intervento di giuliano poletti presidente dell`alleanza delle

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intervento di giuliano poletti presidente dell`alleanza delle
Una cooperazione forte e unita per affermare nel nostro paese un’economia sociale e solidale
L’intervento di Giuliano Poletti, Presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane
Cari amici, care amiche, cari cooperatori, grazie a tutti voi e grazie ai miei copresidenti, Maurizio
Gardini e Rosario Altieri. Desidero esprimere un saluto affettuoso a Luigi Marino, che nel suo
intervento ha ripercorso il lavoro fatto in questi due anni e ci ha ricordato con forza la motivazione
del perché abbiamo agito in questo modo, ci ha dato anche il senso di ciò che in questo periodo ha
cominciato ad emergere, a diventare bisogno,
opportunità dell’ACI, aiutandoci, in questo modo, a
costruire il percorso futuro.
Io vi ringrazio molto perché, sinceramente, essere il
presidente dell’ACI è una delle poche cose che avrei
voluto fare nella mia vita. Lo dico perché sono
convinto che la strada che abbiamo fatto in questo
periodo è stata -come diceva Marino- un po’ la presa
d’atto di una condizione che si è prodotta, ma si è
prodotta perché insieme, in tanti posti, abbiamo lavorato perché accadesse, con la costanza che ha
sconfitto anche il senso della ineluttabile impossibilità di fare le cose.
Per tanti anni abbiamo parlato di unità cooperativa. E per tanti anni abbiamo continuato a lavorarci
e la consapevolezza è cresciuta; ma poi si dovevano maturare le condizioni che la rendessero
realizzabile.
Noi abbiamo fatto il passo quando ci siamo convinti che ci fossero le condizioni per iniziare non
un’avventura, con il grave rischio di ritorno indietro, ma un cammino che potesse essere perseguito
con sufficiente sicurezza di arrivare al traguardo.
E credo che questa sia una grande responsabilità che abbiamo: dobbiamo sapere che abbiamo fatto
un passo importante, ma che abbiamo fatto una piccolissima parte del nostro cammino. Non dico la
più facile, non c’è dubbio, perché muovere il primo passo è sempre un atto di grande coraggio e
difficoltà.
E noi ora siamo dentro questo passaggio.
Il quadro che abbiamo di fronte è un quadro che sta cambiando e cambierà profondamente.
L’Alleanza è nata in un certo contesto, ha mosso dei passi importanti e i meriti di Marino e di noi
tutti maturati in questi anni sono davanti a voi; ma questo non ci dà alcuna garanzia per la
prospettiva futura, perché il quadro delle rappresentanze sociali è profondamente cambiato e in fase
di cambiamento; il quadro politico non sappiamo come si determinerà in conseguenza del passaggio
elettorale; il quadro economico diventa sempre più drammatico. E allora c’è un problema del come
noi connettiamo il disegno grande dell’ACI con i problemi di ogni giorno delle nostre cooperative,
con la crisi delle aziende, con la difficoltà a trovare risposte ai loro problemi. Noi non possiamo
passare per quelli che di fronte ai drammatici problemi di ogni giorno sogniamo delle altre cose: noi
dobbiamo essere capaci di connettere in maniera molto forte ciò che facciamo ogni giorno per
affrontare e risolvere i problemi che abbiamo contemperandoli con il nostro grande disegno.
Abbiamo utilizzato questi due anni per cominciare a costruire una “grande idea”, per cominciare a
darle una definizione. Oggi dobbiamo fare un passo in più.
Non so se oggi possiamo dire che il bello deve ancora venire. Io credo che adesso venga il bello e
anche il difficile, perché se abbiamo usato in questi anni anche la spinta della novità, l’idea del
provarci, l’idea della sfida, di qualcosa di importante da farsi, adesso ci aspetta un lavoro che è fatto
di tanti passi, piccoli e probabilmente anche sofferti, perché abbiamo bisogno anche di costruire
un’identità dell’ACI. Noi abbiamo bisogno di costruire un modo normale di stare insieme, abbiamo
bisogno di non “giocare solo di rimessa” di fronte al fatto che il governo, le forze politiche, le forze
sociali mettono sul tavolo dei problemi. Noi dobbiamo essere capaci di costruire una nostra
autonoma elaborazione, di una nostra capacità di proposta. E per farlo dobbiamo lavorare insieme,
dobbiamo immaginare che le cose che ognuna delle nostre organizzazioni è abituata a fare con i
propri uffici, con il proprio personale, con le proprie competenze, diventino un modo di pensare e di
lavorare comune e condiviso. Noi questa strada la dobbiamo ancora fare, abbiamo bisogno di
cominciare a fare il lavoro che abbiamo fatto a livello settoriale, dobbiamo spingere il lavoro che
abbiamo detto di fare quest’anno sul tema dei territori. E dobbiamo pensare a costruire delle sedi di
lavoro comune che ci consentano la elaborazione di proposte comuni dell’ACI, perché c’è bisogno
di fare un passettino in più. Lo diceva Marino molto chiaramente. Noi non possiamo essere quello
che facevamo prima un po’ meglio, noi abbiamo bisogno di costruire qualcosa di nuovo da questo
punto di vista; un’idea e una capacità di proposta molto forte. Credo, insomma, che ci sia bisogno di
un grande sforzo di elaborazione, di un pensiero cooperativo che riesca a parlare a questo paese
ancora più di quanto non lo abbia fatto fino ad oggi.
Prendo in prestito ciò che ha fatto Hollande in Francia, lanciando con forza l’idea, e rendendola
fisicamente visibile, con la costituzione del ministero per l’economia sociale e solidale. Ha deciso di
dire ai francesi che c’è un pezzo dell’economia con una sua specifica natura, che funziona su base
di regole, di sistemi valoriali, di obiettivi che sono diversi da altre tipologie di impresa, di
economia. Questo è un pezzo del futuro. La domanda che dobbiamo farci e che dobbiamo fare agli
italiani è: ma ce la caveremo continuando a discutere se ci vuole un po’ più di Imu o un po’ meno di
Imu?. Se il futuro dell’Italia dipenderà da un punto in più o in meno di Iva? Crediamo davvero che
possiamo affrontare questi problemi passando sempre dalle colonne di Ercole dello Stato e del
mercato? E che quindi la società non ha altro da fare che organizzare i propri bisogni e
rappresentarli? Pensate davvero che questa modalità ci aiuti a risolvere i problemi che abbiamo? Io
credo di no, credo che dobbiamo mettere in campo un’idea diversa. L’idea diversa è il
protagonismo sociale, la partecipazione attiva dei cittadini, un’idea di impresa come infrastruttura
utile alla collettività. Fino a quando questo paese non la finirà di pensare che l’impresa è un male
necessario che va sopportato perché è l’unica maniera di avere un posto di lavoro e non penserà,
invece, che l’impresa è una infrastruttura indispensabile per avere lo sviluppo, la crescita e il lavoro,
la dignità del lavoro delle persone non andremo molto lontano. Se noi non ricomponiamo anche
l’idea secondo cui da un parte c’è l’individuo e dall’altra c’è la comunità. Guardate che una
cooperativa è un insieme di individui, non è un’altra cosa! Cioè gli uni non possono fare a meno
dell’altra e viceversa. Noi dobbiamo superare questo divario culturale, questa diversità di pensiero
ed immaginare invece che c’è una possibilità che è quella, appunto, di mettere in comune gli
obiettivi e di realizzarli insieme, perché gli individui e le persone stanno al centro dei nostri pensieri
e la forma societaria cooperativa, l’associazionismo, il mutualismo sono forme che consentono ai
cittadini di essere protagonisti.
Credo che questo sia un tema essenziale. Il nostro orizzonte, l’idea dentro la quale possiamo
lavorare ogni giorno per costruire nuove risposte, per fare i conti con i problemi di questa nazione,
per fare nuove imprese, per offrire lavoro ai giovani, per dare la possibilità alle donne che non
lavorano nel nostro paese di avere una risposta dal welfare, dal sistema sanitario, dal sistema di
tutela sociale. Noi abbiamo bisogno di questo passaggio. Dobbiamo affermare questa idea e
dobbiamo affermarla non nella logica che sia un bene per i cooperatori, ma nel senso che è un bene
per l’Italia, è un’utilità per questo paese e noi mettiamo a disposizione questa opportunità e
combattiamo la nostra battaglia sul piano culturale perché si affermi questa idea. E quando parliamo
di economia sociale e solidale non parliamo solo delle cooperative, perché questi sono mondi
grandi: ci sono dentro il mutualismo, l’associazionismo, l’impresa sociale, ci sono tante forme che
partecipano a questa modalità e che non hanno come finalità principale il profitto, ma il servizio per
il cittadino. Credo che questa sia una diversità importante che va colta anche dentro la legislazione.
Credo che uno dei problemi che abbiamo con l’Europa stia nel fatto che l’Europa abbia un’idea per
cui c’è il mercato libero e bisogna garantire la concorrenza e per garantire la concorrenza tutti quelli
che stanno sul mercato debbono avere lo stesso tipo di trattamento. Ma se quelli che stanno sul
mercato sono diversi obbligarli allo stesso tipo di trattamento è una cosa giusta? Io credo di no.
Credo che sia una maniera si ideologica di immaginare il mercato, di immaginare il futuro
dell’Europa. C’è bisogno di costruire una dinamica diversa, di costruire un percorso diverso che ci
dia questo tipo di possibilità, che ci consenta di entrare dentro la logica del futuro del nostro paese.
Non aggiungo molto altro, se non confermare l’impegno che il sottoscritto intende mettere in questo
lavoro, e chiedere la collaborazione a Gardini e Altieri, perché credo che è solo dalla piena sintonia,
dalla forte capacità di interazione che noi possiamo immaginare una prospettiva importante dentro
una situazione di cui noi tutti cogliamo le grandi difficoltà. Noi oggi facciamo questo passaggio,
c’è un piccolo cambio di fase; credo che dobbiamo essere capaci di salvaguardare tutto ciò che
abbiamo fatto e di trasferirlo dentro la nuova fase. Ma dentro questa nuova fase siamo consapevoli
dei problemi che abbiamo, sappiamo le difficoltà, le differenze che abbiamo nei territori. Sappiamo
che ci siamo fatti “concorrenza” e quindi superare il passato e costruire una nuova fase non sarà per
nulla facile, perché più ci avviciniamo ai punti di tensione, di conflitto. Però un grande obiettivo
come questo non si acquisisce se non c’è la volontà, la disponibilità di superare quel pezzo di storia
e ricollocare dentro il futuro le nostre relazioni e i nostri rapporti.
Se andassimo avanti guardando indietro e chiedessimo conto dei torti che abbiamo subito, perché
ogni di noi pensa di aver subito dei torti da qualcun altro, sarebbe stato meglio non metterci
insieme. Se abbiamo deciso che è meglio quest’altra fase, allora dobbiamo avere quel po’ di
coraggio, quel po’ di generosità, quel po’ di lungimiranza che ci aiuta a capire che quelle cose erano
cose di ieri, che adesso è un’altra fase e un altro momento. Non possiamo pensare di buttar via
nulla, ma dobbiamo invece usare ciò che abbiamo imparato -anche dentro i conflitti, anche dentro le
diversità, anche dentro provenienze che sono storiche, culturali e di appartenenza- per raggiungere
l’obiettivo che ci siamo dati.
Credo che questo si possa fare, che il lavoro che faremo insieme nei prossimi mesi abbia un po’
questo senso, di costruire una identità più definita dell’Alleanza. Mi auguro che potremo avere
rapidamente la “casa” dell’ACI, che potremo avere una struttura che, senza aggiungere costi, segni
un passo ulteriore verso l’unità.
Vi lascio con un pensiero di Eleanor Roosvelt che diceva “Il futuro è delle persone che credono
nella bellezza dei loro sogni”. Noi un sogno molto bello ce l’abbiamo: è quello dell’unità delle
cooperative. Credo che quello che adesso dobbiamo fare è crederci e lavorare per realizzarlo.