Numero 1 - Licei Camerino
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Numero 1 - Licei Camerino
e d i t o r i a l e Ancora in viaggio. Con il taccuino in mano, con la matita per gli appunti. Si riparte! Come si sa: ci vuole costanza! La domanda cade però sulla questione: chi guida? È un gioco d’azzardo? È un puzzle da costruire, sono pezzi da ricomporre o da inventare? Non siamo dei rinunciatari, ma siamo dei resilienti, siamo dei “cavalieri erranti”… Vogliamo iniziare da una lezione di vita spiegata da un uomo che prima di morire invita a non arrendersi, a realizzare i propri sogni, cominciando a scrivere e a comunicare ciò che pensiamo e ciò che amiamo, per esorcizzare le nostre paure e i tormenti che ci tarpano le ali, per combattere così ogni “complesso del bozzolo” che impedisce alla crisalide di librarsi. Il brillante professore americano di informatica, Randy Pausch, deceduto di cancro nel 2007, scrive un inno alla vita ai suoi studenti, dove sottolinea come la fortuna sia soltanto: “quel momento in cui la preparazione incontra l’opportunità”. Decidiamo dunque che il perno attorno cui gestire la nostra prima uscita di quest’anno è uno dei suoi più famosi aforismi, il seguente: “Non possiamo cambiare le carte che ci vengono distribuite, solo il modo in cui giochiamo la mano”. Possiamo navigare, possiamo andare e tornare… Giocano le parole, gioca la scrittura insieme alla lettura, in un boom salutare in cui approdare, in cui sostare… verso un buon anno a tutti… Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 1 i n d i c e 1 EDITORIALE ANGOLO DEL DOC 4 a caccia di fantasmi INCHIESTA 5 expo: curiosità... e un po’ di numeri 6 7 8 9 ATTUALITÀ bullismo fuga di cervelli gioco d’azzardo misericordia alla prova 10-11 FUMETTI 2 Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 i n d i c e RECENSIONI 12 libri 13 film 14 serie tv VIAGGI 15-16 scozia CRONACHE SCOLASTICHE 17 intervista fabrizio 17 firenze 18 INDOVINELLI 19 CITAZIONI 20 POESIE Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 3 A n g o l o d e l D o c A CACCIA DI FANTASMI Spaghetti cosmici, capelli invisibili, spettri pappamolle: curiosi ingredienti di un Universo tutto da scoprire Un Autunno bello come pochi, e non solo meteorologicamente, quello trascorso: per la comunità scientifica è stata stagione di importanti scoperte, proprio a cento anni dalla pubblicazione della Teoria della Relatività Generale, il cardine della Fisica moderna, da parte di un oscuro impiegato dell’ufficio brevetti di Vienna di nome Albert Einstein. La sua Teoria sull’Universo, da allora solo lievemente corretta, ha rivoluzionato il modo di vedere la realtà e soprattutto il tempo: relativo e legato allo spazio in un unico “tessuto elastico” incurvato dalla Gravità, una forza determinata dalla massa, la quale, a sua volta, viene messa in relazione alla velocità della luce c, fissata a circa 300000 km/s. È la celeberrima equazione E=mc2, secondo cui la massa non è che una forma di energia. Le applicazioni pratiche delle intuizioni (e dei dieci anni di complessi calcoli) del geniale scienziato, sono innumerevoli: una tra tutte, i satelliti GPS. Il tempo, in orbita, è meno influenzato dalla gravità terrestre e quindi scorre più velocemente: perciò i GPS sbaglierebbero la nostra posizione di molti chilometri se non ci fossero le correzioni relativistiche. Tuttavia, resta ancora da conciliare la Teoria della Relatività con l’incompatibile Teoria Quantistica, che spiega invece l’infinitamente piccolo basandosi sul cosiddetto principio di Indeterminazione di Heisenberg, introducendo la probabilità nella Fisica: un accordo tra le due teorie permetterebbe di usare la Gravità per spiegare l’origine dell’Universo (la teoria del Big Bang) e i buchi neri (stelle supergiganti collassate, alla cui attrazione nemmeno la luce può sfuggire). Per questo tutti i fisici sono impegnati a trovare un buon ibrido, una “Teoria del Tutto” che riesca ad avere una comprensione globale del nostro Universo, e lo studio dei buchi neri sembra esserne la chiave. I buchi neri sono invisibili, ma il loro effetto sullo spazio circostante tradisce la loro presenza; così, considerando le sorgenti più forti di raggi X nel cosmo, gli astronomi ne hanno trovati molti al centro delle galassie, compresa la nostra. Nell’ottobre scorso, il radiotelescopio spaziale Chandra, osservando 4 squarci di oltre 600000 anni-luce attraverso un gruppo di galassie nella costellazione della Giraffa (eh sì, esiste!), è risalita al buco nero più grande mai trovato: 10 miliardi di masse solari, in chilogrammi un 2 seguito da 40 zeri. Difficile anche solo da immaginare. Paradossalmente, attraversare il punto del non ritorno (detto orizzonte degli eventi) di una tale bestia sarebbe comunque meno pericoloso che avvicinarsi a un buco nero piccolissimo, le cui forze di marea sono assai più distruttive: anche a migliaia di chilometri dalla singolarità (il centro) del mini buco nero, qualunque cosa verrebbe infatti spaghettificata, ovvero disintegrata in fasci sottili di materia, prima di cadere oltre l’orizzonte. Ma il cosmo sembra essere pieno di strutture filiformi, ben più e misteriose, composte di materia oscura. In molti laboratori (tra cui quello sotto al Gran Sasso, guidato dall’italiana Elena Aprile) si sta disperatamente cercando di catturare questa cosa indefinita che sembra comporre il 23% dell’Universo (contro il 72% di energia oscura, ancora più sconosciuta, e un esiguo 5% di materia “normale”), che si ipotizza essere stata la causa della formazione delle galassie. Anche se è tanta e si cerca di filtrare il più possibile le particelle vaganti nel cosmo, pare che sia una materia “pappamolle” (in inglese WIMP, acronimo per “particelle a bassa interazione”), con scarsissimo effetto visibile. Dei veri fantasmi! Ma ad aiutare i moderni ghostbusters potrebbe essere un modello matematico “capellone”, elaborato dal Prof. Prèzeau, del JPL della NASA, in cui tale materia tende a formare dei lunghi fili più densi, come dei capelli, intorno ai corpi compatti come la Terra: basterebbe in teoria cercare alle radici, a metà strada tra noi e la Luna. Potrebbero esserci risvolti interessanti per le nuove tecnologie e per la risoluzione dei problemi energetici mondiali, ma chissà perché le risorse degli stati per l’istruzione e la ricerca se ne vanno sempre più in attività speculative e in armamenti… Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 Matteo Sabbatini E X P O CURIOSITÀ... E UN PO’ DI NUMERI L’esposizione universale è terminata, dopo sei mesi in cui si è respirato il fascino del mondo riunito a Milano, che ci ha dato la possibilità di aprire le nostre porte alle diverse culture, all’amore e alla salvaguardia del nostro pianeta, nonostante i diversi incidenti di percorso. Secondo un’indagine Coldiretti, l’Expo è stato giudicato un successo dal 74% degli italiani, mentre solo il 7% lo ha ritenuto un insuccesso. Tra le curiosità, durante questa edizione sono stati stabiliti diversi record tra i quali la pizza più lunga del mondo (un chilometro e mezzo) o il risotto da duemila porzioni, per finire col panino più grande del mondo, creato con centocinquanta chili di pane e cento di affettato doc. Lo smantellamento dei mastodontici padiglioni è iniziato il 2 novembre, ma solo per sei su cinquantaquattro è prevista la demolizione: per il resto delle strutture è in programma la vendita all’asta o il ritorno nei paesi di origine per diventare musei o centri di ricerca; oppure, secondo le normative dell’Expo, i materiali componenti verranno riciclati. Palazzo Italia, il Padiglione Zero e l’Albero della Vita rimarranno a Milano. Per scoprire se l’opinione di noi ragazzi sull’evento corrisponde ai risultati dei sondaggi nazionali, è stato sottoposto qualche quesito alle classi terze, che hanno avuto l’occasione di visitare l’Expo i giorni 28 e 29 ottobre. Complessivamente Expo è piaciuto: solo una persona su sessantaquattro ha affermato il contrario. Inoltre nella nostra scuola l’88% delle persone è rimasto soddisfatto da quello che ha visto: percentuale identica alle medie nazionali. Tra le cose che hanno più colpito vediamo al primo posto l’architettura, seguita dal cibo e dall’albero della vita. Qualche coraggioso ha risposto che a colpirlo è stata la fila ai padiglioni: sicuramente una cosa che rimane impressa, ma poco apprezzabile a livello pratico. La maggior parte ha infatti inserito la coda, insieme ai prezzi troppo elevati, tra le cose negative. Quelli della Coldiretti si sono divertiti a stimare una media di tempo per persona: 2 ore e 45 minuti trascorsi in fila ad aspettare. Riguardo i padiglioni, le classifiche che abbiamo confrontato sono quella di gradimento dei visitatori italiani, quella di noi ragazzi e infine quella ufficiale del BIE (Bureau International des Expositions), che durante gli ultimi giorni dell’esposizione ha eseguito l’assegnazione dei premi. Questo ente è sicuramente più specializzato di noi nel valutare l’originalità e l’inerenza al tema dei vari padiglioni: le categorie sono cluster (padiglioni collettivi dedicati a più paesi), self-built sopra i 2mila metri quadrati e self-built sotto i duemila metri quadrati. Gli aspetti valutati per le premiazioni sono l’exibition design, lo sviluppo del tema e l’architettura: in totale sono stati consegnati 24 premi, tra cui uno destinato alla Santa Sede (appartenente alla categoria dei padiglioni sotto i 2mila metri quadrati). Resta a bocca asciutta uno dei padiglioni più favoriti, quello degli Emirati Arabi, che a Dubai ospiteranno la prossima esposizione universale nel 2020. Le classifiche ufficiali sono abbastanza diverse da quella fatta dai visitatori italiani e da noi ragazzi: la prima vede al primo posto il Giappone, seguito da Cina e Kazakistan. Invece la nostra classifica vede sul podio il Quatar, al secondo posto, a pari merito, Kuwait, Germania e Kazakistan, e il Giappone all’ultimo gradino. Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 Elena Janata 5 a t t u a l i t à BULLISMO: L’IGNORANZA DI CREDERSI FORTI Siamo. Siamo più di quello che diamo a vedere. Siamo più di un paio di scarpe, di una tinta sbagliata, più un paio di occhiali, di un apparecchio ai denti, più di quello che tutti, a primo sguardo, vedono. Dentro di noi si nasconde un mondo di idee, passioni, opinioni: la nostra vera essenza, il nostro vero io. Spesso non ci viene dato modo di esprimerlo, perché qualcuno decide che il suo essere è più importante del nostro, o che il nostro non vale abbastanza e cerca di oscurarlo, distruggerlo, sminuirlo, perché non ci adattiamo agli standard, o perché, al contrario, ne dipendiamo troppo e questo ci si ritorce contro. Il bullismo va ad intaccare la nostra libertà. Quella che una volta era la parte più colorata del nostro io, dopo essere stata attaccata, criticata senza pietà e sminuita va a ristringersi, non si azzarda più a uscire dai confini della nostra mente, ci rende reticenti e si trasforma da ponti a mura. Mura alte e pericolose, perché non c’è niente di peggio che odiare, a causa di qualcun altro, qualcosa che un tempo si amava. Quello che ci trae in inganno, in un epoca in cui il bullismo può essere perpetrato da tutti in qualsiasi modo - sia dal singolo che dal gruppo, sia dal vivo che su web, sia in modo fisico che psicologico - è l’immagine stereotipata del bulletto grande e grosso che se la prende con il tipetto basso e magrolino, picchiandolo perché non gli ha dato i soldi del pranzo. Essere vittima di bullismo significa vedere la propria immagine screditata, essere derisi o attaccati per la sola colpa di fare ciò che ci piace. Il bullo potrebbe essere l’amico che non perde occasione di farsi una risata, non contraccambiata, a discapito della vittima, dimenticando che lo scherzo è tale quando entrambe le parti coinvolte sono divertite. Se una ne soffre allora non è scherzo. È violenza. Il bullo può essere il profilo Facebook, o meglio, i tanti profili Facebook che espongono alla cosiddetta “gogna mediatica”, che attaccano per un piccolo errore commesso, una foto pubblicata, che deridono per via dell’aspetto. Non si rendono conto che stanno bullizzando qualcuno, che le parole fanno molto male. Il bullismo spesso porta all’autolesionismo, allo sviluppo di malattie mentali quali la depressione o a disturbi alimentari e, nei casi più estremi, al suicidio. Ma il bullismo può essere prevenuto, o se è troppo tardi, addirittura curato. Come? Dimostrando che è possibile indossare quelle cicatrici con tutta la fierezza di un guerriero. Ne è testimone l’esperienza di Lizze Velasquez. Chi è? Secondo il web, la donna più brutta del mondo. Ma la rete non si è interessata di scavare più a fondo prima di giudicare: si è limitato a puntare il dito. Lizzie ha questo aspetto a causa di una malattia che 6 le impedisce la crescita. Alcuni le avevano consigliato di uccidersi, ma Lizzie non l’ha fatto. Perché si può sempre cambiare, trasformare le proprie debolezze in punti di forza; infatti Lizzie oggi ha girato un documentario sulla sua esperienza “A Brave Heart - The Lizzie Velasquez Story” ed è attiva nella lotta contro il bullismo. Tutto è risolvibile. Tutto può essere riscritto, reinventato. (Le carte vanno giocate, per forza. L’importante sta nel giocarle nel modo migliore.) Alzate la testa, denunciate chi vi fa del male, parlatene e siate abbastanza coraggiosi da chiedere aiuto se ne avete bisogno.* Siate fenici. Rinascete dalle vostre ceneri. * Sul web è nato un progetto chiamato “The quietplaceproject” dove le persone possono parlare, sfogarsi, chiedere aiuto in modo completamente anonimo e gratuito. Tre siti utili: http://thequietplaceproject.com/thedreamsroom/ comfortspot: dove puoi scrivere cosa ti preoccupa e i tuoi problemi in modo anonimo e ricevere aiuto istantaneo da altre persone nella tua situazione. http://thequietplaceproject.com/thedawnroom/ ?page=thedawnroom&lang: dove puoi ricevere incoraggiamento istantaneo e renderti conto che non sei da solo. http://thequietplaceproject.com/thethoughtsroom /?page=thethoughtsroom&lang: dove puoi scrivere tutti i pensieri che ti turbano, senza bisogno di creare account, e vederli smaterializzati in milioni stelle virtuali. Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 Sandra Caballina a t t u a l i t à FUGA DI CERVELLI L’Italia è sempre stata sinonimo di innovazione, di cultura e di scienza. Per secoli il nostro Paese è stato protagonista di numerosi successi e la reputazione del nostro caro stivale è stata sempre accresciuta da menti brillanti. Questa grande evoluzione non ha mai smesso di essere presente fino ad arrivare ai giorni nostri. Certo, le menti brillanti non mancano, manca solo un posto per loro. Si sentono spesso cittadini desiderosi di un governo un po’ più fresco dello “shish” di Matteo Renzi e sono sicura al cento per cento che il nostro paese ha, nascosta da qualche parte, la svolta per farci ripartire. C’è un solo problema: quella svolta si chiama gioventù del governo attuale. Infatti, nonostante esso stesso ritenga importanti le nuove promesse italiane, non crea il giusto numero di opportunità per permettere ai giovani di affermarsi e di conseguenza moltissimi si sentono tarpare le ali e sono così costretti ad emigrare per trovarsi un impiego. Persino attori e cantanti italiani raggiungono la fama all’estero! Basti pensare al cantate Pasquale Caprino, famoso in tutto il Kazakistan come Son Pascal, oppure a Christian Kang Bianchini, divo del cinema in Cina, diventato attore grazie alla sua bravura nelle arti marziali. Perciò, baldi giovani, non rinunciate ai vostri sogni ma, piuttosto che trovare lavori all’estero del tipo e si sta disperdendo davanti ai nostri occhi. Siamo tutti perfettamente consapevoli della disoccupazione che cresce sempre di più, ma sapete quanti giovani sono attualmente senza lavoro? Il 44,2%, esclusi quelli impegnati nello studio. Poco meno della metà di tutti noi. E’ un dato che fa paura ed è la paura uno dei fattori che ci spingono ad andarcene il prima possibile per trovare un futuro migliore. Eppure il nostro è un Paese che potrebbe offrire moltissime opportunità se fosse meglio amministrato: turismo, cultura, ricerca… Invece, secondo gli ultimi dati ISTAT, se ne vanno dall’Italia circa 89 mila cittadini ogni anno. Una migrazione così massiccia non è causata solo dalla paura, ma anche dalla sfiducia nei confronti “vado a lavare i piatti a Londra per dieci giorni e poi vedremo” citando gli iPantellas, investite in quello che c’è qui; se non trovate opportunità lavorative, createle voi. C’è bisogno di aria nuova e solo noi siamo in grado di portarla. Solo perché la situazione attuale di crisi non vuole proprio finire, non significa che dobbiate escludere immediatamente il luogo in cui siete cresciuti. Siamo la benzina dell’Italia, la materia prima del futuro. Non facciamo solo propaganda del nostro Paese all’estero, proviamo anche a fare bella figura all’interno del confine. Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 Sofia Carducci 7 a t t u a l i t à GIOCO D’AZZARDO Il gioco d’azzardo, nonostante abbia antiche origini, è ora entrato tra le nuove forme di “dipendenza senza droga”. La parola gioco d’azzardo deriva dall’arabo azzahr, cioè dado da gioco. La prima forma di gioco d’azzardo nacque quando la popolazione cinese, quella europea e quella mediorientale iniziarono a scommettere per soldi per divertimento. Le prime regole scritte di questo gioco si trovano nella letteratura indiana e nei geroglifici egizi, che furono i primi a scolpire i dadi a sei facce. Nel 500 a.C. in Cina oltre ai giochi da tavolo si svilupparono anche dei giochi più complessi grazie all’invenzione della carta. Il primo mazzo da gioco compare sempre in Cina nel X secolo e intorno all’anno mille con le Crociate si diffonde anche nel nostro continente. Nel periodo Rinascimentale si affermarono vari giochi con le carte, tra cui la Primiera, la Bassetta e il Poker. Questi giochi erano utilizzati però solamente dalle persone alfabetizzate, quindi di un alto ceto sociale. Influenzeranno comunque il gioco moderno: ad esempio il valore delle carte della Primiera si ritroverà in altri giochi di carte italiani arrivati fino a noi. Anche la Bassetta è un gioco d’azzardo italiano, che oggi definiremmo un gioco da casinò. Si è diffuso in tutta Europa, dove addirittura è ancora giocato, mentre in Italia non è più praticato dall’inizio del ‘900. Il poker si divide in poker d’azzardo e poker sportivo: il poker sportivo si gioca a mo’ di torneo. Principalmente ci sono due tipi di torneo: il sit & go (“siediti e vai”) viene utilizzato quando tutti i posti previsti sono occupati e il MTT, sigla di Multi Table Tournament (“tornei multitavolo”) quando i tornei partono ad un orario prestabilito. Questi tornei prevedono un numero minimo e un numero massimo di partecipanti e, per partecipare, bisogna pagare una quota d’iscrizione che è in parte ridistribuita nel montepremi e in parte (la rake) viene trattenuta da chi organizza il torneo. Vengono usati i casinò per i tornei dal vivo e le Poker Room per i tornei on-line. Il primo casinò aperto fu quello di Venezia, nel 1638, che è tuttora attivo. Nel gioco d’azzardo, la vincita dipende dalla sorte invece che dalla bravura del giocatore. La maggior parte delle persone che viene colpita dalla dipendenza dal gioco d’azzardo inizia per curiosità, per sfizio, credendo di riuscire a smettere quando vuole. Una volta puntato, però, a giocare non è più la persona ma l’illusione di vincere, che porta poi a perdere anche 8 grandi somme di denaro. Negli ultimi anni anche i ragazzi si sono lasciati influenzare dal gioco d’azzardo. I dati statistici del 2014 riportano infatti che in Italia il 40% circa dei ragazzi che frequentano le scuole superiori sono dipendenti dal gioco d’azzardo. Secondo uno studio approfondito sono più attratti i ragazzi delle ragazze: il 49% contro il 30%. Una delle problematiche più rilevanti della diffusione del gioco d’azzardo tra gli adolescenti è il continuo aumento delle slot machine all’interno di bar e di sali e tabacchi. Infatti gli adolescenti, non potendo entrare nei casinò, giocano nei bar dove ci sono le slot oppure online per puntare attraverso siti come in un casinò. Giocare di tanto in tanto una schedina del Toto Calcio o un Gratta e Vinci non è vietato, anzi, secondo alcuni studi, giocare favorisce la distensione e, quando lo si fa senza impegno, diverte. Tante volte con le schedine occasionali ci si dà una chance, regalandosi, se si è fortunati, un’emozione benefica. Ci sono anche altri modi di giocare, però, senza recare danno al portafogli, come i giochi di società. Ultimamente il Burraco è il gioco di società che va per la maggiore, sia tra gli adulti che tra i ragazzi. Si organizzano dei tornei informali in cui chi perde offre, per esempio, un gelato o una cena. Questi tornei oltre a essere un momento di svago sono anche un’occasione di incontro, di socializzazione con persone nuove. Giocare è positivo, ma bisogna considerarlo come un’opportunità senza effetti collaterali: per questo si può giocare con la sorte, ma con moderazione. Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 Agnese Santori Agnese Picotti a t t u a l i t à i tarocchi misericordia alla prova La figura della cartomante, la persona che si dedica all’interpretazione dei simboli e alla ricerca di un collegamento tra gli uomini e il loro futuro, permettendo loro di affrontare al meglio le sfide della vita, è sempre più comune oggigiorno. Dati statistici rivelano che alla fine del 2013, tredici milioni di italiani si erano rivolti almeno una volta ai tarocchi per cercare una soluzione ai loro problemi o una parola di conforto. Questo fenomeno è stato accentuato dalla crisi economica. Di solito il primo approccio avviene su internet: per curiosità si telefona al numero della pagina visitata e d’un tratto ci si ritrova a parlare dei propri problemi con una sconosciuta che, attraverso parole di conforto, amuleti e carte lette, ci solleva il morale e ci alleggerisce il portafoglio. La maggior parte delle cartomanti, in realtà, sono operatrici di call center incaricate di creare una sorta di dipendenza psicologica, trattenendo il cliente al telefono il più a lungo possibile e invogliandolo a comprare amuleti o a farsi leggere le carte per conoscere e migliorare il proprio futuro. In questo modo il cliente non solo compra gli amuleti, ma paga anche la telefonata, facendo arricchire non le operatrici, ma di certo gli impresari. Le persone truffate dalle “cartomanti” per la vergogna si sfogano con i “telefoni amici” (alimentando un circolo vizioso) o per l’umiliazione non lo rivelano a nessuno. La domanda che ci sorge spontanea è: “Quindi le cartomanti non esistono?” Sicuramente quelle “divine” no. Alcune tuttavia si servono di un metodo più “scientifico”, basandosi sulla statistica e sulla psicologia. Una brava cartomante è una persona che unisce lo studio del “cold reading” (la lettura a freddo, cioè la capacità di ottenere informazioni su una persona che non si conosce, in base al suo linguaggio corporeo) alla suggestione di un mazzo di tarocchi. Quindi, nonostante il trucco ci sia sempre, alcune di loro hanno comunque delle abilità che non è possibile non riconoscere. Agnese Santori È ora di pranzo: al telegiornale parlano delle vittime del giorno, inquadrando una madre che piange. Cambiamo canale perché non vogliamo mandarci il boccone di traverso. Tanto è sempre la stessa storia: discutiamo su quanto il mondo dei media sia sbagliato, morboso e interessato, ma soprattutto irrispettoso del nostro diritto a “starcene in santa pace”. Intanto la notizia ci è sfuggita: cosa sappiamo di quei conflitti che ogni giorno diffondono paura e sofferenza in zone quasi sotto casa nostra? Dalla fine della Guerra Fredda, la maggior parte dei conflitti è da considerarsi locale o a bassa densità: non schieramenti di eserciti ma guerriglia tra gruppi, che coinvolge un numero relativamente basso di territori e autorità, in guerra per motivi economici, etnico-religiosi e politici. Non bisogna pensare che per questo le conseguenze siano meno gravi: l’Onu ha infatti stimato 60 conflitti di questa entità in corso, con più di 7 milioni e mezzo di morti in vent’anni. Gli scontri armati avvengono per strada, coinvolgendo innocenti che non possono difendersi: l’unica speranza è quindi fuggire, lasciare la propria casa, le proprie certezze. Al momento 20 milioni di persone sono fuori del proprio paese: camminano, dormono dove si può, chiedono da mangiare. Questa grande folla di persone coraggiose sta bussando alle porte dell’Europa e dell’Italia, ma non si sa come accoglierli: sono in molti a temere che l’emigrazione possa aprire le porte al terrorismo, alla delinquenza e all’instabilità. Sembra che la nostra “avanzata” civiltà abbia imparato ad intendere “pace” solo come amore per la propria serenità, non come amore per il prossimo: l’egoismo e il pregiudizio, insiti nell’animo umano, sono difficili da sradicare, soprattutto in condizioni di benessere in cui sembra secondario imparare i valori di tolleranza e rispetto. Se tutti intendessero la “pace” come impegno per il bene comune, non ci sarebbero più quelle ingiustizie che offendono i diritti naturali dell’uomo e creano le premesse per lo scoppio di un conflitto. Bastò l’attentato a Sarajevo del ‘14 a scatenare il primo conflitto mondiale, ma solo perché da tempo il crescente attrito stava spezzando gli equilibri e fomentando gli animi. La responsabilità non era solo dei governanti, che per interessi personali non adempiono al compito supremo di garantire i diritti fondamentali dell’Uomo, ma di tutti. Oggi, che ci troviamo in una situazione analoga, dovremmo impegnarci a capire quanto la generosità, l’accoglienza, la misericordia siano i valori utili per un’ottica che garantisca le identità culturali ma sia anche aperta al dialogo e contro ogni razzismo. Elena Janata Matteo Sabbatini Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 9 f u m e t t i 10 Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 f u m e t t i Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 11 r e c e n s i o n i LIBRI QUESTE OSCURE MATERIE Rieccoci con un’opera grandiosa: la trilogia di successo internazionale “Queste Oscure Materie”. Se lo avete visto, non lasciatevi ingannare dal film “La Bussola d’Oro”: un adattamento alquanto mal riuscito del primo capitolo della saga. La pellicola, infatti, non riesce a catturare l’essenza di quest’opera: il nucleo, quasi filosofico, attorno al quale Philip Pullman costruisce una storia geniale, quella di due ragazzi preadolescenti: Will Parry, portatore della Lama Sottile (un coltello in grado di aprire “varchi” tra un mondo e l’altro) e Lyra, spregiudicata e appassionata bugiarda, capace di “leggere” l’Aletiometro (una bussola d’oro che consente di “misurare” la verità). Il suo è un mondo simile al nostro, ma dove ogni uomo ha con sé la manifestazione fisica della propria anima (il Daimon) e l’energia elettrica è sostituita da quella “ambarica”. Questo vibrante universo di fantasia è popolato da streghe ed orsi corazzati ed è dominato da una Chiesa potente ed oppressiva, che tenta di sopprimere le emozioni, il libero pensiero e la conoscenza. Ad essa si oppone Lord Asriel, (il padre di Lyra): un uomo ambizioso e risoluto che nella sua battaglia contro la Chiesa, non esita a dichiarare guerra all’Autorità stessa (Dio), per proteggere la conoscenza, la virtù e la libertà. Consiglio a tutti la lettura di questa trilogia, dato che si adatta a ogni livello di lettura: la storia è ottima dal punto di vista della trama, e, se si sanno cogliere i riferimenti e si approfondisce l’interpretazione, si possono trarre degli ottimi spunti di riflessione. Anche la simbologia è significativa: la Polvere, ad esempio, viene interpretata come una manifestazione del peccato da coloro che la considerano un male da estirpare, mentre altri danno la vita cercando di proteggerla, vedendola come il punto di svolta tra l’innocenza infantile e la presa di coscienza adolescenziale, fonte di ogni emozione. Infatti la Polvere, che di natura non si posa sui bambini, non si posa neanche sulle persone “recise” (cioè private del Daimon), che, di conseguenza, diventano “vuote dentro”, e obbediscono senza riflettere, e neanche sugli uomini “mangiati dagli spettri”, che si cibano di anime e perdono la loro umanità. LA MIA SECONDA VITA Dai ricordi di Christiane F. raccolti in questo romanzo, emerge il ritratto di una donna che, a 35 anni dall’esperienza di “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, pur avendo viaggiato molto tra Germania, Svizzera, U.S.A, Grecia e Olanda, non è mai stata molto distante dal mondo delle droghe e delle amicizie pericolose. Infatti, pur non facendo più uso di eroina, continua ad usare metadone, tranquillanti, droghe leggere e sostanze alcoliche. L’elemento essenziale di quest’autobiografia, che tocca il tema dell’amicizia incondizionata (simboleggiata da Anna Keel) e ci restituisce un’immagine drammatica del Parco della droga di Zurigo e dell’esperienza in carcere dell’autrice, è rappresentato dal forte legame con il figlio Philip. Nonostante Christiane abbia perso la potestà genitoriale, infatti, le è concesso di incontrarlo ogni settimana e di intrecciare con lui un rapporto molto solido e dolce, al contrario dei rapporti con il resto della sua famiglia, ormai del tutto assenti. Christiane è cresciuta, ha esaminato nuovi orizzonti, intrapreso viaggi e conosciuto nuova gente: è ora in grado di autogiudicarsi e capire che l’esistenza senza regole che ha vissuto e che la ha logorata non le apparteneva: l’eroina e la prostituzione non erano una sua scelta, ma il frutto dell’adolescenza ingiusta che le era capitato di vivere, a causa, anche, di suo padre, un uomo che invece di spingerla a ragionare, la scoraggiava, essendo egli stesso una figura da cui non trarre insegnamento. Assumersi le proprie colpe, tuttavia, non significa smettere di commettere nuovi errori: ma adesso Christiane ha trovato nel suo amore incondizionato per suo figlio lo stimolo per migliorarsi continuamente. Si allontana quindi dai luoghi della sua adolescenza (come la metropolitana e la stazione) e, all’età di 52 anni, affronta con coraggio le malattie, conseguenza di uno stile di vita che avrebbe potuto portarla anche ad una morte precoce. Tutto questo per un figlio che, paradossalmente, ancora ha fiducia in lei e non esita, assieme al resto del mondo e in particolare ai suoi fans, a darle una seconda chance. Luana Paladini Antonio Gassner 12 Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 r e c e n s i o n i FILM THE IMITATION GAME EX MACHINA Il film “The Imitation Game”, diretto da Morten Tyldum, ci restituisce con forza e vigore l’immagine di Alan Turing, interpretato da Benedict Cumberbatch, lo scienziato che, durante la seconda guerra mondiale, ebbe il merito, insieme a un gruppo di menti eccelse, di costruire un cervello elettronico in grado di decifrare i codici di Enigma, la macchina che i tedeschi utilizzavano per comunicare con i loro militari via radio, attraverso una serie di messaggi criptati. La macchina di Turing consentì agli Alleati di vincere la guerra e salvare più di 40 milioni di uomini e donne. Il film, però, non ci racconta solo la storia di come fu vinta la guerra, ma anche la vita di Alan attraverso una serie di flashback, che ci permettono di conoscere, in modo brusco, ma senza alcun disorientamento, le ansie del bambino che in un collegio maschile era vittima di bulli e maltrattamenti. L’unica cosa positiva che segnò la vita di Turing durante l’infanzia fu l’amore che provò per Christopher, l’unico amico che aveva, che poi morì di tubercolosi. Alan intorno ai 40 anni viene accusato di atti osceni e quindi costretto a prendere pillole per la castrazione chimica. Agli inizi del Novecento, in Inghilterra, l’omosessualità veniva considerata un reato e una malattia da curare: una realtà sgradevole che portò al suicidio di Turing all’età di 41 anni. Il film accenna anche ad altre forme di emarginazione, come quella femminile, attraverso la storia di Joan Clarke, ben interpretata da Keira Kinghtley, che all’inizio viene esclusa dagli studi perché donna, ma che poi, grazie ai suoi talenti di crittoanalista, aiuta Alan a risolvere l’Enigma. Altre interpretazioni magnifiche sono quelle del gruppo con cui Turing lavora: Hugh Alexander (Matthew Goode), John Cairncross (Allen Leech), Peter Hilton (Matthew Beard). Un film veramente commovente e pieno di storia: quel tipo di storia che non viene raccontata a scuola, ma che dovrebbe essere conosciuta in tutto il mondo. Un film da Oscar! Maisie Silvestri Ammetto che, prima di guardare “Ex Machina”, ero piuttosto scettico. Sapevo che il film mi avrebbe trasportato in una realtà non troppo lontana dalla nostra, dove la tecnologia – divenuta più avanzata di noi – ha preso il sopravvento: un’ambientazione tipica ormai delle opere di fantascienza. La pellicola, tuttavia, si distingue dalle altre storie di sciencefiction fin dall’inizio. Caleb, interpretato da Domhnall Gleeson, è un impiegato della Bluebook (inquietante fusione tra Bluetooth e Facebook): la multinazionale che controlla ogni accessorio tecnologico del pianeta. “Casualmente”, viene scelto per trascorre una rilassante settimana in vacanza in una villa di montagna, ma, al suo arrivo, viene incaricato di un compito chiave nella storia dell’umanità: deve testare la prima Intelligenza Artificiale, incarnata nel corpo di un’attraente donna, interpretata dall’attrice svedese Alicia Vikander. La storia è quella di un amore impossibile ed improbabile, di inganni, tradimenti e avidità di potere. La conclusione è inaspettata quanto spoglia e, proprio perché non tutte le domande trovano risposta, in noi sorgono dubbi riguardo al nostro mondo contemporaneo. Un finale che rimane impresso e scuote la nostra fiducia nell’umanità e in quello che l’uomo può creare. Che lascia molto a cui pensare, specialmente sull’importanza dell’etica, che spesso nella società di oggi viene a mancare. Il messaggio che ho colto è infatti che bisogna fare più attenzione a quello che è reale e tangibile e che è possibile amare fino in fondo, piuttosto che essere presi in ostaggio dalla tecnologia, da un artificio che soltanto noi possiamo creare, ma che sembra mangiarci vivi: freddo e lontano e allo stesso tempo così vicino che è impossibile guardarlo con distacco e comprenderne le insidie. Il film vede il debutto del regista Alex Garland, che riesce magnificamente a condensare gli avvenimenti di una sola settimana in un solo ambiente (la moderna villa in montagna). Il film stesso è davvero ben fatto: il regista fa scelte particolari sia nella sceneggiatura sia nelle inquadrature, che funzionano benissimo nel complesso dell’opera. Un film assolutamente da vedere. Alessio Grain Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 13 r e c e n s i o n i SERIE TV FAKING IT ANIME Tutti sogniamo una scuola varia, colorata, che ci permetta di essere ciò che siamo veramente senza discriminazioni o atti di bullismo. Seppur in una serie tv, “stranamente” questo sogno è diventato realtà, grazie all’emittente MTV, nei lontani Stati Uniti, più precisamente nei sobborghi di Austin, Texas. Proprio lì si trova la Hester High School dove diversità è sinonimo di popolarità e la popolarità è l’aspirazione di Karma e Amy, migliori amiche che vengono invitate ad una festa organizzata dall’elite della scuola che cambierà la loro vita. Infatti le due ragazze sono ignare del fatto che tutta la scuola pensa siano un coppia e che le eleggerà reginette della festa solo per spingerle a fare outing. Inizialmente Karma e Amy stanno al gioco e fingono di essere gay guadagnando così parecchia popolarità. Tutto cambia, però, quando Karma inizia una relazione clandestina con Liam, un ragazzo de “l’alta borghesia” scolastica e Amy incomincia ad interrogarsi sulla sua sessualità, cercando di capire cosa prova veramente per la sua migliore amica. Nella seconda stagione poi accadono una serie di problemi,in verità poco approfonditi, che metteranno molto a rischio la stessa amicizia tra le due protagoniste. Fin qui sembra una serie tv accattivante. Peccato che la realizzazione non le renda giustizia, infatti, nonostante un episodio duri appena venti minuti, riesce per poco tempo a far rimanere incollato allo schermo lo spettatore a causa dei troppi punti morti. Una trama che certamente non vale un Emmy e che sicuramente potrebbe essere sviluppata meglio e perché no, magari essere un’occasione per presentare in modo meno superficiale e stereotipata personaggi e situazioni attuali, tanto da diventare un emblema della comunità LGBT a favore della sensibilizzazione pubblica contro l’omofobia. Gli Anime sono una cosa bella! Scrivo quest’articolo nel tentativo di eliminare il preconcetto molto diffuso che gli Anime giapponesi siano semplici filmetti d’animazione, come le produzioni della Disney o di Barbie & Co, e che siano indirizzati solamente a un pubblico di bambini sotto i 14 anni. Ciò non è assolutamente vero, perché le tematiche sono precisamente riferite a un pubblico adolescente, principalmente tra i 14 e i 18 anni. Oltre a ciò nessun genitore cosciente farebbe vedere al proprio bambino anche solo un episodio di “Tokyo Ghoul”, un Anime che sta riscuotendo molto successo ultimamente, ma che presenta tratti violenti. Lo stesso discorso si applica per gli Anime scolastici, che vedono protagonisti ragazzi delle scuole superiori, trattando di dinamiche sociali o storie d’amore che un bambino di 10 anni non capirebbe a prescindere. Ora c’è da chiarire, oltre al fatto che gli Anime non sono della stessa tipologia dei cartoni per bambini, che non sono nemmeno rappresentati dalle solite 4-5 serie maggiormente conosciute in Italia: “Naruto”, “One Piece”, “Dragon Ball”, “Yu-gi-oh”, “Pokémon” e “Heidi” (Sorpresa!). Questi possono anche rappresentare una possibile introduzione al genere, ma per capire il motivo che porta alcuni ragazzi come me a difendere gli Anime strenuamente e a considerarli quasi uno stile di vita, dovreste vedere “Death Note”, per citarne uno conosciuto, ma anche “Fullmetal Alchemist Brotherhood” o “Steins;Gate”, per poi fare il confronto col film più avvincente che avete visto e tirare le vostre conclusioni su cosa vi sia piaciuto di più. Gli Anime e la cinematografia possono essere considerate entrambe un’arte, però se continuate a essere del parere che gli Anime siano semplici cartoni animati senza valore emotivo, e “Clannad - After Story” non vi ha fatto piangere, allora continuate a guardare le Barbie. Altrimenti mi complimento con voi, avete appena scoperto un mondo, parola d’intenditore, dato che ormai sono anni che vedo anime, ma ho solamente esplorato la punta di un immenso iceberg. Nessun appassionato dei film di Barbie è stato offeso intenzionalmente con quest’articolo. Antonio Gassner Sofia Carducci 14 Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 V i a g g i TUTTO IL BELLO CHE C’È La Redazione di questo giornale vuole commemorare la scomparsa della giornalista camerte M. Grazia Capulli, deceduta a 55 anni, volto del TG2 e professionista marchigiana apprezzata. La sua morte ha destato profondo cordoglio nel mondo dell’informazione. Nata a Macerata frequentò il nostro Liceo Classico e studiò alla scuola di giornalismo diretta da Gino Pallotta. Fino all’ultimo ha dato testimonianza di grande passione per il suo lavoro e amore per la vita, è stata esempio del buon giornalismo che cerca gli aspetti più propositivi e i valori profondi dell’esistenza. Ricordiamo però soprattutto l’ultimo suo lavoro per la rubrica “Tutto il bello che c’è”, una finestra sulle buone notizie, dove emerge il suo grande slancio e ottimismo nei confronti della realtà tutta. M. Grazia credeva nel bello della vita e ce lo ha fatto capire celando il suo male e cercando di portare dentro i telegiornali il magico mondo dell’arte di cui l’Italia è così ricca, anche attraverso il racconto delle storie della gente comune, per evidenziare la ricchezza umana che ci circonda e spesso vive nel silenzio e nell’ombra. La sua è stata come una potatura del lavoro di giornalista: ha tagliato le parti negative che appesantiscono, che imprigionano e tediano il lettore, per favorire una buona fioritura e per liberare il bello che c’è in noi. Come afferma Coelho in un suo romanzo, è importante osservare il prossimo per migliorarsi: spesso le persone tendono a mostrare il lato peggiore di sé, allora dobbiamo risvegliare le forze positive e la speranza presente nelle profondità di ogni uomo. In questa umanità un po’ “squadernata” il bisogno di armonia e di benessere è una necessità per tutti, anche se ci rifiutiamo di ammetterlo se non nel profondo del nostro essere. E’ necessario, dunque, cercare i fermenti giusti di bene: è necessario dar voce ai sentimenti più veri, ai colori più vari. Quante donne e uomini anche nei nostri tempi, seppure nel loro piccolo e nonostante le avversità, hanno dato il meglio di sé, hanno seminato speranza, hanno prodotto frutti preziosi! Ciò che è gratificante, profondo, valido può essere destato e sviluppato a discapito del pessimismo dilagante, contro chi semina discordia e paura,contro il chiasso e lo sfarzo dell’effimero. Un lavoro certosino? Un lavoro utopico? Un lavoro possibile, ricco di potenzialità e di futuro, inerente alla progettualità... Poniamoci anche noi la domanda venuta in mente sette anni fa a M. Grazia Capulli: Perché i nostri mezzi di informazione ci inondano di brutte notizie ? Creiamo un giornale delle notizie buone, un notiziario all’insegna del bello, che, come afferma l’antica cultura greca, è anche buono. Prof.ssa Mosciatti Simonetta SCOZIA Estate: la stagione della libertà, del viaggio e delle scoperte. Chi tra di noi, in fondo, non la rimpiange almeno un po’? Durante quelle preziose settimane non molti hanno l’occasione di fare esperienze diverse da quelle familiari, magari usando l’inglese oltre le solite mura della classe. La grande possibilità ci è stata fornita proprio dalla nostra scuola, che ormai da tempo organizza soggiorni-studio: la meta scelta quest’anno era la lontana e misteriosa Scozia. Il richiamo di un posto simile ha attratto una ventina di ragazzi da molti posti diversi, da Camerino a Matelica, da Castelraimondo a Visso, da Fiuminata a Tolentino: tutti uniti dalla passione per il viaggiare e lo stare insieme. Non tutti avevamo le stesse possibilità per intraprendere il viaggio, ma i nostri genitori hanno reso possibile quest’esperienza, sapendo che si sarebbe trattato di un investimento per il futuro e di un modo per farci aprire alla vita. In una riunione svoltasi qualche giorno prima della partenza, i Prof. accompagnatori Pio Germondani e Gemma Cappa hanno chiarito l’organizzazione del viaggio e dei nostri alloggi presso le famiglie locali nella capitale Edimburgo. Alle prime luci di Domenica 12 Luglio, dopo un’estenuante attesa, abbiamo caricato i pesanti bagagli sul bus per Roma Ciampino ed è iniziata l’avventura. Per qualcuno era il primo volo, ma le paure iniziali hanno lasciato presto spazio allo stupore nel vedere grandi città, mari e picchi massicci scorrere piccoli e lontani tra le nuvole vaporose. Dopo circa tre ore di viaggio siamo scesi sotto le nuvole e abbiamo avvistato la città, affacciata sul grigio mare del Nord. All’ Edinburgh Airport siamo stati accolti da una tipica pioviggine fredda e siamo stati subito accompagnati nelle rispettive famiglie portando loro dall’Italia un piccolo present mangereccio, dono estremamente gradito da un popolo con fama di scontrosità e tirchieria ma dimostratosi accogliente e vivace, disponibile ad aiutarci nei nostri primi passi incerti attraverso una terra che da straniera ci è subito diventata familiare. Spesso ci siamo ritrovati a parlare Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 15 V i a g g i con loro di sport e attualità come se fossero stati persone che conoscevamo da una vita. Per ringraziarli, alcuni di noi hanno voluto cucinare loro un bel piatto tipo italiano per cena, come una semplice ma gustosa pasta alla carbonara. Del resto il cibo in Scozia non ha nulla a che vedere con i nostri standard mediterranei! Anche alla Scuola d’inglese Mackenzie l’accoglienza era parola d’ordine: il team di insegnanti si è presentato con simpatia, sfatando tutti i principali miti e pregiudizi sulla Scozia e gli scozzesi, e ci ha sottoposto a un test per assegnarci alle diverse classi, dove abbiamo conosciuto gli altri ragazzi provenienti da tutto il mondo (Veneto incluso), stringendo amicizia con persone davvero simpatiche e originali: ballerine, musicisti, idealisti, burloni, aspiranti fisici o ingegneri. L’altra metà della giornata era dedicata alla visita di Edimburgo e delle sue attrazioni (davanti a cui era facile trovare almeno un bagpiper, il suonatore di cornamusa in costume tipico) come il celeberrimo Castello (ospitante il tesoro dell’antica Corona Scozzese nonché le principali manifestazioni cittadine), la preziosa National Gallery, l’immenso e moderno National Museum (vero specchio della storia e dell’eccellenza scozzese), l’ex yacht reale Britannia e il Monumento allo scrittore Walter Scott. Nei dintorni abbiamo visto: South Queensferry, dove il ponte ferroviario più antico d’Europa scavalca il golfo del Forth; il vicino Palazzo di Linlithgow, suggestive rovine della monarchia Scozzese; la Cappella di Rosslyn, chiesetta misteriosa (comparsa nel film “Il Codice Da Vinci”) immersa nella sempreverde campagna a sud della città. Nei due fine settimana,infine, ci siamo spostati a nord. Lande desolate, pascoli e greggi a perdita d’occhio, mucche pelose, brulle montagne smussate dai ghiacciai scomparsi e selvagge foreste tra fiumi e paludi: le Highlands! Dopo aver visitato la Famous Grouse, nota distilleria di whisky nella campagna di Perth, abbiamo sostato a Killiekrankie, una stretta forra dove i Giacobiti ribelli sconfissero i soldati inglesi, quindi a Culloden, il luogo della battaglia campale tra l’esercito del re e i ribelli che decise la sottomissione definitiva della Scozia alla corona inglese e la decadenza di un’intera nazione. Dopo una notte all’ostello della gioventù di Aviemore, abbiamo 16 visitato il Castello di Uruqart sulle rive del celeberrimo Loch Ness e la graziosa cittadina portuale di Fort Augustus. Abbiamo poi sostato alle pendici del Ben Nevis, presso Glencoe, per completare il tour storico: lì infatti avvenne un terribile massacro di civili ad opera degli inglesi. Il contrasto tra la tragedia storica e la bellezza selvaggia ci ha preparati al transito, sulla via del ritorno, di Rannoch Moor, apparso nell’ultima scena di 007 Skyfall. Il penultimo giorno abbiamo infine visitato Perth, città più piccola e vivace di Edimburgo, e il vicino Palazzo di Scone, dove si trovava la “pietra del destino” su cui si incoronavano i sovrani di Scozia, circondato da un meraviglioso giardino con tanto di animali e labirinti di siepi. Sballottamenti a parte, abbiamo avuto anche occasioni di svago in libertà: la sera spesso ci si ritrovava a scuola per usufruire di giochi da tavolo o di qualche strumento per suonare e cantare insieme. Alcuni pomeriggi erano invece alternativi: un improvvisato torneo di calcetto, la visita alla casa degli orrori (Edinburgh Dungeon) e anche un’escursione sulla panoramica collina sovrastante la capitale, Arthur’s Seat. Il top del divertimento è stato però (oltre alla serata discoteca nell’Oratorio finita a mezzanotte, ovviamente) la serata del tipico ballo tradizionale di gruppo, il Ceilidh. L’ultimo giorno è stato un arrembaggio generale ai negozi per comprare gli ultimi vestiti e souvenir prima dei saluti alla scuola, alla famiglia e agli amici incontrati lassù, scambiandoci i recapiti per cercare di mantenere quei fragili ponti. L’aereo è partito con il sole nascente a illuminare la pista, mentre molti di noi cadevano addormentati tra le note silenziose delle proprie cuffiette. Molti sono i ricordi bellissimi che conserviamo di quell’esperienza lassù e che speriamo di mantenere per sempre vivi nella nostra memoria. Eppure di quelle due settimane, passate in modo spaventosamente veloce, il ricordo più vivo e commovente è stato la partenza del gruppo spagnolo, pieno di gente letteralmente vitale. Non manchiamo forse noi italiani di quell’ispanica vitalità e apertura mentale e di quella scozzese fierezza culturale? Per questo dovrebbero esistere i viaggi-studio: per aprire le menti nella propria realtà ed essere capaci di guardare le cose da un altro punto di vista, magari più oggettivo. Detto questo, speriamo di poter partecipare a un’altra avventura di questo genere, perché di crescere e di imparare, lo abbiamo capito, non si finisce proprio mai. Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 Tatiana Sisini Matteo Sabbatini c r o n a c h e s c o l a s t i c h e INTERVISTA A FABRIZIO SANTONI Fabrizio Santoni è un ragazzo di 26 anni, che, come molti altri, gioca a calcio. La sua esperienza, però, non si è limitata a una partita nel campetto sotto casa, ma è stata lunga ed articolata, completa di infortuni e... scelte. Non saremo noi a raccontarvela: ci ha concesso un’intervista e ce ne parlerà lui stesso. D: Quando hai iniziato a giocare a calcio e perchè?R: Ho iniziato a sei anni, perchè giocare mi divertiva! Il calcio era, ed è tutt’ora, una valvola di sfogo. Non ero spinto da una passione per lo sport, volevo solo scaricare la tensione. D: Fino a che serie sei arrivato? R: Ho giocato con i settori giovanili di serie A e poi in serie C2 lega pro. D: Perchè hai smesso di giocare a calcio a livello professionale? R: Mi sono rotto due volte il ginocchio (sono stato un po’ sfortunato...). Ormai gioco solo a livello dilettantistico, per divertirmi. D: Ti sei pentito di aver abbandonato il calcio a livello professionale? R: Niente affatto, perchè finchè ho giocato mi sono divertito ed è stata un’esperienza bellissima, che mi ha aiutato a maturare: le partite giocate fuori dall’Italia, soprattutto, hanno dato una bella spinta al mio senso di responsabilità. Il calcio, per me, è un divertimento e io mi sono divertito, quindi posso dire di aver raggiunto il mio obbiettivo. D: Hai qualche rimpianto? R: No, al contrario, rifarei tutto da capo, perchè è stata un’esperienza che mi è servita moltissimo per la vita; ho vissuto da solo fin dai 15 anni ed è stato molto formativo. D: Hai mai giocato con persone importanti? R: Sì, con un ragazzo che gioca nel Milan (Giacomo Bonaventura), due che giocano nel Cagliari e uno che al momento gioca nel Como. Chissà se Fabrizio è invidioso di questi compagni di squadra, divenuti calciatori pagati profumatamente? O se per lui rimarranno sempre i ragazzi normalissimi, con i quali ha riso, scherzato e giocato. Certo, quando legge di loro nei giornali, li penserà mentre girano su macchine costosissime e si rilassano nelle loro ville da sogno, ma se, come ha detto, non ha rimpianti, forse non prova neanche invidia. Ha preso una strada diversa ma non necessariamente peggiore. Sicuramente ha cose che loro non hanno e tutti i mezzi per essere felice. La vita è un’assassina di certezze. Il nostro futuro può essere “rovinato” da un banale incidente. L’importante è non smettere di giocare. IL DITO MEDIO DI GALILEO Il 3 dicembre scorso noi alunni del 3° Classico e 4A e 4B Scientifico siamo sbarcati a Firenze, la città considerata capitale della cultura italiana. Appena scesi dall’autobus, non ci siamo fatti mancare una visita a S.Croce, celebre per i suoi sepolcri (cantati da Foscolo) che ospitano poeti, artisti e scienziati italiani, tra cui Galileo Galilei, pisano di nascita ma molto legato al capoluogo toscano. Ma Galilei non è sempre stato sepolto lì: infatti aveva guai con la Chiesa per aver sostenuto la teoria Copernicana con i suoi studi. Fu costretto dalla Santa Inquisizione a rinnegare le sue convinzioni, ad abiurare, rinunciando al lavoro di una vita dedicata alla Scienza. Solo secoli dopo la sua morte il “processo Galileo” fu riaperto e chiuso con l’assoluzione totale, segnando l’inizio dell’apertura della Chiesa al progresso scientifico. Usciti da S.Croce, ci siamo diretti in Piazza della Signoria e siamo entrati nella celeberrima Galleria degli Uffizi: non sembrava vero quasi sfiorare le opere di Leonardo, Michelangelo, Botticelli, Tiziano e molti altri che ci hanno resi celebri nel mondo con i loro capolavori. Girato l’angolo siamo poi entrati nel Museo della Scienza, nato per raccogliere le testimonianze dello sviluppo della conoscenza: sfere armillari, astrolabi, macchine elettriche, telescopi, microscopi e orologi risalenti alla Signoria dei Medici. Il pezzo forte non sono stati gli esperimenti, ma la stanza dedicata a Galileo come astronomo, ottico e ingegnere. Contenuta in una teca si trova una particolare “reliquia laica”: il dito medio di Galileo. Il macabro dito diventò presto un simbolo eroico della ricerca instancabile, oltre che del martirio in nome della ragione. Subito alcuni hanno pensato alla canzone di Caparezza che parafrasava: “Se la Chiesa ti ha messo all’Indice/beh che male c’è, tu la metti al medio”, sottolineando il carattere anti-dogmatico del pensiero galileiano (che ricordiamo però, non era estraneo alla Fede). All’uscita abbiamo goduto dell’atmosfera già festosamente natalizia delle vie tra Ponte Vecchio e il Duomo illuminato, dalla Cupola del Brunelleschi allo slanciato Campanile di Giotto. La giornata era finita, eravamo tutti stanchi ma forse più contenti, più curiosi, più vivi. Matteo Sabbatini Sandra Caballina Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 17 i n d o v i n e l l i 1. Ci sono cinque case 2. L’inglese vive nella casa rossa 3. Lo spagnolo ha un cane 4. L’uomo che vive nella casa verde beve caffè 5. L’ucraino beve tè 6. La casa verde è immediatamente a sinistra di quella bianca 7. L’uomo che fuma le Old Gold alleva lumache 8. L’uomo che vive nella casa gialla fuma le Kool 1. L’uomo che vive nella casa di mezzo beve latte 2. Il Norvegese vive nella prima casa 11. L’uomo che fuma le Chesterfield abita accanto all’uomo che alleva la volpe 12. L’uomo che fuma le Kool abita accanto all’uomo che alleva il cavallo 13. L’uomo che fuma le Lucky Strike beve succo d’arancia 14. Il giapponese fuma le Parliament 3. Il norvegese vive accanto alla casa blu Chi beve acqua? Che cosa beve il Giapponese? Chi alleva la zebra? (precisamente nell’ordine in cui noi li abbiamo usati per risolverlo) per far sì che chiunque abbia accesso, non troppo difficilmente, alle informazioni necessarie a rispondere alle tre domande (una delle quali abbiamo aggiunta noi per facilitarci l’impresa). I quindici indizi sono come le tredici carte che ci vengono distribuite all’inizio di una partita di scala quaranta. Se noi non le mettiamo in ordine, avvicinando i possibili tris, scale, ecc. è possibile che scartiamo una carta di cui in realtà avevamo bisogno, così come potremmo leggere e rileggere gli indizi nell’ordine in cui ci vengono forniti in vano, anzi, venendo confusi sempre di più dalla quantità di informazioni apparentemente inutili e sconclusionate che ci vengono fornite, fino a voltare pagina frustrati. Perciò vi invitiamo, dopo aver tentato di risolvere l’indovinello nella sua versione “ufficiale” (impresa comunque non impossibile) a dedicarvi alla nostra versione, armati dell’antica e nobile arte di “andare per esclusione” che tanto spesso aiuta noi studenti durante i compiti in classe, e ricordandovi di inserire nella tabella tutte le informazioni che possedete, rileggendo gli indizi più volte per essere sicuri di averle raccolte tutte. Siamo fiduciosi che voi non apparteniate alla schiera di coloro che liquidano l’indovinello sostenendo che, siccome né l’acqua né la zebra sono nominate negli indizi, nessuno beve l’una né alleva l’altra o che nel testo non viene specificato se le case vanno disposte da sinistra verso destra o viceversa. Essi, nonostante abbiano in qualche modo ragione, si comportano come Alessandro Magno quando recise con la spada il nodo che nessuno riusciva a sciogliere: distruggere un enigma, negandone l’esistenza, non significa risolverlo. Anche per questo abbiamo aggiunto la domanda “che cosa beve il giapponese?”: pur lasciando bianche le caselle della zebra e dell’acqua, coloro che si ritengono “superiori” all’indovinello dovranno comunque lavorare di logica per rispondere. Troverete la nostra versione dell’indovinello alla pagina seguente e la soluzione nel prossimo numero. Questa è la traduzione dall’inglese (tra parentesi mia) della prima delle molteplici versioni di questo indovinello – attribuito comunemente ad Albert Einstein – apparsa sulla rivista “Life International” il 17 Dicembre 1962. Il fatto che alcune delle marche di sigarette citate non esistessero al tempo in cui Einstein era ragazzo, cioè quando, secondo la leggenda, avrebbe inventato questo indovinello, né, tanto meno, quando Lewis Carroll (a cui altri lo attribuiscono) era vivo, contribuisce a rendere l’origine stessa dell’enigma un enigma, di cui però non ci cureremo. Sebbene sia una leggenda a trasformare quello che noi chiameremo semplicemente “L’indovinello della Zebra” ne “L’indovinello di Einstein”, non è questo il mito che vogliamo sfatare, bensì quello secondo cui solo il 2% della popolazione mondiale è in grado di risolverlo. Riteniamo infatti che sia sufficiente presentare gli indizi in un ordine diverso 1 2 3 4 Nazionalità Colore Animale Bevanda Sigarette 18 Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 5 c i t a z i o n i 1. Ci sono cinque case 2. L’uomo che vive nella casa di mezzo beve latte 3. Il Norvegese vive nella prima casa 4. Il norvegese vive accanto alla casa blu 5. La casa verde è immediatamente a sinistra di quella bianca 6. L’uomo che vive nella casa verde beve caffè 7. L’inglese vive nella casa rossa 8. L’uomo che vive nella casa gialla fuma le Kool 9. L’uomo che fuma le Kool abita accanto all’uomo che alleva il cavallo 10. L’ucraino beve the 11. L’uomo che fuma le Lucky Strike beve succo d’arancia Chi beve acqua? (Usate gli indizi 10 ed 11 per rispondere) 12. Il Giapponese fuma le Parliament Che cosa beve il Giapponese? (Usate gli indizi 10, 11, e 12 per rispondere) 13. Lo spagnolo ha un cane 14. L’uomo che fuma le Old Gold alleva lumache 15. L’uomo che fuma le Chesterfield abita accanto all’uomo che alleva la volpe Chi alleva la zebra? Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16 19 p o e s i e IL MARE Il mare vortica, sulle spire della storia: calmo dei mostri leggendari che tornano a popolarlo la notte Quando danza come un cielo capovolto al loro millenario respiro. BARBIE La bambola perfetta Bellissima Scruta il mondo con celesti occhi vitrei Ha vent’anni, e ancora non si veste da sola. PRIGIONIERO SCRIVENDO La penna scivola Sanguinando su un foglio Veloce come il pensiero Correndo su indelebili ferite. Da dietro questa rete Il cielo è sminuzzato In mille piccoli rombi Ognuno con dentro una stella O un piccolo pezzo di luna. Come mille granelli di sabbia, ma immuni al soffio del vento. LA STAZIONE La stazione puzzava di piscio, misto al profumo dei fiori di oleandro ed il sapore della gente che passava di rado: quasi che avesse paura che il buio del sottopassaggio potesse farle del male. Il treno passava di rado, annunciato da una voce cordiale: e si fermava, e ripartiva, come una lepre che nessuno voleva prendere. 20 CIELI DI FINE ESTATE Sono apparsi come sempre i cieli di fine estate, azzurri campi arsi dal sole macchiati di nubi perlacee, solcati da assetati fiumi di rami frondosi. Presto da lì cadranno le foglie screziate. Mentre in una melodia ancestrale Pioggia, vento e neve si alterneranno In una danza eterea ed ipnotica, il gelo calerà sui cuori di molti, ma non tutti cadranno. Ci Vuole Costanza n.5, a.3, a.s. 2015/16