il bosco e il lupo

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il bosco e il lupo
Elisa C. De Mores
IL BOSCO E IL LUPO
Prefazione di
Neuro Bonifazi
Edizioni Helicon
I
Uscendo da casa per andare al lavoro, un lunedì mattina,
Ofelia trovò, alla fine delle scale, un uomo appoggiato a una
catasta di scatoloni e di libri. Era una persona di mezza età,
dall’aspetto solido, massiccio e tranquillo. La colpì il suo
monocolore: maglia e pantaloni ruggine che avevano una
tonalità appena più scura della sua carnagione biondo-rossastra. Perfino le scatole su cui si appoggiava erano dello stesso colore. L’uomo la guardò appena mentre passava, senza
muoversi. Il portone era aperto e fuori c’era un camioncino
dal quale un ragazzo scaricava altri libri e scatole.
Al rientro a casa dal lavoro, Ofelia trovò il pianerottolo
davanti al suo appartamento occupato dagli scatoloni che
aveva visto la mattina. Il domestico aveva già portato dentro
i libri sciolti. Un individuo piccolo e grassoccio, vestito di
scuro, lo controllava.
Appena la vide, abbozzò un inchino e si presentò come Ulrich Kesser, incaricato dallo studio Viernes di Francoforte,
di consegnarle personalmente i libri e i documenti da parte
di un anonimo donatore.
Le diede un foglio in cui erano elencati i libri e i contenuti
degli scatoloni, e una busta che conteneva due biglietti aerei
Roma-Francoforte, per la partecipazione alla prossima Fiera
del Libro che si teneva in quella città.
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Nonostante fosse ancora sorpresa e incredula, Ofelia firmò
e il signor Kesser andò via.
Un anonimo donatore le aveva mandato tutta quella roba.
Non poteva crederci. Ofelia prese le liste e cominciò a scorrerle. C’erano opere di letterati italiani dal secolo quattordicesimo al ventesimo e, negli scatoloni, ricerche e relazioni
di studiosi dell’ottocento e del novecento. Era un patrimonio
di immenso valore. Fu assalita da un dubbio atroce: e se fosse la refurtiva di qualche biblioteca pubblica o privata? Ma
perché mandarla a lei? Forse perché collaborava alla stesura di un’ enciclopedia degli Autori? Ma perché proprio lei?
C’erano altri collaboratori.
La mattina seguente si recò dall’Addetto culturale dell’ambasciata tedesca al quale espose i suoi dubbi.
“Si possono chiedere informazioni. Se ha la bontà di attendere qualche minuto, farò alcune telefonate.”
Tornò dopo dieci minuti circa.
“È tutto regolare, signora. Il materiale è stato inviato dallo
studio Viernes che garantisce che il donatore aveva legalmente ricevuto la biblioteca del nonno in eredità.
Ofelia andò al lavoro con l’intenzione di indagare tra i
collaboratori. Durante la pausa pranzo avviò la conversazione sulla Fiera del Libro di Francoforte.
“Quest’anno mi piacerebbe andarci. Per caso qualcuno di
voi ha delle conoscenze tra gli organizzatori, gli autori tedeschi o le Commissioni?”
Nessuno era stato in Germania né aveva parenti o conoscenze là.
Il mistero rimaneva. Non sapeva neppure la nazionalità
del donatore. Poteva essere sia italiano che tedesco.
Decise che doveva sistemare in qualche modo tutto quel
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patrimonio e pensò che poteva utilizzare il salottino a ridosso
della veranda, che era spazioso e luminoso. Per fortuna poteva contare sull’aiuto di Balde, il ragazzo guineano che lei e
suo marito avevano portato al rientro dall’Africa e che, dopo
la fine disastrosa del suo matrimonio, era rimasto con lei.
Acquistò due scaffali e sistemò in uno tutti i libri nello
stesso ordine in cui erano elencati nella lista, e nell’altro i
documenti che erano già raccolti in cartelle sul cui dorso era
specificato il contenuto.
Era un patrimonio di un enorme valore culturale ma anche di un incalcolabile valore pecuniario. C’erano addirittura volumi stampati nel cinquecento e nel seicento, ormai
introvabili.
Ofelia non disse mai a nessuno dei collaboratori, parenti
e conoscenti, della sua biblioteca. Gli ospiti non andavano
mai in quella parte della casa, e anche i parenti stretti non vi
facevano caso, considerandolo il suo studio privato.
Ai collaboratori dell’Enciclopedia venivano di volta in
volta assegnate le ricerche su uno o due autori, e nessuno
chiese mai a Ofelia dove prendesse le notizie relative, essendo scontato che andasse nelle biblioteche. Se qualcuno si
meravigliava per la ricchezza delle sue ricerche, sosteneva
che conoscendo diverse lingue, consultava anche testi stranieri.
Il tempo passava e quel lavoro riempiva di soddisfazione
Ofelia. Aveva rinunciato a cercare di scoprire chi fosse l’anonimo donatore. Non aveva mai conosciuto un letterato al
di fuori di quelli della sua cerchia, ma certamente lui sapeva
chi era e che lavoro faceva. Forse non era un letterato, ma
soltanto una persona che aveva voluto disfarsi, nel modo
migliore, di un’eredità ingombrante.
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Restava il mistero dei biglietti d’aereo per la Fiera di
Francoforte. Ofelia voleva andarci a tutti i costi. L’anonimo
donatore forse voleva incontrarla.
Telefonò al suo amico Alessio per chiedergli se era disponibile ad accompagnarla a Francoforte. Era l’unica persona
a cui potesse rivolgersi senza tema di complicazioni.
Alessio era un bel ragazzo di ventitre anni, nove in meno
di Ofelia, ed era suo amico da quando, tre anni prima, si
erano ritrovati a lavorare nello stesso ufficio. Avevano simpatizzato immediatamente e la loro era una vera e meravigliosa amicizia. Era sensibile, generoso, affettuoso e sempre
disponibile, come solo i gay possono esserlo con le donne.
Il lavoro li aveva separati ma la loro amicizia non ne aveva sofferto. Si ritrovavano ogni tanto per andare a concerti
o visitare mostre, dal momento che Alessio aveva sempre
dei biglietti omaggio per due persone. Avevano più o meno
gli stessi gusti in fatto di arte e amavano discuterne per ore.
Si trovarono al bar sotto il loro vecchio ufficio e Ofelia gli
raccontò ciò che le era capitato.
“Ti ho cercato perché volevo parlartene e tua sorella mi
ha detto che eri partito in ferie e che saresti tornato alla fine
del mese.”
“A te succedono sempre le cose più incredibili, sia buone
che cattive. Ci puoi giurare che verrò.Ti assicuro che starò
attento a ogni particolare che possa tradire lo sconosciuto.”
“Voglio proprio vederti all’opera.”
Da veri imbranati non pensarono a prenotare l’albergo,
così quando si fecero portare all’hotel più vicino alla Fiera, si sentirono dire che non c’era una camera disponibile e
che non l’avrebbero trovata in nessuno degli alberghi vicini.
Forse potevano trovare qualcosa fuori città.
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“Andiamo, ci rivolgiamo all’Ufficio turistico.”
“Aspetta. Senta, non è stato prenotato niente per la signora
Ofelia Casti?”
“Sì, signora. Perché non lo ha detto prima?”
“Non ero sicura che fosse stato fatto.”
“Vi faccio accompagnare alle vostre camere.”
Le camere si trovavano davanti a un salottino alla fine del
corridoio. Dopo che l’inserviente ebbe depositato i bagagli,
si sedettero nelle poltroncine, si guardarono e si misero a
ridere.
“Come ti è venuto in mente di chiedere della prenotazione?”
“Improvvisamente ho pensato che lo sconosciuto non poteva aver fatto le cose a metà.”
“È incredibile. Sembra un film.”
“Ma chi diavolo è questo individuo? Magari è un tizio
vecchio, calvo e grasso che ti vuole conquistare con tutta
questa grandiosità.”
“Non so. Forse dopo la Fiera non succederà più nulla e
non saprò mai chi è. Credo che sia proprio ciò che vuole.”
“Bene, diamoci una rinfrescata e andiamo in giro fino
all’ora di cena.”
La camera di Ofelia era ampia e accogliente. Sembrava di essere a casa. Sullo scrittoio c’era un vaso con delle
rose che prima non aveva notato. Si avvicinò e scorse un
biglietto: - Benvenuta. L.H.W. - Qualcuno aveva portato i
fiori durante la sua assenza. Cominciava a irritarsi per tutti
questi sotterfugi. Chiamò la cameriera e le chiese chi avesse
mandato i fiori. Rispose che erano stati consegnati da un
fattorino il quale non sapeva chi li avesse ordinati.
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II
Era una follia visitare tutta la Fiera internazionale del Libro. Ci sarebbero voluti giorni. Ofelia non aveva intenzione
di fermarsi tanto. Aveva perso ogni interesse e certamente
non avrebbe risolto il problema. Il donatore non voleva farsi
conoscere. Era distratta e inquieta. C’era troppa gente per i
suoi gusti. Non le piaceva la folla.
Improvvisamente si fermò e fece qualche passo indietro.
C’era un libro il cui autore aveva le stesse iniziali del biglietto dei fiori: L.H.Weltverse. Poteva essere una coincidenza.
Prese il libro. Non conosceva il tedesco, ma aprendolo, vide
che a lato c’era la traduzione in italiano. Era un libro di poesie. Prima che potesse cercare il titolo italiano, un signore
che aveva già notato e che andava in giro scrivendo qualcosa su un taccuino, le si rivolse chiedendole se le piaceva la
poesia.
“Sì, certo. Ma è un caso che abbia preso questo libro. L’ho
fatto distrattamente.”
“Ho notato che guardava la traduzione in italiano, perciò
mi sono rivolto a lei in questa lingua. È italiana, vero?”
“Chi è l’autore? Lo sa?”
“Si sa solo che quello con cui si firma è uno pseudonimo.”
Alessio si era avvicinato incuriosito, ma quel signore, che
non si era neppure presentato, salutò e andò via.
“Hai scoperto qualcosa?”
“Sì, sguardi di ammirazione per te. Nient’altro.”
“Senti, torniamocene a Roma. Se quello sconosciuto mi
ha mandato i biglietti perché voleva incontrarmi, lo avrebbe
già fatto. Se invece ha intenzione di divertirsi, non voglio
essere l’oggetto del suo divertimento. Forse è meglio che
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non sappia chi è.”
La prenotazione per il rientro era fissata per due giorni
dopo, ma Ofelia, pagando una penale, riuscì ad avere il posto per la sera.
Prima di lasciare l’albergo chiese il conto e le fu riposto
che era già tutto pagato.
“C’è un pacchetto per lei che è stato recapitato due ore fa.”
Ofelia lo prese e lo mise nella borsa.
Nella sala d’attesa all’aeroporto, lo aprì e, come aveva
pensato, conteneva un libro. Lo stesso che aveva preso alla
Fiera. Lesse il biglietto che lo accompagnava:
“Gentile signora, sono riuscito ad avere dall’autore questo
libro con dedica autografa. Karl Kruber.”
Ofelia pensò per un attimo che il signore della mattina potesse essere il donatore sconosciuto, ma la dedica era vergata con una scrittura completamente diversa: “A Ofelia, i cui
azzurri occhi, anni fa, hanno rapito il mio cuore. Laevio.”
Fece vedere la dedica ad Alessio.
“Non ricordo alcun Laevio e certamente nessun tedesco
che parlasse italiano o italiano che parlasse tedesco. Ne so
quanto prima.”
“Potresti averlo conosciuto all’estero.”
“Non riesco a ricordare. Un tedesco che fa lui stesso la
traduzione in italiano dei suoi versi, come se fosse la sua
lingua madre. Senti:
“I ricordi di lei / lasciavano la mente / come sulla spiaggia
/ l’onda fa scivolare / tra le dita / i granelli di sabbia / lentamente in mare / Ma una nuova onda / riportarli intende / e
più profonda / riede la nostalgia/che il desiderio offende.”
“È una poesia triste, di un uomo innamorato senza speranza.”
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“Preferisco i canti di gioia. La tristezza mi deprime.”
“Ma il dolore fa crescere, ti fa vedere la realtà delle cose,
Alessio, e non ti fa trovare impreparato davanti alle avversità. Se il dolore non lo conosci, che è la privazione di
qualcosa, compresa la salute, come puoi sognare un mondo
migliore?”
“Cominciamo con la filosofia, adesso?”
“No, no, non ne ho alcuna intenzione.”
Chiamarono per l’imbarco. Appena l’aereo fu in quota,
Ofelia disse:
“Mi presti la tua spalla? Voglio dormire.”
“Certo, cara.”
Ma non dormì. Non riusciva a non pensarci. Conosceva il
suo nome. Uno che l’aveva incontrata anni fa e che la conosceva bene, a quanto pareva. Il pensiero che potesse trattarsi
del suo ex marito fu subito scartato: era un tipo materialista
e non scriveva poesie. I suoi regali sarebbero stati di tutt’altro genere. E per quanto l’avesse ingannata e tradita in tutti
i modi, non lo riteneva capace di servirsi di complici per un
diabolico scherzo. Era uno che agiva da solo.
Dove voleva arrivare lo sconosciuto? Se, come diceva
nella dedica, gli aveva rubato il cuore, perché non voleva
incontrarla? Forse era sposato e non voleva un legame. O
pensava che lei non fosse libera. Oppure il suo era un sogno
sbocciato da un incontro casuale e ne aveva fatto un amore
platonico. Doveva essere un tipo strambo.
Riprese il suo lavoro e la lettura dei documenti avuti in
dono. Sprofondava talmente nella lettura che, quando smetteva perché gli occhi le bruciavano, non ricordava neppure
se quel giorno aveva mangiato.
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III
Balde era partito per le ferie e Ofelia non aveva alcuno
vicino che le ricordasse i pasti o altro da fare che non fosse
la lettura.
Una mattina si svegliò con una sensazione di colpevolezza. Non aveva ringraziato il donatore.
Anche se non sapeva chi fosse poteva mandare una lettera
di ringraziamento allo studio. Decise di farlo subito.
“Gentile signore,
mi scuso anzitutto per non aver scritto prima. All’inizio
sono stata sorpresa e incuriosita. Piacevolmente sorpresa,
devo dire. La grandiosità del regalo mi ha fatto perdere ogni
regola di buonsenso e di educazione. In seguito sono stata
presa dal desiderio di conoscere il donatore e non ho pensato ad altro.
Sono stata sciocca, lo so. Non credo di meritare il dono.
Sono stata a Francoforte solo perché pensavo di incontrarla. Non amo la confusione delle Fiere. Troppa gente e troppo da vedere in poco tempo. Mi provoca agitazione.
Non sono avvezza ad accettare regali, e ancor meno da
sconosciuti. Ora mi sento imbarazzata per aver accettato
senza pensarci.
Se la deludo e non mi ritiene degna del regalo, la prego di
mandare a riprenderlo.
Non so chi ha mandato i fiori e il libro. Se è stato lei, la
ringrazio di cuore; mi ha fatto piacere riceverli.
La ringrazio comunque per la sua generosità e la saluto
Ofelia Casti
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