Penalizzazione, spoliticizzazione, Razzializzazione
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Penalizzazione, spoliticizzazione, Razzializzazione
Penalizzazione, spoliticizzazione, Razzializzazione. Sull’eccessiva incarcerazione degli immigrati nell’Unione Europea di Loïc Wacquant Nel 1989, per la prima volta nella storia del Paese, la popolazione statunitense in stato di detenzione era di maggioranza nera. Come conseguenza dello sgretolamento del ghetto urbano e della “guerra alle droghe” lanciata dal governo federale come elemento della vasta politica della “legge-e-ordine” progettata per ripristinare i confini razziali nelle città e riaffermare il potere dello Stato di fronte alla rapida ristrutturazione economica e alla notevole limitazione del welfare11, il tasso di incarcerazione degli Afro-Americani è raddoppiato in quasi 10 anni, passando dai 3.544 detenuti ogni 100.000 abitanti nel 1985, agli sconcertanti 6.926 per 100.000 abitanti nel 1995, quasi otto volte il numero dei loro compatrioti bianchi (919 per 100.000 abitanti) ed oltre venti volte i tassi registrati nei più grandi Paesi dell’Europa continentale. Se gli individui in carcere, affidati ai servizi sociali, o in libertà condizionata fossero tenuti in considerazione, risulterebbe che, tra la popolazione nera maschile dai 18 ai 35 anni, più di uno su tre (e il rapporto arriva a due su tre nel cuore delle grandi città della deindustrializzata “cinta della ruggine”) si trova sotto controllo del sistema penale giudiziario. Se i neri sono diventati “i clienti” privilegiati del sistema carcerario statunitense, non è a causa di una certa tendenza particolare che questa Comunità avrebbe per la devianza ed il crimine; né è dovuto ad un aumento improvviso dei crimini che commettono. È perché si trovano nel punto di intersezione di un sistema di tre forze, che, insieme, determinano ed alimentano il regime, senza precedenti, dell’iperinflazione carceraria che l’America ha sperimentato nell’ultimo quarto di secolo, dopo lo scardinamento del sistema sociale fordista-keynesiano e l’attacco diretto alla struttura delle caste da parte del Movimento dei Diritti Civili e delle sue propaggini urbane: 11 Per un’analisi delle dimensioni, delle cause e delle funzioni della crescita del sistema penale statale statunitense dopo la metà degli anni ’70, consultare Loïc Wacquant, Punir les pauvres. Le nouveau gouvernement de l’insécurité sociale (Parigi: Edizioni Dupuytren, 2005; in inglese Punishing the Poor: The New Government of Social Insecurity, Durham, NC: Edizioni Duke University, in corso di stampa).. 31 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro I) il dualismo del mercato del lavoro e la diffusione dell’occupazione precaria, e della disoccupazione-sottoccupazione ai livello minimi; II) lo smantellamento graduale dell’assistenza pubblica per i membri più deboli della società (reso necessario dalla diffusione del salario desocializzato) e il loro eventuale ricollocamento in programmi disciplinari ideati per indurli in lavori inferiori alla media del sistema economico; e III) la crisi del ghetto come strumento di controllo e la relegazione della popolazione stigmatizzata, ritenuta inassimilabile al corpo della nazione e considerata numericamente eccessiva sia nei conteggi economici sia in quelli politici: la loro forza lavoro non è più necessaria, dato la loro mancanza di abilità ed è completamente rimpiazzata da quella di operai immigrati; le loro schede elettorali possono essere ignorate come conseguenza della commercializzazione dei voti di partito, del controllo repressivo e paralizzante degli interessi corporativi sulla presa di decisione politica e dello spostamento dell’epicentro elettorale del Paese dalla città al sobborgo12. Estrema in scala, pendio e velocità, la traiettoria carceraria dei neri statunitensi nell’era post-Diritti Civili potrebbe essere meno idiosincratica di quanto si crederebbe rispetto alla confusa nozione dell’“eccezionalismo americano”. Si potrebbe ipotizzare che nelle avanzate società dell’Europa Occidentale si genereranno situazioni analoghe, sebbene meno improvvise e pronunciate, fino al punto in cui, anche in Europa, si abbraccerà il modello di sistema penale neoliberista e ci si imbarcherà in un percorso dell’amministrazione punitiva della disuguaglianza e della marginalità urbana, schierando il proprio sistema carcerario non solo per porre freno al crimine ma anche per regolare i segmenti più bassi del mercato dell’occupazione, per trattenere la forza lavoro eccedente e per tenere al margine tutti quei soggetti considerati sconvenienti, derelitti e pericolosi. Da questo punto di vista, gli stranieri e i quasi-stranieri del Terzo Mondo sarebbero “i neri” d’Europa nell’ultimo scorcio di secolo poiché occupano una posizione omologa alla confluenza del sistema delle forze che polarizzano la struttura occupazionale, sgretolando la rete sociale di sicurezza e corrodendo i confini e l’assetto etnonazionale dei Paesi del Vecchio Mondo. Con la fine degli schemi, patrocinati dallo Stato, dell’importazione di forza lavoro straniera negli anni ‘70, “l’operaio ospite” immigrato dalla periferia coloniale si è trasformato in un immigrato tout court la cui presenza persistente è sempre più percepita immediatamente come minaccia professionale (delocalizza e decurta il numero dei lavoratori locali), 12 Una completa dimostrazione di quest’argomentazione si trova in Loïc Wacquant Deadly Symbiosis: Race and the Rise of Neoliberal Penality (Cambridge: Edizioni Polity, 2005), capitoli 2-4. 32 Diritti e castigo come un peso per l’economia (è disoccupato e sfrutta i già scarsi servizi d’assistenza pubblica) e una minaccia sociale (essendo venuta a mancare l’“integrazione,” lui e la sua prole sono vettori della corrosiva alterità culturale, della devianza criminale e della violenza urbana). Con l’accelerazione dell’integrazione sovranazionale dopo il Trattato di Maastricht e gli accordi di Schengen, la presenza visibile degli stranieri non-bianchi è diventata doppiamente anomala da quando il reale tracciato dei confini esterni dell’Unione è andato affermandosi su un’opposizione definita fra “noi” europei e “loro” immigrati del Terzo Mondo che non sono più benvenuti – nonostante continuino ad essere disperatamente necessari13. Come vedremo in questo scritto, la costruzione della “Fortezza Europa”, negli anni del lavoro flessibile e dell’insicurezza sociale generalizzata, ha effettivamente accelerato un movimento duplice di ostracizzazione che contrappone i non voluti Gastarbeiter agli Ausländer, con una rimozione all’esterno mediante espulsione e uno sradicamento interno tramite l’incarcerazione diffusa, direttamente rivolta a quanti rappresentano quell’“esterno” sociale e simbolico dell’emergente Europa postnazionale. Nel processo, il braccio penale dello Stato ha assunto un ruolo chiave nell’articolazione della costruzione discorsiva ed organizzativa dell’insicurezza interna ed esterna fino a che si è arrivati ad assimilare il clandestino nero con lo straniero criminale – due concetti diventati virtualmente sinonimi – come l’antitesi vivente del nuovo europeo in via di formazione. 13 Consultare in maniera particolare Adbelmalek Sayad, La Double absence. Des illusions de l’émigré aux souffrances de l’immigré (Parigi: Editions Seuil, 1999; tradotto parzialmente in inglese The Suffering of the Immigrant, Cambridge: Edizioni Polity, 2004), particolarmente pp. 417-426; Andrew P. Geddes, Immigration and European Integration: Towards Fortress Europe? (Manchester: Edizioni Manchester University, 2000); Bernhard Santel, Migration in und nach Europa. Erfahrungen, Strukturen, Politik (Leverkusen: Leske und Budrich, 1995); e Verena Stolcke, “Talking Culture: New Boundaries, New Rhetorics of Exclusion in Europe,” Current Anthropology, 36, 1 (Febbraio 1995), pp. 1-13. 33 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro Misurando la disproporzionalità etnonazionale Durante il passato trentennio, quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea hanno avvertito in modo significativo, a volte in maniera cauta, in altri casi esplosiva, l’aumento della popolazione carceraria, in coincidenza con l’inizio della disoccupazione di massa, dell’occasionalità dello stipendio e dell’ufficiale blocco della forza lavoro degli immigrati. Fra il 1983 e il 2001, questi aumenti sono passati da un terzo fino alla metà tra i vari Paesi più grandi, con il numero di detenuti (compresi quelli in attesa di giudizio) passato da 43.400 a 67.100 in Gran Bretagna, da 41.400 a 55.200 in Italia e da 39.100 – 54.000 in Francia. L’inflazione delle carceri è stata ancor più spettacolare nei Paesi più piccoli e vicini al Mediterraneo, con il Portogallo (6.100 – 13.500), la Grecia (3.700 – 8.300) e l’Irlanda (1.400 – 3.000), che evidenziano tassi raddoppiati, e la Spagna (14.700 – 46.900) ed i Paesi Bassi (4.000 – 15.300) con la triplicazione delle loro popolazioni carcerarie14. Nonostante il ricorso periodico ad estesi atti di clemenza (per esempio, in Francia ogni anno dal 1991 per festeggiare la presa della Bastiglia) e le ondate dei provvedimenti di indulto che sono diventati ordinari (in Italia, in Spagna, nel Belgio e in Portogallo), le scorte di detenuti del continente si sono gonfiate inesorabilmente e le carceri dappertutto sono piene fino all’eccesso15. Ma, soprattutto, in Europa, gli stranieri e i cosiddetti immigrati “di seconda generazione” di estrazione non-Occidentale e persone di colore, che figurano fra le categorie più vulnerabili sia sul mercato del lavoro sia da punto di vista dell’assistenza sociale, a causa della loro basso ceto, per la scarsità delle credenziali e per le molteplici forme di discriminazione che perdurano16, sono massicciamente sovrarappresentati negli strati più a margine della popolazione e questo ad un grado paragonabile, anzi in molti casi superiore, alla “disproportionalità razziale” che affligge i neri negli Stati Uniti. 14 Pierre Tournier, Statistique pénale annuelle du Conseil de l’Europe, Enquête 2001 (Strasbourg: Edizioni del Consiglio d’Europa, 2002), vol. 1, p. 10. Dovrebbe essere sottolineato che gli aumenti maggiori hanno interessato i Paesi che hanno la minore popolazione carceraria e i più bassi tassi di incarcerazione. Per un’analisi più varia delle tendenze in base ai Paesi, André Kuhn, “Populations carcérales: Combien? Pourquoi? Que faire?” Archives de politique criminelle, 20 (Primavera 1998), pp. 47-99; Sonja Snacken, Karl Beyens, e Hilde Tubex, “Changing Prison Populations in Western Countries: Fate or Policy?,” European Journal of Crime, Criminal Law and Criminal Justice, 3, 1 (1995), pp. 18-53; e I dati aggiornati periodicamente dal Centro Internazionale per gli Studi Carcerari presso il King’s College di Londra. 15 André Kuhn, Pierre Tournier, e Roger Walmsley, Le Surpeuplement des prisons et l’inflation carcérale (Strasburgo: Edizioni del Consiglio d’Europa, 2000), pp. 136-137. 16 John Wrench, Andrea Rea, e Nouria Ouali, Migrants, Ethnic Minorities. and the Labour Market: Integration and Exclusion in Europe (Londra: Palgrave Macmillan, 1999). 34 Diritti e castigo Tavola 1. Gli stranieri tra la popolazione detenuta dell’Unione Europea nel 1997 Paese Detenuti stranieri % degli % della stranieri pop. pop. detenuta sulla totale Ratio Spagna 7,700 18% 1.6% 11.2 Italia 10,900 22% 2.1% 10.5 Grecia 2,200 39% 4.7% 8.3 Paesi Bassi 3,700 32% 4.3% 7.4 Portogallo 1,600 11% 1.8% 6.1 Francia 14,200 26% 5.6% 4.6 Belgio 3,200 38% 8.9% 4.3 Svezia 1,100 26%* 6.0% 4.3 339 15% 3.6% 4.1 Afroamericani 816,600 47% 12% 3.9 Germania 25,000 34%* 9.0% 3.8 Austria 1,900 27% 9.1% 3.0 Danimarca 450 14% 4.7% 3.0 Finlandia 127 4.5% 1.6% 2.8 Irlanda 203 8% 3.1% 2.6 4,800 7.8%* 3.6% 2.2 Norvegia Regno Unito * Stime Fonte: Pierre Tournier, Statistiche penali annuali del Consiglio d’Europa, Inchiesta 1997 (Strasburgo, Edizioni del Consiglio d’Europa 1999), p. 17, per dati sulle carceri europee; OECD, OECD Indicatori Sociali 2002 (Parigi: OECD, 2003), tavola G3, per le percentuali sugli stranieri; Ufficio Statistico di Giustizia, Popolazioni da punire degli Stati Uniti 1997 (Washington, Edizioni del Governo, 2000), p. 2, per I neri negli Stati Uniti. Per una prima approssimazione della “disproporzionalità etnonazionale” nell’Unione Europea, si potrebbe usare la percentuale degli stranieri dietro le sbarre rispetto alla parte degli stranieri del Paese. Evidentemente, questo è un indicatore imperfetto che dovrebbe essere 35 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro maneggiato con attenzione poiché sia il numeratore sia il denominatore sono carichi di problemi di esattezza, di affidabilità e di consistenza nel tempo e attraverso le frontiere nazionali. Raggruppa, in proporzioni differenti, immigrati dalla periferia globale e stranieri da altri Paesi della sfera Euro-Americana. Nonostante queste limitazioni, questo indicatore si sta dimostrando rivelatore di sorprendenti paralleli transatlantici. La tabella 1 indica che la presenza degli stranieri all’interno delle carceri europee supera di gran lunga il peso della popolazione in genere in ogni singolo Stato-nazione del continente. E che, in nove dei quattordici membri dell’Unione Europea, l’incarcerazione sproporzionata degli stranieri è superiore alla sovrarappresentanza demografica dei neri negli istituti di detenzione e prigioni negli Stati Uniti17. Colpisce, anche più della loro assoluta sovrarappresentanza dietro le sbarre, il fatto che, durante il periodo stesso in cui stavano arrivando alle stelle negli Stati Uniti i tassi di incarcerazione dei neri come prassi dell’amministrazione penale della povertà e della disuguaglianza, ci fu un aumento uniforme e spesso spettacolare, in quasi tutti i Paesi europei, del numero di stranieri in stato di detenzione, come indicato dalla tabella 2. Nel decennio 1985-95, la percentuale di stranieri detenuti in carceri e istituti di detenzione è aumentata costantemente di 5 punti di percentuale in Spagna, in Inghilterra ed in Irlanda e di 10 – 15 punti in Belgio, in Italia ed in Germania; il record europeo per il 1995 è stato raggiunto dalla placida Svizzera con il 57.6% (per una popolazione straniera che si avvicina lungamente al 20%, con conseguente bassa disproporzionalità comparativa- dovuta alla loro recente politica malthusiana per quanto riguarda sia l’asilo politico sia l’importazione di forza lavoro a dispetto della lunga tradizione del Paese di immigrazione di massa e di continua esigenza di lavoratori stranieri). Mentre la popolazione straniera regolare o irregolare è aumentata durante questo periodo nella maggior parte dei Paesi interessati, questo sviluppo è stato limitato e, per esempio, non si può effettivamente tenere in considerazione il raddoppiarsi del numero di immigrati in Italia ed in Germania. 17 Questo rifiuta direttamente la nozione, accettata come patrimonio di senso comune tra la maggior parte di criminologi europei e americani, che “l’eccessiva presenza di afroamericani tra detenuti o tra quanti sono sotto la supervisione della giustizia penale non è basata sulla stessa scala nei Paesi europei”, nel caso in cui si parli di stranieri” (Pierre Landreville, “Va-t-on vers une américanisation des politiques de sécurité en Europe?,” in Crime et sécurité. L’état des savoirs, Laurent Mucchielli e Philippe Robert, Paris: Edizioni La Découverte, 2002, pp. 424-433, a p. 429). 36 Diritti e castigo Tavola 2. Evoluzione del numero di stranieri (in %) nella popolazione carceraria di alcuni Paesi europei, 1985-95. 1985 1995 Aumento Belgio 27.6 41.0 48% Germania 14.5 29.4 103% Francia 26.4 28.5 8% Italia 8.9 17.4 95% Spagna 10.6 15.5 46% Inghilterra-Galles 1.3 7.8 500% Irlanda 1.8 6.4 255% Fonte: André Kuhn, Pierre Tournier e Roger Walmsley, Il Sovraffollamento delle carceri e l’inflazione carceraria (Strasburgo: Edizioni del Consiglio d’Europa, 2000), p. 37. Parte dell’incarcerazione sproporzionata degli stranieri in Europa presumibilmente è causata dai loro più alti tassi generali di reati -anche se è una questione che non può essere risolta empiricamente nella maggior parte dei casi a causa della mancanza di adeguati dati statistici -che possono di per sè essere determinati dalla loro trasversale educazione, età e distribuzione nello spazio, oltre alle differenti situazioni che nella vita devono affrontare18. Parte di essa è probabilmente dovuta, come accade con i neri negli Stati Uniti, al trattamento preferenziale degli stranieri da parte della polizia e dai loro differenti processi nei tribunali, oltre all’applicazione di criteri neutri (come avere un lavoro onesto come termine per concedere la libertà provvisoria) che sistematicamente vanno a discapito degli stranieri nella gestione delle condanne. Per concludere, una frazione dell’eccessiva detenzione degli stranieri deriva da reati quali l’ingresso e la permanenza irregolare sul territorio dello Stato, reati che per definizione non possono essere commessi dai cittadini comuni (o soltanto come complici), o infrazioni riguardanti la compilazione e la manipolazione fraudolenta di documenti ufficiali (carte di identità, certificati di matrimonio, permessi di soggiorno, ecc.). Mentre non è permesso valutare costantemente questi vari fattori, 18 Godfried Engbersen e Joanne van der Leun, “Illegality and Criminality: The Differential Opportunity Structure of Undocumented Immigrants,” in The New Migration in Europe: Social Constructions and Social Realities, edizioni Khalid Koser e Helma Lutz (Londra: Palgrave Macmillan, 1999), pp. 199-223. 37 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro un’interpretazione metodologica degli studi disponibili sui pregiudizi nel trattamento penale degli stranieri e di particolari gruppi etnici conferma sia la prevalenza sia l’aumento della sovracarcerazione degli stranieri e degli immigrati nell’Unione Europea. E conferma che, con l’inizio dell’egemonia neoliberale, la segmentazione penale si è trasformata in una modalità chiave nel tracciare e far rispettare i salienti confini sociali nel Vecchio Mondo così come nel Nuovo. Trattamento selettivo e detenzione preferenziale In Inghilterra, seguendo i tumulti urbani dell’inizio degli anni 80, secondo fonti ufficiali in parte “razziali” in base al rapporto di governo della Commissione Scarman, la questione del crimine da strada, ridotto spesso al solo reato di “rapina,” è stata identificata, nella percezione pubblica come pure nelle prassi della polizia, con la presenza e le richieste di soggetti provenienti dai Caraibi. Considerando che i neri britannici erano stati considerati un gruppo a basso tasso criminoso fino agli metà degli anni Settanta, dalla metà degli anni Ottanta “il crimine, sotto forma sia di disordini da strada sia di furto, è stato identificato gradualmente come espressione della cultura nera”; e “il potenziale populista del tema del crimine nero” ha permesso che la fusione del crimine nero presunto e dell’origine etnica nera oltrepassasse le divisioni in campo politico e pervadesse i mass-media19. Lo spostamento verso forme autoritarie di regolazione sociale, di politiche multi-agency, e di sorveglianza intensificata delle “zone del crimine” che coincidono molto chiaramente con le aree a concentrazione Afro-Caraibica si unisce al fatto che i neri sono sette volte più probabilmente in stato di detenzione che i bianchi o gli asiatici(e per le donne dell’India Occidentale è dieci volte più probabile). Questo larga faglia etnorazziale può essere spiegata in parte dalla diversa tendenza dei neri e dei bianchi a commettere reati. Tanto come le loro controparti americane, i neri in Gran Bretagna sono più probabilmente coinvolti in reati da strada, provenendo da un ceto sociale più basso e più povero, è più probabile che soffrano per gli alti tassi di disoccupazione e vivano in aree tristi e declinanti20 in cui sono più comuni attività illegali in spazi pubblici ed è così più facile esservi coinvolti, dunque arrestati e puniti. Ma la loro presenza grossolanamente eccessiva in prigione inoltre proviene dall’effetto cumulativo del trattamento selettivo e differenziale 19 Paul Gilroy, “Lesser Breeds Without the Law,” in “There Ain’t No Black in the Union Jack”: The Cultural Politics of Race and Nation (Chicago, IL: Edizioni University of Chicago, 1987), pp. 72-113, citazione p. 109; vedere anche Ellis Cashmore e Edward McLaughlin, Out of Order? Policing Black People (Londra: Routledge, 1991). 20 Tariq Modood e vari., Ethnic Minorities in Britain: Diversity and Disadvantage (Londra: Istituto di Studi Politici, 1997). 38 Diritti e castigo degli afro-caraibici da parte di chi applicava la legge: sono più inclini dei Britanni bianchi ad essere fermati ed arrestati dalla polizia solo in base ad un mero sospetto; essere perseguiti penalmente piuttosto che semplicemente ammoniti nel caso in cui si tratti di minori; ed essere condotti direttamente davanti alle Corti Supreme piuttosto che prima davanti ai magistrati oltre ad essere rimessi in custodia detentiva, di cui entrambi i casi portano ad un più alto tasso di sentenze ceteris paribus21. Un fenomeno simile può essere osservato in Germania dove la questione dell’Ausländerkriminalität è diventata fondamentale del dibattito politico ed anche criminologico così come per i media ed i partiti, attraverso lo spettro ideologico è stata fissata sull’ aumento della presenza degli stranieri la causa presunta per il crimine ed i disordini urbani22. L’eccessivo numero di detenuti stranieri e di evidenti gruppi etnici non nazionali è aumentato drammaticamente durante i due ultimi decenni, raggiungendo livelli astronomici in molte zone, proprio mentre è calato il ricorso generale all’incarcerazione per una deliberata politica penale maltusiana, che ha ridotto la popolazione nazionale dietro le sbarre per buona parte di quel periodo. In Nord-Reno-Vestfalia, per esempio, Sinti e Rom provenienti dalla Romania hanno messo in mostra tassi di incarcerazione più di venti volte superiori rispetto a quelli dei cittadini nazionali; per i marocchini il numero è otto volte e per i Turchi fra tre e quattro volte. E la percentuale di stranieri fra quelli in attesa di giudizio è aumentata da un terzo – nel 1989 – al doppio, nei cinque anni successivi. In Germania anche, i tassi diversi di reato non possono essere tenuti in considerazione probabilmente per l’ampiezza di tali disparità etniche nell’incarcerazione e per il loro sviluppo veloce negli ultimi anni. L’opinione comune secondo la quale gli adolescenti stranieri siano più inclini alla delinquenza rispetto alla loro controparte tedesca, per esempio, non è supportata da un esame metodico delle indagini della polizia e non ne sollecita l’elaborazione23. Nei Paesi Bassi, la cui popolazione carceraria si è quadruplicata in questi ultimi venti anni, da quando i governi che si sono succeduti hanno cercato coscientemente di allineare la politica penale olandese alla media più punitiva dell’Europa e si è arrivati ad un forte 43% di stranieri nel 21 Monica A. Walker, “The Court Disposal and Remands of White, Afro-Caribbean, and Asian Men in London,” British Journal of Criminology, 28, 4 (Autunno 1989), pp. 353-367, e Roger Hood, Race and Sentencing (Oxford: Edizioni Oxford University, 1993). 22 Michael Walter e Michael Kubink, “Ausländerkriminalität: Phänomen oder Phantom der (Kriminal-)Politik?,” Monatsschrift für Kriminologie und Strafrechtsreform, 76 (1993), pp. 306-317 23 Rainer Geissler e Norbert Marissen, “Kriminalität und Kriminalisierung junger Ausländer: Die tickende soziale Zeitbombe -- Ein Artefakt der Kriminalstatistik,” Kölner Zeitschrift für Soziologie und Sozialpsychologie, 42, 4 (December 1990), pp. 663-687. 39 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro 1993, la probabilità di essere condannati con sentenza definitiva è sistematicamente più alta per lo stesso primo reato quando la persona condannata è del Suriname oppure di origine marocchina24. Gli studi basati su esperimenti del laboratorio e su osservazioni dirette sulle strade hanno indicato che, anche se l’incidenza dell’arresto della polizia non è influenzata dall’origine etnica dei sospettati, una volta arrestati i non-bianchi hanno una probabilità più alta di condanna e di essere posti in custodia cautelare. In conformità con il modello americano, in cui le autorità hanno storicamente concesso indulgenze per reati commessi all’interno delle aree nere, il sistema penale della società olandese inoltre risulta essere meno certo e meno severo quando la vittima del crimine è un membro di un gruppo etnico marginale25. Dopo essere calata dai 50.000 detenuti della fine della seconda guerra mondiale a 10.500 del 1968, la popolazione carceraria della Spagna è raddoppiata ogni dieci anni dal 1975, per stabilizzarsi oggi sui 55.000 con l’aumento dei crimini che hanno accompagnato la democratizzazione della società dopo la morte del Franco e la liberalizzazione dell’economia. Lo sviluppo del libero lavoro salariato e la larga tolleranza, persino l’ incoraggiamento nei confronti dell’ affluenza di manodopera clandestina dal Marocco nel quadro di una politica ufficiale di diminuzione dell’immigrazione hanno finito per spingere un numero crescente di immigrati africani in un limbo legale ai margini della società. Insieme alle campagne xenofobe dei media ed delle periodiche operazioni di polizia intese a riaffermare il potere dello Stato ed allontanare l’ansia sociale causata dall’accelerazione delle tendenze economiche e demografiche, cambiamenti nel codice criminale, che hanno aggravato le sentenze per piccoli crimini contro la proprietà e per possesso di narcotici, e procedure penali che rifiutano a stranieri il beneficio delle pene alternative alla prigione (quali custodia diurna e nei fine settimana), si sono tradotti nel raddoppiamento della quota degli stranieri dietro le sbarre dal 198526. Fra i cittadini spagnoli, un processo simile di differenziazione penale e di relegazione preferenziale ha colpito gli zingari: una detenuta spagnola ogni quattro nella penisola 24 Josine Junger-Tas, “Ethnic Minorities and Criminal Justice in the Netherlands,” in Ethnicity, Crime, and Immigration, ed. Tonry, op. cit., pp. 257-310. 25 Marianne Junger, “Racial Discrimination in Criminal Justice in the Netherlands,” Sociology and Social Research, 72, 4 (July 1988), pp. 211-216; e Godfried Engbersen, “The Unknown City,” Berkeley Journal of Sociology, 40 (1995-1996), pp. 87-111. 26 Manuel Martín Serrano, “Los efectos sociales de la política inmigratoria,” Política y Sociedad, 12 (Primavera 1993), pp. 37-43; José Cid ed Elena Larrauri, “Prison and Alternatives to Prison in Spain,” in The New European Criminology, a cura di Vincenzo Ruggiero, Nigel South, e Ian Taylor (Londra: Routledge, 1998), pp. 146-155; e Iñaki Rivera Beiras (ed.), La Cárcel en España en el Fin del Milenio (Barcellona: Edizioni M.J. Bosch, 1999) 40 Diritti e castigo iberica è un gitana, anche se gli zingari costituiscono soltanto l’1.6% della popolazione del Paese27. In Francia, la percentuale degli stranieri nelle carceri e negli istituti di pena è balzata dal 18% del 1975 al 29% venti anni dopo, anche se gli stranieri rappresentano soltanto il 6% della popolazione del Paese e circa il 15% dei sospetti della polizia di quel periodo. E questo dato non registra il forte “ricorso eccessivo” al carcere dei cittadini francesi percepiti e trattati come stranieri dalla polizia e dall’apparato giudiziario o come giovani nati in Francia, invece, per gli immigrati Maghrebini (“beurs”), provenienti dai principalmente dai neri dominions e dai territori francesi d’oltremare28. C’è poi tanto da dire sulle celle francesi che in questi ultimi anni hanno visto crescere distintamente il numero dei detenuti “di colore” poiché i due terzi dei più dei 15.000 detenuti stranieri registrati ufficialmente nel 1995 provenivano dall’Africa del nord (53%) e dall’Africa Sub-Sahariana (16%). Quell’anno le carceri e gli istituti di pena di Parigi e del suo hinterland, che ospitano un quarto dei detenuti del Paese, sono arrivati a contare una popolazione del 44% di stranieri e quindi a maggioranza non-bianca (se si considerano i detenuti francesi di colore)29. Oltre ai loro più alti tassi di povertà e di disoccupazione, “la disproporzionalità etnonazionale” che affligge i nativi del vecchio impero coloniale della Francia, risulta dal fatto che, per gli stessi reati, i tribunali ricorrono più prontamente alla detenzione quando il condannato non possiede la cittadinanza francese. Sentenze sospese e sanzioni che non prevedono custodia sono praticamente esclusiva dei cittadini francesi, che offrono migliori garanzie sociali e giuridiche “di attaccamento alla comunità”. Così gli stranieri costituiscono il 10% dei criminali puniti con servizi sociali (“travail d’ intérêt général”) e il 13% di essi sono condannati a pagare una sanzione pecuniaria, ma un terzo di essi sono condannate con sentenza definitiva ed oltre la metà sono rispediti dietro le sbarre per più di cinque anni. Il demografo Pierre Tournier ha indicato che, a seconda delle accuse, la probabilità di finire in prigione è di 1.8 – 2.4 volte più alta per uno straniero che per un francese (tutte persone arrestate insieme, senza riferimento a precedenti condanne)30. 27 Gabriela Hernández e vari, Mujer gitanas y sistema penal (Madrid: Edizioni Metyel, 2001), pp 15, 19, 20-22, e 30-45. 28 Beur, termine dello slang per “arabo,” designa la cosiddetta seconda generazione di immigrati Nord Africani, Algerini, Marocchini, e Tunisini cresciuti in Francia durante i “trent’anni gloriosi” del boom economico postbellico. 29 Gilbert Gailliègue, La Prison des étrangers, clandestins et délinquants (Parigi: Imago, 2000), p. 13. 30 Pierre Tournier, “La délinquance des étrangers en France: analyse des statistiques pénales,” in Délit d’immigration/Immigrant Delinquency, ed. Palidda, op. cit., pp. 149-150. 41 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro Lontano dal derivare da un presunto aumento della loro criminalità, come si dice nei discorsi xenofobi di funzionari scelti, di esperti della polizia ed di alcuni media, il tasso crescente di stranieri nella popolazione francese più a margine risulta essere dovuto esclusivamente al triplicarsi in venti anni di incarcerazioni per le violazioni delle leggi sull’immigrazione. Se i detenuti per questo reato sono esclusi dalle statistiche penali, il rapporto dell’eccessiva incarcerazione degli stranieri rispetto ai cittadini passa da 6 a 3. Come per i neri negli Stati Uniti, allora, la parte sproporzionata degli stranieri in carceri francesi esprime non semplicemente la loro bassa estrazione sociale ma anche la più grande severità dell’istituzione penale nei loro confronti oltre alla “scelta intenzionale di reprimere l’immigrazione clandestina con mezzi detentivi31” anziché con una gamma di sanzioni diverse dal carcere, come avveniva nei decenni precedenti. Ciò conferma che ci troviamo a confrontare con un modello penale che è in primo luogo reclusione di differenziazione o di segregazione, mirante a mantenere un determinato gruppo separato ed impedire la conseguente fusione, o facilitare il suo allontanamento dal corpo sociale – come distinzione “da reclusione di autorità,” intesa a riaffermare il legittimo potere dello Stato, o “la reclusione di sicurezza,” puntato a neutralizzare gli individui pericolosi32. Ecco perchè tale reclusione si risolve sempre più frequentemente in espulsione e messa al bando dai territori nazionali che compongono l’ Unione Europea. 31 Tournier, “La délinquance des étrangers en France,” op. cit., p. 158. Questa distinzione ideal-tipica tra le tre forme di pena è stata elaborata da Claude Faugeron, “Légitimité du pénal et ordre social,” Carrefour, 16, 2 (March 1994), edizione speciale in “Ethique, démocratie et droit pénal,” pp. 64-89. 32 42 Diritti e castigo L’organizzazione penale dell’intrusione e esclusione degli stranieri Agli stranieri e quasi-stranieri tenuti nelle carceri e negli istituti di pena, spesso in aree separate secondo l’origine etnica (come nel carcere de La Santé, al cuore di Parigi, in cui i detenuti sono distribuiti in quattro ali distinte e separati, “bianchi,” “Africani,” “arabi,” e “resto del mondo”), bisognerebbe aggiungere le decine di migliaia di immigrati clandestini arrestati nel tentativo di attraversare i confini nazionali oppure quelli in attesa di espulsione, soprattutto a causa della diffusione delle procedure di “doppia sentenza” che uniscono il decreto dell’espulsione ad una sanzione penale33. Questa popolazione variabile è rinchiusa e trattenuta in quelle zone franche di limbo giuridico che sono “le aree di attesa” e i “centri di permanenza” che hanno proliferato nell’ Unione Europea in questi ultimi dodici anni. Una commissione parlamentare istituita in Francia del 1999 relativamente ai centri di detenzione per stranieri, entrando in queste strutture, ha affermato che sembrava come “entrare in un altro Paese, in un’altra epoca, ben lontana dalla Repubblica,” ed ha esplicitamente condannato le terribili condizioni di sovraffollamento e di mancanza di igiene, le evidenti violazioni dei diritti e le molteplici irregolarità amministrative commesse al loro interno34. Un rapporto parallelo del Cimade, agenzia non governativa incaricata dal governo francese di assistere le persone condotte in queste strutture (dove la permanenza media è di quattro – cinque giorni), rivela quanto spesso le autorità chiudano gli occhi su documenti falsi, il furto dei documenti e degli effetti personali dei detenuti, la quasi totale mancanza di assistenza legale e le ripetute istanze di espulsione di minori non accompagnati così come di bambini nati in Francia e di persone ammalate sotto trattamento medico (compresi detenuti affetti da AIDS), tutto fatto con lo sforzo di accellerare le procedure, sbrogliare la burocrazia ed aumentare il numero annuale degli espulsi. Nel Belgio, dove il numero di stranieri trattenuti in custodia dal Bureau des Etrangers è aumentato nove volte fra il 1974 e il 1994, la situazione 33 In base alla legge penale in Francia come in parecchi altri Stati Europei, gli stranieri possono essere soggetti alla “doppia pena”: sono puniti, prima di tutto, con la detenzione per il crimine commesso (inclusi l’ingresso e il soggiorno clandestino) e, poi, con l’espulsione immediata dal territorio europeo nel caso in cui si tratti di clandestini oppure di stranieri regolari accusati di essere “minaccia per l’ordine pubblico” (una clausola invoca di routine dalle autorità per punire criminali recidivi). 34 Louis Mermaz, Les Geôles de la République (Parigi: Edizioni Stock, 2001). Mermaz è stato tra i membri del primo governo Mitterrand e poi Presidente dell’Assemblea nazionale francese. 43 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro delle persone affidate ai centri di detenzione per gli stranieri “en situation irrégulière” è di competenza del Ministero dell’Interno (incaricato dell’ordine pubblico) e non di quello di Giustizia e sono omesse così dalle statistiche del sistema penale. Dalle condizioni delle strutture si evince la stessa negazione sistematica dei diritti, dei servizi e della dignità che avviene in Francia. Cinque i cosiddetti centri chiusi, circondati da una doppia fila di recinzioni metalliche e con un circuito di videosorveglianza permanente, che servono ogni anno da rampa di lancio per l’espulsione di 15.000 stranieri: questo è l’obiettivo ufficiale che il governo si è dato come prova manifesta della politica “realistica” di stroncare l’immigrazione clandestina, che nel frattempo ha continuato a prosperare come non mai35. In Italia, gli ordini di espulsione sono quintuplicati in solo quattro anni fino ad arrivare a 57.000 nel 1994, anche se ci sono indicazioni ampie in base alle quali il livello d’immigrazione clandestina si è abbassato durante quel periodo e che la vasta maggioranza degli stranieri, pur non avendo documenti validi, entra legalmente nel Paese per alimentare “il mercato nero” di quei lavori rifiutati dai cittadini italiani -come il governo di Massimo D’ Alema ha riconosciuto implicitamente quando ha aumentato per sei volte il numero di permessi di lavoro e di soggiorno inizialmente assegnati, come parte del programma “di regolarizzazione” lanciato nell’inverno 199836. In base alle disposizioni dei trattati di Maastricht e di Schengen, miranti ad accelerare l’integrazione giuridica, in modo da velocizzare l’effettiva “libera circolazione” dei cittadini dell’Unione, l’immigrazione è stata ridefinita dai Paesi firmatari come una questione di sicurezza continentale e, implicitamente, nazionale alla pari del crimine e del terrorismo organizzato, da analizzare con i fatti, certo, ma con una vera e propria regolamentazione amministrativa37. Attraverso la polizia e il sistema giudiziario europeo, le pratiche politiche e carcerarie hanno messo in pratica quanto dettato, applicando con diligenza e speciale severità alle persone di 35 Laurence Vanpaeschen e vari, Les Barbelés de la honte (Bruxelles: Luc Pire, 1998); Fabienne Brion, “Chiffrer, déchiffrer: Incarcération des étrangers et construction sociale de la criminalité des immigrés en Belgique,” in Délit d’immigration/Immigrant Delinquency, ed. Palidda, op. cit., pp. 163-223; e Federazione internazionale dei diritti dell’uomo, Les Centres fermés en Belgique, l’arrière cour de la démocratie (Bruxelles: LIDH, 1999). 36 Salvatore Palidda, “La construction sociale de la déviance et de la criminalité parmi les immigrés: le cas italien,” in Délit d’immigration/Immigrant Deliquency, ed. Palidda, op. cit., pp. 231-266. 37 Didier Bigo, L’Europe des polices et la sécurité intérieure (Bruxelles: Editions Complexe, 1992). L’obiettivo ufficialmente dichiarato del trattato di Schengen era stabilire una struttura transnazionale legale e amministrativa per ridurre il crimine incoraggiando l’apertura dei confini (Paul Kapteyn, “‘Civilization under Negotiation’: National Civilizations and European Integration – The Treaty of Schengen,” Archivi Europei di Sociologia, 32, 2 (primavera 1991), pp. 363-380). 44 Diritti e castigo fenotipo non-europeo che facilmente si sono macchiate di reato ed incitate a piegarsi alle condanne penali, al punto che si può parlare di un processo di criminalizzazione degli immigrati che tende, attraverso la destrutturazione e i suoi effetti criminogenici, a (co)produrre il fenomeno che si è supposto di combattere, in accordo con il ben noto meccanismo “della profezia auto-compiente38” Il suo effetto principale è di spingere le popolazioni in oggetto nella più profonda clandestinità e illegalità, di alimentare il loro timore delle autorità e di promuovere strutture durevoli di reti specifiche di socializzazione e di aiuto reciproco come pure di un’economia parallela che fugga dalla regolazione statale, risultato ben adattato a giustificare l’attenzione speciale prestata loro dalle agenzie di applicazione di legge39. Gestire l’immigrazione con i mezzi penali dello Stato trasforma le violazioni burocratiche in atti criminali e promuove la politica selettiva ed il trattamento differenziale davanti ai tribunali che amplificano le differenze iniziali fra i nativi e gli stranieri nella composizione e nell’incidenza dell’offesa e forza gli stranieri a vivere in un mondo sommerso all’ombra della legalità, che si regola fuori dalla fatale dialettica mortale della criminalità e del criminalizazzione che riesce ad autoalimentarsi, con le pressanti domande dal mondo giornalistico e politico per le esposizioni drammatiche della capacità dello Stato di tenere sotto controllo quest’ insidiosa minaccia alla coesione nazionale ed alla integrità europea. Con la ridefinizione di peregrinazione esterna al blocco europeo come problema “di sicurezza” sineddotticamente collegato al crimine, l’espulsione degli stranieri clandestini e di quelli che sono condannati al rimpatrio si è trasformata in un teatro mediatico il cui unico obiettivo è quello di agire al fine di “fermare l’immigrazione clandestina”- e interrompere così simbolicamente le ondate di disoccupazione, delinquenza, tossicodipendenza e di tutto quell’ insieme di mali culturali attribuiti comunemente ad essa. In Francia, per quasi vent’anni di seguito, i Ministri dell’Interno sia di destra che di sinistra si sono vantati dell’amplificazione del numero degli immigrati espulsi annualmente ed hanno cercato ardentemente l’appoggio dell’opinione pubblica in merito ai rimpatri di massa mediante aerei messi a disposizione per l’occasione. Verso la fine degli anni 90, diversi Paesi europei avevano in atto operazioni di cooperazione con la Francia per riunire 38 Robert K. Merton, “The Self-Fulfilling Prophecy,” in Social Theory and Social Structure (New York: Free Press, 1968, terza edizione aggiornata), pp. 475-490 39 Su questo processo di criminalizzazione degli immigrati, vedere il lavoro comparativo a cura di Alessandro Dal Lago, ed., Lo straniero e il nemico (Genoa: Costa e Nolan, 1998); sul caso olandese, Godfried Engbersen, In de schaduw van morgen: Stedelijke marginaliteit in Nederland (Amsterdam: Boom, 1997); e sulla situazione tedesca, Michael Kubink, Verständnis und Bedeutung von Ausländerkriminalität: Eine Analyse der Konstitution sozialer Probleme (Pfaffenweiler: Centaurus, 1993). 45 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro insieme sugli aerei i propri espulsi e allora scaricarli in Senegal, nel Mali, in Costa d’Avorio, nello Zaire, in Romania ed in Cina: una notte della fine di settembre 1996, per esempio, 43 Zairiani e 23 Senegalese, 18 dei quali erano stati imbarcati nei Paesi Bassi e 3 provenivano dalla Germania, sono stati portati con forza su un jet Euralair per il sesto volo di rimpatrio di quell’anno verso Kinshasa, dall’aereoporto Roissy-Charles-de-Gaulle. Queste operazioni sono diventate frequenti e sufficientemente ampie da promuovere la creazione ed assicurare la prosperità delle linee aeree che si specializzano nel trasporto a richiesta di stranieri espulsi – qualche stima parla di un totale di 200.000 stranieri espulsi annualmente “dalla Fortezza Europa”40. Queste operazioni effettuano una reductio ad absurdum della politica di immigrazione a pura cerimonia penale ed a grezzo mito burocratico. Non sono riti di passaggio, che contrassegnano una transizione temporale da un “prima” a un “dopo”, ma riti istituzionali che disegnano una chiara frontiera di separazione tra coloro che il rito coinvolge – stranieri indesiderati, clandestini o delinquenti, così amalgamati insieme – da coloro che non possono e non vorranno esserne coinvolti – membri della Comunità dei cittadini europei, che quindi ha una sua struttura e una solidificazione a parte41. Pretendono di drammatizzare la capacità dello Stato di sorvegliare i propri confini interni e di proteggere quelli esterni con mezzi penali, proprio perchè entrambi stanno uscendo fuori di testa sotto il peso della globale ristrutturazione economica, dal lato del mercato e dell’integrazione europea e da quello della sovranità politica. Tuttavia da un esame accurato si evince poco più oltre al carattere ridicolo di tale pretesa. Le espulsioni penali sono intese per riaffermare la legalità; tuttavia inducono ad una moltiplicazione delle irregolarità amministrative (gli espulsi spesso non hanno espedito i loro ricorsi e gli appelli legali o successivamente si sono trovati ad essere ineleggibili per “sfratto”) e ad una routinizazione delle illegalità così come la violenza sanzionata dallo Stato che può intensificare le proporzioni omicide. Dei 23.100 individui posti in Francia nelle “zone d’attesa” nel 2001, circa 14.000 sono stati espulsi, 40 Chris De Stoop, Vite, rentrez le linge. L’Europe et l’expulsion des “sans-papiers” (Arles: Solin/Actes Sud, 1996 – tradotto dall’olandese), p. 26 41 “Parlare di riti dell’istituzione è far riferimento a tutti quei rituali che tendono a consacrare o a legittimare una limitazione arbitraria, in modo che non sia riconosciuta come arbitraria bensì come legittima, naturale…Marcando solennemente il passaggio al di là di quella linea che stabilisce una divisione fondamentale dell’ordine sociale, il rito richiama l’attenzione dell’osservatore sul passaggio (da cui l’espressione ‘rito di passaggio’) quando quello che conta è la linea” (Pierre Bourdieu, “Rites of institution” (1982), in Language and Symbolic Power, Cambridge, MA:Edizioni Harvard University Press, 1991, pp. 117-126, citation p. 118, mia traduzione). 46 Diritti e castigo compreso i 1.733 posti sotto custodia della polizia per il loro rifiuto di salire su aerei alla volta del loro presunto Paese natale- la percentuale dei rifiuti da parte degli stranieri espulsi con “doppia sentenza” è considerevolmente più alta, avvicinandosi ad un terzo. In tali casi, gli espulsi devono essere spinti, strattonati ed essere trascinati a bordo dell’aereo e quindi essere vessati fisicamente durante il viaggio. Sono comunemente sedati in eclatante violazione della legge francese, le loro mani e piedi legati con manette e catene, le loro bocche chiuse con nastro adesivo, i loro toraci immobilizzati con cinghie o coperte. Sono maltrattati con forza, con percosse fisiche che frequentemente causano traumi, ferite e morte in parecchi casi. Questi “voli degli stranieri” insidiano ulteriormente il ruolo della legge in quanto sembrano violare sia il protocollo 4 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo sia l’ articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione Europea, che prevede che “le espulsioni di massa sono proibite” e che “nessuno può essere allontanato, espulso o estradato in uno Stato dove esista un rischio reale serio che sarà condannato alla pena di morte, torturato, o che riceverà altre punizioni o trattamenti inumani o degradanti”42. I funzionari dell’ Unione Europea hanno difeso la legalità di questa politica sostenendo che queste non sono “espulsioni di massa” ma “espulsioni di gruppo” di persone ciascuna delle quali ha ricevuto uno specifico decreto di espulsione. 42 Vedere la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, disponibile on line sul sito della Lega dei diritti dell’uomo: <www.ldh-france.asso.fr>. Espulsioni di massa sono periodicamente denunciate da Amnesty International, dall’Osservatorio Internazionale sulle carceri, e da altre organizzazioni che lavorano per i diritti umani nei maggiori Paesi d’Europa. 47 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro Penalizzazione, spoliticizzazione, razzializzazione Per molti aspetti, la diffusione come spettacolo penale delle ritualizzate espulsioni di massa di clandestini o di stranieri condannati nell’ Unione Europea partecipa come struttura analoga alla reintroduzione dei gruppi di detenuti tenuti in catene, di uniformi a strisce e di una vasto assortimento di punizioni che sembrano ridare di nuovo ascolto ad un’era passata di crudeltà sociale verso i detenuti neri negli Stati Uniti43. In primo luogo, si va a compiere la stessa funzione, vale a dire, trasportare al pubblico presente la rinascente fermezza penale delle autorità che organizzano il loro impegno per agire in un modo apertamente punitivo verso le categorie che vigorosamente interrompono il (sovra)nazionale ordine simbolico. Ed offre un veicolo espressivo per l’amplificazione sociale e il legittimazione culturale delle sensibilità collettive di rancore verso queste stesse categorie. Nei suoi studi sulle migrazioni algerine ed attraverso in Francia, Adbelmalek Sayad ha indicato come “l’emigrazione-immigrazione riguarda sempre due ordinamenti politici, due nazioni e due nazionalità e non semplicemente due Paesi, due società, o due economie, come siamo abituati a considerare.” Ciò implica che la migrazione esprime “una relazione di dominio fra le differenti formazioni socioeconomiche” e così fra i governi che le regolano; ciò costituisce il precipitare di un nesso interstatale che è eminentemente politico, anche per il fatto che necessariamente richiede “il trasferimento dei cittadini e così delle nazionalità e all’analisi finale dei soggetti politici.” Tuttavia, per magia, attraverso tali rituali penali di espulsione collettiva, la doppietta emigrazione-immigrazione è ridotta all’unica carta dell’ immigrazione, in sè ristretta alla presenza illecita ed intollerabile degli stranieri postcoloniali. Attraverso queste cerimonie di Stato, “il rapporto tra Stato e Stato che è al fondamento stesso dell’immigrazione [è] negato” in modo che il fenomeno “si trasformi in una questione interna, pertinente alla sola competenza dello Stato che riceve gli immigrati”44. Questo Stato può allora (pretendere di) agire estirpando e sbarazzandosi dei soggetti indesiderabili, che quindi sono cancellate come i cittadini e soggetti politici, proprio come i detenuti sono cancellati dalle liste civiche degli Stati Uniti con leggi restrittive espansive ed estensive Inoltre, “i voli degli espulsi” risultano essere 43 Il tenore razziale dei detenuti in catene deriva dal fatto che gli ultimi ad essere puniti in questo modo nel corso della Guerra Civile sono stati gli Afroamericani (Alex Lichtenstein, Twice the Work of Free Labor: The Political Economy of Convict Labor in the New South, Londra: Verso 1996, p. 160). 44 Adbelmalek Sayad, L’Immigration ou les paradoxes de l’altérité (Brussels: DeBoeck Université, 1991), 305-306, 267, e 304. Su quest’aspetto vedere anche Alejandro Portes e Janos Böröcz, “Contemporary Immigration: Theoretical Perspectives on its Determinants and Modes of Incorporation,” International Migration Review, 23 (1987), pp. 606-630. 48 Diritti e castigo assolutamente rovinosi dal punto di vista finanziario, dispendiosi da quello amministrativo e penalmente superflui – se non controproducenti – come i gruppi dei detenuti tenuti in catene. Questi sono stati istituiti nuovamente con molto clamore nell’ agosto del 1995 dallo Stato dell’Alabama (e successivamente dalla Florida, dall’Arizona, dal Wisconsin e dallo Iowa), i cui Dipartimenti Penali si erano presi il disturbo di organizzare visite dei media e giri in bus turistici affinchè si guardassero i detenuti in catene rompere rocce all’interno del penitenziario di Livermore. Ma appena quattro anni dopo, questo esperimento di punizione vendicativa ha dovuto essere abbandonato essendo risultato essere legalmente improponibile, praticamente problematico; ed eccessivamente costoso in quanto richiedeva troppi agenti di guardia per troppo pochi detenuti45. Similmente, l’espulsione per “doppia sentenzia” è un meccanismo laborioso che assorbe una parte crescente delle risorse della polizia di frontiera, fa mutare il corso dei normali processi dei detenuti ed aggrava il sovraffollamento delle carceri: molti stranieri che ricevono un decreto di espulsione scelgono di espletare completamente la propria pena piuttosto che optare per un rilascio anticipato poiché saranno trasferiti dalla prigione in un centro di detenzione per stranieri; allora spesso commettono crimini addizionali, fanno resistenza fisica, compiono atti di autolesionismo o tentano il suicidio (per esempio, ingoiando rasoi il giorno della loro espulsione) per evitare un espatrio a migliaia di miglia, che porterebbe loro del tempo supplementare dietro le sbarre per “il rifiuto di rispettare” ad un ordine di espulsione. E generano polemiche al vetriolo e intensificano un esame accurato pubblico e legale che finisce poi per velocizzare i ritorni politici e giornalistici quando avvenimenti come la morte di un espulso irrompe nel cuore delle notizie (grazie a video filmati) o conduce alle annali controversie che coinvolgono le figure politiche di spicco. Tanto come la stilizzata riaffermazione della pena a beneficio della pena, che temporaneamente previene la necessità di affrontare l’assenza di una filosofia operante nell’ambito dell’incarcerazione negli Stati Uniti, la fissazione sulla politica dell’intrusione e sull’espulsione degli stranieri extracomunitari serve da sostituto e sotterfugio per la mancanza di una politica dell’incorporazione degli immigrati e di categorie sociali simili. L’ossessione isterica con i citati contrasti acutamente emersi effettivamente servono per mascherare “il vuoto vertiginoso dell’ azione pubblica”46. E, proprio il ro45 Harry E. Allen, e Julie C. Abril, “The New Chain Gang: Corrections in the Next Century,” American Journal of Criminal Justice, 22, 1 (Autunno 1997), pp. 1-12; e Nancy A. Ozimek, “Reinstitution of the Chain Gang: A Historical and Constitutional Analysis,” Boston University Public and International Law Journal, 6 (Ottobre 1997), pp. 753-757. 46 Jean Faber, Les Indésirables. L’intégration à la française (Paris: Grasset, 2000), pp. 15-16, che va a scrivere: “la Francia non sa affatto cosa fare con i suoi immigrati. Ha 49 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro tolare fuori dal sistema carcerario per trattenere e contenere i problematici segmenti della comunità Afroamericana nei resti delle storiche Cinghie Nere permette che gli Stati Uniti continuino ad evitare di richiamare la tripla eredità di schiavitù, Jim Crow, ed il ghetto urbano, oltre la particolarmente persistente posizione dei neri nello spazio sociale e simbolico dell’America (come espresso dai loro eccessivamente elevati livelli della segregazione urbana, dalla loro quasi totale endogamia etnico e della sottile denigrazione nella percezione pubblica), lo schieramento dell’apparato penale ad occuparsi dell’immigrazione permette ad Europa di evitare di affrontare il relativo intrico profondo nel destino delle società postcoloniali del suo impero precedente oltre alle svariate forme di ostracizzazione sociale e statale, che continua a far andare fuori strada il percorso degli immigrati extraeuropei nella vita nazionale, proprio mentre arrivano a guadagnare status legale. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, la penalizzazione funziona come un canale per la depoliticizzazione dei problemi, della divisione etnorazziale e dell’assimilazione degli immigrati, che rappresentano la quintessenza della politica in quanto coinvolgono la definizione centrale di “membership” nella comunità nazionale o sovranazionale47. Questa trasmutazione delle questioni politiche – inclusione-esclusione dal comparto civico e dalle relazioni interstatali – in questioni tecniche di mantenimento dell’ ordine i confini interni ed esterni dello Stato responsabili di ricevere una soluzione penale attraverso l’attivazione designata degli apparati di polizia, dei tribunali e delle carceri per cui quelli designati oppure i membri presunti del compatto civico sono trasferiti in corpi devianti da contrassegnare, neutralizzare e rimuovere, è emblematica del sistema penale neoliberale. Così è l’articolazione paradossale dell’alta tecnologia – aeroplani, sistemi avanzati di videosorveglianza, dati elettronici di massa che possono essere consultati da innumerevoli postazioni per determinare immediatamente la condizione giuridica di qualsiasi individuo – e dell’antico immaginario: negli Stati Uniti,i gruppi di detenuti in catene sono i mezzi per evocare una passata epoca segnata da un inflessibile sistema punitivo razziale, direttamente derivante dai giorni della schiavitù Sudista; in Europa, le espulsioni per via aerea riattivano la logica culturale e le a lungo assopite rappresentazioni di trasporto e di relegazione penale come messo in pratica lavorato senza sosta per regolare gli ingressi e le espulsioni, con tutta la fermezza, e l’attenzione d’altronde, che la questione richiedeva, e cosa fare con chi rimane con noi” (Faber è uno pseudonimo di un funzionario di Stato di alto rango ufficialmente impegnato in “politiche di integrazione” per gli immi grati per conto del governo francese, le questioni che affronta sono di stampo politico e burocratico). 47 Seyla Benhabib, “Citizens, Residents, and Aliens in a Changing World: Political Membership in the Global Era,” Social Research, 66, 3 (Autunno 1999), pp. 709-744, e Michael Walzer, “Membership,” in Spheres of Justice (New York: Basic Books, 1983), pp. 31-63. 50 Diritti e castigo in Gran Bretagna e nei più importanti Paesi continentali dal diciassettesimo al diciannovesimo secolo. Non è un caso, allora, se le espulsioni di massa per via aerea e i detenuti in catene sono portatori di connotazioni profondamente arcaiche48. Per concludere, la generalizzazione dei provvedimenti di “doppia sentenza” in Europa non solo aiuta a produrre maggiore criminalità cosicchè tali leggi si rivelano essere i mezzi per sopprimere per via geografica la “neutralizzazione” dei potenziali criminali, dal momento che spingono una popolazione sempre crescente di clandestini e di espulsi rientrati verso una vita sommersa fatta di lavoro illecito, sotterfugi amministrativi, dimore non stabili, manipolazione di identità e fughe dalle autorità, che vanno a normalizzare ed alimentare i circuiti delle attività delinquenziali. Inoltre istituisce uno spazio giuridico biforcato ed asimmetrico: i cittadini dello Stato vengono puniti una volta, per il crimine commesso; lo straniero invece, anche quando integrato legalmente e socialmente, è colpito due volte, una per gli atti che lui(lei) ha commesso e un’altra per chi rappresenta. Il suo essere innesca una dose supplementare di pena, che trasmette il segnale inequivocabile che lui(lei) non fa parte dell’emergente comunità civica europea. Questo trattamento differenziale è parte della razializazzione degli stranieri nella misura in cui tratta l’ “essere straniero” come un fattore puramente criminale che porta automaticamente ad un peggioramento della pena. Essere uno straniero extracomunatario funziona dunque come un permanente e indelebile handicap penale proprio come è la condizione detentiva (e l’essere nero) negli Stati Uniti49. Ora, i sentimenti anti-immigrati nei Paesi europei hanno una storia lunga e sontuosa. Gli stranieri e i “gruppi etnici” visibili in tutto il continente sono stati di frequente associati alla varietà dei disordini, che vanno dalle minacce alla salute pubblica e dal dissenso politico alla degenerazione sessuale e ai crimini di strada sin dai tempi dell’inizio dell’era industriale urbana. La traiettoria dell’emigrazione fuori confine in tutto il Vecchio Mondo è timbrata dall’interazione di contrappunto tra nazionalismo ascendente e strisciante xenofobia50. Ma, se l’ animus anti-straniero è una relativa 48 David M. Oshinsky, Worse Than Slavery: Parchman Farm and the Ordeal of Jim Crow Justice (New York: Free Press, 1996); A. Roger Ekirch, Bound for America: The Transportation of British Convicts to the Colonies, 1718-1775 (Oxford: Clarendon Press, 1987); e Etienne Balibar, Monique Chemillier-Gendreau, Jacqueline Costa-Lascoux, e Emmanuel Terray, Sans-papiers, l’archaïsme fatal (Parigi: Edizioni La Découverte, 1999). 49 Loïc Wacquant, “Race as Civic Felony,” International Social Science Journal 181 (Primavera 2005), pp. 127-142. 50 Robert Miles, “The Articulation of Racism and Nationalism: Reflections on European History,” in Racism and Migration in Western Europe, eds. John Wrench e John Solomos (Oxford: Berg, 1993), pp. 35-52. 51 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro costante o almeno un fattore che ricorre regolarmente, la configurazione che si cristallizza alla fine del millennio differisce dalle precedenti iterazioni di trasformazione del capitalismo e di conflitto etnonazionale, in almeno tre rispetti importanti. 1. I cittadini del Vecchio Mondo attualmente affrontano, così com’ è, una doppia minaccia: la prima nasce dal basso con il consolidamento dell’ indesiderabile “intrusione straniera” negli strati più ai margini del tessuto sociale, resa più palpabile dalla conversione graduale dell’immigrazione per lavoro in immigrazione più strutturata; l’altra viene dall’alto, nell’aspetto di un giuridico e burocratico processo di integrazione europea che converge con la rivoluzione neoliberale globale, per spogliare lo Stato nazionale dalla sua capacità di penetrare e proteggere il corpo sociale. Questo movimento esacerba il senso della vulnerabilità del gruppo e la rivalità nella parte più bassa della struttura sociale ed intensifica la ricerca di capri espiatori collettivi oltre allo stimolo di escluderli piuttosto che assorbirli51. 2. L’orientamento della polizia, dei tribunali e delle carceri ad affrontare gli stranieri extracomunitari è parte di un più vasto, epocale spostamento dal Welfare al trattamento penale delle categorie e territori in questione nelle metropoli dualizzate. Per essere più precisi, “l’espulsione” degli immigrati da entrambe le aree declinanti di basso ceto (attraverso l’arresto sproporzionato, il processo e l’incarcerazione) e dal territorio nazionale (attraverso l’espulsione penale e l’allontanamento amministrativo) serve a condurre verso la messa in pratica della penalizzazione della povertà urbana destinata a completare la deregolamentazione economica e la restrizione dell’assistenza sociale nella misura in cui trae meno resistenza e perfino genera il sostegno a tale politica punitiva fra frange più precarie della classe operaia dello Stato che costituiscono il suo più grande fiasco. 3. La penalizzazione colpisce le categorie vulnerabili e stigmatizzate contro il contesto della decomposizione della classe operaia e dei suoi territori storici tale che nessuna forza centripeta della solidarietà possa neutralizzarlo in maniera efficace. Nelle precedenti epoche di trasformazione economica, il conflitto industriale e la mobilizzazione del sindacato hanno fornito sia un operante veicolo organizzativo che un idioma potente per unificare i segmenti disparati delle forze di lavoro provenienti dai vari Paesi, per fondere le questioni di lavoro e di comunità e per convertire “gli 51 Pierre Bourdieu e vari, The Weight of the World: Social Suffering in Contemporary Society (Cambridge: Edizioni Polity Press, [1993] 1999), pp. 23-36, 106-122, 317-320. Ci sono parziali precedenti storici: ostilità e stereotipi xenofobi verso gli stranieri nella Francia Sud orientale negli anni ’30 sono stati intensificati dal senso di vulnerabilità dei confini nazionali rispetto al potere straniero durante quell decennio, come argomentato da Paul Lawrence, “‘Un flot d’agitateurs politiques, de fauteurs de désordre et de criminels’: Adverse Perceptions of Immigrants in France between the Wars,” French History, 14, 2 (Giugno 2000), pp. 201-221. 52 Diritti e castigo stranieri in cittadini.” Inondando la nazionalità con i concetti di classe, posto di lavoro, i sindacati e le molteplici associazioni dei lavoratori si sono uniti con i partiti di sinistra per formare un blocco compatto che presenti i reclami collettivi allo Stato che ha tagliato e perfino cancellato i presunti lineamenti etnici nell’opinione pubblica. Al giorno d’oggi, la frammentazione del classe operaia in famiglie atomizzate che affrontano simultaneamente una crisi strutturale della riproduzione sul mercato del lavoro, nelle aree metropolitane e nel sistema scolastico appena mentre stanno per essere privati della voce in campo politico tramite lo spostamento a destra dei partiti socialisti ha spogliato gli immigrati non qualificati dal tampone istituzionale e culturale di cui hanno goduto nell’era precedente di consolidamento del codice categoria ancorata al compatto Keynesiano-Fordista52. Non è per ostilità contro gli stranieri che sia noto, allora, né il grado dell’ alterità culturale o delle caratteristiche fenotipiche dell’ ultima ondata di immigrati che spieghi l’importante presenza degli stranieri sulla scena criminale e la loro presenza voluminosa nelle prigioni di Europa. Piuttosto, è per la capacità e la tendenza notevolmente più grande dello Stato di schierare le relative risorse penali sia a livello nazionale che sovranazionale “per risolvere” i problemi, reali o immaginari, che propongono o che comprendono53, collegati alla peregrinazione oltre confine o allo spostamento dalle più vaste arene di lavoro, di luogo e di identità. Effettivamente, gli impulsi di esclusione e le formule punitive hanno dominato la costruzione di mass media e l’amministrazione burocratica dell’espansione extracomunitaria in Europa, con schemi limitati di legalizzazione, controllo esteso dei confini e espulsioni di massa, e vedono tra le tre risposte più prevalenti date in tutto il continente la continuazione di movimento sopranazionale, riunificazione della famiglia e importazione di lavoro irregolare. Il vasto discorso, unito al collegamento organizzativo fra “il lato domestico” del sistema criminale della giustizia ed il relativo “lato straniero”, promosso tramite la costruzione accelerata di un sistema a livello europeo delle misure penali per controllare l’intrusione ed amplificare l’espulsione degli stranieri indesiderabili, è un fenomeno del tutto nuovo. Di pelle più scura, ignoranti, senza freni e rozzi, inclini a crimine e 52 Vedere, in the French case, Maryse Tripier, L’Immigration dans la classe ouvrière en France (Parigi: CIEMI e L’Harmattan, 1990), soprattutto capitolo 6, per l’era del consolidamento di classe, e Stéphane Beaud e Michel Pialoux, Retour sur la classe ouvrière (Paris: Fayard, 1999), per l’era della dislocazione sociospaziale e della dissoluzione culturale. 53 L’accellerazione della creazione globale di uno spazio penale europeo dopo il Trattato di Maastricht del 1992 e il trattato di Amsterdam del 1997 Amsterdam Treaty è affrontata da, “Vers une justice pénale européenne?,” in Crime et sécurité, op. cit., pp. 414-23 53 a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro violenza: gli immigrati clandestini non sono tanto “non-persone” che conducono un’esistenza invisibile nelle zone oscure della città, come Alessandro dal Lago ha suggerito54, piuttosto anti-persone, il segno negativo la cui evidenza permette la diffusione di una personalità europea transnazionale da delinearsi e che si è affermato mediante contrapposizione sociosimbolica, così come avveniva per gli schiavi africani che fungevano da anti-cittadini nei primi decenni della Repubblica americana. Da questo punto di vista, la polizia, quanto è deciso nei tribunali e il peso punitivo degli stranieri postcoloniali, degli immigrati e categorie affini – Maghrebini e “beurs” in Francia, indiani occidentali in Inghilterra, Turchi e Rom in Germania, tunisini e Yugoslavi in Italia, marocchini e zingari in Spagna, Africani in Belgio, Surinamesi in Olanda, Angolani in Portogallo, e Albanesi in Grecia—costituisce una veritiera prova del nove, una parola d’ordine per l’Europa55. La loro evoluzione ci permette di riconoscere il grado a cui si ferma l’Unione Europea o, al contrario, si conforma alla politica americana della criminalizzazione della povertà e della marginalizzazione urbana come complemento della generalizzazione dell’insicurezza sociale e della destabilizzazione della gerarchia etnica nelle metropoli. Come per il destino carcerario dei neri degli Stati Uniti, ne ricaviamo una preziosa ed imprescindibile indicazione del tipo di città, di società e di Stato che l’Europa si sta trovando a costruire sulle impalcature del trionfante neoliberalismo. (versione aggiornata al 4/4/2005) *Questo articolo è una versione estesa di un più breve estratto distribuito in absentia alla sessione su “ Il potere di punire” agli incontri dell’Associazione Criminologica scozzese, tenutasi ad Edimburgo – Scozia, 11/12 settembre 2003, basata sul capitolo 6 del mio libro Simbiosi mortale. Ringrazio i partecipanti e i colleghi che mi hanno comunicato il loro appoggio per via elettronica e d’altra parte mi hanno stimolato a partecipare a questo dibattito (un ringraziamento speciale a David Garland e Richard Sparks). 54 Alessandro Dal Lago, Non-Persone. L’esclusione dei migranti in una società globale (Milano: Feltrinelli, 1999). 55 Pierre Bourdieu, “The Fate of Foreigners as Shibboleth,” in Acts of Resistance: Against the Tyranny of the Market (Cambridge: Edizioni Polity, 1998), pp. 15-18 (mia traduzione). 54 Indice Premessa di IMMA BARBAROSSA » 5 Introduzioni di SUSANNA M ARIETTI e GENNARO SANTORO Oggi più che mai, l’importanza del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura di SUSANNA M ARIETTI La tutela dei diritti dei detenuti: strumenti nazionali e sovranazionali di GENNARO SANTORO » 7 » 10 » 13 » 17 » 26 » 31 » 55 » 59 » 71 » 83 » 87 » x Giustizia e sicurezza viste da sinistra A RTURO SALERNI La sicurezza liquida: dal sociale all’individuale Intervista a Zygmunt Bauman SUSANNA M ARIETTI Tolleranza zero: l’anticamera della tortura PATRIZIO GONNELLA Penalizzazione, spoliticizzazione, razzializzazione. Sull’eccessiva incarcerazione degli immigrati nell’unione europea LOÏC WACQUANT Media e diritti umani A NNA PIZZO Istituzioni totali e tutela dei diritti umani Intervista a Mauro Palma GENNARO SANTORO Fotografie di Stefano Montesi Istantanee dalle istituzioni totali. Le più gravi denunce riscontrate negli ultimi due rapporti del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura a cura di GIOVANNA OLITA E GENNARO SANTORO I Rapporti del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura relativi alle visite effettuate in Italia nel 2004 e nel 2006 e le relative risposte del governo italiano Traduzioni a cura di GIOVANNA OLITA Gli autori 3 Diritti e castigo Il rapporto sulle istituzioni totali italiane del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura Cantieri: Carta/Edizioni Intra Moenia 2007. Pubblicazione Copyleft Edizioni Intra Moenia s.r.l. 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