Costruire le modernità

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Costruire le modernità
Franco Albini
Ignazio Gardella
Carlo Mollino
Costruire
le modernità
Tre architetti che sono stati sempre letti per una loro presunta
diversità rispetto ai canoni, molto incerti per lo meno in Italia,
di una modernità razionalista. Le tre mostre, a Milano, Genova
e Torino, cercano di superare quest’interpretazione, ormai
consunta, offrendo altre possibili letture.
Tre architetti che, in realtà, hanno vissuto la professione come
mestiere, legati a genealogie familiari, importanti, di ingegneri.
Tre architetti che, grazie alle loro biografie intrecciate, raccontano la stagione in cui la conoscenza delle pratiche costruttive
e professionali è divenuta l’inizio di un percorso arricchito,
e talvolta reso contraddittorio, da studi storici, urbani, sociali.
Una professione dove costruzione e cantiere sono i luoghi essenziali dell’identità di un’architettura realizzata anche per mezzo
di un’ossessione per il disegno, per una sperimentazione condotta
sino a disegnare particolari costruttivi in scala 1:1.
Tre architetti che hanno saputo anche interpretare temi nuovi
della società italiana del Novecento: la seconda casa, in montagna
o al mare, la trasformazione dell’idea di museo, la società dei
consumi con i suoi nuovi totem. Le loro opere hanno rispecchiato
anche gli aspetti meno nobili della nascente società di massa,
talvolta con ironia, talvolta alla distanza, talvolta cercando
di affrontare con decisione proprio i luoghi topici di quella
modernità popolare e mondana.
Franco Albini (Robbiate, Como, 1905 - Milano 1977)
si laurea nel 1929 al Politecnico di Milano e nel 1930
inizia l’attività professionale. Negli anni tra le due guerre
è molto attivo nel settore dell’arredamento e degli allestimenti espositivi (per la Triennale e la Fiera campionaria
di Milano) e realizza con Renato Camus e Giancarlo Palanti
alcuni quartieri di edilizia popolare a Milano: “Fabio Filzi”
(1936-38), “Gabriele D’Annunzio” e “Ettore Ponti” (1939),
in linea con le tematiche e le scelte tipologiche proprie
dell’avanguardia razionalista. Nel campo del design
progetta, tra l’altro, un radioricevitore in metallo e vetro
Securit (1938) e la libreria “Veliero” con struttura tensile
in legno e cavi d’acciaio (1940). Nel dopoguerra partecipa
al rinnovamento della museografia italiana con i musei
di Palazzo Bianco (1949-51), Palazzo Rosso (1952-62)
e del Tesoro di San Lorenzo a Genova (1952-56), e affronta
il tema dell’inserimento in contesti naturali e urbani con
l’Albergo-rifugio Pirovano a Cervinia (1948-52), l’edificio
per uffici dell’Ina a Parma (1952-54). Con Franca Helg
che dal 1952 è associata al suo studio, realizza i Grandi
Magazzini La Rinascente a Roma (1957-1961), le stazioni
della Metropolitana milanese (1962-1969) e l’edificio
per uffici della Snam a San Donato milanese (1969-72).
Dal 1949 insegna Architettura degli interni presso
l’Istituto universitario di Architettura di Venezia e dal 1965
Composizione architettonica al Politecnico di Milano.
Tre architetti che, legati per nascita, formazione o prime
esperienze professionali a territori e culture regionali, hanno
saputo tuttavia interpretare e non subire i modelli internazionali proposti loro durante il XX secolo.
Tre architetti che consentono d’avviare una riscrittura
della storia dell’architettura del Novecento, attenta finalmente
anche alla distribuzione, alle tecniche costruttive, ai materiali,
ai dialoghi a volte conflittuali con le altre professioni: elementi,
questi, che contribuiscono a costruire il panorama, ricco
e differenziato, dell’architettura italiana del secolo breve.
Tre architetti per tre mostre, che infine dovrebbero aiutare
a dar corpo a uno dei temi più evanescenti oggi: la funzione
sociale della professione di architetto. Una funzione dai tre
architetti interpretata in modi sostanzialmente diversi, eppure
mai dimenticata o peggio nascosta. Si può essere impegnati
nella professione di architetto seguendo percorsi formativi
o professionali differenti, praticando scelte linguistiche,
costruttive o distributive anche opposte. Da questo punto
di vista le tre mostre dovrebbero contribuire a evitare i rischi
di quel relativismo critico e storiografico, che sta facendo
perdere di vista una delle lezioni più belle di questi tre architetti
italiani: il valore del giudizio critico, della presa di posizione,
del dialogo.
Ignazio Gardella (Milano 1905 - Oleggio, Novara 1999)
si laurea in Ingegneria nel 1928 al Politecnico di Milano,
e nel 1949 in Architettura presso l’Istituto Universitario
di Venezia (dove sarà professore dal 1962 al 1975). Nel 1947
partecipa al primo Congresso dell’Inu; dal 1952 al 1956
organizza a Venezia, con A. Samonà, E.N. Rogers e F. Albini,
la scuola del Ciam; nel 1959 è membro della delegazione
italiana all’ultimo Ciam di Otterlo. Successivamente alle
opere giovanili, il progetto di concorso per una Torre in
Piazza Duomo (1934), il Dispensario Antitubercolare
(1933-38) e il Laboratorio Provinciale di Igiene e Profilassi
di Alessandria (1933-39), Gardella realizza, negli anni
Cinquanta e Sessanta, il Padiglione d’Arte Contemporanea
(1951), la “Casa al Parco” e la Casa di abitazione ai giardini
d’Ercole (1951) a Milano; la Casa Borsalino (1950) ad
Alessandria; le Terme Regina Isabella (1950-54) a Ischia;
la “Casa alle Zattere” (1953-58) a Venezia; la Mensa
e il Centro Ricreativo Olivetti (1954-58) a Ivrea.
Tra i progetti più significativi dell’ultimo periodo della
sua carriera: il Palazzo di Giustizia di La Spezia (1963-94);
il progetto di concorso per il Teatro Civico di Vicenza
(1°premio, 1969); il Palazzo degli Uffici Tecnici dell’Alfa
Romeo ad Arese (1968-74); il Teatro Carlo Felice (1981-90)
e la Sede della Facoltà di Architettura di Genova (1975-89).
Numerosi sono i riconoscimenti pubblici attribuiti nel corso
degli anni tra cui la Medaglia d’oro del Presidente della
Repubblica (1977) e, nel 1996, il Leone d’Oro alla carriera
alla Biennale di Venezia.
Carlo Mollino (Torino 1905-73), figlio unico dell’ingegnere
Eugenio (tra i professionisti più attivi a Torino) si laurea in
Architettura nel 1931. È ricordato in particolare per alcune
opere – la Stazione-albergo al Lago Nero di Sauze d’Oulx,
la casa del Sole di Cervinia, l’Auditorium Rai, la Camera
di Commercio e il rifacimento del Teatro Regio a Torino –
la cui realizzazione lo vede affiancato a professionisti
come Carlo Graffi, Sergio Musmeci e Antonio Migliasso.
Come architetto esordisce con la realizzazione di due edifici,
la Federazione Agricoltori di Cuneo e la Società Ippica
torinese: quest’ultimo in particolare, uno dei capolavori
del razionalismo italiano. È anche apprezzato designer:
nel 1950 l’invito a partecipare alla mostra “Italy at Work”,
la collaborazione discontinua alle iniziative dell’United
States Information Service e della Triennale di Milano,
i suoi contatti con Pininfarina gli valgono il riconoscimento
internazionale, che porterà la critica a considerare con
maggior attenzione le sue ambientazioni che non le sue
architetture. Presso la Facoltà di Architettura del Politecnico
di Torino, dopo essere stato incaricato nel 1949 di un corso
di Decorazione, nel 1953 ottiene la cattedra di Composizione
architettonica. A dispetto di una fortuna critica che troppo
spesso lo ha letto soltanto come genio sregolato, Carlo
Mollino, grazie alle sue architetture costruite e disegnate,
ai suoi scritti e al suo insegnamento, ha contribuito
in modo decisivo alle trasformazioni di Torino
e del Piemonte del secondo Novecento.
Zero Gravity
Franco Albini
Architetto
Cura scientifica
Fulvio Irace
Coordinamento
Federico Bucci
Progetto dell’allestimento
Renzo Piano con Franco Origoni
La mostra su Franco Albini non è solo l’omaggio
d’obbligo della cultura italiana a uno dei suoi più
emblematici maestri. Come testimonia l’entusiastica
adesione di Renzo Piano, quella di Albini è una
lezione di grande attualità per la forte tensione etica
espressa nel suo tentativo di costruire una visione
non stereotipata della modernità, ma anzi vibrante
di lunghe inquietudini e di momentanee felicità. La
mostra nella galleria della Triennale segna dunque
un ritorno dell’architetto lombardo a uno dei luoghi
più emblematici per l’affermazione del suo peculiare
linguaggio: in Triennale Albini ha intrapreso i primi
esperimenti pubblici nella costruzione dei mutevoli
ideali della modernità, firmando alcuni dei suoi più
celebri allestimenti, in una comunità di intenti con
quelle èlites culturali che hanno segnato negli anni
tra le due guerre il gruppo di “Casabella” e dei
razionalisti attorno a Giuseppe Pagano e nel secondo
dopoguerra i più arditi tentativi di costruire una
via italiana al dopo-razionalismo. Con l’allestimento
della Sala dell’Aereonautica, ad esempio, nel 1934,
avvia la ricerca sul tema dei telai trasparenti e dell’architettura “astile”, anticipando quella levitazione
degli oggetti nello spazio che giustamente Piano –
forse di Albini il discepolo più geniale – ha scelto
come chiave di volta per il ritratto a più mani presentato in questa mostra. A questa particolare lezione si
riferisce anche il titolo della mostra – Zero gravity –
allusivo alla sottile capacità del maestro di descrivere
un mondo senza peso, liberato dalla gravità della
materia in modo da poter fluttuare nello spazio.
Macchine celibi
a cura di Fulvio Irace
Gli oggetti dell’abitare
a cura di Silvana Annicchiarico
La sezione si propone di esplorare, attraverso l’analisi
di due ambientazioni straordinarie, i rapporti dialettici tra
due concezioni dell’architettura sinora collegate su opposti
versanti. Confrontando il celebre allestimento albiniano
della “stanza per un uomo” alla VI Triennale del 1936
con le “visioni” molliniane de “la casa di Oberon” e de
“La cascina in una risaia”, si suggerisce l’ipotesi di una
comune convergenza verso una interpretazione surrealista
ed auto-referenziale del classico tema razionalista
dell’abitare domestico.
Gli oggetti di design di Franco Albini sono “macchine
minime” che coniugano la massima efficienza strutturale
con la leggerezza di una forma sempre concepita come il
risultato di una rigorosa indagine sulle possibilità tecnologiche del progetto e del materiale. Questa sezione della mostra
documenta il lavoro di Albini designer, dagli esperimenti
delle prime Triennali degli anni Trenta alla produzione in
serie del dopoguerra, cercando di evidenziare sia le straordinarie caratteristiche tecniche dei suoi oggetti (tensione,
equilibrio dinamico, sospensione di peso, connessione fra
le parti), sia il sigillo inconfondibile del gusto e dello stile
di Albini. In mostra sono esposti solo oggetti originali.
La Città Nuova: Milano e l’architettura razionale
a cura di Matilde Baffa
Grandi magazzini La Rinascente,
Roma, 1957-61, (con Franca Helg).
Galleria di Palazzo Rosso,
Genova, 1952-62, (con Franca Helg,
ordinamento Caterina Marcenaro).
Veduta della scala.
Fotografie: Archivio Studio Albini, Milano
Nel 1930 Franco Albini avvia la propria attività professionale associandosi con Renato Camus e Giancarlo Palanti.
Da questo momento l’impegno nel campo dell’edilizia
popolare diventa uno dei temi di ricerca in cui Albini riesce
a esprimere al meglio la sua particolare sensibilità nell’organizzazione dello spazio. Ancora di più dei contenuti tecnici
e tipologici e sociali della sua ricerca sull’alloggio minimo
e sulla casa per tutti, però la sperimentazione nel campo
dell’edilizia residenziale diventa occasione per una scientifica
trattazione del tema della nuova città e dello spazio sociale.
In particolare saranno esposte, infatti, piante modelli e disegni dei grandi concorsi per i quartieri di iniziativa pubblica
(R. Giuliani, Baracca, Ponti, D’Annunzio) e degli esperimenti
della nuova visione metropolitana (progetti per le quattro
città satelliti e “Milano verde”).
Spazi atmosferici: l’architettura degli allestimenti
a cura di Federico Bucci
Fin dagli esordi della sua attività Franco Albini interpreta
con slancio gli inviti, rivolti soprattutto da Edoardo Persico,
a cercare una “via italiana” nel “rinascimento europeo”.
Nascono così opere molto apprezzate dalla critica e dal
pubblico, come i padiglioni INA alla Fiera Campionaria
di Milano e alla Fiera del Levante di Bari (a partire dal
1933), gli allestimenti per la Mostra dell’Aeronautica (1934),
per la VI (1936) e VII (1940) Triennale di Milano e per la
mostra “Scipione e il bianco e nero” (1941) alla Pinacoteca
di Brera. In queste architetture d’interni matura il duplice
carattere della ricerca di Albini dedicata alla composizione
di “spazi atmosferici”, cioè spazi costruiti “con l’aria e
con la luce”. Gli allestimenti temporanei e gli arredamenti
realizzati da Albini nel decennio 1930-40, da una parte
avviano una serie di sperimentazioni sulla produzione
in serie, dall’altra danno vita a straordinarie invenzioni
in cui gli elementi architettonici (come le scale “sospese”,
i montanti, i controsoffitti forati ecc.) definiscono
la formazione di un “ambiente nell’ambiente”.
Stanze della memoria
a cura di Marco Albini
Il tentativo di chiarire il ruolo svolto da Franco Albini
nella cultura architettonica italiana e internazionale è stato
avviato negli anni Cinquanta da Giuseppe Samonà, con un
famoso scritto pubblicato da “Zodiac”. Ma la naturale riservatezza dell’architetto milanese, unita a un distacco per
tutto ciò che non apparteneva alla concretezza del mestiere,
non hanno certo facilitato il compito della critica, che in
un certo senso non è ancora riuscita a cogliere pienamente
il reale contributo delle relazioni che Albini ha intrecciato prima e dopo la guerra - con i temi e i protagonisti del più
acceso dibattito architettonico. In questo senso, la sezione
introduttiva alla mostra, piuttosto che presentare singole
testimonianze relative a “tranches de vie” dell’architetto,
intende collocare il percorso artistico e professionale
di Albini, la sua formazione, le sue amicizie, i suoi maestri,
l’ambiente famigliare, in un più vasto quadro culturale che
da Milano e dal circolo della rivista “Casabella” di Persico
e Pagano (con il quale Albini ha avuto stretti e ancora
inesplorati contatti) arriva fino al cuore della cultura
architettonica moderna europea.
Modernità e tradizione
a cura di Augusto Rossari
Questa sezione presenta alcuni tra gli esiti più rilevanti
dell’attività di Albini nel dopoguerra e le rispettive relazioni con la cultura architettonica italiana. In particolare,
considerando un arco storico che dalle urgenze della ricostruzione arriva fino ai primi anni Sessanta, l’attenzione
si concentra su tre temi: la riflessione sulla tradizione colta
e quella spontanea, il neorealismo, le influenze organiche;
il punto di vista specifico di Albini: il rifugio-albergo
Pirovano a Cervinia, l’edificio INA a Parma, il quartiere
di Cesate, la villa Olivetti vicino a Ivrea, villa Allemandi
a punta Ala (Gr); confronti con la casa Borsalino a Alessandria di Gardella e con le case in viale Etiopia a Roma
di Ridolfi.
L’arte del porgere: il museo tra Albini e Scarpa
a cura di Marco Mulazzani e Orietta Lanzarini
I musei di Albini - con quelli dei BBPR, di Gardella e di
Scarpa, tra gli esempi più alti della museografia italiana
del dopoguerra - innovano profondamente le tecniche espositive e le attrezzature perseguendo una concezione educativa del museo, ma nel medesimo tempo integrano antico
e moderno, assurgendo essi stessi a “opere d’arte in sè”.
Palazzo Bianco, Palazzo Rosso e il Museo del Tesoro di San
Lorenzo a Genova, sono capolavori su cui si è scritto molto,
ma sono anche opere che meritano nuovi approfondimenti
sia alla luce dell’esperienza di Albini compiuta nell’anteguerra, sia in un più stretto contatto con il dibattito sulla
tradizione e sull’impegno nella Scuola che hanno proiettato
la cultura architettonica italiana in una dimensione internazionale. In particolare, uno dei temi affrontati in questa
sezione è il confronto con le realizzazioni di Carlo Scarpa
in campo museale, da Palazzo Abatellis a Palermo
al Museo di Castelvecchio a Verona.
La tecnologia e la città
a cura di Claudia Conforti
Questa sezione è impostata sull’interpretazione della città
che Albini restituisce attraverso alcuni edifici pubblici, in
particolare: il palazzo per uffici Ina di Parma, la Rinascente
di Roma, il museo di Sant’Agostino di Genova, lo sfortunato intervento degli Eremitani di Padova e gli uffici Snam
di San Donato, le terme Zoja di Salsomaggiore Terme. Verrà
istituito un confronto con l’intorno, urbano o artificialmente naturalistico, reso attraverso fotografie d’epoca e filmati.
Inoltre è istituito un confronto con i palazzi per negozi,
uffici e abitazioni di via Guicciardini a Firenze di Giovanni
Michelucci; il palazzo per uffici in via Torino a Roma
di Adalberto Libera e le terme di Fiuggi di Luigi Moretti.
Schizzo di Renzo Piano
per l’allestimento della mostra.
Gallerie comunali di Palazzo Bianco,
Genova, 1949-51
(ordinamento Caterina Marcenaro).
Allestimento della mostra
di arte contemporanea, arte decorativa
e architettura italiana,
Stoccolma 1953 (con Franca Helg).
Allestimento della “Mostra dell’antica
oreficeria italiana”, VI Triennale di Milano,
1936 (con Giovanni Romano).
Stanza di soggiorno in una villa,
VII Triennale di Milano, 1940.
Ignazio Gardella
Architetto
Cura scientifica
Rafael Moneo
Coordinamento
Marco Casamonti
Progetto dell’allestimento
Franz Prati
Facoltà di Architettura,
Genova, 1975-89.
Case Borsalino,
Alessandria, 1948-52.
Rendering dell’allestimento
della mostra.
Fotografie: Archivio Studio Gardella, Milano
Successivamente alla mostra milanese tenutasi al
PAC nel 1992 dedicata all’opera di Ignazio Gardella,
l’Amministrazione Comunale e la Facoltà di Architettura di Genova hanno voluto, in occasione del
centenario della nascita, promuovere e organizzare
un nuovo momento di riflessione sul lavoro dell’architetto considerato, per il proprio contributo, parte
fondamentale di un rinnovamento urbano su cui
il maestro ha inciso con i propri progetti e le proprie
opere in modo determinante. Le opere di Gardella
sostanziano difatti una concreta riflessione disciplinare, nella quale si può cogliere il tentativo di interpretazione del contesto urbano attraverso il progetto
di architettura. In questa chiave di lettura ogni edificio, e in generale l’intera opera gardelliana, acquista
una straordinaria rilevanza in relazione alla capacità
di incidere e trasformare la città in un reciproco
scambio tra gli elementi della costruzione dell’architettura e la morfologia urbana. Le diverse sezioni
della mostra illustrano le città dove l’architetto
ha operato nel corso della sua lunga carriera, individuandone il fulcro caratterizzante nel rapporto tra
architettura e contesto urbano. Alessandria, Milano,
Genova e Venezia emergono come i luoghi privilegiati di una produzione ampiamente diffusa sul territorio italiano. Queste città mostrano i segni di stratificazioni e memorie, culturali e fisiche, che l’architetto
interpreta ben oltre i confini di un ritrovato rapporto
tra architettura contemporanea e “preesistenze
ambientali”. Le città e la loro storia costituiscono
quindi, nell’ipotesi della mostra, lo scenario di
una riflessione progettuale che, partendo da istanze
disciplinari convenzionali e condivise, muove
verso un territorio del tutto originale, quanto
culturalmente legittimato.
Le sezioni della mostra, affidate a diversi curatori,
sono così individuate:
1 Prologo. La trasmissione di un sapere: la genealogia
degli ingegneri e degli architetti della famiglia Gardella
a cura di Michela Rosso
Il nome di battesimo di Ignazio Gardella è Mario.
Ancora studente inizierà a firmarsi col nome del bisnonno,
una scelta che mostra la volontà di tracciare una propria
personale genealogia, selezionando attentamente alcuni
elementi della propria storia famigliare e legandosi idealmente alla figura dell’architetto genovese allievo e collaboratore
di Carlo Barabino. La ricostruzione tentata di una tradizione
radicata nella storia famigliare consente di rivedere una lettura consolidata del lavoro di questo architetto, alla luce cioè
di un diverso concetto di tradizione, sostanziato dall’eredità
culturale che si tramanda di padre in figlio. Un tema strettamente intrecciato alle strategie di rappresentazione dell’architetto e del suo lavoro, di cui sono testimonianza, oltre ai
progetti e alle realizzazioni, i libri della biblioteca di famiglia
come i ritratti, le sculture, le fotografie, i diari e gli appunti.
2 Alessandria. Casa Borsalino (1948-52),
Dispensario antitubercolare (1933-38)
a cura di Marco Casamonti con Guido Montanari
Alessandria come tappa fondamentale nel percorso progettuale di Gardella, rappresenta il luogo nel quale l’architetto
matura la ricerca di nuove forme espressive modulate
e relazionate al fervore culturale del razionalismo italiano
intorno agli anni trenta. Su queste istanze l’architetto innesta elementi della tradizione locale che si intrecciano al
rigoroso vocabolario del Moderno – come nel Dispensario
antitubercolare – o modificano la consuetudine morfologica del “palazzo di città” che – nella Casa Borsalino –
assume, con il grande aggetto di copertura e l’estroflessione
della superficie di facciata, il ruolo assegnato storicamente
ai movimenti della plastica ornamentale. La struttura
urbana di Alessandria si rivela conseguentemente come
un sistema remoto di referenze che suggeriscono strategie
alternative di intervento e quindi territorio nel quale
sperimentare nuovi approcci progettuali verificati,
attraverso il cantiere, nell’opera costruita.
3 Genova. Casa di Colombo (1955),
Facoltà di Architettura (1975-89)
a cura di Bruno Gabrielli con Simona Gabrielli
La centralità dell’apporto di Gardella a Genova deve essere
conosciuta attraverso una rivisitazione del clima culturale
di questa città negli anni cinquanta e sessanta, quando Caterina Marcenaro, direttore dell’Ufficio Belle Arti del Comune
chiamò a lavorare a Genova Franco Albini e Gardella, attraverso Giovanni Romano. Un racconto per frammenti attraverso un’insieme di immagini inedite, documenti e testimonianze e la scelta di due progetti significativi: uno, inedito
e curioso, riguarda la Casa di Colombo (1954) e il secondo,
assai noto è il Piano Particolareggiato di San Silvestro-San
Donato (1968) dal quale nasce il progetto del Complesso
della Facoltà di Architettura. A corollario altri progetti
di Gardella a Genova e in Liguria.
4 Milano. Torre in Piazza del Duomo (1934),
Casa al Parco (1947-48), Palazzo per Uffici Alfa Romeo,
Arese (1968-72)
a cura di Antonio Monestiroli
con Federico Bucci e Stefano Guidarini
La sezione presenta un approfondimento dedicato al lavoro
di Ignazio Gardella, nel contesto milanese e lombardo,
attraverso un punto di vista critico organizzato in due parti.
Nella prima, al centro della sala, sono esposti i materiali
relativi a tre opere “manifesto” dell’architetto, che rappresentano tre diversi periodi della sua lunga carriera: il progetto per la torre in piazza del Duomo (1934), la Casa al parco
(1947-48) e il palazzo per uffici dell’Alfa Romeo a Arese
(1968-72). Mentre la seconda parte, collocata lungo il perimetro della sala, intende dimostrare – attraverso un confronto con le opere di altri maestri della stessa generazione,
come Albini, i BBPR, Luigi Figini e Gino Pollini – il ruolo
fondativo di Gardella nella cultura architettonica milanese.
5 Venezia. Casa alle Zattere (1953-62)
a cura di Luciano Semerani con Antonella Gallo
La prima Casa delle Zattere è analoga alla Casa del Parco
di Milano ma, a Venezia, Gardella si incontra con la luce
riflessa nell’acqua, il cromatismo dei materiali, l’ornamento
nei dettagli, l’orizzonte urbano veneziano. Il primo tema
è La facciata. Poi L’ornamento, in quanto materia (la pietra,
il coccio pesto), colore, paradosso statico, che esalta
il“mestiere” dell’architettura italiana. L’architettura del
limite, che a Venezia partecipa di veri e propri “interni
urbani”; infine La Scuola, che è il cosmo in cui Gardella
si confronta con Carlo Scarpa, Bruno Zevi, Giuseppe
Samonà, sono gli altri temi della sezione.
6 Epilogo. Vicenza ed il Teatro Civico (1969-80)
a cura di Daniele Vitale con Angelo Lorenzi
L’ultima parte della mostra si occupa del progetto
di Gardella per il teatro di Vicenza, elaborato nel 1969
per un concorso a inviti e trasformato in progetto esecutivo
nel 1980, ma alla fine per alterne vicende non realizzato.
È uno dei progetti più significativi di Gardella, nel quale
l’architetto mostra la sua singolare capacità di rinnovarsi
e proporre nuove direzioni di ricerca. Lo si può idealmente
contrapporre alla casa alle Zattere di Venezia, alla quale
nella mostra viene visivamente affrontato. La casa di
Venezia aveva rappresentato una prova di grande abilità,
ma anche un vicolo cieco, per il suo risolversi in esercizio
raffinato e virtuosistico teso a riassumere e a riproporre i
caratteri della città. Il teatro si costituisce invece in termini
di grande assolutezza, fondandosi su un’idea elementare
risolta in volume e in geometria: un quadrato diviso
sulla diagonale in due metà di diversa altezza. Testimonia
un ritorno a quella aspirazione a un’ideale classicità
che Gardella aveva sperimentato fin dai suoi esordi.
Dispensario antitubercolare,
Alessandria, 1933-38.
Casa di abitazione Cicogna,
detta “Casa alle Zattere”,
Venezia, 1953-62.
Progetto di concorso per il Teatro Civico,
Vicenza, 1968-80, prima e seconda fase
(seconda fase progetto esecutivo
con Mario Valle Engineering).
L’ideale della casa è ormai nell’albergo:
una casa per dormire, un gabinetto
da bagno e un’auto per andarsene
Carlo Mollino, 1949
Carlo Mollino
Architetto
Cura scientifica e coordinamento
Michela Comba
Carlo Olmo
Sergio Pace
Progetto dell’allestimento
Alessandro Colombo
Casa ad alloggi,
Aosta, 1951-53.
Teatro Regio,
Torino, 1965-73.
Dopo le mostre a Torino e Parigi (1989), dedicate
a Carlo Mollino designer e fotografo, e dopo quelle
a Basilea e Vienna (1991), nate dallo studio di alcune
sue opere in contesti alpini, la Fondazione Palazzo
Bricherasio presenta all’Archivio di Stato di Torino,
dal 13 ottobre 2006 al 7 gennaio 2007, la mostra
Carlo Mollino Architetto. Il comitato scientifico della
mostra riunisce i maggiori studiosi d’uno dei progettisti più difficilmente inquadrabili nel panorama storiografico dell’architettura contemporanea italiana.
Le ricerche condotte dal Politecnico e dall’Università
degli Studi di Torino, dall’Accademia di Mendrisio,
dal Politecnico di Milano e dalla Facoltà di Architettura di Napoli colgono l’occasione del centenario
della nascita dell’architetto torinese, per confrontare
la lettura data finora della sua opera, con disegni
e documenti d’archivio che ripercorrono quaranta
anni di professione, dal 1933 al 1973: dalla costruzione della Sede della Federazione agricoltori di Cuneo
all’inaugurazione del Teatro Regio di Torino.
Tra gli obiettivi della mostra c’è la messa in luce
della dimensione progettuale che Mollino costruisce
negli anni, attraverso la pratica e la cultura apprese
nello studio d’ingegneria del padre Eugenio e il rapporto con le arti figurative, misurato anche sugli
spazi dove l’architetto ha lavorato. I committenti,
privati e poi pubblici, le numerose collaborazioni,
dai progetti per la Società Ippica a quelli per la
Camera di Commercio, consentono la più importante messa in scena dei modi di essere di una città
industriale e riflettono la natura straordinaria
non solo di questo architetto ma di una professione
che, tra gli anni trenta e l’avvio della società dei
consumi, rimane ancora radicata al suo territorio.
Questa prospettiva di lettura valorizza gli immaginari di Mollino, trasparenti nei disegni di abitazioni,
sanatori, quartieri, edifici industriali, teatri, sale
da ballo e ambientazioni. Anche i progetti per residenze economiche ad Aosta, Pisa o Torino, i loro
inserimenti, le distribuzioni e i metodi costruttivi
si possono leggere in rapporto alle sue architetture
più note. Mollino, definito dai quotidiani del 1945
come uno degli architetti italiani più internazionali,
negli anni cinquanta vive al margine della ricostruzione di Torino, impegnato piuttosto in un possibile
sviluppo della Val di Susa, di Breuil e Valtournanche,
non solo con architetture montane divenute icone
della modernità. Negli anni sessanta, con la distruzione della Società Ippica Torinese (la sua architettura più riuscita) e con l’esclusione dal concorso per il
Palazzo del Lavoro a Italia ’61 (uno dei suoi progetti
più sorprendenti), paga le contraddizioni che modi
differenti di interpretare la tecnica producono nella
contemporaneità. Architetto protagonista d’una
socialità ancora poco nota nella Torino industriale,
Carlo Mollino riflette con i disegni, la sua biblioteca
e i suoi collaboratori. Sono risvolti d’una storia
leggibile solo attraverso le architetture ovvero,
come lui stesso ha chiarito, mezzi fisici per comunicare le trasformazioni delle abitudini del vivere
in una società quasi cinematografica.
Stanza 1. Sede della Federazione Agricoltori
(Cuneo, 1933-34)
a cura di Fabio Mangone,
con la collaborazione di Laura Milan
Stanza 3. Amici, artisti, letterati
a cura di Federica Rovati
La stanza è dedicata a una lettura e all’esposizione del periodo, ancora poco indagato dalla critica, della formazione dell’architetto torinese, costruita attorno al progetto più significativo di questi anni, la nuova sede della Federazione degli
Agricoltori di Cuneo progettata fra il 1933 e il 1934, raccontato grazie ai disegni originali e a un video virtuale tridimensionale. La stanza parte dalle prime esercitazioni universitarie, passa attraverso il progetto della tesi di laurea, e attraversa i primi anni di attività professionale di Mollino, trascorsi
in coabitazione con il padre, ingegnere Eugenio, all’interno
dello studio di famiglia, tra i maggiori della città. Tra la fine
degli anni venti e la metà degli anni trenta, è rintracciabile
una serie di progetti poco noti o del tutto sconosciuti che
vedono (talvolta presumibilmente, talvolta una maggiore
sicurezza) Carlo attivo come progettista o come collaboratore, ufficiale od occulto, dello studio paterno, oltre che per
conto proprio: tra questi in particolare la Casa del Fascio
di Voghera, l’interessante casa Calliano a Torino e il progetto
per la chiesa a Passignano sul Trasimeno.
Stanza 2. La Società Ippica Torinese (Torino, 1936-1941)
a cura di Michela Comba
La stanza si sviluppa attorno al grande modello in legno
di castagno dell’edificio progettato da Carlo Mollino con il
conte ingegnere Vittorio Baudi di Selve, sede della Società
Ippica Torinese, demolita nel 1960 per lasciar spazio a un
albergo di dieci piani, poi non realizzato. I disegni di Mollino, accompagnati dai documenti concessi dall’Archivio Edilizio della Città di Torino, illustreranno le fasi e le obiezioni
che hanno portato alla definizione delle tre parti di cui era
composta l’Ippica. Da una parte le viste fotografiche, che di
quella architettura lo stesso Carlo Mollino scatterà – visibili
nella mostra per la prima volta – e, dall’altra, i documenti
dell’archivio municipale che hanno consentito di ricostruire
la vicenda urbana del lotto fanno riflettere sulla singolarità
di quest’opera e sulle ragioni che ne fanno quasi un unicum
nella storia dell’architettura italiana contemporanea.
La stanza è centrata sulla lettura dei rapporti che Carlo
Mollino ha intessuto, durante tutta la vita ma in particolare
negli anni tra la fine dei venti e la seconda guerra mondiale,
con un mondo artistico e letterario particolarmente vivace,
torinese ma non solo. Le tracce delle amicizie e dei contatti
molliniani sono spesso facilmente individuabili nella corrispondenza, spesso fitta, ma soprattutto nei numerosissimi
e puntuali riferimenti individuabili nelle molteplici espressioni in cui la poliedrica personalità dell’architetto torinese
esprime il suo essere artista: tra i molti, Mino Maccari direttore de Il Selvaggio, per cui Mollino progetta una casa nella
pineta di Forte dei Marmi che non sarà realizzata, ma anche
Carlo Ludovico Ragghianti e Italo Cremona, nonché i personaggi attivi nella Torino culturalmente assai vivace degli
anni venti, da Felice Casorati a Albino Galvano. La stanza
riflette e indaga alcuni di questi aspetti, proponendo un
insieme vario di testimonianze, che vanno dalle fotografie
molliniane come La camera incantata e i ritratti di Piero
Martina, al disegno dell’autoritratto nella “Camera in risaia”
a quadri di Casorati, Cremona e Galvano.
Stanza 4. Casa in collina
a cura di Fulvio Irace, con la collaborazione di Rita D’Attorre
Tra il 1942 e il 1944, Mollino lavora a tre progetti per Domus
e la nuova Stile dell’amico Gio Ponti: la “casa in collina”,
che ripropone il tema giovanile della stanza di Oberon, nel
surreale rapporto tra l’interieur autobiografico e la città; la
“camera da letto per una cascina in risaia”, dove il pretesto
di un disegno per una camera da letto si apre sulla prospettiva di un’ambientazione dai toni ironici e programmatici; e la
“casa sull’altura”, dove il tema dell’evocazione del paesaggio
assume i toni d’una messa in scena dalla minuziosa fantasia.
Preceduti e intervallati da altre prove incompiute – dalla
“casa per l’ultimo dei Moicani” alla villa Damonte a Capri –
i tre progetti sono letti sullo sfondo della ricerca che l’architettura italiana stava conducendo in vista d’un superamento
del razionalismo, che proprio sul tema dell’abitare aveva
costruito il momento fondante. I progetti di Mollino forniscono la testimonianza più eccitata d’un clima d’evasione che
preannuncia la revisione del secondo dopoguerra, assumendo il valore dell’individualità e della fantasia come elemento
di espressione dell’architettura.
Stanza 5. Sala da ballo Black and White Lutrario
(Torino, 1959)
a cura di Michele Bonino e Bruno Pedretti
Carlo Mollino dispiega le categorie del continuum spaziale
non solo su un variegato fronte espressivo (fotografico, sciistico, scenografico, automobilistico…), ma anche e soprattutto
nei progetti architettonici: il diorama Passeggiata in auto
per la Mostra dell’Autarchia (1938), l’arredamento di casa
Devalle (1938-39), la scenografia cinematografica per Femmes d’Escales (1945), il progetto per il patinoire di Sestrière
(1954), la sala da ballo Lutrario (1959-60). Nel tentativo
di comprendere questi lavori in termini di spazio “esperito”,
la stanza analizza e rappresenta una dimensione caratteristica di questi lavori: nel prefigurare e disegnare le traiettorie
della danza in una sala da ballo o nello schizzare le rotte
di un avvicinamento in volo a Torino, emerge un’idea del
corpo protagonista dello spazio, e in diretta continuità con
esso. La curiosità intellettuale stimolava Mollino a rivendicare, anche per la propria pratica progettuale, i principi sinestetici delle avanguardie e la sua personalità potrebbe essere
vista quale prosecuzione genealogica di quell’estetismo
del rapporto tra corpo, gesto e movimento, sviluppatosi
tra decadentismo e futurismo.
Stanza 6. Architetture per il tempo libero
a cura di Giovanni Brino, Giorgio Rajneri e Bruno Reichlin,
con la collaborazione di Guido Callegari e Cristiana Chiorino
In molte architetture Carlo Mollino prende spunto dalle
condizioni estreme del paesaggio circostante, ma anche
dalle caratteristiche insolite dell’incarico. Nelle Alpi, in
particolare, inscena ardite costruzioni sospese a rocce strapiombanti, edifici a ponte o a sbalzo da bricchi e promontori. Disegnatore eccezionale e ambidestro, Mollino ha consegnato le sue idee più audaci a bellissimi schizzi a matita,
oltre che in riflessioni teoriche di estrema attualità, nella lucida disamina della crisi delle tradizioni costruttive autoctone
e nella denuncia sia dei facili accomodamenti vernacolari
sia delle ingenue professioni di fede modernista. Il disegno
degli oggetti quotidiani della vita di montagna s’impone
come fonte d’ispirazione: in modo diretto, per esempio
nella stazione d’arrivo della slittovia del Lago Nero o nella
casa Garelli, ma anche in modo allusivo, per esempio nelle
sedie di casa Cattaneo o nell’impianto della Casa a capriata
(di cui in mostra è presentato un originale modello in legno).
Stanza 7. Il Palazzo del Lavoro per Italia ’61
(Torino, 1959-60)
a cura di Sergio Pace, con la collaborazione
di Manfredo Nicolis di Robilant
La stanza è dedicata alle architetture urbane di Carlo
Mollino, tra la fine degli anni quaranta e la fine degli anni
cinquanta: scenari di sperimentazione figurativa, tipologica
e costruttiva, portata avanti anche grazie a una committenza
pubblica spesso illuminata, di cui l’architetto diventa uno
degli interlocutori privilegiati. Buona parte di tali architetture, tuttavia, sono destinate a rimanere sulla carta, dando
luogo a un’interpretazione stereotipa di Carlo Mollino autore
esclusivo di arredi pregiati o ville lussuose per questi anni.
La crescita quantitativa delle città, e di Torino in particolare,
sembra mal tollerare le audacie molliniane, pur motivate
sempre dall’esigenza di raggiungere alti livelli di qualità
ambientale, abitativa e costruttiva. Dopo una serie di esperienze sfortunate, l’emblema del rapporto difficile tra l’architetto e le élites urbane diventa il progetto in tre varianti per
il Palazzo del Lavoro per Italia ’61, i cui giganteschi disegni
fino al dettaglio più minuto testimoniano l’eccezionale
(quanto raramente sottolineata) capacità di Carlo Mollino
di immaginare spazi pubblici di gran valore simbolico,
dialogando con culture e professioni all’apparenza distanti.
Stanza 8. Camera di Commercio (Torino, 1964-72)
a cura di Mario Sassone e Elena Tamagno,
con la collaborazione di Laura Milan
Con il Palazzo degli Affari per la Camera di Commercio
di Torino Carlo Mollino porta al limite la sua ricerca
sull’edificio sospeso, leit motiv di tutta la sua opera.
Le scelte progettuali sono giustificate dall’adesione alle esigenze funzionali e dall’impegno a rispondervi con l’impiego
delle più aggiornate tecnologie. Il progetto vincitore del
concorso del 1964, firmato da Carlo Mollino, Carlo Graffi,
Alberto Galardi e Antonio Migliasso, ha una realizzazione
complicata da contrasti tra i partecipanti e da innumerevoli
varianti, richieste dalla committenza. L’opera si conclude
nel 1972 con l’esecuzione degli arredi, affidati per incarico
diretto a Carlo Mollino. Elementi peculiari sono l’attenzione
al contesto e la struttura portante, in mostra messa in scena
grazie a un modello virtuale tridimensionale: rispetto dei
limiti dell’isolato storico, sottolineati da uno zoccolo lineare,
e orizzontamenti “appesi” a un nucleo centrale, soluzione
non nuova come impostazione, ma aggiornata per la tecnologia di esecuzione affidata a tiranti non metallici,
ma di cemento armato precompresso.
Stanza 9. Il Teatro Regio
a cura di Michela Comba e Carlo Olmo
La stanza è costruita su una lettura della genesi del Teatro
Regio, ricostruito dopo l’incendio che aveva distrutto
il precedente edificio alfieriano nel 1936, definita attraverso
progetti, sullo spazio teatrale realizzati o non, dagli anni
trenta in poi, da Carlo Mollino, prima con suo padre Eugenio
poi da solo: in particolare, saranno esposti disegni e fotografie del nuovo Auditorium Rai e dei progetti non realizzati
per il Teatro Balbo in Piazza Bodoni, sempre a Torino, e per
il nuovo teatro di Cagliari. Ma soprattutto la stanza illustra
il progetto e la costruzione del nuovo Teatro Regio attraverso,
modelli, disegni, foto e video che ne restituiscono anche la
genesi costruttiva e propongono il complesso e contraddittorio rapporto che si determina negli anni sessanta tra cultura
progettuale e conoscenze tecniche e acustiche.
Stanza 10. La biblioteca di Carlo Mollino
a cura di Michela Comba
La mostra si chiude con l’esposizione di oltre cinquanta
libri appartenuti alla biblioteca di Carlo Mollino, tratti da
un fondo di un migliaio di testi, oggi posseduto dalla Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura del Politecnico di
Torino. Qui è confluita gran parte del patrimonio di volumi,
pubblicazioni e riviste, su cui l’architetto, dagli anni della
sua formazione scientifica politecnica agli anni settanta,
ha costruito il proprio profilo intellettuale e professionale.
Grazie ad alcuni di questi volumi, la stanza restituisce i settori caratterizzanti la biblioteca di un architetto che è anche
scrittore, e tra i più fecondi in Italia, tra il 1933 e il 1954.
Intermezzo tra le letture molliniane, questo spazio – accompagnato da video d’archivio e dalle prime edizioni di scritti
dell’architetto – presenta i percorsi culturali che il collezionista si costruisce tra socialità urbane, artistiche e letterarie.
Società ippica torinese,
Torino, 1937-40.
Auditorium RAI,
Torino, 1950-53.
Sede Federazione Agricoltori,
Cuneo, 1933-34.
Pianta e sezione dell’allestimento
della mostra.
Costruire le modernità
Itinerario minimo
Dieci opere da non perdere
Zero Gravity
Franco Albini Architetto
Ignazio Gardella
Architetto
Carlo Mollino
Architetto
Triennale di Milano
28 settembre _ 26 dicembre 2006
Palazzo Ducale, Genova
24 novembre 2006 _ 30 gennaio 2007
Archivio di Stato, Torino
13 ottobre 2006 _ 7 gennaio 2007
Quartiere “Fabio Filzi” (1936-38),
con R. Camus, G. Palanti.
Milano, via Illirico 1-3.
Dispensario Antitubercolare (1933-38),
con L. Martini.
Alessandria, via Don Gasparolo.
Teatro Regio (1965-73),
con M. e A. Zavelani Rossi, C. Graffi.
Torino, piazza Castello 215.
Villa Pestarini (1938), con sopralzo del 1949.
Milano, via Mogadiscio 2.
Padiglione d’Arte Contemporanea (1947-54).
Milano, via Palestro 14.
Camera di Commercio (1964-72),
con C. Graffi, A. Galardi, A. Migliasso.
Torino, via San Francesco da Paola 24.
Albergo-rifugio per ragazzi Pirovano
(1948-52), con L. Colombini.
Breuil-Cervinia (Aosta).
Casa Tognella detta “Casa al Parco”
(1947-48), con L. Ghiringhelli.
Milano, via Paleocapa 5.
Sala Danze Lutrario (ora Le Roi) (1959).
Torino, via Stradella 3.
Gallerie Comunali di Palazzo Bianco
(1949-51).
Genova, via Garibaldi 11.
Casa di abitazione ai giardini d’Ercole (1951),
con A. Castelli Ferrieri, R. Menghi.
Milano, via Marchiondi 7.
Casa del Sole (1947-55).
Cervinia (Aosta), via Funivie 8.
Museo di Palazzo Rosso (1952-62),
con F. Helg.
Genova, via Garibaldi 18.
Casa di abitazione per impiegati
della Borsalino (1948-52).
Alessandria, via Cavour 63.
Edificio per uffici Ina (1950-54).
Parma, strada Cavour 21.
Terme Regina Isabella (1950-55),
con E. Balsari Berrone.
Lacco Ameno, Ischia.
Case a schiera e asilo nido nel quartiere
Ina-Casa (1951-54 e 1955-57), con F. Helg.
Cesate (Milano).
Casa Garelli (1963-65).
Champoluc (Aosta).
Slittovia del Lago Nero (1946-47).
Sauze d’Oulx sopra Sportina (Torino).
Federazione Agricoltori (1933-34),
con V. Baudi di Selve.
Cuneo, corso IV Novembre 8.
Casa di abitazione Cicogna
detta “Casa alle Zattere” (1953-58).
Venezia, Fondamenta alle Zattere.
Edificio residenziale (1951-53).
Aosta, viale Conte Crotti.
Museo del Tesoro di San Lorenzo (1952-56),
con F. Helg, ordinamento di C. Marcenaro.
Genova, Cattedrale di San Lorenzo.
Mensa Olivetti (1953-59).
Ivrea (Torino), via Jervis 77
Casa sull’altopiano di Agra (1952-53).
Luino (Varese), località Ligrasca.
Grandi magazzini La Rinascente (1957-61),
con F. Helg.
Roma, piazza Fiume.
Palazzo degli Uffici Tecnici dell’Alfa Romeo
(1968-72), con A. Castelli Ferrieri, J. Gardella.
Arese (Milano).
Quartiere Iacp (1958),
con C. Graffi e altri.
Torino, corso Sebastopoli.
Stazioni delle Linee 1 e 2 della Metropolitana
Milanese (1962-69), con F. Helg, A. Piva,
C. Rusconi Clerici-V.R.C., B. Noorda (grafica).
Facoltà di Architettura (1975-89),
con Mario Valle Engineering.
Genova, Stradone Sant’ Agostino 37.
Informazioni
Triennale di Milano
viale Alemagna 6
Palazzo Ducale, Sottoporticato
P.za Matteotti 9, Genova
Archivio di Stato
Piazzetta Mollino, Torino
I possessori del biglietto di una delle tre
mostre potranno usufruire del biglietto
ridotto presso le altre due.
Cura scientifica
Fulvio Irace
Cura scientifica
Rafael Moneo
Coordinamento
Federico Bucci
Coordinamento
Marco Casamonti
Cura scientifica e coordinamento
Michela Comba
Carlo Olmo
Sergio Pace
Organizzazione
La Triennale di Milano, Settore Iniziative
con la collaborazione
del Politecnico di Milano
e del Comitato Nazionale
per le Celebrazioni del Centenario
della nascita di Franco Albini
Organizzazione
Diparc (Dipartimento di Progettazione
e Costruzione dell’Architettura),
Palazzo Ducale
Sito internet dedicato italiano/inglese
www.costruirelemodernita.it
Cataloghi
Electa, Milano
Ufficio stampa Electa
Enrica Steffenini
[email protected]
www.electaweb.it
Nel 2007 le tre sezioni dell’iniziativa
Costruire le modernità: Franco Albini,
Ignazio Gardella e Carlo Mollino
saranno riunite a Roma al Museo
delle Arti del XXI secolo - MAXXI.
Orari
da martedì a domenica 10.30 _ 20.30 chiuso
il lunedì
Prezzi
intero: 8,00 euro
ridotti e convenzioni: 6,00 euro
abbonati annuali ATM: 5,00 euro
gruppi minimo 15 persone : 5,00 euro
Orari
da martedì a domenica 9_19
chiuso il lunedì
Prezzi
intero: 7,00 euro
ridotto: 5,00 euro
scuole: 3,00 euro
Informazioni e prenotazioni
t +39 010 5574004
Informazioni e prenotazioni
t +39 02 72434208
Sito internet
www.mostragardella.unige.it
www.palazzoducale.genova.it
Sito internet
www.triennale.it
www.francoalbinicentenario.it
Ufficio stampa
Palazzo Ducale, Genova
Camilla Talfani
[email protected]
Ufficio stampa
La Triennale di Milano
Antonella La Seta
[email protected]
Damiano Gulli
[email protected]
Segreteria organizzativa
Diparc, Eleonora Burlando
[email protected]
Organizzazione
Fondazione Palazzo Bricherasio
Orari
da martedì a domenica 10_19
chiuso il lunedì
Prezzi
intero: 7,00 euro
gruppi e convenzioni: 6,00 euro
ridotto: 5,00 euro
bambini (6-14 anni): 3,50 euro
Informazioni e prenotazioni
t +39 011 5711811
Sito internet
www.palazzobricherasio.it
Ufficio stampa
Palazzo Bricherasio
Vittoria Cibrario
[email protected]