di aspra competizione per garantirsi la pole position nel mondo prossimo venturo: tra meno di dieci anni, concordano gli esperti, non avrà più senso parlare di tlc ma di un aggregato assai più ampio dove saranno confluiti i media, l'information technology e le varie piattaforme di comunicazione, aggregato che sarà asset decisivo per dialogare con i mercati internazionali, sia di sbocco delle merci e dei servizi sia delle delocalizzazioni produttive. Insomma, non c'è da stupirsi della pressione che si respira attorno al campo di gara della banda larga, che promette, dopo tante discussioni, un autunno caldo. Di qui l'utilità di un piccolo «abbiccì» di domande e risposte, tanto per orientarsi nella cronaca. Iniziamo dal tema più generale: esiste una domanda «vera» di banda larga, oppure siamo di fronte a un’ ennesima bufala tecnologica, come per esempio il «millennium bug» (ricordiamo tutti il terrorismo psicologico prodotto sul possibile default generale per l'anno Duemila) o l'asta per l'Umts? Su questo, nessuno, per la verità, è più così scettico o drastico. Ma, rispetto all'anno Duemila, il denaro è oggi merce assai più rara e i debiti fanno assai più paura. Per giunta, come si legge nel «Rapporto sulla domanda di banda larga» dell'Osservatorio Futuro della Rete (promosso dalla IX Gli italiani connessi alla Rete sono ma solo Per ora le attività che gli italiani svolgono in Rete non richiedono necessariamente banda larga, ma la comune connessione Adsl standard. Ma negli ultimi 20 anni in Italia la spesa in Ict è cresciuta di tre volte e mezzo. E anche se oggi gli italiani spesso si limitano a inviare mail e a consultare i social network è l’offerta a generare domanda 33 milioni 11 milioni hanno la banda larga OUTLOOK 17 Italia | L’economia del futuro Da sinistra, Franco Bernabè, amministratore delegato di Telecom Italia; Francesco Caio, vicepresidente di Nomura Holding e consulente del governo italiano Secondo Stefano Pileri (nella foto sotto), presidente di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, per fare transitare la metà delle linee esistenti (circa 10 milioni) dal doppino di rame alla fibra ottica servono 7,5 miliardi di euro, ma si tratta di un investimento che avrebbe una ricaduta sul Pil di oltre 100 milioni Commissione trasporti della Camera dei Deputati e da Forum Pa), «il paniere delle attività che gli italiani svolgono in Rete è tutto sommato tradizionale e non richiede banda molto larga, bensì può passare benissimo su una banda stretta, ovvero la comune tipologia di connessione Adsl standard in possesso dell'84,5 per cento degli intervistati». Però non va trascurato il fatto che la spesa in Ict degli italiani, nonostante la crisi, è cresciuta di tre volte e mezzo dagli anni Novanta, passando dal 2,5 al 7 per cento del Pil. Nel febbraio del 2010 gli italiani connessi alla grande Rete erano ormai 33 milioni di cui un terzo circa, collegato a banda larga. I cittadini che si connettono al web almeno una volta al giorno, per lavoro o per svago, sono quasi 12 milioni. È vero che, per la maggior parte, la consultazione si limita per ora all'invio di una e-mail piuttosto che a una consultazione della bacheca di Facebook. Ma, in questi casi, l'offerta genera domanda. La realtà italiana, comunque, viaggia rapidamente verso il tutto esaurito come dimostra la notizia riportata qualche tempo fa su «Il Sole 24 Ore» e titolata: «Rete satura: Telecom ferma 500 centrali», intendendo con questo un fronte che serve un bacino di un milione di persone. In sostanza, si legge nell'articolo, Telecom Italia è stata «bacchettata» da Open Access, l'organo di vigilanza sulla parità di accesso alla Rete, per aver deciso di interrompere la vendita di servizi Adsl a nuovi clienti perché le sue centrali sarebbero «sature». La sanzione è maturata dopo la segnalazione degli operatori alternativi (Bt Italia, Fastweb, Vodafone e Wind) ma non è legata a tentazioni protezionistiche: «Situazioni di criticità», si legge sul quotidia- Negli anni Novanta la spesa per Ict in Italia era il oggi è il 18 OUTLOOK 7% 2,5% del Pil no economico, «hanno colpito anche le funzioni retail di Telecom Italia». Ovvero, la chiusura si è resa necessaria «per evitare problemi di degrado della qualità dell'offerta per i clienti connessi sia con la stessa Telecom Italia sia con gli operatori alternativi». Non c'era, probabilmente, modo migliore per illustrare l'attuale situazione italiana del mercato della banda larga. Così come sono tante le ragioni per sostenere la necessità di uno sforzo collettivo per colmare il ritardo tra domanda e offerta in un settore chiave per l'economia, passaggio necessario per garantire un recupero di competitività del sistema. Ma, sempre negli stessi giorni, alla vigilia dell'avvio di una stagione calda per il futuro della «Next Generation Network» tricolore (Ngn, traducibile in «rete di prossima generazione»), è capitato pure di leggere che, ogni anno, Dall’iPhone e iPad al Blackberry fino ad Android, gli smartphone e i tablet stanno provocando un effetto collaterale non immaginato: il ricchissimo mercato delle applicazioni Le applicazioni “mobile” più scaricate Giochi Notizie/meteo Mappe/navigazione/ricerca Social network Musica Intrattenimento/cibo Finanza Sport Produttività Shopping Video/film Comunicazione Viaggi/lifestyle 65% 56% 55% 54% 46% 38% 31% 30% 30% 29% 25% 25% 21% Fonte: Nielsen 1.000 euro per ogni linea: cablare tutta Italia costerà 18 miliardi di euro La banda larga costa mediamente OUTLOOK 19 Italia | L’economia del futuro I costi del cablaggio della Penisola sono troppo alti perché li sostenga da sola Telecom Italia, su cui già gravano 34 miliardi di euro di debiti. La soluzione potrebbe essere in una formula tra pubblico e privato che coinvolga la Cassa Depositi e Prestiti e altri protagonisti finanziari non solo italiani 120-130.000 nuovi edifici vengono ancora connessi alla rete telefonica con cavi di rame. Per carità, il rame promette ancora nel prossimo futuro incrementi interessanti di performance (oltre che margini di profittabilità di cui Telecom Italia non vuole né può fare a meno, in assenza di interventi di sistema). Ma come dimenticare che lo stesso responsabile del regolatorio Telecom Italia, Alessandro Talotta, ha fatto presente in una comunicazione ufficiale al comitato Ngn Italia che «non si può rinviare troppo l'introduzione della fibra ottica in accesso in quanto capace di produrre cambiamenti drastici nel modo di produrre e lavorare nello sviluppo del Paese»? Un cambiamento, secondo i calcoli del compianto economista Carlo Mario Guerci, capace di generare un punto di crescita del Pil nell'ordine di un punto annuo. O anche di più, a detta di Stefano Pileri, amministratore delegato di Italtel e presidente di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici: per fare transitare la metà delle linee esistenti (circa 10 milioni) dal doppino di rame alla fibra ottica ci vogliono investimenti per 7,5 miliardi di euro «ma che potrebbero valere una ricaduta sul prodotto interno loro pari all'1,5 per cento del loro valore». Prima o poi, aggiunge Pileri, sarà necessaria varcare il guado, per almeno due motivi: «Perché le reti tlc dovranno sempre più Telecom Italia ha promesso entro il supportare sistemi video ad alta definizione, per intrattenimento e anche per lavoro. E perché, banalmente, il filo di rame invecchia, diminuisce la sua resa e prima o poi verrà definitivamente abbandonato». Non molto presto, però, a giudicare da quanto sostiene Franco Bernabè: l'amministratore delegato di Telecom Italia ha promesso che entro il 2018 il 50 per cento della popolazione italiana sarà servito dalla banda ultralarga, con 138 città cablate a una velocità da 100 Megabit a 1 Gigabit, grazie all'esecuzione del piano industriale che prevede l'installazione di 400.000 nuove linee all'anno. Ma l'altro 50 per cento non si faccia illusioni: la rete in rame «durerà ancora moltissimi anni. Il rame resterà in funzione per decenni». Non è questa l'opinione di altri esperti. Anzi, come si legge nel rapporto curato, per conto del governo, da Francesco Caio, vicepresidente di Nomura Holding è necessario colmare al più presto il gap che si è determinato rispetto ad altri Paesi soprattutto per il calo degli investimenti tra il 2005 e il 2008. Il consumo di banda larga, è la sua tesi, è destinato a crescere a ritmi sostenuti nel prossimo futuro per almeno tre ragioni: i consumi individuali resi possibili da personal computer sempre più potenti e dall'ampliamento dei servizi disponibili, lo spostamento di molti servizi pubblici di e-government sulla Rete e il diffondersi di nuovi apparecchi digitali. A questo punto risulta utile un'altra domanda: 2018 banda ultralarga 50% degli italiani grazie a un piano industriale che prevede 400.000 nuove linee all’anno e 138 città cablate fino a 1 Gigabit. Ma intanto ogni anno 120-130.000 al nuovi edifici vengono ancora connessi alla rete telefonica con cavi di rame Gruppo Sirio. La libertà di sentirsi protetti. Sentirsi sicuri, significa sentirsi liberi. Di vivere, di abitare, di lavorare con serenità. 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Si potrebbe rispondere invitando a fare un viaggio in India alla scoperta delle meraviglie dei servizi che la multinazionale Barthi Airtel, specializzata tra le altre cose in tlc, ha messo a disposizione dei pescatori che, grazie al wireless, possono conoscere in tempo reale i prezzi correnti sui vari mercati cittadini; servizio che ha permesso di aumentare i loro fatturati del 50 per cento in un solo anno. In realtà, non occorre andare lontano: basta un giro tra le città italiane dove cominciano a spuntare le applicazioni «intelligenti». A Parma, per esempio, dove nell'ambito del «Progetto Parma 2.0» spuntano negli ipermercati, e perfino negli uffici del Tribunale, i totem multimediali per dialogare con la pubblica amministrazione grazie alla banda larga. Certo, perché il pubblico possa scaricare la potenza implicita nella banda larga occorre che l'innovazione non si limiti al «front end», cioè al rapporto con l'utente, ma serva a modificare i processi interni, il back stage dietro il quale si annidano le sue più gravi inefficienze storiche. Ma il vero salto di qualità, al solito, riguarda il settore privato dove la disponibilità di banda può letteralmente «scatenare» una nuova ondata di imprenditorialità. Un esempio tra i tanti dei potenziali new business arriva dalla Gran Bretagna: un imprenditore nella zona est di Londra si è aggiudicato, dopo un'apposita gara pubblica effettuata nel maggio 2006, alcune frequenze in un'area ristretta della città per offrire un servizio destinato a utenti prevalentemente bengalesi. La società, denominata MCom, ha avuto successo e ha deciso in seguito di espandersi, acquistando ulteriori blocchi di frequenze e cominciando a impensierire i giganti delle telecomunicazioni inglesi. Anche questo può succedere se, spezzando le rendite di posizione, si può fare sì che risorse importanti, come lo spettro delle frequenze radio, arrivino a servizi che la collettività richiede, ritiene utili e per le quali è quindi disposta a pagare. Insomma, le vie della banda larga sono quasi infinite come dimostra Hong Kong, una delle aree più cablate del pianeta, dove la municipalità ha varato da poco un servizio di annunci mortuari e di partecipazioni al lutto gratuito: un'idea che potrebbe segnare la fine di molti editori locali se importata nel Bel Paese. Peccato che a complicare l'anomalia italiana ci sia anche un uso improvvido delle risorse, ivi compreso l'«equo canone» del cielo. L'Italia, infatti, ha consentito l'occupazione delle frequenze più preziose, quelle sotto gli 800 Megahertz, ideali per i servizi della banda larga mobile da parte delle emittenti nazionali e locali, in modo caotico e incontrollato. Alcune sono state prese abusivamente, altre sono state vendute e comperate senza che il venditore le avesse mai acquistate dallo Stato e in assenza di un catasto delle frequenze (realizzato solo nel 2007). Il canone d'uso, per chi lo paga, è pari all'1 per cento del fatturato. Molti però non pagano nulla, anzi ricevono finanziamenti per il solo fatto di trasmettere qualcosa su frequenze pubbliche. Una situazione che potrebbe cambiare se l'Italia obbedisse alle pressioni di Bruxelles perché assegni le frequenze agli operatori della telefonia mobile, ovvero il mercato più promettente della Penisola, vista la passione tutta italiana per i telefonini. Uno strano ritardo il nostro, considerato che l'assegnazione delle frequenze ha reso in Germania cinque miliardi allo Stato, invece del misero canone d'affitto pagato dai broadcaster tv. Ma non è l'unico autogol. Ad aggravare la situazione c'è il fatto che l'Italia, insieme alla Grecia, ha un altro primato: è l'unico Paese che ha impedito l'entrata della tv via cavo, concorrente agguerrito per la banda larga in tutto il mondo dato che può offrire contemporaneamente anche servizi di telefonia a banda larga in aggiunta a quelli televisivi. Il risultato? In Gran Bretagna, secondo un recente studio (vedi Thomas Hazlett e Roberto Munoz) i nuovi servizi mobili hanno generato un beneficio sociale calcolato in 40 miliardi di euro, cui si aggiungono i 34 miliardi a vantaggio dello Stato generati dalla vendita dei diritti su 140 Megahertz di spettro. Negli Stati Uniti l'affitto di circa 60 Megahertz di spettro porta a un risparmio per la collettività di oltre 9,5 miliardi di dollari, grazie alla riduzione dei prezzi dei servizi mobili di circa l'8 per cento annuo. A dimostrazione che, quando si riesce a mettere lo spettro delle frequenze radio o il network della rete a disposizione degli operatori che com- 2010 RITORNA OTTOBRE ROSA Cultura, economia, sport, spettacolo: insieme per la prevenzione del tumore al seno www.ausl.mo.it Campagna di sensibilizzazione con la collaborazione di cce.com 22 OUTLOOK Italia petono sul fronte dei servizi, si ottengono benefici collettivi per i cittadini, risparmi per le tasche dei consumatori e, in diversi casi, incassi per lo Stato. Un ultimo interrogativo potrebbe essere: chi paga? Portare la banda larga nelle case e nelle aziende degli italiani, spiega Maurizio Decina del Politecnico di Milano, comporta un costo medio unitario di 1.000 euro per linea. Una bolletta che complessivamente ammonta a 18 miliardi e che difficilmente potrà accollarsi Telecom Italia, su cui già gravano 34 miliardi di debiti. La soluzione, non facile, andrà senz'altro cercata in una formula tra pubblico e privato che coinvolga la Cassa Depositi e Prestiti e altri protagonisti finanziari a medio e lungo termine, italiani e non. Difficile che l'ex incumbent (società dominante) guidato da Bernabè possa resistere più di troppo al pressing per condividere gli sforzi di potenziamento della Ngn italiana, anche se potrebbe avere maggiore fortuna nel massimizzare il valore nel tempo della rete di rame che non verrà di sicuro relegata in soffitta. Detto ciò, uno sforzo comune per realizzare l'autostrada digitale made in Italy può avere un valore simbolico e un'efficacia industriale pari a quello che significò l'autostrada del Sole (quella vera di catrame e guardrail) nell'Italia del boom. La novità, rispetto ad allora, è che la rivoluzione può essere accompagnata dal basso, grazie al «cablaggio federale» stimolato dalle regioni: come è successo in EmiliaRomagna, dove la società della Rete regionale ha realizzato cavidotti e posato fibra ottica per poi dare in gestione la struttura a Telecom Italia. Forse per questa via si potrà superare la stretta finanziaria che soffoca la banda larga: sperare non guasta.