lA cARTA MAgnA dell`ecologIA InTegRAle Leonardo Boff

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lA cARTA MAgnA dell`ecologIA InTegRAle Leonardo Boff
ne in generale, soprattutto in vista della decisiva Conferenza di Parigi. E un primo segnale, in tal senso, viene dalla
Marcia “Una terra. Una famiglia umana”, promossa il 28 giugno alle ore 9, a Piazza Farnese, a Roma, dalla Focsiv, il
coordinamento di ong cattoliche - su proposta della Campagna interreligiosa contro i cambiamenti climatici OurVoices - a cui stanno aderendo anche numerose organizzazioni ambientaliste come Greenpeace, il Wwf, Legambiente, con il supporto della Coalizione Italiana per il Clima e della comunità online di advocacy Avaaz.
Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, i commenti all'enciclica dell'ecoteologo brasiliano Leonardo
Boff (www.servicioskoinonia.org, 19/6) e del vescovo di Aysén Luis Infanti de la Mora (Adital, 19/6) e, dal portoghese, l'intervento inviatoci dal teologo Marcelo Barros. (claudia fanti)
lA cARTA MAgnA
dell’ecologIA InTegRAle
Leonardo Boff
Prima di un qualunque commento è il caso di evidenziare
alcune singolarità dell'enciclica Laudato si' di papa Francesco.
È la prima volta che un papa affronta il tema dell'ecologia nel senso di un'ecologia integrale (e quindi al di là del tema ambientale) in modo così completo. Sorpresa: egli elabora il tema all'interno del nuovo paradigma ecologico, come
non ha mai fatto alcun documento ufficiale delle Nazioni Unite. Il suo discorso poggia sui dati più sicuri delle scienze della vita e della Terra, letti in maniera affettiva (con l'intelligenza sensibile o cordiale), in quanto il papa riconosce che dietro di essi si celano drammi umani e grande sofferenza anche da parte della madre Terra. La situazione attuale è grave, ma papa Francesco trova sempre ragioni per la speranza
e per la fiducia nel fatto che l'essere umano possa individuare le soluzioni efficaci. Si richiama ai papi che lo hanno
preceduto, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, citandoli molte volte. E una cosa assolutamente nuova: il suo testo si inscrive all'interno della collegialità, valorizzando i contributi di
decine di Conferenze episcopali del mondo intero, da quella
degli Stati Uniti a quella della Germania, del Brasile, della Patagonia, del Paraguay. Accoglie i contributi di altri intellettuali, come i cattolici Pierre Teilhard de Chardin, Romano Guardini, Dante Alighieri, il suo maestro argentino Juan Carlos
Scannone, il protestante Paul Ricoeur e il musulmano sufi Ali
Al-Khawwas. I destinatari sono tutti gli esseri umani, in quanto tutti abitiamo la stessa casa comune (parola molto usata
dal papa) e soffriamo le stesse minacce.
Papa Francesco non scrive in qualità di Maestro e Dottore della fede, ma come pastore zelante che si prende cura
della casa comune e di tutti gli esseri, non solo umani, che
in essa abitano.
C'è un altro elemento che merita di essere evidenziato,
rivelando la forma mentis di papa Francesco: il suo essere
tributario dell'esperienza pastorale e teologica delle Chiese
latinoamericane, le quali, alla luce dei documenti dell'episcopato latinoamericano (Celam) di Medellín (1968), di Puebla (1979) e di Aparecida (2007), hanno fatto un'opzione per
i poveri, contro la povertà e a favore della liberazione.
Il testo e il tono dell'enciclica sono tipici di papa Francesco e della cultura ecologica che egli ha maturato, ma ci si
può rendere conto anche del fatto che molte espressioni e
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modi di dire rimandano a quanto si pensa e si scrive principalmente in America Latina. I temi, tra gli altri, della «casa comune», della «madre Terra», del «grido della Terra e grido dei
poveri», della «cura», dell'«interdipendenza fra tutti gli esseri»,
dei «poveri e vulnerabili», del «cambiamento di paradigma»,
dell'«essere umano come Terra» che sente, pensa, ama e venera, dell'«ecologia integrale», sono tutti temi ricorrenti tra noi.
La struttura dell'enciclica ubbidisce al rituale metodologico usato dalle nostre Chiese e dalla riflessione teologica
legata alla pratica della liberazione, ora adottata e consacrata
dal papa: vedere, giudicare, agire e celebrare.
Fin dall'inizio rivela la sua principale fonte d'ispirazione:
san Francesco d'Assisi, che egli definisce «esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale», esprimendo un'attenzione particolare «verso i più
poveri e abbandonati» (10 e 66).
E si sofferma quindi sul vedere: su «quello che sta accadendo alla nostra casa» (17-61). Il papa afferma: «Basta però
guardare la realtà con sincerità per vedere che c'è un grande
deterioramento della nostra casa comune» (61). In questa parte egli incorpora i dati più consistenti sul cambiamento climatico (20-22), la questione dell'acqua (27-31), l'erosione della
biodiversità (32-42), il deterioramento della qualità della vita
umana e il degrado della vita sociale (43-47), e denuncia l'alto tasso di iniquità planetaria, che colpisce tutti gli ambiti della vita (48-52) e vede i poveri come principali vittime (48).
In questa sezione appare una frase che rimanda alla riflessione condotta in America Latina: «Ma oggi non possiamo
fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (49). E poi aggiunge:
i gemiti di sorella terra «si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo» (53). E questo è assolutamente coerente, in
quanto all'inizio afferma che «noi stessi siamo terra» (2; cfr Gn
2,7), pienamente in linea con il grande cantore e poeta indigeno argentino Atahualpa Yupanqui: «L'essere umano è la Terra che cammina, che sente, che pensa e che ama».
Condanna poi le proposte di internazionalizzazione dell'Amazzonia, «che servono solo agli interessi economici delle
multinazionali» (38). E fa un'affermazione di grande vigore etico: è gravissima iniquità «quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell'umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale» (36).
Riconosce con tristezza: «Mai abbiamo maltrattato e offe-
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so la nostra casa comune come negli ultimi due secoli» (53).
Di fronte a questa offensiva umana contro la madre Terra che
molti scienziati hanno denunciato come l'avvento di una nuova era geologica - l'Antropocene -, lamenta l'inadeguatezza dei
poteri di questo mondo che, illusi, pensano che «il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali », come alibi «per alimentare tutti i vizi autodistruttivi» (59) con un
«comportamento che a volte sembra suicida» (55).
Prudente, egli riconosce la diversità di opinioni (nn. 6061) e il fatto che «non c'è un'unica via di soluzione» (60). Ciononostante è «certo che l'attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di
pensare ai fini dell'agire umano» (61) e ci perdiamo dietro la
realizzazione di mezzi destinati a un accumulo illimitato a spese della giustizia ecologica (degrado degli ecosistemi) e della giustizia sociale (impoverimento delle popolazioni). L'umanità semplicemente «ha deluso l'attesa divina» (61).
La sfida urgente consiste allora nel «proteggere la nostra
casa comune» (13) e per farlo abbiamo bisogno, citando Giovanni Paolo II, di una «conversione ecologica globale» (5) e di
una «cultura della cura che impregni tutta la società» (231).
Dopo la dimensione del vedere, s'impone ora quella del
giudicare. Che è delineata secondo due versanti, uno scientifico e l'altro teologico.
Vediamo quello scientifico. L'enciclica dedica tutto il terzo
capitolo all'analisi della «radice umana della crisi ecologica»
(101-136). Qui il papa si propone di analizzare la tecnoscienza senza pregiudizi, accogliendo quanto essa ha offerto in termini di «cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell'essere umano» (103). Il problema non è qui, bensì
nel fatto che essa si è resa indipendente, sottomettendo l'economia, la politica e la natura in vista dell'accumulo di beni materiali (cfr. 109). La tecnoscienza parte dal presupposto errato della «disponibilità infinita dei beni del pianeta» (106), quando sappiamo di aver già raggiunto i limiti fisici della Terra e che
gran parte dei beni e servizi non è rinnovabile. La tecnoscienza è diventata tecnocrazia, una vera dittatura con la sua ferrea logica di dominio su tutto e su tutti (108).
La grande illusione oggi dominante consiste nel credere
che con la tecnoscienza si possano risolvere tutti i problemi
ecologici. È un'idea ingannevole, poiché «significa isolare cose che nella realtà sono connesse» (111). In realtà, «tutto è
connesso» (117), «tutto è in relazione» (120), un'affermazione, questa, che attraversa tutto il testo dell'enciclica come
un leitmotiv, essendo un concetto chiave del nuovo paradigma contemporaneo. Il grande limite della tecnocrazia sta nella «frammentazione del sapere» fino a «perdere il senso della totalità» (110). Il peggio è che essa «non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni
peculiare valore all'essere umano» (n. 118).
Il valore intrinseco di ogni essere, per minuscolo che sia,
è evidenziato in maniera permanente nell'enciclica (69), come fa la Carta della Terra. Negando questo valore intrinseco,
ci stiamo rendendo responsabili del fatto che «migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno
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comunicarci il proprio messaggio» (33).
La maggiore deviazione prodotta dalla tecnocrazia è l'antropocentrismo, che presuppone illusoriamente il fatto che le
cose hanno valore solo nella misura in cui servono all'essere
umano, dimenticando che la loro esistenza ha un valore proprio. Se è vero che tutto è in relazione, allora «tutti noi esseri
umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle
sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto,
al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre
terra» (92). Come possiamo pretendere di dominarli e di considerarli nell'ottica limitata della dominazione?
Tutte le «virtù ecologiche» (88) si perdono a causa della
volontà di potere come dominazione sugli altri e sulla natura. Viviamo un'angosciante «perdita del senso della vita e del
vivere insieme» (110). Il papa cita più di una volta il teologo
italo-tedesco Romano Guardini (1885-1968), uno dei più letti a metà del secolo scorso, il quale ha scritto un libro critico
contro le pretese della modernità (105, nota 83: La fine dell’epoca moderna, Brescia, 1987).
ALLA RICERCA DI UN NUOVO INIZIO
L'altro versante del giudicare è quello teologico. L'enciclica riserva parecchio spazio al «Vangelo della Creazione»
(62-100), partendo dalla giustificazione del contributo delle
religioni e del cristianesimo, in quanto, essendo la crisi globale, ogni istanza deve, con il suo capitale religioso, contribuire alla cura della Terra (62). E l'enciclica non insiste sulle dottrine, bensì sulla saggezza presente nei distinti cammini spirituali. Il cristianesimo preferisce parlare di creazione anziché di natura, poiché la creazione «ha a che vedere
con un progetto dell’amore di Dio» (76). Più di una volta è citato un bel testo del libro della Sapienza (11,24) dove appare chiaro che «la creazione appartiene all’ordine dell’amore» (77) e che Dio è «il Signore amante della vita» (Sap 11,26).
Il testo si apre a una visione evoluzionista dell'universo
benché non usi questa parola, ricorrendo a una circonlocuzione nel riferirsi a un universo «composto da sistemi aperti
che entrano in comunicazione gli uni con gli altri» (79). Utilizza i principali testi che legano Cristo incarnato e risorto al
mondo e all'intero universo, rendendo sacra la materia e tutta la Terra (83). E in questo contesto cita Pierre Teilhard de
Chardin (1881-1955; 83, nota 53) come precursore di questa visione cosmica.
Citando il patriarca ecumenico della Chiesa ortodossa
Bartolomeo, riconosce che «un crimine contro la natura è un
crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio» (8). Da qui
l'urgenza di una conversione ecologica collettiva che restauri l'armonia perduta.
La conclusione di questa parte dell'enciclica evidenzia
giustamente «la necessità di un cambio di rotta» per «uscire
dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando»
(163). Non si tratta di una riforma, bensì, citando la Carta
della Terra, della ricerca di «un nuovo inizio» (207). L'interdipendenza di tutti con tutti ci porta «a pensare a un solo mon-
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do, ad un progetto comune» (164).
Poiché la realtà presenta molteplici aspetti, tutti intimamente relazionati, papa Francesco propone un'ecologia integrale che va oltre l'ecologia ambientale a cui siamo abituati
(137) per coprire tutti i campi: ambientale, economico, sociale, culturale e anche quello della vita quotidiana (147-148).
Senza mai dimenticare i poveri, i quali testimoniano anch'essi
la propria forma di ecologia umana e sociale, vivendo legami
di appartenenza e di solidarietà gli uni con gli altri (149).
Il terzo passo metodologico è quello dell'agire. In questa
sezione, l'enciclica si attiene ai grandi temi della politica internazionale, nazionale e locale (164-181), sottolineando l'interdipendenza della sfera sociale e di quella educativa con
quella ecologica e denunciando le difficoltà che comporta il
predominio della tecnocrazia, ostacolando quei cambiamenti che possono contrastare la voracità di accumulazione e di
consumo e inaugurare il nuovo (141). Il papa riprende il tema dell'economia e della politica che devono servire il bene
comune e creare le condizioni per una pienezza umana possibile (189-198). Torna a insistere sul dialogo tra la scienza
e la religione, come suggerito dal grande biologo Edward O.
Wilson (cfr. il libro La Creazione. Un appello per salvare la vita sulla Terra, Adelphi, Milano, 2008). Tutte le religioni devono «entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità» (201).
Ancora riguardo all'agire, sfida l'educazione a creare una
«cittadinanza ecologica» (211) e un nuovo stile di vita, basato sulla cura, sulla compassione, sulla sobrietà condivisa,
sull'alleanza tra umanità e ambiente, inscindibilmente connessi, sulla corresponsabilità per tutto ciò che esiste e vive
e per il nostro destino comune (203-208).
Infine, il momento di celebrare. La celebrazione si realizza in un contesto di «conversione ecologica» (216) che implica una «spiritualità ecologica» (216), la quale deriva non
tanto dalle dottrine teologiche quanto dalle motivazioni che
la fede suscita per provvedere alla casa comune e «alimentare una passione per la cura del mondo» (216). Tale esperienza è piuttosto una mistica che spinge le persone a vivere l'equilibrio ecologico, «quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio» (210). Qui appare come sia
vero che «meno è più» e che si possa essere felici con poco.
Nel senso della celebrazione «il mondo è qualcosa di più
che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (12).
Lo spirito tenero e fraterno di San Francesco d'Assisi attraversa tutto il testo dell'enciclica Laudato si'. La situazione
attuale non significa una tragedia annunciata, ma una sfida
a prenderci cura della casa comune e gli uni degli altri. Vi è
nel testo leggerezza, poesia e gioia nello Spirito e un'indistruttibile speranza nel fatto che, se grande è la minaccia,
più grande ancora è l'opportunità che ci è data di risolvere i
nostri problemi ecologici.
L'enciclica termina poeticamente «Al di là del sole», con
queste parole: «Camminiamo cantando! Che le nostre lotte
e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza» (244).
Mi piacerebbe concludere con le parole finali della Carta
della Terra citate dallo stesso papa (207): «Possa la nostra
epoca essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza per la vita, per la risolutezza nel raggiungere la sostenibilità, per l’accelerazione della lotta per la giustizia e la pace,
e per la gioiosa celebrazione della vita».
unA boccATA d’ARIA fReScA
Luis Infanti de la Mora
no al Sud del mondo (soprattutto all'Africa e all'America Latina), anche con l'ausilio delle leggi e con un bombardamento
pubblicitario (ideologico), escludono in misura crescente i poveri, oppressi e spogliati dei loro beni naturali, delle loro culture, della loro dignità, del loro futuro. È il regno dell'iniquità. Il
papa invita a superare la «cultura dello scarto», a considerare
le comunità locali, specialmente i popoli indigeni con la loro
sensibilità e le loro tradizioni, e a frenare la megalomania sfrenata, a dialogare e dibattere sui limiti del “progresso”.
Forte è l'appello a superare le visioni ideologiche e le pratiche dell'antropocentrismo e del relativismo, tanto radicate
nel neoliberismo, che pongono alcune persone, alcune multinazionali e alcuni Paesi come “signori, padroni e dominatori” della creazione e dell'umanità, prendendo il posto di Dio,
e schiavizzando i popoli e la madre Terra, saccheggiata al di
là delle sue capacità di rigenerazione.
Per quanto breve, è significativo il riferimento alla proprietà
privata, su cui «grava sempre un'ipoteca sociale». Un tema
stimolante e urgente che merita maggiore approfondimento.
Infine, l'appello al dialogo e al dibattito sincero, profondo,
trasparente rivolto a tutti i settori sociali, politici, religiosi, eco-
Dirompente, profetica, stimolante: così è la Laudato si’,
la nuova enciclica di papa Francesco.
Non è neutrale, bensì scritta a partire dal mondo degli impoveriti, dal Sud, sfidando fraternamente il Nord, per operare
un cambiamento deciso e coraggioso. I tempi, la nuova epoca, non lasciano dubbi: non si può andare avanti in questo
modo. A partire dal mondo impoverito e trafitto dall'ingiustizia umana e ambientale, papa Francesco interpella la coscienza dei popoli, credenti e non credenti, esigendo (la giustizia non si chiede, si esige, perché è un diritto degli emarginati) un cambiamento di rotta da parte dei “potenti”, i detentori del potere economico, politico, scientifico e tecnologico mondiale. Lo fa a partire non da una religione, ma dall'etica
e dalla spiritualità più profonda della sensibilità umana.
Per il papa la globalizzazione assume oggi un carattere più
di dominazione che di bene comune: di fatto, la cultura consumista, il saccheggio dei beni naturali, la crisi climatica, il narcotraffico, tutto ciò che multinazionali e Paesi ricchi impongo-
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nomici, culturali, per aprire cammini di liberazione verso una
profonda «rivoluzione culturale» e creare una «civiltà dell'amore» in cui la comunione con Dio si manifesti anche nel-
la comunione con l'umanità e la creazione, con segni, decisioni e organizzazioni internazionali che promuovano la solidarietà, la giustizia e la pace.
e oRA TRARne le conSeguenze
Marcelo Barros
investe la fornitura domestica di acqua e di alimenti. A causa della crisi idrica, in Alagoas, più di 100mila persone devono essere soccorse. In Ceará, per la mancanza d'acqua, i
contadini hanno perso dall'80 al 90% dei raccolti di miglio e
fagioli (cfr Remabrasil, 6/5).
La lettura dell'enciclica di papa Francesco deve farci ricordare dei popoli indigeni del Brasile, la cui esistenza è minacciata allo stesso modo dei nostri ecosistemi più preziosi.
Attualmente, in Brasile vivono 820mila indigeni, una piccola
parte della popolazione brasiliana, ma con cui abbiamo contratto un immenso debito storico, sociale ed ecologico. E come avviene per le aggressioni alla Terra e a tutta la natura, in
tutte le regioni del Brasile, in un anno, il numero di indigeni
assassinati da industriali del legno e accaparratori della terra ha registrato un aumento del 42% (138 casi). Nello stesso periodo e per lo stesso motivo, i suicidi di indigeni adolescenti e giovani sono stati 135, un record negli ultimi tre decenni. È a partire da questa realtà che noi brasiliani, principalmente cristiani/e delle diverse Chiese, siamo chiamati a
leggere e interpretare l'enciclica sull'ecologia del vescovo di
Roma, il quale ci invita ad approfondire un'educazione e una
spiritualità ecologica (202 e seguenti), cioè a formarci per
un'alleanza tra essere umano e ambiente (209), che non avrà
luogo senza una vera «conversione ecologica» (216).
Un documento dei comboniani del Nordest brasiliano afferma: «Sappiamo quanto il sistema capitalista, ecocida e
suicida, abbia ereditato dalla cultura religiosa cristiana. D'altro lato, possiamo contare sull'ispirazione radicalmente evangelica di San Francesco e sulla testimonianza viva di molti e
molte martiri che rilanciano la difesa della vita. Abbiamo ugualmente bisogno di un profondo e umile processo di conversione e di purificazione. Di un nuovo ascolto della Rivelazione, a partire dall'incontro fecondo tra la Parola biblica, il libro
della creazione e la saggezza dei popoli e delle religioni».
Leggere l'enciclica a partire dagli impoveriti e dalla realtà
dei nostri Paesi ci invita ad abbracciare quella che il papa
chiama «Ecologia integrale». Il nostro fratello Leonardo Boff
dichiara che neppure le Nazioni Unite sono riuscite a sintetizzare così bene questa proposta. Ebbene, dobbiamo trarne
le conseguenze, rielaborando, a partire dalle basi, un modo
di vivere e di esprimere la fede che sia liberatore, pluralista
(cioè aperto alla collaborazione con altre tradizioni spirituali)
e olistico, vale a dire basato su una giustizia eco-sociale che
unisca l'impegno a favore della liberazione e della vita degli
oppressi e la comunione effettiva e spirituale con l'universo,
sacramento di una presenza di cui siamo testimoni e collaboratori. Come recita il canto di ingresso della Messa di Pentecoste: «Lo Spirito di Dio riempie l'universo, tutto abbraccia
con la sua sapienza, tutto unisce nel suo amore, alleluia»
(ispirato al versetto biblico del libro della Sapienza 1,7).
Finalmente è uscita l'enciclica del papa sull'ecologia. Negli Stati Uniti, alcuni membri repubblicani del Congresso e i
candidati alla presidenza dello stesso partito hanno fatto
pressioni affinché il papa non la pubblicasse. Alcuni mesi fa,
grandi imprenditori e proprietari di imprese minerarie presenti
in tutti i continenti, hanno realizzato un ritiro spirituale in Vaticano per spiegare al papa che le imprese minerarie sono
ecologiche e che si limitano ad estrarre minerali dalla terra,
senza distruggerla. Anche alcuni cardinali nordamericani, più
legati ai signori del mondo che ai poveri, hanno espresso il
proprio rifiuto, tentando di impedire che, nel parlare di ecologia ambientale, il papa mettesse il dito nella piaga toccando l'ecologia sociale. Tuttavia, qualsiasi pressione, dall'interno o dall'esterno della Chiesa, è stata inutile. L'enciclica
è stata pubblicata, poetica e profetica. Inizia richiamandosi
al Cantico delle creature di San Francesco per confermare
che «la nostra casa comune è anche come una sorella, con
la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella
che ci accoglie tra le sue braccia» (1). E, a partire da qui, rivolge un invito insistente a tutti a rinnovare il dialogo «sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta» (14).
Seguendo il metodo latinoamericano del “vedere, giudicare e agire”, il papa ha affrontato l'ecologia a partire dalla
realtà sociale del mondo, dall'ingiustizia di un sistema economico escludente nei confronti dei poveri e dalla cultura dell'indifferenza che infesta l'umanità. E ciò indica l'importanza
di leggere l'enciclica Laudato si' a partire dalla realtà del mondo dei poveri, le più grandi vittime dell'ingiustizia eco-sociale
provocata dal sistema dominante che opprime allo stesso
modo la Terra e la natura.
Il Brasile è uno dei Paesi in cui le contraddizioni tra un
modello di sviluppo predatorio e la responsabilità nei riguardi della Terra, la nostra casa comune, si manifestano nel modo più evidente. Secondo i dati divulgati da Washington Novaes, in Brasile, più di 1,26 milioni di chilometri quadrati appartenenti a 1.440 municipi di otto Stati del Nordest e del
nord di Minas Gerais mostrano già un qualche livello di desertificazione. Il processo di degradazione del suolo è assai
rilevante e si accompagna alla perdita della copertura vegetale, della biodiversità e della capacità di produzione agricola. E, come indica il papa nell'enciclica, ogni volta che la vulnerabilità della terra è violata, quelli che più soffrono sono i
poveri. Nelle aree brasiliane interessate dal processo di desertificazione, la presenza di poveri e indigenti è superiore
alla percentuale esistente in altre regioni del Paese. In realtà, i due ecosistemi della Caatinga e del Cerrado presentano l'85% dei poveri del Paese (cfr Eco 21/4). Una realtà che
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