cool luglio

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cool luglio
anno IV
numero 39
luglio 2007
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CoolClub.it
Siamo del fronte di liberazione dal luogo comune, siamo gente del Sud est indipendente. Un sud slegato, ma che
entra in circolo, gira e si fa sentire. Sei… come un invito a essere se stessi. S.e.i. come sud est indipendente, la nostra
dichiarazione di esistenza in questo territorio. S.e.i è il nome che abbiamo deciso di dare al festival estivo che da due
anni organizziamo. Un festival obliquo, complementare alle proposte che troverete in giro in questi mesi. Skatalites l’8
agosto per capire dove tutto ebbe inizio e Verdena il 9 per vedere dove stiamo andando. Sud est indipendente è
anche il titolo di questo numero del giornale. Numero dedicato al salento creativo, che mai come in questo momento
(frase che uso spesso… buon segno) sembra prolifico.
Un sacco di amici a partire dagli Insintesi, a cui abbiamo dedicato la copertina, escono in questi giorni con album,
su compilation, addirittura all’estero (la bellissima voce di Agnese Manganaro di cui abbiamo già parlato nei numeri
precedenti, arriva in Giappone. Il brano E vai via viene inserito in una compilation licenziata dalla Aperitivo records).
Maurizio Vierucci, in arte Creme, vecchio e grande amico di Coolclub, arriva finalmente al suo debutto discografico.
Affiancato da Cristina Donà, che gli fa visita tra le tracce, esce in questi giorni con un singolo che precede l’album
pronto a settembre per A&R Faier Entertainment. E poi Anima Mundi, etichetta che cattura e imprime i suoni di questa
terra e del mondo, il reggae scelto dai Sud sound system, quello raccolto da Treble, i suoni mediterranei della Banda
Adriatica, quelli elettronici di Black zone Ensemble e la pizzica senza tempo di Nidi d’Arac e tanto altro. Il racconto
di quello che vi siete persi, le segnalazioni di quello che accadrà e poi musiche, visioni, suggestioni. Un altro numero,
un’altra estate. Il prossimo, come ormai è nostra consuetudine, sarà dedicato ai racconti, i vostri. Se volete partecipare
potete contattarci a [email protected].
Buona lettura.
Osvaldo Piliego
CoolClub.it
Via De Jacobis 42 73100 Lecce
Telefono: 0832303707
e-mail: [email protected]
Sito: www.coolclub.it
Anno IV Numero 39
luglio 2007
Iscritto al registro della stampa
del tribunale di Lecce il
15.01.2004 al n.844
Direttore responsabile
Osvaldo Piliego
Collettivo redazionale
Dario Goffredo, Pierpaolo Lala,
C. Michele Pierri, Cesare Liaci,
Antonietta Rosato
Hanno collaborato a questo
numero:
Dino Amenduni, Gennaro
Azzolini, Federico Baglivi,
Dario Lolli, Camillo Fasulo,
Luana Giacovelli, Ilario
Galati, Livio Polini, Nicola
Pace, Pierfrancesco Pacoda,
Emanuele Flandoli, Giancarlo
Susanna, Elvis Ceglie,
Gianpaolo Chiriacò, Stefania
Ricchiuto, Rossano Asremo,
Valentina Cataldo, Ludovico
Fontana, Mauro Marino,
Anna Puricella, Villy De Giorgi,
Roberto Cesano
In copertina gli Insintesi (foto
Alice Pedroletti)
Ringraziamo le redazioni
di Musicaround.net,
Blackmailmag.com,
Primavera Radio di Taranto
e Lecce, Controradio di
Bari, Mondoradio di Tricase
(Le), Ciccio Riccio di Brindisi,
L’impaziente di Lecce,
QuiSalento, Pugliadinotte.net,
Rete Otto e SuperTele.
Progetto grafico
dario
Stampa
Martano Editrice - Lecce
Chiuso in redazione con
un giorno di ritardo: per un
incidente...
L’abbonamento al giornale
varia dai 10 ai 100 euro. Per
informazioni 3394313397.
4 Insintesi
7 Anima Mundi
9 BandAdriatica
13 Keep Cool
27 Coolibrì
35 Be Cool
39 Appuntamenti
}
S U D EST INDIPENDENTE
Non è la prima volta che un gruppo
salentino campeggia in copertina e in
apertura del nostro giornale (Bludinvidia,
Studiodavoli, Negramaro, Amerigo Verardi).
Tributo a una terra che sempre più spesso
ci stupisce piacevolmente, un panorama
musicale e culturale che in questo ultimo
periodo sta definendo i suoi contorni.
Quelle realtà che solo poco tempo fa
sembravano acerbe e abbozzate oggi
sbocciano, altre crescono e diventano
mature e pronte per farsi vedere ai più. Ci
si sdogana dall’amatoriale e il locale e si
entra nel “circuito”. Debuttanti o marinai
navigati si tuffano anche questa estate
nel calderone delle proposte editoriali,
musicali e non. Tra i vari prodotti locali
anche la cultura sembra attraversare una
buona annata, merito di un’oculata e
paziente fermentazione. Vecchio e nuovo
sembrano conciliarsi, a volte si incontrano
a metà strada. Un occhio alla tradizione
ma anche ai nuovi suoni, perché il Salento
(non ci stancheremo mai di dirlo) è tante
cose. Quasi provocatoria la scelta di
dedicare la copertina al progetto Insintesi,
da anni nell’underground, oggi in uscita
con Subterranea il loro primo album firmato
dall’etichetta
Altipiani.
Drum’n’bass,
reggae, noise, elettronica, acustica,
dialetto salentino, inglese, greco, Italiano,
gli Insintesi sono il Salento oggi. Abbiamo
parlato con Francesco Andriani.
Insintesi, un gruppo tanto longevo quanto
cangiante. Da anni rappresentate una
colonna della musica indipendente
salentina. Come siete cambiati e cosa è
cambiato intorno a voi?
Intanto grazie per definirci una colonna
della musica indipendente salentina,
quest’affermazione da una parte mi fa
piacere e dall’altra mi fa sentire vecchio!
In effetti in quasi 10 anni di attività ne sono
successe di cose, il nostro modo di suonare
è un po’ cambiato, siamo passati dal
cantare in italiano ad arricchire le nostre
liriche con altre lingue mediterranee e
ad utilizzare anche l’inglese, il suono è
diventato più meticcio, ma alla base della
nostra musica è rimasta in primo piano la
nostra propensione verso il dub. Utilizzare
riverberi e delay per dilatare i suoni e le
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voci, anche quando proponiamo dj set
drum’n’bass e jungle, sono rimaste le nostre
principali caratteristiche. Intorno a noi
sono ruotate tante persone ed esperienze
diverse che ci hanno influenzato ed hanno
portato la loro esperienza all’interno della
nostra “famiglia”, noi non siamo solo dei
musicisti ma anche dei dj, organizzatori e
dei fruitori di musica. Mi piace pensare che
molte delle cose che hanno influenzato il
nostro suono non provengano solo dalla
musica, ma anche dal teatro e soprattutto
dalle nostre esperienze al di fuori del
gruppo, ognuno porta quello che gli altri
non potrebbero portare.
Da sempre perfezionisti, finalmente uscite
con un album licenziato da Altipiani. Come
avete lavorato a queste canzoni?
Abbiamo
lavorato
da
perfezionisti
appunto, tornando mille e mille volte sui
brani fino a quando non abbiamo ritenuto
di non potere più andare oltre, fino a
quando i brani non sono arrivati ad essere
come li avevamo pensati. Abbiamo avuto
l’opportunità di stampare questo disco
per Altipiani appunto, una discografica
molto attiva nel circuito romano, il disco
verrà distribuito a settembre da Edel e
quest’estate da Anima Mundi. Siamo un
gruppo che ama l’indipendenza e per
questo ci siamo presi tutto il tempo che
volevamo per lavorare sulle tracce senza
alcuna limitazione e facendo allo stesso
tempo mille altre esperienze.
Un approccio nuovo alla salentinità che
comunque traspare in alcune liriche, qual
è il vostro rapporto con questa terra e
quale con il mondo?
Diciamo che il discorso è salentino e non,
ad un certo punto, dopo aver lavorato
molto sui suoni, ci siamo chiesti quale fosse
la strada più “vera” per noi da seguire
e ci siamo guardati intorno. Il Salento
è una terra che può dare parecchi
spunti, c’è una fortissima scena etnica
ed un’altrettanto forte scena reggae,
abbiamo cercato di portare la nostra
propensione di sperimentatori all’interno
di questi mondi. Il disco però non è solo
salentino, ma più in generale mediterraneo
grazie al contributo dei tanti artisti che ci
hanno dato una mano nella realizzazione.
Nel disco si sente il Mediterraneo, l’Oriente,
ma anche Londra, Bristol, la Giamaica…
Trovi?
Direi di si, credo siano stati questi i
nostri riferimenti appunto, più o meno
consapevoli. Abbiamo anche cercato di
ampliare il discorso alle immagini, infatti
all’interno del disco c’è una traccia video
su un nostro brano, realizzata interamente
in 3D da Shockvideo, un talentuoso
videomaker leccese con il quale
collaboriamo anche nei dj set.
Molte le vostre collaborazioni…Ce ne
parli?
Qui la lista è veramente lunga, perché
in 10 anni di cose ne abbiamo fatte
veramente
tante.
Io,
Francesco
“Pastic” Marra
e Alessandro Lorusso
rappresentiamo il nucleo storico. Nel disco,
oltre la collaborazione del video, abbiamo
utilizzato 5 voci ognuna con una sua
timbrica ben precisa e differente dalle altre.
In primis la voce di Michela Giannini che è
la nostra cantante storica, la voce che più
di ogni altro ci ha accompagnati in questi
anni e che grazie alle sue caratteristiche
ci ha permesso di sperimentare sonorità
e soluzioni molto differenti. Lei riesce
con disinvoltura a cantare in inglese, ad
interpretare in maniera originale il reggae
salentino ed avendo un’origine per metà
greca anche ad adattare questa lingua
alla nostra musica.
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Spesso nel disco la sua voce si alterna con
quella di BMC dei Bleizone, crew reggae
leccese, la sua è sicuramente una delle
voci più interessanti del nuovo panorama
reggae, sia per la sua profondità che per
le sue metriche. Abbiamo lavorato poi con
Vera Di Lecce dei Nidi d’Arac (gruppo
con il quale in questi anni abbiamo spesso
collaborato e dal quale abbiamo anche
appreso tanto) adattando la nostra musica
ad alcune sue metriche in spagnolo, tanto
per far capire l’estrema libertà e la voglia
di sperimentare che ha contraddistinto
questo disco. Valentina Grande è la voce
dell’unica canzone in italiano del cd mentre
Sandra Caiulo è la cantante del brano che
apre il disco stesso. C’è poi Vito De Lorenzi
che suona le percussioni sul nostro singolo,
Iman.
Oltre a essere una band siete anche
animatori della scena elettronica e
drum’n’bass salentina. Ci parli un po’ del
fermento di questa scena?
La scena, se così vogliamo definirla, è in
crescente evoluzione credo che negli ultimi
anni si sia fatto tanto per dare continuità e
organizzazione al lavoro. Noi insieme a Dj
Maik, uno dei dj più talentuosi che conosca
non solo a livello locale, e a tanti altri amici
con cui abbiamo formato Turntable Crew
abbiamo cercato di unire le forze per
tracciare un percorso comune che ad
esempio quest’estate ci sta portando, per il
terzo anno consecutivo, all’organizzazione
e produzione di Summerbass il nostro festival
legato alla musica jungle e d’n’b che ogni
martedì di luglio e agosto proponiamo al
Mediterraneo (sulla litoranea San Cataldo/
San Foca).
Nel Salento esiste, da qualche anno, una
scena rave, come vi ponete rispetto a
questo movimento?
Diciamo anche che la scena dei rave
esiste da più di qualche anno, ed è un
movimento adiacente ma anche diverso
dal nostro che è forse un po’ più legato al
club... ma qui ognuno potrebbe dare la
sua personale risposta.
Vantaggi e svantaggi di fare musica nel
Salento.
Nel Salento si sta bene c’è un grande
fermento, ma purtroppo mancano le
strutture dove poter aggregarsi e produrre,
questo è veramente un gravissimo
problema che va affrontato seriamente
perché bisogna capire che la musica non è
una disgrazia, come ad esempio pensano
gli abitanti del centro storico della mia
città, ma un valore. Penso poi che questa
regione bisogna rispettarla ed amarla,
come facciamo un po’ tutti noi salentini,
ma non dobbiamo pensare che il mondo
sia solo il Salento, c’è tanto da esplorare e
Insintesi ha ancora voglia di confrontarsi e
conoscere.
Osvaldo Piliego
Sud est indipendente
Tutti pazzi per loro, un fenomeno musicale
e mediatico incredibile: sono i salentini
veraci Negramaro. Solo due anni fa gli
dedicammo una copertina parlando di
Puglia da esportazione. Amici di vecchia
data, ormai lanciati verso galassie che
possiamo solo immaginare, dove i numeri
fanno girare la testa. Difficile giudicare chi
ha raggiunto il successo, molti rischiano
di lasciarsi prendere dall’invidia, altri
dall’entusiasmo. Molto più difficile sarà
stato per loro rimettersi al lavoro a un
nuovo disco, con responsabilità pesanti
come macigni e tanta, tanta attesa.
Simbolo del Salento rock-pop che ce
la fa, un Salento che portano nel cuore
e non si stancano mai di menzionare e
ringraziare. Non si può parlare di uscite
discografiche senza parlare di un disco
dal dna salentino che scala le classifiche
con la stessa facilità con cui Giuliano si
inerpica nei suoi inconfondibili falsetti.
Consacrazione e celebrazione di uno
stile solo loro, sferzate rock a chi pensava
a un secondo episodio melenso, amore
a profusione, una scrittura che cita
la canzone d’autore degli anni ‘60.
Chi ha paura della melodia “scagli la
prima pietra” perché
ragionare sul
pop è controverso, pericoloso. Essere
primi in classifica è croce e delizia. Il tuo
nome campeggia accanto a pupazzi
impagliati con un microfono in mano.
Può succedere allora di dimenticare che
i Negramaro scrivono e suonano come
pochi sanno fare in Italia (non parliamo di
indie sia bene inteso) ed è incoraggiante
che a spartisi il successo non siano un
produttore di 50 anni e un labtop. I
gusti poi, quelli sono un’altra cosa. Noi
di Coolclub.it non possiamo che essere
orgogliosi. La finestra è un disco italiano,
molto, ma non solo. I Negramaro sanno
leggere ciò che li circonda e tradurlo
in canzoni che funzionano. Un’ascesa,
quella di questi sei ragazzi raccontata
anche da Lucio Palazzo in Negramaro
- Storia di 6 Ragazzi edito da Aliberti
Editore.
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Produzione, distribuzione, vendita,
sito internet: Anima Mundi è tutto
questo e molto altro ancora. Da
Otranto, Giuseppe Conoci si muove
alla ricerca di nuovi gruppi, nuove
sonorità che facciano rivivere la
musica tradizionale del Salento
ma non solo. “L’idea è nata nel
2002 dal mio incontro, casuale e
magico, con il gruppo di gitani
Troublamours”, racconta Giuseppe.
“Un colpo di testa, uno al cuore, un
tocco di sana follia e nel 2003 arriva la prima pubblicazione di
Anima Mundi. Il nostro è un invito ad abbandonare per un attimo
la sovranità della ragione per abbandonarsi ad un luogo interiore
di sospensione dalla vita orizzontale governato dall’anima e dal
cuore. Anima Mundi è una filosofia di vita che si esprime con
le note, la musica”. Dopo le prime produzioni degli scorsi anni,
questa estate Anima Mundi decide di ampliare il proprio catalogo
con ben sei uscite. Le prime sono già in distribuzione. Si tratta di
Tis Klei di Ninfa Giannuzzi, Nuzzelu e Pparolu (Semi e Parole) e di
Mandatari di Dario Muci e Valerio Daniele.
E forse non è un caso che il percorso di Anima Mundi riprenda con
tre lavori diversi ma ugualmente
interessanti. Il cantastorie e poeta
popolare di Ostuni Tonino Zurlo è
osannato da artisti del calibro di
Moni Ovadia e Giovanna Marini.
Fra la tradizione letteraria dialettale
pugliese, la musica popolare
orale, e le sue originali intuizioni
sull’essenza della natura umana
e sull’assurdità del nostro tempo
presente, le composizioni di Tonino
Zurlo sono uno squarcio di umanità
rivolto all’uomo contemporaneo
che abbia voglia di interrogarsi
in profondità, e porsi in cerca di
una verità essenziale, in cammino
Dal 1998 i Nidi D’Arac miscelano la
tradizione con le sonorità elettroniche, la
piccola città di provincia con la metropoli,
Lecce e il Salento con la capitale. Dopo
San Rocco’s Rave (con il titolo che era
già un programma di intenti) il gruppo
capitanato da Alessandro Coppola torna
con Salento Senza Tempo.
Il gruppo sorprende tutti con un cd
acustico nel quale con chitarre, violino,
pianoforte, tamburelli paga tributo alla
musica popolare salentina attraverso la
composizione di musiche ispirate a questa
terra e alla sua magia.
“La modernità vive dentro di noi, nel
nostro modo di pensare, di creare”,
SUD EST INDIPENDENTE
verso una Nuova Coscienza, verso
un mondo migliore che “in realtà
esiste già e attende soltanto di essere
riconosciuto e svelato…”.
Dalla Grecìa arriva invece una delle
voci più importanti della nuova scena
musicale salentina. Ninfa Giannuzzi
ha sperimentato in lungo e in largo
nei generi musicali, ritagliandosi un
ruolo di primo piano in una ipotetica
storia della musica della nostra terra.
Questo suo primo lavoro solista (che la vede accompagnata da
validi musicisti) parte dal Salento con la riproposta di brani della
tradizione e di inediti esclusivamente in lingua grika, riarrangiati
in una nuova veste contemporanea, ma affronta un cammino
che tocca e rivede i canti tradizionali di Albania, Grecia, MedioOriente, Nord Africa, Spagna, Portogallo, Cile, Perù e Messico. Si
dipana, in tal modo, un ipotetico viaggio sonoro nei Paesi che
si affacciano sul Mediterraneo, e passando attraverso lo Stretto
di Gibilterra, supera l’Oceano Atlantico e si ferma nell’Oceano
Pacifico. Le acque di questi mari abbracciano, nutrono e fanno
coesistere culture che stabiliscono, tra loro, contatti e legami
talvolta evidenti, talvolta remoti.
Ciò che non poteva esser detto direttamente alla donna
amata, lo si cantava usando il tramite della serenata. Non vi era
innamorato nel Salento, che non recasse serenate dietro le porte
della donna amata. A volte l’esecutore di questo tipo di canto
non era l’innamorato ma un altro personaggio: il “mandatario”,
specie di messaggero d’amore chiamato apposta per cantare
una serenata sotto le finestre di una bella fanciulla. Da qui, il
titolo di questo nuovo progetto musicale di Dario Muci e Valerio
Daniele, Mandatari appunto. Il progetto si propone come un
viaggio acustico nei territori al confine tra musica popolare e jazz,
attraverso composizioni originali ed inediti arrangiamenti di alcuni
canti della tradizione popolare salentina.
Nelle prossime settimane usciranno inoltre Ofidea degli Avleddha,
Frunte de Luna di Enza Pagliara e Ama L’Acqua dei Les
Troubl’amours.
sottolinea Alessandro Coppola. “Salento
senza tempo non è un nuovo album dei
Nidi d’Arac ma un tributo alla tradizione
musicale salentina, esso vuole raccontare,
con semplicità acustica, l’essenza di una
terra con la sua storia millenaria. Gente del
sud che da padre a figlio, da generazione
in generazione deve difendere, con
memoria, creatività e rispetto, la propria
identità nel grande mondo delle differenti
culture”. I brani originali, scritti da Coppola,
si intersecano con quelli del repertorio
della musica tradizionale salentina e
grika. Tra gli ospiti del cd i tamburellisti di
Torrepaduli - quelli protagonisti della Notte
di San Rocco - il precussionista Andrea
Piccioni, il pianista (ex Tiromancino) Andrea
Pesce, l’organettista Claudio Prima e il
violoncellista Redi Hasa. I Nidi D’Arac sono
Alessandro Coppola (voce, chitarre e
tamburello), Vera Di Lecce (voce), Rodrigo
D’Erasmo (violino e chitarra), Maurizio
Catania (batteria) e Caterina Quaranta
(cori).
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Ci sono suoni che spesso arrivano dal mare, come il vento, e
finiscono per fermarsi tra le pieghe della terra per poi sedimentare
e crescere. Ecco allora che tutto questo diventa musica nuova
che ha il sapore di altri lidi, di altre coste mai tanto lontane da
non essere ascoltate. Tutti questi echi, reminiscenze, presenze,
diventano progetti interessanti e apolidi. Così è in fondo la
BandAdriatica, allegra brigata capitanata da Claudio Prima che
abbiamo intervistato in occasione dell’uscita di Contagio, album
pubblicato da FinisTerre e distribuito da Felmay.
Da dove viene l’idea di una banda?
Noi siamo figli delle bande. Abbiamo ricevuto la musica a
domicilio. Questa è la nostra fortuna. La banda arriva a stanarci
da piccoli fin dentro ogni casa e a ricordarci che c’è qualcosa
per cui bisogna scendere in strada e prestare orecchio. Aspettare
con pazienza di essere travolti. La musica delle bande fa parte
di noi e ci rende unici. Le melodie che sedimentano nelle nostre
mani ritornano nelle nostre composizioni e ci identificano. Le storie
che abbiamo sentito raccontare, di avventure calabresi, di notti
insonni, di vera musica da giro ci hanno affascinato a tal punto
che ci siamo trovati a scegliere quella strada anche per i nostri
strumenti.
Una banda classica ma allo stesso tempo sui generis…
Nella nostra musica non siamo mai riusciti ad essere canonici. È
un nostro difetto, a cui teniamo molto. La scommessa in questo
caso è stata l’accostamento di strumenti di tradizioni diverse (in
particolare organetto e violoncello) alla formazione bandistica
classica e da qui l’infezione è stato un processo spontaneo.
Sono gli strumenti stessi che dettano le deviazioni dallo standard,
che suggeriscono con il loro modo naturale di esprimersi le linee
con cui ci discostiamo dal repertorio tradizionale. Siamo stati da
sempre seguaci dello spostamento, musicale o geografico che
sia.
Perché Adriatica?
Le bande e le fanfare hanno un mare in comune. Il mare che li
ha abbracciati e divisi per anni. Il mare su cui si sono mosse per
accompagnare le madonne in processione o le spose in corteo.
Il mare che in una notte ti fa cambiare musica. L’Adriatico è un
mare che a dispetto della prossimità dei Paesi che bagna, negli
anni ha creato perlopiù allontanamenti. I porti che vi si affacciano
sono spesso portavoci di tradizioni e culture profondamente
differenti, lingue incomprensibili fra loro. Questo mare di differenze
ci ha stimolato a cercare un percorso comune possibile, di cui
abbiamo intravisto l’approdo quando ci siamo conosciuti. Noi
musicisti provenienti da sponde diverse che si ritrovano a suonare
la stessa musica.
Diverse esperienze musicali e umane si uniscono in questo
progetto, come si è formata questa famiglia?
Ho incontrato Redi Hasa 5 anni fa a Lecce e in una cantina-
SUD EST INDIPENDENTE
laboratorio abbiamo cominciato a scambiarci musica prima
ancora che parole. Era arrivato qui da Tirana. Due anni fa
abbiamo incontrato Emanuele Coluccia, reduce da una lunga
traversata Occidentale da New York al Messico alla Spagna.
Era già nato, e noi non lo sapevamo, il progetto adriatico; ce ne
saremmo accorti più tardi, scoprendo ad ogni passo un’anima
comune, sottesa dalla passione per le nostre reciproche culture
e dalla necessità di metterle in gioco. Negli ultimi due anni
abbiamo incontrato gli altri musicisti della banda e la fortuna ha
voluto che oltre all’esperienza diretta nelle bande di giro avessero
l’intenzione di condividere con noi un percorso complesso e
impervio come quello adriatico, il coraggio di mettere il proprio
modo di suonare al servizio di una scommessa comune. Nel cd
suona un altro grande viaggiatore, Naat Veliov che ci ha portato
con la Kocani Orkestar una testimonianza straordinaria della sua
capacità di comunicazione oltre ogni confine linguistico e stilistico.
Per la nostra ricerca è stata una grande lezione.
Qual è il tuo rapporto con la tradizione, come vivi questo
fenomeno, a tratti modaiolo, di riscoperta?
Io non mi sento un musicista tradizionale, non credo di esserlo mai
stato fino in fondo. La musica tradizionale ha rappresentato per
me la svolta emotiva al momento più rilevante di cui ho memoria
e mi ha fatto comprendere quanto la musica fosse importante
per la mia vita. Da lì è stata una continua ricerca di una via
personale di interpretazione del repertorio e dello strumento,
figlia della mia modernità, del mio sentire al presente. Il mio modo
di suonare l’organetto e di comporrre da il senso di come io
intenda la tradizione. Il profondo rispetto che nutro per la musica
tradizionale mi costringe a stare lontano in questo periodo da
un certo circuito di riscoperta, che considero approssimativo e
dannoso. Per evitare che il fenomeno si tramuti in moda, a mio
avviso, un profondo bisogno di approfondimento e di ricerca.
L’avvicinamento al repertorio tradizionale ha bisogno della stessa
umiltà con cui è riuscito a vincere l’usura del tempo.
Parlaci un po’ di questo ultimo lavoro, perché Contagio?
Le musiche che non conosciamo ci hanno contagiato e non ce ne
siamo accorti. Ce le portiamo dentro, in incubazione, fino a quando
non le riconosciamo nelle mani di chi ce le riporta. Le musiche nei
porti dell’adriatico si sono contagiate per contatto diretto o per
via del vento. Noi cerchiamo in questo disco una chiave di lettura
possibile di un contagio ormai diffuso e inconsapevole. Il nostro
è un periplo che da Brindisi porta fino a Creta, passando per
Venezia, Dubrovnik, Durazzo andando di porto in porto a scoprire
quanto e se siamo diversi, per esorcizzare il timore di un’infezione,
quella culturale, di cui siamo fieri sostenitori. Conoscere per non
aver paura di conoscere. Ce n’è sempre più bisogno.
Osvaldo Piliego
C
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Tredici anni dopo il primo episodio e a
circa sette dalla seconda uscita i Sud
Sound System lanciano la terza puntata
del Salento Show Case. Una raccolta
del meglio del reggae salentino.
Diciannove brani che mescolano
vecchie e nuove generazioni, la storia
del reggae con le nuove crew che si
affacciano nel panorama musicale
nazionale. “Siamo molto soddisfatti di
questa nuova avventura”, sottolinea
Papa Gianni, voce storica dei Sud
Sound
System.
“L’importante
è
promuovere nuove voci, dare la possibilità a un po’ di ragazzi e
ragazze di emergere nell’ambito del reggae. Segnaliamo come
una cosa positiva anche la presenza di due minorenni, Alessia e
Mulino”. Alessia è diventata famosa per la sua partecipazione
alle recenti edizioni della Notte della Taranta e per la intro della
fortunata Le radici ca tieni dei Sud (che ha ottenuto anche un
premio al Meeting delle etichette indipendenti e il Premio Tenco
come miglior album dialettale). Qui la giovane cantante apre il
disco con Uardame. “Il meccanismo interessante di questo tipo
di produzioni è la reale collaborazione tra noi, che componiamo
una serie di basi, e i ragazzi che scrivono il proprio pezzo. Dopo
una prima selezione siamo arrivati alla scelta dei brani da inserire
nel cd”. Salento Showcase 2007 - in uscita per V2 - accoglie
dunque quattro nuovi ritmi prodotti dai Sud (Friseddhre, Hard
Drum, Dancehall Rock e Te Reggettu) sui quali si esprimono nuovi
talenti come Sandrino e Strunizzu, Afro Bamba, Lu Dottore, Kaya
Killa, Hot Fire, RankinLele, PapaLeu e Marina, Italo, Terequeia e
Ghetto Eden (nella foto). Nuovi volti che segnano una evoluzione
del reagge nel Salento. “In questi tredici anni c’è stata una vera e
propria rivoluzione”, conclude Papa Gianni. “La spinta del reggae
sotto l’aspetto della denuncia sociale non si è esaurita ma ha
virato più sul ballo, Complessivamente i ritmi sono notevolmente
cambiati, sono meno soft. La nuova generazione va verso una
visione più moderna del reggae che richiama da vicino quella dei
ghetti americani e jamaicani”. La compilation infine è arricchita
da due “combination” di Terron Fabio nei brani La Coscienza
Chiama e Uarda e da tre brani inediti dei Sud Sound System: Me
Recordu cantata da Nandu Popu, Meiu Cu Dici No di Don Rico,
Tuttu l’Amore di Don Rico e Papa Gianni.
Esplorare la musica nera, farsi strada
in un sound composito e ricco in cui le
derive e i punti di fuga possono essere
sorprendentemente vicini.
Questo sembra l’intento dichiarato di
Black Zone Ensemble. Basta usare collante
sintetico e tutto funziona a perfezione.
Potere dell’elettronica, biglietto da visita
della 11/8 quasi sempre in bilico tra jazz
e sperimentazione. Ed è sotto la grande
bandiera del Nu jazz che trova riparo questo
progetto firmato da Daniele Miglietta,
anche se ad ascoltare bene c’è molto,
molto di più. Lui ai comandi sommerso di
sinth dal sapore vintage e intorno a lui tanti
amici talentuosi (Mauro Tre, Davide Arena,
Nathalie Claude, Stefania Dipierro, Violet
11
SUD EST INDIPENDENTE
TREBLE STUDIO PIU’ AMORE
Dopo la lunga esperienza nei Sud Sound
System, Antonio “Treble” Petrachi meglio
consciuto come Lu Professore è tornato con
nuovi progetti. Se l’accoppiata con il gruppo
di musica tradizionale Kumenei ha dato
buoni frutti (e un mini cd dal titolo Salento,
distruibuito anche in edicola) sicuramente
interessante è Treble Studio più amore un
“resoconto” dell’attività dello studio di
registrazione.
Il cd ospita una serie di realtà del panorama
reggae salentino e pugliese che si
confrontano con i brani scritti dallo stesso
autore e arrangiate e risuonate insieme a Roots Family band,
un‘emergente reggae band salentina. Nel cd si contaminano
inglese, spagnolo, barese, tarantino, calabrese, salentino e
italiano. Tra gli ospiti Fido Guido, Mama Marjas, Dany Silk, B.i.g.,
Bob Jahman, Paolino, Apache, Ventre Ianca, Mykela e molti
altri. Domenica 15 luglio al Soul Food di Torre dell’Orso si terrà
la presentazione ufficiale del disco. Il locale del litorale adriatico
ospiterà ogni mercoledì i dj set “Soul Reggae” .
Sol, Valentina Grande, Michele Minerva,
Giancarlo Dell’Anna).
Il risultato è un lavoro vellutato dove la
bossa di incunea con beat più acidi,
dove riminescenze anni 70 fanno capolino
dando un vago sapore da spystory. Il
lavoro è estremamente vario quasi vedesse
l’esplorazione della “zona nera” come
una missione. Ancora una sfaccettatura
musicale di un Salento ricco di sorprese e
generoso di produzioni. Prodotto che non
sfigura accanto a produzioni internazionali
e che di estero profuma.
O.P.
Keep Cool
Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge Italiana, Indie
la musica secondo coolcub
White stripes
Icky Thump
XL
Rock, blues / ****
È con un certo sollievo che presentiamo
l’album dei White Stripes. Non so se
la “famiglia” White benedica quella
sera di Bruges, in cui i tifosi della Roma
fecero nascere il “popopoppopòpo” poi
diventato nazional-popolare. Sicuramente
abbiamo assistito ad agghiaccianti
manovre di marketing, in cui l’album
Elephant, che conteneva la (comunque
bellissima) Seven Nation Army, origine e
causa del tormentone, veniva spacciato
per nuovo album pur essendo del 2003. E
tuttora, se ascoltate il promo in radio, tutto
parte dal popopò. Ridurre Icky Thump a
questo è un errore tutto italiano.
Jack White sembra quasi fiutare questo
pericolo di spettacolarizzazione della sua
musica e tira fuori riff di chitarra anacronistici,
poco ruffiani e molto rispettosi dei suoi
maestri. Un album rock vecchia maniera,
venato di blues e sonorità decisamente più
affini al repertorio statunitense che a quello
europeo. La forma del duo è ai massimi
livelli: Jack si diverte con la sua chitarra,
non si priva mai del gusto dell’assolo che
spesso orienta l’andamento dell’intera
canzone; Meg, considerata una dei più
scarsi interpreti della batteria di tutti i tempi,
continua a suonare in modo impulsivo
se non compulsivo, fregandosene della
tecnica e tirando fuori un suono che lo
riconosceresti in mezzo a un milione. Icky
Thump sposta ancora più in alto l’asticella
qualitativa delle “strisce bianche” pur
offrendo pochi spunti per favorirne un
buon successo commerciale (fatta salva
la divertente Conquest; magari la casa
discografica ci rimette lo zampino e la
lancia come singolo) offre un ottimo
spettacolo per tutti gli amanti del rock. Gli
ascoltatori più anziani potranno dire che,
in fondo, è un album degli anni ‘70 uscito
con una trentina di anni di ritardo, che gli
White non hanno inventato nulla, che è
un collage di citazioni. Quasi come fosse
un film di Tarantino. I vantaggi di essere
giovani: sei ignorante, e ti godi tutto come
se fosse tutto nuovo. Viva Tarantino, viva i
White Stripes.
Dino Amenduni
KeepCool
14
September Collective
All the birds were anarchists
Mosz
elettronica / ****½
Gogol Bordello
Super Taranta !
Sideonedummy records
gipsy rock ****
La baraonda dei Gogol Bordello è pronta a investire il mondo con un nuovo album.
Super taranta il titolo, più salentino che mai scelto con riferimento diretto al potere
della nostra musica, quello curativo, liberatorio. E certo che già in passato questa
band ci aveva abituato a concerti che sfociavano in veri e proprio riti collettivi. Il
segreto? La loro natura musicale anarcoide capace di attingere a destra e manca
vagabondando tra i generi con un’attitudine decisamente punk. Questo disco
è, se possibile, più adrenalitico dello scorso, un delirio di fiati, corde, perussioni
ritmi del mondo, bande sbilenche, cavalcate ubriache e gioco, tanto gioco. La
direzione dichiarata dallo stesso leader Eugene Hutz è “la conquista della musica
mondiale”. Super taranta è un biglietto andata e ritorno per ovunque, tutto viene
preso e frullato in un melting pot sonoro travolgente. A chi si chiede se ci sono
tracce di pizzica all’interno dell’album, la risposta è si. Ce n’è l’essenza, quella
che forse, ogni tanto, si perde. E allora mettete da parte ogni confine musicale e
lasciatevi prendere da questa nuova frontiera delle musiche possibili…dai Clash
alla musica dei Balcani.
O.P.
Chemical Brothers
We are the night
Virgin
Dance, elettronica / **½
A due anni dall’acclamato Push the button,
tornano i due “fratelli” mancuniani con
l’album probabilmente più controverso
della loro carriera. Non perché abbiano
cambiato genere di colpo (anzi), ma
perché è come se non avessero mai fatto
carriera, mai sfornato gemme pop e allo
stesso tempo grandi hit ballabili. Come se il
loro tempo si fosse fermato a 10 anni fa. Ed
è questo il lato davvero controverso: loro
volevano questo, volevano essere la notte
e niente più, volevano sfornare un album
spiccatamente frivolo, senza azzardi,
senza collaborazioni folli. I Klaxons sono il
massimo del divertimento per la mediocre
All rights reversed, il singolo Do it Again,
buono ma non eccezionale, è cantato
Dietro questo moniker si nascondono
tre vecchie conoscenze della scena
elettronica europea: i tedeschi Stefan
Schneider (To Rococo Rot, Mapstation)
e Barbara Morgenstern e il polacco Paul
Wirkus. I tre hanno iniziato a collaborare
insieme durante un tour in Polonia nel
2002: ogni sera, alla fine dei loro singoli
shows, iniziarono a improvvisare qualcosa
insieme. Vedendo che la cosa funzionava
decisero di mettersi in studio e da lì nacque
il primo disco dei September Collective,
su Geographic rec., uscito nel 2004. Già
allora i risultati (tra l’altro prevedibili)
furono sorprendenti. Questo nuovo “All
the birds…”, uscito su Mosz, label fondata
da Stefan Nemeth dei Radian e dalla
filmaker Michaela Schwentner, conferma
la ottima riuscita di questa fortunata (per
noi ascoltatori) fusione. L’elettronica così
come dovrebbe sempre essere: essenziale
ma non piatta, colta ma non presuntuosa,
raffinata ma non snob. Sonorità e attitudine
che sembravano scomparse nel passaggio
a questo nuovo millennio, e sarebbe stato
un gran peccato. E invece eccole sempre
qui, solo un tantino meno visibili nel vortice
modaiolo delle attenzioni medianiche. Più
di qualcuno aveva creduto che questo
genere, questa “scena”, aveva esaurito
le sue potenzialità, che non aveva più
niente da comunicare. Ed ecco invece
ancora gradiose melodie e fluttazioni
che sanno trasportarti fuori dal tuo mondo
quotidiano e farti esplodere lentamente
dal di dentro. 12 eccezionali tracce che
speri non finiscano mai. Da non perdere
assolutamente.
Gennaro Azzolini
Patrizia Laquidara
Funambola
Ponderosa/Edel
jazz, cantautorato / ****½
da Ali Love (?) ma il featuring poteva
essere di chiunque altro. Non è che siano
diventati improvvisamente dei brocchi:
ci sono alcuni spunti interessanti (No Path
to follow, Saturate), ma diluiti in un cd
inspiegabilmente senza nerbo. Vedremo
come reagirà il pubblico, ma il sospetto è
che questo album sarebbe stato ignorato,
se non fosse stato dei Chemical. Fratelli,
che vi siano finite le soluzioni?
Dino Amenduni
Viene da Catania, terra più che fiorente
per la musica italiana contemporanea
(Consoli, Venuti, Biondi). È cresciuta con
Mogol e lavorando con
il repertorio tradizionale
della musica brasiliana.
È affascinante. È emozionale (si sprecano le leggende sulle sue esibizioni
dal vivo, e la copertina
dell’album contribuisce
a colorare l’immaginario). E, soprattutto, ha ti-
KeepCool
rato fuori l’album italiano dell’anno.
Un lavoro delicato e contemporaneamente
intensissimo, in cui Patrizia si destreggia tra
testi impegnati ed altri più leggeri: così è
la vita, e lei non fa altro che ricordarcelo.
Parla dell’amore ma sembra più esperta di
quel sentimento di “mezzo”, tra il prendersi
e il lasciarsi, tra l’esplodere e l’implodere.
L’equilibrio è un miracolo, in questi casi, e lei
sembra saperlo fin troppo bene. Ma sono i
momenti in cui è la samba a guidare i flussi
di coscienza della Laquidara a rendere
l’album straordinario. Ziza ma soprattutto
la perla Personaggio vi faranno alzare di
scatto.. Voi vi chiederete: e allora perché
non hai messo il massimo dei voti? Perché
si cerca di essere obiettivi, questa musica
non piace a tutti. Per quanto mi riguarda,
quel mezzo voto “mancante” ci sta tutto.
Dino Amenduni
Bishop Allen & The Broken
String
Bishop Allen & The Broken String
Dead records
indie / ****
I Belle & Sebastian
indubbiamente
hanno fatto scuola e questi Bishop
Allen & The broken
String sono sicuramente tra i loro
allievi più bravi.
Vengono da oltreoceano, e senza
essere dei cloni hanno saputo fare propria
la lezione imparata; strizzando l’occhio di
tanto in tanto agli Architecture in Helsinki, si
muovono in bilico tra allegria e malinconia
per tutta la durata delle dodici tracce di
questo lavoro omonimo.
Nell’eterogeneicità dei loro brani sanno
essere dolcemente spensierati (Rain
e Click, Click, Click, Click) ma anche
aggressivi, quasi ai confini del punk rock,
vedi Middle Management. Degna di nota
anche The Chinatown Bus, sullo stile dolce e
melanconico dei migliori Belle&Sebastian.
Da collezione primavera-estate con un
pensiero all’ autunno. Semplicemente
belli.
Federico Baglivi
Roy Paci e Aretuska
Suonoglobal
V2
patchanka / **** ½
Già strombazzato come “disco dell’estate”
(chissà come la pensa Roy…), ecco a
voi l’album più salentino (registrato a
Castrignano del Capo) e allo stesso tempo
più apolide nella carriera dell’eccelso
strumentista siracusano, il quale aveva
chiesto agli Aretuska una prova di maturità
per continuare a lavorare insieme. Così è
stato: Suonoglobal è un’ottima occasione
per viaggiare nel caleidoscopio sonoro
tutto ritmo e contenuti e per gustarci il
cameo, quasi istituzionale, di Manu Chao,
che colora il singolo Toda Joia Toda Beleza
e che testimonia la volontà “politica”
racchiusa nel lavoro. Anche gli ospiti
italiani sono tutto sommato prevedibili:
Cor Veleno, Pau, Enrique (Bandabardò),
15
Morgan
Da a… ad a
Sony Bmg
canzone d’autore / *****
Questo disco di Morgan è più di quello
che ci si aspettava. Dopo Canzoni
dall’appartamento e il tributo a De Andrè,
riesce in questo nuovo episodio a superarsi
e superare l’idea di canzone d’autore che
ci eravamo fatti. Basta ascoltare le prime
note per assaporare echi dei grandi maestri
italiani, citazioni colte dalla musica classica,
crescendo
beatlesiani,
accostamenti
strumentali ricchi, riferimenti letterari, David
Bowie. Tutto in un uomo, tutto per raccontare
l’eterno ritorno a lei e all’amore. Da a ad
a potrebbe essere la sua eterna musa Asia
Argento, ma anche riferirsi al detto latino
“Per aspera ad astra” (attraverso le avversità fino alle stelle). Un disco che nasconde
sicuramente più messaggi di quelli che ci è dato cogliere, un disco che merita tempo,
quasi un riparo, una confessione a metà, una dedica al necessario, alla famiglia (in
una canzone canta anche la figlia), ma anche una finestra sulle inquietitudini. Come si
può ascoltare una canzone come Una storia d’amore e vanità senza pensare al miglior
Tenco o a Bindi. Sensuali gli arrangiamenti d’archi di La verità. Anche quando i tuni si
irrobustiscono la poesia non perde intensità. La lunga coda finale di Contro me stesso è
un viaggio psichedelico raccomandato a tutti.
O.P.
dagli sporchi sotterranei dei sobborghi di
Chicago. In definitiva, se questo era il loro
scopo, l’impatto straniante è assicurato.
Federico Baglivi
Rush
Snakes and Arrows
Anthem/Atlantic
rock / ****
Caparezza, Sud Sound System, Raiz.
Contaminazioni dall’inizio alla fine, nelle
lingue, nei generi e nei repertori per un
album che ha incontrato il favore anche
dei massimi sistemi (è infatti distribuito in
edicola da La Repubblica). I protagonisti
però restano Roy e la sua tromba, e non
c’è traccia che veda offuscata la sua
personalità. Consigliato perché piace sia
per la superficie, fresca ed estiva, che per
ciò che c’è all’interno, ottimo cibo per la
mente. Il disco dell’estate che difficilmente
metterete via d’autunno.
Dino Amenduni
Zelienople
His/Hers
Type records
psico-folk / ***
His/Hers esce per la Type records ed
arriva da Chicago, è la nuova uscita del
trio Zelienople, band attiva dal 1998. In
parole semplici His/Hers è molto difficile da
digerire. Cinque tracce di folk psichedelico/
psicotico; delirante più di tutte è la traccia
Forceed March: rumorosa, insana, ma
anche jazz e post-rock. Indefinibili e
inqualificabili, riesce difficile, più di altri
gruppi, etichettare, spiegare, scrivere in
parole. Sfuggenti a qualsiasi catalogazione,
spiazzanti anche all’ascolto. Sembrano
affondare le loro radici in un post rock
cupo e quasi industriale, suoni provenienti
Ben più di trent’anni di onorata carriera,
diciannove album
in studio senza
contare gli innumerevoli live e le
raccolte, premi di
critica e dischi di
platino… e i Rush
sono ancora qui,
con un rock che
suona ancora così
carico e fresco da
far impallidire le nuove generazioni. Dagli
anni ‘70 ad oggi mai un disco uguale al
precedente, eppure sempre così “loro” da
essere riconoscibili tra mille.
Questa volta il trio Lee Lifeson Peart si
spinge ancora oltre, ancora una volta
piacevolmente ci spiazza e sterza
lievemente rispetto all’ultimo Vapor Trails.
Non da lì Snakes and Arrows prende le
mosse, ma dal lunghissimo tour mondiale
per l’anniversario dei trent’anni della band,
secondo me vera chiave di lettura del
disco. Prendiamo ad esempio il singolo Far
Cry che apre le danze: ti aspetti la potenza
e i suoni del disco precedente, e invece
ti ritrovi le morbide atmosfere di Presto.
L’inedito blues con cui parte The Way The
Wind Blows e i ben tre brani strumentali
sono convinto, non possano che essere figli
di un’improvvisata tra un live e un altro; i riff
di Spindrift e Good New First ci rimandano
ai tempi di Test for Echo; mentre il feeling
di The Larger Bowl è quello delle cover
sessantiane rilasciate col disco Feedback.
I richiami a Vapor Trails non sono assenti
del tutto (particolarmente in Faithless), ma
KeepCool
16
in complesso il disco è meno aggressivo e
cela un’anima decisamente più intimista,
con Lifeson che torna a dilettarsi con
qualche breve solo e le magiche geometrie
della batteria di Peart che suonano più
discrete rispetto al passato. Quello che
non cambia – e fortunatamente non è
cambiato mai dagli anni ’70 ad oggi
– sono i testi brillanti di un poeta della
semplicità come Neil Peart, e, soprattutto,
il gusto melodico che sa puntare dritto al
cuore, strale di Cupido la voce irripetibile
di un sempreverde Geddy Lee. Il risultato è
un altro disco fantastico, meno coraggioso
forse, ma bilanciato perfettamente tra
reminescenze del passato e un’inesauribile
voglia di guardare ancora avanti: un’altra
piccola gemma preziosa che contiene in
se e riecheggia la lucentezza di quelle che
l’hanno preceduta.
Dario Lolli (mariorollo)
Queens of the stone age
Era vulgaris
Umg
stoner / ****
Machine Head
The Blackening
Roadrunner/Universal
metal / ***
C’era parecchia attesa attorno a questo
nuovo capitolo della band di Oakland
dopo il precedente e pur ottimo Through
The Ashes Of Empires, ma non aspettatevi
un nuovo Burn My Eyes, il micidiale album
con cui i Machine Head esordirono
nell’ormai lontano 1994. Troppo tempo
ci separa ormai da quell’incandescente
reliquia ma quest’album rappresenta,
comunque, una sintesi perfetta di ciò che
sono diventati i Machine Head negli ultimi
anni: una metal band completa e matura,
capace di alternare momenti di rara e
toccante bellezza ad altri di devastante
ferocia. Solo otto pezzi per un totale di poco
più di un’ora di musica su questo disco, ma
ben quattro di essi viaggiano oltre i nove
minuti! Il pensiero vola alla purtroppo breve
epopea del techno-thrash a cavallo tra
gli ’80 e i ’90, tendenza già ampiamente
rivalutata (per fortuna!) da altri eccellenti
campioni di recente saliti agli onori della
ribalta, un nome su tutti: Mastodon! La
violenza la fa da padrona, insomma, su
The Blackening, viaggio vertiginoso ed
esaltante, martoriato da ritmiche assassine
e da chitarre incendiarie, ma, vi assicuro,
con passaggi d’assoluto spessore tecnico
e artistico!. Il loro suono è ormai un
inconfondibile marchio di fabbrica. Meno
diretti rispetto al passato forse, mai scontati,
ma sempre pronti a lanciare nuove sfide
e a chi li segue da anni. Questo sono i
Machine Head oggi … Buy or die!
Camillo “RADI@zioni” Fasulo
Quinto disco per i Queens Of The Stone Age, band nata nel 1997 dalle ceneri dei defunti
Kyuss, creatori dello stoner rock. Era Vulgaris riparte dalle sonorità dettate dall’ultimo
disco in studio (Lullabies To Paralyze, buon disco anche se meno stoner del resto della
discografia) e ne allarga le vedute, ritornando alle origini (stile heavy e ripetitivo definito
da Homme come robot rock) ed evolvendosi sotto certi aspetti. Durante l’ascolto delle
tracce che compongono il disco (l’edizione giapponese e inglese conterranno anche
una collaborazione con Trent Reznor dei Nine Inch Nails) avremo modo di ascoltare
hard rock, stoner e tracce di psichedelia. La traccia di apertura si intitola Turning On The
Screw. Un’intro che sintetizza le sonorità di Era Vulgaris, un pezzo lento, contrassegnato
dai classici riff stoner ripetuti fino ad un piacevole martellamento. Subito dopo si parte
velocemente, malatamente e semplicemente con il primo estratto dell’album: Sick, Sick,
Sick. Brano di una efficacia e immediatezza che non si sentiva da un bel po’ di tempo
a questa parte. Come singolo per attirare l’ascoltatore medio è perfetto. I’m Designer
è un altro potenziale singolo, riff sporchi si mischiano a giri di basso semplici, così come
le parti di batteria, il ritornello è molto orecchiabile ed entra in testa in un paio di ascolti
al massimo. Con Into The Hollow si inizia a sentire la psichedelia citata in apertura, per
poi arrivare a Misfit Love, uno dei brani più stoner e più belli dell’album, accarezzare
il lento ritmo di Desert Sessions 9 & 10 e giungere al rush finale con brani che vanno
dallo stoner più classico ai duri suoni dell’hard rock con Run Pig Run, brano di chiusura.
Insomma, un disco davvero emozionante, esaltante, tanto vario da soddisfare anche i
gusti più diversi. Homme si conferma sempre più ispirato e in forma. Direi che la vetta del
monte rock diventa sempre più vicina agli occhi di questa rock band statunitense che
continua a stupirci e confermarsi anche dopo dieci anni di lavoro.
Luana Giacovelli
Giorgio Canali & Rossofuoco
Tutti Contro Tutti
La tempesta
rock / ****
Rabbia. Basta una sola
parola per definire Tutti Contro Tutti, il quarto album di Giorgio
Canali e Rossofuoco.
Coerentemente e cocciutamente, quello che
per molti resta l’unico
vero rocker italiano intesse un nuovo disco
attraverso dieci episodi
caustici e polemici, ruvidi e aguzzi come la
faccia di chi li ha scritti.
La dedica a Federico Aldrovandi,
diciassettenne ucciso in circostanze ancora
non chiarite da quattro poliziotti a Ferrara,
è quasi una dichiarazione d’intenti per
un lavoro che trasuda, appunto, rabbia.
Genuina, necessaria: “Si lo so di avere
dentro una rabbia di cui non mi pento… da
uno a cento è centomila la rabbia che ho
dentro” canta Giorgio, e la sua incessante
sicumera incontra la forza centrifuga ed
elettrica dei Rossofuoco, qui davvero in
stato di grazia. Alealè è la versione italiana
di un pezzo presente sul suo esordio solista
datato ‘98, che contiene forse la strofa più
efficace con la mirabile perifrasi gaberiana
“E così accade che / la libertà futura / è un
pompino in tv / senza censura […] Accade
che la libertà / è partecipazione… agli
utili”, Falso Bolero è una ballad ruvida che
omaggia Gun Club, Lou Reed e qualche
altro zombie del rock’n’roll, Settembre
Aspettando è una cover dei Noir Desir,
Comequandofuoripiove
l’ennesima
invettiva punk di quelle che quando le
canta Giorgio sembra che si scrivano da
sole. Forse un gradino sotto il precedente
disco – a tuttora il suo capolavoro - ma
sempre e comunque grande musica.
Lunga vita, Giorgio.
Ilario Galati
KeepCool
17
Enzo Favata Tentetto
The New Villane
Il manifesto
etno-jazz / ***½
Appena pubblicato
dalle edizioni musicali del manifesto,
come del resto i
suoi tre dischi precedenti, il nuovo
lavoro del sassofonista sardo Enzo
Favata, prende le
mosse da un solido
impianto jazz che si
fonde alla tradizione sarda in generale e
del canto a tenores in particolare.
I Tenores De Bitti si affiancano infatti al
sestetto originario dando vita ad un
tentetto dalle notevoli potenzialità. Lunghe
composizioni che omaggiano tanto il folk
quanto la musica degli anni ’70, tra new
thing e black-music. Chiarificatrici in tal
senso le dediche al grande compositore
e ricercatore sardo Marcello Melis e al
leader degli Art Enseble Of Chicago Lester
Bowie. Il risultato è un lavoro godibile
dove tradizione e pulsioni sperimentali
proseguono di pari passo, e composizioni
come l’open-track Comare Mia mischiano
aperture free ad un gusto in un certo qual
modo rurale. Lo sradicamento da una
parte, le radici dall’altra. In mezzo Favata
e il suo corredo etno-jazz a tracciare un
omaggio alla propria terra sempre in bilico
tra innovazione e conservazione.
Ilario Galati
Tied & Tickled Trio
Aelita
Morr Music / Wide
electronica, post rock / ***½
Bruce Springsteen
Live In Dublin
Columbia
rock / *****
Che dire che non sia già
stato detto? Il celebratissimo tour con la Seeger
Session band, per la gioia
degli aficionados, è una
un doppio live con i fiocchi. Doppio cd o dvd che
sia, quella notte a Dublino
Bruce era in stato di grazia
dunque siamo di fronte all’ennesimo documento dal
vivo imprescindibile.
La band di Bruce non fa
certo rimpiangere la E
Street Band quanto a potenza ed affiatamento, e
oltre ai pezzi presenti sul
disco tributo a Seeger,
qui fanno capolino alcuni
classici springsteeniani che
immagino abbiano creato non pochi scompensi
cardiaci ai suoi sostenitori.
Highway Patrolman, Atlantic City, Growin’ Up, una irrefrenabile Open All Night,
sono cose che ti stendono al tappeto. Il corredo sonoro è più che mai sovrabbondante,
il dixieland a volte prende il sopravvento, i musicisti sono scatenati e lui… beh, lui c’ha
un cuore enorme. La mestizia di Eye Of The Prize, il parossismo di Mary Don’t You Weep,
la sarabanda di Pay Me My Money Down… Insomma, ancora una volta la musica conta fino ad un certo punto. È di lui che ci fidiamo.
Ilario Galati
brani all’interno dell’album, tracce legate
da un filo sottile. I riferimenti alla letteratura
russa degli anni 20, che ritroviamo nella
scelta dei titoli, costituiscono la chiave
per comprendere meglio l’idea. Un buon
disco.
Livio Polini
Shapes And Sizes
Split Lips, Winning Hips, A Shiner
(Asthmatic Kitty / Audioglobe)
indierock / ***½
Nel 1994, Markus e Micha Acher, già
conosciuti al pubblico come componenti
dei Notwist, fondarono i Tied & Tickled
Trio. L’intento, probabilmente, era quello
di creare un nuovo progetto musicale
che coniugasse la tradizione kraut degli
anni ’70 al più recente post-rock di area
Chicago. Con l’aiuto di altri musicisti
importanti e con la voglia di sperimentare
(potremmo parlare di avanguardia) nei
loro dischi hanno abbracciato spesso lo
stile classico, rivelando una certa natura
jazz. L’ultimo loro album, Aelita, ci trasporta
inesorabilmente in paesaggi immaginari,
la delicatezza e la calma accompagnano
le suggestioni e i sogni più remoti, suoni di
strumenti classici e un consapevole uso
dell’elettronica per ambienti decadenti
e strade avvolte nell’ombra, nuove
dimensioni. Aelita è anche il nome di tre
Dalla sconfinata e fruttuosa indie terra
del Canada, ecco spuntare fuori un altro
nome interessante. Gli Shapes And Sizes
giungono al loro secondo disco a circa un
anno di distanza dal debutto omonimo,
ci propongono quattordici tracce di
coinvolgente e mirabile indierock. Il
quartetto è capitanato da Caila ThompsonHannant, la sua splendida voce (agitata in
certi momenti, più delicata in altri) si sposa
con la musica in maniera del tutto naturale.
Oltre a Caila (tastiera e voce), ci sono Rory
Seydel (anche lui voce, chitarra), John
Crellin (batteria) e Nathan Gage (basso).
All’interno di questo disco ritroviamo brani
come Alone/Alive, la track d’apertura,
dove Caila mostra in modo esplicito lo
sdoppiamento di personalità. In The Taste in
My Mouth si può scorgere la calma, anche
se apparente, in The Long Indifference
ed in Piggy, invece, spazio dedicato alla
distorsione. Un album completo, ricco di
sfumature e contaminazioni, dagli aspetti
spesso imprevedibili, una prova di qualità.
Livio Polini
Montag
Going Places
Carpark / Audioglobe
indietronica / ***½
Nuovo disco per il
canadese Antoine
Bédard, nato e cresciuto in Quebec,
ma attualmente a
Vancouver, conosciuto al pubblico
con il nome di Montag.
Con questa nuova
prova, come in passato, rimaniamo
nell’ambito
dell’indietronica
e
del
synthpop, la novità risiede nell’importante
numero di ospiti coinvolti nel progetto,
personaggi abbastanza noti della scena
musicale alternativa. Ospite è Owen Pallet
(in arte Final Fantasy), così come Anthony
Gonzales (degli M83), Amy Millan (Stars),
Victoria Legrand (Beach House), Au
Revoir Simone, ecc.. Il disco sembra ben
riuscito, d’altronde lo sappiamo, Antoine
Bédard è un professionista, e poi, con
un gruppo così ben composto, sarebbe
stato davvero un peccato preparare
un lavoro non all’altezza. Unica critica,
suona quasi come una compilation di
artisti vari (appunto), è assente un fil rouge,
un leitmotiv, un continuum, quasi come
provocazione. Possiamo allo stesso tempo
dire che è un disco ben costruito, curato
ed indubbiamente piacevole.
Livio Polini
KeepCool
18
Dark Tranquillity
Fiction
Century Media/EMI
death-thrasch-melodico / ***½
In diciotto anni di
carriera il combo
svedese ha dato
alle stampe un
lavoro inedito ogni
due anni, senza
mai
degenerare
o imitare soluzioni
personali
dal
s u c c e s s o
collaudato, anzi i nostri hanno avuto
il merito di innovare costantemente il
proprio stile. Negli anni, notevoli sono
stati i colpi di coda e le emancipazioni,
dal genere originale (death-metal),
attitudine che li ha portati allo sviluppo del
Gothenburg sound. Fiction non è un clone
del predecessore Character, ma i fan
noteranno come le coordinate stilistiche di
questo ultimo siano fondamentali e ci sono
tutte. La componente thrash, di matrice
americana, svetta su tutti gli elementi,
anche se coadiuvata dagli inserti melodici
di synth ed electronics, i quali fusi insieme
sfociano in un intricato post-metal. Fiction
è un ulteriore passo avanti a conferma del
loro magnifico percorso artistico, ma la
sensazione che se ne ricava è un leggero
assestarsi delle strutture composite, a
favore di una ricerca più concentrata sui
suoni.
Nicola Pace
Paradise Lost
In Requiem
Century Media/EMI
goth-metal / ****
I Paradise Lost hanno delineato il gothmetal dei primi
anni’90, lasciando
che molti artistici a
loro coevi o posteriori, cogliessero i
frutti del loro lungimirante lavoro.
Dopo il planetario
successo di Draconian Times, i nostri intrapresero una strada
più affine ad un elettro-dark-rock, spiazzando così milioni di fan. Le motivazioni
vere della svolta non le sapremo mai, ma
una cosa è certa, dopo una serie di album
di indubbio valore come Symbol of Life e
Stylophonic, Alex Neri, Who Made Who, Goose
Passo 4
Nike+
È intensa, vitale, la connessione tra
il movimento, la performance ed
il suono. Come se il ritmo battesse
il tempo del nostro attraversare
gli scenari urbani, come se fosse
il commento sonoro di un viaggio
che é, al tempo stesso, espressione
di una tensione atletica, ma anche
una “tecnica” per riconciliarsi con
uno spazio interiore, uno spazio
creativo. Con Passo 4 il beat per
la corsa non è solo un commento
sonoro, ma diventa quello che il
musicologo inglese David Toop
ha definito un Oceano di Suoni,
uno spazio infinito, dove gli stili, le
musiche confluiscono, dialogano, si
incontrano e definiscono un territorio
dell’immaginario. Lì, in questo spazio
che invade la nostra mente vivono
le musiche di Passo 4. Un progetto
che restituisce alla musica quel valore di luogo dell’incontro e della condivisione, dello
scambio e della relazione. E offre al fare musica tutto la forza di un atto creativo collettivo
che ribalta definitivamente l’idea che il suono contemporaneo sia semplicemente
l’espressione di personali meditazioni elettroniche. Con Passo 4, ritorna al centro della
scena contemporanea la jam session la tecnica privilegiata di composizione, come era
stato nel jazz ‘libero’ degli anni ‘60 e poi con l’hip hop dei block parties. L’intreccio delle
esperienze, non solo come valore essenziale della cultura elettronica contemporanea,
ma anche come pratica di scrittura. Nike ha chiesto a 4 artisti, tra i più rappresentativi,
di quel complesso sovrapporsi di emozioni e di citazioni che l’antropologo inglese Ted
Polhemus definisce “Il Supermarket dello Stile” di lavorare insieme, sorta di workshop
planetario che azzera ogni frontiera, geografica ed emozionale, per creare una suite
che possa accompagnare i moderni runner quando ritornano sulla “strada” alla ricerca
di quella esperienza, fisica e dello spirito, che è oggi la corsa. Al lavoro Stylophonic, Alex
Neri, gli Who Made Who ed i Goose. Quattro stili diversi, quattro diversi tensioni artistiche.
Il “Supermarket dello Stile”, appunto, una suite che scandisce, come in una opera
pop, passaggi temporali, ma anche (soprattutto) veloci attraversamenti dello spazio.
Disponibile in download su itunes.
Pierfrancesco Pacoda
Paradise Lost, ma sinceramente sottotono
rispetto il lustre passato, In Requiem ci restituisce una band alle prese con un gothmetal ispirato, fresco e coerente in tutte le
sue undici tracce. Da almeno dieci anni
non si sentiva un cantato così comunicativo, dei solos emozionanti e degni del loro
nome, una batteria artisticamente incisiva
nella costruzione dei brani. Inoltre, dopo
due decadi di storia, oltre due milioni di
dischi venduti, c’è chi ha deciso di giustificare la loro eccellente carriera in un documentario dal titolo Over the Madness, presentato quest’anno a Cannes; e poi si dice
tanto è solo metal, … poveretti loro.
Nicola Pace
Sadist
Sadist
Beyond Prod./Masterpiece
techno-death-thrash / ****
Fino a qualche
tempo fa parlare
dei dissolti Sadist, era
in qualche maniera
rimpiangere
uno
dei tanti gruppi
italiani,
che
avrebbe senz’altro
meritato
di
più
in termini artistici
ed
economici.
KeepCool
Il 16 luglio 2006 sono risorti in sede live, e
qualche mese più tardi rieccoli di nuovo
sul mercato con un LP omonimo, Sadist.
Messi da parte gli errori concettuali
dell’egocentrico Lego, la band genovese
ha dato vita ad una gemma musicale,
recuperando la coinvolgente espressività
di Crust, amalgamandola con i criteri
cervellotici e fusion-progressivi dei primi
due capolavori, Above the Light e Tribe.
Oltre a ciò non dimentichiamo la massiccia
presenza di atmosfere orrorifiche, di
Gobliniana memoria, le quali da sempre
hanno dato un apporto fondamentale
all’acutissima scrittura, di questa piccola
ma, artisticamente, grande band tutta
italiana.
Nicola Pace
Dr Blues & Soul Brothers
My favourite soul... will never die
Pieronero
Rythm’ blues / ****
In un numero dedicato alle nuove
uscite salentine non
potevamo omettere la recente pubblicazione di questo
cd live.
Registrato nell’agosto del 1998 (dieci
anni e non sentirli...)
al Mamma li Turchi di Tricase, arriva My favourite soul... will never die dei salentini Dr
Blues e Soul Brothers. I dodici brani inseriti
nel cd sono tutti grandi classici della black
music come Sweet Home Chicago, I feel
good, The dock of the bay, Everybody
needs somebody to love e molti altri. Un
disco ben suonato - d’altronde nei Soul
brothers militano alcuni dei migliori musicisti
di questo territorio - e caratterizzato dalla
presenza del vocalist Maurizio Petrelli, personaggio storico della musica salentina.
Una produzione che anticipa l’uscita del
prossimo lavoro di inediti.
Dj Shocca e Frank Siciliano
Struggle Music
Monkey Island
Hip hop / **1/2
A due anni di distanza da 60 Hz, Dj
Shocca ripete l’operazione (ospitare sulle
proprie basi una schiera di MC da tutta
Italia), questa volta con la collaborazione
di Frank Siciliano, già ospite in 60 Hz. Il
progetto in sostanza mantiene i pregi e i
difetti evidenziati nell’uscita precedente.
Infatti, se da un lato è molto interessante
la possibilità di avere una visione d’insieme
19
della scena rap
nazionale in un
contesto
reso
o m o g e n e o
dalla
produzione
comune, dall’altro
si ha l’impressione
non tutti gli ospiti
siano all’altezza del
progetto. E d’altro
canto gli Mc più blasonati sembrano non
investire molto in un progetto altrui (vedi
Inoki, Amir e Club Dogo, tutti al di sotto
del proprio standard), tanto che i pezzi
migliori sono quelli rappati proprio da Frank
Siciliano (in coppia con Mistaman). Con
l’eccezione dell’ottima Suona sempre
(con Ghemon e Tony Fine), azzeccata sia
stilisticamente che liricamente, che chiude
in bellezza un disco altalenante e in certa
misura deludente.
Emanuele Flandoli
Smashing Pumpkins
Zeitegeist
Wb
rock / ***
Mondo Marcio
Generazione X
EMI
Hiphop *
Metà del disco
la passa a non
dire
niente
di
nuovo
o
peggio niente
del tutto. L’altra
metà si divide
fra autodifese
contro chi lo
ha
attaccato
e ritornelli che
quando
non
sono semplicemente banali sono peggio.
Ogni tanto imbrocca una rima giusta, a
volte riesce a mettere insieme una strofa
coerente, poi torna ad abbaiare con
quell’accento da americano a Roma
di cui ha fatto un marchio di fabbrica.
Purtroppo anche i beat, punto di forza
dell’album precedente, sono peggiorati
drasticamente, sacrificando il funk per
scimmiottare quel dirty south che è
diventato tendenza dominante nell’ultimo
anno. In fondo non è neanche del tutto
colpa sua, Mondo Marcio non è che la
punta dell’iceberg di una generazione
di MC che hanno iniziato ad ascoltare
rap quando l’hip-hop aveva già iniziato
a sprofondare in una mera esibizione di
ricchezza, potere, sessismo, perdendo
per strada tutto ciò che di buono questa
cultura aveva da offrire. Quando lo buttate
via almeno fate la raccolta differenziata.
Emanuele Flandoli
Abbiamo dovuto aspettare molto
prima del loro ritorno, circa sette anni.
Molto è cambiato nel frattempo,
Billy Corgan si è anche cimentato
nell’esperienza solista. Ma qualcosa di
quel suono, di quello stile, sembrava
rimasta
indissolubilmente
rimasta
impigliata nella maglie della band.
Della mitica formazione originale,
foriera di album fondamentali degli
anni 90, sono rimasti solo il buon Billy
Corgan voce, chitarra e mente del
progetto e la macchina ritmica Jimmy
Chamberlin. Ma il sound Smashing
Pumpkins
c’è
tutto:
tagliente,
deflgrante, malato. Strano che quello
che un tempo sembrava futurista
oggi è merce comune nel panorama
musicale. Segno del peso che una
band come questa ha avuto nella
storia della musica. Questo Zeitgeist
è un disco in cui tutte le asperità e le
geometrie della band tornano insieme
alle ballate, un disco tirato, duro…quasi
uno sfogo. Ma a chi sostiene che il loro
Mellon Collie and the infinite sadness
(1995)
resta insuperabile bisogna
ancora una volta dare ragione.
O.P.
20
La beatlemania
Mi è capitato tempo fa, in occasione
di un concerto di Mark Owen di avere
un assaggio di takethatmania e posso
assicurarvi che è stata un’esperienza
veramente incredibile. Ferme restando la
calma, la cortesia e la disponibilità di Mark,
le ragazze che cercavano di catturare
anche per un solo istante la sua attenzione
erano come ipnotizzate e si muovevano
senza tener conto di nient’altro che non
fosse legato al loro idolo. Bersagliato senza
volerlo dai flash e dalle domande, mi sono
sentito come dovevano essersi sentiti Mal
Evans e Neil Aspinall quando scortavano
i Beatles e dovevano escogitare mille
trucchi per evitare i fans.
Non sempre succede, per le definizioni che
restano nel tempo e in qualche modo fanno
epoca, ma nel caso della beatlemania si
può risalire al giornale che sparò questo
neologismo in un titolo. Il 13 ottobre del
1963 i Beatles parteciparono alla Sunday
Night At The London Palladium e il giorno
dopo il Daily Mirror coniò l’espressione
che avrebbe contraddistinto tutta la
prima parte della folgorante carriera del
quartetto.
A un certo punto sembrava che tutto quello
che i Beatles toccavano si trasformasse
in oro. Durante i concerti il loro pubblico,
formato in buona parte da ragazzine
scatenate, urlava così forte da coprire
completamente la musica. I Beatles
erano bersagliati da caramelle gommose,
dopo che in un’intervista George aveva
detto di gradirle più di altre. In un primo
momento sembrava che il gruppo riuscisse
a cavalcare il ciclone, ma alla fine la
beatlemania finì con l’assumere aspetti
sempre più inquietanti – ci fu l’incidente
provocato dalla famosa frase di John
sui Beatles più popolari di Gesù Cristo e
anche l’incidente diplomatico con Imelda
Marcos, first lady delle Filippine – e i Beatles
decisero di smetterla con le esibizioni dal
vivo.
La beatlemania però era fatta anche di
oggetti. Parrucche (ovviamente), stivaletti,
cappelli, sciarpe, tazze, spillette, pupazzi…
tutto il bric-a-brac che può far incassare
denaro – non ai Beatles, badate, ma qui
la storia si farebbe troppo complicata
– intorno ai Beatles c’era. E fra tanto
ciarpame c’erano (e ci sono ancora:
visitate il sito ufficiale thebeatles.com)
cose come il modellino del Sottomarino
Giallo della Corgi Toys messo in vendita
nel 1968 in occasione dell’uscita nelle sale
dello splendido lungometraggio a cartoni
animati Yellow Submarine. Io avevo 17
anni e non riuscii a trovarlo, nonostante
fossi anche un collezionista Corgi Toys
(England uber alles, mi verrebbe da dire,
visto che i corgi sono i cani preferiti dalla
Regina Elisabetta). Immaginate quindi la
mia gioia quando, molti anni dopo (era il
’97), ne vidi un esemplare nella vetrina di
un negozio. Non passò neppure un minuto
tra il vederlo e comprarlo. Scoprii poi che
la Corgi lo aveva “ristampato” con tanto
di certificato, affiancandogli il bus di
Magical Mystery Tour e il newspaper taxi di
Lucy In The Sky With Diamonds. Da allora
il mio Yellow Submarine fa bella mostra
di sé su uno scaffale della mia libreria. Mi
ricorda prima di tutto che i Biechi Blu alla
fine non vinceranno e poi che bisogna
sempre e comunque dare spazio ai sogni,
alla musica e all’Utopia.
Bios & Books
Mettere insieme una bibliografia dei
Beatles è un’impresa pressoché impossibile.
Sembra che la loro storia sia una miniera
inesauribile di fatti, appunti e riflessioni. Fino
a qualche tempo fa il nostro paese era un
po’ avaro di saggi originali e traduzioni, ora
le cose vanno un po’ meglio… anzi, direi
che c’è da sbizzarrirsi.
Vi segnalo qualche titolo tra i più recenti
– mi vengano perdonate eventuali
dimenticanze. La Sublime Records & Books
ha mandato in libreria nel 2005 un saggio
di Steve Matteo su Let It Be., mentre la
Azimut ha pubblicato, sempre nel 2005, un
delizioso The Beatles In Rome 1965 con le
foto di Marcello Geppetti.
Inquietante e maniacale Il caso del doppio
Beatle di Glauco Cartocci (Robin Edizioni,
Roma, 2005), tutto centrato sulla vicenda
della presunta morte di Paul McCartney.
Nel 2006 Coniglio Editore (Roma) ha
tradotto in italiano John, un libro della prima
signora Lennon illuminante soprattutto per
gli anni di Liverpool. Sempre nel 2006 è
la volta di John Lennon, Tutto il potere al
popolo, un’intervista edita da Datanews di
Roma. Fondamentale The Beatles, La vera
storia di Bob Spitz (Sperling & Kupfer Editori,
Milano, 2006), in assoluto una delle migliori
biografie dei Beatles in circolazione, anche
se il traduttore si è un po’ incartato nelle
pagine che descrivono le tecniche di
registrazione di George Martin e Geoff
Emerick.
Molto interessante) Sgt. Pepper. La vera
storia di Riccardo Bertoncelli e Franco
Zanetti (Giunti, Firenze, 2007). Delizioso I
Beatles in India di Lewis Lapham (Edizioni
e/o, Roma, 2007), ma… lo sapevate che
Furio Colombo, senatore della Repubblica
ed ex direttore de L’Unità è stato l’unico a
poter filmare i Beatles in quel di Rishikesh?
Last but not least, Revolution di David
Quantick (Il Saggiatore, Milano, 2007),
un’analisi
approfondita
dell’Album
Bianco.
La musica
Nessun cd
rimasterizzato extra lusso
limited di Sgt. Pepper – il compito è stato
affidato al prestigioso mensile britannico
Mojo, che ha realizzato un vero e proprio
remake affidando le canzoni più famose
del mondo a una schiera di giovani band.
Ma Paul si è tolto la soddisfazione di far
uscire il suo nuovo disco da solo, Memory
Almost Full, proprio in coincidenza con il
quarantesimo anniversario di Sgt. Pepper.
Opera pregevole e molto beatlesiana, la
sua, anche se le preferiamo il bellissimo
Chaos And Creation In The Backyard, forse
l’apice di tutta la sua carriera post-Beatles.
E anche se non raccoglie tutte le cover
di John che sono state realizzate per
sostenere Amnesty International – le altre le
trovate in rete – non possiamo dimenticare
Make Some Noise, Save Darfur. Riprendere
canzoni come Imagine o Jealous Guy
sarebbe fonte di preoccupazione per
qualsiasi artista, ma bisogna ammettere,
ignorando quel grido al sacro profanato
tipico di alcuni critici, che questo doppio cd
contiene parecchi momenti emozionanti.
Segnaliamo almeno le versioni degli U2
(Instant Karma), dei R.E.M. (#9 Dream),
di Jakob Dylan e Dhani Harrison (Gimme
Some Truth), di Jackson Browne (Oh, My
Love) e perfino – chi lo avrebbe mai detto
- dei Duran Duran (Instant Karma).
In fondo, dopo aver considerato alcuni
oggetti legati ai Beatles (non vi ho detto della
spillina smaltata di Yellow Submarine, ma io
sono un po’ Peter Pan e non faccio testo),
e alcuni libri, librini e libroni, non possiamo
che prendere atto dell’importanza della
loro musica. Quella di ieri. E quella di oggi.
p.s. Sapevate che i francobolli dedicati ai
Beatles emessi al principio del 2007 sono i
più venduti nella lunga storia della Royal
Mail? In Italia si possono ancora (forse)
trovare da Bolaffi.
Inutile dire che per un vero beatlesiano
sono un acquisto obbligato.
Giancarlo Susanna
Dopo due anni da Parola D’Onore, Roy
Paci e i suoi Aretuska tornano con un
disco nel quale “riportano tutto a casa”.
Tanti gli ospiti, tanti i linguaggi, per un
sound caldo e meticcio, debitore sin dalla
copertina alla esplosiva miscela che fu dei
Mano Negra. Trainato dal singolo Toda
Joia Toda Beleza, che vede il trombettista
siciliano accanto a Manu Chao,
Suonoglobal utilizza un canale alternativo
di distribuzione, essendo in vendita nelle
edicole con Xl di Repubblica.
Sei in giro a promuovere questo
Suonoglobal che, già a partire dal titolo,
definisce bene il suo contenuto. Anzitutto,
come va pronunciato? All’inglese o alla
spagnola?
Decisamente alla latina… sarebbe
Suonoglobàl. Beh, ti confesso che il titolo
del disco è l’ultima cosa che decidiamo.
Mi piace molto pensare che il fruitore
di questo disco abbia una personale
interpretazione del titolo. Poi è un titolo che
si presta ad una serie di letture trasversali e
dunque mi piaceva per questo.
La copertina del nuovo disco rimanda
tanto alle celebri copertine dei Mano
Negra… mi vengono in mente Puta’s Fever
o Casa Babylon. È un omaggio diretto,
visto che nel disco c’è come ospite Manu
Chao?
Il lavoro è stato realizzato da un
grandissimo grafico di origine coreana ma
che vive ormai a New York da tempo e
che aveva già lavorato nell’ambito della
musica. Ovviamente mi piaceva riuscire a
riprendere l’immaginario dei Mano Negra
per proiettarlo nel futuro. Io sono un tipo
preciso e dunque cerco di curare tutti i
dettagli, compresa la grafica.
Suonoglobal è stato distribuito con Xl di
Repubblica. Come mai questa scelta?
È stata una formula che ha dato i
suoi frutti perché il disco ha venduto
davvero bene in questi primi giorni. La
proposta ci è arrivata dal giornale e noi
l’abbiamo accettata perché ci sembrava
interessante promuovere il disco attraverso
canali diversi dai soliti. Se non va bene
così la prossima volta lo distribuiremo con
il porta a porta (ride). Poi non possiamo
nasconderci, viviamo in un periodo difficile
per l’industria discografica e questo ci ha
permesso di arrivare a più gente sempre
fermo restando un prezzo al pubblico
accessibile che abbiamo imposto.
Hai chiamato a te un sacco di amici.
Erriquez, Sud Sound System, Cor Veleno,
Caparezza, Raiz, Pau e naturalmente
il già citato Manu Chao. Che tipo di
apporto ti hanno assicurato? Era la volta
buona questa per coinvolgere più gente
possibile?
Dopo 27 anni di carriera ho sentito la
necessità di raccogliere un po’ dopo
aver seminato. I musicisti che hai citato
sono soprattutto amici che frequento ben
volentieri anche fuori dalla mio lavoro.
Con molti di loro c’è un impegno etico
e civile, vedi con Pau la storia dei pozzi
d’acqua in Kenia o con Erriquez il lavoro
al fianco del movimento zapatista. Io
non sono certo un accentratore nel mio
lavoro. Avrò altri difetti ma non questo e
dunque ho creduto che fosse il momento
migliore per coinvolgere quanta più gente
possibile. È stata come una mega reunion.
Tieni conto che stavolta alla produzione
artistica c’è Fabrizio Barbacci (Ligabue,
Negrita, Nannini, ndr) il cui apporto mi ha
assicurato un livello molto alto. Quindi mi
sono sentito pronto per invitare uno come
Manu, con cui del resto lavoro da sette
anni.
Suonoglobal è linguisticamente una torre
di Babele…
Dici bene. Credo che in Suonoglobal ci sia
una vastità di linguaggi e di idiomi che ci
ha dato la possibilità di utilizzare una sorta
di esperanto musicale molto latino ma
risultante dall’incontro di tante culture.
Ilario Galati
22
Quiet è il primo lavoro solista di Lucariello, rapper napoletano
noto ai più come voce degli Almamegretta post-Raiz. I più
attenti ricorderanno nel ‘98 l’uscita di un autoprodotto dal nome
Spaccanapoli, dei Clan Vesuvio. Luca c’era. Ed era 9 anni fa. Nel
frattempo Lucariello, all’anagrafe Luca Caiazzo, si è costruito la
fama di “rapper dei vicoli”, dando vita ad una figura che in un
certo senso si pone al polo opposto rispetto ai fanzinati e tiratissimi
rapper della Milano che conta, quella delle tv musicali, quella
delle major. Adottato dalla famiglia Alma a pieno titolo (assieme
a Patrizia Di Fiore) nel 2003, il legame si è rinnovato in occasione
del suo primo lavoro solista, nei negozi per Sanacore Records dai
primi di aprile, presentandoci un gioiellino in confezione fumosa,
dalle tinte cupe, e dalla title track che può essere pronunciata
indistintamente in inglese o napoletano. Ed è subito rivelazione.
Critica e pubblico, dalle riviste più titolate agli squinternati blog
della rete, girano ottime recensioni, pareri entusiasti, è nata una
stella. Eppure Luca ha quasi trent’anni, ed il cofanetto tra le nostre
mani più che l’esplosione di una SuperNova va considerato il
frutto del lento accumulo di tensione artistica durato sette anni,
passati tra i vicoli di una Napoli che mai come nelle sue canzoni
viene descritta dal di dentro, con la rabbia di un ragazzo che non
è voluto fuggire “lontano”. Rap da strada, rap violento (Pistole
puttane e cocac**a è un chiaro biglietto da visita), ma che
alla base delle ritmiche sincopate pone un lavoro esemplare
di critica sociale che si riflette nella scrittura dei testi quanto
nell’interpretazione vibrante di Lucariello.
Luca Caiazzo, ha deciso di parlare, di denunciare, e lo fa con la
retorica a lui più familiare, il rap.
Molti al sud sono cresciuti sognando con la musica degli
Almamegretta. Tu, forse, hai esagerato: talmente hai sognato
che alla fine sei stato “inglobato” dalla famiglia. Adesso, Quiet,
ci propone un Lucariello in versione solista. È un episodio o hai
intenzione di proseguire per questa strada?
Sai, è vero ciò che dici. Il mio rapporto con gli Alma si è evoluto
proprio lungo la direttiva che ogni fan vorrebbe seguire. Ma
ciò non toglie nulla alla mia carriera solista, è il fatto vero, a 30
anni ho deciso di fare questo. Dopo sette anni di silenzio come
Lucariello sto pensando ad una produzione parecchio fitta. Ci
voglio lavorare…
La critica più frequente che viene mossa al rap italiano è la
mancanza di quel background sociale tipico dei ghetti e delle
strade americane, come se per fare rap di un certo livello fosse
necessario aver sperimentato disagio e ghettizzazione…
Non sono mai stato molto d’accordo con quest’interpretazione.
È inevitabile che l’arte si nutra della sofferenza in generale, da un
certo tipo di vissuti provanti. Questo tipo d’ispirazione non è legata
però al ghetto o a chissà cosa. Anche l’uomo più medio sulla
faccia della terra può sperimentare sensazioni che ti stimolino alla
creazione, il problema è la resa. Il vero problema del rap italiano è
proprio il non riuscire a guardare a sé stesso privandosi del modello
a noi estraneo. Abbiamo la nostra sofferenza anche noi, da essa
KeepCool
possiamo trarre ispirazione. Guardiamo a Fabri Fibra, un esempio
facile, lui riesce a parlare del suo mondo, della sofferenza di un
adolescente, pur’si ten’trentann’, ma quella è un’altra storia.
Che magari il discorso formale possa essere legato al modello
americano, è un discorso generalizzabile a buona parte della
musica italiana, non solo al rap, a partire dagli esordi di Adriano
Celentano… Anche un po’ con una certa pressione da parte dei
discografici, si è sempre cercato un parallelo vincente cui rifarsi,
ora Springsteen, ora Eminem, poi chissà chi…
E Lucariello a chi guarda?
Lucariello non guarda a nessuno, ti dirò la verità, cerco di tirarmi
fuori da questa dinamica. Volgarmente definirei questa differenza
come la sega versus la scopata. Guardarsi dentro, tirar fuori
qualcosa di tuo senza un riferimento limitante, quello sì è un
rapporto completo. Il resto è solo un raspone…
Nel cd ci sono una serie di personaggi e di storie, Totore, Queen of
the street, Mariarca ed altri. A quale di questi ti senti più legato, chi
di loro hai incrociato più volte per le strade della tua vita?
In realtà il legame ci sta con tutti, non credo di poter fare una
distinzione tra chi più e chi meno. Ma se dovessi scegliere un
personaggio cardine, che fa vibrare di più il cuore delle altre
persone, sceglierei proprio Totore. Totore vive dentro ognuno di
noi. Lui si lamenta del fatto che la gente ti guarda solo fuori e
non riesce a capire, anzi, non s’interessa proprio a ciò che anche
un ragazzo nella sua condizione può provare dentro. E sente le
parole della gente, quel pover’uaglione che lo accompagna
ovunque lui vada, lui lo sente come una coltellata, l’eco di una
finta compassione che si ferma solo in superficie.
Lucariello, nato a Napoli, canta in napoletano, ispirandosi alle
strade della sua città. Eppure nel booklet del tuo cd tutte le
canzoni sono “tradotte” in italiano. Me lo spieghi?
Tutti i napoletani non incontrano difficoltà con quella che
si potrebbe dire “una lingua a sé”, come il napoletano. Ciò
nonostante Napoli, pur avendo questo idioma tutto suo, è inserito
dal 1860 in uno stato chiamato Italia, pace all’anima di Garibaldi.
Ho voluto semplificare l’understanding di tutto il resto della
nazione.
Nel cd, come dal vivo, molti dei pezzi sono interpretati, quasi
recitati…Ti sposti dal ruolo del cantante e diventi tutti loro. È una
KeepCool
scelta stilistica o ti viene spontaneo?
È una scelta. In un certo momento il mio modo di scrivere è
cambiato, ed in parte lo devo all’influenza della lettura di Karl
Jaspers (psicopatologo di inizio novecento, ndr). Lui teneva in
gran conto l’importanza dell’empatia, il sintonizzarsi sulla persona
di cui vuoi capire il funzionamento. Non dico l’artista, ma chiunque
desideri utilizzare la comunicazione in un modo creativo deve
porsi in quella stessa ottica. Si dice: “L’artista è bugiardo”. Trovo
che sia una questione di risonanze, far vibrare il tuo cuore sulla
frequenza di un altro, attraverso la musica amplifichi questo
meccanismo e fai sì che avvenga ancora su scala più vasta.
In Lovesong dici “Montagne d’immondizia, gettate per la
strada e nella televisione” (“quei versi li ho scritti cinque anni
fa”, mi dice Luca, “la monnezza già c’era”), quanto può essere
pregiudicante il clima negativo di crescita sui giovani napoletani,
ma anche baresi, palermitani, di ovunque essi siano, cresciuti
in una situazione sociale drammatica come quella dei quartieri
poveri?
L’ambiente ci forma, è chiaro. Sarebbe compito delle istituzioni
recuperare certe falle del sistema, eppure… Ricordo che anni
fa, io andavo all’istituto d’arte dietro Piazza Plebiscito, era il
periodo in cui si parlava di speranza “Bassolino”, di cassa del
Mezzogiorno. Ricordo il nuovo fasto di quel quartiere, ed i palazzi
ristrutturati solo sul lato che si affacciava su Piazza Plebiscito.
Cortile, interno, tutto fatiscente. Lavorare sull’educazione ha dei
tempi lunghissimi, ed a volte risultati relativi. È un discorso, questo,
che con i tempi della politica non funziona. Chiunque sia eletto,
in quattro anni s’impegna in opere a più rapida risonanza, invece
che attendere che un’intera generazione tra vent’anni possa
dirti grazie. Se si facesse un lavoro di dieci anni, di quindici anni,
sull’educazione civica e sociale, di sensibilizzazione… Il problema
a Napoli è proprio che la gente è scostumata, inculante, la
cultura del fregare qualcuno con la furbizia. Certo è un discorso
globale, ma lì si comincia dalle cose spicciole e si finisce alle vite
intere passate sotto l’ombra di quello o questo, infilato e mai
meritevole. Questa è la tragedia…
Elvis Ceglie
23
Il Mavù, locale di Locorotondo sempre più attento a offrire al suo
pubblico un carnet differenziato, fatto di dj set ma anche di eventi
dal vivo, ha inaugurato il 23 giugno la sua stagione estiva con il
primo dei cinque set della rassegna Making senses. L’apertura
della stagione estiva è affidata ad Amalia Grè, ormai padrona di
casa; prossimi ospiti, Dee Dee Bridgewater, Gotan Project, Antonio
Marquez e Ray Gelato. Abbiamo fatto due chiacchiere con la
sorprendente artista pugliese.
Stai lavorando al nuovo album? (Il precedente lavoro, Per te, è
stato pubblicato il 10 febbraio 2006, ndr)
Si si, qualcosina l’ho gia fatta…
Cosa dobbiamo aspettarci? Lavori sempre con le stesse persone
o hai cambiato?
Mah, il solito fritto misto! Sarà sempre pubblicato dalla Emi. Per
quanto riguarda il produttore, non so ancora. Nel precedente
album avevo lavorato con Davide Bertolini (produttore dei Kings
of Convenience, ndr), ma in verità non so se nemmeno se voglio
un produttore, qualcuno che mi stia dietro. Voglio essere libera di
creare!
Ma se è questo il tuo istinto, non posso non farti una domanda su
Sanremo. A bocce ferme, come valuti quell’esperienza? Cosa ti è
piaciuto e cosa no?
Sanremo era un passo da fare, perciò sono contenta di averlo
fatto, anche perché mi ha permesso di uscire da un pubblico
prettamente di nicchia. Allo stesso tempo, il punto debole
dell’esperienza è che non sarò mai una cantante pop (ride, ndr)
Ti piacerebbe regalare un tuo testo a qualche cantante italiano o
internazionale? Se sì, a chi?
Tra gli italiani a Mina, perché mi piace molto. Internazionali?
Bjork…
Accidenti! Hai ascoltato il nuovo album?
Non ancora. Me lo consigli? (e così parte una lunga digressione sul
nuovo album di Bjork, ndr)
Che emozione provi nel sentire tante persone immedesimarsi
nei tuoi testi, che sono assolutamente personali? Pensi che loro
possano capirli veramente?
Questa cosa mi rimanda solo a pensieri positivi. È una cosa
simbiotica, osmotica, non è facile da spiegare ma è molto
affascinante. È una roba magica. E riguardo la comprensione dei
testi, è solo un fatto di tempo... piano piano, mi capiscono.
Un’ultima domanda: leggendo la tua biografia è facile notare
come tu abbia lasciato quasi subito la Puglia per formarti come
persona e come artista. Cosa suggerisci ai giovani che stanno
per iniziare l’Università o stanno cercando lavoro? Andare via a
provare a restare?
Non so che lavoro voglia fare tu, ma andate via. Che restate a
fare? Partite, conoscete gente nuova, potete solo guadagnarne,
vi aprite la mente. Andate, andate!
Ma magari poi torniamo, come lei, felicissima di suonare nella sua
Puglia.
Dino Amenduni
24
Primi di Giugno. Al Circolo degli Artisti di Roma ne avvengono delle
belle. Shellac e Sondre Lerche e le reazioni possibili credo siano
due: corrucciare la fronte ed esclamare “ma che cazzo” oppure
vederla come un’eccezionale trovata che unisce in un solo nodo
spazio-temporale dinamiche e fan di due scene musicali così
distanti.
Gli Shellac sono il gruppo math-rock di Steve Albini (nella foto in
basso), vengono dall’Illinois ed hanno appena dato alle stampe
Tipical Italian Greyhound, dopo cinque anni di silenzio; Sondre
invece è un biondino di Norvegia, pop cantautorale e sonorità
rock dal calore inconsueto per quelle latitudini.
Shellac = Steve Albini. Questa la prima nota su un gruppo che
in Italia non riempie le piazze, ma che non nasconde le sue
origini tipicamente italiane. Si ma poi? Shellac è anche Vintage
Rock, e per comprenderne il significato basterebbe parlare della
strumentazione utilizzata dal trio, gli amplificatori gracchianti
ed arruginiti, l’assenza di effettistica alla moda. la scelta mirata
di Albini di far uscire sul mercato i vecchi vinili di una volta, solo
successivamente trasposti sui moderni supporti digitali (da
leggere: CD). E forse non saremmo qui a parlarne se alla base di
un progetto così controtendenza non ci fosse un personaggio che
di tendenze rock ne ha lanciata qualcuna, produttore di Nirvana,
Gogol Bordello, Flogging Molly, Pj Harvey e Pixies. Eppure il clima
che si respira non è propriamente quello di un concerto serio ed
impegnato dove una boriosa leggenda del rock mostra a tutti i
plebei le sue falliche attitudini chitarristiche. Tuttaltro, Albini è un
pazzo scatenato, i suoi soci (entrambi con alle spalle nient’altro
che un pugno di mosche, prima degli Shellac), completano il
quadro. Assieme paiono la realizzazione del sogno di qualunque
band di provincia, magari formata da quattro studenti di fisica,
per giunta fuori corso. O meglio, professori di fisica, studenti di
musica, volontariamente fuori corso. Ecco spiegato tutto, Albini
pronuncia stonati sermoni su ritmiche asfissianti, lo spettro dei Pil è
KeepCool
puro associazionismo ma rende l’idea, e quando il pubblico (mai
visto un audience più diviso tra adoranti e schifati) vocia, Bob
Weston interviene pronunciano un Be quiet! col dito sulle labbra.
Si, decisamente professori. Albini indifferente continua la lezione,
fa boccacce e gestacci, suona per sé stesso, completamente a
proprio agio nel ruolo dell’artista a sé stante. Per completare il
quadro, a due pezzi dalla fine, dal palco parte il colpo di grazia…
“Have you got any question?”
E poi che accade?
Esplosione di luce e colori, arrivano i norvegesi. Ed è vero, gli
scandinavi sono proprio come nelle pubblicità delle chewin-gum.
Biondi, alti e simpaticoni. Loro dopo gli Shellac, tradotto fa Ok,
Prof, abbiamo portato gli strumenti, possiamo fare qualche pezzo,
con Albini che avrà scosso le spalle trangugiando succo di mirtillo.
E così sul palco sale la scolaresca, capeggiata da Sondre Lerche,
che ormai s’è fatto un nome in tutta Europa, raccogliendo larghi
consensi con il pop d’autore sospeso tra Paul McCartney ed Elvis
Costello, la sua faccia da schiaffi, ed il ciuffo alla Beck. E pop me
l’aspettavo anche dal vivo, dove il norvegese lascia invece che
la bilancia penda ora verso il punk, ora verso il funky, alle volte
attestandosi su posizioni intimiste ma mai patetiche.
Il tono dell’esibizione lo si capisce sin dall’esordio, Airport Taxi
Reception e The Tape in rapida successione (leggasi: Ciao, sono
proprio io, quello allegro anche nei giorni di pioggia!). Ed è qui
che cominciano i miei dubbi. Sondre Lerche è, o no, un paraculo?
Boh.
Di fatto si presenta come la faccia pulita della musica, ascoltare
Phantom Punch per credere, ed anche lui sembra avere un
legame particolare con Roma ed il Bel Paese, poiché più o meno
ad ogni intervallo ringrazia, fa lodi, si dice emozionato di essere
finalmente tornato nella nostra nazione e ricomincia a cantare.
Che sia parte delle tradizioni norvegesi? Mah.
Il concerto prosegue è godibile, il pubblico apprezza, e quando
sul palco viene chiamata un’amica italiana, tale Maria (la
prima Maria bionda alta e con gli occhi azzurri che io abbia
incontrato, cose che solo al concerto di Sondre Lerche) a cantare
ineditamente in duetto Don’t be shallow il Circolo è in delirio.
Troppo simpatico, troppo amabile questo biondino, per essere
vero. Ma quasi quasi me ne frego, mi paraculi pure, purchè ci
riesca bene come adesso…
Elvis Ceglie
Meredith Monk è una delle compositrici e delle vocalist più
apprezzate al mondo. Impegnata sin dagli anni Sessanta nella
ricerca di un una nuova vocalità, è presto arrivata all’utilizzo
di un personale vocabolario di suoni e fonemi, nonché alla
creazione – insieme al suo vocal ensemble – di spettacoli dalla
bellezza ammaliante. L’abbiamo incontrata in occasione di due
performance tenute nel Teatro Comunale di Ferrara.
Perché hai scelto di lavorare quasi esclusivamente con la voce e
non con altri strumenti?
Io appartengo alla quarta generazione di una famiglia di cantanti.
Mia madre lavorava come cantante nelle radio, mio nonno era
un basso-baritono, mentre il mio bisnonno era un cantore. Quindi,
il canto è stato la mia prima lingua. Cantavo prima ancora di
parlare, cosicché il canto è diventato lo strumento del mio cuore,
ed è il centro di qualsiasi cosa io faccia.
Talvolta si percepisce un senso narrativo nella tua musica. Provi
mai a raccontare storie con la tua musica?
Io non penso che la mia musica sia tanto narrativa quanto piuttosto
poetica. Non seguo una linerarità nelle cose che compongo, nel
senso di dire: “è successo questo, e poi quest’altro e poi quest’altro
ancora”. Io sono molto più interessata alla poesia della musica,
sono interessata a creare immagini, a dare la possibilità che
chi ascolta possa elaborare la propria personale immagine. Le
canzoni di solito parlano di un preciso argomento, o si riferiscono
a qualche specifica situazione, ma la mia musica è più astratta
perché io lavoro senza le parole.
Tu hai iniziato a comporre e a esibirti negli anni Sessanta. Cosa è
cambiato in questi anni nella tua musica?
Quando ho iniziato mi esibivo sempre da solista,
accompagnandomi con la tastiera. Intorno alla metà degli anni
Sessanta studiavo musica classica e cantavo in una band di rock
& roll, ma sapevo che volevo trovare il mio modo personale di
usare la voce. Ho avuto una specie di rivelazione che la voce
poteva essere uno strumento senza l’utilizzo di parole, che potevo
allargare le possibilità della mia voce senza badare alle distinzioni
di registri o alle differenze tra voce maschile e voce femminile,
che ci potevano essere diverse modalità nel produrre suoni, che
la voce è uno strumento molto molto antico, e che tutto questo mi
riportava alle mie origini famigliari. Ero sola in questo, ma ovunque
c’era uno spirito di sperimentazione, si pensava che tutto era
possibile. In tutti i campi artistici. Ci si incoraggiava l’un l’altro,
e tutti erano pronti a supportare il rischio e i tentativi degli altri.
L’idea era: “sbaglia pure, ma continua a provarci”. Adesso non
sento più questo spirito.
Una volta tu hai detto che Janis Joplin ti ha dato la forza di andare
avanti con la tua ricerca.
Dopo che ho iniziato a seguire la mia strada, ho avuto un anno
molto duro, mi sembra che fosse il 1968: mi sentivo così depressa.
Ascoltare Janis Joplin mi ha dato la forza per uscire fuori dalla
mia depressione e continuare con il mio lavoro. Lei era una
grandissima musicista, per il fraseggio e tutto il resto: veramente
incredibile. E poi dava quell’idea di bellezza. A quel tempo, quello
che facevo era ancora così grezzo: lei mi ha fatto capire che la
bellezza include tutto e che potevo operare sul suono pensando
alla bellezza.
Ascoltando i tuoi lavori si percepisce sempre un’atmosfera che
è fuori dal tempo o che è inserita in un tempo differente da
quello comune. Quanto è importante elaborare un’idea di tempo
differente?
Io sono molto interessata alla condizione di assenza di tempo,
alle ricorrenze che attraversano la storia e il tempo e che
rappresentano le situazioni fondamentali degli esseri umani. La
voce è lo strumento che collega tutto questo: è il più semplice, ed
è stato il primo strumento della storia. Quindi lavorando con le voci
mi piace cercare l’assenza di tempo, con la quale io posso essere
nell’antichità o nel futuro, o nel mondo in cui viviamo adesso.
Ti interessa qualche vocalist contemporaneo? So che Björk, ad
esempio, ha cantato un tuo pezzo.
Björk, per me, è come una figlia. Lei porta avanti in qualche modo
il mio lavoro, con lo spirito del porsi domande, del correre rischi.
Mi viene in mente Rebecca Moore, ma non riesco ad ascoltare
quanto vorrei, sono sempre in giro per tour, quindi conosco poco
di quello che sta succedendo adesso.
Gianpaolo Chiriacò
26
Ancora una bandierina da aggiungere alla
nostra mappa delle etichette indipendenti
italiane. Questo mese è il turno della Tafuzzy
Records. Ne abbiamo parlato con Davide
Brace.
Perché Tafuzzy?
Era un mio ridicolo soprannome che
avevano coniato due mie care amiche
storpiando
ripetutamente
“Davide”:
alla tedesca “Taffite”, vezzeggiandolo
“Taffituzzi”
ed
infine
“Tafuzzi”.
Noi
abbiamo aggiunto la y alla fine che fa
più international. E comunque no! Non ha
niente a che fare col personaggio che si
percuote gli zebedei. Si pronuncia tafuzzi
e non tafazzi come molti amano fare…ma
alla fine è lo stesso.
Un po’ di storia, come nasce e come cresce,
come si muove nell’intricato sottobosco
indipendente la Tafuzzy?
In principio, circa 2002, furono i Cosmetic
la prima band del circondario (Romagna)
per la quale ho provato veramente
qualcosa. Il loro cantante Bart era un mio
caro amico dei tempi del liceo. Lompa,
Alice ed io avevamo appena dato vita
al primo abbozzo di quello che ora sono
i Mr.Brace. Bart doveva realizzare per un
esame universitario di informatica un sito
a piacere e si inventò quello della “Tafuzzy
Inc.” associazione che si proponeva di
organizzare a domicilio in tutta Italia eventi
che unissero il sound delle band rivierascheromagnole alla somministrazione dei
prodotti tipici della nostra gastronomia (la
pìda se’l parsòt al pìs un po’ ma tòt). A quel
punto il sito era on line e le band esistevano
veramente, di conseguenza siamo partiti
un po’ per gioco e un po’ no con questa
follia dell’etichetta indipendente.
Quanta passione e quanta incoscienza ci
vogliono per intraprendere questa crociata
in difesa dell’altra musica?
Con la passione ci si nasce e ne si è
succubi, non è che si possa fare molto
altro. Della beata incoscienza inizialmente
ne eravamo incoscienti per cui è difficile
quantificarla. Risulta però effettivamente
molto più difficile andare avanti a mano
a mano che cresce la coscienza: quasi
nessuno compra più dischi, il paradiso
discografico non esiste neanche altrove
ma sicuramente l’essere in Italia non
aiuta ancora molto. C’è da rimboccarsi
le maniche, scegliersi buoni maestri che
comunque a guardar bene non mancano
e continuare a fare la propria cosa meglio
che si può affinché il fare dischi e concerti
possa diventare prima o poi un’attività
sostenibile, economicamente parlando
in primis, che di guadagnarci qualcosa
ancora non si è neanche nelle condizioni
di ipotizzarlo.
Un catalogo che non si fa fatica a definire
“strano” ce ne parli?
Come direbbe il nostro caro amico Marino
Josè Malagnino di Produzioni Pezzente: “A
me sembra tutto così Pop! Com’è che non si
vende niente?”. Non definirei perciò strano
il nostro catalogo, esistono realtà ben più
“strane” tra gli artisti italiani e (per fortuna)!
Semmai ci piace un certo approccio
alla materia: quel che di casalingo che
avvicina chi suona a chi ascolta e una
certa cura e attenzione nello scrivere in
italiano cose che non risultino imbarazzanti.
Per il resto nel nostro catalogo si spazia dal
teatrino folk’n’roll all’elettronica casalinga,
dall’amore per certa tecnologia scrausa
al cantautorato più sghembo, dal noise
artigianale all’electro pop, il tutto con un
certo amore per la forma canzone e senza
nessun problema se a qualcuno piace quel
che facciamo.
Che rapporto avete con gli artisti pubblicati,
cosa fate per loro?
Gira che ti rigira tutti i nostri progetti, se
non sbaglio attualmente sono sette ma si
prevede di espandersi presto, sono in un
qualche modo concatenati e coinvolgono
un giro di più o meno quindici persone
con cui condividiamo risorse quali studi di
registrazione e persone capaci di metterci
le mani, un valente entourage di grafici
e fotografi per copertine, merchandise
e quant’altro, un responsabile del sito,
addetti alla comunicazione
e alla
promozione, chi continua ad ascoltare
e selezionare i demo che ci arrivano, chi
mantiene buoni i rapporti con gli enti statali
e altre associazioni per l’organizzazione
degli eventi, un grande amico (Giacomo
Spazio) editore che si occupa dei diritti e
dell’eventuale distribuzione (anche se per
lo più continuiamo ad essere un cd-r label
che si autodistribuisce). Non si fraintenda,
tutto questo veramente ancora molto
fatto in casa e a gratis ma sembra che
applicandosi stiamo diventando bravini.
Domanda retorica, è possibile vivere di
musica in Italia? Come sopravvive la
Tafuzzy?
Forse è possibile, dipende però ovviamente
da cosa intendi per “vivere”. Qualcuno che
merita tutta la nostra stima ce la fa anche
senza scendere a quei temuti e denigrati
“compromessi” ma si devono fare scelte
di vita coerenti e conseguenti. Diciamo
che noi attualmente ci impegnamo
per non rimetterci con le spese e se ci
impegnamo vuol dire che ancora il rischio
c’è. Sopravviveremo? Speriamo!
Ogni anno in un certo qual modo vi
festeggiate, ci parli del Tafuzzy day?
Il Tafuzzy Day è il festival che organizziamo
ogni anno a fine agosto a Riccione
(quest’anno sarà venerdì 24 e sabato 25
Agosto presso il Castello degli Agolanti).
L’evento viene inteso per l’appunto come
una festa per il lavoro che abbiamo svolto
durante l’anno ed un occasione per
rendere partecipe chi vuole festeggiare
con noi. Durante le serate perciò suonano
alcuni gruppi della Tafuzzy insieme ad
altri artisti che stimiamo. In occasione del
festival presentiamo una compilation che
raccoglie brani inediti dei gruppi Tafuzzy.
Dove si possono trovare i vostri dischi?
Vengono venduti ovviamente ai concerti
ed è possibile anche ascoltarne degli
estratti ed eventualmente acquistarli on
line sul nostro sito www.tafuzzy.com.
Un disco per l’estate, uno per il cuscino,
uno per la vita. Ci consigli tre album?
Non sono affatto bravo in queste cose,
né rappresentativo dei gusti degli altri
tafuzzers ma visto che debbo risponderne
personalmente, poichè amo troppi dischi
diversi e di diverse epoche, decido di
cavarmela consigliando le ultime cose che
sto ascoltando orora: per l’estate va bene
qualsiasi cosa troviate di Jonathan Richman
and the Modern Lovers, per il cuscino il
disco di Nathan Fake Drowning in a sea of
love e sogni d’oro, per la vita (uhuuu!) trovo
immensamente affascinante da un po’
di tempo a questa parte l’opera di Arthur
Russel, in particolare consiglierei Another
Thought. Ora sono nei casini perché ho il
cervello sovraffollato di decine di altri dischi
che si spingono e mi insultano sdegnati per
l’ingratitudine dimostratagli ma dirò a tutti
loro che è colpa tua e comunque si è fatta
l’ora dei ringraziamenti e dei saluti.
Osvaldo Piliego
Coolibrì
Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale
la letteratura secondo coolcub
La banda delle casse da morto
Nick Laird
Minimum Fax
Nick Laird è nato 32 anni fa nell’Irlanda
del Nord. Ha studiato in Inghilterra, dove
ha intrapreso la carriera promettente di
avvocato, ma dopo il matrimonio con
Zadie Smith, autrice-fenomeno di Denti
bianchi e Della bellezza, ha avvertito
l’urgenza misteriosa di rivolgere il proprio
talento verso altre risorse, pur mantenendo
come punto fermo l’interesse verso tutto ciò
che è legge. Indagando il rapporto sibillino
tra l’uomo e la giustizia, e analizzando la
relazione stravagante che viene a stabilirsi
tra la colpa effettiva, presunta, o falsa e
la conseguenza della pena, ha scoperto
così la sua tensione verso il narrare, e
nello specifico il narrare di giurisprudenza.
Trasferitosi a Roma per scelta - perché
città capace di tradurre l’intenzione di
scrittura in mestiere - ha dato corpo al
sentimento dello scrivere con questo suo
esordio in narrativa, pluripremiato in patria
e rintracciato e sostenuto dall’attenta
casa editrice capitolina. Il protagonista di
questa opera prima è a perfetta immagine
e somiglianza dello stesso autore. Danny ,
infatti, è un giovane avvocato specializzato
in arbitrati internazionali,e lavora presso un
prestigioso studio legale londinese che
gli garantisce una rassicurante esistenza
stereotipata, con casa elegante, stipendio
notevole, vita sociale raffinata. Arrivato
nella Londra delle sicurezze esistenziali
direttamente dall’Ulster delle incertezze
croniche, Danny intrattiene con la sua
terra d’origine un rapporto indifferente,
fatto di memorie fastidiose e turbolenze
mal gestite, buttate – così crede - ormai
alle spalle. Evitare l’inevitabile, però,
non fa altro che annullare le distanze,
e proprio dalla rifiutata provincia nordirlandese giunge d’improvviso l’amico
d’infanzia Geordie, piccolo spacciatore
dedito anche alla truffa, che stavolta
ha ingannato gente difficile e molto
pericolosa, legata al terrorismo unionista.
Cinque giorni di frenesia totale attendono
i due compagni ritrovati, tra dossier
ingarbugliati sulle vicende passate dell’Ira
e studi improbabili sullo stato di salute di
un’azienda da rilevare, e intanto la birra
scorre a fiumi, e così le donne, e così l’ironia.
L’indagine rivolta verso cose e situazioni
– per quanto briosa e d’azione - diventa
subito un esame dell’anima, e al processo
delle intenzioni si incontrano e si scontrano
le due facce di una medaglia comune:
Danny ha scelto di andar via dall’Irlanda, di
studiare nell’Inghilterra “amica-nemica”, di
diventare ricco e importante nella Londra
che troppo facilmente spiana la strada ai
figli dei Celti; Geordie invece l’Irlanda ha
voluto non tradirla, rifiutando scelte facili e
opportuniste, e orientandosi verso quegli
imbrogli che soli consentono ad una terra
maltrattata ed al suo popolo di esistere e
resistere. Romanzo sul senso della fedeltà a
dei valori, La banda delle casse da morto
riporta alla ribalta un immane problema
politico da tempo messo da parte, ma non
certo risolto. Lo fa con la struttura del noir
divertente, e con una scrittura spiazzante
e veloce. Rendendo magistralmente
l’indissolubile legame tra l’intimità di una
vita e le grandi questioni sociali.
Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello
Coolibrì
28
28
La mania per l’alfabeto
Marco Candida
Sironi
Al centro del romanzo d’esordio di Marco Candida,
“La mania per l’alfabeto”, edito da Sironi, c’è un
fantasma, che tutto ordina e muove, che determina
le azioni e scandisce le relazioni tra i personaggi,
s’insinua nello spazio e nel tempo della storia, invade
ogni singola pagina, macina l’immaginario, lo
polverizza, nel suo essere onnipresente. Il fantasma
altro non è che il libro che Michele, protagonista del
romanzo, sta scrivendo: “Il problema di Michele è che
deve scrivere il libro e contro il libro Savemi sa che
può fare ben poco”. Savemi è la ragazza di Michele,
è la prima vittima dell’atteggiamento di Michele, del
suo essere schiavo del demone della scrittura, del suo pensare continuamente alle
idee da inserire nel suo libro, a come renderle linguaggio, a come farne scrittura, a
come disporlo per creare un mondo possibile quanto più coerente e coeso: “Del libro
vedo soltanto tutti i possibili libri che potrebbe essere, vedo i capitoli, i paragrafi, le
preposizioni, persino le singole parole da utilizzare… ma ancora non riesco a vederlo
tutto intero davanti a me… l’acqua non ha ancora smesso di bollire”. Michele altro
non è che un prolungamento della sua stessa tastiera, la parte di un tutto dominato
da post-it, appunti, racconti abbozzati, racconti finiti, esercizi necessari per affinare il
suo rapporto con la parola scritta. Michele è un personaggio senza corpo. È fatto solo
da una mente che produce idee, da idee che si trasformano in linguaggio, da un
linguaggio che diviene scrittura. Michele non ha gambe, non ha mani, non ha naso,
non ha bocca. O almeno la sua anatomia non interessa ai fini della storia. Perché ciò
che interessa è la lotta malata del suo demone (la scrittura) contro il fantasma (il libro):
“Adesso che ci pensa, seduta al tavolino 14, osservando la copertina blu del quaderno
di Michele, Savemi non può che rappresentarsi Michele attraverso i suoi racconti e i
suoi post-it, perché sono questi gli oggetti che riempiono tutto il suo spazio mentale,
ma anche fisico”. Questo atteggiamento di Michele, questo suo muoversi come
mutilato nel mondo reale, questo sua avere i piedi sospesi, questo suo galleggiare
nel mare del linguaggio, avrà ripercussioni nella sua quotidianità. È inevitabile. E non
solo Savemi andrà via, ma perderà il suo lavoro e avrà grossi problemi con la sua
famiglia. “La mania per l’alfabeto”, però, non racconta la storia dell’autodistruzione
di un uomo malato di scrittura, ma la sua guarigione. Rimasto solo, circondato dai
suoi post-it, dal rumore vorticoso della colonnina del suo pc e dalle montagne di libri,
Michele prende coscienza del suo stato: “Michele non può stare chiuso in stanza e
non uscire più. Deve uscire. Non può essere che il suo universo sia solo una stanza o,
al limite, una serie di stanze”. O ancora: “La scrittura non ha allargato, ma amputato
il suo mondo, il mondo del fantasma. Come Savemi lo chiama, e il fantasma esce da
tutti i cassetti, si allunga per tutta la casa, si è insidiato anche nell’ultimo cassetto della
scrivania del suo ufficio: è il fantasma che gli ha fatto perdere il lavoro”. La salvezza
di Michele avviene nel momento in cui capisce che il fantasma va combattuto, non
ucciso, ma ammaestrato, fatto rientrare nei suo cassetti, tra i file del suo pc. In questo
modo riuscirà a riappropriarsi della sua vita, dei suoi affetti, del suo lavoro e, persino,
riuscirà a scrivere con continuità il suo libro. Un esordio atteso, originale e maturo che
ci consegna un autore da seguire con attenzione.
Rossano Astremo
La prigione
John King
Guanda
La prigione delle Sette Torri è il luogo del
raccapriccio e del ribrezzo. Contenitore
orrido di uomini brutali e violenti, tutto al
suo interno si consuma per bestemmia
e per infamia. La abitano anche i
fantasmi della coscienza disumana, che
quando risvegliano le pene e i delitti per
farne paranoia ipnotica, sanno essere
inquisitori ben più temibili dei giudici in
carne e sermoni. Qui vengono escluse
senza possibilità le aspettative di una
qualunque lontana realtà, accogliendo
impietosamente solo l’ansia di un terrore
quotidiano. Qui vengono reclusi anche
i sogni, le chimere, le vie di fuga, perché
pensiero non può fluire nelle menti di
colpevoli. Qui vengono inclusi anche
Jimmy e la sua colpa enigmatica, dopo
aver vagato senza sosta - e senza un
perché - per l’America, l’India e l’Europa
del Sud. Iniziano così altri viaggi non voluti,
che hanno per mappe le identità distorte
di personaggi dai capricci volgari e dalle
voglie irriguardose. Tra le sbarre della
mostruosità più squallida, non manca
proprio nessuno: Gesù, Elvis, il Macellaio, il
Venditore di Gelati, i Secondini Anonimi, e lo
stesso Jimmy, ridotto a tremante aguzzino di
se stesso e delle sue colpe inconoscibili. Ne
nasce una storia in forma di allucinazione
permanente, dal linguaggio energico
e mai gentile, che pure diventa in più di
un’occasione poesia da strada e lirica del
degrado. John King, londinese di nascita
e viaggiatore instancabile, specializzato
in storie balorde ad alta tensione sociale,
denuncia senza limiti la nefandezza di una
delle tante costruzioni civili ispirate dalla
nostro viver comune: il carcere è così
raccontato in tutta la sua incomprensibilità
di luogo contenitore ed aggregatore di
vissuti perversi, da cui fa fatica a venir fuori
una labile ipotesi di riscatto, figuriamoci una
parvenza di sopravvivenza dignitosa che
possa sfociare in una libertà migliore. Resta
l’isolamento senza senso dei crimini e degli
squallori, e l’emarginazione imponente di
una fetta di umanità sbagliata, fastidio
e prurito per la fetta restante di umanità
corretta. “Un uomo gli insulti li regge solo
fino a un certo punto e alla fine riapro gli
occhi, il maniaco dei gelati mi manda un
bacio bavoso e si sfrega le palle, spingendo
i fianchi avanti e indietro mentre geme
t’inculo per bene. Appoggiandomi alla
parete scivolo fino a terra e resto seduto
in silenzio, come gli altri sei detenuti, tutti a
capo chino, il corpo rannicchiato, sepolti
vivi sotto la custodia della polizia.” Come
uscire rinnovati da un’esclusione così
organizzata e più criminale del crimine
che raccoglie? John King non ci fornisce
risposte, ma solo la resa lucida e puntuale
della degradazione di un luogo, deputato
a contenere il male, e paradossalmente a
guarirlo.
Stefania Ricchiuto - Il Passo del Cammello
Días aún más extraños
Ray Loriga
El Aleph
Ray Loriga è nato a Madrid alla fine
degli anni sessanta e vive a New York
con moglie e figli. Ama la letteratura,
soprattutto Carver, Salinger, Beckett e la
musica, soprattutto Bowie, Dylan, Jagger.
Il suo primo libro Lo peor de todo era
scritto in prima persona e una profonda
solitudine era ciò che caratterizzava il
personaggio principale. Solitudine, ricerca
e speranza di un mondo migliore, hanno
continuato a caratterizzare i personaggi
di Loriga, che oltre a essere scrittore è
diventato sceneggiatore collaborando
a copioni di pellicole come Carne
tremula (Pedro Almodovar) e El séptimo
día (Carlos Saura) ispirato al massacro di
Puerto Hurraco. Loriga scrittore, giornalista,
regista e sceneggiatore, pubblica adesso
Días aún más extraños, che prende il
titolo dal precedente Días extraños ed
è una raccolta di articoli pubblicati sul
quotidiano El País a cui si aggiungono due
lunghi racconti. Ancora società, ancora
riflessioni, ancora introspezione in un
lavoro dal linguaggio cinematografico e
dalla sensibilità poetica di chi con lucidità
osserva il mondo che ha di fronte ma non
smette di guardare le stelle e sognare.
Valentina Cataldo
Coolibrì
Cosmofobia
Lucia Etxebarría
Destino
Lavapiés è un quartiere multietnico e
multicolore. È un quartiere dove incontri
persone venute da lontano, incrociando
origini e vite, ricordi e dolori. I graffiti
colorati sui muri di Lavapiés ci parlano di
sofferenza e ingiustizia. Lucia Etxebarría
ha deciso di ambientare in questo barrio
della sua bella Madrid il nuovo romanzo,
Cosmofobia, rubando dalla gente per
strada volti, racconti, linguaggi. Ritratti
che danno voce all’immigrazione e alla
difficoltà, alla clandestinità, al lavoro,
alla fuga. Nelle sue opere la Etxebarría
ha parlato di storie di vita, di lavoro, di
donne in bilico, di maternità, di droga,
di amicizie, ha scelto sentimenti forti, ha
ironizzato e riso sulle sofferenze dell’amore,
ha descritto la realtà a sua maniera,
lucida, disincantata, diretta. Ha vinto
numerosi premi letterari, è capitato sia
stata chiamata in tribunale (l’ultima volta
per il suo Ya no sufro por amor, accusata di
plagio da uno psicologo spagnolo), ha un
blog seguitissimo, curatissimo, attentissimo
all’attualità, nonché scritto allo stesso modo
dei suoi romanzi, è fortemente ammirata e
fortemente criticata dal pubblico. Leggerla
vale sempre la pena.
Valentina Cataldo
Barry Miles
Il Beat Hotel
Guanda
Il Beat Hotel non
esiste più. Ora al
numero 9 di rue
Git-le-Coeur
di
Parigi è situato lo
sciccoso
RelaisHotel du Vieux
Paris. Il Beat Hotel
di chic aveva ben
poco. Era gestito
da
un’anziana
signora, Madame
Rachou, ed era
famoso
per
la
presenza di topi che sgattaiolavano da
un corridoio all’altro. Il piccolo albergo
parigino assunse questo nome dopo l’arrivo,
nel 1957, di Gregory Corso, Allen Ginsber
2329
e Peter Orlovsky. In quel periodo Ginsberg
aveva da poco dato alle stampe Urlo,
con il seguente ritiro del libro dal mercato,
accusato di oscenità, e il processo, che lo
vide vincente, seguito dallo stesso autore
da Parigi. Kerouac, che fu l’unico grande
esponente della Beat Generation, a non
mettere piede in rue Git-le-Coeur, viveva,
dopo anni di rifiuti editoriali, gli effetti del
successo di critica e pubblico di Sulla strada,
uscito il 5 settembre dello stesso anno.
Barry Miles, in Il Beat Hotel, libro da poco
pubblicato da Guanda, ricostruisce gli
anni parigini della Beat Generation, e lo fa
attraverso un libro che, più che soffermarsi
sulla forza letteraria di quel pugno di
scrittori che diede un forte scossone alla
cultura del Novecento, evidenzia curiosità
e aneddoti. Burroughs arrivò al Beat Hotel
nel 1958, poco dopo Ginsberg abbandonò
l’albergo e il suo posto di “confidente”
dell’uomo invisibile venne preso dall’artista
Brion Gysin. Burroughs e Gysin furono gli
ultimi ad abbandonare l’albergo, quando
questo chiuse agli inizi del 1963. Parlavo di
aneddoti, in precedenza. I beat, nei loro
anni parigini, vollero incontrare grandi
esponenti della cultura francese e molti
li incontrarono, da Michaux a Céline, da
Breton a Duchamp. E fu proprio durante
una di queste feste a base di alcol e droga
che Corso, pensando di compiere un atto
estremamente dadaista, tagliò la cravatta
di un esterrefatto Duchamp. Gli anni
parigini, però, furono importanti soprattutto
dal punto di vista creativo. Al Beat Hotel
Allen Ginsberg scrisse le sue poesie più
famose, escluso Urlo, Corso compose
Bomb e The Happy Birthday of Death,
Brion Gysin inventò la teoria del cut-up,
ovvero la letteratura nata dal taglio di altra
letteratura, William Burroughs terminò Pasto
nudo e la trilogia La morbida macchina, Il
biglietto che è esploso e Nova Express, lì
furono ideati e organizzati, grazie anche
alla perizia tecnica di Ian Sommerville, i
primi spettacoli di luci e proiezioni corporee
multimediali, gli antesignani degli spettacoli
rock con luci psichedeliche, lì fu costruita la
Dreamachine, la macchina dei sogni che
creava allucinazioni visive, lì venne girato,
regia di Antony Balch, il film sperimentale
inglese The Cut-Ups. Tutto ciò contaminato
con un uso assiduo di droghe, le più varie,
tutte volte a far emergere zone nascoste
della coscienza. Si può dire, senza ombra di
dubbio, che gran parte della controcultura
americana, che avrebbe dato vita da lì a
poco al movimento hippy, prese forma
all’interno del losco hotel gestito da
un’ignara Madam Rachou.
Rossano Astremo
Design del popolo
Vladimir Archipov
Isbn
La povertà aguzza l’ingegno. Si può
sintetizzare con questa frase il contenuto di
Design del popolo, bizzarro libro pubblicato
da Isbn, frutto di un lavoro di ricerca atipico
effettuato dall’artista Vladimir Archipov.
Archipov ha girato per anni le città e le
campagne russe alla ricerca di oggetti fai
da te da inserire nella sua collezione. Ne è
uscito fuori questo libro, che contiene 220
oggetti nati dalla necessità quotidiana, dal
bisogno che stimola l’inventiva. Gli oggetti,
inoltre, forniscono
un lucido ritratto
dell’Urss e degli anni
della Perestrojka,
prima della venuta
al potere di Putin.
Ad ogni immagine
dell’oggetto
schedato
si
accompagna
una
sorta
di
testimonianza
dell’autore o dei
familiari dell’autore, i quali raccontano le
ragioni e i contesti che hanno determinato
la nascita di simili oggetti. Si va dalla mazza
da hockey, costruita con legno di ciliegio
e nastro isolante, al castello giocattolo,
fatto di scatole, colla e tempera, dallo
zerbino di tappi di birra alla vasca d’uccelli
ottenuta dalla ruota di un trattore, dalla
borsa termica, piena di polistirolo e
gommapiuma, allo sturalavandini, creato
con il piede di uno sgabello e un pallone
tagliato. E l’elenco è davvero sterminato.
Ha perfettamente ragione il critico d’arte
Diogot quando definisce questi oggetti
“frammenti della civiltà sommersa del
socialismo sovietico, esclusa dalle logiche
di mercato”. La Russia di oggi, invece,
è immersa nel mondo del consumismo
globale, della replicablità delle merci
d’acquistare. Chissà se cì sono ancora
netturbini che creano il proprio badile
unendo un vecchio cartello stradale con
un manico di scopa. Le frange di irriducibili,
non dimentichiamolo, sono dure a morire.
Rossano Astremo
Ancora un anno
Salvatore Toma
Capone Editore
Sono passati vent’anni dalla morte di Salvatore Toma, poeta magliese scomparso
tragicamente all’età di 36 anni, nel 1987.
Toma ha ottenuta una discreta celebrità
postuma, grazie all’interessamento di Maria Corti, che curò
il “Canzoniere della morte”, una sorta di best of, pubblicato da Einaudi
nel 1999.
Molti dei testi più
validi
presenti
nella
raccolta
curata dalla Corti
appartengono
ad un volume,
“Ancora
un
anno”, uscito una
prima volta nel 1981, edito da Capone,
ed ora ripubblicato dallo stesso editore,
in occasione del ventennale della morte
del poeta. Presenti in questo volume gli
elementi topici della poetica di Toma,
l’esaltazione della natura, contro le immani
catastrofi dell’umanità, la continua lotta
tra reale e sogno e il dialogo ossessivo
tra vita e morte, dove quest’ultima non
rappresenta la naturale conclusione della
vita, ma la sua esaltazione, “una sorta di
energia reattiva che fa coagulare e filtrare
la vita nell’alambicco dell’esistenza”, come
scritto da Donato Valli nell’introduzione al
testo: “a creare progettare ed approvare /
la propria morte ci vuol coraggio! / ci vuole
Coolibrì
30
il tempo / che a voi fa paura. / Farsi fuori
è un modo di vivere / finalmente a modo
proprio / a modo vero”. Toma, in vita,
non ebbe rapporti semplici con l’editoria
che contava. Tutte le sue raccolte, infatti,
sono state pubblicate da piccoli editori.
Scrive Maurizio Nocera, nella pagina di
presentazione di questa nuova edizione
di “Ancora un anno”: “La silloge “Ancora
un anno” fu per Toma uno dei suoi libri
dal percorso più difficile. Non si trovava
modo di farlo pubblicare. Venne rifiutato
praticamente da tutti gli editori ai quali
Totò lo inviò. Per di più ci fu qualcuno, come
ad esempio Maurizio Cucchi, all’epoca
responsabile della collana poetica della
Mondatori che non solo lo osteggiò ma
trovò modo di rispondere al poeta in
modo alquanto sgarbato”. Toma è stato
un poeta discontinuo. Alternava poesie
di grande valore immaginifico, pure perle
liriche, a testi poco efficaci. Siamo certi
che il rifiuto di Cucchi sia legato a logiche
estetiche e non “territoriali”. Ciò che è vero
è che Maria Corti dovette far passare per
suicida per riuscire a pubblicarlo postumo
da Einaudi. Venne, invece, stroncato da
una cirrosi epatica.
Rossano Astremo
La Lunga
Roberto Perrone
Garzanti
La lunga è, per i giornalisti, il turno notturno
di lavoro in redazione. Ed è anche il titolo
del secondo romanzo di Roberto Perrone,
da 25 anni cronista sportivo del Corriere
della sera. Il libro è (forse) una sorta di
autobiografia, dato che il protagonista
lavora da decenni nella redazione sportiva
di un quotidiano nazionale di Milano
e proviene dalla Liguria, proprio come
l’autore. Giacinto Mortola, questo il suo
nome, è un uomo mite e felice, sposato e
con due figli grandi, che evita il conflitto
perché non vuole essere afflitto dai sensi
di colpa. Nel suo giornale non ha fatto
carriera, è da sempre un redattore ordinario.
Ma a lui è sempre andato bene così. E per
Le Orme: Il mito, la storia, la leggenda
Oronzo Balzano
Bastogi Editore
Grave pecca quella della saggistica
musicale italiana, cioè non aver
dedicato una coerente e scientifica
retrospettiva ad uno dei gruppi più
rappresentativi del rock made in Italy.
Finalmente il vuoto è stato colmato da
Oronzo Balzano, insegnate, giornalista
musicale ed ex direttore della fanzine
ufficiale delle Orme. Il libro in questione
rivela motivi, arcani e storici, lungo
quaranta anni di eventi. Passando
dal primo Ad Gloriam, manifesto
beat-psichedelico del nostro paese, a
Collage monumento del progressive
nostrano. Felona e Sorona, primo
concept album italiano. La svolta
di Florian, opera emancipata dagli
archetipi del rock, in cui le Orme si
proposero come quartetto da camera,
imbracciando strumenti classici. Fino
ai tentativi sanremesi, la parentesi
semplicistica di Venerdì e la fase degli screzi artistici; quindi, al ritorno progressivo della
trilogia Il Fiume, Elementi e L’Infinito. Insomma una retrospettiva completa in tutti gli
aspetti, e che rileva su tutto la partecipazione emotiva dell’autore nei confronti della
band.
Nicola Pace
questo motivo è
odiato dal capo,
il
responsabile
dello sport, un
arrivista che non
sopporta chi non
ha
ambizioni.
Abbiamo quindi i
due
antagonisti:
l’eroe mite e lo
stronzo. E poi c’è
Simone
Perasso,
amico di Mortola,
un ex calciatore di serie C, morto in un
incidente stradale proprio la notte in
cui l’eroe è di lunga. Da quella notte
parte il racconto di trent’anni di vita e di
giornalismo. Da sempre pieno di stronzi,
gente per bene, colpi di culo e storie da
raccontare.
Ludovico Fontana
Il rimedio perfetto
Lucrezia Lerro
Bompiani
Con Il rimedio perfetto, Lucrezia Lerro poetessa trentenne alla sua seconda prova
narrativa - ci porta in una storia dove disagio
ed inquietudine esistenziale coincidono
con un tessuto sociale degradato, quasi
primitivo e a tratti
surreale. Se non
fosse per il nome
delle cose, intorno:
il camioncino con
la scritta Algida,
la
felpa
della
Parmalat, la Singer
della
madre,
cadremmo in un
tempo straniato,
fiabesco. Tuttavia
le
conseguenze
significanti
che fanno la fiaba permangono e
si addensano nel racconto. È come
Cenerentola, la protagonista, messa al
lato dalla vita! “Un’Alice, senza nessuna
meraviglia intorno” se non lo squallore
di una Campania, densa di pioggia e
d’umido, di pidocchi e di cimici, ritratta
dopo il terremoto del 1980. Solo i dolci la
consolano. Se li procura, con astuzia e
determinazione rubando e ingannando i
commercianti, nascondendosi in pertugi
improbabili, costruendosi un mondo (quasi)
parallelo di incanti impossibili che l’aiutano
a resistere. “Dovevo raggiungere presto il
Coolibrì
mio nascondiglio. Solo lì mi sentivo al sicuro,
solo lì, sotto le scale. …Rubavo e andavo a
nascondermi, poi mi torturavo i capelli per
ore senza sapere perché.”
Ma bisognerà pur fuggire, un giorno, per
cercar fortuna e riscatto, crescere per
essere capaci di trovare rimedio. Per fare
la vita, Vita!
Alleva gli occhi al bene Alice in un ordinario
anaffettivo, crudo e privo di pietas lei trova
l’amore. L’amore, “il rimedio di tutto”.
La costruzione della sua ‘fuga’ è
un percorso di accoglimento e di
comprensione del disagio degli altri. C’è la
nonna-Strega, che violenta ed autoritaria
porta avanti la famiglia. La madre, la
Rossa la chiamavano, che cuce e tesse
amori: tanti, segreti, tutti unici, raccontati
dentro corsivi-lettere che attraversano
il libro. Il padre considerato lo scemo del
paese che “non sapeva cosa farsene del
tempo” dice di sé: “Io non sono pazzo,
sono soltanto malinconico”. Le sorelle che
la ignorano, la escludono con cattiveria
dalla loro vita e la maestra che la umilia
in ogni modo. Una vita di resistenze, una
vita di perdite nella perenne mancanza
d’una quiete certa. Una vita che intreccia
solitudini dove la “felicità è non pensare”
e la vita si fa nella fuga. Staccarsi, andare,
slegare i destini. Farsi forti è nella pena del
crescere, trattenere il dolore “nel groviglio
dei ricordi” per quel germoglio che prima o
poi muterà destino e vita.
Un libro crudo e crudele e insieme positivo,
che incoraggia!
Mauro Marino
Pierluigi Panza
Il digiuno dell’anima
Bompiani
Lei è la “prima”
anoressica
di
Milano,
n e s s u n o
riuscirà a dare
un nome al
suo male. Era
la ragazza che
non si era mai
sentita amata
come avrebbe
voluto.
Una
madre
ed una figlia
abitano
le
pagine
de
“Il digiuno dell’anima”, nell’immobilità
di un interno borghese. Un ‘decoro’ che
sgomenta: tutto è in ordine, immutabile,
puro, ‘santo’. La famiglia recinto, la famiglia
che scorda l’essenziale emozionale
rifugiandosi nelle regole, nelle consuetudini,
nel vuoto che solo la malattia altera,
trasgredendo ogni decenza, ogni possibile
difesa. Una storia tragica ma anche per
molti versi paradossale quando saggiamo
l’ostinazione e la determinazione di chi
sceglie di ‘affamarsi’.
Abbiamo letto molte storie di anoressia.
Racconti di donne che scrivono il loro
calvario, questa volta è un uomo ad
accompagnarci in quel labirinto di ossessioni.
Pierluigi Panza ci racconta la storia di una
adolescente - lo fa in prima persona, come
in un diario - lasciandola per scelta senza
nome. “Anche se naturalmente si tratta di
31
L’ABISSO DI GIANLUCA MOROZZI
Sabato 14 luglio la Notte Bianca di Melpignano ospita anche
Gianluca Morozzi. Bolognese classe 1971, è uno dei più
interessanti e apprezzati scrittori italiani. Negli ultimi anni la sua
produzione è frenetica e coinvolge due case editrici Fernandel
e Guanda. Con la prima Ha pubblicato il romanzo d’esordio
Despero (2001), le raccolte Luglio, agosto, settembre nero
(2002), Dieci cose che ho fatto ma che non posso credere
di aver fatto, però le ho fatte (2003) e Accecati dalla luce
(2004). Nel 2006, insieme a Paolo Alberti ha scritto il romanzo
calcistico Le avventure di zio Savoldi e, in collaborazione con
il disegnatore Squaz, il suo primo fumetto, Pandemonio. Per
l’editore Guanda ha pubblicato nel 2004 il romanzo Blackout,
nel 2005 L’era del porco e nel 2006 L’Emilia o la dura legge della musica. Recentemente
ha partecipato con un racconto a Mordi&Fuggi. Sedici racconti per evadere dalla
Taranta della salentina Manni e ha dato alle stampe, sempre per Fernandel, L’abisso.
Il protagonista dell’Abisso, nel suo tentativo di costruirsi una vita parallela a quella
reale, sembra non voler mai “diventare grande”. Tutta la sua storia è un tentativo di
rimandare le responsabilità e le scelte della vita adulta. È una scelta voluta?
Gabriele è cresciuto convinto di essere un genio, uno destinato a cose grandi, a un
destino meraviglioso. Per quello si tiene tutte le strade aperte: quando la cosa grande
verrà a cercarlo, qualunque essa sia, dovrà trovarlo libero, svincolato da lavori, mogli,
figli...C’è anche da dire che Gabriele, dopo l’incidente, ha una testa che viaggia su
binari tutti suoi...
Fino a che punto ti riconosci in Gabriele, il protagonista de L’abisso?
Come con altri miei personaggi, tipo Kabra o Lajos, ci sono cose in cui mi riconosco
e altre che mi sono estranee. La situazione familiare di Gabriele, il rapporto con la
madre, le sue origini in un paesino di montagna, sono elementi a me estranei. La
vicenda universitaria invece mi è un po’ più familiare. Sono stato iscritto per undici
anni a giurisprudenza e non mi sono laureato... Anch’io come Gabriele, ai tempi delle
medie, ho avuto una crescita improvvisa che mi ha trasformato in uno spilungone
goffo e dinoccolato che i compagni di classe chiamavano Zombie. E anch’io una
volta sono stato investito da un’auto durante una gita scolastica, a Mantova, in terza
media. Qualche tempo fa ho presentato un libro nel terrazzo di un caffè all’aperto
che si affacciava proprio sul punto in cui sono stato investito.
Poi, be’, mi sa che
anch’io sono cresciuto convinto di essere un genio destinato a qualcosa di speciale.
Ho cominciato un po’ a dubitarne solo quando sono arrivato a ventinove anni, con
ancora due esami alla laurea, senza un soldo e con tre miseri racconti pubblicati in
dieci anni di tentativi... poi ci ho creduto di nuovo subito dopo.
Sullo sfondo del tuo romanzo c’è ancora una volta Bologna. Questa scelta dipende solo
dalla tua confidenza con la città oppure Bologna racchiude in sé delle caratteristiche
che la rendono una perfetta “protagonista”?
Bologna è una città estremamente duttile, e uno sfondo perfetto per le mie storie.
Serve uno sfondo per una storia di band che provano ad emergere dalle cantine?
Bologna è piena di band e di cantine! Una storia di movimenti studenteschi, di
manifestazioni di piazza dopo il G8 o l’11 settembre? Non lo devo neanche dire. Una
storia che si svolge nell’ascensore di un palazzo di periferia in una città deserta per
l’estate? Basta andare in periferia, a Borgo Panigale... Questa storia in particolare, poi,
ha come fulcro l’università ... e non poteva svolgersi che qui.
Il finale è aperto. Prelude forse a un seguito?
La vicenda di Gabriele, per quanto mi riguarda, termina qui. Questo romanzo è un
po’ la chiusura di un ciclo, per me, l’esorcismo finale agli undici anni assurdi che ho
passato a studiare codici e leggi senza motivo e senza voglia, e a tutte le storie che ho
architettato in quegli anni passati a trascinarmi carico di libri tra le biblioteche e le sale
studio notturne... una delle quali, appunto, era la vicenda de L’abisso. In compenso,
oltre all’apparizione di un certo surreale personaggio che già era comparso e di
nuovo comparirà (un edicolante pazzo sosia di Nicholas Cage, convinto di essere un
supereroe) c’è una vicenda che a un certo punto si intreccia con quella di Gabriele in
modo quasi incongruo... quella della ragazza intenzionata a dare la caccia al Corvo
che ha ucciso la sua amica. Ecco, quella storia continuerà altrove. Decisamente.
La scrittura ancora una volta è divertente, e in più di un’occasione riesce a strappare
un sorriso anche davanti a situazioni critiche. È un tuo tentativo per sdrammatizzare o
è di nuovo la testimonianza dell’incapacità del protagonista di prendere coscienza
della propria situazione?
Un po’ ho cercato di sdrammatizzare, non volevo che questo fosse un romanzo alla
Blackout... anche se alcune scene, tipo quella con Scaglia, quella di notte in casa
della madre o la corsa finale contro il tempo sono abbastanza ansiogene. Però c’è
anche il fatto che Gabriele ha una testa stranissima, un cervello borderline, capace di
intuizioni geniali ma anche di scivolate clamorose... sembra quasi che si renda conto
solo a intermittenza della situazione in cui si è cacciato, e solo quando è realmente
con le spalle al muro. (per l’intervista si ringrazia l’ufficio stampa Fernandel)
Coolibrì
32
una ricostruzione, ho conosciuto questa
ragazza, l’ho frequentata per molti anni e
ho avuto modo di accedere ai suoi diari,
su questo ho costruito il romanzo” spiega
Panza. L’autore non vuole rivelare se la
ragazza cui si ispira la storia è ancora viva,
la protagonista del romanzo muore dopo
trent’anni di dolore nei pressi di Siena, la
città di quella Santa Caterina per cui la
ragazza ha una vera ossessione.
Milano rimane il centro della vicenda, una
Milano ai tempi completamente colta alla
sprovvista dalla malattia: “La popolazione
comune nemmeno sapeva esistesse
l’anoressia. I giornali non ne parlavano.
Casi conclamati non emergevano.
Non esistevano ospedali specializzati.
Era il dopoguerra e per i primi borghesi
alfabetizzati su larga scala che uscivano
dall’universo della povertà, era davvero
difficile pensare che il ‘non mangiare’ fosse
una malattia”.
Ora, a quarant’anni di distanza dall’inizio
della storia narrata ne “Il digiuno
dell’anima”, le psicopatologie legate ai
disturbi alimentari sono così diffuse ed
estese che è facile riconoscerle. Ma non
altrettanto facile curarle e avvicinarle,
almeno secondo Panza: “Sono contrario
ai messaggi incoraggianti dei sopravvissuti.
Negli elementi giovanili e più deboli ha
l’effetto contrario a quello che si vuole
ottenere: induce a pensare che si possa
passare attraverso l’inferno, uscirne vivi
e diventare protagonisti del mondo
dei media. Inoltre i centri specializzati
continuano ad essere pochissimi, privati
e molto costosi anche se quelli di Milano
sono tra i più avanzati. Inoltre sono gli stessi
anoressici a non voler essere classificati:
continuano, oggi come allora, a passare
da gastroenterologia a psichiatria a
neurologia. Il loro gioco fantastico, che è
parte della malattia, consiste proprio nello
sfuggire ad ogni classificazione”.
Le dichiarazioni di Pierluigi Panza sono tratte
da un’articolo di Stefania Vitelli apparso su
“Il Giornale” (11.06.2007).
Mauro Marino
100 dischi ideali per capire il
rock
Ezio Guaitamacchi
Editori riuniti
Il rock migliora la vita. Con questa
affermazione si apre 100 dischi ideali
per capire il rock di Ezio Guaitamacchi
pubblicato da editori riuniti. Cinque
decenni in cento album raccontati
minuziosamente. Quelli che ti aspetti ci sono
tutti, i classici senza tempo di Dylan, Beatles,
Rolling Stones. Ma poi c’è anche l’altro
lato del rock, quello meno appariscente
ma ugualmente e a volte addirittura più
influente. Ci sono i The flying burrito bros
country rock ancor prima dei più famosi
Eagles, gli impronunciabili Lynyrd skynyrd
(nella foto) inventori della celeberrima
Sweet home Alabama ma anche dischi
che sono entrati nella rosa degli scelti per
il loro impatto commerciale. Il libro si legge
piacevolmente, approfondisce a dovere e
può essere letto a balzi e mozzichi. Formato
ad albo rinnovato e arricchito rispetto alla
precedente edizione. Forse alla editori
riuniti hanno capito che ai feticisti di dischi
e copertine piacciono anche i bei libri.
O.P.
Coolibrì
Da anni ormai i festival letterari si sono trasformati in vetrine
tanto fastose quanto uniformi, che monopolizzano per giorni la
vita della cittadina ospite, e fondano sul libro un ipermercato
a cielo aperto, spalmato a volte lungo le vie caratteristiche, le
piazze più o meno centrali, i palazzi di storica importanza, altre
sedimentato in spazi appositi e a dir fantascientifici. Il ritorno
commerciale di questo esibizionismo culturale è cosa risaputa, e
detiene il suo gradevole potere sulle attività ricettive e non del
luogo, ma anche e soprattutto sui colossi, spesso bancari, che
finanziano e sostengono il progetto alla sua origine. Con il risultato
che si viene a smarrire il proposito “di facciata” dell’evento, che
fa emergere la sua apparente intenzione progettuale alla prima
- e al massimo seconda - edizione, per poi piegare la diffusione
della lettura, la divulgazione dei testi e la conoscenza degli autori
alle regole asentimentali del mercato-spettacolo. Esiste però una
resistenza - che si manifesta soprattutto con l’arrivo dell’estate che passa attraverso associazioni culturali e gruppi di animazione
sociale, e pensa e realizza residenze bibliofile a onesta misura
di lettore. Risponde così allo sconcio osceno del libro in fiera, e
riporta chi scrive, chi legge e chi pubblica ad un rapporto più
autentico e prezioso, a distanza interminabile dalle identità
fabbricate dell’autore-personaggio, del lettore-consumatore,
dell’editore- attore economico. Doveroso, dopo tale premessa,
il suggerimento di incontro con alcune di queste realtà di
contrasto, poche in verità, ma fermamente e dignitosamente
differenti. Due, davvero di qualità, a pubblicazione avvenuta
risultano già svolte, ma meritano lo stesso di essere menzionate.
Dall’8 al 10 giugno, infatti, il collettivo cagliaritano Chourmo ha
organizzato il Festival di Letterature Applicate Marina Cafè Noir,
gioco letterario alla sua terza edizione, accolto dalla geografia
popolare di un quartiere, che qui realizza e promuove reti di
relazioni, animazioni, rielaborazioni, attorno alla creatività che
consegue all’atto del leggere. In un intreccio festoso di talenti,
suggestioni e contaminazioni, si riscopre e celebra la lettura
condivisa, e il libro e la sua storia confessano il loro essere
pieno strumento sociale. Quest’anno la manifestazione sarda
è stata dedicata agli eroi, ai migranti, ai pirati, figure di intensa
e pericolosa insinuazione, aprendo il confronto sul patrimonio
comune di storie nere e di coraggio, che possono riportare la
coscienza ad una fierezza antica, ad una necessaria militanza.
Dal 9 giugno al 1 luglio, continuando, l’associazione culturale
Lupus in fabula di Palestrina ( Roma) ha curato il Premio Albatros
per la Letteratura da Viaggio, “kermesse di incontri, spettacoli
e convegni sui temi e i luoghi del viaggiare”, accolti, vissuti ed
osservati dalla prospettiva particolare del lettore in movimento.
Grande attenzione all’opera del reporter-scrittore recentemente
scomparso Kapuscinski, con incontri curati da giovani e studenti
sui modi del viaggio di denuncia, che richiede e conduce ad
una convivenza stretta con la questione sociale del momento.
Evento centrale del Premio la presentazione di Manituana di Wu
Ming, seguita dalla lettura scenica 54 a cura dello stesso collettivo
bolognese con Yo Yo Mundi e l’attore teatrale Fabrizio Pagella.
All’interno della manifestazione musicale toscana Italia Wave
Love Festival (ex Arezzo Wave) in programma dal 17 al 22 luglio a
Sesto Fiorentino, segnalo il Word Stage, una dimensione letteraria
di quattro giorni che potrebbe costituire senza imbarazzo una
realtà a sé, indipendente dal contesto che la ospita come taglio
parallelo. Anche in questo caso, attesissima il 18 la presentazione
di Manituana, seguita però da un’anteprima assoluta: Pontiac,
lettura-concerto curato da Wu Ming 2 (Giovanni Cattabriga),
che racconta la sollevazione indiana del 1763 contro la Corona
Britannica. Il 19, altro reading in musica: Il pellegrino dalle braccia
d’inchiostro, di Enrico Brizzi e Numero6, che nell’incontro tra il
giovane autore e la band fenomeno dell’indie rock di casa
nostra narra il suggestivo pellegrinaggio lungo la via Francigena,
33
percorsa dai viandanti medievali, e attraversata di recente dallo
stesso Brizzi. Non solo nuove forme letterarie al Word Stage, ma
anche tanta tradizione: un’intera giornata, quella del 19 luglio,
sarà infatti dedicata alla rivalutazione ed alla valorizzazione
dell’ottava rima, con un laboratorio di lettura e studio delle forme
originarie, e di recupero dalle tecniche di improvvisazione lirica,
che evolveranno in un passaggio affascinante tra l’atto del leggere
e la manifestazione vocale cantata, aperto a chiunque voglia
cimentarsi con la poesia in ottava e i suoi incantevoli contrasti.
Tutti i giorni , inoltre, presso lo Speak Corner qualsiasi autore italiano
potrà presentare al pubblico la sua opera, rigorosamente in soli
20 minuti, curando in modo autonomo lo spazio di promozione.
Nella giornata conclusiva del Festival, infine, dal mattino fino al
tardo pomeriggio lettura collettiva de Il giovane Holden: chi lo
desidera potrà leggere per cinque minuti un brano del celebre
romanzo di Salinger, passandosi il testimone con gli altri presenti,
in una ideale staffetta a voce alta. Dal 31 agosto al 2 settembre
ad Anghiari in provincia di Arezzo si svolge invece la seconda
edizione di Città e Paesi in Racconto – Narratori per Diletto, a cura
della Libera Università dell’Autobiografia. Da tempo, e grazie
all’instancabile rianimatore del ricordo Duccio Demetrio, il piccolo
centro toscano investe sulla memoria dei territori, ricercando e
rintracciando luoghi e uomini in permanente esercizio rievocativo,
che traducano in scrittura la testimonianza della propria realtà
locale, e in libro la tensione verso la necessità della divulgazione.
“La manifestazione sarà dunque caratterizzata e centrata su testi
autobiografici pubblicati dalla piccola e piccolissima editoria,
spesso supportata dalle istituzioni locali, con lo scopo di valorizzare
e coinvolgere i territori e i paesi che emergono dai testi e dagli
autori presentati.” Teatro antico di tutti gli incontri, lo splendore
del borgo medievale. Per concludere, il Collettivo Libertario di
Firenze riporta l’attenzione sul canale dell’editoria, definendolo
però nella specificità degli studi anarchici. Dal 7 al 9 settembre il
capoluogo toscano sarà infatti spazio d’adozione per la Vetrina
dell’Editoria Anarchica e Libertaria, che consentirà al pubblico già
legato a questi temi - ma anche e soprattutto a quello più curioso
e smaliziato - di stabilire un contatto con l’enorme produzione
in ambito di ricerca e narrativa sociale, maltrattata dalla
distribuzione ordinaria, ma custodita con cura speciale da chi
ne sostiene le idee ardite eppure rigorose, e i gravami economici
non indifferenti. Termina qui questo vagabondaggio breve tra le
possibilità “oltre Mantova” e il suo Festival Letteratura settembrino.
Occasioni – quelle qui raccolte - di relazione profonda e di valore
con la lettura intesa come atto politico, nonché contesti ed insieme
pretesti per vigilare sul proprio essere- e sul poter continuare ad
essere- lettore autonomo e consapevole.
Stefania Ricchiuto- Il Passo del Cammello
34
Cart’armata edizioni è un nome
militante, che richiama una scrittura
sempre all’erta ed agguerrita. Nasce a
Milano nel 1994 dalla passione – e dalla
cocciutaggine - di una combriccola
di giornalisti impegnati nel sociale, che
prima ha dato vita ad un giornale, e
poi ha incominciato a pubblicare libri
coraggiosi e spesso impopolari.
La vostra storia nasce con Terre di mezzo,
il giornale di strada dedicato ai temi del
disagio sociale, venduto da persone
in difficoltà. Proporre per marciapiedi,
angoli e stazioni un prodotto editoriale
dai contenuti importanti non deve essere
stato facile. Qual è stata l’accoglienza
iniziale della città di Milano verso la
vostra idea?
In realtà Terre di mezzo era stato
presentato in conferenza stampa in
contemporanea a Roma e a Milano,
e la vendita aveva avuto inizio non
solo in queste due città, ma anche a
Trieste, Genova ed altri centri importanti.
L’accoglienza dovunque è stata fin da
subito molto buona, e per anni la vendita
per strada ha potuto contare anche su migliaia di copie vendute.
Il risultato è stato ed è spesso legato alle condizioni del tempo: se
piove o fa freddo si vende di meno. Ma l’attenzione della strada
verso le nostre proposte rimane anche oggi piuttosto alta.
Affidare la vendita per strada esclusivamente a persone immigrate
può portare a volte allo sgradevole connubio “migrante-lavoro
umile”. Avete mai avuto dei dubbi su questa scelta?
Mai, anche perché non è stata una scelta premeditata. Devo
premettere che Terre di mezzo è nato ispirandosi ad altre
esperienze, come quella del The big issue, distribuito in Inghilterra
e Scozia attraverso una rete di venditori di strada. Quando
abbiamo realizzato il giornale, ci siamo posti il problema di come
rintracciare possibili venditori per la creazione di una rete simile.
Abbiamo inserito un annuncio di offerta lavoro, e per caso hanno
risposto quasi esclusivamente persone immigrate, che non sono
state “cercate”, quindi, ma “trovate”. Dopo, non ci siamo orientati
verso la ricerca di venditori italiani solo per non sottrarre lavoratori
all’altro giornale di strada in vendita a Milano, “Scarp de’ tenis”,
voce dei senza fissa dimora. Devo aggiungere, in ultimo, che
in paesi come il Senegal la vendita dei giornali per la strada è
considerato un lavoro ordinario, assolutamente dignitoso, e non
saltuario o “di emergenza” come qui da noi.
Oggi potete contare su uno spazio discreto ma concreto nelle
librerie. Eppure il vostro tratto distintivo rimane la vendita per la
strada, non solo del giornale ma anche dei libri. Perché?
Per il settore libri ci siamo avvalsi fin dall’inizio della distribuzione
tradizionale. Ma dato che siamo nati per la strada, non aveva
senso rinunciare a quel canale, anche perché avrebbe significato
abbandonare i nostri distributori, che spesso vendono più libri che
copie del giornale. Abbiamo voluto custodire un’opportunità
di lavoro, insomma, ed anche conservare la visibilità verso quel
pubblico che non entra nelle librerie.
La vostra realtà è una delle poche, tra quelle che si definiscono
piccole ed autonome, a non ricevere per scelta alcun
sovvenzionamento istituzionale. In più, Cart’armata è una srl di
proprietà degli stessi giornalisti-editori. È questa la ricetta per
essere realmente indipendenti?
Non so se sia una ricetta valida per tutti, certo lo è stata per
noi. L’editoria piccola ed autonoma è un settore delicato, che
spesso vede nascere realtà costruite ad hoc proprio per poter
Coolibrì
attingere dai finanziamenti pubblici.
Di sicuro, avremmo potuto costituire
una società cooperativa, con
tutti i vantaggi del caso. Ma non
l’abbiamo voluto fare.
Come selezionate le opere che
compaiono nella vostra collana
di narrativa? È sufficiente che lo
sviluppo della storia testimoni
l’emarginazione, il disagio, la cultura
“di periferia”, o c’è attenzione da
parte vostra anche verso i modi del
narrare?
C’è
sicuramente
attenzione
verso certi temi, con uno sguardo
notevole alla scrittura. Cerchiamo
prima di tutto delle storie - questo
è vero - che richiamino i problemi
dell’integrazione o della lotta alla
povertà, ma mai a discapito della
qualità letteraria. Un nostro autore,
Daniel Alarcòn, di origine peruviana
ma trasferitosi negli Stati Uniti, ha
recentemente vinto il Whitng Writer’s
Award, un premio prestigiosissimo,
ed è risultato finalista all’Hemingway
Foundation/PEN Award.
Un’intera collana, Percorsi, è dedicata ai cammini spirituali e non,
alla ricerca in forma di pellegrinaggio, alla pratica del viandante.
Com’è nata?
Una delle nostre attenzioni è sempre stata rappresentata dal
turismo responsabile e non invadente. I viaggi a piedi consentono
di attraversare i luoghi vivendoli, senza modificare i territori,
e mantenendo intatto il legame con la storia del percorso. Da
qui la nostra scelta di proporre delle guide di qualità, non solo
sulle esperienze più note e di richiamo spirituale come Santiago
de Compostela o la Via Francigena, ma anche sui cammini
della storia, degli uomini e delle idee. Ad esempio, una nostra
pubblicazione presenta i sentieri partigiani d’Italia, con sei itinerari
che ripercorrono i monti e le valli della Resistenza.
Tutte le vostre proposte hanno come comune denominatore
”l’orientare verso la pratica”. Poca teoria - giusto il necessario e poi tanti strumenti in forma di libro, per realizzare in concreto
uno stile di vita partecipativo, rispettoso dell’ambiente, basato
sulla giustizia sociale. Allergici alle appartenenze puramente
ideologiche?
Siamo sicuramente distanti dall’ideologia fine a se stessa. Non ci
piace proporre ricette teoriche, ma gesti quotidiani alla portata
di tutti. Una nostra collana si intitola proprio “Stili di vita”, e mira a
comunicare possibilità di risparmio energetico, alternative all’uso
dell’automobile, consigli di consumo critico, ed altre dinamiche
di facile approccio che permettano di attuare dei piccoli ma
significativi cambiamenti. Per noi è importante.
Un consiglio di lettura….
Posso darne tre? Abbiamo recentemente pubblicato La
Cartografia della Via Francigena, unica opera che raccoglie le
mappe dettagliate del percorso da Canterbury a Roma. Poi, la
Guida alle vacanze alternative, che consiglia come recuperare
del tempo per sé, affiancando proposte di viaggio a corsi creativi,
alcuni anche molto stravaganti. Infine, un noir: Non si uccidono
così anche i cavalli? di Horace McCoy, un classico dimenticato
in Italia, e da cui è stato tratto l’omonimo film di Sidney Pollack,
vincitore di un Oscar.
Stefania Ricchiuto Il Passo del Cammello
Be Cool
il cinema secondo coolcub
U.s.a. contro John Lennon
David Leaf, John Scheinfeld
Mikado
La storia come è noto viene scritta dai
vincitori, ma cosa accade quando a
vincere nonostante tutto non è proprio
nessuno? Questo devono aver pensato
Leaf e Scheinfeld, nel confezionare un
pregevole documentario che partendo
dalla seconda metà degli anni ‘60 tenta
di analizzare la conversione dell’ex-beatle
John Lennon a paladino dell’antimilitarismo
fino a diventare un nemico riconosciuto e
combattuto dell’intera amministrazione
americana.
Erano gli anni delle
contestazioni, del Vietnam, dei grandi
ideali e di quel Richard Nixon che prima
del Watergate aveva dato anima e
corpo per riuscire a cacciare dal suolo
americano un comunicatore avverso
del calibro di Lennon. Girata grazie alla
collaborazione dell’ex-compagna Yoko
Ono che ha fornito documenti inediti
e interessanti, questa pellicola si snoda
attraverso immagini di repertorio e interviste
ad importanti personaggi di quegli anni
come Noam Chomsky e il capo delle
Black Panters Bobby Seale che danno
una mano ad inquadrare politicamente e
temporalmente il periodo. Lo stile è quello
di un documentario classico, senza molti
fronzoli e con immagini a volte di scarsa
qualità quasi a rimarcare la volontà di
andare oltre l’apparenza e di concentrarsi
sul messaggio, quello di pace tanto caro
a Lennon e divenuto inno con pezzi come
Give peace a chance e Imagine. Cosa
ha spinto Lennon e Yoko Ono (che molti
considerano la causa dell’allontanamento
dal gruppo del cantante) a imbarcarsi in
un’avventura tanto difficile e pericolosa? E’
una delle domande a cui il documentario
unitamente ad elementi come la misteriosa
morte del cantante, cerca di trovare
una risposta mettendo sul piatto anche
la sua infanzia non facile. In conclusione
un prodotto ben fatto e diretto, capace
di emozionare e di lanciare molte
conferme (come quella dell’immortalità
dei sognatori) e un interrogativo: come è
possibile che certe cose siano accadute
e continuino a farlo anche in paesi che
consideriamo, come gli Usa, avamposti
di libertà? Certo, questo è un problema,
ma forse non importa. Perché è tutto nelle
nostre mani e il mondo, tutto sommato,
merita un’altra chance.
C. Michele Pierri
Be Cool
36
Follia
David MacKenzie
NoShame Films
Non è mai facile tradurre un romanzo in
fotogrammi. Specie se si tratta di un’opera
che ha appassionato i lettori. È il caso
di Follia, film di David MacKenzie tratto
dal libro del 1998 di Patrick MacGrath.
Storia di un amore tormentato e di una
passione inarrestabile, sorti tra le mura di un
ospedale psichiatrico nell’Inghilterra degli
anni ‘50. Follia che non solo abita i corridoi
del manicomio e coinvolge pazienti e
medici, ma sfida il vincolo matrimoniale
e le convenzioni sociali. Edgar Stark è
infatti un artista maledetto e uxoricida
(interpretato da Marton Csokas), Stella
Raphael (Natasha Richardson) la moglie
del vicedirettore della struttura psichiatrica,
vittima della noia e della continua sfida
con le mogli dei colleghi del marito. Le
fila del loro rapporto amoroso sono tenute
insieme dallo psichiatra che ha in cura
Edgar (Ian MacKellen), che forse ama
Edgar, forse ama Stella, forse ama troppo
il suo lavoro. La tragedia ovviamente non
si farà attendere, prenderà la forma della
progressiva distruzione della personalità di
Stella e dell’apparenza di normalità in cui
si sforza di vivere.
Anna Puricella
Le regole del gioco
Curtis Hanson
Curtis Hanson si accoda a diverse decine
di registi e realizza un film sul poker. È una
pellicola molto realistica in cui recitano
veri giocatori professionisti, e nella quale le
voci degli speaker delle finali sono quelle
di Fabio Caressa e Stefano De Grandis (i
veri commentatori poker per la tv). Da ciò
si può capire come il gioco sia l’essenza
stessa del film che risulta avvincente
soprattutto per chi è “malato” per il poker.
Ma c’è un problema: l’amore. Non è facile
capire, infatti, dove inserire la malandata
e melensa storia sentimentale tra la
cantante Billie Offer (Drew Barrymore) e
il protagonista del film, il giocatore Huck.
Costui, interpretato dal monoespressivo Eric
Bana, è figlio d’arte e nutre rancore per il
padre (un grandissimo Robert Duvall): tutto
si risolverà, naturalmente sul panno verde
e con le fiches in mano, non senza colpi di
scena. I personaggi del film fanno venire
in mente i loro omologhi di Rounders o
L’uomo dal braccio d’oro, e sono persone
divorate dal gioco, e i loro meccanismi
mentali mettono in luce che quanto più
una persona è brava con le carte tanto
più ha grossi problemi a relazionarsi con gli
altri fuori dalla sala da gioco. Vangelo.
Villy De Giorgi
Da Galatone a Specchia. Il Cinema
del reale cambia città ma non muta la
sostanza. Dal 18 al 21 luglio torna infatti
l’appuntamento, ideato e organizzato da
Big Sur, immagini e visioni, con la direzione
artistica del filmaker Paolo Pisanelli, che
rientra nel festival Salento Negroamaro
della Provincia di Lecce.
La Festa di Cinema del reale è un
evento dedicato agli autori e alle opere,
cinematografiche e video, che offrono
descrizioni e interpretazioni personali e
singolari delle realtà del mondo, passate
e presenti. Generi documentari differenti,
confluiscono in questa “festa” in cui si
proiettano film sperimentali, film-saggio,
diari personali, film di famiglia, grandi
reportage, inchieste storiche, narrazioni
classiche, racconti frammentari…
Questa quarta edizione è realizzata
in collaborazione con il Consiglio
Internazionale del Cinema e della
Comunicazione dell’UNESCO e ha come
tema le fughe nel reale di migranti,
partigiane, artisti e matti.
Le serate, come ogni anno, saranno
dedicate ai documentari italiani come
Lettere dal Sahara del maestro Vittorio
De Seta, L’Orchestra di Piazza Vittorio di
Agostino Ferrente; Grido di Pippo Del Bono,
che racconta la straordinaria esperienza di
vita e teatro vissuta dall’autore con l’attore
Bobò e molti altri ancora.
In due serate differenti sarà dedicato uno
spazio al cinema egiziano e algerino. I
film in programma sono Il pane nudo del
regista algerino Rachid Benhadj (nella
foto) e Yacoubian Palace del regista
egiziano Marwan Hamed che offriranno
un’interessante panoramica sulla nuova
generazione di cineasti che hanno
contribuito a cambiare volto e direzione
all’industria cinematografica dei Paesi
dell’area del Mediterraneo.
Quest’anno La Festa di Cinema del
Reale rende omaggio a due cineasti
eccezionali: Lino Del Fra e Alberto Grifi,
i cui film Fata Morgana e Verifica incerta
(realizzato con Gianfranco Barucchello)
saranno
rispettivamente presentati
dalla sceneggiatrice Cecilia Mangini e
dall’attrice Alessandra Vanzi.
In anteprima italiana sarà, poi, presentato
il libro di Mirko Grasso Scoprire l’Italia.
Inchieste e documentari degli anni ’50
(editore Kurumuny) che
in allegato
contiene il dvd dei film Fata Morgana e Li
mali mistieri di Gianfranco Mingozzi, film che
sarà proiettato durante La Festa di Cinema
del reale alla presenza dell’autore.
Anche questa edizione di Cinema del reale,
come la precedente, aderisce al DOCUDAY
2007, giornata per la promozione del
cinema documentario nelle piazza italiane
promossa dall’Associazione Documè Circuito Indipendente del Documentario.
Nel corso della manifestazione avranno
luogo un seminario sulla conoscenza
del cinema, un incontro di riflessioni e
proposte sul ruolo degli archivi audiovisivi
e incontri a tema su poetiche e pratiche
cinematografiche degli autori invitati, ai
quali verrà conferito il Premio Cinema del
reale. Il gruppo 100Autori “Filmmakers”
proporrà una riflessione sulla nuova legge
del cinema e sulla condizione attuale del
cinema italiano.
Info: www.cinemadelreale.it
CoolClub.it
37
A ppuntamenti
C
CoolClub.it
Dal tramonto di sabato 14 all’alba di
domenica 15 luglio torna per il secondo
anno consecutivo Passeggiando sulla
luna. La Notte bianca di Melpignano.
Dall’ex convento degli Agostiniani sino in
Piazza San Giorgio tutto il centro storico del
piccolo comune salentino sarà costellato di
incontri letterari e mostre d’arte, concerti e
performance teatrali fino a spingersi verso gli
arditi ritmi dell’elettronica e alle sonorità più
rilassanti del reggae.
La lunga notte parte alle 18.30 con lo spazio
riservato ai più piccoli, a cura della Ludoteca
Il Dado, e con la possibilità di volare sulla
Mongolfiera allestita nella spianata del
Convento degli Agostiniani.
Alle 21.00 nel chiostro dell’ex Convento degli
Agostinani, dove sarà allestito un planetario,
il professor Mario Bochicchio presenterà
il progetto Astronet, un telescopio web
collaborativo.
Subito dopo nel piazzale del Convento
il cantore e musicista salentino Antonio
Castrignanò, già autore della collana sonora
del film Nuovomondo di Emanuele Crialese,
presenterà in anteprima assoluta il suo nuovo
spettacolo Canti, cunti e migrazioni, dove
parole e musica incontrano le immagini. A
seguire la “musica ribelle” di Eugenio Finardi
che presenterà alcuni dei suoi brani più
famosi.
Dalle 22.00 su via Roma la parata della
Baracca dei Buffoni dà il via alle “attrazioni
artistiche”. Nelle corti dei palazzi del centro
storico sarà concentrata la sezione dedicata
al teatro con la presenza di Piero Rapanà
(Teatro Blitz), Somnia Theatri (che presenterà
lo spettacolo Salomè), Ippolito Chiarello
(Nasca. Teatri di terra), Alessandro Langiu,
Marzia Quartini, le danzatrici e coreografe
Cecilia Maffei e Stefania Mariano.
La sezione letteratura, coordinata da Mauro
Marino (Fondo Verri) e Rossano Astremo,
vedrà la partecipazione di molte case
editrici come Manni, Besa, Kurumuny, Lupo,
Icaro, Pequod, Fernandel, Isbn. Tra gli ospiti
Giancarlo Liviano, Luciano Pagano, Tony
Sozzo. La casa editrice Manni presenterà
in anteprima nel Salento la raccolta Mordi
e Fuggi con la partecipazione di Elisabetta
Liguori, Omar Di Monopoli, Livio Romano e
dello scrittore emiliano Gianluca Morozzi,
autore di numerosi romanzi per Fernandel
e Guanda. In Piazza San Giorgio spazio
alla musica salentina e pugliese con The
Yeld, Maquillabbeba, P40, LeitMotiv, 70123,
Spread Your Legs. Dalla Spagna arriva il
flamenco dei Chalachi. Nel corso della serata
si esibiranno anche Irene Scardia, Sudivoce,
Briganti di Terra d’Otranto, T’Astaracia
e molti altri gruppi. Nello spazio riservato
all’arte saranno in mostra alcune opere di
Giulio Acquaviva, Simona Comi, Francesca
Vantaggiato, Francesco Gaetani. Sino
all’alba al Convento degli Agostiniani dance
hall dei Villa Ada e selezioni di elettronica e
jungle a cura degli Insintesi.
Info
www.comune.melpignano.le.it
–
0832303707
39
A ppuntamenti
SUD EST INDIPENDENTE
L’8 e il 9 agosto al Campo sportivo
di Gallipoli il Salento dichiara la sua
indipendenza con Sei, il festival organizzato
da Coolclub e Getup concerti. Due giorni
per due direzioni diverse della musica.
Si parte l’8 con il concerto di Skatalites, i
padri dello ska, inventori di quei ritmi e quei
suoni che poi diventeranno il reggae, il rock
steady, lo ska di oggi. Il nucleo di questa
band tuttora attivissima con tour mondiali
e uscite discografiche, è composto
dagli stessi uomini che mezzo secolo fa si
trovarono al centro di un rinnovamento
musicale che dalla Giamaica avrebbe
conquistato il mondo. Il nuovo suono
della gioventù giamaicana all’inizio degli
anni ‘60 si chiamò ska, e successivamente
diventò rocksteady per poi mutare
ancora in reggae. I veri artefici di queste
creazioni furono una abbastanza ristretta
cerchia di geniali musicisti, alcuni dei
quali cominciarono a chiamarsi Ska-talites
nel 1964, guidati dal grande produttore
Coxone Dodd (recentemente scomparso)
a Studio One. Insieme a loro sul palco
Vallanzaska, Villa Ada, Fido Guido,
Makako Jump .
Si prosegue poi il 9 con il gruppo rivelazione
del rock Italiano: i Verdena con che il loro
ultimo album Requiem stanno scalando
le classifiche e collezionando sold out ad
ogni concerto.
Ospiti della serata rock del Sud est
indipendente anche i Tre allegri ragazzi
morti, band capitanata dal fumettista
Davide Toffolo da sempre in bilico tra
punk rock e un immaginario onirico e
adolescenziale e ancora Leitmotiv, Spread
your legs, Logo. Ingresso singola serata 12
euro.
Entrambe le serate saranno aperte
da una serie di gruppi emergenti che
saranno selezionati tramite un contest
che si svolgerà il 6 e 7 agosto al Cotriero
di Gallipoli. Per conoscere le modalità di
iscrizione: [email protected] oppure 380
6846283 - www.sudestindipendente.com
C
CoolClub.it
…in punta di piedi?
La prima idea di Torcito Parco Danza parte
dal corpo come medium, ricettacolo
d’informazione, conoscenza e sapienza
antica, per danzare ed essere danzati
dalla nuova “techne”, per dare una
dimora allo spirito del luogo con cui si
stabilisce un contatto ed edificare bene un
progetto di evoluzione umana del territorio,
giocando a trovare un colore, un suono o
un anagramma fantasioso al nome di un
ragno sempre più esagitato, provocando
un innesto partecipativo con la Notte della
Taranta, per la costruzione di un parco
danza a tema naturale al centro del mondo
contemporaneo.
L’ospite internazionale di questa rassegna
è il giapponese Ko Murobushi maestro di
danza post_atomica, manifesto d’argento
vivo dell’ultima biennale danza di Venezia,
affiancato dalla presenza nei laboratori da
Michele Abbondanza e dalla coreografa
Annamaria De Filippi in residenza con
Barbara Toma ed Elektra la compagnia
delle arti del corpo mediterraneo formata
per l’occasione da Mariliana Bergamo,
Enrica Di Donfrancesco,
Francesca
Nuzzo, Francesca Pili espressione di un
organico di ballerine che presentano un
progetto speciale per torcito parco danza
in collaborazione con un ensemble di
note sulla taranta, Raffaella Aprile, Ninfa
Giannuzzi e Gianluca Milanese
come
contrappunto a piè di pentagramma alle
nuove letture della musica coreutica. Nella
41
masseria in questi giorni saranno impegnati
insieme anche esponenti della performing
art raccolti sotto l’etichetta metalogo.it per
dare una forma armonica a suoni e gesti
della tradizione passata messa a confronto
con le innovazioni del presente, per offrire
una documento pubblico, un koan, un
indovinello orientale su cui meditare per lo
spettacolo del futuro.
dal 2 al 5 agosto
Masseria Torcito di Cannole
Residenza artistica a cura di Elektra
con
Anna Maria De Filippi, Barbara
Toma, Mariliana Bergamo Enrica Di Don
Francesco, Francesca Nuzzo, Francesca
Pili, Pieroandrea Pati, Fabio Siciliani, Luigi
Valiani, Matteo Greco, Divina Della
Giorgia, Antonio Napoletano, Michele
Manca
laboratori
2-3 agosto
Master class danza - Ko Murobushi
pom 17.00-19.00
4-5 agosto
Master class danza - Michele
Abbondanza
pom 16.00-19.00 (sabato 4 agosto) 11.0014.00 doenica 5 agosto)
A ppuntamenti
La direzione artistica è di Pieroandrea Pati.
La manifestazione è organizzata grazie
al contibuto della Provincia di Lecce
e dell’Unione della Grecìa Salentina.
Mediapartner www.lecceprima.it
Info e iscrizioni ai laboratori 0832.246292 3470579992 [email protected]
Eventi
3 agosto - ore 21.00
Sette
elektra - compagnia delle arti del corpo
mediterraneo
4 agosto - ore 21.00
Quick Silver ( ko murobushi)
5 agosto - ore 21.00
performance
Atnarat la danza rivolta
(appendice evento collaterale Notte
della taranta - 8 agosto a Corigliano
d’Otranto)
con Elektra, Ko Murobusci, Ensemble
di note sulla taranta, Barbara Toma,
Metalogo set formance
a seguire Turned dance
Progetto di composizione musicale del
parco in divenire
Dj live set + Vj
C
CoolClub.it
MUSICA
martedì 10 / Turntable Crew feat Dj Rumba
al Mediterraneo (Litoranea San Cataldo/
San Foca)
mercoledì 11 / Baba Zula a Cisternino (Br)
mercoledì 11 / Clivis al Praja/Jack ‘n Jill di
Gallipoli (Le)
giovedì 12 / Leitmotiv al Praja/Jack ‘n Jill di
Gallipoli (Le)
giovedì 12 / A Toys Orchestra a Monopoli
(Ba)
giovedì 12 / Sergio Caputo a Bisceglie (Ba)
giovedì 12 / Groovesquared a Putignano
(Ba)
venerdì 13 a domenica 15 / Respect Salento
Reggae Festival a San Donato (Le)
venerdì 13 a lunedì 16 / Festa della birra a
Copertino (le)
venerdì 13 / Inaugurazione con I Mostri al
Rendez Vous di Porto Cesareo (le)
venerdì 13 / Paolo Martini e Ivano Coppola
al Mediterraneo (Litoranea San Cataldo
venerdì 13 / Elio e le Storie Tese a Barletta
venerdì 13 / New York Ska-Jazz Ensemble a
Bari
venerdì 13 / Sergio Caputo a Monopoli
sabato 14 / Notte bianca a Melpignano
(Le)
sabato 14 / Joji Hirota & Taiko Drummers al
Castello di Gioia Del Colle
sabato 14 / Kumenei a Campi Salentina
(Le)
domenica 15 / Earth Wheel Sky Band +
Cesare Dell’Anna a Ostuni
domenica 15 / Superpartner a Squinzano
(Le)
lunedì 16 / Paolo Fresu Quintet a Locorotondo
(Ba)
Il Locus Festival ospita il quintetto di Paolo
Fresu. Nato nel 1984 per volontà di Paolo
Fresu e Roberto Cipelli. Dopo varie forme
diviene gruppo odierno nel 1985 con la
registrazione di ‘Ostinato’ per la Splasc(h)
Records, e si consacra come uno dei gruppi
di punta del jazz italiano.
martedì 17 / Daniele Silvestri a Bari
martedì 17 / Turntable Crew feat Whickaman
al Mediterraneo (Litoranea San Cataldo/
San Foca)
martedì 17 / Skarlat e SteelA al Babilonia di
Torre Sant’Andrea (Le)
mercoledì 18 / Andrea Sabatino Trio al
Praja/Jack ‘n Jill di Gallipoli (Le)
mercoledì 18 / Reggie Workman - Andrew
Cyrille - Roberto Ottaviano a Molfetta
giovedì 19 / Chalachi al Praja/Jack ‘n Jill di
Gallipoli (Le)
giovedì 19 / Coco Oco Trio a Putignano
(Ba)
giovedì 19 / Montecarlo Night con Tobia
Lamare al Rendez Vous di Porto Cesareo
(le)
venerdì 20 / Anja Schneider e Dj Santorini al
Mediterraneo (Litoranea San Cataldo
sabato 21 / Beltuner a Oria (Br)
sabato 21 / Orchestra Di Nazareth - omaggio
ad Oum Koultum a Casarano (Le)
L’Orchestra di Nazareth è attiva da circa
un decennio nell’opera di rivisitazione
ed esecuzione della grande musica
araba,dalla leggendaria cantante egiziana
Oum Koultum alla libanese Feyrouz.
Costituitasi originariamente ad Haifa,
43
martedì 17 / Natacha Atlas al Castello di
Acaya
Salento Negroamaro, rassegna delle
culture migranti della Provincia di Lecce,
ospita Natacha Atlas. Un’apolide della
musica che ha fatto propria la bandiera
dell’arcobaleno sonoro, ben prima che
l’etno-pop divenisse un business inseguito
e sollecitato dalle mode: Natacha Atlas è
un bell’esempio di anticipazione di usanze
e costumi in voga nel mondo discografico,
per un percorso decisamente variopinto a
cominciare dalle sue molteplici derivazioni
geografiche. Nata a Bruxelles (1964) nel
quartiere marocchino, da padre ebreo
egiziano e madre inglese, Natacha cresce
nella cittadina di Northampton per poi
trasferirsi ancora adolescente tra Grecia e
Turchia, dove impara a destreggiarsi con la
danza del ventre, specialità che le dà per
qualche tempo, da vivere. I primi passi come
musicista rinviano invece al 1991, quando
entra a far parte del collettivo senza confini
dei Transglobal Underground, una specie di
multinazionale del suono, di cui diviene la
voce, il volto, la presenza più significativa
durante gli spettacoli, che ovunque
raccolgono successo, guadagnandole
dal cui Conservatorio provengono tutti i
componenti in egual misura palestinesi ed
israeliani,si è poi definitivamente trasferita
nella città di Nazareth. Rappresenta
quindi un esempio ideale di convivenza
artistica e religiosa, in quanto al suo interno
sono rappresentate le tre grandi religioni
monoteiste del nostro tempo. Al suo interno
infatti convivono musicisti cattolici, ebrei
e musulmani. L’Ensemble interamente
acustico (8 musicisti) si avvale degli strumenti
arabi classici (archi, qanun, oud, percussioni)
e delle voci della palestinese Hiba Bathish.
ed ha effettuato numerose tournee in tutto
il mondo e in Francia è divenuta l’orchestra
stabile della grande vocalist araba, ma di
radici ebraiche, Sapho. L’appuntamento
rientra nel Festival Salento Negroamaro
della Provincia di Lecce. Ingresso gratuito
domenica 22 / Mercan Dede E Ludovico
Einaudi a Copertino (Le)
Prima italiana per questo particolare
progetto: Ludovico Einaudi e Mercan
Dede, due musicisti cosmopoliti, pur
provenendo da due scene diverse
(l’ambiente della musica contemporanea
A ppuntamenti
stima e notorietà. Del 1995 l’esordio come
solista, “Diaspora”, cui seguono altri dischi,
“Halim”, “Gelida”, “Ayeshteni”, dove
Natacha miscela sapientemente le lingue,
i suoni, le influenze, pescando nel suo
retroterra di esperienze, viaggi, continue
metamorfosi. L’appuntamento è ad Acaya.
Ingresso gratuito.
nel caso di Einaudi, la musica sufi con suoni
propri del clubbing e dell’elettronica nel
caso di Mercan Dede), hanno deciso di
incontrarsi in un progetto speciale. Da una
parte, dunque, le atmosfere rarefatte di
Ludovico Einaudi, il pianista e compositore
di Torino che continua a muoversi in una
perenne ricercare tra musica per il cinema,
composizioni per pianoforte e interessanti
aperture verso le sonorità d’altre culture.
Dall’altra, le mistiche sonorità sufi di Mercan
Dede artista dalle molteplici sfaccettature
che presenta una fusione unica di tradizione
mediorientale e elettronica. Ad unirli la
costante ricerca, il tentativo di andare
oltre i generi, contaminandosi con elementi
diversi alla ricerca di una indagine sul sacro
odierno. Sul palco assieme a loro 3 ballerine
sufi
e
alcuni
musicisti
turchi.
L’appuntamento
rientra
nel
Festival
Salento
Negroamaro della
Provincia di Lecce.
domenica 22 / Lura
a Locorotondo (Ba)
Con 70 concerti
nel 2005 ed oltre
100 nel 2006, Lura
è esplosa sui palchi
internazionali come
la
unica
vera
erede della grande
Cesaria Evora. Nella musica di Lura il pop
d’autore ed il jazz si fondono con i ritmi di
Capoverde. M’bem di Fora è il nuovo album
di Lura, un disco provocante e sensuale,
capace di fare sognare. L’appuntamento
rientra nel Locus Festival.
domenica 22 / Radici nel Cemento a
Carmiano (Le)
lunedì 23 / Zion Train Sound System e Trojan
Sound System alla Masseria Torcito di
Cannole (Le)
Appuntamenti
CoolClub.it C
44
Con un nuovo album in arrivo, i maestri
dello UK dub Zion Train arrivano nell’estate
salentina in versione sound system, con
il produttore Neil Perch ai controlli ed il
cantante Dubdadda al microfono. Sound
system ufficiale della leggendaria etichetta
inglese, presenta una formazione all’altezza
del prestigioso marchio Trojan: due selecta
e due MC abilissimi, per uno spettacolo
che spazia attraverso il reggae di tutte le
epoche e stili. Speciale per i 40 anni di Trojan
Records (1967-2007).
martedì 24 / Turntable Crew feat Luca Ferrari
al Mediterraneo (Litoranea San Cataldo/
San Foca)
mercoledì 25 / Nikos Veliotis- Yannis
Aggelakas a Cellino San Marco (Br)
mercoledì 25 / Alma de tango al Praja/Jack
‘n Jill di Gallipoli (Le)
giovedì 26 / Blood Sugar al Praja/Jack ‘n Jill
di Gallipoli (Le)
giovedì 26 / The Banshee a Putignano (Ba)
giovedì 26 / Montecarlo Night con Tobia
Lamare al Rendez Vous di Porto Cesareo
(le)
da giovedì 26 a sabato 28 / Streamfest al
Quartiere Fieristico di Galatina (Le)
Lo StreamFest è il primo festival internazionale
dei nuovi media a sud-est: un evento che
intende presentare le applicazioni creative
delle tecnologie più avanzate nel Salento,
territorio elettivo dell’estate culturale
europea. Per tre giorni il Quartiere Fieristico
di Galatina ospiterà in-stallazioni interattive,
sperimentazioni audiovisive con alcuni dei
protagonisti di una ricerca che tende a
coniugare immagini e musica, reinventando
nei set di vj le mo-dalità di fruizione che
vanno oltre il format dei concerti e del
video. Tra i protagonisti internazionali dello
StreamFest si rilevano l’ormai storica HASCII
CAM di Jaromil, l’esperienza di free radio
war di Cecile Landman con StreamTi-me,
l’installazione ambientale di Scenocosme,
e il duo italo-austriaco di origini sa-lentine
Casaluce-Geiger, la musica del nord
europa con Lacklaster dalla Finlan-dia e
Felix Randomiz insieme a Carsten Schulz
dalla Germania. La scena vjing italiana è
rappresentata tra gli altri dai progetti Flxer,
Kinotek e Claudio Sinatti. Lo StreamFest
propone tra le varie installazioni il progetto
del Master in Digital En-vironment della
NABA di Milano. Gli ospiti della scena locale
salentina sono Pierpalo Leo, Urkuma, Giorgio
Viva, la net labal MuertePop e la community
Agroelettronica.
Per
Informazioni:
www.streamfest.it - [email protected]
venerdì 27 / Claudio di Rocco al
Mediterraneo (Litoranea San Cataldo
sabato 28 / Storie Cantate con Moni Ovadia
e Tonino Zurlo a Mola Di Bari
da sabato 28 a lunedì 30 / Giovinazzo Rock
Festival a Giovinazzo (Ba)
Tra gli ospiti Amari, Disco Drive, Apres
La Classe, Tre Allegri Ragazzi Morti, A
toys orchestra e molti altri. Info www.
giovinazzorock.it. Ingresso gratuito
sabato 28 / Foly Du Burkina Faso (Africa
subsahariana) e Nidi D’arac (Salento) a
Diso
sabato 28 / Terra pi ciceri al Rendez Vous di
Porto Cesareo (le)
domenica 29 / Kumenei (Salento) e Raffaello
Simeoni (Lazio) a Diso
lunedì 30 / Franco Battiato alla Cantina
sociale di Locorotondo (Ba)
Molti brani de Il Vuoto, nuovo album
felicemente
riuscito,
saranno
parte
integrante del programma nel tour di
Battiato per l’estate 2007. Un live che
comunque spazierà dagli esordi ad oggi,
con quel senso antologico che da sempre
anima i tour di Battiato. L’appuntamento
rientra nel Locus Festival.
lunedì 30 / Danzare col Ragno all’Area
archeologica San Pietro in Crepacore di
Torre Santa Susanna (Br)
lunedì 30 / 24 grana al Parco Villa Cavaliere
di Mesagne(Br)
martedì 31 / Africa Unite a Supersano (Le)
martedì 31 / Turntable Crew feat Uk apache
al Mediterraneo (Litoranea San Cataldo/
San Foca)
venerdì 3 / Stefano Noferini al Mediterraneo
(Litoranea San Cataldo
da venerdì 3 a domenica 5 / Salento
Sounds Good con Neffa, Giuliano Palma e
Rezophonic a Carpignano Salentino (Le)
sabato 4 / Avion Travel a Ruvo di Puglia
sabato 4 / Olli &The Bollywood Orchestra Ad
Altamura
lunedì 6 / Gianluca Petrella Indigo 4 (Locus
Festival) a Locorotondo (Ba)
CoolClub.it
dal 30 luglio al 14 agosto / Popoli a Corsano
e altri comuni del Salento
Dal 30 luglio al 14 agosto torna Popoli,
un
articolato
progetto
presentato
dall’Unione di Comuni “Terra di Leuca”,
in collaborazione con Regione Puglia,
Provincia di Lecce, Istituto delle culture
mediterranee, Azienda di promozione
Turistica di Lecce, Associazione Dilinò di
Muro Leccese, Scuola Taranta Power
di Bologna, Radiovenere e Radio Peter
Pan la cui organizzazione è demandata
all’Assessorato alle Politiche Culturali
del Comune di Corsano, promotore
del progetto. Le manifestazioni, che
coinvolgeranno oltre a Corsano anche i
Comuni di Alessano, Cursi, Gagliano del
Capo, Morciano, Otranto, Patù, Poggiardo,
Salve e Tiggiano, prevedono officine di
danze popolari, arte scenica, musica,
mosaico dalla Tunisia, lavorazione del cuoio
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dal Marocco, incisione del legno d’ulivo
con madreperla e lavorazione del’olio
d0oliva per fare saponi e cosmetici dalla
Palestina, contest di writing internazionale,
incontri, mostre fotografiche.
Popoli include, inoltre, una serie di concerti
itineranti che ospiteranno il gruppo di
musica salentina Mascarimirì, le spagnole
Las Migas, la francese Big David’s
Band, il tunisino Mounir Troudi, maestro
internazionale di musica Kanwa e gruppi
di percussioni tribali africane.
Lunedì 6 agosto, nell’anfiteatro comunale
a Corsano, si svolgerà “Popoli Ensemble”
un grande festival di contaminazione
culturale e artistica che vedrà sullo stesso
palco tutti i gruppi internazionali e la scuola
Taranta Power – Boloogna di Maristella
Martella con le sue 20 danzatrici italiane e
francesi di pizzica e tarantelle.
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di eventuali variazioni o annullamenti.
Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it
Per segnalazioni:
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FUMETTO
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“Ho pensato molto, ultimamente, a te e
a me. A quello che ci accadrà alla fine.
Finiremo con l’ucciderci, vero? Forse tu
ucciderai me… O forse io ucciderò te.
Forse prima o forse poi”.
Ci sono due uomini in un’umida, squallida,
cella nel luogo più malsano che la città
abbia generato. Si conoscono da tempo,
ma non sanno nulla l’uno dell’altro;
eppure sono “anime gemelle”, le due
facce della stessa contorta medaglia.
Sono Batman e Joker, il “santo” protettore,
mascherato da diavolo, di Gotham City,
groviglio metropolitano di acciaio e
cemento scaturito dai sogni (o gli incubi)
in bianco e nero espressionista di Fritz
Lang, ed il suo arcinemico che seppellisce
le proprie vittime, letteralmente, con una
risata. L’eroe di Gotham è l’incarnazione
dell’ordine e del (auto) controllo;
da bambino ha assistito, impotente,
all’uccisione dei genitori per mano d’un
volgare delinquentello, giurando di
vendicarsi di tutti i criminali. Come Bruce
Wayne (l’uomo dietro la maschera),
possiede immense ricchezze, le attenzioni
di procaci donnine, la stima dell’intera
comunità cittadina e soprattutto l’affetto
di Alfred, padre putativo travestito da
fedele servitore. Tuttavia ciò non guarisce
la bruciante ferita che gli strazia l’anima,
soltanto l’ossessione di una sete di
giustizia ai limiti del morboso placa le sue
turbe. I lettori di Batman conoscono quasi
tutto del personaggio, ma chi è Joker, la
nemesi più riuscita ed “amata” dell’eroe,
qual è la sua storia e com’è divenuto un
agghiacciante malvagio? Alan Moore
(testi) e Brian Bolland (disegni), nel 1988,
hanno risposto a questi interrogativi con
l’ennesima pietra miliare che impreziosì
la feconda produzione fumettistica del
Cavaliere Oscuro negli anni ’80, Killing
Joke (in Italia edizioni Play Press). Se i
precedenti Batman: The Dark Knight
Returns (1985) e Batman: Year One (1986)
di Frank Miller ne avevano presentato
il futuro ed il passato prossimo, in Killing
Joke i due autori britannici affrontano
un altro aspetto del mito di Batman: la
sua follia, insita nelle viscere della sua
personalità, che lo lega, indissolubilmente,
allo schizoide Joker. Se il fato di Bruce
Wayne/Batman è stato plasmato dalla
violenta dipartita degli amati genitori,
quello di Joker è stato determinato dalle
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condizioni di miseria che costrinsero un
brillante, ma squattrinato, cabarettista a
tentare un furto in un’industria chimica,
poche ore dopo l’insensata morte della
moglie incinta, tentativo sfociato nella
rovinosa caduta in acque dense di agenti
chimici velenosi a causa dell’intervento
d’un giovane Batman.
Dalle fetide acque di scolo di
quell’industria emerse una creatura
disumana, una cerulea maschera
costretta in un permanente ghigno di
pazzia, il Joker. È dunque la tragedia delle
loro esistenze ad aver determinato la
natura dei rispettivi caratteri, quello che li
distingue è il percorso intrapreso. L’agiato
Wayne scelse di imbrigliare i propri demoni
interiori nelle maglie d’un eroismo privo di
macchie, censurandoli nell’impassibile
espressione che lo contraddistingue.
Joker, il fu uomo medio, ha rovinato nelle
spire della follia, convinto che l’esistenza
umana è una burla crudele di un Creatore
o di un Destino, matti quanto lui. Sono nati
per incontrarsi e scontrarsi nell’imperituro
samsara che è la reciproca attrazione/
repulsione. Sono entrambi ossessionati
dall’altro poiché rappresentano ciò
che avrebbero potuto divenire e che
eventualmente
potrebbero
ancora
diventare. Moore ha scritto una storia
epocale cruda e struggente, affrescata
dalle splendide illustrazioni di Brian Bolland,
oggi apprezzato copertinista di molte
testate D.C., che con tratto dettagliato
e realistico delinea quest’attrazione
fatale in tutto il suo sublime orrore
(come appura, drammaticamente, il
commissario Gordon, l’uomo medio per
antonomasia della serie del Pipistrello).
Bolland immortala un Batman granitico
e
monoespressivo,
eccessivamente
intento a non liberare la sua psicosi, ed
uno smilzo Joker che con volto carico
d’un’intensa umanità dice al suo nemico:
«È tutto una barzelletta! Tutto ciò che
chiunque abbia mai avuto a cuore […] È
tutto una colossale, demenziale, battuta!
Perché non vedi il lato comico? Perché
non ridi?».
Ma Batman riderà a squarciagola
soltanto quando accetterà d’essere un
povero schizzato quanto Joker, perso in
un manicomio senza confini.
Roberto Cesano
A MAGGIO INAUGURAZIONE TERRAZZE