Numero 1 - Licei Camerino

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Numero 1 - Licei Camerino
e d i t o r i a l e
Ancora in viaggio. Con il taccuino in mano,
con la matita per gli appunti.
Si riparte! Come si sa: ci vuole costanza!
La domanda cade però sulla questione: chi guida?
È un gioco d’azzardo? È un puzzle da costruire,
sono pezzi da ricomporre o da inventare?
Non siamo dei rinunciatari, ma siamo dei
resilienti, siamo dei “cavalieri erranti”…
Vogliamo iniziare da una lezione di vita
spiegata da un uomo che prima di morire invita
a non arrendersi, a realizzare i propri sogni,
cominciando a scrivere e a comunicare ciò che
pensiamo e ciò che amiamo, per esorcizzare le
nostre paure e i tormenti che ci tarpano le ali, per
combattere così ogni “complesso del bozzolo” che
impedisce alla crisalide di librarsi.
Il brillante professore americano di informatica,
Randy Pausch, deceduto di cancro nel 2007,
scrive un inno alla vita ai suoi studenti, dove
sottolinea come la fortuna sia soltanto: “quel
momento in cui la preparazione incontra
l’opportunità”. Decidiamo dunque che il perno
attorno cui gestire la nostra prima uscita di
quest’anno è uno dei suoi più famosi aforismi, il
seguente: “Non possiamo cambiare le carte che ci
vengono distribuite, solo il modo in cui
giochiamo la mano”.
Possiamo navigare, possiamo andare e tornare…
Giocano le parole, gioca la scrittura insieme alla
lettura, in un boom salutare in cui approdare, in
cui sostare… verso un buon anno a tutti…
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
1
i n d i c e
1 EDITORIALE
ANGOLO DEL
DOC
4 a caccia di
fantasmi
INCHIESTA
5 expo: curiosità...
e un po’ di numeri
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7
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ATTUALITÀ
bullismo
fuga di cervelli
gioco d’azzardo
misericordia alla
prova
10-11 FUMETTI
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Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
i n d i c e
RECENSIONI
12 libri
13 film
14 serie tv
VIAGGI
15-16 scozia
CRONACHE
SCOLASTICHE
17 intervista fabrizio
17 firenze
18 INDOVINELLI
19 CITAZIONI
20 POESIE
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
3
A n g o l o
d e l
D o c
A CACCIA DI FANTASMI
Spaghetti cosmici, capelli invisibili, spettri
pappamolle: curiosi ingredienti di un Universo tutto da
scoprire
Un Autunno bello come pochi, e non solo
meteorologicamente, quello trascorso: per la comunità
scientifica è stata stagione di importanti scoperte,
proprio a cento anni dalla pubblicazione della Teoria
della Relatività Generale, il cardine della Fisica
moderna, da parte di un oscuro impiegato dell’ufficio
brevetti di Vienna di nome Albert Einstein. La sua
Teoria sull’Universo, da allora solo lievemente
corretta, ha rivoluzionato il modo di vedere la realtà e
soprattutto il tempo: relativo e legato allo spazio in un
unico “tessuto elastico” incurvato dalla Gravità, una
forza determinata dalla massa, la quale, a sua volta,
viene messa in relazione
alla velocità della luce c,
fissata a circa 300000
km/s. È la celeberrima
equazione E=mc2, secondo
cui la massa non è che
una forma di energia. Le
applicazioni pratiche delle
intuizioni (e dei dieci anni
di complessi calcoli) del
geniale scienziato, sono
innumerevoli: una tra
tutte, i satelliti GPS. Il
tempo, in orbita, è meno
influenzato dalla gravità
terrestre e quindi scorre più
velocemente: perciò i GPS
sbaglierebbero la nostra
posizione di molti chilometri
se non ci fossero le correzioni relativistiche. Tuttavia,
resta ancora da conciliare la Teoria della Relatività
con l’incompatibile Teoria Quantistica, che spiega
invece l’infinitamente piccolo basandosi sul cosiddetto
principio di Indeterminazione di Heisenberg,
introducendo la probabilità nella Fisica: un accordo
tra le due teorie permetterebbe di usare la Gravità
per spiegare l’origine dell’Universo (la teoria del Big
Bang) e i buchi neri (stelle supergiganti collassate,
alla cui attrazione nemmeno la luce può sfuggire).
Per questo tutti i fisici sono impegnati a trovare un
buon ibrido, una “Teoria del Tutto” che riesca ad
avere una comprensione globale del nostro Universo,
e lo studio dei buchi neri sembra esserne la chiave.
I buchi neri sono invisibili, ma il loro effetto sullo
spazio circostante tradisce la loro presenza; così,
considerando le sorgenti più forti di raggi X nel cosmo,
gli astronomi ne hanno trovati molti al centro delle
galassie, compresa la nostra. Nell’ottobre scorso,
il radiotelescopio spaziale Chandra, osservando
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squarci di oltre 600000 anni-luce attraverso un
gruppo di galassie nella costellazione della Giraffa
(eh sì, esiste!), è risalita al buco nero più grande mai
trovato: 10 miliardi di masse solari, in chilogrammi
un 2 seguito da 40 zeri. Difficile anche solo da
immaginare. Paradossalmente, attraversare il punto
del non ritorno (detto orizzonte degli eventi) di una
tale bestia sarebbe comunque meno pericoloso che
avvicinarsi a un buco nero piccolissimo, le cui forze di
marea sono assai più distruttive: anche a migliaia di
chilometri dalla singolarità (il centro) del mini buco
nero, qualunque cosa verrebbe infatti spaghettificata,
ovvero disintegrata in fasci sottili di materia, prima
di cadere oltre l’orizzonte. Ma il cosmo sembra essere
pieno di strutture filiformi, ben più e misteriose,
composte di materia
oscura. In molti laboratori
(tra cui quello sotto al
Gran Sasso, guidato
dall’italiana Elena Aprile)
si sta disperatamente
cercando di catturare
questa cosa indefinita che
sembra comporre il 23%
dell’Universo (contro il
72% di energia oscura,
ancora più sconosciuta, e
un esiguo 5% di materia
“normale”), che si ipotizza
essere stata la causa della
formazione delle galassie.
Anche se è tanta e si cerca
di filtrare il più possibile
le particelle vaganti
nel cosmo, pare che sia una materia “pappamolle”
(in inglese WIMP, acronimo per “particelle a bassa
interazione”), con scarsissimo effetto visibile. Dei
veri fantasmi! Ma ad aiutare i moderni ghostbusters
potrebbe essere un modello matematico “capellone”,
elaborato dal Prof. Prèzeau, del JPL della NASA, in
cui tale materia tende a formare dei lunghi fili più
densi, come dei capelli, intorno ai corpi compatti
come la Terra: basterebbe in teoria cercare alle radici,
a metà strada tra noi e la Luna. Potrebbero esserci
risvolti interessanti per le nuove tecnologie e per
la risoluzione dei problemi energetici mondiali, ma
chissà perché le risorse degli stati per l’istruzione e la
ricerca se ne vanno sempre più in attività speculative e
in armamenti…
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
Matteo Sabbatini
E X P O
CURIOSITÀ... E UN PO’ DI NUMERI
L’esposizione universale è terminata, dopo sei mesi in
cui si è respirato il fascino del mondo riunito a Milano,
che ci ha dato la possibilità di aprire le nostre porte
alle diverse culture, all’amore e alla salvaguardia
del nostro pianeta, nonostante i diversi incidenti di
percorso. Secondo un’indagine Coldiretti, l’Expo è
stato giudicato un successo dal 74% degli italiani,
mentre solo il 7% lo ha ritenuto un insuccesso.
Tra le curiosità, durante questa edizione sono stati
stabiliti diversi record tra i quali la pizza più lunga del
mondo (un chilometro e mezzo) o il risotto da duemila
porzioni, per finire col panino più grande del mondo,
creato con centocinquanta chili di pane e cento di
affettato doc.
Lo smantellamento dei mastodontici padiglioni
è iniziato il 2 novembre, ma solo per sei su
cinquantaquattro è prevista la demolizione: per il
resto delle strutture è in programma la vendita all’asta
o il ritorno nei paesi di origine per diventare musei
o centri di ricerca; oppure, secondo le normative
dell’Expo, i materiali componenti verranno riciclati.
Palazzo Italia, il Padiglione Zero e l’Albero della Vita
rimarranno a Milano.
Per scoprire se l’opinione di noi ragazzi sull’evento
corrisponde ai risultati dei sondaggi nazionali, è stato
sottoposto qualche quesito alle classi terze, che hanno
avuto l’occasione di visitare l’Expo i giorni 28 e 29
ottobre.
Complessivamente Expo è piaciuto: solo una persona
su sessantaquattro ha affermato il contrario. Inoltre
nella nostra scuola l’88% delle persone è rimasto
soddisfatto da quello che ha visto: percentuale identica
alle medie nazionali. Tra le cose che hanno più colpito
vediamo al primo posto l’architettura, seguita dal cibo
e dall’albero della vita. Qualche coraggioso ha risposto
che a colpirlo è stata la fila ai padiglioni: sicuramente
una cosa che rimane impressa, ma poco apprezzabile
a livello pratico. La maggior parte ha infatti inserito
la coda, insieme ai prezzi troppo elevati, tra le cose
negative. Quelli della Coldiretti
si sono divertiti a stimare una
media di tempo per persona: 2
ore e 45 minuti trascorsi in fila ad
aspettare.
Riguardo i padiglioni, le classifiche
che abbiamo confrontato sono
quella di gradimento dei visitatori
italiani, quella di noi ragazzi
e infine quella ufficiale del
BIE (Bureau International des
Expositions), che durante gli ultimi
giorni dell’esposizione ha eseguito l’assegnazione dei
premi. Questo ente è sicuramente più specializzato di
noi nel valutare l’originalità e l’inerenza al tema dei
vari padiglioni: le categorie sono cluster (padiglioni
collettivi dedicati a più paesi), self-built sopra i 2mila
metri quadrati e self-built sotto i duemila metri
quadrati. Gli aspetti valutati per le premiazioni sono
l’exibition design, lo sviluppo del tema e l’architettura:
in totale sono stati consegnati 24 premi, tra cui
uno destinato alla Santa Sede (appartenente alla
categoria dei padiglioni sotto i 2mila metri quadrati).
Resta a bocca asciutta uno dei padiglioni più favoriti,
quello degli Emirati Arabi, che a Dubai ospiteranno
la prossima esposizione universale nel 2020. Le
classifiche ufficiali sono abbastanza diverse da quella
fatta dai visitatori italiani e da noi ragazzi: la prima
vede al primo posto il Giappone, seguito da Cina e
Kazakistan. Invece la nostra classifica vede sul podio
il Quatar, al secondo posto, a pari merito, Kuwait,
Germania e Kazakistan, e il Giappone all’ultimo
gradino.
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
Elena Janata
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a t t u a l i t à
BULLISMO: L’IGNORANZA DI CREDERSI FORTI
Siamo. Siamo più di quello che diamo a vedere. Siamo
più di un paio di scarpe, di una tinta sbagliata, più
un paio di occhiali, di un apparecchio ai denti, più di
quello che tutti, a primo sguardo, vedono. Dentro di
noi si nasconde un mondo di idee, passioni, opinioni:
la nostra vera essenza, il nostro vero io. Spesso non
ci viene dato modo di esprimerlo, perché qualcuno
decide che il suo essere è più importante del nostro, o
che il nostro non vale abbastanza e cerca di oscurarlo,
distruggerlo, sminuirlo, perché non ci adattiamo
agli standard, o perché, al contrario, ne dipendiamo
troppo e questo ci si ritorce contro.
Il bullismo va ad intaccare la nostra libertà. Quella che
una volta era la parte più colorata del nostro io, dopo
essere stata attaccata, criticata senza pietà e sminuita
va a ristringersi, non si azzarda più a uscire dai confini
della nostra mente, ci rende reticenti e si trasforma da
ponti a mura. Mura alte e pericolose, perché non c’è
niente di peggio che odiare, a causa di qualcun altro,
qualcosa che un tempo si amava.
Quello che ci trae in inganno, in un epoca in cui il
bullismo può essere perpetrato da tutti in qualsiasi
modo - sia dal singolo che dal gruppo, sia dal vivo
che su web, sia in modo fisico che psicologico - è
l’immagine stereotipata del bulletto grande e grosso
che se la prende con il tipetto basso e magrolino,
picchiandolo perché non gli ha dato i soldi del pranzo.
Essere vittima di bullismo significa vedere la propria
immagine screditata, essere derisi o attaccati per la
sola colpa di fare ciò che ci piace. Il bullo potrebbe
essere l’amico che non perde occasione di farsi una
risata, non contraccambiata, a discapito della vittima,
dimenticando che lo scherzo è tale quando entrambe le
parti coinvolte sono divertite. Se una ne soffre allora
non è scherzo. È violenza.
Il bullo può essere il profilo Facebook, o meglio, i tanti
profili Facebook che espongono alla cosiddetta “gogna
mediatica”, che attaccano per un piccolo errore
commesso, una foto pubblicata, che deridono per via
dell’aspetto.
Non si rendono conto che stanno bullizzando qualcuno,
che le parole fanno molto male. Il bullismo spesso
porta all’autolesionismo, allo sviluppo di malattie
mentali quali la depressione o a disturbi alimentari e,
nei casi più estremi, al suicidio.
Ma il bullismo può essere prevenuto, o se è troppo
tardi, addirittura curato. Come? Dimostrando che è
possibile indossare quelle cicatrici con tutta la fierezza
di un guerriero.
Ne è testimone l’esperienza di Lizze Velasquez.
Chi è? Secondo il web, la donna più brutta del mondo.
Ma la rete non si è interessata di scavare più a fondo
prima di giudicare: si è limitato a puntare il dito.
Lizzie ha questo aspetto a causa di una malattia che
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le impedisce la crescita. Alcuni le avevano consigliato
di uccidersi, ma Lizzie non l’ha fatto. Perché si può
sempre cambiare, trasformare le proprie debolezze
in punti di forza; infatti Lizzie oggi ha girato un
documentario sulla sua esperienza “A Brave Heart
- The Lizzie Velasquez Story” ed è attiva nella lotta
contro il bullismo.
Tutto è risolvibile. Tutto può essere riscritto,
reinventato. (Le carte vanno giocate, per forza.
L’importante sta nel giocarle nel modo migliore.)
Alzate la testa, denunciate chi vi fa del male,
parlatene e siate abbastanza coraggiosi da chiedere
aiuto se ne avete bisogno.*
Siate fenici. Rinascete dalle vostre ceneri.
* Sul web è nato un progetto chiamato “The
quietplaceproject” dove le persone possono parlare,
sfogarsi, chiedere aiuto in modo completamente
anonimo e gratuito.
Tre siti utili:
http://thequietplaceproject.com/thedreamsroom/
comfortspot: dove puoi scrivere cosa ti preoccupa
e i tuoi problemi in modo anonimo e ricevere aiuto
istantaneo da altre persone nella tua situazione.
http://thequietplaceproject.com/thedawnroom/
?page=thedawnroom&lang: dove puoi ricevere
incoraggiamento istantaneo e renderti conto che non
sei da solo.
http://thequietplaceproject.com/thethoughtsroom
/?page=thethoughtsroom&lang: dove puoi scrivere
tutti i pensieri che ti turbano, senza bisogno di creare
account, e vederli smaterializzati in milioni stelle
virtuali.
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
Sandra Caballina
a t t u a l i t à
FUGA DI CERVELLI
L’Italia è sempre stata sinonimo di innovazione, di
cultura e di scienza. Per secoli il nostro Paese è stato
protagonista di numerosi successi e la reputazione del
nostro caro stivale è stata sempre accresciuta da menti
brillanti. Questa grande evoluzione non ha mai smesso
di essere presente fino ad arrivare ai giorni nostri.
Certo, le menti brillanti non mancano, manca solo un
posto per loro.
Si sentono spesso cittadini desiderosi di un governo
un po’ più fresco dello “shish” di Matteo Renzi e
sono sicura al cento per cento che il nostro paese ha,
nascosta da qualche parte, la svolta per farci ripartire.
C’è un solo problema: quella svolta si chiama gioventù
del governo attuale. Infatti, nonostante esso stesso
ritenga importanti le nuove promesse italiane, non
crea il giusto numero di opportunità per permettere
ai giovani di affermarsi e di conseguenza moltissimi
si sentono tarpare le ali e sono così costretti ad
emigrare per trovarsi un impiego. Persino attori e
cantanti italiani raggiungono la fama all’estero! Basti
pensare al cantate Pasquale Caprino, famoso in tutto il
Kazakistan come Son Pascal, oppure a Christian Kang
Bianchini, divo del cinema in Cina, diventato attore
grazie alla sua bravura nelle arti marziali.
Perciò, baldi giovani, non rinunciate ai vostri sogni
ma, piuttosto che trovare lavori all’estero del tipo
e si sta disperdendo davanti ai nostri occhi.
Siamo tutti perfettamente consapevoli della
disoccupazione che cresce sempre di più, ma sapete
quanti giovani sono attualmente senza lavoro? Il
44,2%, esclusi quelli impegnati nello studio. Poco
meno della metà di tutti noi. E’ un dato che fa paura ed
è la paura uno dei fattori che ci spingono ad andarcene
il prima possibile per trovare un futuro migliore.
Eppure il nostro è un Paese che potrebbe offrire
moltissime opportunità se fosse meglio amministrato:
turismo, cultura, ricerca…
Invece, secondo gli ultimi dati ISTAT, se ne vanno
dall’Italia circa 89 mila cittadini ogni anno.
Una migrazione così massiccia non è causata solo
dalla paura, ma anche dalla sfiducia nei confronti
“vado a lavare i piatti a Londra per dieci giorni e poi
vedremo” citando gli iPantellas, investite in quello che
c’è qui; se non trovate opportunità lavorative, createle
voi. C’è bisogno di aria nuova e solo noi siamo in grado
di portarla. Solo perché la situazione attuale di crisi
non vuole proprio finire, non significa che dobbiate
escludere immediatamente il luogo in cui siete
cresciuti. Siamo la benzina dell’Italia, la materia prima
del futuro. Non facciamo solo propaganda del nostro
Paese all’estero, proviamo anche a fare bella figura
all’interno del confine.
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
Sofia Carducci
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a t t u a l i t à
GIOCO D’AZZARDO
Il gioco d’azzardo, nonostante abbia antiche origini,
è ora entrato tra le nuove forme di “dipendenza senza
droga”. La parola gioco d’azzardo deriva dall’arabo
azzahr, cioè dado da gioco. La prima forma di gioco
d’azzardo nacque quando la popolazione cinese,
quella europea e quella mediorientale iniziarono a
scommettere per soldi per divertimento. Le prime
regole scritte di questo gioco si trovano nella
letteratura indiana e nei geroglifici egizi, che
furono i primi a scolpire i dadi a sei facce.
Nel 500 a.C. in Cina oltre ai giochi da
tavolo si svilupparono anche dei giochi più
complessi grazie all’invenzione della carta.
Il primo mazzo da gioco compare sempre
in Cina nel X secolo e intorno all’anno
mille con le Crociate si diffonde anche
nel nostro continente. Nel periodo
Rinascimentale si affermarono
vari giochi con le carte, tra cui la
Primiera, la Bassetta e il Poker.
Questi giochi erano utilizzati
però solamente dalle persone
alfabetizzate, quindi di un alto ceto
sociale. Influenzeranno comunque il
gioco moderno: ad esempio il valore
delle carte della Primiera si ritroverà
in altri giochi di carte italiani arrivati
fino a noi. Anche la Bassetta è un
gioco d’azzardo italiano, che oggi
definiremmo un gioco da casinò. Si è
diffuso in tutta Europa, dove addirittura
è ancora giocato, mentre in Italia non è
più praticato dall’inizio del ‘900. Il poker si divide in
poker d’azzardo e poker sportivo: il poker sportivo si
gioca a mo’ di torneo. Principalmente ci sono due tipi
di torneo: il sit & go (“siediti e vai”) viene utilizzato
quando tutti i posti previsti sono occupati e il MTT,
sigla di Multi Table Tournament (“tornei multitavolo”)
quando i tornei partono ad un orario prestabilito.
Questi tornei prevedono un numero minimo e un
numero massimo di partecipanti e, per partecipare,
bisogna pagare una quota d’iscrizione che è in parte
ridistribuita nel montepremi e in parte (la rake) viene
trattenuta da chi organizza il torneo. Vengono usati i
casinò per i tornei dal vivo e le Poker Room per i tornei
on-line. Il primo casinò aperto fu quello di Venezia, nel
1638, che è tuttora attivo.
Nel gioco d’azzardo, la vincita dipende dalla sorte
invece che dalla bravura del giocatore. La maggior
parte delle persone che viene colpita dalla dipendenza
dal gioco d’azzardo inizia per curiosità, per sfizio,
credendo di riuscire a smettere quando vuole. Una
volta puntato, però, a giocare non è più la persona ma
l’illusione di vincere, che porta poi a perdere anche
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grandi somme di denaro. Negli ultimi anni anche i
ragazzi si sono lasciati influenzare dal gioco d’azzardo.
I dati statistici del 2014 riportano infatti che in
Italia il 40% circa dei ragazzi che frequentano le
scuole superiori sono dipendenti dal gioco d’azzardo.
Secondo uno studio approfondito sono più attratti i
ragazzi delle ragazze: il 49% contro il 30%. Una delle
problematiche più rilevanti della diffusione del gioco
d’azzardo tra gli adolescenti è il continuo aumento
delle slot machine all’interno di bar e di sali e
tabacchi. Infatti gli adolescenti, non potendo
entrare nei casinò, giocano nei bar dove ci sono
le slot oppure online per puntare attraverso
siti come in un casinò.
Giocare di tanto in tanto una schedina
del Toto Calcio o un Gratta e Vinci non
è vietato, anzi, secondo alcuni studi,
giocare favorisce la distensione e,
quando lo si fa senza impegno, diverte.
Tante volte con le schedine occasionali
ci si dà una chance, regalandosi, se
si è fortunati, un’emozione benefica.
Ci sono anche altri modi di giocare,
però, senza recare danno al portafogli,
come i giochi di società. Ultimamente
il Burraco è il gioco di società che va
per la maggiore, sia tra gli adulti che
tra i ragazzi. Si organizzano dei tornei
informali in cui chi perde offre, per
esempio, un gelato o una cena. Questi
tornei oltre a essere un momento
di svago sono anche un’occasione
di incontro, di socializzazione con persone nuove.
Giocare è positivo, ma bisogna considerarlo come
un’opportunità senza effetti collaterali: per questo si
può giocare con la sorte, ma con moderazione.
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
Agnese Santori
Agnese Picotti
a t t u a l i t à
i tarocchi
misericordia alla prova
La figura della cartomante, la persona che si dedica
all’interpretazione dei simboli e alla ricerca di
un collegamento tra gli uomini e il loro futuro,
permettendo loro di affrontare al meglio le sfide della
vita, è sempre più comune oggigiorno. Dati statistici
rivelano che alla fine del 2013, tredici milioni di
italiani si erano rivolti almeno una volta ai tarocchi per
cercare una soluzione ai loro problemi o una parola di
conforto. Questo fenomeno è stato accentuato dalla
crisi economica. Di solito il primo approccio avviene
su internet: per curiosità si telefona al numero della
pagina visitata e d’un tratto ci si ritrova a parlare dei
propri problemi con una sconosciuta che, attraverso
parole di conforto, amuleti e carte lette, ci solleva
il morale e ci alleggerisce il portafoglio. La maggior
parte delle cartomanti, in realtà, sono operatrici di
call center incaricate di creare una sorta di dipendenza
psicologica, trattenendo il cliente al telefono il più a
lungo possibile e invogliandolo a comprare amuleti
o a farsi leggere le carte per conoscere e migliorare
il proprio futuro. In questo modo il cliente non solo
compra gli amuleti, ma paga anche la telefonata,
facendo arricchire non le operatrici, ma di certo gli
impresari. Le persone truffate dalle “cartomanti”
per la vergogna si sfogano con i “telefoni amici”
(alimentando un circolo vizioso) o per l’umiliazione
non lo rivelano a nessuno. La domanda che ci sorge
spontanea è: “Quindi le cartomanti non esistono?”
Sicuramente quelle “divine” no. Alcune tuttavia si
servono di un metodo più “scientifico”, basandosi sulla
statistica e sulla psicologia. Una brava cartomante è
una persona che unisce lo studio del “cold reading”
(la lettura a freddo, cioè la capacità di ottenere
informazioni su una persona che non si conosce, in
base al suo linguaggio corporeo) alla suggestione di un
mazzo di tarocchi. Quindi, nonostante il trucco ci sia
sempre, alcune di loro hanno comunque delle abilità
che non è possibile non riconoscere.
Agnese Santori
È ora di pranzo: al telegiornale parlano delle vittime
del giorno, inquadrando una madre che piange.
Cambiamo canale perché non vogliamo mandarci il
boccone di traverso. Tanto è sempre la stessa storia:
discutiamo su quanto il mondo dei media sia sbagliato,
morboso e interessato, ma soprattutto irrispettoso
del nostro diritto a “starcene in santa pace”. Intanto
la notizia ci è sfuggita: cosa sappiamo di quei conflitti
che ogni giorno diffondono paura e sofferenza in zone
quasi sotto casa nostra?
Dalla fine della Guerra Fredda, la maggior parte dei
conflitti è da considerarsi locale o a bassa densità:
non schieramenti di eserciti ma guerriglia tra gruppi,
che coinvolge un numero relativamente basso di
territori e autorità, in guerra per motivi economici,
etnico-religiosi e politici. Non bisogna pensare che
per questo le conseguenze siano meno gravi: l’Onu ha
infatti stimato 60 conflitti di questa entità in corso,
con più di 7 milioni e mezzo di morti in vent’anni. Gli
scontri armati avvengono per strada, coinvolgendo
innocenti che non possono difendersi: l’unica speranza
è quindi fuggire, lasciare la propria casa, le proprie
certezze. Al momento 20 milioni di persone sono
fuori del proprio paese: camminano, dormono dove
si può, chiedono da mangiare. Questa grande folla di
persone coraggiose sta bussando alle porte dell’Europa
e dell’Italia, ma non si sa come accoglierli: sono in
molti a temere che l’emigrazione possa aprire le
porte al terrorismo, alla delinquenza e all’instabilità.
Sembra che la nostra “avanzata” civiltà abbia
imparato ad intendere “pace” solo come amore per
la propria serenità, non come amore per il prossimo:
l’egoismo e il pregiudizio, insiti nell’animo umano,
sono difficili da sradicare, soprattutto in condizioni
di benessere in cui sembra secondario imparare i
valori di tolleranza e rispetto. Se tutti intendessero
la “pace” come impegno per il bene comune, non
ci sarebbero più quelle ingiustizie che offendono i
diritti naturali dell’uomo e creano le premesse per lo
scoppio di un conflitto. Bastò l’attentato a Sarajevo
del ‘14 a scatenare il primo conflitto mondiale,
ma solo perché da tempo il crescente attrito stava
spezzando gli equilibri e fomentando gli animi. La
responsabilità non era solo dei governanti, che per
interessi personali non adempiono al compito supremo
di garantire i diritti fondamentali dell’Uomo, ma di
tutti. Oggi, che ci troviamo in una situazione analoga,
dovremmo impegnarci a capire quanto la generosità,
l’accoglienza, la misericordia siano i valori utili per
un’ottica che garantisca le identità culturali ma sia
anche aperta al dialogo e contro ogni razzismo.
Elena Janata
Matteo Sabbatini
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
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f u m e t t i
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r e c e n s i o n i
LIBRI
QUESTE OSCURE MATERIE
Rieccoci con un’opera
grandiosa: la trilogia di
successo internazionale
“Queste Oscure Materie”.
Se lo avete visto, non
lasciatevi ingannare dal
film “La Bussola d’Oro”: un
adattamento alquanto mal
riuscito del primo capitolo
della saga.
La pellicola, infatti, non
riesce a catturare l’essenza
di quest’opera: il nucleo,
quasi filosofico, attorno
al quale Philip Pullman
costruisce una storia geniale, quella di due ragazzi
preadolescenti: Will Parry, portatore della Lama
Sottile (un coltello in grado di aprire “varchi” tra un
mondo e l’altro) e Lyra, spregiudicata e appassionata
bugiarda, capace di “leggere” l’Aletiometro (una
bussola d’oro che consente di “misurare” la verità).
Il suo è un mondo simile al nostro, ma dove ogni
uomo ha con sé la manifestazione fisica della propria
anima (il Daimon) e l’energia elettrica è sostituita
da quella “ambarica”. Questo vibrante universo di
fantasia è popolato da streghe ed orsi corazzati ed è
dominato da una Chiesa potente ed oppressiva, che
tenta di sopprimere le emozioni, il libero pensiero
e la conoscenza. Ad essa si oppone Lord Asriel, (il
padre di Lyra): un uomo ambizioso e risoluto che nella
sua battaglia contro la Chiesa, non esita a dichiarare
guerra all’Autorità stessa (Dio), per proteggere la
conoscenza, la virtù e la libertà.
Consiglio a tutti la lettura di questa trilogia, dato che
si adatta a ogni livello di lettura: la storia è ottima
dal punto di vista della trama, e, se si sanno cogliere
i riferimenti e si approfondisce l’interpretazione, si
possono trarre degli ottimi spunti di riflessione.
Anche la simbologia è significativa: la Polvere, ad
esempio, viene interpretata come una manifestazione
del peccato da coloro che la considerano un male
da estirpare, mentre altri danno la vita cercando
di proteggerla, vedendola come il punto di svolta
tra l’innocenza infantile e la presa di coscienza
adolescenziale, fonte di ogni emozione. Infatti la
Polvere, che di natura non si posa sui bambini, non
si posa neanche sulle persone “recise” (cioè private
del Daimon), che, di conseguenza, diventano “vuote
dentro”, e obbediscono senza riflettere, e neanche
sugli uomini “mangiati dagli spettri”, che si cibano di
anime e perdono la loro umanità.
LA MIA SECONDA VITA
Dai ricordi di Christiane
F. raccolti in questo
romanzo, emerge il ritratto
di una donna che, a 35
anni dall’esperienza di
“Noi, i ragazzi dello zoo
di Berlino”, pur avendo
viaggiato molto tra
Germania, Svizzera, U.S.A,
Grecia e Olanda, non è
mai stata molto distante
dal mondo delle droghe e
delle amicizie pericolose.
Infatti, pur non facendo
più uso di eroina, continua
ad usare metadone, tranquillanti, droghe leggere e
sostanze alcoliche.
L’elemento essenziale di quest’autobiografia, che tocca
il tema dell’amicizia incondizionata (simboleggiata da
Anna Keel) e ci restituisce un’immagine drammatica
del Parco della droga di Zurigo e dell’esperienza in
carcere dell’autrice, è rappresentato dal forte legame
con il figlio Philip.
Nonostante Christiane abbia perso la potestà
genitoriale, infatti, le è concesso di incontrarlo ogni
settimana e di intrecciare con lui un rapporto molto
solido e dolce, al contrario dei rapporti con il resto
della sua famiglia, ormai del tutto assenti.
Christiane è cresciuta, ha esaminato nuovi orizzonti,
intrapreso viaggi e conosciuto nuova gente: è ora
in grado di autogiudicarsi e capire che l’esistenza
senza regole che ha vissuto e che la ha logorata non
le apparteneva: l’eroina e la prostituzione non erano
una sua scelta, ma il frutto dell’adolescenza ingiusta
che le era capitato di vivere, a causa, anche, di suo
padre, un uomo che invece di spingerla a ragionare, la
scoraggiava, essendo egli stesso una figura da cui non
trarre insegnamento.
Assumersi le proprie colpe, tuttavia, non significa
smettere di commettere nuovi errori: ma adesso
Christiane ha trovato nel suo amore incondizionato per
suo figlio lo stimolo per migliorarsi continuamente.
Si allontana quindi dai luoghi della sua adolescenza
(come la metropolitana e la stazione) e, all’età di 52
anni, affronta con coraggio le malattie, conseguenza
di uno stile di vita che avrebbe potuto portarla anche
ad una morte precoce. Tutto questo per un figlio che,
paradossalmente, ancora ha fiducia in lei e non esita,
assieme al resto del mondo e in particolare ai suoi
fans, a darle una seconda chance.
Luana Paladini
Antonio Gassner
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Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
r e c e n s i o n i
FILM
THE IMITATION GAME
EX MACHINA
Il film “The Imitation
Game”, diretto da Morten
Tyldum, ci restituisce
con forza e vigore
l’immagine di Alan Turing,
interpretato da Benedict
Cumberbatch, lo scienziato
che, durante la seconda
guerra mondiale, ebbe
il merito, insieme a un
gruppo di menti eccelse,
di costruire un cervello
elettronico in grado
di decifrare i codici di
Enigma, la macchina che i
tedeschi utilizzavano per comunicare con i loro militari
via radio, attraverso una serie di messaggi criptati. La
macchina di Turing consentì agli Alleati di vincere la
guerra e salvare più di 40 milioni di uomini e donne.
Il film, però, non ci racconta solo la storia di come fu
vinta la guerra, ma anche la vita di Alan attraverso
una serie di flashback, che ci permettono di conoscere,
in modo brusco, ma senza alcun disorientamento,
le ansie del bambino che in un collegio maschile era
vittima di bulli e maltrattamenti. L’unica cosa positiva
che segnò la vita di Turing durante l’infanzia fu
l’amore che provò per Christopher, l’unico amico che
aveva, che poi morì di tubercolosi. Alan intorno ai 40
anni viene accusato di atti osceni e quindi costretto a
prendere pillole per la castrazione chimica. Agli inizi
del Novecento, in Inghilterra, l’omosessualità veniva
considerata un reato e una malattia da curare: una
realtà sgradevole che portò al suicidio di Turing all’età
di 41 anni. Il film accenna anche ad altre forme di
emarginazione, come quella femminile, attraverso
la storia di Joan Clarke, ben interpretata da Keira
Kinghtley, che all’inizio viene esclusa dagli studi
perché donna, ma che poi, grazie ai suoi talenti di
crittoanalista, aiuta Alan a risolvere l’Enigma. Altre
interpretazioni magnifiche sono quelle del gruppo con
cui Turing lavora: Hugh Alexander (Matthew Goode),
John Cairncross (Allen Leech), Peter Hilton (Matthew
Beard). Un film veramente commovente e pieno di
storia: quel tipo di storia che non viene raccontata a
scuola, ma che dovrebbe essere conosciuta in tutto il
mondo. Un film da Oscar!
Maisie Silvestri
Ammetto che, prima di
guardare “Ex Machina”,
ero piuttosto scettico.
Sapevo che il film mi
avrebbe trasportato in
una realtà non troppo
lontana dalla nostra, dove
la tecnologia – divenuta
più avanzata di noi – ha
preso il sopravvento:
un’ambientazione tipica
ormai delle opere di
fantascienza. La pellicola,
tuttavia, si distingue dalle
altre storie di sciencefiction fin dall’inizio. Caleb, interpretato da Domhnall
Gleeson, è un impiegato della Bluebook (inquietante
fusione tra Bluetooth e Facebook): la multinazionale
che controlla ogni accessorio tecnologico del
pianeta. “Casualmente”, viene scelto per trascorre
una rilassante settimana in vacanza in una villa di
montagna, ma, al suo arrivo, viene incaricato di
un compito chiave nella storia dell’umanità: deve
testare la prima Intelligenza Artificiale, incarnata nel
corpo di un’attraente donna, interpretata dall’attrice
svedese Alicia Vikander. La storia è quella di un amore
impossibile ed improbabile, di inganni, tradimenti
e avidità di potere. La conclusione è inaspettata
quanto spoglia e, proprio perché non tutte le domande
trovano risposta, in noi sorgono dubbi riguardo al
nostro mondo contemporaneo. Un finale che rimane
impresso e scuote la nostra fiducia nell’umanità e in
quello che l’uomo può creare. Che lascia molto a cui
pensare, specialmente sull’importanza dell’etica,
che spesso nella società di oggi viene a mancare.
Il messaggio che ho colto è infatti che bisogna fare
più attenzione a quello che è reale e tangibile e che
è possibile amare fino in fondo, piuttosto che essere
presi in ostaggio dalla tecnologia, da un artificio
che soltanto noi possiamo creare, ma che sembra
mangiarci vivi: freddo e lontano e allo stesso tempo
così vicino che è impossibile guardarlo con distacco
e comprenderne le insidie. Il film vede il debutto del
regista Alex Garland, che riesce magnificamente a
condensare gli avvenimenti di una sola settimana
in un solo ambiente (la moderna villa in montagna).
Il film stesso è davvero ben fatto: il regista fa
scelte particolari sia nella sceneggiatura sia nelle
inquadrature, che funzionano benissimo nel complesso
dell’opera. Un film assolutamente da vedere.
Alessio Grain
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
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r e c e n s i o n i
SERIE TV
FAKING IT
ANIME
Tutti sogniamo una scuola
varia, colorata, che ci
permetta di essere ciò che
siamo veramente senza
discriminazioni o atti di
bullismo. Seppur in una
serie tv, “stranamente”
questo sogno è diventato
realtà, grazie all’emittente
MTV, nei lontani Stati
Uniti, più precisamente nei
sobborghi di Austin, Texas.
Proprio lì si trova la Hester
High School dove diversità
è sinonimo di popolarità e la popolarità è l’aspirazione
di Karma e Amy, migliori amiche che vengono invitate
ad una festa organizzata dall’elite della scuola che
cambierà la loro vita. Infatti le due ragazze sono
ignare del fatto che tutta la scuola pensa siano un
coppia e che le eleggerà reginette della festa solo per
spingerle a fare outing. Inizialmente Karma e Amy
stanno al gioco e fingono di essere gay guadagnando
così parecchia popolarità.
Tutto cambia, però, quando Karma inizia una relazione
clandestina con Liam, un ragazzo de “l’alta borghesia”
scolastica e Amy incomincia ad interrogarsi sulla sua
sessualità, cercando di capire cosa prova veramente
per la sua migliore amica.
Nella seconda stagione poi accadono una serie di
problemi,in verità poco approfonditi, che metteranno
molto a rischio la stessa amicizia tra le due
protagoniste.
Fin qui sembra una serie tv accattivante. Peccato
che la realizzazione non le renda giustizia, infatti,
nonostante un episodio duri appena venti minuti,
riesce per poco tempo a far rimanere incollato allo
schermo lo spettatore a causa dei troppi punti morti.
Una trama che certamente non vale un Emmy e che
sicuramente potrebbe essere sviluppata meglio e
perché no, magari essere un’occasione per presentare
in modo meno superficiale e stereotipata personaggi
e situazioni attuali, tanto da diventare un emblema
della comunità LGBT a favore della sensibilizzazione
pubblica contro l’omofobia.
Gli Anime sono una cosa bella!
Scrivo quest’articolo nel tentativo di eliminare il
preconcetto molto diffuso che gli Anime giapponesi
siano semplici filmetti d’animazione, come le
produzioni della Disney o di Barbie & Co, e che siano
indirizzati solamente a un pubblico di bambini sotto
i 14 anni. Ciò non è assolutamente vero, perché le
tematiche sono precisamente riferite a un pubblico
adolescente, principalmente tra i 14 e i 18 anni.
Oltre a ciò nessun genitore cosciente farebbe vedere
al proprio bambino anche solo un episodio di “Tokyo
Ghoul”, un Anime che sta riscuotendo molto successo
ultimamente, ma che presenta tratti violenti. Lo
stesso discorso si applica per gli Anime scolastici, che
vedono protagonisti ragazzi delle scuole superiori,
trattando di dinamiche sociali o storie d’amore che un
bambino di 10 anni non capirebbe a prescindere.
Ora c’è da chiarire, oltre al fatto che gli Anime non
sono della stessa tipologia dei cartoni per bambini,
che non sono nemmeno rappresentati dalle solite 4-5
serie maggiormente conosciute in Italia: “Naruto”,
“One Piece”, “Dragon Ball”, “Yu-gi-oh”, “Pokémon”
e “Heidi” (Sorpresa!). Questi possono anche
rappresentare una possibile introduzione al genere,
ma per capire il motivo che porta alcuni ragazzi
come me a difendere gli Anime strenuamente e a
considerarli quasi uno stile di vita, dovreste vedere
“Death Note”, per citarne uno conosciuto, ma anche
“Fullmetal Alchemist Brotherhood” o “Steins;Gate”,
per poi fare il confronto col film più avvincente che
avete visto e tirare le vostre conclusioni su cosa vi
sia piaciuto di più. Gli Anime e la cinematografia
possono essere considerate entrambe un’arte, però
se continuate a essere del parere che gli Anime siano
semplici cartoni animati senza valore emotivo, e
“Clannad - After Story” non vi ha fatto piangere,
allora continuate a guardare le Barbie. Altrimenti
mi complimento con voi, avete appena scoperto un
mondo, parola d’intenditore, dato che ormai sono anni
che vedo anime, ma ho solamente esplorato la punta di
un immenso iceberg.
Nessun appassionato dei film di Barbie è stato offeso
intenzionalmente con quest’articolo.
Antonio Gassner
Sofia Carducci
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Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
V i a g g i
TUTTO IL BELLO CHE C’È
La Redazione di questo giornale vuole commemorare
la scomparsa della giornalista camerte M. Grazia Capulli, deceduta a 55 anni, volto del TG2 e professionista marchigiana apprezzata. La sua morte ha destato
profondo cordoglio nel mondo dell’informazione. Nata
a Macerata frequentò il nostro Liceo Classico e studiò
alla scuola di giornalismo diretta da Gino Pallotta.
Fino all’ultimo ha dato testimonianza di grande passione per il suo lavoro e amore per la vita, è stata
esempio del buon giornalismo che cerca gli aspetti più
propositivi e i valori profondi dell’esistenza.
Ricordiamo però soprattutto l’ultimo suo lavoro per
la rubrica “Tutto il bello che c’è”, una finestra sulle
buone notizie, dove emerge il suo grande slancio e
ottimismo nei confronti della realtà tutta. M. Grazia
credeva nel bello della vita e ce lo ha fatto capire celando il suo male e cercando di portare dentro i telegiornali il magico mondo dell’arte di cui l’Italia è così
ricca, anche attraverso il racconto delle storie della
gente comune, per evidenziare la ricchezza umana che
ci circonda e spesso vive nel silenzio e nell’ombra.
La sua è stata come una potatura del lavoro di giornalista: ha tagliato le parti negative che appesantiscono, che imprigionano e tediano il lettore, per favorire
una buona fioritura e per liberare il bello che c’è in noi.
Come afferma Coelho in un suo romanzo, è importante
osservare il prossimo per migliorarsi: spesso le persone tendono a mostrare il lato peggiore di sé, allora
dobbiamo risvegliare le forze positive e la speranza
presente nelle profondità di ogni uomo.
In questa umanità un po’ “squadernata” il bisogno di
armonia e di benessere è una necessità per tutti, anche se ci rifiutiamo di ammetterlo se non nel profondo
del nostro essere. E’ necessario, dunque, cercare i
fermenti giusti di bene: è necessario dar voce ai sentimenti più veri, ai colori più vari.
Quante donne e uomini anche nei nostri tempi, seppure nel loro piccolo e nonostante le avversità, hanno
dato il meglio di sé, hanno seminato speranza, hanno
prodotto frutti preziosi!
Ciò che è gratificante, profondo, valido può essere destato e sviluppato a discapito del pessimismo dilagante,
contro chi semina discordia e paura,contro il chiasso e
lo sfarzo dell’effimero. Un lavoro certosino? Un lavoro
utopico? Un lavoro possibile, ricco di potenzialità e di
futuro, inerente alla progettualità...
Poniamoci anche noi la domanda venuta in mente
sette anni fa a M. Grazia Capulli: Perché i nostri mezzi
di informazione ci inondano di brutte notizie ?
Creiamo un giornale delle notizie buone, un notiziario
all’insegna del bello, che, come afferma l’antica cultura greca, è anche buono.
Prof.ssa Mosciatti Simonetta
SCOZIA
Estate: la stagione della libertà, del viaggio e delle
scoperte. Chi tra di noi, in fondo, non la rimpiange
almeno un po’? Durante quelle preziose settimane
non molti hanno l’occasione di fare esperienze diverse
da quelle familiari, magari usando l’inglese oltre le
solite mura della classe. La grande possibilità ci è
stata fornita proprio dalla nostra scuola, che ormai
da tempo organizza soggiorni-studio: la meta scelta
quest’anno era la lontana e misteriosa Scozia.
Il richiamo di un posto simile ha attratto una ventina
di ragazzi da molti posti diversi, da Camerino a
Matelica, da Castelraimondo a Visso, da Fiuminata a
Tolentino: tutti uniti dalla passione per il viaggiare e lo
stare insieme. Non tutti avevamo le stesse possibilità
per intraprendere il viaggio, ma i nostri genitori
hanno reso possibile quest’esperienza, sapendo che
si sarebbe trattato di un investimento per il futuro e
di un modo per farci aprire alla vita. In una riunione
svoltasi qualche giorno prima della partenza, i Prof.
accompagnatori Pio Germondani e Gemma Cappa
hanno chiarito l’organizzazione del viaggio e dei
nostri alloggi presso le famiglie locali nella capitale
Edimburgo.
Alle prime luci di Domenica 12 Luglio, dopo
un’estenuante attesa, abbiamo caricato i pesanti
bagagli sul bus per Roma Ciampino ed è iniziata
l’avventura. Per qualcuno era il primo volo, ma le
paure iniziali hanno lasciato presto spazio allo stupore
nel vedere grandi città, mari e picchi massicci scorrere
piccoli e lontani tra le nuvole vaporose. Dopo circa tre
ore di viaggio siamo scesi sotto le nuvole e abbiamo
avvistato la città, affacciata sul grigio mare del Nord.
All’ Edinburgh Airport siamo stati accolti da una tipica
pioviggine fredda e siamo stati subito accompagnati
nelle rispettive famiglie portando loro dall’Italia un
piccolo present mangereccio, dono estremamente
gradito da un popolo con fama di scontrosità e
tirchieria ma dimostratosi accogliente e vivace,
disponibile ad aiutarci nei nostri primi passi incerti
attraverso una terra che da straniera ci è subito
diventata familiare. Spesso ci siamo ritrovati a parlare
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
15
V i a g g i
con loro di sport e attualità come se fossero stati
persone che conoscevamo da una vita. Per ringraziarli,
alcuni di noi hanno voluto cucinare loro un bel piatto
tipo italiano per cena, come una semplice ma gustosa
pasta alla carbonara. Del resto il cibo in Scozia non ha
nulla a che vedere con i nostri standard mediterranei!
Anche alla Scuola d’inglese Mackenzie l’accoglienza
era parola d’ordine: il team di insegnanti si è
presentato con simpatia, sfatando tutti i principali
miti e pregiudizi sulla Scozia e gli scozzesi, e ci ha
sottoposto a un test per assegnarci alle diverse classi,
dove abbiamo conosciuto
gli altri ragazzi provenienti
da tutto il mondo (Veneto
incluso), stringendo
amicizia con persone
davvero simpatiche
e originali: ballerine,
musicisti, idealisti,
burloni, aspiranti fisici o
ingegneri.
L’altra metà della giornata
era dedicata alla visita
di Edimburgo e delle sue
attrazioni (davanti a cui
era facile trovare almeno
un bagpiper, il suonatore
di cornamusa in costume
tipico) come il celeberrimo Castello (ospitante il tesoro
dell’antica Corona Scozzese nonché le principali
manifestazioni cittadine), la preziosa National Gallery,
l’immenso e moderno National Museum (vero specchio
della storia e dell’eccellenza scozzese), l’ex yacht reale
Britannia e il Monumento allo scrittore Walter Scott.
Nei dintorni abbiamo visto: South Queensferry, dove il
ponte ferroviario più antico d’Europa scavalca il golfo
del Forth; il vicino Palazzo di Linlithgow, suggestive
rovine della monarchia Scozzese; la Cappella di
Rosslyn, chiesetta misteriosa (comparsa nel film
“Il Codice Da Vinci”) immersa nella sempreverde
campagna a sud della città.
Nei due fine settimana,infine, ci siamo spostati
a nord. Lande desolate, pascoli e greggi a perdita
d’occhio, mucche pelose, brulle montagne smussate
dai ghiacciai scomparsi e selvagge foreste tra fiumi
e paludi: le Highlands! Dopo aver visitato la Famous
Grouse, nota distilleria di whisky nella campagna di
Perth, abbiamo sostato a Killiekrankie, una stretta
forra dove i Giacobiti ribelli sconfissero i soldati
inglesi, quindi a Culloden, il luogo della battaglia
campale tra l’esercito del re e i ribelli che decise la
sottomissione definitiva della Scozia alla corona
inglese e la decadenza di un’intera nazione. Dopo una
notte all’ostello della gioventù di Aviemore, abbiamo
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visitato il Castello di Uruqart sulle rive del celeberrimo
Loch Ness e la graziosa cittadina portuale di Fort
Augustus. Abbiamo poi sostato alle pendici del Ben
Nevis, presso Glencoe, per completare il tour storico:
lì infatti avvenne un terribile massacro di civili ad
opera degli inglesi. Il contrasto tra la tragedia storica
e la bellezza selvaggia ci ha preparati al transito, sulla
via del ritorno, di Rannoch Moor, apparso nell’ultima
scena di 007 Skyfall. Il penultimo giorno abbiamo
infine visitato Perth, città più piccola e vivace di
Edimburgo, e il vicino Palazzo di Scone, dove si
trovava la “pietra del destino” su cui si incoronavano
i sovrani di Scozia, circondato da un meraviglioso
giardino con tanto di animali e labirinti di siepi.
Sballottamenti a parte, abbiamo avuto anche occasioni
di svago in libertà: la sera spesso ci si ritrovava a
scuola per usufruire di giochi da tavolo o di qualche
strumento per suonare e cantare insieme. Alcuni
pomeriggi erano invece alternativi: un improvvisato
torneo di calcetto, la visita alla casa degli orrori
(Edinburgh Dungeon) e anche un’escursione sulla
panoramica collina sovrastante la capitale, Arthur’s
Seat. Il top del divertimento è stato però (oltre alla
serata discoteca nell’Oratorio finita a mezzanotte,
ovviamente) la serata del tipico ballo tradizionale di
gruppo, il Ceilidh.
L’ultimo giorno è stato un arrembaggio generale
ai negozi per comprare gli ultimi vestiti e souvenir
prima dei saluti alla scuola, alla famiglia e agli amici
incontrati lassù, scambiandoci i recapiti per cercare
di mantenere quei fragili ponti. L’aereo è partito con
il sole nascente a illuminare la pista, mentre molti di
noi cadevano addormentati tra le note silenziose delle
proprie cuffiette.
Molti sono i ricordi bellissimi che conserviamo di
quell’esperienza lassù e che speriamo di mantenere
per sempre vivi nella nostra memoria. Eppure di quelle
due settimane, passate in modo spaventosamente
veloce, il ricordo più vivo e commovente è stato
la partenza del gruppo spagnolo, pieno di gente
letteralmente vitale. Non manchiamo forse noi italiani
di quell’ispanica vitalità e apertura mentale e di quella
scozzese fierezza culturale?
Per questo dovrebbero esistere i viaggi-studio: per
aprire le menti nella propria realtà ed essere capaci di
guardare le cose da un altro punto di vista, magari più
oggettivo. Detto questo, speriamo di poter partecipare
a un’altra avventura di questo genere, perché di
crescere e di imparare, lo abbiamo capito, non si
finisce proprio mai.
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
Tatiana Sisini
Matteo Sabbatini
c r o n a c h e
s c o l a s t i c h e
INTERVISTA A FABRIZIO SANTONI
Fabrizio Santoni è un ragazzo di 26 anni, che, come
molti altri, gioca a calcio. La sua esperienza, però, non
si è limitata a una partita nel campetto sotto casa, ma
è stata lunga ed articolata, completa di infortuni e...
scelte. Non saremo noi a raccontarvela: ci ha concesso
un’intervista e ce ne parlerà lui stesso.
D: Quando hai iniziato a giocare a calcio e perchè?R:
Ho iniziato a sei anni, perchè giocare mi divertiva!
Il calcio era, ed è tutt’ora, una valvola di sfogo. Non
ero spinto da una passione per lo sport, volevo solo
scaricare la tensione.
D: Fino a che serie sei arrivato?
R: Ho giocato con i settori giovanili di serie A e poi in
serie C2 lega pro.
D: Perchè hai smesso di giocare a calcio a livello
professionale?
R: Mi sono rotto due volte il ginocchio (sono stato
un po’ sfortunato...). Ormai gioco solo a livello
dilettantistico, per divertirmi.
D: Ti sei pentito di aver abbandonato il calcio a livello
professionale?
R: Niente affatto, perchè finchè ho giocato mi sono
divertito ed è stata un’esperienza bellissima, che mi ha
aiutato a maturare: le partite giocate fuori dall’Italia,
soprattutto, hanno dato una bella spinta al mio senso
di responsabilità. Il calcio, per me, è un divertimento
e io mi sono divertito, quindi posso dire di aver
raggiunto il mio obbiettivo.
D: Hai qualche rimpianto?
R: No, al contrario, rifarei tutto da capo, perchè è
stata un’esperienza che mi è servita moltissimo per la
vita; ho vissuto da solo fin dai 15 anni ed è stato molto
formativo.
D: Hai mai giocato con persone importanti?
R: Sì, con un ragazzo che gioca nel Milan (Giacomo
Bonaventura), due che giocano nel Cagliari e uno che
al momento gioca nel Como.
Chissà se Fabrizio è invidioso di questi compagni di
squadra, divenuti calciatori pagati profumatamente?
O se per lui rimarranno sempre i ragazzi normalissimi,
con i quali ha riso, scherzato e giocato. Certo, quando
legge di loro nei giornali, li penserà mentre girano su
macchine costosissime e si rilassano nelle loro ville
da sogno, ma se, come ha detto, non ha rimpianti,
forse non prova neanche invidia. Ha preso una
strada diversa ma non necessariamente peggiore.
Sicuramente ha cose che loro non hanno e tutti i mezzi
per essere felice. La vita è un’assassina di certezze.
Il nostro futuro può essere “rovinato” da un banale
incidente. L’importante è non smettere di giocare.
IL DITO MEDIO DI GALILEO
Il 3 dicembre scorso noi alunni del 3° Classico e 4A
e 4B Scientifico siamo sbarcati a Firenze, la città
considerata capitale della cultura italiana. Appena
scesi dall’autobus, non ci siamo fatti mancare una
visita a S.Croce, celebre per i suoi sepolcri (cantati da
Foscolo) che ospitano poeti, artisti e scienziati italiani,
tra cui Galileo Galilei, pisano di nascita ma molto
legato al capoluogo toscano. Ma Galilei non è sempre
stato sepolto lì: infatti aveva guai con la Chiesa per
aver sostenuto la teoria Copernicana con i suoi studi.
Fu costretto dalla Santa Inquisizione a rinnegare le
sue convinzioni, ad abiurare, rinunciando al lavoro di
una vita dedicata alla Scienza. Solo secoli dopo la sua
morte il “processo Galileo” fu riaperto e chiuso con
l’assoluzione totale, segnando l’inizio dell’apertura
della Chiesa al progresso scientifico. Usciti da S.Croce,
ci siamo diretti in Piazza della Signoria e siamo entrati
nella celeberrima Galleria degli Uffizi: non sembrava
vero quasi sfiorare le
opere di Leonardo,
Michelangelo,
Botticelli, Tiziano
e molti altri che ci
hanno resi celebri
nel mondo con i loro
capolavori. Girato
l’angolo siamo poi
entrati nel Museo
della Scienza, nato per raccogliere le testimonianze
dello sviluppo della conoscenza: sfere armillari,
astrolabi, macchine elettriche, telescopi, microscopi
e orologi risalenti alla Signoria dei Medici. Il pezzo
forte non sono stati gli esperimenti, ma la stanza
dedicata a Galileo come astronomo, ottico e ingegnere.
Contenuta in una teca si trova una particolare “reliquia
laica”: il dito medio di Galileo. Il macabro dito diventò
presto un simbolo eroico della ricerca instancabile,
oltre che del martirio in nome della ragione. Subito
alcuni hanno pensato alla canzone di Caparezza che
parafrasava: “Se la Chiesa ti ha messo all’Indice/beh
che male c’è, tu la metti al medio”, sottolineando il
carattere anti-dogmatico del pensiero galileiano (che
ricordiamo però, non era estraneo alla Fede). All’uscita
abbiamo goduto dell’atmosfera già festosamente
natalizia delle vie tra Ponte Vecchio e il Duomo
illuminato, dalla Cupola del Brunelleschi allo slanciato
Campanile di Giotto. La giornata era finita, eravamo
tutti stanchi ma forse più contenti, più curiosi, più
vivi.
Matteo Sabbatini
Sandra Caballina
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
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i n d o v i n e l l i
1. Ci sono cinque case
2. L’inglese vive nella casa rossa
3. Lo spagnolo ha un cane
4. L’uomo che vive nella casa verde beve caffè
5. L’ucraino beve tè
6. La casa verde è immediatamente a sinistra di quella
bianca
7. L’uomo che fuma le Old Gold alleva lumache
8. L’uomo che vive nella casa gialla fuma le Kool
1. L’uomo che vive nella casa di mezzo beve latte
2. Il Norvegese vive nella prima casa
11. L’uomo che fuma le Chesterfield abita accanto
all’uomo che alleva la volpe
12. L’uomo che fuma le Kool abita accanto all’uomo
che alleva il cavallo
13. L’uomo che fuma le Lucky Strike beve succo
d’arancia
14. Il giapponese fuma le Parliament
3. Il norvegese vive accanto alla casa blu
Chi beve acqua? Che cosa beve il Giapponese? Chi
alleva la zebra?
(precisamente nell’ordine in cui noi li abbiamo usati
per risolverlo) per far sì che chiunque abbia accesso,
non troppo difficilmente, alle informazioni necessarie
a rispondere alle tre domande (una delle quali abbiamo
aggiunta noi per facilitarci l’impresa).
I quindici indizi sono come le tredici carte che
ci vengono distribuite all’inizio di una partita di
scala quaranta. Se noi non le mettiamo in ordine,
avvicinando i possibili tris, scale, ecc. è possibile
che scartiamo una carta di cui in realtà avevamo
bisogno, così come potremmo leggere e rileggere gli
indizi nell’ordine in cui ci vengono forniti in vano,
anzi, venendo confusi sempre di più dalla quantità di
informazioni apparentemente inutili e sconclusionate
che ci vengono fornite, fino a voltare pagina frustrati.
Perciò vi invitiamo, dopo aver tentato di risolvere
l’indovinello nella sua versione “ufficiale” (impresa
comunque non impossibile) a dedicarvi alla nostra
versione, armati dell’antica e nobile arte di “andare
per esclusione” che tanto spesso aiuta noi studenti
durante i compiti in classe, e ricordandovi di inserire
nella tabella tutte le informazioni che possedete,
rileggendo gli indizi più volte per essere sicuri di
averle raccolte tutte. Siamo fiduciosi che voi non
apparteniate alla schiera di coloro che liquidano
l’indovinello sostenendo che, siccome né l’acqua né la
zebra sono nominate negli indizi, nessuno beve l’una
né alleva l’altra o che nel testo non viene specificato
se le case vanno disposte da sinistra verso destra o
viceversa. Essi, nonostante abbiano in qualche modo
ragione, si comportano come Alessandro Magno
quando recise con la spada il nodo che nessuno riusciva
a sciogliere: distruggere un enigma, negandone
l’esistenza, non significa risolverlo. Anche per questo
abbiamo aggiunto la domanda “che cosa beve il
giapponese?”: pur lasciando bianche le caselle della
zebra e dell’acqua, coloro che si ritengono “superiori”
all’indovinello dovranno comunque lavorare di logica
per rispondere.
Troverete la nostra versione dell’indovinello alla
pagina seguente e la soluzione nel prossimo numero.
Questa è la traduzione dall’inglese (tra parentesi
mia) della prima delle molteplici versioni di questo
indovinello – attribuito comunemente ad Albert
Einstein – apparsa sulla rivista “Life International” il
17 Dicembre 1962.
Il fatto che alcune delle marche di sigarette citate
non esistessero al tempo in cui Einstein era ragazzo,
cioè quando, secondo la leggenda, avrebbe inventato
questo indovinello, né, tanto meno, quando Lewis
Carroll (a cui altri lo attribuiscono) era vivo,
contribuisce a rendere l’origine stessa dell’enigma un
enigma, di cui però non ci cureremo.
Sebbene sia una leggenda a trasformare quello
che noi chiameremo semplicemente “L’indovinello
della Zebra” ne “L’indovinello di Einstein”, non è
questo il mito che vogliamo sfatare, bensì quello
secondo cui solo il 2% della popolazione mondiale
è in grado di risolverlo. Riteniamo infatti che sia
sufficiente presentare gli indizi in un ordine diverso
1
2
3
4
Nazionalità
Colore
Animale
Bevanda
Sigarette
18
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
5
c i t a z i o n i
1. Ci sono cinque case
2. L’uomo che vive nella casa di mezzo beve latte
3. Il Norvegese vive nella prima casa
4. Il norvegese vive accanto alla casa blu
5. La casa verde è immediatamente a sinistra di quella
bianca
6. L’uomo che vive nella casa verde beve caffè
7. L’inglese vive nella casa rossa
8. L’uomo che vive nella casa gialla fuma le Kool
9. L’uomo che fuma le Kool abita accanto all’uomo che
alleva il cavallo
10. L’ucraino beve the
11. L’uomo che fuma le Lucky Strike beve succo
d’arancia
Chi beve acqua? (Usate gli indizi 10 ed 11 per
rispondere)
12. Il Giapponese fuma le Parliament
Che cosa beve il Giapponese? (Usate gli indizi 10, 11,
e 12 per rispondere)
13. Lo spagnolo ha un cane
14. L’uomo che fuma le Old Gold alleva lumache
15. L’uomo che fuma le Chesterfield abita accanto
all’uomo che alleva la volpe
Chi alleva la zebra?
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16
19
p o e s i e
IL MARE
Il mare vortica,
sulle spire della storia:
calmo dei mostri leggendari
che tornano a popolarlo la notte
Quando danza come un cielo capovolto
al loro millenario respiro.
BARBIE
La bambola perfetta
Bellissima
Scruta il mondo con celesti occhi vitrei
Ha vent’anni,
e ancora non si veste da sola.
PRIGIONIERO
SCRIVENDO
La penna scivola
Sanguinando su un foglio
Veloce come il pensiero
Correndo su indelebili ferite.
Da dietro questa rete
Il cielo è sminuzzato
In mille piccoli rombi
Ognuno con dentro una stella
O un piccolo pezzo di luna.
Come mille granelli di sabbia,
ma immuni al soffio del vento.
LA STAZIONE
La stazione puzzava di piscio,
misto al profumo dei fiori di oleandro
ed il sapore della gente
che passava di rado:
quasi che avesse paura
che il buio del sottopassaggio
potesse farle del male.
Il treno passava di rado,
annunciato da una voce cordiale:
e si fermava,
e ripartiva,
come una lepre
che nessuno voleva prendere.
20
CIELI DI FINE ESTATE
Sono apparsi come sempre
i cieli di fine estate,
azzurri campi arsi dal sole
macchiati di nubi perlacee,
solcati da assetati fiumi
di rami frondosi.
Presto da lì cadranno le foglie screziate.
Mentre in una melodia ancestrale
Pioggia, vento e neve si alterneranno
In una danza eterea ed ipnotica,
il gelo calerà sui cuori di molti,
ma non tutti
cadranno.
Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16