Un «albergo diffuso»: così Betlemme accoglie i pellegrini

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Un «albergo diffuso»: così Betlemme accoglie i pellegrini
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TOSCANA OGGI
ECCLESIA
11 dicembre 2016
«Una notte ventosa»,
il nuovo libro
di Mariano Inghilesi
artedì 20 dicembre alle 21,15 nel salone
M
parrocchiale di San Pietro a Varlungo (via
di Varlungo 71, Firenze) il direttore della scuola
biblica «Cardinal Martini», don Vittorio
Menestrina, presenta (insieme all’autore) il
libro di Mariano Inghilesi «Notte ventosa.
Quando un incontro cambia la vita» (Edizioni
Messaggero Padova, 15 euro).
Un incontro che cambia la vita! Ecco cosa è
successo, secondo il Vangelo di Giovanni, a
Nicodemo in una notte ventosa. Un libro per
chi si avvicina per le prime volte alla lettura del
Vangelo di Giovanni. Qui potrà trovare le chiavi
di lettura per affrontare la teologia giovannea:
la rinascita da acqua e spirito, l’innalzamento
del Figlio dell’uomo, la vita eterna donata
tramite la fede in Gesù. L’autore invita a entrare
nella storia e nel personaggio di Nicodemo,
come se ognuno fosse lì con Gesù, ora, in una
notte ventosa. E così, partendo dal testo,
passaggio dopo passaggio, sarà come scalare
una montagna fino a godersi la vetta dove la
visuale apre su un orizzonte senza limiti!
Mariano Inghilesi è diacono dell’arcidiocesi di
Firenze, docente di Sacra Scrittura, membro
dell’Associazione Biblica Italiana. Tra le sue
pubblicazioni ricordiamo: «Inno all’amore
negli ultimi giorni di Gesù» (EDB, Bologna
2012), «L’incontro fra Gesù e Pilato» (EDB,
Bologna 2012).
Ottanta sindaci
in Vaticano
per parlare di rifugiati
uropa: i rifugiati sono nostri fratelli».
«9 eEil Questo
il titolo dell’incontro promosso il
10 dicembre dalla Pontificia Accademia
delle Scienze, presso la Casina Pio IV in
Vaticano, dove sono attesi 80 sindaci di tutto il
mondo, che il 10 dicembre vengono ricevuti
dal Papa.
«Attirare l’attenzione internazionale sulla
minaccia alla stabilità mondiale rappresentata
dal crescente numero di rifugiati sul nostro
pianeta, un numero che al momento supera i
125 milioni», lo scopo dell’iniziativa, che parte
dalla constatazione che «tre quarti di tutte le
odierne emergenze umanitarie sono la diretta
conseguenza di una guerra», mentre il restante
quarto «sono provocate dai disastri naturali, in
larga parte derivanti da crisi ambientali come
carestie, alluvioni, gravi anomalie
metereologiche», molte delle quali «di origine
antropica, come dimostrano gli ormai chiari
effetti di un uso sconsiderato da parte
dell’uomo di combustibili fossili, di pratiche
agricole aggressive e deforestazioni». Durante il
Summit, si cercheranno «nuove strade per
costruire la pace, strade che mettano in
evidenza la dignità umana di tutti i rifugiati e
che permettano di affermare la loro identità».
Degli ottanta sindaci convocati in Vaticano, 20
sono italiani, la delegazione più numerosa
dopo quella tedesca, che conta 21 «primi
cittadini», capitanati dal sindaco di Berlino,
Michael Müller. Ad aprire i lavori del Summit
dal titolo «Europa: i rifugiati sono i nostri
fratelli», dopo i saluti iniziali, sarà la sindaca di
Roma, Virginia Raggi. Questi, in ordine di
intervento , gli altri sindaci italiani: Luigi De
Magistris (Napoli), Leoluca Orlando
(Palermo), Giorgio Gori (Bergamo), Federico
Pizzarotti (Parma), Giusi Nicolini
(Lampedusa), Matteo Biffoni (Prato), Giuseppe
Sala (Milano), Franco Balzi (Santorso),
Giovanni Giachino (Chiesanuova torinese),
Riccardo Poletto (Bassano del Grappa), Paolo
Omoboni (Borgo San Lorenzo), Stefano Ioli
Calabrò (Sant’Alessio in Aspromonte), Enrico
Ioculano (Ventimiglia), Alberto Panfilio
(Cona), Domenico Lucano (Riace), Antonella
Leone (Pedivigliano), Dario Nardella (Firenze),
Antonio De Caro (Bari), Enzo Bianco
(Catania). Spagna, Svizzera, Polonia,
Portogallo, Irlanda, Grecia, Austria, Belgio,
Regno Unito, Romania, Lettonia, Olanda gli
altri Paesi rappresentati. Saranno presenti
anche la Libia, con due sindaci (Tripoli e
Sebha) e il sindaco di Tunisi.
il REPORTAGE
DALLA
TERRA SANTA
Grazie ai fondi stanziati dall’Unione Europea
è stato possibile riqualificare «a regola d’arte»
immobili che altrimenti sarebbero rimasti
vuoti e inutilizzati. Stanze disseminate
nel cuore della città vecchia,
quella spesso fuori dagli itinerari usuali,
o che magari vantano una terrazza
affacciata sulla basilica della Natività
Un «albergo diffuso»: così
Betlemme accoglie i pellegrini
DI LUCA PRIMAVERA
e linee fosforescenti dei neon
verdi contornano i minareti delle
moschee che si alternano ai
campanili delle chiese, ora
cattoliche, ora ortodosse, ora
protestanti. Come ogni mattina, al
sorgere del sole, i muezzin invitano alla
preghiera i fedeli. Nelle strade di pietra
bianca, lucida e consumata, questi
primi spicchi di sole si divertono a
giocare con i riflessi in un’insegna
dell’associazione delle «Lavoratrici
ortodosse», mentre un uomo, nel
mercato ancora deserto, frigge i suoi
falafel da gustare bollenti in una
pagnotta al sesamo.
Betlemme si risveglia senza fretta,
ancora avvolta nella foschia delle prime
luci dell’alba.
Margò, ci fa strada tra i vicoli della città.
Varchiamo archi, saliamo scalette,
attraversiamo cortili, entriamo in una
casa. Le pareti di pietra sono state
restaurate da poco e le finestre arcuate
aprono la vista su colline brulle, mentre
non troppo lontano è possibile
intravedere una colonia israeliana.
Siamo appena entrati in uno
degli alloggi che
compongono l’«albergo
diffuso» che sta sorgendo in
città: 70 posti letto, tra mini
appartamenti e stanze, sparsi
in diversi edifici del centro di
Betlemme gestiti in maniera
unificata. La camera non ha
troppi fronzoli, ma tutte le
comodità. La porta accanto è
quella di una delle 15
famiglie palestinesi che
aderiscono al progetto.
Grazie ai fondi stanziati
dall’Unione Europea - più
una parte messa di tasca loro - è stato
possibile riqualificare «a regola d’arte»
immobili che altrimenti sarebbero
rimasti vuoti e inutilizzati. Stanze
disseminate nel cuore della Betlemme
vecchia, quella spesso fuori dagli
itinerari usuali, o che magari vantano
una terrazza affacciata direttamente
sulla basilica della Natività.
«Circa due milioni di pellegrini ogni
anno raggiungono Betlemme, ma è un
tipo di turismo che difficilmente
interagisce con la popolazione» spiega
Sebastian, un giovane teologo luterano.
Originario della Germania vive qui da
anni («Betlemme è molto più sicura di
Gerusalemme» ci spiega sorridendo).
«Questo progetto - aggiunge - è pensato
soprattutto per turisti individuali o
coppie che vogliono fare un viaggio in
Terra Santa non tradizionale. Alloggiare
nell’albergo di comunità permette
infatti di avere un’esperienza più
personale rispetto ai viaggi organizzati».
«L’iniziativa - continua il prof. Fabio
Pollice della Società geografica italiana nasce per cercare di aiutare gli abitanti
di Betlemme promuovendo un modello
di turismo ’sostenibile’, che coinvolga la
comunità locale. Vorrebbe essere un
piccolo segno di speranza per questa
terra facendo vedere che nonostante le
differenze religiose e culturali è
possibile costruire qualcosa insieme».
Il progetto è promosso dal network
«Future of our past» (FOP) ed ENPI
CBCMED (Cross Border Cooperation in
The Mediterranean), ma si inserisce in
un progetto più vasto volto a creare una
rete di collaborazione tra alcuni dei
L
borghi più belli del Mediterraneo, sparsi
tra Egitto, Tunisia, Libano, Italia e
appunto Palestina. «L’albergo diffuso di
Betlemme è infatti una sorta di azione
pilota che vorrebbe essere replicata in
altri centri storici del mediterraneo dove
troppo spesso c’è un turismo
standardizzato eterodiretto da tour
operator» spiega Fabio Pollice che è
anche capo progetto FOP.
A Betlemme tutto questo non sarebbe
stato possibile senza la partecipazione
dell’Università Dar al-Kalima che fa
parte del consorzio Diyar. Una realtà
che ha le sue radici nella confederazione
delle chiese evangeliche luterane.
Promuove tantissime iniziative rivolte
in particolare nei confronti di bambini,
giovani e donne puntando su
educazione civica e culturale. Nato nel
1995 è attualmente il terzo datore di
lavoro privato nella regione di
Betlemme.
Proseguendo il nostro percorso nelle
viuzze della città scopriamo quasi per
caso che ricorre la festa nazionale per
l’indipendenza della Palestina. Non ce
lo avessero detto nessuno se lo sarebbe
mai potuto immaginare. Per strada non
c’è alcun tipo di manifestazione,
nessuna atmosfera celebrativa, nessun
segno di ostentazione dell’orgoglio
palestinese. La giornata scorre placida,
ovattata, come se, alla fine, ci fosse poco
da festeggiare.
Mentre lasciamo la città, passiamo di
fianco al Muro di separazione. In questi
giorni sembra quasi un rudere
incustodito, un monumento
dell’assurdo, meta triste di pellegrini in
cerca di foto ricordo. La altera
imponenza delle sue pareti è come irrisa
da graffiti, scritte, manifesti, che
alternano un’indistinta imbrattatura a
vere e proprie opere d’arte. Le più
famose sono quelle dell’artista
britannico Bansky. Hanno avuto così
successo, che una di quelle scritte che
adesso affollano il muro sul quale lui
con le sue opere ha voluto aprire uno
squarcio, è proprio la segnalazione
pubblicitaria di un «Bansky’s shop», un
negozietto di merchandising «ufficiale».
Proseguiamo il nostro percorso verso la
località di Battir. Qui vive una comunità
di 800 anime situata tra Betlemme e
Gerusalemme. Siamo ancora in
Palestina, ma il confine è a pochi metri:
la famosa «linea verde» disegnata nel
1949, corre più in basso, in fondo a
questa piccola valle. A demarcare il
confine qui non ci sono ne’ muri, ne’
filo spinato, ma una semplice ferrovia.
Gli abitanti di Battir, naturalmente,
possono solo guardarla, senza salire sui
treni israeliani. Quando passano, i
bambini corrono a vedere, ogni tanto
scorrazzano dall’altra parte, «ma non è
mai successo alcun incidente» ci
spiegano. Più in alto, nella collina di
fronte, un ranger israeliano scruta
attento il confine, da un pickup bianco.
Quando qualcuno rischia di sconfinare,
accende la sirena e tutti tornano ai
propri posti in un istante.
Dal 2014 questa tranquilla località è
stata riconosciuta dall’UNESCO come
patrimonio dell’umanità. Qui infatti i
romani trovarono una preziosa sorgente
che ha permesso di strappare alle aride e
sassose colline della zona importanti
appezzamenti coltivabili, grazie a una
sapiente opera di terrazzamento e
irrigazione. Gli abitanti sfruttano questa
risorsa in maniera comunitaria,
coltivano in maniera biologica - una
vera rarità da queste parti - garantendo a
tutti di vivere dignitosamente.
Battir è una piccola oasi di pace dove il
tempo sembra scorrere come gelatina. Il
conflitto pare lontano. O
semplicemente, da questa parte del
confine, in pochi sono convinti di non
aver già perso.