Costruire le modernità
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Costruire le modernità
Franco Albini Ignazio Gardella Carlo Mollino Costruire le modernità Tre architetti che sono stati sempre letti per una loro presunta diversità rispetto ai canoni, molto incerti per lo meno in Italia, di una modernità razionalista. Le tre mostre, a Milano, Genova e Torino, cercano di superare quest’interpretazione, ormai consunta, offrendo altre possibili letture. Tre architetti che, in realtà, hanno vissuto la professione come mestiere, legati a genealogie familiari, importanti, di ingegneri. Tre architetti che, grazie alle loro biografie intrecciate, raccontano la stagione in cui la conoscenza delle pratiche costruttive e professionali è divenuta l’inizio di un percorso arricchito, e talvolta reso contraddittorio, da studi storici, urbani, sociali. Una professione dove costruzione e cantiere sono i luoghi essenziali dell’identità di un’architettura realizzata anche per mezzo di un’ossessione per il disegno, per una sperimentazione condotta sino a disegnare particolari costruttivi in scala 1:1. Tre architetti che hanno saputo anche interpretare temi nuovi della società italiana del Novecento: la seconda casa, in montagna o al mare, la trasformazione dell’idea di museo, la società dei consumi con i suoi nuovi totem. Le loro opere hanno rispecchiato anche gli aspetti meno nobili della nascente società di massa, talvolta con ironia, talvolta alla distanza, talvolta cercando di affrontare con decisione proprio i luoghi topici di quella modernità popolare e mondana. Franco Albini (Robbiate, Como, 1905 - Milano 1977) si laurea nel 1929 al Politecnico di Milano e nel 1930 inizia l’attività professionale. Negli anni tra le due guerre è molto attivo nel settore dell’arredamento e degli allestimenti espositivi (per la Triennale e la Fiera campionaria di Milano) e realizza con Renato Camus e Giancarlo Palanti alcuni quartieri di edilizia popolare a Milano: “Fabio Filzi” (1936-38), “Gabriele D’Annunzio” e “Ettore Ponti” (1939), in linea con le tematiche e le scelte tipologiche proprie dell’avanguardia razionalista. Nel campo del design progetta, tra l’altro, un radioricevitore in metallo e vetro Securit (1938) e la libreria “Veliero” con struttura tensile in legno e cavi d’acciaio (1940). Nel dopoguerra partecipa al rinnovamento della museografia italiana con i musei di Palazzo Bianco (1949-51), Palazzo Rosso (1952-62) e del Tesoro di San Lorenzo a Genova (1952-56), e affronta il tema dell’inserimento in contesti naturali e urbani con l’Albergo-rifugio Pirovano a Cervinia (1948-52), l’edificio per uffici dell’Ina a Parma (1952-54). Con Franca Helg che dal 1952 è associata al suo studio, realizza i Grandi Magazzini La Rinascente a Roma (1957-1961), le stazioni della Metropolitana milanese (1962-1969) e l’edificio per uffici della Snam a San Donato milanese (1969-72). Dal 1949 insegna Architettura degli interni presso l’Istituto universitario di Architettura di Venezia e dal 1965 Composizione architettonica al Politecnico di Milano. Tre architetti che, legati per nascita, formazione o prime esperienze professionali a territori e culture regionali, hanno saputo tuttavia interpretare e non subire i modelli internazionali proposti loro durante il XX secolo. Tre architetti che consentono d’avviare una riscrittura della storia dell’architettura del Novecento, attenta finalmente anche alla distribuzione, alle tecniche costruttive, ai materiali, ai dialoghi a volte conflittuali con le altre professioni: elementi, questi, che contribuiscono a costruire il panorama, ricco e differenziato, dell’architettura italiana del secolo breve. Tre architetti per tre mostre, che infine dovrebbero aiutare a dar corpo a uno dei temi più evanescenti oggi: la funzione sociale della professione di architetto. Una funzione dai tre architetti interpretata in modi sostanzialmente diversi, eppure mai dimenticata o peggio nascosta. Si può essere impegnati nella professione di architetto seguendo percorsi formativi o professionali differenti, praticando scelte linguistiche, costruttive o distributive anche opposte. Da questo punto di vista le tre mostre dovrebbero contribuire a evitare i rischi di quel relativismo critico e storiografico, che sta facendo perdere di vista una delle lezioni più belle di questi tre architetti italiani: il valore del giudizio critico, della presa di posizione, del dialogo. Ignazio Gardella (Milano 1905 - Oleggio, Novara 1999) si laurea in Ingegneria nel 1928 al Politecnico di Milano, e nel 1949 in Architettura presso l’Istituto Universitario di Venezia (dove sarà professore dal 1962 al 1975). Nel 1947 partecipa al primo Congresso dell’Inu; dal 1952 al 1956 organizza a Venezia, con A. Samonà, E.N. Rogers e F. Albini, la scuola del Ciam; nel 1959 è membro della delegazione italiana all’ultimo Ciam di Otterlo. Successivamente alle opere giovanili, il progetto di concorso per una Torre in Piazza Duomo (1934), il Dispensario Antitubercolare (1933-38) e il Laboratorio Provinciale di Igiene e Profilassi di Alessandria (1933-39), Gardella realizza, negli anni Cinquanta e Sessanta, il Padiglione d’Arte Contemporanea (1951), la “Casa al Parco” e la Casa di abitazione ai giardini d’Ercole (1951) a Milano; la Casa Borsalino (1950) ad Alessandria; le Terme Regina Isabella (1950-54) a Ischia; la “Casa alle Zattere” (1953-58) a Venezia; la Mensa e il Centro Ricreativo Olivetti (1954-58) a Ivrea. Tra i progetti più significativi dell’ultimo periodo della sua carriera: il Palazzo di Giustizia di La Spezia (1963-94); il progetto di concorso per il Teatro Civico di Vicenza (1°premio, 1969); il Palazzo degli Uffici Tecnici dell’Alfa Romeo ad Arese (1968-74); il Teatro Carlo Felice (1981-90) e la Sede della Facoltà di Architettura di Genova (1975-89). Numerosi sono i riconoscimenti pubblici attribuiti nel corso degli anni tra cui la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica (1977) e, nel 1996, il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Carlo Mollino (Torino 1905-73), figlio unico dell’ingegnere Eugenio (tra i professionisti più attivi a Torino) si laurea in Architettura nel 1931. È ricordato in particolare per alcune opere – la Stazione-albergo al Lago Nero di Sauze d’Oulx, la casa del Sole di Cervinia, l’Auditorium Rai, la Camera di Commercio e il rifacimento del Teatro Regio a Torino – la cui realizzazione lo vede affiancato a professionisti come Carlo Graffi, Sergio Musmeci e Antonio Migliasso. Come architetto esordisce con la realizzazione di due edifici, la Federazione Agricoltori di Cuneo e la Società Ippica torinese: quest’ultimo in particolare, uno dei capolavori del razionalismo italiano. È anche apprezzato designer: nel 1950 l’invito a partecipare alla mostra “Italy at Work”, la collaborazione discontinua alle iniziative dell’United States Information Service e della Triennale di Milano, i suoi contatti con Pininfarina gli valgono il riconoscimento internazionale, che porterà la critica a considerare con maggior attenzione le sue ambientazioni che non le sue architetture. Presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, dopo essere stato incaricato nel 1949 di un corso di Decorazione, nel 1953 ottiene la cattedra di Composizione architettonica. A dispetto di una fortuna critica che troppo spesso lo ha letto soltanto come genio sregolato, Carlo Mollino, grazie alle sue architetture costruite e disegnate, ai suoi scritti e al suo insegnamento, ha contribuito in modo decisivo alle trasformazioni di Torino e del Piemonte del secondo Novecento. Zero Gravity Franco Albini Architetto Cura scientifica Fulvio Irace Coordinamento Federico Bucci Progetto dell’allestimento Renzo Piano con Franco Origoni La mostra su Franco Albini non è solo l’omaggio d’obbligo della cultura italiana a uno dei suoi più emblematici maestri. Come testimonia l’entusiastica adesione di Renzo Piano, quella di Albini è una lezione di grande attualità per la forte tensione etica espressa nel suo tentativo di costruire una visione non stereotipata della modernità, ma anzi vibrante di lunghe inquietudini e di momentanee felicità. La mostra nella galleria della Triennale segna dunque un ritorno dell’architetto lombardo a uno dei luoghi più emblematici per l’affermazione del suo peculiare linguaggio: in Triennale Albini ha intrapreso i primi esperimenti pubblici nella costruzione dei mutevoli ideali della modernità, firmando alcuni dei suoi più celebri allestimenti, in una comunità di intenti con quelle èlites culturali che hanno segnato negli anni tra le due guerre il gruppo di “Casabella” e dei razionalisti attorno a Giuseppe Pagano e nel secondo dopoguerra i più arditi tentativi di costruire una via italiana al dopo-razionalismo. Con l’allestimento della Sala dell’Aereonautica, ad esempio, nel 1934, avvia la ricerca sul tema dei telai trasparenti e dell’architettura “astile”, anticipando quella levitazione degli oggetti nello spazio che giustamente Piano – forse di Albini il discepolo più geniale – ha scelto come chiave di volta per il ritratto a più mani presentato in questa mostra. A questa particolare lezione si riferisce anche il titolo della mostra – Zero gravity – allusivo alla sottile capacità del maestro di descrivere un mondo senza peso, liberato dalla gravità della materia in modo da poter fluttuare nello spazio. Macchine celibi a cura di Fulvio Irace Gli oggetti dell’abitare a cura di Silvana Annicchiarico La sezione si propone di esplorare, attraverso l’analisi di due ambientazioni straordinarie, i rapporti dialettici tra due concezioni dell’architettura sinora collegate su opposti versanti. Confrontando il celebre allestimento albiniano della “stanza per un uomo” alla VI Triennale del 1936 con le “visioni” molliniane de “la casa di Oberon” e de “La cascina in una risaia”, si suggerisce l’ipotesi di una comune convergenza verso una interpretazione surrealista ed auto-referenziale del classico tema razionalista dell’abitare domestico. Gli oggetti di design di Franco Albini sono “macchine minime” che coniugano la massima efficienza strutturale con la leggerezza di una forma sempre concepita come il risultato di una rigorosa indagine sulle possibilità tecnologiche del progetto e del materiale. Questa sezione della mostra documenta il lavoro di Albini designer, dagli esperimenti delle prime Triennali degli anni Trenta alla produzione in serie del dopoguerra, cercando di evidenziare sia le straordinarie caratteristiche tecniche dei suoi oggetti (tensione, equilibrio dinamico, sospensione di peso, connessione fra le parti), sia il sigillo inconfondibile del gusto e dello stile di Albini. In mostra sono esposti solo oggetti originali. La Città Nuova: Milano e l’architettura razionale a cura di Matilde Baffa Grandi magazzini La Rinascente, Roma, 1957-61, (con Franca Helg). Galleria di Palazzo Rosso, Genova, 1952-62, (con Franca Helg, ordinamento Caterina Marcenaro). Veduta della scala. Fotografie: Archivio Studio Albini, Milano Nel 1930 Franco Albini avvia la propria attività professionale associandosi con Renato Camus e Giancarlo Palanti. Da questo momento l’impegno nel campo dell’edilizia popolare diventa uno dei temi di ricerca in cui Albini riesce a esprimere al meglio la sua particolare sensibilità nell’organizzazione dello spazio. Ancora di più dei contenuti tecnici e tipologici e sociali della sua ricerca sull’alloggio minimo e sulla casa per tutti, però la sperimentazione nel campo dell’edilizia residenziale diventa occasione per una scientifica trattazione del tema della nuova città e dello spazio sociale. In particolare saranno esposte, infatti, piante modelli e disegni dei grandi concorsi per i quartieri di iniziativa pubblica (R. Giuliani, Baracca, Ponti, D’Annunzio) e degli esperimenti della nuova visione metropolitana (progetti per le quattro città satelliti e “Milano verde”). Spazi atmosferici: l’architettura degli allestimenti a cura di Federico Bucci Fin dagli esordi della sua attività Franco Albini interpreta con slancio gli inviti, rivolti soprattutto da Edoardo Persico, a cercare una “via italiana” nel “rinascimento europeo”. Nascono così opere molto apprezzate dalla critica e dal pubblico, come i padiglioni INA alla Fiera Campionaria di Milano e alla Fiera del Levante di Bari (a partire dal 1933), gli allestimenti per la Mostra dell’Aeronautica (1934), per la VI (1936) e VII (1940) Triennale di Milano e per la mostra “Scipione e il bianco e nero” (1941) alla Pinacoteca di Brera. In queste architetture d’interni matura il duplice carattere della ricerca di Albini dedicata alla composizione di “spazi atmosferici”, cioè spazi costruiti “con l’aria e con la luce”. Gli allestimenti temporanei e gli arredamenti realizzati da Albini nel decennio 1930-40, da una parte avviano una serie di sperimentazioni sulla produzione in serie, dall’altra danno vita a straordinarie invenzioni in cui gli elementi architettonici (come le scale “sospese”, i montanti, i controsoffitti forati ecc.) definiscono la formazione di un “ambiente nell’ambiente”. Stanze della memoria a cura di Marco Albini Il tentativo di chiarire il ruolo svolto da Franco Albini nella cultura architettonica italiana e internazionale è stato avviato negli anni Cinquanta da Giuseppe Samonà, con un famoso scritto pubblicato da “Zodiac”. Ma la naturale riservatezza dell’architetto milanese, unita a un distacco per tutto ciò che non apparteneva alla concretezza del mestiere, non hanno certo facilitato il compito della critica, che in un certo senso non è ancora riuscita a cogliere pienamente il reale contributo delle relazioni che Albini ha intrecciato prima e dopo la guerra - con i temi e i protagonisti del più acceso dibattito architettonico. In questo senso, la sezione introduttiva alla mostra, piuttosto che presentare singole testimonianze relative a “tranches de vie” dell’architetto, intende collocare il percorso artistico e professionale di Albini, la sua formazione, le sue amicizie, i suoi maestri, l’ambiente famigliare, in un più vasto quadro culturale che da Milano e dal circolo della rivista “Casabella” di Persico e Pagano (con il quale Albini ha avuto stretti e ancora inesplorati contatti) arriva fino al cuore della cultura architettonica moderna europea. Modernità e tradizione a cura di Augusto Rossari Questa sezione presenta alcuni tra gli esiti più rilevanti dell’attività di Albini nel dopoguerra e le rispettive relazioni con la cultura architettonica italiana. In particolare, considerando un arco storico che dalle urgenze della ricostruzione arriva fino ai primi anni Sessanta, l’attenzione si concentra su tre temi: la riflessione sulla tradizione colta e quella spontanea, il neorealismo, le influenze organiche; il punto di vista specifico di Albini: il rifugio-albergo Pirovano a Cervinia, l’edificio INA a Parma, il quartiere di Cesate, la villa Olivetti vicino a Ivrea, villa Allemandi a punta Ala (Gr); confronti con la casa Borsalino a Alessandria di Gardella e con le case in viale Etiopia a Roma di Ridolfi. L’arte del porgere: il museo tra Albini e Scarpa a cura di Marco Mulazzani e Orietta Lanzarini I musei di Albini - con quelli dei BBPR, di Gardella e di Scarpa, tra gli esempi più alti della museografia italiana del dopoguerra - innovano profondamente le tecniche espositive e le attrezzature perseguendo una concezione educativa del museo, ma nel medesimo tempo integrano antico e moderno, assurgendo essi stessi a “opere d’arte in sè”. Palazzo Bianco, Palazzo Rosso e il Museo del Tesoro di San Lorenzo a Genova, sono capolavori su cui si è scritto molto, ma sono anche opere che meritano nuovi approfondimenti sia alla luce dell’esperienza di Albini compiuta nell’anteguerra, sia in un più stretto contatto con il dibattito sulla tradizione e sull’impegno nella Scuola che hanno proiettato la cultura architettonica italiana in una dimensione internazionale. In particolare, uno dei temi affrontati in questa sezione è il confronto con le realizzazioni di Carlo Scarpa in campo museale, da Palazzo Abatellis a Palermo al Museo di Castelvecchio a Verona. La tecnologia e la città a cura di Claudia Conforti Questa sezione è impostata sull’interpretazione della città che Albini restituisce attraverso alcuni edifici pubblici, in particolare: il palazzo per uffici Ina di Parma, la Rinascente di Roma, il museo di Sant’Agostino di Genova, lo sfortunato intervento degli Eremitani di Padova e gli uffici Snam di San Donato, le terme Zoja di Salsomaggiore Terme. Verrà istituito un confronto con l’intorno, urbano o artificialmente naturalistico, reso attraverso fotografie d’epoca e filmati. Inoltre è istituito un confronto con i palazzi per negozi, uffici e abitazioni di via Guicciardini a Firenze di Giovanni Michelucci; il palazzo per uffici in via Torino a Roma di Adalberto Libera e le terme di Fiuggi di Luigi Moretti. Schizzo di Renzo Piano per l’allestimento della mostra. Gallerie comunali di Palazzo Bianco, Genova, 1949-51 (ordinamento Caterina Marcenaro). Allestimento della mostra di arte contemporanea, arte decorativa e architettura italiana, Stoccolma 1953 (con Franca Helg). Allestimento della “Mostra dell’antica oreficeria italiana”, VI Triennale di Milano, 1936 (con Giovanni Romano). Stanza di soggiorno in una villa, VII Triennale di Milano, 1940. Ignazio Gardella Architetto Cura scientifica Rafael Moneo Coordinamento Marco Casamonti Progetto dell’allestimento Franz Prati Facoltà di Architettura, Genova, 1975-89. Case Borsalino, Alessandria, 1948-52. Rendering dell’allestimento della mostra. Fotografie: Archivio Studio Gardella, Milano Successivamente alla mostra milanese tenutasi al PAC nel 1992 dedicata all’opera di Ignazio Gardella, l’Amministrazione Comunale e la Facoltà di Architettura di Genova hanno voluto, in occasione del centenario della nascita, promuovere e organizzare un nuovo momento di riflessione sul lavoro dell’architetto considerato, per il proprio contributo, parte fondamentale di un rinnovamento urbano su cui il maestro ha inciso con i propri progetti e le proprie opere in modo determinante. Le opere di Gardella sostanziano difatti una concreta riflessione disciplinare, nella quale si può cogliere il tentativo di interpretazione del contesto urbano attraverso il progetto di architettura. In questa chiave di lettura ogni edificio, e in generale l’intera opera gardelliana, acquista una straordinaria rilevanza in relazione alla capacità di incidere e trasformare la città in un reciproco scambio tra gli elementi della costruzione dell’architettura e la morfologia urbana. Le diverse sezioni della mostra illustrano le città dove l’architetto ha operato nel corso della sua lunga carriera, individuandone il fulcro caratterizzante nel rapporto tra architettura e contesto urbano. Alessandria, Milano, Genova e Venezia emergono come i luoghi privilegiati di una produzione ampiamente diffusa sul territorio italiano. Queste città mostrano i segni di stratificazioni e memorie, culturali e fisiche, che l’architetto interpreta ben oltre i confini di un ritrovato rapporto tra architettura contemporanea e “preesistenze ambientali”. Le città e la loro storia costituiscono quindi, nell’ipotesi della mostra, lo scenario di una riflessione progettuale che, partendo da istanze disciplinari convenzionali e condivise, muove verso un territorio del tutto originale, quanto culturalmente legittimato. Le sezioni della mostra, affidate a diversi curatori, sono così individuate: 1 Prologo. La trasmissione di un sapere: la genealogia degli ingegneri e degli architetti della famiglia Gardella a cura di Michela Rosso Il nome di battesimo di Ignazio Gardella è Mario. Ancora studente inizierà a firmarsi col nome del bisnonno, una scelta che mostra la volontà di tracciare una propria personale genealogia, selezionando attentamente alcuni elementi della propria storia famigliare e legandosi idealmente alla figura dell’architetto genovese allievo e collaboratore di Carlo Barabino. La ricostruzione tentata di una tradizione radicata nella storia famigliare consente di rivedere una lettura consolidata del lavoro di questo architetto, alla luce cioè di un diverso concetto di tradizione, sostanziato dall’eredità culturale che si tramanda di padre in figlio. Un tema strettamente intrecciato alle strategie di rappresentazione dell’architetto e del suo lavoro, di cui sono testimonianza, oltre ai progetti e alle realizzazioni, i libri della biblioteca di famiglia come i ritratti, le sculture, le fotografie, i diari e gli appunti. 2 Alessandria. Casa Borsalino (1948-52), Dispensario antitubercolare (1933-38) a cura di Marco Casamonti con Guido Montanari Alessandria come tappa fondamentale nel percorso progettuale di Gardella, rappresenta il luogo nel quale l’architetto matura la ricerca di nuove forme espressive modulate e relazionate al fervore culturale del razionalismo italiano intorno agli anni trenta. Su queste istanze l’architetto innesta elementi della tradizione locale che si intrecciano al rigoroso vocabolario del Moderno – come nel Dispensario antitubercolare – o modificano la consuetudine morfologica del “palazzo di città” che – nella Casa Borsalino – assume, con il grande aggetto di copertura e l’estroflessione della superficie di facciata, il ruolo assegnato storicamente ai movimenti della plastica ornamentale. La struttura urbana di Alessandria si rivela conseguentemente come un sistema remoto di referenze che suggeriscono strategie alternative di intervento e quindi territorio nel quale sperimentare nuovi approcci progettuali verificati, attraverso il cantiere, nell’opera costruita. 3 Genova. Casa di Colombo (1955), Facoltà di Architettura (1975-89) a cura di Bruno Gabrielli con Simona Gabrielli La centralità dell’apporto di Gardella a Genova deve essere conosciuta attraverso una rivisitazione del clima culturale di questa città negli anni cinquanta e sessanta, quando Caterina Marcenaro, direttore dell’Ufficio Belle Arti del Comune chiamò a lavorare a Genova Franco Albini e Gardella, attraverso Giovanni Romano. Un racconto per frammenti attraverso un’insieme di immagini inedite, documenti e testimonianze e la scelta di due progetti significativi: uno, inedito e curioso, riguarda la Casa di Colombo (1954) e il secondo, assai noto è il Piano Particolareggiato di San Silvestro-San Donato (1968) dal quale nasce il progetto del Complesso della Facoltà di Architettura. A corollario altri progetti di Gardella a Genova e in Liguria. 4 Milano. Torre in Piazza del Duomo (1934), Casa al Parco (1947-48), Palazzo per Uffici Alfa Romeo, Arese (1968-72) a cura di Antonio Monestiroli con Federico Bucci e Stefano Guidarini La sezione presenta un approfondimento dedicato al lavoro di Ignazio Gardella, nel contesto milanese e lombardo, attraverso un punto di vista critico organizzato in due parti. Nella prima, al centro della sala, sono esposti i materiali relativi a tre opere “manifesto” dell’architetto, che rappresentano tre diversi periodi della sua lunga carriera: il progetto per la torre in piazza del Duomo (1934), la Casa al parco (1947-48) e il palazzo per uffici dell’Alfa Romeo a Arese (1968-72). Mentre la seconda parte, collocata lungo il perimetro della sala, intende dimostrare – attraverso un confronto con le opere di altri maestri della stessa generazione, come Albini, i BBPR, Luigi Figini e Gino Pollini – il ruolo fondativo di Gardella nella cultura architettonica milanese. 5 Venezia. Casa alle Zattere (1953-62) a cura di Luciano Semerani con Antonella Gallo La prima Casa delle Zattere è analoga alla Casa del Parco di Milano ma, a Venezia, Gardella si incontra con la luce riflessa nell’acqua, il cromatismo dei materiali, l’ornamento nei dettagli, l’orizzonte urbano veneziano. Il primo tema è La facciata. Poi L’ornamento, in quanto materia (la pietra, il coccio pesto), colore, paradosso statico, che esalta il“mestiere” dell’architettura italiana. L’architettura del limite, che a Venezia partecipa di veri e propri “interni urbani”; infine La Scuola, che è il cosmo in cui Gardella si confronta con Carlo Scarpa, Bruno Zevi, Giuseppe Samonà, sono gli altri temi della sezione. 6 Epilogo. Vicenza ed il Teatro Civico (1969-80) a cura di Daniele Vitale con Angelo Lorenzi L’ultima parte della mostra si occupa del progetto di Gardella per il teatro di Vicenza, elaborato nel 1969 per un concorso a inviti e trasformato in progetto esecutivo nel 1980, ma alla fine per alterne vicende non realizzato. È uno dei progetti più significativi di Gardella, nel quale l’architetto mostra la sua singolare capacità di rinnovarsi e proporre nuove direzioni di ricerca. Lo si può idealmente contrapporre alla casa alle Zattere di Venezia, alla quale nella mostra viene visivamente affrontato. La casa di Venezia aveva rappresentato una prova di grande abilità, ma anche un vicolo cieco, per il suo risolversi in esercizio raffinato e virtuosistico teso a riassumere e a riproporre i caratteri della città. Il teatro si costituisce invece in termini di grande assolutezza, fondandosi su un’idea elementare risolta in volume e in geometria: un quadrato diviso sulla diagonale in due metà di diversa altezza. Testimonia un ritorno a quella aspirazione a un’ideale classicità che Gardella aveva sperimentato fin dai suoi esordi. Dispensario antitubercolare, Alessandria, 1933-38. Casa di abitazione Cicogna, detta “Casa alle Zattere”, Venezia, 1953-62. Progetto di concorso per il Teatro Civico, Vicenza, 1968-80, prima e seconda fase (seconda fase progetto esecutivo con Mario Valle Engineering). L’ideale della casa è ormai nell’albergo: una casa per dormire, un gabinetto da bagno e un’auto per andarsene Carlo Mollino, 1949 Carlo Mollino Architetto Cura scientifica e coordinamento Michela Comba Carlo Olmo Sergio Pace Progetto dell’allestimento Alessandro Colombo Casa ad alloggi, Aosta, 1951-53. Teatro Regio, Torino, 1965-73. Dopo le mostre a Torino e Parigi (1989), dedicate a Carlo Mollino designer e fotografo, e dopo quelle a Basilea e Vienna (1991), nate dallo studio di alcune sue opere in contesti alpini, la Fondazione Palazzo Bricherasio presenta all’Archivio di Stato di Torino, dal 13 ottobre 2006 al 7 gennaio 2007, la mostra Carlo Mollino Architetto. Il comitato scientifico della mostra riunisce i maggiori studiosi d’uno dei progettisti più difficilmente inquadrabili nel panorama storiografico dell’architettura contemporanea italiana. Le ricerche condotte dal Politecnico e dall’Università degli Studi di Torino, dall’Accademia di Mendrisio, dal Politecnico di Milano e dalla Facoltà di Architettura di Napoli colgono l’occasione del centenario della nascita dell’architetto torinese, per confrontare la lettura data finora della sua opera, con disegni e documenti d’archivio che ripercorrono quaranta anni di professione, dal 1933 al 1973: dalla costruzione della Sede della Federazione agricoltori di Cuneo all’inaugurazione del Teatro Regio di Torino. Tra gli obiettivi della mostra c’è la messa in luce della dimensione progettuale che Mollino costruisce negli anni, attraverso la pratica e la cultura apprese nello studio d’ingegneria del padre Eugenio e il rapporto con le arti figurative, misurato anche sugli spazi dove l’architetto ha lavorato. I committenti, privati e poi pubblici, le numerose collaborazioni, dai progetti per la Società Ippica a quelli per la Camera di Commercio, consentono la più importante messa in scena dei modi di essere di una città industriale e riflettono la natura straordinaria non solo di questo architetto ma di una professione che, tra gli anni trenta e l’avvio della società dei consumi, rimane ancora radicata al suo territorio. Questa prospettiva di lettura valorizza gli immaginari di Mollino, trasparenti nei disegni di abitazioni, sanatori, quartieri, edifici industriali, teatri, sale da ballo e ambientazioni. Anche i progetti per residenze economiche ad Aosta, Pisa o Torino, i loro inserimenti, le distribuzioni e i metodi costruttivi si possono leggere in rapporto alle sue architetture più note. Mollino, definito dai quotidiani del 1945 come uno degli architetti italiani più internazionali, negli anni cinquanta vive al margine della ricostruzione di Torino, impegnato piuttosto in un possibile sviluppo della Val di Susa, di Breuil e Valtournanche, non solo con architetture montane divenute icone della modernità. Negli anni sessanta, con la distruzione della Società Ippica Torinese (la sua architettura più riuscita) e con l’esclusione dal concorso per il Palazzo del Lavoro a Italia ’61 (uno dei suoi progetti più sorprendenti), paga le contraddizioni che modi differenti di interpretare la tecnica producono nella contemporaneità. Architetto protagonista d’una socialità ancora poco nota nella Torino industriale, Carlo Mollino riflette con i disegni, la sua biblioteca e i suoi collaboratori. Sono risvolti d’una storia leggibile solo attraverso le architetture ovvero, come lui stesso ha chiarito, mezzi fisici per comunicare le trasformazioni delle abitudini del vivere in una società quasi cinematografica. Stanza 1. Sede della Federazione Agricoltori (Cuneo, 1933-34) a cura di Fabio Mangone, con la collaborazione di Laura Milan Stanza 3. Amici, artisti, letterati a cura di Federica Rovati La stanza è dedicata a una lettura e all’esposizione del periodo, ancora poco indagato dalla critica, della formazione dell’architetto torinese, costruita attorno al progetto più significativo di questi anni, la nuova sede della Federazione degli Agricoltori di Cuneo progettata fra il 1933 e il 1934, raccontato grazie ai disegni originali e a un video virtuale tridimensionale. La stanza parte dalle prime esercitazioni universitarie, passa attraverso il progetto della tesi di laurea, e attraversa i primi anni di attività professionale di Mollino, trascorsi in coabitazione con il padre, ingegnere Eugenio, all’interno dello studio di famiglia, tra i maggiori della città. Tra la fine degli anni venti e la metà degli anni trenta, è rintracciabile una serie di progetti poco noti o del tutto sconosciuti che vedono (talvolta presumibilmente, talvolta una maggiore sicurezza) Carlo attivo come progettista o come collaboratore, ufficiale od occulto, dello studio paterno, oltre che per conto proprio: tra questi in particolare la Casa del Fascio di Voghera, l’interessante casa Calliano a Torino e il progetto per la chiesa a Passignano sul Trasimeno. Stanza 2. La Società Ippica Torinese (Torino, 1936-1941) a cura di Michela Comba La stanza si sviluppa attorno al grande modello in legno di castagno dell’edificio progettato da Carlo Mollino con il conte ingegnere Vittorio Baudi di Selve, sede della Società Ippica Torinese, demolita nel 1960 per lasciar spazio a un albergo di dieci piani, poi non realizzato. I disegni di Mollino, accompagnati dai documenti concessi dall’Archivio Edilizio della Città di Torino, illustreranno le fasi e le obiezioni che hanno portato alla definizione delle tre parti di cui era composta l’Ippica. Da una parte le viste fotografiche, che di quella architettura lo stesso Carlo Mollino scatterà – visibili nella mostra per la prima volta – e, dall’altra, i documenti dell’archivio municipale che hanno consentito di ricostruire la vicenda urbana del lotto fanno riflettere sulla singolarità di quest’opera e sulle ragioni che ne fanno quasi un unicum nella storia dell’architettura italiana contemporanea. La stanza è centrata sulla lettura dei rapporti che Carlo Mollino ha intessuto, durante tutta la vita ma in particolare negli anni tra la fine dei venti e la seconda guerra mondiale, con un mondo artistico e letterario particolarmente vivace, torinese ma non solo. Le tracce delle amicizie e dei contatti molliniani sono spesso facilmente individuabili nella corrispondenza, spesso fitta, ma soprattutto nei numerosissimi e puntuali riferimenti individuabili nelle molteplici espressioni in cui la poliedrica personalità dell’architetto torinese esprime il suo essere artista: tra i molti, Mino Maccari direttore de Il Selvaggio, per cui Mollino progetta una casa nella pineta di Forte dei Marmi che non sarà realizzata, ma anche Carlo Ludovico Ragghianti e Italo Cremona, nonché i personaggi attivi nella Torino culturalmente assai vivace degli anni venti, da Felice Casorati a Albino Galvano. La stanza riflette e indaga alcuni di questi aspetti, proponendo un insieme vario di testimonianze, che vanno dalle fotografie molliniane come La camera incantata e i ritratti di Piero Martina, al disegno dell’autoritratto nella “Camera in risaia” a quadri di Casorati, Cremona e Galvano. Stanza 4. Casa in collina a cura di Fulvio Irace, con la collaborazione di Rita D’Attorre Tra il 1942 e il 1944, Mollino lavora a tre progetti per Domus e la nuova Stile dell’amico Gio Ponti: la “casa in collina”, che ripropone il tema giovanile della stanza di Oberon, nel surreale rapporto tra l’interieur autobiografico e la città; la “camera da letto per una cascina in risaia”, dove il pretesto di un disegno per una camera da letto si apre sulla prospettiva di un’ambientazione dai toni ironici e programmatici; e la “casa sull’altura”, dove il tema dell’evocazione del paesaggio assume i toni d’una messa in scena dalla minuziosa fantasia. Preceduti e intervallati da altre prove incompiute – dalla “casa per l’ultimo dei Moicani” alla villa Damonte a Capri – i tre progetti sono letti sullo sfondo della ricerca che l’architettura italiana stava conducendo in vista d’un superamento del razionalismo, che proprio sul tema dell’abitare aveva costruito il momento fondante. I progetti di Mollino forniscono la testimonianza più eccitata d’un clima d’evasione che preannuncia la revisione del secondo dopoguerra, assumendo il valore dell’individualità e della fantasia come elemento di espressione dell’architettura. Stanza 5. Sala da ballo Black and White Lutrario (Torino, 1959) a cura di Michele Bonino e Bruno Pedretti Carlo Mollino dispiega le categorie del continuum spaziale non solo su un variegato fronte espressivo (fotografico, sciistico, scenografico, automobilistico…), ma anche e soprattutto nei progetti architettonici: il diorama Passeggiata in auto per la Mostra dell’Autarchia (1938), l’arredamento di casa Devalle (1938-39), la scenografia cinematografica per Femmes d’Escales (1945), il progetto per il patinoire di Sestrière (1954), la sala da ballo Lutrario (1959-60). Nel tentativo di comprendere questi lavori in termini di spazio “esperito”, la stanza analizza e rappresenta una dimensione caratteristica di questi lavori: nel prefigurare e disegnare le traiettorie della danza in una sala da ballo o nello schizzare le rotte di un avvicinamento in volo a Torino, emerge un’idea del corpo protagonista dello spazio, e in diretta continuità con esso. La curiosità intellettuale stimolava Mollino a rivendicare, anche per la propria pratica progettuale, i principi sinestetici delle avanguardie e la sua personalità potrebbe essere vista quale prosecuzione genealogica di quell’estetismo del rapporto tra corpo, gesto e movimento, sviluppatosi tra decadentismo e futurismo. Stanza 6. Architetture per il tempo libero a cura di Giovanni Brino, Giorgio Rajneri e Bruno Reichlin, con la collaborazione di Guido Callegari e Cristiana Chiorino In molte architetture Carlo Mollino prende spunto dalle condizioni estreme del paesaggio circostante, ma anche dalle caratteristiche insolite dell’incarico. Nelle Alpi, in particolare, inscena ardite costruzioni sospese a rocce strapiombanti, edifici a ponte o a sbalzo da bricchi e promontori. Disegnatore eccezionale e ambidestro, Mollino ha consegnato le sue idee più audaci a bellissimi schizzi a matita, oltre che in riflessioni teoriche di estrema attualità, nella lucida disamina della crisi delle tradizioni costruttive autoctone e nella denuncia sia dei facili accomodamenti vernacolari sia delle ingenue professioni di fede modernista. Il disegno degli oggetti quotidiani della vita di montagna s’impone come fonte d’ispirazione: in modo diretto, per esempio nella stazione d’arrivo della slittovia del Lago Nero o nella casa Garelli, ma anche in modo allusivo, per esempio nelle sedie di casa Cattaneo o nell’impianto della Casa a capriata (di cui in mostra è presentato un originale modello in legno). Stanza 7. Il Palazzo del Lavoro per Italia ’61 (Torino, 1959-60) a cura di Sergio Pace, con la collaborazione di Manfredo Nicolis di Robilant La stanza è dedicata alle architetture urbane di Carlo Mollino, tra la fine degli anni quaranta e la fine degli anni cinquanta: scenari di sperimentazione figurativa, tipologica e costruttiva, portata avanti anche grazie a una committenza pubblica spesso illuminata, di cui l’architetto diventa uno degli interlocutori privilegiati. Buona parte di tali architetture, tuttavia, sono destinate a rimanere sulla carta, dando luogo a un’interpretazione stereotipa di Carlo Mollino autore esclusivo di arredi pregiati o ville lussuose per questi anni. La crescita quantitativa delle città, e di Torino in particolare, sembra mal tollerare le audacie molliniane, pur motivate sempre dall’esigenza di raggiungere alti livelli di qualità ambientale, abitativa e costruttiva. Dopo una serie di esperienze sfortunate, l’emblema del rapporto difficile tra l’architetto e le élites urbane diventa il progetto in tre varianti per il Palazzo del Lavoro per Italia ’61, i cui giganteschi disegni fino al dettaglio più minuto testimoniano l’eccezionale (quanto raramente sottolineata) capacità di Carlo Mollino di immaginare spazi pubblici di gran valore simbolico, dialogando con culture e professioni all’apparenza distanti. Stanza 8. Camera di Commercio (Torino, 1964-72) a cura di Mario Sassone e Elena Tamagno, con la collaborazione di Laura Milan Con il Palazzo degli Affari per la Camera di Commercio di Torino Carlo Mollino porta al limite la sua ricerca sull’edificio sospeso, leit motiv di tutta la sua opera. Le scelte progettuali sono giustificate dall’adesione alle esigenze funzionali e dall’impegno a rispondervi con l’impiego delle più aggiornate tecnologie. Il progetto vincitore del concorso del 1964, firmato da Carlo Mollino, Carlo Graffi, Alberto Galardi e Antonio Migliasso, ha una realizzazione complicata da contrasti tra i partecipanti e da innumerevoli varianti, richieste dalla committenza. L’opera si conclude nel 1972 con l’esecuzione degli arredi, affidati per incarico diretto a Carlo Mollino. Elementi peculiari sono l’attenzione al contesto e la struttura portante, in mostra messa in scena grazie a un modello virtuale tridimensionale: rispetto dei limiti dell’isolato storico, sottolineati da uno zoccolo lineare, e orizzontamenti “appesi” a un nucleo centrale, soluzione non nuova come impostazione, ma aggiornata per la tecnologia di esecuzione affidata a tiranti non metallici, ma di cemento armato precompresso. Stanza 9. Il Teatro Regio a cura di Michela Comba e Carlo Olmo La stanza è costruita su una lettura della genesi del Teatro Regio, ricostruito dopo l’incendio che aveva distrutto il precedente edificio alfieriano nel 1936, definita attraverso progetti, sullo spazio teatrale realizzati o non, dagli anni trenta in poi, da Carlo Mollino, prima con suo padre Eugenio poi da solo: in particolare, saranno esposti disegni e fotografie del nuovo Auditorium Rai e dei progetti non realizzati per il Teatro Balbo in Piazza Bodoni, sempre a Torino, e per il nuovo teatro di Cagliari. Ma soprattutto la stanza illustra il progetto e la costruzione del nuovo Teatro Regio attraverso, modelli, disegni, foto e video che ne restituiscono anche la genesi costruttiva e propongono il complesso e contraddittorio rapporto che si determina negli anni sessanta tra cultura progettuale e conoscenze tecniche e acustiche. Stanza 10. La biblioteca di Carlo Mollino a cura di Michela Comba La mostra si chiude con l’esposizione di oltre cinquanta libri appartenuti alla biblioteca di Carlo Mollino, tratti da un fondo di un migliaio di testi, oggi posseduto dalla Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Qui è confluita gran parte del patrimonio di volumi, pubblicazioni e riviste, su cui l’architetto, dagli anni della sua formazione scientifica politecnica agli anni settanta, ha costruito il proprio profilo intellettuale e professionale. Grazie ad alcuni di questi volumi, la stanza restituisce i settori caratterizzanti la biblioteca di un architetto che è anche scrittore, e tra i più fecondi in Italia, tra il 1933 e il 1954. Intermezzo tra le letture molliniane, questo spazio – accompagnato da video d’archivio e dalle prime edizioni di scritti dell’architetto – presenta i percorsi culturali che il collezionista si costruisce tra socialità urbane, artistiche e letterarie. Società ippica torinese, Torino, 1937-40. Auditorium RAI, Torino, 1950-53. Sede Federazione Agricoltori, Cuneo, 1933-34. Pianta e sezione dell’allestimento della mostra. Costruire le modernità Itinerario minimo Dieci opere da non perdere Zero Gravity Franco Albini Architetto Ignazio Gardella Architetto Carlo Mollino Architetto Triennale di Milano 28 settembre _ 26 dicembre 2006 Palazzo Ducale, Genova 24 novembre 2006 _ 30 gennaio 2007 Archivio di Stato, Torino 13 ottobre 2006 _ 7 gennaio 2007 Quartiere “Fabio Filzi” (1936-38), con R. Camus, G. Palanti. Milano, via Illirico 1-3. Dispensario Antitubercolare (1933-38), con L. Martini. Alessandria, via Don Gasparolo. Teatro Regio (1965-73), con M. e A. Zavelani Rossi, C. Graffi. Torino, piazza Castello 215. Villa Pestarini (1938), con sopralzo del 1949. Milano, via Mogadiscio 2. Padiglione d’Arte Contemporanea (1947-54). Milano, via Palestro 14. Camera di Commercio (1964-72), con C. Graffi, A. Galardi, A. Migliasso. Torino, via San Francesco da Paola 24. Albergo-rifugio per ragazzi Pirovano (1948-52), con L. Colombini. Breuil-Cervinia (Aosta). Casa Tognella detta “Casa al Parco” (1947-48), con L. Ghiringhelli. Milano, via Paleocapa 5. Sala Danze Lutrario (ora Le Roi) (1959). Torino, via Stradella 3. Gallerie Comunali di Palazzo Bianco (1949-51). Genova, via Garibaldi 11. Casa di abitazione ai giardini d’Ercole (1951), con A. Castelli Ferrieri, R. Menghi. Milano, via Marchiondi 7. Casa del Sole (1947-55). Cervinia (Aosta), via Funivie 8. Museo di Palazzo Rosso (1952-62), con F. Helg. Genova, via Garibaldi 18. Casa di abitazione per impiegati della Borsalino (1948-52). Alessandria, via Cavour 63. Edificio per uffici Ina (1950-54). Parma, strada Cavour 21. Terme Regina Isabella (1950-55), con E. Balsari Berrone. Lacco Ameno, Ischia. Case a schiera e asilo nido nel quartiere Ina-Casa (1951-54 e 1955-57), con F. Helg. Cesate (Milano). Casa Garelli (1963-65). Champoluc (Aosta). Slittovia del Lago Nero (1946-47). Sauze d’Oulx sopra Sportina (Torino). Federazione Agricoltori (1933-34), con V. Baudi di Selve. Cuneo, corso IV Novembre 8. Casa di abitazione Cicogna detta “Casa alle Zattere” (1953-58). Venezia, Fondamenta alle Zattere. Edificio residenziale (1951-53). Aosta, viale Conte Crotti. Museo del Tesoro di San Lorenzo (1952-56), con F. Helg, ordinamento di C. Marcenaro. Genova, Cattedrale di San Lorenzo. Mensa Olivetti (1953-59). Ivrea (Torino), via Jervis 77 Casa sull’altopiano di Agra (1952-53). Luino (Varese), località Ligrasca. Grandi magazzini La Rinascente (1957-61), con F. Helg. Roma, piazza Fiume. Palazzo degli Uffici Tecnici dell’Alfa Romeo (1968-72), con A. Castelli Ferrieri, J. Gardella. Arese (Milano). Quartiere Iacp (1958), con C. Graffi e altri. Torino, corso Sebastopoli. Stazioni delle Linee 1 e 2 della Metropolitana Milanese (1962-69), con F. Helg, A. Piva, C. Rusconi Clerici-V.R.C., B. Noorda (grafica). Facoltà di Architettura (1975-89), con Mario Valle Engineering. Genova, Stradone Sant’ Agostino 37. Informazioni Triennale di Milano viale Alemagna 6 Palazzo Ducale, Sottoporticato P.za Matteotti 9, Genova Archivio di Stato Piazzetta Mollino, Torino I possessori del biglietto di una delle tre mostre potranno usufruire del biglietto ridotto presso le altre due. Cura scientifica Fulvio Irace Cura scientifica Rafael Moneo Coordinamento Federico Bucci Coordinamento Marco Casamonti Cura scientifica e coordinamento Michela Comba Carlo Olmo Sergio Pace Organizzazione La Triennale di Milano, Settore Iniziative con la collaborazione del Politecnico di Milano e del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della nascita di Franco Albini Organizzazione Diparc (Dipartimento di Progettazione e Costruzione dell’Architettura), Palazzo Ducale Sito internet dedicato italiano/inglese www.costruirelemodernita.it Cataloghi Electa, Milano Ufficio stampa Electa Enrica Steffenini [email protected] www.electaweb.it Nel 2007 le tre sezioni dell’iniziativa Costruire le modernità: Franco Albini, Ignazio Gardella e Carlo Mollino saranno riunite a Roma al Museo delle Arti del XXI secolo - MAXXI. Orari da martedì a domenica 10.30 _ 20.30 chiuso il lunedì Prezzi intero: 8,00 euro ridotti e convenzioni: 6,00 euro abbonati annuali ATM: 5,00 euro gruppi minimo 15 persone : 5,00 euro Orari da martedì a domenica 9_19 chiuso il lunedì Prezzi intero: 7,00 euro ridotto: 5,00 euro scuole: 3,00 euro Informazioni e prenotazioni t +39 010 5574004 Informazioni e prenotazioni t +39 02 72434208 Sito internet www.mostragardella.unige.it www.palazzoducale.genova.it Sito internet www.triennale.it www.francoalbinicentenario.it Ufficio stampa Palazzo Ducale, Genova Camilla Talfani [email protected] Ufficio stampa La Triennale di Milano Antonella La Seta [email protected] Damiano Gulli [email protected] Segreteria organizzativa Diparc, Eleonora Burlando [email protected] Organizzazione Fondazione Palazzo Bricherasio Orari da martedì a domenica 10_19 chiuso il lunedì Prezzi intero: 7,00 euro gruppi e convenzioni: 6,00 euro ridotto: 5,00 euro bambini (6-14 anni): 3,50 euro Informazioni e prenotazioni t +39 011 5711811 Sito internet www.palazzobricherasio.it Ufficio stampa Palazzo Bricherasio Vittoria Cibrario [email protected]