Accrescimento ed evoluzione cosmologica dei buchi neri nei nuclei

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Accrescimento ed evoluzione cosmologica dei buchi neri nei nuclei
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Tesi di Laurea in Fisica
Accrescimento ed evoluzione cosmologica
dei buchi neri nei nuclei galattici attivi
Candidato: Mauro Sirigu
Relatore:
Prof. Alessandro Marconi
Anno Accademico 2008-2009
A te,
unica custode
dei miei sorrisi
e delle mie speranze.
Indice
Introduzione
i
1 Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
1
1.1
Dall’idea originale alla soluzione delle equazioni di Einstein . . . . . . .
2
1.2
Le prime scoperte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
1.3
Le galassie attive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8
1.4
Il modello unificato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
15
1.5
L’evoluzione degli AGN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
19
1.5.1
La misura della massa dei SMBHs . . . . . . . . . . . . . . . . .
20
1.5.2
Le relazioni osservate fra SMBHs e galassie ospiti . . . . . . . .
22
1.5.3
Le surveys e l’evoluzione dei SMBHs . . . . . . . . . . . . . . .
24
2 Il modello cosmologico standard
27
2.1
L’esigenza di una teoria cosmogonica . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27
2.2
La metrica di Robertson-Walker e le equazioni di Friedman . . . . . . .
30
2.3
La risoluzione delle equazioni di Friedman . . . . . . . . . . . . . . . .
33
3 La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
37
3.1
Metodo adottato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
3.2
Le funzioni di luminosità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
42
3.2.1
La funzione di Nakamura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
42
3.2.2
La funzione di Devereux . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
44
Le correlazioni massa-luminosità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
47
3.3
ii
INDICE
3.4
3.3.1
Correlazione di Graham . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
48
3.3.2
Correlazione di Gültekin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
49
3.3.3
Trasformazioni di colore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
50
Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
51
4 La funzione di luminosità degli AGN
57
4.1
Forma della SED e correzione bolometrica . . . . . . . . . . . . . . . .
59
4.2
Funzione di luminosità in banda X soffice . . . . . . . . . . . . . . . . .
65
5 Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
71
5.1
L’equazione di continuità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
71
5.2
Generalizzazione a distribuzioni qualunque . . . . . . . . . . . . . . . .
75
5.2.1
Il duty cycle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
78
5.2.2
Approssimazioni
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
79
5.3
Il rapporto di Eddington . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
82
5.4
Vincoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
85
5.5
Riduzione al caso semplice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
89
6 Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
6.1
91
Modello T (zstart = 5 → zf in = 0) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
92
6.1.1
Una gaussiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
93
6.1.2
Due gaussiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
6.1.3
Dipendenza della distribuzione del rapporto di
Eddington dalla luminosità bolometrica . . . . . . . . . . . . . . 102
6.1.4
Dipendenza della distribuzione del rapporto di
Eddington dal redshift . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
7 Conclusioni e sviluppi futuri
7.1
109
Sviluppi futuri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
7.1.1
Modello Z (z = 0 → z = 5) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115
7.1.2
Vincoli osservativi alla distribuzione del parametro di Eddington 117
INDICE
iii
7.1.3
Parametrizzazione dell’efficienza radiativa . . . . . . . . . . . . 117
7.1.4
Merging e termine di sorgente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
7.1.5
Accrescimento sovra-Eddington . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
Bibliografia
121
Ringraziamenti
128
Introduzione
Una frazione piuttosto modesta delle galassie osservate (∼ 15%) appare caratterizzata da regioni centrali particolarmente brillanti, con un’alta variabilità nelle curve di
luce (indice di estrema compattezza della sorgente energetica primaria) e caratteristiche spettroscopiche peculiari. Tali galassie vengono definite “attive” e le loro regioni
centrali prendono il nome di nuclei galattici attivi (AGN, dall’inglese Active Galactic
Nuclei). La considerevole luminosità consente di osservare le galassie attive anche nel
cielo profondo rendendole quindi strumento principe di indagine delle prime fasi evolutive dell’universo. Come avremo modo di chiarire, si ritiene attualmente che l’emissione
degli AGN sia prodotta per accrescimento di materia su un buco nero super massiccio
(o SMBH, da Super Massive Black Hole), con massa superiore a 106 M .
L’evidenza osservativa di una stretta correlazione fra le masse dei SMBHs e delle
regioni nucleari delle galassie che li ospitano avvalora l’ipotesi di un forte condizionamento reciproco. Dal momento, poi, che il numero di galassie attive appare esser
stato, in epoche remote, molto superiore a quello attuale, è ragionevole supporre che
l’evoluzione galattica sia stata in una prima fase profondamente influenzata da periodi di attività delle regioni nucleari e che i residui di tali fasi siano tuttora rivelabili
come buchi neri super massivi non più in accrescimento violento. Capire quindi come funzioni un AGN e come gli AGN si siano evoluti nelle varie epoche cosmologiche
è fondamentale per comprendere i processi evolutivi delle galassie e la loro struttura
attuale.
L’osservazione degli AGN e l’estrazione delle informazioni relative alla dinamica
di accrescimento sui SMBHs possono essere estremamente difficoltose. Gli oggetti
ii
Introduzione
sono nella quasi totalità dei casi non risolti spazialmente e molto spesso oscurati dalla
presenza di gas e polveri lungo la linea di vista. Inoltre, i tempi scala di evoluzione di
un nucleo galattico sono in genere superiori alla decina di milioni di anni, il che rende
impossibile la diretta osservazione di variazioni strutturali macroscopiche.
In questo contesto, l’indagine statistica può rappresentare l’unica interfaccia fra teoria
ed osservazioni.
In questo lavoro di tesi si intende presentare un metodo di indagine statistica delle
modalità di accrescimento dei SMBHs all’interno dei nuclei galattici attivi. Cercheremo
in particolare di comprendere se le osservazioni disponibili richiedano o meno che tutte
le galassie attive abbiano una stessa relazione fra luminosità bolometrica intrinseca
e massa della sorgente nucleare. Della distribuzione di massa dei buchi neri galattici descriveremo poi alcuni possibili scenari evolutivi su scala temporale cosmologica.
Tale studio presuppone tuttavia la stima della distribuzione di massa dei buchi neri
super massivi dell’universo locale e la conoscenza della funzione di luminosità degli
AGN entro un intervallo temporale il più ampio possibile. Una prima parte del lavoro
sarà pertanto dedicata alla determinazione degli “ingredienti” indispensabili per una
corretta indagine evolutiva. Si valuteranno infine l’affidabilità ed i limiti del metodo
proposto e la sua capacità di rimuovere la degenerazione fra diversi modelli teorici di
accrescimento.
Nel Capitolo 1 saranno descritti i nuclei galattici attivi e le motivazioni che avvalorano l’ipotesi che al loro interno vi sia un buco nero super massivo in accrescimento.
Viene introdotto il modello unificato attualmente accettato per la struttura degli AGN,
discutendo brevemente le ragioni di una differenziazione osservativa fra le varie classi
di galassie attive e descrivendo le forti evidenze di interazione fra regione centrale e
galassia ospite.
Nel Capitolo 2 si riassumeranno sinteticamente i fondamentali risultati della cosmologia moderna e si darà in particolar modo ragione dello spostamento sistematico degli
spettri misurati (in inglese redshift) come conseguenza di un universo in espansione.
Nel Capitolo 3 cominceremo a descrivere la popolazione di galassie dell’universo
iii
locale. Ipotizzando che tutte abbiano al loro centro un buco nero super massivo,
potremo sfruttare le più recenti stime della funzione di luminosità delle galassie vicine
e l’osservata correlazione fra massa dei buchi neri galattici e luminosità delle regioni
nucleari delle galassie ospiti per determinare la distribuzione di massa dei SMBHs
nell’universo locale.
Il Capitolo 4 è dedicato alla descrizione della distribuzione di luminosità bolometrica di tutti gli AGN osservati fra redshift z = 0 e redshift z = 5, ricavando una più
aggiornata stima della correzione bolometrica, ossia del rapporto fra luminosità bolometrica intrinseca di un AGN e luminosità misurata in alcune particolari finestre dello
spettro elettromagnetico.
Nel Capitolo 5 porremo poi le basi per l’analisi dell’evoluzione cosmologica della
popolazione di AGN, illustrando come, sotto particolari ipotesi semplificative, possa essere utilizzata un’equazione di continuità per descrivere l’evoluzione cosmologica della
distribuzione di massa. Spiegheremo inoltre come poter esprimere questa in funzione della distribuzione di luminosità degli AGN e di una distribuzione di probabilità
strettamente connessa con la dinamica dell’accrescimento.
Nel Capitolo 6 potremo finalmente utilizzare la distribuzione di massa dei SMBHs
locali e la funzione di luminosità degli AGN per ricostruire, con l’ausilio del calcolatore,
l’evoluzione degli AGN sfruttando i risultati teorici del Capitolo 5.
Infine presenteremo le conclusioni di questo lavoro nel Capitolo 7, insieme ad alcuni
dei più promettenti sviluppi futuri.
Capitolo 1
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
Davanti a un ristorante di Dulcea c’è una grande piastra ammazzainsetti
a seimila volt. Ogni moscerino o farfallone che ci sbatte contro crepa, con
un brivido elettrico. Mi è venuto da pensare che nessuna morte, ormai, fa
più rumore di questa. Milioni di moscerini, una fiammata, e amen. Se hai
la fortuna di nascere farfallone, forse si accorgono dei tre secondi in cui
stai morendo.
Baol
Stefano Benni, 1990
Questo capitolo è dedicato ad una sintesi delle principali caratteristiche osservative dei
Nuclei Galattici Attivi e delle interpretazioni teoriche che sono state date per la loro
struttura intrinseca. Inizierò con una breve introduzione sui buchi neri per passare poi
alle prime osservazioni di galassie attive, alle caratteristiche spettroscopiche della radiazione da queste emessa e alla conseguente ipotesi che al loro centro sia presente un buco
nero di massa molto grande (compresa, come vedremo, fra 106 e 1010 M 1 ). Saranno
presentati vari tipi di Nuclei Galattici Attivi (nel seguito spesso denominati AGN, dall’inglese Active Galactic Nuclei ) con caratteristiche spettroscopiche e strutturali molto
diverse fra loro. Si spiegherà dunque come tutte le classi di AGN possano in realtà
essere descritte da un unico modello teorico, detto modello unificato. Le correlazioni
osservate fra galassie attive e relativi AGN porteranno ad introdurre il quadro generale
dell’evoluzione cosmologica delle galassie. Infine si illustreranno sommariamente i me1
La massa solare è M ' 1.99 · 1033 g
2
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
todi di indagine comunemente usati per ricercare e catalogare i nuclei galattici attivi,
ponendo l’accento sulle motivazioni che rendono essenziale un censimento del più alto
numero possibile di AGN per ottenere una migliore comprensione del meccanismo fisico
che ne origina l’emissione.
1.1
Dall’idea originale alla soluzione delle equazioni
di Einstein
Fu l’astronomo dilettante John Michell2 , nel 1783, ad introdurre per primo il concetto
di “stella oscura” (in inglese dark star ), più di un secolo prima della pubblicazione
della Teoria della Relatività. Michell, interpretando la teoria corpuscolare della luce
proposta da Newton, studiò le possibili conseguenze dell’interazione di un fotone con
un campo gravitazionale prodotto da un corpo sferico di massa M e raggio R. Partendo
dall’espressione della velocità di fuga3
r
vf =
dedusse che per una massa limite M• =
c2 R
2G
2GM
R
(1.1)
la velocità di fuga sarebbe stata pari alla
velocità della luce, c. Per corpi di massa superiore ad M• neanche la luce sarebbe stata
in grado di sfuggire all’attrazione gravitazionale e pertanto la stella sarebbe apparsa
“oscura”. Analogamente sarebbe bastato comprimere una qualunque massa entro un
raggio R• =
2GM
.
c2
Michell, in particolare, ricavò che un corpo con densità pari alla
densità solare media (ρ̄ ∼ 1.4 g cm−3 ) sarebbe stato oscuro se avesse avuto un raggio
R• ' 490R e quindi una massa M• ' 1.1 × 108 M .
L’idea, ripresa poi una trentina di anni dopo anche da Laplace4 , ebbe tuttavia
scarso seguito e la ricerca di una conferma osservativa venne comunque interrotta
quando, sulla scia dei successi della teoria ondulatoria, l’interpretazione del fotone come
2
John Michell (1724 – 1793), geologo e astronomo dilettante inglese
G ' 6.67 · 10−8 cm3 g −1 s−2 è la costante di gravitazione universale
c ' 2.998 cm s−1 è la velocità della luce nel vuoto
4
Pierre-Simon Laplace (1749 – 1827), matematico, fisico e astronomo francese
3
1.1 Dall’idea originale alla soluzione delle equazioni di Einstein
3
corpuscolo perse credibilità. Ciò che sorprende è che pur sfruttando la sola dinamica
newtoniana, del tutto inadeguata al problema, sia Michell che Laplace pervennero alla
formula corretta per il raggio di Schwarzschild.
Con la pubblicazione, nel 1915, della Teoria della Relatività Generale si comprese
finalmente come la distribuzione di massa-energia determini univocamente la geometria
dello spazio-tempo e come il moto di un corpo immerso in un campo gravitazionale sia
in realtà descrivibile come una caduta libera lungo una geodetica di uno spazio curvo.
Un’unica equazione tensoriale, nota come equazione di Einstein5 , descrive l’interazione
gravitazionale:
Gµν =
8πG
Tµν
c4
(1.2)
Gµν prende il nome di tensore di Einstein ed è esprimibile come funzione della metrica
dello spazio-tempo, mentre Tµν è il tensore di energia-impulso e racchiude in sé le
informazioni relative alla distribuzione di massa-energia.
Nonostante la semplicità formale, l’integrazione dell’equazione di Einstein è di grande difficoltà, tanto che ad oggi sono note solo poche soluzioni esatte, determinate imponendo stringenti condizioni di simmetria sulla distribuzione di massa-energia. La
prima di queste soluzioni fu trovata appena due mesi dopo la pubblicazione della Relatività Generale: Schwarzschild6 determinò l’espressione del tensore di Einstein per una
distribuzione sferica di massa in assenza di momento angolare e con carica elettrica
nulla. Il primo problema affrontato fu quindi il più semplice caso di interesse astrofisico: l’osservazione astronomica si presentava infatti come banco di prova ottimale
per il confronto fra meccanica newtoniana e meccanica relativistica, dal momento che
è proprio l’interazione gravitazionale l’unica residua su grande scala.
La soluzione di Schwarzschild prevede l’esistenza di un raggio notevole per la distribuzione di massa, detto raggio di Schwarzschild:
rS =
5
6
2GM
c2
Albert Einstein (1879 – 1955), fisico tedesco naturalizzato svizzero e statunitense
Karl Schwarzschild (1873 – 1916), astronomo e astrofisico tedesco
(1.3)
4
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
Si può dimostrare che la superficie sferica definita dal raggio di Schwarzschild, detta
orizzonte degli eventi, divide lo spazio-tempo in due regioni distinte: nella prima, per
distanze superiori ad rS , un fotone è libero di allontanarsi indefinitamente, pur subendo
una deviazione dovuta all’interazione con il campo gravitazionale (l’effetto è detto di
“lente gravitazionale”); nella seconda, la velocità di fuga supera quella della luce e
pertanto anche un eventuale fotone emesso o diffuso in tale regione è impossibilitato
a fuoriuscire. Se la massa M è interamente confinata entro il raggio di Schwarzschild,
dunque, questa apparirà come oscura. Fu comunque solo molto più tardi, nel 1963,
che John Wheeler7 coniò per tali oggetti il nome di “buchi neri” (in inglese black holes,
comunemente abbreviato con BHs).
La soluzione di Schwarzschild definisce il più semplice modello di corpo oscuro,
ma non è l’unica: fra le altre ci limitiamo a citare la soluzione di Kerr8 che, nel
1963, descrisse la metrica indotta da una distribuzione di materia elettricamente neutra
dotata di momento angolare. Questo caso assume notevole interesse astrofisico poiché,
come vedremo, rappresenta una soluzione limite per l’efficienza di accrescimento e
perché, soprattutto, è più realisticamente riconducibile ai modelli di evoluzione stellare.
Già gli studi di Chandrasekhar, Tolman, Oppenheimer e Volkoff9 , negli ultimi anni ’30,
avevano mostrato possibili scenari di formazione di buchi neri durante le fasi di collasso
di stelle di grandi dimensioni. Chandrasekhar, in particolare, riuscı̀ a determinare la
massa limite (Mc ' 1.41 M ) per la stabilità di un sistema autogravitante sostenuto
dalla pressione di un gas degenere di elettroni. Quando in una stella la pressione
di radiazione prodotta dalle reazioni di fusione nucleare non riesce più a sostenere
l’attrazione gravitazionale, ha inizio un rapido collasso che porta all’espulsione di gran
parte della massa della stella originaria. Se la massa iniziale è superiore a ' 8 M , la
massa residua è maggiore della massa limite di Chandrasekhar Mc ed il collasso non
7
John Archibald Wheeler (1911 – 2008), fisico statunitense
Roy Patrick Kerr (1934), matematico neozelandese
9
Subrahmanyan Chandrasekhar (1910 – 1995), fisico, astrofisico e matematico indiano naturalizzato
statunitense
Richard Chace Tolman (1881 – 1948), fisico, matematico e chimico statunitense
Julius Robert Oppenheimer (1904 – 1967), fisico statunitense
George Michael Volkoff (1914 - 2000), fisico canadese
8
1.2 Le prime scoperte
5
riesce a trovare in una nana bianca una configurazione di equilibrio stabile. Ha quindi
inizio il processo di neutronizzazione nel nucleo centrale della stella, mentre gli strati
esterni vengono accelerati da violente onde d’urto e rapidamente espulsi (si osserva
una cosiddetta supernova). Questo è, in estrema sintesi, il processo di formazione di
una stella di neutroni. Anche per una stella di neutroni, tuttavia, esiste una massa
limite, detta limite di Tolman-Oppenheimer-Volkoff (MT OV ' 5 M ), al di sopra della
quale neanche questa configurazione risulta stabile. Il gas degenere di neutroni diviene
relativistico e il collasso procede in modo inarrestabile. Il buco nero rappresenta allora
l’unico scenario possibile, se vogliamo escludere la possibile esistenza di stelle di quarks
e gluoni. Anche in questo caso l’implosione del nucleo della stella è accompagnata
da violente esplosioni degli strati esterni, pertanto la massa del precursore è di alcune
volte superiore a MT OV , approssimativamente pari a 20 ÷ 30 M . Una volta formatosi,
poi, il BH può aumentare indefinitamente la sua massa per accrescimento dalla materia
circostante.
1.2
Le prime scoperte
Una prova dell’effettiva esistenza di questi oggetti doveva essere ricercata non tanto
tramite un’osservazione diretta, del tutto impossibile per definizione, quanto da evidenze indirette: Michell stesso osservò che l’intenso campo gravitazionale poteva essere
rivelato dagli effetti dinamici indotti sulla materia circostante, cosicché, ad esempio, se
si osserva una stella la cui traiettoria non può essere spiegata con la distribuzione di
massa osservabile, deve necessariamente essere ipotizzata una “massa oscura” in grado
di giustificarne il moto. Ovviamente si potrà ragionevolmente supporre la presenza di
buco nero qualora tale massa mancante risulti concentrata in una regione molto piccola
di spazio, confrontabile con il suo raggio di Schwarzschild. Analogamente si potranno
usare le osservazioni condotte su materia diffusa, come polveri o gas in emissione o in
assorbimento. Anche in questo caso l’effetto prodotto da un eventuale buco nero sarà
osservabile unicamente entro una regione molto limitata, detta sfera di influenza, entro
6
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
cui domini il potenziale gravitazionale del BH. Il raggio della sfera di influenza è soliGMBH
tamente definito dalla relazione ris =
, dove σ è la dispersione di velocità della
σ2
popolazione stellare nella regione nucleare di una galassia. Come vedremo il concetto
di sfera di influenza avrà particolare importanza per la rivelazione di BH molto massivi
al centro delle galassie.
Citiamo per completezza un terzo metodo di rivelazione: una delle più promettenti
predizioni della Teoria della Relatività Generale è l’emissione di onde gravitazionali da
parte di sistemi con momento di quadrupolo non nullo. Sistemi binari di oggetti molto massicci, a maggior ragione se inclusivi di BHs, dovrebbero dunque essere intense
sorgenti di onde gravitazionali.
Il primo candidato buco nero fu scoperto all’inizio degli anni ’70 nella costellazione
del Cigno. Venne rivelata una sorgente X, chiamata Cygnus X-1, la cui emissione
poteva essere spiegata unicamente con un sistema binario di una supergigante blu ed
un oggetto compatto, di massa ∼ 10 M , che appariva oscuro. Di per sé tuttavia
la rivelazione di un corpo oscuro di massa considerevole (comunemente denominato
MDO, da massive dark object) non è condizione sufficiente a dedurre la presenza di un
BH. Nel caso di Cygnus X-1, però, la dimensione lineare risolta era sufficientemente
piccola da poter escludere ogni altra possibilità.
A seguire sono state individuate numerose altre sorgenti X nelle quali la radiazione dura
viene prodotta per accrescimento su un buco nero per “cannibalizzazione” di una stella
compagna o di nubi di gas e polveri. Dei buchi neri stellari di origine galattica, ed in
particolar modo di quelli osservati lungo direzioni non complanari al disco galattico, ove
cioè l’assorbimento delle polveri è meno influente, è possibile determinare con relativa
semplicità la massa, che risulta inferiore a 50 M (Cherepashchuk, 2006). Estrapolando
le densità osservate a tutto il disco della galassia si stima che la Via Lattea ospiti circa
108 ÷ 109 buchi neri stellari.
Come abbiamo anticipato precedentemente anche le regioni nucleari delle galassie
sono ritenute ottimali per la formazione di BHs. Le ragioni di ciò sono presto rintracciate: è in corrispondenza del nucleo di una galassia che si ha il picco nella distribuzione
1.2 Le prime scoperte
7
radiale di densità di materia, perciò è ragionevole attendersi una più elevata probabilità di interazione e collisione fra sistemi stellari che possano portare alla formazione
di oggetti sufficientemente massivi da poter degenerare in buchi neri. Per l’elevata
densità di polveri e gas, i bulges si prestano bene a rapidi accrescimenti di massa che
consentano ai “semi” iniziali (in inglese seeds) di evolversi fino a raggiungere masse
ben più ragguardevoli.
Per quanto riguarda la nostra galassia, come descriverò più nel dettaglio nel seguito,
la ricerca di un buco nero super-massiccio (nel seguito SMBH, da super-massive black
hole), è stata condotta stimando le traiettorie degli astri in prossimità della sorgente
centrale, individuata in Sgr A* (fig. 1.1). La massa stimata dalla semplice applicazione
Figura 1.1: Proiezione sul piano del cielo di alcune orbite stellari attorno alla sorgente Sgr
A* (Trippe et al., 2006).
della meccanica newtoniana è pari a 3.6 ± 0.3 · 106 M e risulta confinata entro appena
∼ 10−6 pc3 , come ricavato misurando la distanza al periastro delle stelle più vicine.
8
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
Sottolineiamo che l’ininfluenza di correzioni relativistiche è dovuta al fatto che le orbite
delle stelle più prossime a Sgr A* si svolgono a distanze molto maggiori del raggio di
Schwarzschild. La risoluzione spaziale raggiungibile nel caso della Via Lattea è stata
determinante nell’escludere la possibilità, ad esempio, di ammassi (anche detti clusters)
di stelle di neutroni o di altri oggetti compatti. E’ infatti possibile simulare l’evoluzione
temporale, entro un dato volume, di un insieme di stelle o di altri oggetti compatti.
Data la massa complessiva si trova che la vita media del sistema è determinata dal
volume entro cui gli oggetti sono confinati. Per una massa ∼ 106 M ed un volume di
10−6 pc3 se ne ricava una vita media di gran lunga inferiore alla vita dell’universo10 .
Clusters cosı̀ densi sono quindi da considerarsi altamente instabili e la probabilità di
osservarli è estremamente bassa.
La possibile presenza di buchi neri di massa intermedia (IMBHs), ossia con massa
compresa fra ' 100 e 106 M è ancora oggetto di studio (Mapelli et al., 2006). Si
ritiene che questi possano formarsi in regioni ad alta densità stellare per agglomerazione
(merging) di stelle o BHs di massa inferiore. L’accrescimento su IMBHs potrebbe dare
origine a sorgenti X molto luminose, dette ULXs (da ultra-luminous X-ray sources). La
presenza di IMBHs è ritenuta fondamentale per poter spiegare l’esistenza di SMBHs con
masse superiori a 109 M . In questi casi, infatti, anche supponendo un accrescimento
continuativo per l’intera vita dell’universo, si trova una massa minima del seed di
∼ 103 M . L’individuazione certa di un oggetto di questo tipo è tuttavia ancora una
volta vincolata alla possibilità di risolvere la sfera di influenza del BH, o all’osservazione,
non ancora accertata, di moti relativistici in prossimità di essa.
1.3
Le galassie attive
Carl Seyfert per primo, nel 1943, osservò alcune galassie a spirale con una distribuzione
radiale di brillanza superficiale significativamente diversa da quella fino ad allora riscontrata: la regione centrale appariva molto luminosa in banda ottica e, anzi, talvolta
10
Pari a 1.4 · 1010 yrs, secondo il modello cosmologico attualmente accettato.
1.3 Le galassie attive
9
più luminosa dell’intera galassia ospite: si osservavano punte di 1044 ÷ 1045 erg s−1 a
confronto di una luminosità del disco anche di due ordini di grandezza inferiore.
L’analisi spettroscopica di tali oggetti, poi, rivelava elevati livelli di ionizzazione con
presenza evidente di righe di emissione “proibite” di larghezza11 FWHM ∼ 200 ÷
500 km s−1 e, talvolta, righe permesse con larghezza fino a ∼ 104 km s−1 (fig. 1.2). Lo
spettro di assorbimento era invece caratterizzato da righe di larghezza molto superiore
alla velocità di fuga della regione nucleare. Il nucleo, cioè, appariva emettere non solo
una quantità anomala di energia, ma anche un vento di particelle altamente relativistiche. Fra gli oggetti da lui scoperti Seyfert distinse inoltre due sottoclassi in base alla
larghezza osservata delle righe di emissione permesse: nelle galassie di tipo 1 questa
era compresa fra i 1000 e i 10000 km s−1 , mentre nelle rimanenti, dette di tipo 2, era
inferiore ai 1000 km s−1 (larghezze tipiche sono ∼ 300 ÷ 500 km s−1 ). Le Seyfert1
Figura 1.2: Spettri ottici tipici di galassie di Seyfert: in alto la Seyfert1 NGC 4151 con alcune
evidenti righe larghe di emissione (HeII, Hα, Hβ) e righe strette proibite (OII, OIII ed
N II); in basso la Seyfert2 NGC 4941: le righe larghe non sono visibili, mentre permangono
quelle strette.
rappresentavano circa il 20% del campione e le Seyfert2 il rimanente 80%. Infine le
11
La larghezza, o FWHM (dall’inglese full width half maximum), è in spettroscopia astronomica
espressa solitamente in km s−1 , poiché generalmente associata alla corrispondente larghezza della
distribuzione maxwelliana di velocità delle particelle nella sorgente.
10
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
Seyfert1 presentavano un eccesso di radiazione nel continuo U V − X non spiegabile
con emissioni stellari. In molti casi lo spettro delle regioni nucleari era non-termico ed
il grado di polarizzazione lineare particolarmente elevato.
Pochi anni più tardi, lo sviluppo di nuove classi di rivelatori in grado di indagare
nuove finestre dello spettro elettromagnetico consentı̀ l’osservazione di altre galassie
anomale. Le prime mappe radio portarono alla scoperta delle radiogalassie, cosı̀ denominate per l’enorme luminosità radio della regione centrale (∼ 1044 ÷ 1045 erg s−1
a fronte di ∼ 1039 ergs−1 nelle galassie ordinarie). Queste sorgenti, generalmente con
controparte ottica rintracciata in galassie ellittiche, sono caratterizzate da brevissimi
tempi scala di variabilità, dell’ordine del mese o, in casi estremi, di solo poche ore.
Dalle regioni nucleari apparivano poi sovente fuoriuscire getti relativistici di particelle
con fattori di Lorentz γ ∼ 10 ÷ 100, simmetrici, estremamente collimati e persistenti
fino a ∼ 1 M pc. I fronti d’urto dei getti si manifestavano in forma di giganteschi lobi
radio del volume di centinaia di kpc3 , molto più estesi dell’intera controparte ottica (fig.
1.3). Il caratteristico spettro a legge di potenza (F ∝ ν −α ) e la polarizzazione indica-
Figura 1.3: Mappa radio della radiogalassia Cygnus A ripresa dal VLA a 4.8 GHz. Si nota,
fra i lobi, la presenza di una radiosorgente compatta e dei due getti simmetrici. Per confronto,
è stato sovrapposto un contorno approssimativo della controparte ottica.
1.3 Le galassie attive
11
vano anche in questo caso un’emissione di sincrotrone da gas trasparente (solo a basse
frequenze era osservato un taglio esponenziale) in campi magnetici eccezionalmente
intensi (B ∼ 10−3 ÷ 10−4 G).
Alla fine degli anni ’50 furono rivelate alcune sorgenti radio molto compatte, all’apparenza puntiformi, con un forte eccesso ultravioletto. In queste sorgenti le righe
spettrali apparivano considerevolmente spostate verso il rosso12 . Nell’ipotesi di espansione cosmologica dell’universo (discussa nel prossimo capitolo), l’effetto Doppler13 era
da ricondursi ad una distanza cosmologica della sorgente. I deboli aloni diffusi attorno
alle sorgenti più vicine, e la presenza in alcuni casi, come ad esempio in M87 (fig. 1.4),
di getti, avvalorarono l’ipotesi che in realtà ci si trovasse di fronte a galassie dal nucleo
estremamente brillante, denominate quasars (quasi-stellar radio sources). Lo spettro
Figura 1.4: M87, in un’immagine dell’Hubble Space Telescope
osservato presentava un continuo esteso fino alla banda X o gamma e la polarizzazione
evidenziava un’emissione di sincrotrone da elettroni relativistici con fattori di Lorentz
λobs − λrest
, dove λobs è la lunghezza
λrest
d’onda della riga di emissione di una sorgente in moto rispetto all’osservatore e λrest è la corrispondente
lunghezza d’onda misurata nel sistema di riferimento della sorgente. La relazione è identica a quella
dell’effetto Doppler, ma, come vedremo nel prossimo capitolo, il redshift cosmologico è in realtà una
conseguenza dell’espansione del fattore di scala dell’universo.
13
Johann Christian Andreas Doppler (1803 – 1853), matematico e fisico austriaco
12
Lo spostamento verso il rosso, detto redshift è definito da z =
12
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
∼ 104 . La luminosità radio era piuttosto differenziata (tanto che si distinse fra quasars
radio loud, ossia luminosi nel radio, e radio quiet, più deboli) e la curva di luce, infine,
era rapidamente variabile, analogamente alle radiogalassie. Osservazioni più recenti
hanno tuttavia mostrato come i quasars siano in realtà ospitati in galassie non particolarmente anomale, analogamente a quanto accade nelle Seyfert.
Ad oggi i quasars sono fra le sorgenti più lontane osservate: l’estrema luminosità della
sorgente centrale, che può raggiungere punte di 1048 erg s−1 , ne consente la rivelazione
fino a redshift z = 6.4.
Nonostante la notevole diversificazione osservativa delle sorgenti nucleari fin qui
descritte, sono rintracciabili alcune importanti caratteristiche comuni che ne giustificano l’appartenenza alla classe dei Nuclei Galattici Attivi (o AGN, dall’inglese Active
Galactic Nuclei ):
• innanzitutto gli AGN appaiono come sorgenti estremamente brillanti: coprono
un intervallo di luminosità molto ampio, spaziando da 1038 a 1048 erg s−1 , ma in
quasi tutti la luminosità dell’AGN è dello stesso ordine o di ordine superiore a
quella dell’intera galassia ospite;
• l’enorme quantitativo di energia irraggiata per unità di tempo è emesso da gas
molto caldi (con un picco nella distribuzione spettrale che cade solitamente in
banda ultravioletta o X e quindi con corrispondenti temperature di corpo nero
di 106 ÷ 107 ◦ K) e da plasmi relativistici sotto forma di radiazione non termica e
polarizzata (sostanzialmente per emissione di sincrotrone o per effetto Compton
inverso);
• sono presenti forti campi magnetici (da 10−5 fino a 10−3 G contro, ad esempio i
10−6 G caratteristici della Via Lattea);
• la distribuzione spettrale dell’energia emessa (in inglese SED, da Spectral Energy
Distribution) presenta eccessi (detti anche bumps) nel vicino UV, nell’infrarosso
e nell’X (fig. 1.5);
1.3 Le galassie attive
13
Figura 1.5: SED (Spectral Energy Distribution) tipica di AGN. Si possono notare gli eccessi
in banda IR, UV, X e la diversificazione in bassa frequenza fra galassie radio loud e radio
quiet
• gli AGN sono tipicamente caratterizzati, come abbiamo visto, da un’elevata variabilità: i tempi scala, che in realtà dipendono dalla banda di osservazione,
possono essere anche di solo poche ore, quindi di gran lunga inferiori a quelli di
evoluzione galattica (106 ÷ 107 yrs) e anzi più consueti in eventi stellari esplosivi
(fig. 1.6).
La variabilità fornisce un’indicazione indiretta su quali possano essere le dimensioni
della fonte energetica primaria, anche in quei casi in cui il nucleo galattico non sia
spazialmente ben risolto. Per spiegare come questo sia possibile immaginiamo una
sfera otticamente spessa di raggio R posta ad una distanza d R da un osservatore
ed assumiamo che, nel suo sistema di riferimento, ogni punto della sfera sia raggiunto
nello stesso istante da un impulso luminoso di durata infinitesima originato nel centro S
della sfera stessa (fig. 1.7). L’osservatore posto in O riceverà la radiazione proveniente
dal punto più vicino, P1 , dopo un tempo
t1 =
d−R
c
(1.4)
14
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
Figura 1.6: Curve di luce del quasar 3C 454.3 osservate in banda gamma (0.1 ÷ 300 GeV ),
UV (W1), ottica (B) ed infrarossa (J) da Fermi/LAT, Swift/UVOT e SMARTS. I flussi sono
normalizzati al giorno giuliano JD 2454700 (21 Agosto 2008) e traslati per maggiore chiarezza
(Bonning et al., 2009).
Figura 1.7: Una sorgente sferica si illumina in tutti i suoi punti in uno stesso istante misurato
nel suo sistema di riferimento. Un osservatore, posto in O, vede l’impulso luminoso allargato
per effetto della dimensione estesa della sorgente
mentre la radiazione emessa dai punti più lontani visibili, come P2 , perverrà al tempo
√
d2 − R 2
d
t2 =
'
c
c
(1.5)
1.4 Il modello unificato
15
In altre parole l’impulso luminoso è allargato di una quantità
∆t '
R
c
(1.6)
Questo significa che se ipotizziamo che la variabilità sia originata da eventi fisici causalmente connessi dobbiamo concludere che la sorgente all’interno della quale tali eventi
si verificano sia spazialmente confinata entro una dimensione lineare di
Rmax ' ∆t c
(1.7)
dal momento che dimensioni superiori darebbero origine ad una più limitata variabilità
osservabile. Se quindi la variabilità di un quasar è dell’ordine di un’ora, Rmax è inferiore
a 10 au.
1.4
Il modello unificato
Con poche semplici considerazioni possiamo stimare la massa minima di un corpo compatto necessaria a produrre la luminosità osservata. Consideriamo il caso elementare
di accrescimento radiale stazionario: una massa dM in caduta sul BH converte, come dettato dal teorema del viriale, metà della sua energia potenziale gravitazionale in
energia cinetica. La conseguente accelerazione è causa di irraggiamento. La luminosità prodotta origina una pressione di radiazione, ad essa proporzionale, che contrasta
l’attrazione gravitazionale ostacolando il flusso di ulteriore materia in accrescimento.
Imponendo l’uguaglianza fra la forza di gravità e la spinta repulsiva dovuta alla pressione di radiazione sugli elettroni si ricava una luminosità limite per l’accrescimento,
detta luminosità di Eddington14 :
LE =
4πcGmp
M
M ' 1.3 · 1038
erg s−1
σT
M
(1.8)
mp = 1.67 · 10−24 g è la massa del protone, mentre σT = 6.65 · 10−25 cm2 è la sezione d’urto
Thomson su elettrone
14
16
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
Siccome la luminosità osservata (ad esempio ∼ 1044 erg s−1 ) deve essere necessariamente inferiore, se ipotizziamo una distribuzione angolare uniforme della radiazione
emessa, si ha
−38
M & 0.8 L M · 10
erg
−1
6
s ∼ 10 M 1044
L
erg s−1
(1.9)
Il raggio gravitazionale di Schwarzschild per una tale massa (∼ 1012 cm) risulta confrontabile con quello ricavato dalla variabilità degli AGN di tale luminosità.
Una seconda conferma della presenza di SMBHs all’interno degli AGN si può ottenere
considerando che una stima, rozza ma ragionevole, dell’energia complessivamente emessa da un quasar durante tutto l’arco della sua vita è di ∼ 1061 erg. Supponendo che il
meccanismo di produzione di energia sia la fusione nucleare (con un’efficienza di conversione massa-energia dello 0.7%), analogamente a quanto avviene nelle stelle, dovremo
ipotizzare la presenza di 8 · 108 M confinate entro un volume di ∼ 1043 cm3 come ricavato dalla variabilità nella sorgente. La densità corrispondente è di ∼ 1021 M pc−3
a fronte delle ∼ 108 M pc−3 osservate nei più densi ammassi stellari. Un sistema
tanto denso di stelle ha una vita media irrisoria se confrontata con la vita dell’universo. Occorre quindi assumere, come proposero indipendentemente Salpeter (1964)15 e
Zel’Dovich (1964)16 , l’accrescimento su un SMBH come meccanismo energetico primario, processo di gran lunga più efficiente della fusione nucleare. Per produrre la stessa
quantità di energia, difatti, sarebbe sufficiente un BH di massa 106 M con un’efficienza di conversione massa-energia di ∼ 0.1.
In realtà tale efficienza, detta anche efficienza radiativa ed indicata con r , è ricavabile
dall’energia di legame di una particella che, cadendo da distanza infinita, si posiziona
sull’ultima orbita stabile attorno al BH ed è una funzione del momento angolare del
BH stesso. I valori estremali si ottengono nel caso di un buco nero di Schwarzschild,
per cui l’orbita minima ha raggio rmin = 3rS con conseguente efficienza di r = 0.056,
15
Edwin Ernest Salpeter (1924 - 2008), astrofisico austriaco naturalizzato australiano e poi
statunitense
16
Yakov Borisovich Zel’dovich (1914 – 1987), fisico russo
1.4 Il modello unificato
17
ed un buco nero di Kerr massimamente ruotante ed accrescimento nello stesso verso di
rotazione del BH, nel qual caso si ha rmin = 5/8 rS ed r = 0.42.
La presenza di un SMBH di massa superiore a 106 M al centro delle galassie attive
spiega anche l’osservazione di spettri non-stellari, non ottenibili cioè dalla sovrapposizione di una qualsivoglia popolazione di stelle, e i getti osservati nelle radiogalassie
e in alcuni quasars, estesi per migliaia di anni luce, testimoniano la persistenza della
sorgente in uno stato di momento angolare talmente grande da non essere influenzato
dall’ambiente esterno, come accadrebbe appunto per un SMBH in rotazione.
Viste le numerose analogie fra le galassie attive, il naturale passo successivo è elaborare un modello fisico, detto modello unificato, che esemplifichi gli effetti della presenza
di un buco nero super-massivo nel centro di una galassia e tenti di spiegare la variegata fenomenologia osservata che ha portato storicamente ad una differenziazione nella
classificazione.
Il modello, cosı̀ come attualmente accettato, è schematizzato in fig. (1.8) e prevede la
presenza di un sottile disco di accrescimento in prossimità dell’orizzonte degli eventi
ed esteso fino a distanze dell’ordine di 1/100 pc. Questo è la fonte della maggior parte
della luminosità osservata e si forma per conservazione del momento angolare della materia che va ad accrescere il BH. Parte di tale materia, per viscosità17 , dissipa momento
angolare e spiraleggia sul buco nero.
Ovviamente la luminosità del disco, Ld , dovuta all’accelerazione delle particelle che lo
compongono, è una funzione della distanza dal BH ed è maggiore in prossimità del BH
mentre va ad attenuarsi verso l’esterno. I modelli più recenti mostrano che la forma del
Ld (r)
: per 0.01 < δ < 0.1 il raffreddisco è sostanzialmente dettata dal rapporto δ =
LE
damento radiativo è efficiente ed il disco appare sottile e luminoso; per δ → 1 il disco
diventa molto caldo e la pressione di radiazione sostiene il disco dal collasso causando
un lieve inspessimento; per δ < 0.01, ossia a grande distanza (∼ 1 pc), l’irraggiamento
è meno efficiente ed il disco si gonfia per effetto della pressione degli ioni, frazionan17
Si ritiene che il campo magnetico indotto dalla rotazione differenziale del disco generi un’instabilità
magneto-rotazionale.
18
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
Figura 1.8: Schema del modello unificato degli AGN. Al di sopra ed al di sotto del toro
oscurante sono raffigurate le emissioni tipiche, rispettivamente, di AGN radio loud e radio
quiet.
dosi in parte. In questa regione, spesso rappresentata semplicisticamente in forma di
toro, la temperatura è al di sotto del limite di sublimazione delle polveri, che possono
quindi sopravvivere. Queste ultime assorbono efficacemente la radiazione emessa dal
disco di accrescimento impedendo la ionizzazione del gas esterno al toro nella regione
equatoriale. Nonostante l’emissione primaria sia approssimativamente isotropa, la ionizzazione può dunque avvenire solo all’interno di una regione conica, detta appunto
“cono di ionizzazione”.
Le righe larghe nello spettro di emissione sono attribuite ad una regione, detta appunto
BLR dall’inglese broad line region, situata ad alcuni giorni o settimane luce dal BH.
La radiazione è emessa per ricombinazione in nubi di gas caldo ionizzato dall’intensa
1.5 L’evoluzione degli AGN
19
emissione del disco di accrescimento. La vicinanza al buco nero giustifica la larghezza
delle righe per effetto Doppler. Le righe strette proibite, invece, si originerebbero in
nubi più distanti (10 ÷ 100 pc) e con velocità minori, situate sempre entro il cono di
ionizzazione.
L’angolo fra piano di accrescimento e linea di vista può spiegare la diversificazione
osservativa delle varie classi di AGN: nelle Seyfert2 e negli AGN oscurati l’assenza di
righe larghe è dovuta all’interposizione del toro lungo la direzione di osservazione18
(per questa ragione gli AGN oscurati sono anche detti edge on); Seyfert1 e quasars
sarebbero invece viste lungo direzioni più prossime a quella del momento angolare del
sistema (sono cioè face on). In particolare l’osservazione di getti caratterizzati da moti
superluminali apparenti è motivabile con un’emissione collimata in direzione della linea
di vista.
1.5
L’evoluzione degli AGN
L’osservazione di SMBHs al centro di galassie locali lascia supporre possibile uno scenario evolutivo in cui l’accrescimento abbia inizio su BHs di massa stellare o intermedia
e si manifesti in attività AGN della regione nucleare. Le galassie “normali” potrebbero
dunque ospitare buchi neri super-massicci che non sono più in fase di accrescimento,
o, più ragionevolmente, accrescono cosı̀ poco che l’estinzione della polvere è sufficiente
ad oscurarne l’effetto.
Per esplorare questa possibilità è ovviamente necessario studiare il più ampio numero
possibile di galassie e ricercare, all’interno di ognuna di queste, l’evidenza di un SMBH
misurandone eventualmente massa e caratteristiche spettrali.
18
Una convincente conferma di questa ipotesi si ottiene selezionando la luce polarizzata dallo spettro
di emissione. In questo modo è talvolta possibile, come nel caso di NGC 1068, far “emergere” dal
continuo le righe larghe prodotte da BLRs oscurate.
20
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
1.5.1
La misura della massa dei SMBHs
I metodi per la stima della massa di SMBHs si basano sostanzialmente o sulla dinamica stellare o sull’analisi spettroscopica del gas e delle polveri nella regione nucleare.
Il primo di questi metodi, che è anche stato cronologicamente il primo adottato, ha il
vantaggio di poter essere applicato in tutti i tipi morfologici di galassie (sia le galassie a
spirale che quelle ellittiche, infatti, sono naturalmente caratterizzate da un picco nella
densità stellare in corrispondenza del nucleo); tuttavia, i tempi di osservazione richiesti
per ottenere un buon rapporto segnale/rumore sono particolarmente lunghi. La dinamica stellare si basa, ad ogni modo, sulla misura spettroscopica del profilo di velocità
delle righe di assorbimento stellari e la relativa dispersione. La misura viene eseguita
solitamente operando delle medie sulla popolazione stellare lungo la linea di vista, dal
momento che solo in due casi eccezionali (Via Lattea ed NGC 425819 ) è possibile seguire singole “particelle test” (che, nei due casi, sono rispettivamente stelle e nubi di
gas in emissione maser ). La massa del buco nero centrale è poi ricavata, ad esempio,
dall’equazione di Jeans per sistemi a molti corpi, solitamente approssimando il problema ad una simmetria circolare (Binney & Tremaine, 2008). In ottima approssimazione
è utilizzabile la meccanica newtoniana: ricordiamo infatti che la sfera di influenza è
molto più ampia del raggio di Schwarzschild del BH centrale.
Il metodo della cinematica dei gas, invece, si basa sulla misura delle righe di emissione
nei bulges. Conseguentemente, avrà il pregio di migliori rapporti segnale/rumore a
parità di tempo di osservazione, accompagnato però dall’inconveniente di non essere
applicabile a tutte le galassie. Solo le galassie più brillanti, fra le quali gli AGN sicuramente rientrano, mostrano infatti righe di emissione sufficientemente intense. Le
assunzioni semplificative per la stima del profilo radiale di velocità delle righe di emissione sono in questo caso di nubi indipendenti in orbita circolare con effetti idrodinamici
trascurabili e pressione nulla.
E’ comunque di fondamentale importanza ricordare che ogni osservazione astrono19
In quest’ultimo caso si stimano le velocità radiali di nubi isolate attraverso l’osservazione di righe
maser dell’acqua
1.5 L’evoluzione degli AGN
21
mica è condotta con uno strumento che necessariamente diaframma la luce in ingresso.
Anche nel caso di perfetta geometria e fattura degli strumenti e di ideali condizioni
ambientali di umidità e trasparenza atmosferica (cui spesso ci si riferisce col termine
inglese seeing), l’immagine di una sorgente puntiforme sul piano focale sarà data dalla
convoluzione dell’immagine predetta dall’ottica geometrica con la figura di diffrazione
di Fresnel20 della pupilla di ingresso. Se, come solitamente accade, la pupilla di ingresso
è circolare, l’immagine osservata è dunque una figura di Airy21 . Secondo il criterio di
Figura 1.9: Distribuzione e profilo di intensità della figura di Airy prodotta per diffrazione da
pupilla circolare illuminata da una sorgente puntiforme monocromatica a distanza infinita.
Rayleigh22 si suole definire “risolte” due sorgenti puntiformi qualora il primo minimo
della distribuzione di intensità della seconda sorgente cada in corrispondenza del massimo della figura di Airy osservata per la prima. La distanza angolare minima risolta
è in tal caso definita da:
δ ' 1.22
λ
D
(1.10)
dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione osservata e D è il diametro della pupilla
di ingresso.
La risoluzione è di estrema importanza qualora sia cruciale, come nel nostro caso,
osservare regioni particolarmente limitate come la sfera di influenza di un SMBH in
20
Augustin-Jean Fresnel (1788 – 1827), fisico francese
Sir George Biddell Airy (1801 - 1892), astronomo inglese
22
John William Strutt 3◦ barone di Rayleigh (1842 – 1919), fisico britannico
21
22
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
una galassia lontana: per valori tipici dei raggi di influenza e di distanza possiamo
stimare necessaria una risoluzione angolare di ∼ 0.0500 raggiungibile o con specchi
molto grandi in ottime condizioni di seeing, meglio ancora se supportati da sistemi di
ottica adattiva, o da osservazioni spaziali.
Per confronto, è possibile ricavare in modo semplice una stima dell’angolo con cui è
osservabile la sfera di influenza di un SMBH: supponendo ad esempio che MBH =
108 M , che la dispersione di velocità osservata della popolazione stellare circostante
sia σ = 200 km sec−1 e che la distanza del BH sia d = 20 M pc si ottiene
ris =
GMBH
' 11pc
σ2
⇒
θ'
ris
∼ 0.100
d
(1.11)
Un ulteriore ostacolo all’osservazione, sia in galassie attive che inattive, deriva dal frequente oscuramento dovuto alla presenza di polvere. L’oscuramento rende difficoltosa
o addirittura impossibile la rivelazione di alcune righe di emissione. In particolare, dal
momento che l’efficienza di assorbimento della polvere è minima in banda IR, per galassie con consistente oscuramento di polveri è necessario descrivere il campo di velocità
con spettroscopia infrarossa.
1.5.2
Le relazioni osservate fra SMBHs e galassie ospiti
Ad oggi la misura di massa è stata possibile solo per circa cinquanta SMBHs e prevalentemente in galassie ellittiche o di tipo morfologico S0, secondo la classificazione
di Hubble23 . Inoltre, anche per tali galassie nella maggior parte dei casi la sfera di
influenza del SMBH è solo approssimativamente risolta. Il campione è dunque piuttosto esiguo e le incertezze di misura considerevoli, ma è comunque possibile una stima
approssimativa delle correlazioni che intercorrono fra le caratteristiche di un SMBH e
della relativa galassia ospite o, quantomeno, della sua regione nucleare. E’ evidente,
infatti, non solo che l’accrescimento di un SMBH, e dunque la sua luminosità, sia vincolata alla densità di gas, polveri e stelle, ma viceversa anche che il tasso di formazione
23
Edwin Powell Hubble (1889 – 1953), astronomo e astrofisico statunitense.
1.5 L’evoluzione degli AGN
23
stellare e la stessa densità di materia diffusa siano influenzati fortemente dalla massa
del buco nero e dalla pressione di radiazione da esso generata. Galassia e BH, dunque,
appaiono verosimilmente evolvere insieme, influenzandosi vicendevolmente attraverso
lo scambio di massa ed energia.
Una prima correlazione è osservata fra massa del BH e la dispersione di velocità
delle stelle nello “sferoide” (ossia nel bulge nel caso di una galassia a spirale e nell’intera
galassia nel caso di una ellittica)24 :
log
MBH
M
= (8.12 ± 0.08) + (4.24 ± 0.41) log
σ
200 km s−1
(1.12)
cioè
MBH ∼ σ 4.24
(1.13)
In questa relazione l’esponente ha un preciso significato fisico: è possibile ricavare che
qualora il suo valore sia prossimo a 4, l’accrescimento è limitato dal flusso di massa su
BH; se invece α ' 5 si ha un accrescimento autolimitato dalla pressione di radiazione,
con una luminosità emessa vicina alla luminosità di Eddington.
La seconda correlazione riguarda la massa del BH e la luminosità dello sferoide: in
questo caso si osserva
log
MBH
M
= (8.95 ± 0.11) + (1.11 ± 0.18) log
LV
11
10 L ,V
(1.14)
dove L ,V ed LV sono rispettivamente la luminosità solare e della sorgente osservate
in banda V .
Osserviamo che ciascuna di queste correlazioni suggerisce la presenza di una relazione fra la massa del BH e la massa dello sferoide: per ciascuna stella dello sferoide si
ha che la luminosità emessa dipende dalla sua massa e dunque la luminosità totale è
24
I valori numerici che quantificano queste correlazioni sono frequentemente aggiornati, come avremo
modo di descrivere nel dettaglio nei capitoli seguenti. A titolo di esempio, nel seguito saranno riportati
i risultati di Gültekin et al. (2009)
24
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
funzione della massa complessiva dello sferoide; inoltre la dispersione di velocità è data
dall’energia cinetica media delle stelle dello sferoide, che a sua volta è dovuta al potenziale gravitazionale dominato dalla massa del SMBH. La correlazione MBH − Msph
è infatti osservata:
MBH ∼ 10−3 Msph
(1.15)
E’ chiaro che lo scarso numero di misure effettuate influisce pesantemente sulla
dispersione intrinseca delle correlazioni. Nuove misure di massa di altri SMBHs consentirebbero di comprendere più a fondo il meccanismo di evoluzione e di coabitazione
dei BHs nelle relative galassie ospiti, vincolando in modo più stringente le attuali teorie
evolutive.
1.5.3
Le surveys e l’evoluzione dei SMBHs
Quanto fin qui esposto dovrebbe aver chiarito l’importanza di un censimento delle galassie ed in particolare di quelle attive. Una valida mappa (in inglese survey) degli AGN
dovrebbe poter conteggiare con la stessa efficienza tutti i tipi morfologici di galassie a
qualunque grado di oscuramento. La presenza inevitabile di un contributo significativo
di galassie che, pur attive, sono talmente oscurate da non poter essere riconosciute
come tali è una delle maggiori fonti di errore sistematico sulla stima delle correlazioni
fra SMBHs e galassie ospiti e sulla determinazione dei parametri che descrivono l’evoluzione degli AGN su scala temporale cosmologica.
La pubblicazione di nuovi cataloghi di AGN è inoltre resa più difficoltosa dai lunghissimi tempi di esposizione necessari per mappare l’intera sfera celeste con buoni rapporti
segnale/rumore.
La costruzione di telescopi sempre più grandi, la scelta di siti astronomici sempre più
vicini alle condizioni ideali, lo sviluppo di rivelatori e di elettronica di supporto sempre
più efficienti e precisi e l’elaborazione di tecniche osservative nuove sono tutti aspetti
fondamentali per una migliore osservazione del cielo profondo. Negli ultimi vent’anni
le surveys si sono moltiplicate ed il numero di AGN scoperti, in continua crescita, ha
1.5 L’evoluzione degli AGN
25
Figura 1.10: Immagine del cielo profondo (ultra deep field ) ripresa dall’Hubble Space Telescope
con ACS (Advanced Camera for Surveys). A fianco, alcune delle galassie più lontane. Nasa,
Esa & GOODS team, 2006.
già superato le centomila unità (Véron-Cetty & Véron, 2006).
Delle galassie osservate, una significativa frazione, dell’ordine del 15% (rilevata
prevalentemente grazie a surveys in banda X), risulta in attività AGN e di queste si
osserva un picco di densità numerica per redshift compresi fra 2 e 3. Come vedremo
nel prossimo capitolo, e come già più volte anticipato, è possibile far corrispondere ad
ogni redshift un’epoca di evoluzione cosmologica, pervenendo cosı̀ ad una distribuzione
temporale non uniforme di AGN. Questa avvalora l’ipotesi che le galassie attive non
abbiano caratteristiche peculiari, ma siano viceversa in una particolare fase della loro
evoluzione, fase in cui il rapido accrescimento dei SMBHs si manifesti in attività AGN
della regione nucleare. In quest’ottica lo studio degli AGN più lontani, i quasars, è un
fondamentale strumento per comprendere come l’universo apparisse miliardi di anni
fa, e far luce sulle prime fasi di formazione delle galassie.
Da una interpretazione evolutiva dell’attività AGN, si comprende anche una possibile ragione della presenza di SMBHs in galassie ordinarie dell’universo locale: con-
26
Buchi neri e Nuclei Galattici Attivi
siderando un’efficienza di conversione massa-energia r ∼ 0.1, per luminosità tipiche
osservate di 1045 erg s−1 si ottiene che accrescimenti continuativi per 107 ÷ 108 yr,
dunque per tempi molto minori della vita dell’universo, sono sufficienti per formare
SMBHs di massa confrontabile con quella dei buchi neri super-massicci dell’universo
locale. Quelli osservati nelle galassie inattive potrebbero essere dunque i residui ormai
“spenti”, detti anche relics, di una precorsa attività AGN arrestatasi, coerentemente
con le correlazioni osservate, non appena la massa del SMBH avesse raggiunto il valore
di circa un millesimo della massa dello sferoide. In tali condizioni la luminosità emessa
sarebbe stata cosı̀ intensa da allontanare dallo sferoide gas e polveri, rallentando in
modo sostanziale l’accrescimento e la formazione stellare.
Capitolo 2
Il modello cosmologico standard
In a sense each of us has been inside a star; in a sense
each of us has been in the vast empty spaces between the
stars; and - if the universe ever had a beginning - each of
us was there!
Astrophysical Concepts
Martin Harwit, 1988
In questo capitolo è descritto in estrema sintesi il modello cosmologico adottato. Si
illustrano brevemente le osservazioni chiave che hanno portato alla formulazione di
teorie cosmologiche e si definiscono i parametri che descrivono l’evoluzione geometrica
dell’universo. Esula dalle intenzioni di questo lavoro di tesi lo studio delle fasi evolutive
precedenti alla formazione delle strutture, pertanto verranno tralasciati gli aspetti critici del modello come le implicazioni, pur importanti, della quasi perfetta omogeneità
osservata nella radiazione cosmica di fondo.
2.1
L’esigenza di una teoria cosmogonica
La formulazione di una teoria descrittiva della struttura e dell’evoluzione dell’universo deve necessariamente fondarsi sul cosiddetto Principio Cosmologico, secondo cui la
28
Il modello cosmologico standard
posizione dell’osservatore non offre una visione peculiare della struttura spaziale media
dell’universo stesso. Inoltre è inevitabile basare il modello su una teoria della gravitazione, dal momento che, come già ricordato, l’interazione gravitazionale è l’unica che
agisce su grande scala. Le forze nucleari hanno infatti un raggio d’azione dell’ordine del
Fermi1 , mentre l’interazione elettromagnetica è in massima parte schermata: i sistemi
astrofisici osservati sono infatti globalmente quasi neutri. La teoria della Relatività
Generale, tuttavia, non offre di per sé predizioni sull’evoluzione temporale dell’universo: nel 1917 de Sitter2 presentò un modello di universo in espansione come soluzione
delle equazioni di Einstein, ma fu lo stesso Einstein a mostrare che l’introduzione di
un parametro libero aggiuntivo, la cosiddetta “costante cosmologica”, era sufficiente a descrivere un universo statico. La soluzione al dibattito doveva essere ricercata
nell’osservazione.
La più semplice osservazione di carattere cosmologico è che il cielo, di notte, appare mediamente buio. Questa banale considerazione, nelle ipotesi di universo eterno,
infinitamente esteso e popolato da una densità costante di stelle è all’origine del noto paradosso di Olbers3 (già proposto, in realtà, da Keplero nel 1610 ed ampiamente
discusso nel XVIII secolo). In queste condizioni, infatti, una qualunque direzione di
osservazione dovrebbe coincidere con la linea di vista di un astro, ogni guscio sferico di
spessore infinitesimo dovrebbe contribuire in egual misura al flusso misurato ed il cielo
dovrebbe apparire uniformemente illuminato.
Il paradosso ovviamente non sussiste se si assume invece che la densità di stelle, cosı̀
come la luminosità osservata, diminuisca al crescere della distanza4 . Vedremo come un
universo di vita finita ed in espansione sia in grado di riprodurre correttamente questo
effetto.
Nel 1922 Hubble mostrò, con l’osservazione di M31, la presenza di galassie esterne e ne
1 f m = 10−13 cm
Willem de Sitter (1872 – 1934), matematico, fisico e astronomo olandese
3
Heinrich Wilhelm Matthäus Olbers (1758 – 1840), fisico e astronomo tedesco.
4
Una seconda possibilità è che le costanti fondamentali varino nel tempo. La formazione stellare
in una nube è infatti vincolata al bilancio fra pressione ed attrazione gravitazionale, proporzionale
alla costante G. Se G varia nel tempo, variano dunque verosimilmente le condizioni di ignizione dei
processi di fusione.
1
2
2.1 L’esigenza di una teoria cosmogonica
29
avviò lo studio sistematico degli spettri. Sette anni più tardi egli stesso presentò l’evidenza osservativa che, in un campione di diciotto galassie, tutte le righe negli spettri
ottici in assorbimento apparivano spostate sistematicamente verso il rosso. Si indica
comunemente con redshift (z) la variazione relativa della lunghezza d’onda osservata
rispetto a quella misurata in laboratorio nel sistema di riferimento della sorgente,
z=
λo − λe
,
λe
(2.1)
Hubble interpretò questo spostamento come dovuto all’effetto Doppler da sorgenti in
allontanamento e, mettendo in relazione la corrispondente velocità di recessione con la
distanza misurata per gli ammassi, ne ricavò la nota legge di proporzionalità5 :
v = z · c = H0 · D
(2.2)
La costante H0 , detta costante di Hubble, è spesso espressa in unità di 100 km s−1 M pc−1 :
H0 = h · 100 km s−1 M pc−1
(2.3)
dove, come vedremo, h ∼ 0.7.
Un’ultima osservazione cruciale fu quella di Penzias & Wilson (1965)6,7 , che rilevarono
nelle microonde la presenza di una radiazione (nel seguito CMB, da Cosmic Microwave Background ) quasi isotropa e perfettamente descrivibile con l’emissione di un corpo
nero alla temperatura T = 2.725 ± 0.001 ◦ K. Una tale radiazione di fondo era stata
prevista nel 1948 da Gamow8 , Alpher9 ed Herman10 , anche se con temperatura caratteristica sovrastimata, come residuo del raffreddamento dovuto all’espansione adiabatica
di un universo inizialmente molto caldo e denso.
5
L’andamento è considerabile lineare in realtà solo per galassie vicine: per sorgenti sufficientemente
lontane, infatti andrebbe apportata l’opportuna correzione relativistica
6
Arno Allan Penzias (1933), fisico statunitense
7
Robert Woodrow Wilson (1936), un astronomo e fisico statunitense
8
Georgiy Antonovich Gamov (1904 - 1968), fisico russo naturalizzato statunitense
9
Ralph Asher Alpher (1921 – 2007), fisico statunitense
10
Robert Herman (1914 - 1997), fisico statunitense
30
2.2
Il modello cosmologico standard
La metrica di Robertson-Walker e le equazioni
di Friedman
La descrizione geometrica dello spazio-tempo introdotta con la Teoria della Relatività
offre una seconda interpretazione della legge di Hubble (2.2): la recessione delle galassie
è di fatto indistinguibile da una variazione di scala dell’universo. Se immaginiamo che
una qualunque misura di lunghezza L sia in realtà una funzione del tempo e varii in
modo proporzionale ad una lunghezza di riferimento a(t) detta “fattore di scala”, si ha
che, ad un certo istante t, L (t) può essere espressa in funzione delle misure al tempo
t0 :
L (t) = L (t0 )
a(t)
a(t0 )
(2.4)
Derivando questa relazione rispetto al tempo e ricordando la (2.2) otteniamo che la
legge di Hubble può essere spiegata in soli termini geometrici:
ȧ(t)
L˙ (t) = v(t) =
· L (t) = H(t)L (t)
a(t)
(2.5)
Allo stesso modo si trasforma la lunghezza d’onda di un fotone, spiegando cosı̀ anche
il redshift osservato senza ricorrere all’effetto Doppler:
z=
λo − λe
λo
a(to )
=
−1=
−1
λe
λe
a(te )
(2.6)
La dipendenza temporale del fattore di scala impone una forma dell’intervallo spaziotemporale del tipo:
ds2 = c2 dt2 − a2 (t)gik dxi dxk
(2.7)
dove gik è il tensore metrico e xi è la i-esima coordinata spaziale.
Si può poi dimostrare che l’ipotesi di omogeneità dell’universo, derivata dal Principio Cosmologico e dall’isotropia osservata su larga scala, vincola in modo stringente
2.2 La metrica di Robertson-Walker e le equazioni di Friedman
31
la struttura del tensore metrico: Robertson11 e Walker12 dimostrarono in particolare
l’esistenza di tre sole soluzioni possibili, corrispondenti rispettivamente ad una metrica piatta, ellittica o iperbolica, riassumibili in un’unica forma, nota come metrica di
Friedman13 -Lemaı̂tre14 -Robertson-Walker:
2
2
2
2
ds = c dt − a (t)
dr2
+ r2 dΩ2
2
1 − kr
(2.8)
dove r è la coordinata radiale, dΩ è l’elemento di angolo solido e k, detta “curvatura
gaussiana”, è il paramentro che discrimina i tre casi:


−1 metrica iperbolica



k=
0
”
piatta (euclidea)




1
”
ellittica
(2.9)
Dalla forma (2.8), ricordando che per un fotone ds ≡ 0, si può riottenere con una
semplice integrazione la (2.6).
A partire dalla metrica è possibile ricavare i relativi simboli di Christoffel15 e da
questi ottenere il tensore di curvatura di Einstein, che rappresenta il primo membro
dell’equazione (1.2). Approssimando la struttura su larga scala dell’universo a quella
di un fluido perfetto, il tensore di energia-impulso assume la forma
Tµν = (P + ρc2 )uµ uν − P gµν
(2.10)
dove P rappresenta la pressione, ρ è la densità di massa-energia dell’universo e uµ la
µ-esima componente della quadri-velocità di un elemento di fluido.
Se adottiamo un sistema di riferimento di coordinate comoventi, ossia per le quali
dxi
= 0, con τ tempo proprio, si ha che l’unica componente non nulla di uµ è u0 = c.
dτ
11
Howard Percy Robertson (1903 - 1961), matematico e fisico statunitense
Arthur Geoffrey Walker (1909 - 2001), matematico inglese
13
Aleksandr Aleksandrovič Fridman (traslitterato in Friedman o Friedmann) (1880 – 1925),
cosmologo e matematico russo
14
Georges Henri Joseph Édouard Lemaı̂tre (1894 – 1966), fisico belga
15
Hendrik Christoffel van de Hulst (1918 – 2000), astronomo e matematico olandese
12
32
Il modello cosmologico standard
Questa condizione fornisce una prima equazione scalare, mentre le altre tre componenti
spaziali restituiscono, data l’omogeneità imposta, un’unica seconda equazione scalare:

8πG 2 2

2
2

(ρc )a (t)
 ȧ (t) + kc =
3c2

4πG


ä
= − 2 (ρc2 + 3P )a
3c
(2.11)
E’ immediatamente verificabile che queste equazioni, che prendono il nome di equazioni
di Friedman, non prevedono la possibilità di un universo statico, motivo che indusse
Einstein a proporre l’introduzione della costante cosmologica Λ, ridefinendo il tensore
Gµν come
Gµν → Gµν + c2 Λgµν
(2.12)
In questo modo le equazioni (2.11) devono essere corrette da un termine additivo di
pressione:

4
Λc
8πG

2
2
2
2


 ȧ (t) + kc = 3c2 ρc + 8πG a (t)
4

4πG
Λc

2


ä
= − 2 ρc + 3P −
a
3c
4πG
(2.13)
Λc2
Definendo la densità ρΛ =
, vediamo allora che l’introduzione della costante co4πG
smologica corrisponde a postulare l’esistenza di una sorgente di energia non strutturata,
detta “energia oscura”, che obbedisca alla legge di stato
PΛ = −ρΛ c2
(2.14)
Un valore positivo e diverso da zero della costante cosmologica definisce un termine di
pressione che favorisce l’espansione dell’universo, come si può facilmente verificare ricavando dalle (2.13) l’andamento del fattore di scala nel caso limite di una distribuzione
di energia data dal solo contributo di energia oscura.
2.3 La risoluzione delle equazioni di Friedman
2.3
33
La risoluzione delle equazioni di Friedman
Per poter risolvere le equazioni di Friedman è necessario conoscere la legge di stato
dell’universo ossia una relazione fra la pressione e la densità di massa-energia. La
forma parametrica
P = wρc2
(2.15)
descrive, al variare di w, alcuni sistemi notevoli, riassunti nella tabella (2.1).
Tabella 2.1: Alcuni casi notevoli per l’equazione di stato dell’universo e relativa composizione
predominante
w
P
Struttura dell’universo
0
0
sola polvere
1
3
1 2
ρc
3
fotoni e particelle ultra-relativistiche
1
ρc2
universo rigido
−1
−ρc2
energia oscura
kB T
mc2 + 23 kB T
kB T
ρc2
mc2 + 32 kB T
gas non relativistico a temperatura T
E’ utile esprimere la densità di massa-energia dell’universo in rapporto ad una
densità scala, che chiamiamo “densità critica”, definita da
ρc =
3H02
' 1.88 · 10−29 h2 g cm−3
8πG
(2.16)
Esprimendo ρ come somma dei contributi di materia, ρm , e radiazione, ρr , potremo
cosı̀ definire i rispettivi parametri di densità
Ωm =
8πGρm
ρm
=
ρc
3H02
;
Ωr =
ρr
8πGρr
=
ρc
3H02
(2.17)
34
Il modello cosmologico standard
Analogamente si avrà il parametro di densità di energia oscura:
ΩΛ =
ρΛ
8πGρΛ
=
ρc
3H02
(2.18)
Il significato della densità critica si comprende ricavando dalla prima delle (2.13) il
valore di kc2 (che, essendo una costante, definisce una legge di conservazione): si trova
cosı̀, ricordando la (2.5), che


−1 ⇔ ρ + ρΛ < ρc



k=
0
⇔ ρ + ρΛ = ρc




1
⇔ ρ + ρΛ > ρc
(2.19)
La curvatura dell’universo è dunque dettata dal valore della densità complessiva di
massa-energia ed energia oscura rispetto alla densità critica. In altre parole, detto
ΩT = Ωm + Ωr + ΩΛ , la prima equazione di Friedman può anche essere scritta come
− kc2 = H02 a20 (1 − ΩT,0 )
(2.20)
(dove i pedici “0 ” indicano che le quantità sono misurate nell’epoca attuale) e si ricava
quindi che il segno di (1 − ΩT,0 ) determina la curvatura dell’universo:
ΩT,0 < 1 ⇒ k = −1
(2.21)
ΩT,0 = 1 ⇒ k = 0
ΩT,0 > 1 ⇒ k = 1
Sfruttando infine le equazioni di stato riassunte in tabella (2.1) per materia non relativistica, ultra-relativistica ed energia oscura si può ricavare, a partire dalle (2.13) dopo
alcuni semplici passaggi algebrici, l’evoluzione temporale del parametro di scala:
"
(ȧ)2 = H02 a20 Ωr,0
a 2
0
a
+ Ωm,0
a 0
a
+ ΩΛ,0
a
a0
#
2
+ (1 − ΩT,0 )
(2.22)
2.3 La risoluzione delle equazioni di Friedman
35
Si vede quindi come per comprendere l’evoluzione globale dell’universo sia sufficiente, in
questo modello, determinare osservativamente il valore numerico attuale dei parametri
di densità e della costante di Hubble.
Senza scendere nel dettaglio di come queste stime siano realizzate, basterà per gli scopi
del presente lavoro, fornire i valori più recenti accettati (Tegmark & other 46 authors
2004, tabella 5):
h = 0.66+0.07
−0.06
Ωm,0 = 0.32+0.06
−0.05
(2.23)
ΩΛ,0 = 0.695+0.03
−0.04
ΩT,0 = 1.01 ± 0.02
Notiamo che ΩT,0 è consistente con 1 e dunque la curvatura dell’universo è consistente
con 0. Dalla temperatura della CMB è possibile ricavare il contributo di radiazione,
che risulta del tutto trascurabile (' 5.3 × 10−5 ). Si nota allora come le componenti
dominanti siano quelle di materia ed energia oscura.
E’ fondamentale ricordare poi che la densità di materia include in sé il contributo della
materia barionica visibile e della materia oscura, introdotta come “massa mancante”
indispensabile per giustificare l’andamento osservato delle curve di velocità delle galassie a spirale a grande distanza dal bulge. La composizione della materia oscura è
piuttosto variegata: una percentuale di circa il 15% si ritiene sia di natura barionica
(stelle di neutroni, nane brune e buchi neri di origine stellare), mentre la parte rimanente, di natura non-barionica sarebbe costituita da neutrini (∼ 3%) e particelle non
relativistiche (CDM, da Cold Dark Matter ) che interagiscono solo gravitazionalmente
(∼ 82%)16 .
Dall’integrazione della (2.22) si ottiene che il modello standard prevede un’origine per
la scala dei tempi17 in cui il fattore di scala assume valore nullo e la densità diventa
infinita (il noto Big Bang). Tali condizioni sono però da considerarsi molto oltre i limiti
16
Si suole spesso indicare il modello cosmologico standard con il nome ΛCDM evidenziando le
componenti maggioritarie della densità di massa-energia (energia oscura e materia oscura “fredda”).
17
Il tempo misurato a partire dall’istante del Big Bang è anche detto “tempo di Hubble” ed è da
intendersi come tempo proprio di un “osservatore fondamentale”, ossia un osservatore per cui valga il
Principio Cosmologico.
36
Il modello cosmologico standard
di validità del modello di Friedman, che possono essere fissati a densità dell’ordine delle
densità nucleari (∼ 1015 g cm−3 ), corrispondenti a tempi di ∼ 10−10 s dall’istante del
Big Bang (ossia a z ' 1014 ).
L’emissione della radiazione cosmica di fondo è da far risalire al disaccoppiamento fra
materia e radiazione avvenuto a redshift z ∼ 1000 a seguito del raffreddamento dell’universo primordiale fino a temperature sufficienti a consentire la formazione delle prime
strutture atomiche.
Derivando la (2.22) rispetto al tempo si può notare come, in una prima fase evolutiva, l’andamento del fattore di scala sia stato dominato dal termine di radiazione; poi,
per redshift inferiori a z ∼ 3.5 · 103 il contributo predominante sia diventato quello di
materia, finché, a z ' 0.7 ha iniziato a predominare il termine di energia oscura.
L’evoluzione della distribuzione di materia è simulabile a partire dall’epoca di ricombinazione seguendo l’interazione gravitazionale di una distribuzione di massa quasi
uniforme (sostanzialmente materia oscura fredda), caratterizzata da fluttuazioni di
δρ
∼ 10−3 . Redensità di ampiezza confrontabile con quella osservata nella CMB
ρ
centi simulazioni (Springel et al., 2005) hanno confermato la formazione di strutture
complesse simili a galassie a tempi compatibili con le osservazioni. Le stesse simulazioni suggeriscono di collocare l’epoca di formazione dei primi quasars intorno a redshift
z ∼ 16.
Capitolo 3
La distribuzione di massa dei Buchi
Neri Super Massivi locali
Dark revolving in silent activity,
Unseen in tormenting passions,
An activity unknown and horrible,
A self-contemplating shadow
In enormous labours occupied.
The first book of Urizen
William Blake, 1794
Con questo capitolo ha inizio la parte originale di questo lavoro di tesi. Ricaveremo
la distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi nell’universo locale (ossia con
redshift cosmologico z < 0.1) sfruttando i più recenti dati disponibili. Tale distribuzione
verrà utilizzata per vincolare l’evoluzione cosmologica dei Nuclei Galattici Attivi.
Come già osservato, i tempi scala di evoluzione galattica (∼ 108 ÷ 109 yr) sono tali
da rendere impossibile ogni osservazione diretta di variazioni temporali nella morfologia di una galassia (luminosità e forma complessiva; massa, luminosità e dispersione di
velocità stellare nello sferoide) o nella massa di un eventuale SMBH al suo centro. Si
può tuttavia studiare la popolazione di galassie nel suo insieme e, con un certo numero
38
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
di assunzioni, ricavarne distribuzioni utili a vincolare i modelli teorici di struttura ed
accrescimento dei buchi neri super massivi.
L’idea su cui si fondano i modelli di evoluzione cosmologica è immediatamente comprensibile se si considera che ogni guscio sferico centrato sul nostro punto di osservazione,
di raggio medio corrispondente ad un certo redshift z e di spessore infinitesimo dz 1 ,
seleziona un insieme di galassie attive caratterizzate da una propria distribuzione di
massa e di luminosità e la cui luce rivelata è stata emessa ad una particolare epoca
t(z)2 .
Detto dt l’intervallo temporale corrispondente all’intervallo di redshift dz, si assume
dunque che la popolazione osservata a redshift z fosse, al tempo t(z) − dt, distribuita
nel piano massa-luminosità cosı̀ come descritto dalla funzione di massa e di luminosità corrispondenti al redshift z + dz. La variazione nelle distribuzioni è attribuita
in massima parte al processo di accrescimento dei SMBHs. Sotto queste ipotesi, si
comprende allora come sia possibile “seguire” passo-passo l’evoluzione cosmologica dei
Nuclei Galattici Attivi.
In questo lavoro intendiamo studiare l’evoluzione degli AGN entro un ampio intervallo di redshift (z ∈ [0; 5]). A questo proposito è ovviamente necessaria una condizione
iniziale, data da un insieme di oggetti dalle caratteristiche fisiche note ad una certa
epoca cosmologica. Sono due, quindi, i possibili approcci “naturali”: si può considerare, come condizione iniziale, una certa popolazione di SMBHs attivi ad alto redshift e
seguirne l’accrescimento concordemente alla freccia del tempo fino all’epoca cosmologica attuale (nel seguito questo procedimento sarà indicato come modello T ); oppure,
viceversa, si può partire dall’osservazione dell’universo locale per poi risalire alla struttura dell’universo ad alto redshift (nel seguito, modello Z ). Nel primo caso è possibile
vincolare la condizione iniziale alla densità di galassie predetta dai modelli di evoluzione dell’universo primordiale fino all’epoca di formazione delle strutture. Nel secondo,
invece, la condizione iniziale è fornita dall’osservazione delle galassie più vicine, ove le
1
2
La corrispondenza biunivoca fra redshift e distanza è fissata dalla legge di Hubble (2.2)
In questo lavoro sarà sempre assunto, come origine della scala dei tempi, l’istante del Big Bang.
3.1 Metodo adottato
39
stime di massa dei SMBH sono più accurate e gli effetti di selezione dovuti all’estinzione della radiazione sono meno influenti.
In entrambi i casi, poi, l’evoluzione dovrà riprodurre correttamente la distribuzione di
luminosità degli AGN osservata ad ogni redshift.
In questo lavoro sono stati sviluppati gli strumenti per indagare entrambi gli approcci,
assumendo implicitamente che ogni galassia contenga nella sua regione nucleare un
SMBH e che questo sia il residuo di fasi di accrescimento verificatesi in massima parte
durante cicli di attività AGN, a partire da buchi neri iniziali (seeds) di massa stellare o
intermedia. Questa ipotesi risulta fondamentale per poter confrontare la distribuzione
di massa dei relics con la funzione di massa dei SMBHs locali ricavata in questo capitolo
e per poter quindi derivare, come vedremo, alcuni parametri globali che massimizzino
l’accordo fra le due distribuzioni.
3.1
Metodo adottato
La procedura più corretta per la determinazione della distribuzione di massa dei SMBHs
(spesso abbreviata con BHMF, da [Supermassive] Black Hole Mass Function) nell’universo locale richiederebbe una stima diretta di massa su un campione numeroso di
galassie con sfera di influenza del buco nero centrale spazialmente risolta. Ciò non
è purtroppo possibile con la strumentazione ad oggi disponibile: come abbiamo già
ricordato le masse stimate direttamente sono appena una cinquantina e la conseguente
indeterminazione nella distribuzione sarebbe ragguardevole. Il metodo finora adottato,
piuttosto ricorrente in letteratura (Salucci et al. 1999, Yu & Tremaine 2002, Aller &
Richstone 2002, Marconi et al. 2004, Shankar et al. 2004) utilizza osservazioni più semplici, come la distribuzione di luminosità o di dispersione di velocità nei bulges, unita
alle opportune correlazioni fra massa del BH e grandezza fisica osservata.
In questo studio useremo in particolare le più recenti stime per le distribuzioni di luminosità degli sferoidi nelle galassie vicine (fornite da Nakamura et al. 2003 e Devereux
et al. 2009) e le più aggiornate correlazioni MBH − Lbul (ricavate da Graham 2007 e
40
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
Gültekin et al. 2009), migliorando cosı̀ i risultati fino ad oggi pubblicati.
E’ a questo proposito da osservare come le correlazioni BH-galassia siano caratterizzate da una significativa dispersione intrinseca che impedisce una semplice corrispondenza biunivoca, ad esempio, fra luminosità del bulge e massa del BH. Assunta una
correlazione MBH − Lbul lineare in logaritmo3 , del tipo
log mbh = a + b log lbul,β
(3.1)
(dove mbh rappresenta la massa del BH in unità di massa solare ed lbulge,β è invece la
luminosità del bulge misurata in una generica banda β ed espressa in unità di luminosità
solare nella stessa banda) avremo che la dispersione intrinseca di tale correlazione è
esprimibile in termini di una probabilità condizionata P (log mbh | log lbul,β ). Se, per una
data luminosità, i valori di massa sono distribuiti normalmente, sempre in logaritmo,
attorno al valore predetto dalla correlazione, la probabilità che la massa del BH sia
compresa fra log mbh e log mbh + d log mbh è
P (log mbh | log lbul,β ) d log mbh =
"
2 #
1 log mbh − a − b log lbul,β
1
exp −
d log mbh
=√
2
∆m
2π∆m
(3.2)
dove ∆m è la misura della dispersione intrinseca. Nel caso banale di una dispersione
nulla, la precedente si riduce ovviamente ad una delta di Dirac e la distribuzione di
massa, definita come numero di BH di massa compresa fra log mbh e log mbh + d log mbh
nell’elemento di volume comovente dV , è data da
f (log mbh ) =
3
dN
=φ log lbul,β log m =a+b log l
bh
bul,β
d log mbh dV
dN
=
d log lbul,β dV log mbh =a+b log lbul,β
(3.3)
qui come nel seguito si userà la dicitura log per indicare il logaritmo in base 10, mentre ln sarà il
logaritmo in base naturale.
3.1 Metodo adottato
41
dove φ(log lbul,β ) indica la funzione di luminosità dei bulges. Più in generale, invece,
la BHMF sarà il risultato di una convoluzione fra funzione di luminosità e probabilità
condizionata:
Z
P (log mbh | log lbul,β ) φ(log lbul,β ) d log lbul,β
f (log mbh ) =
(3.4)
Una dispersione non nulla ha una diretta influenza sulla forma della funzione di massa
risultante, come è possibile dedurre da una stima della densità di massa dei SMBHs
(Yu & Tremaine 2002, Marconi et al. 2004). Questa è definita da
+∞
Z
ρbh =
mbh f (log mbh ) d log mbh
(3.5)
−∞
Nel caso limite di dispersione intrinseca nulla, in questa espressione potremo sfruttare
la (3.1), che fornisce le relazioni
mbh = 10a (lbul,β )b
(3.6)
d log mbh = b d log lbul,β
(3.7)
Sostituendo le relazioni (3.3), (3.6) e (3.7) nella (3.5), otteniamo
a
Z
+∞
ρbh,0 = 10
(lbul,β )b φ(log lbul,β ) d log lbul,β ,
(3.8)
−∞
dove il pedice “0 ” indica una dispersione intrinseca nulla.
Nel caso, invece, di dispersione diversa da zero,
Z
+∞
ρbh =
Z
∞
mbh P (log mbh | log lbul,β ) d log m
φ(log lbul,β ) d log lbul,β
−∞
(3.9)
−∞
per cui usando la (3.2) otteniamo, dopo alcuni passaggi algebrici,
1 2
2
∆ (ln 10) · ρbh,0
= exp
2 m
ρbh
(3.10)
42
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
Dunque, come già notato da Yu & Tremaine (2002) e Marconi et al. (2004), una
dispersione intrinseca non nulla nelle correlazioni MBH − Lbul si riflette in una stima
più elevata della densità di massa dei SMBH locali e conseguentemente anche della
BHMF. A titolo di esempio, se poniamo ∆m = 0.3 la densità di massa dei SMBHs
cresce di un fattore ' 1.27.
3.2
Le funzioni di luminosità
Utilizzeremo nel seguito due funzioni di luminosità delle galassie. In questo paragrafo
si dà di entrambe una descrizione dettagliata, specificando per ognuna il campione di
galassie locali studiato e la banda fotometrica scelta.
3.2.1
La funzione di Nakamura
Il campione comprende 1875 galassie selezionate dal catalogo della Sloan Digital Sky
Survey (SDSS) entro la striscia 145.15◦ ≤ α(J2000) ≤ 235.97◦ e |δ(J200)| ≤ 1.27◦ . Di
queste, solo una modesta frazione è stata usata per ricostruire la funzione di luminosità:
è stato selezionato un intervallo di magnitudine sufficientemente popolato, sono stati
esclusi sia gli oggetti più luminosi che quelli più deboli e sono state considerate solo le
galassie con un redshift z ∈ [0.01; 0.075].
Gli oggetti appartengono ai sette tipi morfologici E (T=0), S0 (T=1), Sa (T=2), Sb
(T=3), Sc (T=4), Sd (T=5), Im (T=6) (galassie irregolari di tipo magellanico), secondo
la classificazione di Hubble (in parentesi è riportata una scala derivata dal codice
morfologico di De Vaucouleurs). Tale classificazione è stata operata osservando i profili
di brillanza superficiale in banda g ∗ . I suddetti tipi sono poi stati raggruppati nelle
quattro classi E&S0 (0 ≤ T ≤ 1), S0/a-Sb (1 ≤ T ≤ 3), Sbc-Sd (3 ≤ T ≤ 5), Im
(5 ≤ T ≤ 6).
Per ogni galassia è fornita la magnitudine assoluta totale, ottenuta misurando il flusso
in banda r∗ delle sorgenti entro due raggi di Petrosian4 (Petrosian 1976, Blanton et al.
4
Per la definizione del raggio di Petrosian si rimanda alle referenze indicate
3.2 Le funzioni di luminosità
43
2001). I profili di trasmissione dei filtri r∗ e g ∗ usati nella SDSS sono messi a confronto
in figura (3.1) con i più noti filtri del sistema fotometrico Johnson-Morgan-Cousins
(Fukugita et al., 1995).
Figura 3.1: I profili di trasmissione dei filtri usati nei sistemi fotometrici Johnson-MorganCousin e Sloan Digital Sky Survey.
La parametrizzazione scelta per la distribuzione di luminosità è l’usuale funzione
di Schechter che ricordiamo definita, nella generica banda β, da
φ(Lβ ) dLβ = φ∗
Lβ
L∗
α
Lβ
exp −
dLβ
L∗
(3.11)
dove φ(Lβ ) dLβ è la densità numerica di galassie, φ∗ rappresenta la normalizzazione,
ossia la densità di galassie per M pc3 , α è la pendenza della curva per basse luminosità
ed L∗ è la luminosità di taglio. Analogamente, in magnitudini,
φ(Mβ ) dMβ = 0.4 ln(10)φ∗ exp −0.4 ln 10(Mβ − M∗ )(α + 1) − 10−0.4(M −M∗ ) dMβ
(3.12)
I valori forniti per i parametri delle funzioni di luminosità differenziali5 sono indicati
in tabella (3.1).
5
Per funzioni di luminosità differenziali si intendono comunemente le distribuzioni relative alle
singole classi morfologiche considerate.
44
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
Tabella 3.1: Parametri delle funzioni di Schechter per le funzioni di luminosità differenziali
fornite da Nakamura et al. (2003)
Classe
M∗ − 5 log(h)
α
φ∗
(0.01h )M pc−3
3
Tutte
−20.65 ± 0.12
−1.10 ± 0.14
1.43 ± 0.21
E&S0
−20.75 ± 0.17
−0.83 ± 0.26
0.47 ± 0.09
S0/a-Sb −20.30 ± 0.19
−1.15 ± 0.26
0.95 ± 0.15
−20.30 ± 0.20
−0.71 ± 0.26
0.43 ± 0.05
Sbc-Sd
I parametri M∗ e φ∗ sono spesso indicati in funzione del valore della costante di
Hubble ridotta, nel seguito assunta sempre pari ad h = 0.7.
Correzioni bulge-galassia
Le correlazioni da combinare con la funzione di luminosità di Nakamura sono in realtà
stabilite fra la massa del SMBH e la luminosità del bulge. Quest’ultima è chiaramente
inferiore alla luminosità totale della galassia, ma il fattore correttivo è dipendente anche
dal tipo morfologico. Conseguentemente, per ottenere la giusta funzione di luminosità
dei bulges, andranno affiancati alla tabella (3.1) i fattori correttivi opportuni. Questi
sono stati ottenuti dai risultati di Graham & Worley (2008), mediando i valori riportati
per ogni tipo morfologico in modo tale da rispettare la suddivisione in classi utilizzata
da Nakamura. Gli errori sono stati valutati tenendo conto della dispersione osservata
di rapporti Lbul /Lgal . I risultati sono riassunti in tabella (3.2).
3.2.2
La funzione di Devereux
Si ricava in questo caso la funzione di luminosità a partire da un campione di 1613
galassie vicine della 2µm All Sky Survey (2MASS). La banda usata è la K, scelta per
3.2 Le funzioni di luminosità
45
Tabella 3.2: Fattori correttivi bulge-galassia
Classe
Mbul,r∗ − Mtot,r∗
E&S0
1.16 ± 0.72
S0/a-Sb
1.27 ± 0.38
Sbc-Sd
2.5 ± 1.3
minimizzare gli effetti di estinzione interstellare. Ogni galassia è stata identificata incrociando i dati del Principal Galaxy Catalogue con quelli di 2MASS, escludendo gli
oggetti con magnitudine assoluta MK > 10. Fatta eccezione per il piano galattico, gli
oggetti del campione sono distribuiti uniformemente sull’intera volta celeste, minimizzando cosı̀ l’effetto di disomogeneità nella distribuzione di galassie nell’universo locale.
Le magnitudini del catalogo 2MASS sono magnitudini misurate in banda K entro l’isofota ellittica di 20 mag arcsec−2 . La differenza fra magnitudini isofotali e totali è
in generale lievemente dipendente dal tipo morfologico, tuttavia si assume un fattore
correttivo unico pari a Miso − Mtot = 0.44 ± 0.28 ottenuto confrontando, su un campione di oggetti comuni, le magnitudini isofotali di 2MASS con quelle totali riportate
in Marconi & Hunt (2003).
La distribuzione di luminosità è infine ricavata nell’ipotesi che la luminosità delle galassie sia scorrelata dalla loro distribuzione spaziale. Si ottengono le funzioni di luminosità
differenziali separando il campione nelle classi morfologiche E, S0, Sa-Sab, Sb-Sbc, ScScd. I parametri delle funzioni di Schechter che meglio si adattano ai dati sono forniti
raggruppando gli oggetti osservati nelle le classi E, S0-Sbc, Sc-Scd. Tuttavia, si è preferito conservare la più dettagliata suddivisione originaria in tipi morfologici e ricavare
autonomamente i fit con opportune funzioni di Schechter. In figura (3.2) ed in tabella
(3.3) riportiamo rispettivamente i fit ottenuti ed i relativi parametri.
46
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
Figura 3.2: Fit con funzioni di Schechter delle funzioni di luminosità differenziali dei bulges
fornite da Devereux et al. (2009)
3.3 Le correlazioni massa-luminosità
47
Tabella 3.3: Parametri di Schechter ottenuti fittando le funzioni di luminosità differenziali
isofotali fornite da Devereux et al. (2009)
Classe
M∗ − 5 log(h)
α
φ∗
(0.01h )M pc−3
3
Tutte
−23.18 ± 0.08
−0.833 ± 0.05
1.54 ± 0.11
E
−23.61 ± 0.22
−0.241 ± 0.17
0.19 ± 0.01
S0
−22.84 ± 0.15
−0.517 ± 0.14
0.51 ± 0.05
Sa-Sab
−22.52 ± 0.15
−0.257 ± 0.18
0.51 ± 0.03
Sb-Sbc
−22.97 ± 0.17
−0.651 ± 0.16
0.50 ± 0.07
Sc-Scd
−23.40 ± 0.45
−1.474 ± 0.17
0.16 ± 0.09
Correzioni bulge-galassia
Anche per le funzioni di luminosità di Devereux è necessario riscalare le magnitudini
per ottenere la forma corretta della distribuzione di luminosità dei bulges. Le correzioni
sono tuttavia differenti dal caso precedente poiché è diversa la suddivisione in classi
morfologiche. Si ricorda che, per definizione, il bulge di una galassia ellittica è la galassia
stessa, quindi la correzione da apportare per il tipo morfologico E è identicamente nulla
e priva di errore. In tabella (3.4) si riportano i valori ottenuti.
3.3
Le correlazioni massa-luminosità
Come descritto nel paragrafo (3.1) otteniamo la funzione di massa dei SMBH convolvendo la distribuzione di luminosità delle galassie dell’universo locale con le più recenti
correlazioni MBH − Lbul disponibili.
48
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
Tabella 3.4: Fattori correttivi bulge-galassia
3.3.1
Classe
Mbul,K − Mtot,K
E
0
S0
1.38 ± 0.72
Sa-Sab
1.13 ± 0.20
Sb-Sbc
1.83 ± 0.32
Sc-Scd
2.85 ± 0.35
Correlazione di Graham
Il lavoro di Graham (2007) riprende diversi risultati precedenti, aggiornandoli quando
possibile con nuove o più accurate misure di massa, luminosità e distanza. In particolare
vengono esaminate le correlazioni di Kormendy & Gebhardt (2001), McLure & Dunlop
(2002), Marconi & Hunt (2003), Erwin et al. (2004). Fra queste abbiamo scelto di
utilizzare la revisione del lavoro di Marconi & Hunt in banda K, il cui vantaggio è
quello di utilizzare un campione di soli oggetti con determinazione certa della massa
dei BHs.
Si assume, come nel lavoro originale, una correlazione lineare in logaritmo, del tipo:
log mbh = a + bMK
(3.13)
dove la magnitudine MK è legata alla luminosità del bulge dalla definizione6 :
MK − MK, = −2.5 log
6
MK, = 3.28
LK
LK,
(3.14)
3.3 Le correlazioni massa-luminosità
49
I parametri sono ricavati secondo il metodo di Tremaine et al. (2002), minimizzando il
funzionale
χ2 =
N
X
i=1
(log mbh,i − a − bMK,i )2
(δ log mbh,i )2 + b2 (δMK,i )2 + 2
(3.15)
dove log mbh,i e MK,i sono rispettivamente le i-esime misure, su un totale di N oggetti,
di massa di un SMBH in unità di massa solare e di magnitudine del relativo sferoide in
banda K; δ log mbh,i e δMK,i sono i corrispettivi errori di misura ed è la dispersione
intrinseca della correlazione. La dispersione è determinata ripetendo il fit fino ad
p
ottenere χ2 /(N −2) = 1, mentre la sua incertezza corrisponde a χ2 /(N −2) = 1± 2/N .
Il campione di galassie è stato in buona parte modificato, aggiornando in molti casi
le stime di distanza e di massa ed escludendo le galassie con incertezze molto elevate
nella misura di mbh o con sfera di influenza del buco nero solo parzialmente risolta.
La correlazione assume cosı̀ la forma:
log mbh = (8.29 ± 0.08) + (−0.37 ± 0.04)(MK + 24)
(3.16)
con una dispersione intrinseca pari a = 0.30+0.03
−0.05 . In figura (3.3) è riportato il
confronto con il risultato precedentemente ottenuto da Marconi & Hunt.
3.3.2
Correlazione di Gültekin
Lo studio di Gültekin sfrutta tutte le più recenti misure di massa, luminosità e distanza,
ma limita il campione alle sole galassie ellittiche e ad un ristretto numero di lenticolari
(S0) per le quali sia disponibile una stima affidabile del rapporto fra la luminosità del
disco e quella dello sferoide. Si ritiene infatti che l’analisi della distribuzione di brillanza
superficiale basata sulla misura dell’indice di Sersič fornisca, nella maggioranza dei casi,
risultati opinabili.
Si mostra inoltre che non è necessario escludere a priori l’intera classe di galassie con
sfera di influenza dei SMBHs non ben risolta, ricavando che un’eventuale inclusione di
tali oggetti nel campione aumenta in effetti l’incertezza di misura senza però introdurre
50
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
Figura 3.3: Confronto fra le correlazioni mbh − MK,bul ottenute in Marconi & Hunt (2003)
(linea tratteggiata) e Graham (2007) (linea continua). I tratti che si dipartono dalle misure indicano i valori adottati precedentemente, mentre la crocetta indica l’oggetto IC 1459,
scartato dal campione.
errori sistematici nella determinazione dei parametri di fit. In altre parole, le galassie
con sfera di influenza non risolta sono, sul piano MBH − Lbul , equamente distribuite al
di sopra e al di sotto della correlazione determinata con le sole galassie risolte.
La banda scelta per le misure di luminosità è la V , nell’intento di raggiungere un
compromesso fra la ridotta estinzione interstellare in banda K e l’elevato numero di
misure disponibili in banda B.
La correlazione infine ottenuta è
log mbh = (8.95 ± 0.11) + (1.11 ± 0.18)(log lV − 11)
3.3.3
(3.17)
Trasformazioni di colore
Per un diretto confronto fra le due correlazioni qui presentate, dovremo riportare i
due risultati ad un’unica banda fotometrica, esprimendo MK in funzione di MV o
viceversa, per poi ad esempio convertire la scala di magnitudini della (3.16) in scala di
luminosità.
3.4 Risultati
51
Quest’ultima operazione è consentita direttamente dalla definizione di magnitudine
(3.14); la prima, invece, presuppone che sia possibile una trasformazione di colore,
in linea di principio non banale: occorre studiare la distribuzione di indice di colore
per il più vasto numero possibile di galassie osservabili e ricavarne un valore medio,
confidando nell’assenza di un errore sistematico introdotto da effetti di selezione. In
questo lavoro sono stati utilizzati i risultati di Fukugita et al. (1995). In particolare
assumeremo MV = MK + (3.2 ± 0.2), pertanto le correlazioni di Graham e Gültekin
diventano rispettivamente
log mbh =(8.38 ± 0.09) + (0.92 ± 0.10)(log lK − 11)
(Graham)
(3.18)
log mbh =(8.17 ± 0.24) + (1.11 ± 0.18)(log lK − 11)
(Gültekin)
(3.19)
Le trasformazioni di colore sono infine fondamentali per la ricostruzione della funzione
di massa dei BHs locali. Le correlazioni e le funzioni di luminosità fin qui presentate
possono infatti essere combinate solo se sono determinate in una stessa banda fotometrica. La funzione di luminosità di Devereux è già fornita in banda K, quindi non
necessita di ulteriori correzioni, fatta eccezione per la conversione delle magnitudini
isofotali in magnitudini totali:
Miso = Mtot + (0.44 ± 0.28)
(3.20)
Nel caso della funzione di luminosità di Nakamura sarà invece necessario traslare l’asse
delle magnitudini tenendo conto dell’indice di colore medio (r∗ − K), valutato anche
questo da Fukugita et al.:
Mr∗ − MK = 2.8 ± 0.2
3.4
(3.21)
Risultati
Riassumendo, la BHMF è stata ottenuta ricercando in letteratura i valori più recenti
per i parametri delle funzioni di luminosità e delle correlazioni MBH − Lbul , i fattori
52
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
correttivi bulge-galassia e gli indici di colore. Per ogni classe morfologica sono state
descritte le funzioni di luminosità differenziali con funzioni di Schechter. La scala di
magnitudini, ove necessario, è stata traslata per poter combinare i risultati con correlazioni Mbh − Lbul in una stessa banda fotometrica e sono state applicate le correzioni
bulge-galassia per ottenere la corretta forma per le funzioni di luminosità dei bulges.
Sono quindi state determinate, a partire dalle funzioni di luminosità differenziali cosı̀
ottenute, le funzioni di luminosità cumulative (rappresentative di tutte le classi morfologiche) di Nakamura e Devereux, poi convolute con ciascuna delle correlazioni Mbh −Lbul
disponibili. Le incertezze di misura sulle funzione di massa sono state determinate con
il metodo Monte Carlo, generando i valori di ogni grandezza affetta da errore in funzione di una variabile casuale riscalata opportunamente, in modo tale che l’errore di
misura corrispondesse alla HWHM (Half Width Half Maximum) di una distribuzione
gaussiana prodotta da 1000 tentativi. In questo modo sono state ottenute altrettante
funzioni di massa dei SMBHs dell’universo locale per ciascuna delle combinazioni di
convoluzione:
• Funzione di luminosità di Nakamura e correlazione di Graham (set 1);
•
”
”
”
” Nakamura e
•
”
”
”
” Devereux e
”
” Graham (set 3);
•
”
”
”
” Devereux e
”
” Gültekin (set 4);
”
” Gültekin (set 2);
Per ciascuna massa compresa fra 106 e 1010 M si dispone dunque di quattro set di 1000
tentativi. La mediana di ciascun set è assunta come valore più probabile per la relativa
distribuzione, mentre le barre di errore corrispondono agli intervalli che comprendono
il 68% delle stime. In figura (3.4) presentiamo i risultati.
Le quattro curve ricavate sono poi state ricombinate due a due (set 1 + set 2 e set
3 + set 4) per determinare le BHMFs relative ad una stessa forma per la funzione di
luminosità delle galassie. Per far questo, sono stati accorpati i risultati della simulazioni Monte Carlo di ciascuna coppia di set, rieseguendo poi per ogni MBH la stima della
3.4 Risultati
53
mediana e dei percentili. Per ognuna delle curve risultanti è stata determinata la corrispondente densità di massa dei buchi neri super massivi dell’universo locale, secondo
il metodo presentato nel paragrafo (3.1). Ancora una volta, si fa poi il confronto con i
risultati di Marconi et al. (2004) (figura 3.5).
Si nota immediatamente come, nonostante le numerose modifiche apportate rispetto
a Marconi et al. (2004), il risultato finale per la distribuzione di massa dei SMBHs locali
resti in ogni caso sostanzialmente invariato entro gli errori di misura.
Per confronto, riportiamo in figura (3.6) il risultato che si sarebbe ottenuto raggruppando le curve relative ad una stessa correlazione MBH − Lbul .
54
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
Figura 3.4: Funzioni di massa dei SMBHs nell’universo locale. La curva in nero riporta
la convoluzione della funzione di luminosità di Devereux con la correlazione MBH − Lbul
di Graham; in verde la funzione di luminosità di Devereux è convoluta con la correlazione
di Gültekin; in blu e arancione, rispettivamente, la funzione di luminosità di Nakamura
combinata con le correlazioni di Graham e Gültekin. La banda grigia corrisponde alla BHMF,
e relativa incertezza di misura, ricavata da Marconi et al. nel 2004 (figura 2.b).
3.4 Risultati
55
Figura 3.5: BHMFs locali. La curva nera corrisponde alla distribuzione ottenuta convolvendo
la funzione di luminosità di Nakamura con le correlazioni MBH − Lbul di Graham e Gültekin;
la curva rossa è invece data dalla funzione di luminosità di Devereux convoluta con le stesse
correlazioni. Ancora, per confronto, la banda grigia rappresenta il risultato di Marconi et al..
In basso a sinistra sono riportate le densità dei SMBHs locali ottenute dalla BHMF, come
descritto in equazione (3.9).
56
La distribuzione di massa dei Buchi Neri Super Massivi locali
Figura 3.6: Funzioni di massa dei SMBHs nell’universo locale. La curva blu accorpa set 1
e set 3; la curva verde accorpa invece set 2 e set 4. Si nota come in questo caso aumenti
considerevolmente l’incertezza di misura rispetto alla procedura descritta in figura (3.5).
Capitolo 4
La funzione di luminosità degli
AGN
Alzò il capo e poté vedere attraverso tutto l’acciaio, il
cemento e l’umanità sopra di lui. Poteva vedere il faro
posto nello spazio per attirare all’esterno gli uomini.
Poteva vederlo brillare. Il sole nudo!
Il sole nudo
Isaac Asimov, 1956
La radiazione pervenuta dagli AGN è un’essenziale testimonianza dell’evoluzione dei
SMBHs: confidando di poter in media descrivere, come anticipato, ciò che si osserva
ad un dato redshift z come il probabile futuro della popolazione di galassie a redshift
z + dz, la luce emessa dai Nuclei Galattici Attivi assume la valenza di parametro
di controllo per qualunque modello evolutivo. Questa costituisce la traccia tuttora
visibile dell’emissione, ad ogni epoca, dei buchi neri in accrescimento violento e consente
quindi di stimare indirettamente la conseguente variazione in massa, come vedremo nel
prossimo capitolo.
L’emissione rivelata di un AGN ha in realtà uno spettro estremamente complesso,
dato dalla sovrapposizione delle emissioni del disco di accrescimento, dell’alone di gas
58
La funzione di luminosità degli AGN
caldo circostante e del vento relativistico di particelle accelerate dalla radiazione primaria e dal campo magnetico. Si potrebbe in prima analisi ritenere che uno studio
approfondito della forma dello spettro e dei modi di emissione degli AGN sia ininfluente ai fini di uno studio evolutivo. La variazione in massa è relazionata infatti solo
all’ammontare totale di energia irraggiata per unità di tempo, integrata su tutte le
frequenze, ossia alla luminosità bolometrica1 . Una stima della luminosità bolometrica
di un AGN potrebbe teoricamente essere ottenuta campionando l’emissione della sorgente a tutte le lunghezze d’onda. Questo è di fatto impossibile: un nucleo galattico
attivo non è osservabile con la stessa efficienza ad ogni frequenza. A titolo di esempio,
la radiazione emessa nell’ultravioletto non è affatto osservabile, poiché è tipicamente
riprocessata dalle polveri e riemessa nell’infrarosso, oppure interagisce con il vento relativistico di elettroni e per effetto Compton inverso è riemessa nell’X, tipicamente fra
i 10 e i 100 keV .
Inoltre, ogni survey in una determinata banda introduce un diverso effetto di selezione
sul campione di oggetti osservabili, escludendo inevitabilmente la porzione di popolazione meno luminosa a quelle lunghezze d’onda. Il miglior risultato auspicabile, quindi, è
ottenibile determinando la porzione dello spettro meno sensibile agli effetti di selezione
introdotti dall’assorbimento e dall’orientazione delle sorgenti, in modo da campionare
la massima frazione possibile degli AGN presenti. Anche in questi termini, la scelta non
è univoca: si ritiene infatti che i raggi X siano meno sensibili all’assorbimento, mentre
il lontano infrarosso risulta maggiormente indipendente dall’orientazione dell’AGN.
Scelta una banda β, surveys profonde (ad esempio, Chandra e XMM-Newton nell’X e
2MASS nell’infrarosso) possono poi consentire la determinazione della relativa distribuzione di luminosità.
Il fattore correttivo che consente di risalire dalla distribuzione di luminosità in banda
β alla funzione di luminosità bolometrica ricercata, detto appunto “correzione bolometrica”, è dato dal rapporto medio fra luminosità bolometrica e luminosità in banda β.
Questo, a sua volta è determinabile solo descrivendo una “mappa” media di emissione
1
Trascurando possibili variazioni dell’efficienza di conversione massa-energia del SMBH
4.1 Forma della SED e correzione bolometrica
59
(o template, in inglese) che individui i caratteri dello spettro di emissione comuni alla
maggior parte delle sorgenti. Di qui la necessità di comprendere i meccanismi fisici di
emissione e lo spettro risultante.
4.1
Forma della SED e correzione bolometrica
Alcune caratteristiche fondamentali nello spettro di emissione che consentono di discriminare gli AGN dalle galassie ordinarie sono già state descritte nel capitolo introduttivo: l’IR bump, un eccesso nell’infrarosso, è dovuto al riprocessamento della radiazione
emessa nell’ultravioletto ad opera delle polveri. Questo è riprodotto da una sovrapposizione di spettri di corpo nero a temperature comprese in un range piuttosto ampio,
che va dai 50 ai 1000 ◦ K. Il big blue bump, un eccesso di emissione che si estende
dall’ottico al vicino ultravioletto, è invece attribuito all’emissione termica dal gas del
disco di accrescimento. Le intensità dei due picchi sono generalmente confrontabili.
Fra i due bumps si osserva tipicamente un minimo a 1.5 µm dovuto alla temperatura
di sublimazione delle polveri (∼ 2000 ◦ K) (Sanders et al., 1989).
Un terzo eccesso di emissione è osservabile in banda X in circa metà delle sorgenti
note ed è considerato una coda di alta energia del big blue bump. A più alta energia,
l’emissione X mostra una differenziazione fra quasars radio-quieti e radio-luminosi (rispettivamente RQQs e RLQs, da Radio Quiet e Radio Loud Quasars). Nei primi si
osserva uno spettro a legge di potenza (Fν ∝ ν −αE ) con pendenza αE ∼ 1.0 ± 0.5, mentre nei secondi la pendenza tipica è del tipo αE ∼ 0.5 ± 0.5 ed il flusso è generalmente
maggiore. I meccanismi di emissione ipotizzati, nei due casi, sono differenti: nei RQQs
domina l’effetto Compton inverso sui fotoni ultravioletti, mentre nei RLQs l’effetto
Compton inverso coinvolge in massima parte i fotoni radio in emissione di sincrotrone.
Dal momento, tuttavia, che la frazione di AGN radio-luminosi è piuttosto bassa (∼
10%), il loro contributo allo spettro X, cosı̀ come ovviamente anche il contributo di
emissione radio, sarà escluso dal template.
Negli AGN meno luminosi, poi, la legge di potenza dello spettro X è spesso soffocata
60
La funzione di luminosità degli AGN
dallo spettro di radiazione riflessa o diffusa dal gas che circonda il disco di accrescimento o dalla regione più interna del toro oscurante. Gli effetti dell’oscuramento negli
AGN edge on è poi visibile non solo nel vicino spettro X ma anche in banda UV e
ottica.
In realtà, l’opacità alla radiazione X per energie inferiori ai 10 keV , dovuta principalmente ad assorbimento fotoelettrico, è da attribuirsi non solo al toro oscurante, ma a
tutto il gas che si interpone sulla linea di vista, compreso l’idrogeno neutro della nostra
galassia. Più è alta la densità di colonna del gas, maggiore è l’energia cui si manifesta il
taglio inferiore dello spettro rivelato. Per energie superiori ai 10 keV la sezione d’urto
per effetto fotoelettrico diventa trascurabile rispetto alla sezione d’urto per scattering
Thomson, che diventa dunque il principale effetto responsabile di opacità.
Una densità di colonna pari a NH ∼ 1.5 × 1024 cm−2 , corrispondente all’inverso della
sezione d’urto Thomson su elettrone, σT , è generalmente assunta come approssimativa
soglia di transizione fra un gas otticamente sottile ed uno otticamente spesso per i
fotoni prodotti per effetto Compton inverso (ossia, come si suol dire, rispettivamente
Compton-thin e Compton-thick ). Se la densità di colonna è superiore a ∼ 1025 cm−2 ,
l’emissione primaria dell’AGN risulta completamente oscurata.
La densità di colonna del gas neutro può essere ricavata nei Compton-thin dalla frequenza di taglio per assorbimento fotoelettrico, mentre nei Compton-thick l’unica possibilità è determinare l’NH che meglio riproduce il continuo predetto dai modelli di
sintesi dello spettro X (vedi figura 4.1). Il gas neutro lungo la linea di vista non è comunque l’unica fonte di assorbimento: nubi di gas caldo e fotoionizzato costituiscono il
cosiddetto warm absorber, rilevato in prossimità della sorgente del continuo, a distanze
inferiori al pc. Il warm absorber è osservabile in circa il 50% degli AGN in banda X
soffice (E . 2 keV ) ed apporta una densità di colonna NH ∼ 1021÷23 cm−2 .
A partire da queste considerazioni generali, il primo passo per ottenere la correzione bolometrica è, come abbiamo detto, l’estrazione di un profilo medio (corretto per
l’assorbimento) che possa essere considerato rappresentativo della maggior parte degli
AGN.
4.1 Forma della SED e correzione bolometrica
61
Figura 4.1: L’effetto dell’assorbimento da gas neutro sulla legge di potenza primaria nello
spettro X, al variare della densità di colonna. Da Gilli et al. (2007).
Una prima semplice osservazione è che possiamo escludere dal profilo le righe di emissione, che apportano alla potenza irraggiata un contributo trascurabile, riducendoci
quindi a determinare il continuo sottostante, rappresentabile con una successione di
leggi di potenza.
In assenza, in letteratura, di aggiornamenti correttivi, riprodurremo il big blue bump e
lo spettro X con gli stessi parametri utilizzati in Marconi et al. (2004): per schematizzare il big blue bump useremo una doppia legge di potenza con indici α = −0.44 ± 0.1
per lunghezze d’onda comprese fra 1300 Å ed 1 µm e α = −1.76 ± 0.12 fra 500 e
1200 Å. Lo spettro X, invece, sarà dato da una legge di potenza con indice α = −0.9
(ossia photon index Γ = −(α + 1) = 1.9), cui verrà sovrapposta una componente di
radiazione riflessa dal disco di accrescimento, dalla regione interna del toro oscurante
e dal warm absorber. Il taglio esponenziale superiore è previsto a 500 keV .
La normalizzazione dello spettro X è poi ottenibile dalla stima del rapporto medio fra
flusso in banda UV ed in banda X. Raccordando, per l’esattezza, il flusso stimato a
62
La funzione di luminosità degli AGN
2500 Å con quello a 2 keV , resta definita una legge di potenza con pendenza data
dall’indice spettrale ottico-X:
L2 keV
log
L
2500 Å =
ν2 keV
log
ν2500 Å
αOX
dove appunto L2
quenze ν2
keV
keV
ed L2500
Å
(4.1)
sono rispettivamente le luminosità misurate alle fre-
e ν2500 Å .
L’indice spettrale ottico-X è in generale dipendente dalla luminosità. L’andamento
utilizzato per questo lavoro è ricavato da Kelly et al. (2008):
αOX = (2.10 ± 0.03) + (−0.12 ± 0.02) log[L2500 Å ]
(4.2)
Si assume per semplicità che l’andamento sia indipendente da altri parametri, quali la
massa del SMBH, il tasso di accrescimento o il redshift.
L’emissione in banda UV, come detto, non è osservabile, poiché assorbita dalle
polveri e riemessa nell’infrarosso o riprocessata in banda X ad opera di elettroni relativistici. Questa è quindi solitamente riprodotta unendo lo spettro a 500 Å con quello
a 1 keV con una semplice legge di potenza.
A basse frequenze il big blue bump si sovrappone all’IR bump. A tal proposito, è importante osservare che la luce riprocessata dalle polveri, che dà appunto origine all’eccesso
infrarosso, non è propriamente riconducibile all’emissione primaria dell’AGN dovuta
all’accrescimento del SMBH, ossia non è radiazione intrinseca della sorgente, pertanto
includere l’emissione infrarossa equivarrebbe di fatto a conteggiare approssimativamente due volte il contributo ultravioletto allo spettro di potenza. Di conseguenza il bump
infrarosso è escluso dal template e l’estremo sinistro dello spettro ottico è troncato con
una legge di potenza di pendenza α = −2, corrispondente alla coda di Rayleigh-Jeans
di una emissione di corpo nero.
Il profilo finale della SED è raffigurato in figura (4.2).
4.1 Forma della SED e correzione bolometrica
63
Figura 4.2: Profilo di emissione per un AGN corrispondente ad una luminosità bolometrica
di 1.0 × 1012 L . In rosso è riportato il template usato da Marconi et al. (2004). Da notare
come la variazione di αOX modifichi la normalizzazione dello spettro X dell’AGN. In giallo è
evidenziato il contributo dell’emissione X soffice (0.5 ÷ 2 keV ) allo spettro di potenza.
In funzione della luminosità bolometrica richiesta, dunque, possiamo finalmente
ricavare la correzione bolometrica f per la banda β di interesse: per ogni luminosità
bolometrica Lbol si ricava il template che, integrato su tutte le frequenze, restituisce
Lbol e, da questo, si stima il contributo relativo alla sola banda β. Il calcolo è stato
eseguito mille volte con parametri di volta in volta variati in modo casuale entro gli
errori di misura, valutando cosı̀ gli errori sulla correzione bolometrica. In figura (4.3) si
riportano le correzioni calcolate per le bande B (centrata su 4400 Å), 5100 Å, 13.6 eV
(corrispondente all’energia di ionizzazione dell’idrogeno, con λ =
hc
E
' 912 Å), (0.5 ÷
2.0) keV e (2.0 ÷ 10.0) keV . Le barre di errore racchiudono il 68% dei tentativi
effettuati.
Si riscontrano anche in questo caso solo minime variazioni rispetto ai risultati di
Marconi et al. (2004). Da notare inoltre che l’introduzione di un errore sulla pendenza
della relazione αOX (L2500 Å ) introduce una più attendibile incertezza sulla correzione
64
La funzione di luminosità degli AGN
Figura 4.3: Correzioni bolometriche in alcune bande di interesse. La curva in rosso sarà utilizzata per ricavare la funzione di luminosità bolometrica a partire dalla funzione di luminosità
in banda X soffice (0.5 ÷ 2 keV ).
bolometrica, che viene a dipendere, anche se debolmente, dalla luminosità.
Per poter utilizzare più facilmente le correzioni bolometriche, sono stati effettuati dei
fit logaritmici con polinomi di terzo grado ai valori determinati numericamente. I
coefficienti dei polinomi ricavati sono riassunti in tabella (4.1). Data poi una funzione
di luminosità degli AGN in una di queste bande, sarà possibile, per ogni valore della
luminosità bolometrica, determinare la corrispondente luminosità nella banda richiesta
ed infine la funzione di luminosità bolometrica:
φ(Lbol ) dLbol = φ(Lβ ) dLβ
⇒
φ(Lbol ) = φ(Lβ ) ·
dLβ
dLbol
(4.3)
ossia, esprimendo, come consueto, la funzione di luminosità in funzione del logaritmo
della luminosità bolometrica per unità di luminosità solari, lbol , otteniamo
φ(log lbol ) = φ(log lβ )
lbol dlx
dlx
= φ(log lβ ) fβ (lbol )
lβ dlbol
dlbol
(4.4)
4.2 Funzione di luminosità in banda X soffice
65
Tabella 4.1: Coefficienti dei fit polinomiali della correzione bolometrica, con notazione
log[fβ (Lbol )] = A + BL + CL 2 + DL 3 , dove L = (log Lbol − 12) è il logaritmo della luminosità bolometrica espressa in unità di 1012 L . Di fianco è aggiunto l’errore sulla correzione
bolometrica mediato sull’intervallo di luminosità.
Banda
B
5100 Å
13.6 eV
(0.5 ÷ 2.0) keV
(2.0 ÷ 10.0) keV
4.2
A
B
C
D
∆ log[fβ (Lbol )]
(·10−2 )
(·10−2 )
(·10−3 )
(·10−2 )
0.772 −6.00
1.67
−3.07
0.807 −5.99
1.70
−3.04
0.358 7.72 −0.978 −2.50
1.758 25.6
1.18
−2.08
1.650 27.4
1.21
−2.03
3.74
4.33
2.17
5.50
5.97
Funzione di luminosità in banda X soffice
Determinata la correzione bolometrica, occorre scegliere una banda che riduca il più
possibile gli effetti di selezione sulla popolazione di AGN e determinare la relativa funzione di luminosità.
Per questo studio è stata utilizzata la funzione di luminosità di Hasinger et al. (2005)
in banda X soffice, (0.5 ÷ 2.0) keV .
Il campione di AGN studiato include ∼ 1000 sorgenti rivelate con varie surveys (ROSAT, XMM-Newton e Chandra) fino a redshift z = 4.8.
La forma analitica utilizzata per descrivere la funzione di luminosità è ricavata a
partire dalla funzione di luminosità locale fattorizzando la dipendenza dal redshift:
φ0 (Lx , z) = φ0 (Lx , 0) · ed (Lx , z)
(4.5)
dove φ0 (Lx , z) è la funzione di luminosità degli AGN osservati (non corretta, cioè, per
66
La funzione di luminosità degli AGN
la frazione di oggetti oscurati), φ0 (Lx , 0) è espressa con una doppia legge di potenza
φ0 (Lx , 0) = A44
Lx
Lx,∗
γ1
+
Lx
Lx,∗
γ2 −1
(4.6)
ed ed (Lx , z) è il fattore di evoluzione, espresso secondo Ueda et al. (2003):

 (1 + z)p1
(z ≤ zc )
h
ip2
ed (Lx , z) =
 e (z ) 1+z
(z > zc )
d c
1+zc
(4.7)
Le quantità p1 e p2 sono a loro volta date da
p1 (Lx ) = p1,44 + β1 (log Lx − 44)
(4.8)
p2 (Lx ) = p2,44 + β2 (log Lx − 44)
(4.9)
mentre zc vale
zc (Lx ) =

α
 zc,44 Lx
(Lx ≤ Lx,c )
Lx,c
 z
c,44
(4.10)
(Lx > Lx,c )
I parametri liberi sono quindi 11 ed i loro valori che ottimizzano l’accordo con i dati
sperimentali sono riassunti in tabella (4.2).
Per le ragioni illustrate, la frazione degli AGN esclusa da una survey in banda X soffice
Tabella 4.2: Parametri di fit per la funzione di luminosità di Hasinger et al. (2005)
A44
log Lx,∗
γ1
γ2
p1,44
p2,44
β1
β2
zc,44
Lx,44
α
(2.62 ± 0.16) × 10−7
43.94 ± 0.11
0.87 ± 0.10
2.57 ± 0.16
4.7 ± 0.3
−1.5 ± 0.7
0.7 ± 0.3
0.6 ± 0.8
1.42 ± 0.11
000
0.21 ± 0.04
si riduce agli oggetti visti con una densità di colonna NH > 1021 cm−2 . Fortunatamente
4.2 Funzione di luminosità in banda X soffice
67
tale frazione può essere stimata in modo indipendente, anche se approssimativo, dai
modelli riproducono la densità di energia della radiazione di fondo X, in massima parte
originata proprio dagli AGN: data una distribuzione di luminosità per i nuclei galattici
attivi ad ogni redshift è possibile dedurne il contributo complessivo al fondo X osservato
e, dal confronto con i dati sperimentali, valutare la frazione di sorgenti mancante.
A titolo di esempio, riportiamo in figura (4.4) i risultati di Gilli et al. (2007): si
osserva che, per riprodurre lo spettro della radiazione X di fondo misurata, non sono
sufficienti i contributi di AGN non oscurati (curva rossa, descritti con una dispersione
intrinseca del photon index Γ pari a σΓ = 0.2), di AGN Compton-thin (curva blu) e di
emissione da clusters di galassie (curva cumulativa in magenta, in figura (4.4-a), ma è
necessario ipotizzare la presenza di una popolazione di oggetti pesantemente oscurati,
ossia Compton-thick. Il loro apporto (curva nera, in figura 4.4-b) viene appunto stimato
fittando i dati sperimentali.
Figura 4.4: Radiazione X di fondo. I punti rappresentano lo spettro misurato dagli strumenti
indicati in legenda. La curva rossa e quella blu definiscono rispettivamente i contributi degli
AGN non oscurati e Compton-thin. A sinistra si nota come la curva cumulativa in magenta,
che include anche l’emissione X da clusters di galassie non riesce a spiegare il flusso misurato.
Il fit con i dati sperimentali è reso possibile dall’introduzione di una popolazione di AGN
Compton-thick (curva nera, a destra).
Coerentemente con il lavoro di Gilli et al. (2006) e Gilli et al. (2007), introduciamo
il rapporto fra gli AGN Compton-thin (ossia con NH ∈ [1021 ; 1024 ] cm−2 ) e gli AGN
68
La funzione di luminosità degli AGN
non oscurati (cioè con NH < 1021 cm−2 ):
R = RS e−Lx /LS + RQ (1 − e−Lx /LS )
(4.11)
Il primo esponenziale, pesato dal coefficiente RS , domina a basse luminosità, mentre
ad Lx alte prevale il secondo termine, pesato dal coefficiente RQ . La luminosità LS
riscala la dipendenza dell’espressione da Lx . Nel nostro caso sarà LS = 43.5 L . I
valori adottati per RS ed RQ , che qui assumeremo essere indipendenti dal redshift,
sono ripresi da Gilli et al. (2007):
RS = 3.7
;
RQ = 1.0
(4.12)
Dal momento, poi, che il numero di sorgenti Compton-thick necessarie ad ottenere
l’accordo con il fondo X è approssimativamente uguale a quello di AGN Compton-thin,
basterà moltiplicare per due i valori di RS ed RQ per ottenere una correzione R che
tenga conto anche degli oggetti fortemente oscurati.
La funzione di luminosità finale è quindi data da
φ(Lx , z) = φ0 (Lx , z) · (1 + R)
(4.13)
In figura (4.5) rappresentiamo i risultati finali per la funzione di luminosità bolometrica
degli AGN.
4.2 Funzione di luminosità in banda X soffice
69
Figura 4.5: Funzione di luminosità degli AGN, ricavata combinando la funzione di luminosità
di Hasinger in banda X soffice (Hasinger et al., 2005) con la nostra correzione bolometrica.
Più spesse sono raffigurate le curve corrispondenti a redshifts interi.
Capitolo 5
Evoluzione temporale della
funzione di massa dei buchi neri
Gli aviatori americani lasciarono l’uniforme e diventarono dei ragazzi.
E Hitler, pensò Billy, divenne un bambino. Questo nel film non c’era.
Billy stava estrapolando. Tutti tornarono bambini, e tutta l’umanità,
senza eccezione, cooperò biologicamente fino a produrre due individui
perfetti di nome Adamo ed Eva.
Mattatoio n◦ 5
Kurt Vonnegut, 1966
5.1
L’equazione di continuità
L’analisi statistica della popolazione di AGN è resa possibile dall’elevato numero di
oggetti osservati. Oltre mezzo secolo di osservazioni del cielo profondo hanno consentito
di riconoscere decine di migliaia di galassie attive. In questo lavoro, poi, l’insieme
statistico dei nuclei galattici attivi verrà trattato come un insieme continuo nel piano
massa-luminosità. Tale approccio è nel nostro caso giustificato poiché, dette ad esempio
l0 e τ rispettivamente le scale di lunghezza e tempo su cui variano le grandezze fisiche
che definiscono la popolazione degli AGN (numero di oggetti, tasso di accrescimento,
densità, energia interna), in ogni elemento di volume comovente ∆l3 (con ∆l l0 ) gli
AGN possono essere considerati al tempo t in evoluzione coerente fino al tempo t + τ ,
72
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
ossia le suddette grandezze fisiche hanno un andamento continuo, regolare e lentamente
variabile. In queste ipotesi è giustificabile la scrittura di un’equazione di continuità per
l’evoluzione cosmologica dei SMBHs.
Sottolineiamo ancora, tuttavia, che l’idea di poter avvalorare tali ipotesi con le osservazioni è di principio fuorviante e sottintende un assunto fondamentale dell’astrofisica,
cioè che l’evoluzione temporale dei singoli oggetti possa essere “seguita” indagando le
proprietà medie di oggetti simili al variare del redshift. Dal momento che le nostre osservazioni hanno una durata infinitesima rispetto ai tempi scala dell’evoluzione di una
galassia, la nostra massima aspirazione possibile è quella di fotografare “istantanee”
dell’universo in tutte le sue fasi evolutive (per quanto consentito dalla strumentazione
disponibile), ciascuna corrispondente ad un redshift. Rimane tuttavia del tutto preclusa la possibilità di esaminare le proprietà di un singolo oggetto dalla sua formazione
alla sua struttura odierna. La possibilità di attribuire a tante osservazioni statiche
il significato di evoluzione dinamica è dunque assolutamente vincolata ad uno studio
statistico delle proprietà medie della popolazione di AGN.
Fatte queste dovute premesse consideriamo allora, ad un certo istante t, i BH con
massa compresa fra M ed M + dM . Potremo dire che la variazione del loro numero
(nel seguito indicato da N (M ; t)) è da addursi o ad un processo di accrescimento,
descrivibile in termini di flusso attraverso l’elemento di massa, o ad una variazione
“intrinseca” del campione, dovuta ad esempio a processi di interazione fra galassie che
portino al merging fra i nuclei galattici o anche alla formazione di nuovi seeds durante
il collasso gravitazionale di protogalassie.
Consideriamo dunque una distribuzione di BH descritta da una funzione di massa
f (M ; t), definita come densità numerica per unità di volume comovente:
f (M ; t) =
dN (M ; t)
dV
(5.1)
5.1 L’equazione di continuità
73
Tale distribuzione verrà considerata normalizzata alla densità comovente, ossia
Z
∞
f (M ; t)dM =
0
dN (t)
dV
(5.2)
dove dN (t) indica il numero di buchi neri super-massicci presenti al tempo t nel volume
comovente dV .
Nel caso semplificato per cui si possa considerare trascurabile il contributo di merging entro un significativo intervallo di redshift, potremo assumere conservato il numero
complessivo di BH e scrivere l’equazione di continuità con termine di sorgente nullo.
Tuttavia è da notare che i BH di massa M possono essere caratterizzati da un tasso
di accrescimento, definito da Ṁ =
dM
,
dt
in linea di principio arbitrario e pertanto il
campione infinitesimo di BH con massa compresa fra M ed M + dM sarà identificato
da un tasso di accrescimento medio Ṁ . In conclusione potremo scrivere l’equazione
di continuità nei termini:
∂f (M ; t)
∂ Ṁ (t) f (M ; t) = 0
+
∂t
∂M
(5.3)
Questa forma dell’equazione di continuità è stata utilizzata da molti autori (Cavaliere,
Morrison & Wood 1971; Small & Blandford 1992, Marconi et al. 2004, Merloni & Heinz
2008) per un modello semplificato di evoluzione in cui l’accrescimento dei SMBHs
è supposto aver luogo esclusivamente in fasi di attività AGN e con un unico valore
possibile del tasso di accrescimento specifico, definito come
ξ=
Ṁ
M
(5.4)
e direttamente connesso, come vedremo, al rapporto di Eddington. In questo caso il
valor medio di Ṁ ad un certo tempo t è semplicemente dato da Ṁ (t) opportunamente
pesato dalla frazione δ di SMBHs di massa M che al tempo t si trovino in condizione
di attività AGN :
Ṁ (t) = δ(M ; t) Ṁ (t)
(5.5)
74
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
Assumeremo che la quantità δ(M ; t) ora definita come frazione di BH di massa M attivi a redshift z(t) (ossia con luminosità L superiore ad un certo valore di soglia Lmin )
coincida con il cosiddetto duty cycle, definito come media statistica del rapporto fra il
tempo τ che un singolo BH osservato a redshift z(t) trascorre in condizioni di attività
AGN ed il tempo di Hubble tH (z)1 .
Per chiarire meglio come queste formali definizioni possano tradursi facilmente in quantità direttamente osservabili supponiamo che la luminosità bolometrica L della regione
nucleare di una galassia attiva sia data in massima parte dal contributo prodotto per
accrescimento sul buco nero super-massiccio centrale (trascurando quindi la luminosità
stellare in galassie non spazialmente ben risolte). Potremo in tal caso scrivere
L = r c2 Ṁacc
(5.6)
dove dMacc è la massa che va ad accrescere il BH nell’intervallo infinitesimo di tempo
dt ed r è detta efficienza radiativa, il cui valore può variare fra un minimo di ∼ 0.056
per accrescimento radiale su un buco nero di Schwarzschild ed un massimo di ∼ 0.42
nel caso di un buco nero di Kerr massimamente ruotante. La massa del BH, per
accrescimento, aumenta conseguentemente di un termine
dM = (1 − r )dMacc
ovvero
Ṁacc =
1
Ṁ
1 − r
(5.7)
nell’ipotesi che la simmetria del processo di accrescimento non comporti un complessivo
trasferimento di impulso al BH.
Dalle due precedenti relazioni otteniamo quindi che la luminosità bolometrica può
essere espressa semplicemente in funzione del tasso di crescita del SMBH:
L=
1
r c2
Ṁ
1 − r
(5.8)
Il tempo di Hubble, ad un certo redshift z, è definito come il tempo trascorso fra l’istante del Big
Bang e l’istante t corrispondente al redshift z
5.2 Generalizzazione a distribuzioni qualunque
75
Infine ricordiamo che mentre la funzione di massa dei BH include tutti i buchi neri
super massivi, siano essi in galassie attive o meno, la distribuzione di luminosità conta
i soli AGN. Pertanto, fintanto che si consideri valida la corrispondenza biunivoca fra
massa del buco nero centrale e luminosità bolometrica di un AGN, varrà la relazione
δ(M ; t) f (M ; t) dM = φ(L; t) dL
(5.9)
Combinando le relazioni fin qui scritte, troviamo dunque che l’equazione di continuità
può essere riscritta, in questo modello semplificato, nei termini
∂ ∂f (M ; t)
+ξ
Lφ(L) L=ξ r c2 M = 0
1−r
∂t
∂M
(5.10)
dove si assume implicitamente che ξ non dipenda da M .
5.2
Generalizzazione a distribuzioni qualunque
L’assunzione di un unico tasso di accrescimento specifico consente una grande semplificazione nell’analisi matematica. Tuttavia rappresenta una forzatura consistente del
modello fisico: un buco nero di massa M può, in queste condizioni, o essere inattivo,
quindi non accrescere affatto la propria massa e avere una luminosità identicamente
nulla, o viceversa essere in fase AGN, con una luminosità fissata e non modulabile.
E’ d’altra parte chiaro che il processo di accrescimento è vincolato al flusso di materia
in caduta sul BH, pertanto un’unica luminosità corrisponde ad un apporto costante
di gas e polveri al disco di accrescimento, in palese contrasto con tutti i modelli di
formazione delle galassie, che prevedono una progressiva diminuzione della densità di
gas e polveri, man mano che queste si addensano in strutture proto-stellari.
L’inizio o il termine di una fase di attività, inoltre, segnerebbero paradossali discontinuità nella curva di luce di una galassia, tanto che questo modello è stato scherzosamente denominato “modello a lampadina” (dall’inglese light bulb model ).
Quanto questo si discosti dalla situazione reale può essere facilmente verificato sti-
76
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
mando direttamente il tasso di accrescimento specifico dall’esame della distribuzione
di luminosità in un campione di galassie locali sufficientemente ben risolte da poter
misurare la massa dei BH centrali.
La nostra intenzione è di approntare un metodo statistico che sia un valido strumento per spiegare al meglio le osservazioni e raccordarle a modelli teorici “credibili”
per l’accrescimento. Verificheremo poi come il caso banale possa essere ritrovato sotto
opportune condizioni semplificative.
Ricerchiamo dunque un nuovo modo per esprimere Ṁ , definendo una nuova distribuzione a due variabili, F (M, Ṁ ; t), che rappresenti la densità comovente di BH
con massa compresa fra M ed M + dM e tasso di accrescimento compreso fra Ṁ ed
Ṁ + dṀ : dalla definizione formale di media di insieme,
Z
∞
Ṁ F (M, Ṁ ; t) dṀ
0
Ṁ = Z
(5.11)
∞
F (M, Ṁ ; t) dṀ
0
dove l’integrale al denominatore restituisce la distribuzione monodimensionale f (M ; t).
Dalle (5.3) e (5.11) si ottiene dunque
∂f (M ; t)
∂
+
∂t
∂M
Z
∞
Ṁ F (M, Ṁ ; t) dṀ
=0
(5.12)
0
E’ da notare come questa relazione sia ottenibile integrando in Ṁ un’equazione di
continuità scritta per la distribuzione bidimensionale F (M, Ṁ ; t):
Z
0
∞
"
∂F (M, Ṁ ; t)
∂ Ṁ F (M, Ṁ ; t)
+
∂t
∂M
#
dṀ = 0
(5.13)
La distribuzione bidimensionale può essere a sua volta espressa definendo la probabilità condizionata Π(Ṁ |M ; t) che un BH di massa M abbia un tasso di accrescimento
compreso fra Ṁ ed Ṁ +dṀ , o, alternativamente, definendo la probabilità condizionata
P che un BH con un tasso di accrescimento Ṁ abbia una massa compresa fra M ed
5.2 Generalizzazione a distribuzioni qualunque
77
M + dM . Nei due casi avremo, rispettivamente:
F (M, Ṁ ; t) = P(M |Ṁ ; t) Φ(Ṁ ; t)
(5.14)
F (M, Ṁ ; t) = Π(Ṁ |M ; t) f (M ; t)
(5.15)
La (5.12) diventa allora
∂f (M ; t)
∂
+
∂t
∂M
∞
Z
Ṁ P(M |Ṁ ; t) Φ(Ṁ ; t) dṀ
=0
(5.16)
=0
(5.17)
0
o, alternativamente,
∂f (M ; t)
∂
+
∂t
∂M
Z
∞
Ṁ Π(Ṁ |M ; t) f (M ; t) dṀ
0
In queste ultime equazioni, tuttavia, compare ancora il tasso di accrescimento,
quantità direttamente non osservabile. Riprendendo la relazione (5.8) otteniamo però
che la (5.16) e la (5.17) possono essere riscritte in funzione della luminosità, ossia,
rispettivamente:
∂f (M ; t) 1 − r ∂
+
∂t
r c2 ∂M
Z
∂f (M ; t) 1 − r ∂
+
∂t
r c2 ∂M
∞
L P(M |L; t) Φ(L; t) dL = 0
(5.18)
0
Z
f (M ; t)
∞
L Π(L|M ; t) dL = 0
(5.19)
0
dove abbiamo sfruttato il fatto che la (5.8) impone l’uguaglianza fra il numero di BH
con tasso di accrescimento compreso fra Ṁ e Ṁ +dṀ ed il numero di BH con luminosità
compresa fra L ed L + dL, cioè valgono le seguenti
Φ(Ṁ ; t) dṀ = Φ(L; t) dL
(5.20)
Π(Ṁ |M ; t) dṀ = Π(L|M ; t) dL
(5.21)
Esprimiamo ora per semplicità le masse in unità di masse solari e le luminosità in
78
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
unità di luminosità solare, per cui
m=
M
M
;
L
r c2 M =
ṁ
L
1 − r L
l=
(5.22)
Utilizzando le nuove variabili adimensionali di massa e luminosità le (5.18) e (5.19)
diventano:
∞
∂f (m; t) 1 − r L ∂
+
∂t
r c2 M ∂m
Z
∂f (m; t) 1 − r L ∂
+
∂t
r c2 M ∂m
Z
f (m; t)
l P(m|l; t) Φ(l; t) dl
=0
(5.23)
=0
(5.24)
0
e
5.2.1
∞
l Π(l|m; t) dl
0
Il duty cycle
Le probabilità condizionate definite consentono di comprendere meglio il ruolo della
quantità δ(M ; t) (introdotta nel paragrafo 5.1) nel processo di attività AGN su scala
temporale cosmologica.
Data una certa luminosità minima lmin al di sopra della quale i BH vengono definiti
attivi, chiamiamo δlmin (m; t) la grandezza
Z
δlmin (m; t) =
∞
P(m|l; t) Φ(l; t) dl
lmin
(5.25)
f (m; z)
o anche
Z
∞
δlmin (m; t) =
log lmin
dδlmin (m; t)
d log l =
d log l
Z
∞
Π(log l|m, t) d log l
(5.26)
log lmin
dove, stavolta,
dδlmin (m; t)
d log l = Π(log l|m; t) d log l = Π(l|m; t) dl
d log l
(5.27)
L’integrale assume il significato fisico di frazione di BH con luminosità superiore ad
5.2 Generalizzazione a distribuzioni qualunque
79
lmin , ossia, come ci attendevamo, di frazione di BH attivi.
Possiamo allora anche scrivere
dδlmin (m; t)
1 dτ (l > lmin )
d log l ≡
d log l
d log l
tH (z)
d log l
(5.28)
dτ (l > lmin )
assume il significato di distribuzione dei tempi di attid log l
vità degli AGN in funzione della luminosità bolometrica prodotta.
in cui la quantità
Questa notazione può risultare particolarmente utile per stimare il contributo di merging sfruttando i numerosi studi in letteratura.
L’importanza della (5.28) risiede nel fatto che se, in qualche modo, si riesce ad
ottenere una distribuzione dei tempi di attività degli AGN, si perviene immediatamente
alla probabilità condizionata P(m|l; t) o alla Π(l|m; t) e, utilizzando queste, è possibile
integrare l’equazione di continuità (5.18).
5.2.2
Approssimazioni
E’ da notare che nelle equazioni di continuità (5.23) e (5.24) l’integrale è esteso a
luminosità qualunque. In realtà il conteggio degli AGN ha l’ovvia limitazione che gli
oggetti siano effettivamente visibili, ossia abbiano una luminosità bolometrica superiore
ad una certa soglia. Assumiamo che tale soglia sia proprio data dalla lmin per cui
definiamo un BH come attivo e, premettendo che si ha un risultato del tutto identico
per la (5.23), riscriviamo la (5.24) come
Z ∞
f (m; t)
l Π(l|m; t) dl =
lmin
Z lmin
1 − r L ∂
=−
f (m; t)
l Π(l|m; t) dl
r c2 M ∂m
0
∂f (m; t) 1 − r L ∂
+
∂t
r c2 M ∂m
(5.29)
In questo modo abbiamo separato il contributo delle galassie “attive” (al primo
membro) da quello delle galassie “inattive” (al secondo membro).
80
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
Ci proponiamo ora di mostrare che il secondo integrale è in realtà del tutto trascu-
rabile rispetto al primo. Partiamo introducendo alcune medie di insieme: innanzitutto
la luminosità media dei BH di massa m al tempo t è anche data da
∞
Z
l Π(l|m; t) dl
0
l (m) = Z ∞
Π(l|m; t) dl
;
(5.30)
0
la luminosità media dei soli BH inattivi di massa m al tempo t, poi, è
lmin
Z
l Π(l|m; t) dl
l in (m) = Z0
;
lmin
(5.31)
Π(l|m; t) dl
0
infine la luminosità media dei BH attivi di massa m al tempo t è data da
Z
∞
l Π(l|m; t) dl
l att (m) = Zlmin
∞
;
(5.32)
Π(l|m; t) dl
lmin
La probabilità che un BH di massa m sia attivo al tempo t è inoltre espressa da
Z
∞
Π(l|m; t) dl
(5.33)
lmin
e coincide, come abbiamo, detto con il rapporto fra il numero di BH attivi di massa
m ed il numero totale di BH di massa m, cioè con il duty cycle δlmin (m; t). Abbiamo
quindi
Z
∞
Z
l Π(l|m; t) dl =
0
lmin
Z
∞
l Π(l|m; t) dl +
0
l Π(l|m; t) dl
lmin
Z lmin
Z ∞
= l in (m) ·
Π(l|m; t) dl + l att (m) ·
Π(l|m; t) dl =
0
lmin
= l in (m) 1 − δlmin (m; t) + l att (m) δlmin (m; t)
(5.34)
5.2 Generalizzazione a distribuzioni qualunque
81
Il secondo integrale, dunque, è trascurabile rispetto al primo se vale la condizione
l in (m) 1 − δlmin (m; t) l att (m) δlmin (m; t)
(5.35)
Considerando che δlmin (m; t) 1, la condizione si riduce a
l in (m) l att (m) δlmin (m; t)
(5.36)
Ricordiamo ora che il rapporto di Eddington λ è definito da
λ=
L
L
L l
=
=
LE
αM
M αm
(5.37)
4πcGmp
σT
(5.38)
dove α è una costante nota e vale
α=
La (5.36) può allora essere riscritta come
λ in (m) λ att (m) δlmin (m; t)
(5.39)
Osservando poi che possiamo assumere
λ in (m) . 10−6
;
λ att (m) ∼ 10−1
(5.40)
vediamo che i limiti imposti al duty cycle sono
10−5 δlmin (m; t) ≤ 1
Tale condizione è, nel nostro caso, del tutto accettabile.
(5.41)
82
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
In conclusione, possiamo approssimare la (5.24) a
∂f (m; t) 1 − r L ∂
+
∂t
r c2 M ∂m
Z
f (m; t)
∞
l Π(l|m; t) dl
=0
(5.42)
=0
(5.43)
lmin
In modo del tutto analogo, la (5.23) potrà essere approssimata a
∂f (m; t) 1 − r L ∂
+
∂t
r c2 M ∂m
5.3
Z
∞
l P(m|l; t) Φ(l; t) dl
lmin
Il rapporto di Eddington
Il parametro di Eddington esprime il rapporto fra la luminosità bolometrica di un oggetto e la sua luminosità di Eddington, ossia la massima luminosità bolometrica possibile
nell’ipotesi di accrescimento radiale a simmetria sferica autolimitato dalla pressione di
radiazione (ipotesi che sarà considerata, in questo lavoro, sempre soddisfatta).
Nell’intenzione di inquadrare l’analisi statistica della popolazione osservata di AGN
nell’ambito dello studio dell’evoluzione cosmologica dei SMBHs, il rapporto di Eddington rappresenta un parametro più interessante della massa o della luminosità, poiché
più direttamente connesso alla fisica dell’accrescimento.
E’ dunque utile esprimere le relazioni fondamentali fin qui ottenute in termini di λ.
Osserviamo che
L
r c2
λ=
=
·
αM
(1 − r )α
d
dt
M
M
M
M
r c2 ln 10 d
=
·
(1 − r )α dt
log m
(5.44)
Risulta allora più utile scrivere l’equazione di continuità come
∂f (log m; t)
∂
+
∂t
∂ log m
d
log m f (log m; t) = 0
dt
(5.45)
5.3 Il rapporto di Eddington
83
Questa, infatti, sfruttando la (5.44) diventa
∂f (log m; t) (1 − r )α ∂
+
hλif (log m; t) = 0
∂t
r c2 ln 10 ∂ log m
(5.46)
Analogamente a prima abbiamo
Z
1
Z 1
λF (log m, λ; t) dλ
1
0
λ = Z 1
=
λF (log m, λ; t) dλ
f (log m; t) 0
F (log m, λ; t) dλ
(5.47)
0
Anche in questo caso potremo definire la probabilità condizionata Π(λ| log m; t), per
cui l’equazione di continuità può assumere la forma
∂f (log m; t) (1 − r )α ∂
+
∂t
r c2 ln 10 ∂ log m
Z
f (log m; t)
1
λ Π(λ| log m; t) dλ = 0
(5.48)
0
Sfruttando ancora le relazioni
Π(λ| log m; t) dλ = Π(log λ| log m; t) d log λ
(5.49)
abbiamo infine
∂f (log m; t) (1 − r )α ∂
+
∂t
r c2 ln 10 ∂ log m
Z
f (log m; t)
0
λ Π(log λ| log m; t) d log λ = 0
−∞
(5.50)
Per trovare l’analoga relazione che includa la funzione di luminosità basterà osservare
che, per una data luminosità,
P(log m| log l) ≡ P(log λ| log l)
(5.51)
trovando quindi, direttamente dalla (5.23),
∂f (log m; t) (1 − r )α ∂
+
∂t
r c2 ln 10 ∂ log m
Z
0
∞
λ P(log λ| log l; t) Φ(l; t) dl
=0
(5.52)
84
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
che sfruttando la
Φ(l; t) dl = Φ(log l; t) d log l
(5.53)
diventa
∂f (log m; t) (1 − r )α ∂
+
∂t
r c2 ln 10 ∂ log m
Z
+∞
λ P(log λ| log l; t) Φ(log l; t) d log l
=0
−∞
(5.54)
Esattamente come nel caso precedente possiamo esprimere l’integrale come somma
dei contributi dovuti ai BH attivi e a quelli inattivi, dimostrando ancora che il secondo
termine è trascurabile rispetto al primo qualora valga, come nel nostro caso, la condizione (5.41).
Le forme finali dell’equazione di continuità saranno dunque le seguenti:
∂f (log m; t) (1 − r )α ∂
+
∂t
r c2 ln 10 ∂ log m
∂f (log m; t) (1 − r )α ∂
+
∂t
r c2 ln 10 ∂ log m
Z
∞
λ P(log λ| log l; t) φ(log l; t) d log l
=0
log lmin
Z
f (log m; t)
0
(5.55)
λ Π(log λ| log m; t) d log λ = 0
log λmin
(5.56)
dove λmin rappresenta il limite inferiore del rapporto di Eddington per cui definiamo
attivo un BH.
Le probabilità condizionate sono depositarie del modello fisico di accrescimento, ma
non sono di per sé facilmente osservabili. Per scrivere correttamente l’equazione di
continuità si aprono dunque due possibilità opposte: ipotizzare un modello teorico di
accrescimento e simulare numericamente l’evoluzione di un gran numero di oggetti per
derivarne la distribuzione del parametro di Eddington oppure vincolare la parametrizzazione di tale distribuzione alle grandezze medie osservate, sostanzialmente la funzione
di luminosità degli AGN e la densità di SMBHs. Quest’ultimo è l’approccio seguito in
questo lavoro: studieremo l’evoluzione dei nuclei galattici attivi entro un intervallo di
redshift sufficientemente ampio da poter apprezzare una significativa variazione della
distribuzione di massa ma tale da collocarsi interamente ad epoche successive all’era
di formazione delle strutture, in modo da poter assumere che il numero totale dei BHs
5.4 Vincoli
85
sia quasi conservato, e tale che la funzione di luminosità sia ben vincolata ai dati osservativi. Per la massima parte degli AGN, dunque, confidiamo nel fatto che la funzione
di luminosità e la densità comovente complessiva siano sufficienti a parametrizzare la
probabilità condizionata. Trascureremo inoltre il contributo di merging, accennando
nelle conclusioni a possibili derivazioni di questo termine da simulazioni numeriche di
interazione fra galassie.
5.4
Vincoli
Un primo vincolo alle probabilità condizionate (e dunque anche all’evoluzione cosmologica governata dall’equazione di continuità) è fornito dalle condizioni di normalizzazione:
+∞
Z
P(log m| log l; t) d log m =
+∞
Z
−∞
P(log λ| log l; t) d log λ = 1
(5.57)
−∞
e
Z
+∞
Z
+∞
Π(log l| log m; t) d log l =
−∞
Π(log λ| log m; t) d log λ = 1
(5.58)
−∞
In questi integrali gli estremi di integrazione sono da considerarsi per definizione
infiniti. Tuttavia possiamo fare alcune considerazioni: in primo luogo escludendo la
possibilità di accrescimento sovra-Eddington dovremo scegliere una forma per le distribuzioni che decresca molto rapidamente per log λ ≥ 0.
L’integrale (5.57) può essere quindi approssimato come segue:
Z
+∞
1=
P(log λ| log l; t) d log λ '
−∞
Z log λmin
=
−∞
Z
0
P(log λ| log l; t) d log λ =
−∞
P(log λ| log l; t) d log λ +
Z
0
log λmin
P(log λ| log l; t) d log λ
(5.59)
86
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
mentre la (5.58) si riduce a
Z
+∞
Z
0
Π(log λ| log m; t) d log λ '
1=
=
Π(log λ| log m; t) d log λ =
−∞
−∞
Z log λmin
Z
0
Π(log λ| log m; t) d log λ
Π(log λ| log m; t) d log λ +
−∞
(5.60)
log λmin
Considerando ad esempio la (5.60), notiamo che ciascuno dei due contributi ha un
significato fisico ben preciso: questi rappresentano le probabilità che un BH di massa
m accresca ad un rapporto di Eddington rispettivamente inferiore e superiore al valore
di soglia λmin che scegliamo per discriminare le galassie ordinarie dagli AGN. Per
conseguenza, il solo secondo integrale restituisce ancora il duty cycle:
Z
0
Π(log λ| log m; t) d log λ = δλmin (log m; t)
(5.61)
log λmin
Come secondo vincolo proponiamo la distribuzione di luminosità stimata per ogni
redshift incluso nell’integrazione temporale dell’equazione di continuità. La funzione
Φ(log l; t) finora inclusa nelle equazioni è in realtà la funzione di luminosità bolometrica
dei SMBHs, ossia la densità comovente di ogni SMBH (con un qualunque tasso di
accrescimento) che abbia una luminosità compresa, in logaritmo, fra log l e log l +
d log l; ciò che invece è direttamente osservato e già discusso nel precedente capitolo
è la funzione di luminosità bolometrica degli AGN, φ(log l; t), che si limita al solo
sottoinsieme di dei SMBHs attivi. Pertanto dovremo porre:
Φ(log l; t) =


φ (log l; t) ∀ l < lmin


 0




φ(log l; t)
(5.62)
∀ l ≥ lmin
La funzione φ0 (log l; t), tuttavia, è in questa sede di scarso interesse ed esula dal tema
di questa tesi.
La funzione di luminosità è direttamente esprimibile in funzione della distribuzione
5.4 Vincoli
87
bidimensionale e dunque anche della probabilità condizionata:
Z
+∞
F (log m, log l; t) d log m
φ(log l; t) =
−∞
Z +∞
=
f (log m; t) Π(log λ| log m; t) d log m
∀l > lmin
(5.63)
−∞
Nel seguito la condizione ∀l > lmin verrà tralasciata ove sia chiaro significato dei simboli.
Anche in questo caso possiamo discutere il significato degli estremi di integrazione:
siccome non sono osservati SMBHs di massa superiore a ∼ 1010 M sarà opportuno
scegliere una forma per la distribuzione che tenda a 0 per log m & 10. Se questo non
si dovesse verificare, l’equazione di continuità non ne verrebbe comunque influenzata
dato che a moltiplicare la probabilità condizionata è presente la funzione di massa che
appunto è nulla oltre il suddetto limite. La (5.63) può essere dunque approssimata
come segue:
Z
log mmax
φ(log l; t) '
f (log m; t) Π(log λ| log m; t) d log m =
−∞
Z log mmin
f (log m; t) Π(log λ| log m; t) d log m+
=
−∞
Z
log mmax
f (log m; t) Π(log λ| log m; t) d log m
+
(5.64)
log mmin
L’integrale è stato separato in due termini con il proposito di mostrare che il primo di
questi è in realtà da intendersi nullo o del tutto trascurabile: a questo corrispondono i
BH in accrescimento sovra-Eddington. Ricordando infatti che
log m = log l − log α0 − log λ
con
α0 = α
M
L
(5.65)
notiamo che, data una luminosità l, la presenza di un valore massimo (pari a 1) per il
rapporto di Eddington introduce un limite inferiore per la massa:
log mmin = log l − log α0 − log λmax = log l − log α0
(5.66)
88
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
Ulteriori vincoli provengono poi dalle definizioni di densità numerica e di massa dei
SMBH. La prima è data dalla (5.2), che riscriviamo per completezza:
Z
∞
Z
log mmax
f (log m; t) d log m '
f (log m; t) d log m = nBH (t)
−∞
;
(5.67)
log mmin
la seconda è esprimibile in due modi distinti: usando la funzione di massa o quella di
luminosità degli AGN. Partiamo dalla definizione:
zmax
Z
ṀAGN (t) nAGN (t) dt =
ρAGN (t) = MAGN (t) nAGN (t) =
0
1 − r
=
r c2
zmax
Z
0
dt
(z) L nAGN (t) dz
dz
(5.68)
In quest’ultima si è preferito passare da t a z, dal momento che le funzioni di luminosità sono note in funzione del redshift, quantità direttamente osservabile. La funzione
dt/dz(z) è ricavabile analiticamente dal modello cosmologico adottato. Ora,
L =
L
nAGN (t)
Z
∞
l φ(log l; z) d log l
(5.69)
log lmin
per cui
ρAGN
1 − r
=
L
r c2
Z
0
zmax
dt
(z) dz
dz
Z
∞
l φ(log l; z) d log l
(5.70)
log lmin
Dal momento che in questa espressione compare la funzione di luminosità φ(log l; z) e
non la distribuzione totale Φ(log l; z) precisiamo che ρAGN è in realtà il contributo alla
densità di massa comovente dei SMBHs dovuto alle fasi di accrescimento in condizioni
AGN. Approssimando ρAGN alla densità complessiva di buchi neri osservabili ipotizziamo implicitamente che l’accrescimento si verifichi in massima parte a parametri di
Eddington superiori a λmin . Questa assunzione non è di per sé scontata ma è ampiamente discussa e motivata in letteratura. D’altra parte la stessa densità di massa può
essere ottenuta più semplicemente integrando i contributi di tutti i SMBHs a tutti i
5.5 Riduzione al caso semplice
89
redshift:
Z
zmax
Z
m f (log m; z) d log m
dz
ρAGN = M (5.71)
log mmin
0
5.5
log mmax
Riduzione al caso semplice
Un utile test di validità delle relazioni finora presentate consiste nel verificare che, nel
caso banale del light bulb model l’equazione di continuità si riduca alla forma (5.10).
Ipotizzare un unico possibile tasso di accrescimento specifico corrisponde a considerare un unico valore valido del parametro di Eddington. Questo, a sua volta, significa
che le probabilità condizionate definite in questo capitolo si riducono a distribuzioni
infinitamente strette, ossia a delta di Dirac:
l
P(log m| log l; z) ≡ δD log m − log
λα0
(5.72)
Π(log l| log m; t) ≡ δD log l − log(λα0 m)
(5.73)
e, analogamente,
Dal momento che intendiamo descrivere l’evoluzione degli AGN, dovrà essere
log(λα0 m) ≥ lmin
(5.74)
Non si pone quindi più la questione del contributo incognito di galassie inattive, inoltre la distribuzione di luminosità Φ(log l; t) diventa pari alla funzione di luminosità
φ(log l; t) e l’equazione di continuità (5.54) assume in alcuni passaggi la forma
∂f (m; t) (1 − r ) L ∂
+
∂t
r c2 M ∂m
Z
∞
l
Φ(l; t) dl = 0
l δD m −
λα0
−∞
(5.75)
ossia
∂f (m; t)
∂
+ξ
[l φ(l; t)]l=λα0 m = 0
∂t
∂m
come atteso.
(5.76)
90
Evoluzione temporale della funzione di massa dei buchi neri
Nel prossimo capitolo vedremo come utilizzare alcune delle relazioni qui definite per
analizzare l’evoluzione cosmologica della distribuzione di massa degli AGN.
Capitolo 6
Rapporto di Eddington e
accrescimento dei buchi neri
Senza una viva e forte immaginazione non è possibile di
mettersi nei piedi dello studente e preveder tutte le
difficoltà ch’egli avrà e i dubbi e le ignoranze
Zibaldone
Giacomo Leopardi, 1817-1832
In questo capitolo illustreremo alcuni possibili scenari evolutivi della distribuzione di
massa dei nuclei galattici attivi con l’ausilio della funzione di massa locale dei SMBHs
descritta nel capitolo (3) e della funzione di luminosità degli AGN ricavata nel capitolo
(4), legate fra loro dall’equazione di continuità studiata nel capitolo (5).
La condizione iniziale per l’evoluzione sarà necessariamente una distribuzione di massa
ad un redshift zstart . Come già anticipato, tale condizione iniziale può essere fissata
all’epoca attuale, ricavando dunque la funzione di massa ad alto redshift a partire da
quella osservata nell’universo locale (questo caso sarà denominato nel seguito modello
Z ); viceversa potremo assumere zstart > 0 e procedere ricostruendo l’evoluzione della
popolazione di AGN in verso concorde con la freccia del tempo (nel seguito modello
T ) per determinare la distribuzione di massa prevista a redshift z = 0, ossia nell’universo locale. In entrambi i casi sarà indispensabile poter disporre di una forma per la
funzione di luminosità degli AGN che sia ben vincolata ai dati osservativi. Per questa
92
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
ragione il secondo estremo dell’intervallo di redshift sarà fissato a z = 5.
Nel presente capitolo descriveremo in dettaglio quanto ottenuto per il modello T ,
rimandando la discussione del modello Z agli sviluppi futuri di questo lavoro di tesi.
6.1
Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
Per descrivere la distribuzione di massa degli AGN a redshift zstart = 5 possiamo
scegliere due strade alternative: ipotizzare una forma arbitraria, magari data dalla
successione di due leggi di potenza o da una funzione di Schechter; oppure sfruttare il
legame fra distribuzione di massa, funzione di luminosità e distribuzione del parametro
di Eddington. Come abbiamo visto, il parametro di Eddington è più immediatamente
riconducibile alla dinamica di accrescimento, pertanto riteniamo più utile sfruttare
quest’ultimo metodo: partiamo dunque dalla relazione
Z +∞
f (log m; z) =
P(log m| log l; z) Φ(log l; z) d log l ≡
−∞
Z +∞
≡
P(log λ| log l; z) Φ(log l; z) d log l
(6.1)
−∞
Ricordiamo però che non è possibile disporre di una funzione di luminosità di tutti i
SMBHs a qualunque luminosità, ma solo di quelli attivi, cioè con luminosità bolometrica superiore ad una certa soglia Lmin . Fissiamo pertanto tale soglia a 108.5 L e
riscriviamo la relazione precedente come1
Z +∞
P(log λ| log l; z) Φ(log l; z) d log l =
f (log m; z) =
−∞
Z +∞
P(log λ| log l; t) Φ(log l; z) d log l
−∞
·
=Z ∞
P(log λ| log l; z) φ(log l; z) d log l
log lmin
Z ∞
·
P(log λ| log l; z) φ(log l; z) d log l =
log lmin
Z ∞
1
=
·
P(log λ| log l; z) φ(log l; z) d log l
(6.2)
δlmin (log m; z) log lmin
1
Come descritto dalla (5.62), entro l’intervallo log lmin < log l < log lmax possiamo sostituire alla
distribuzione Φ(log l; z) la funzione di luminosità degli AGN, φ(log l; z).
6.1 Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
93
dove ancora una volta compare il duty cycle che, ricordiamo, ha il significato di frazione
di SMBHs attivi al redshift z. Imporremo per semplicità che il campione a redshift
zstart = 5 sia composto da sole galassie attive, pertanto assumeremo δlmin (log m; 5) = 1.
Come vedremo, fintanto che f (log m; 5) f (log m; 0), questo vincolo non influisce sulla
forma della funzione di massa predetta per l’universo locale.
Sono state studiate diverse forme possibili della distribuzione del parametro di Eddington. Da principio se ne è ipotizzato un semplice profilo gaussiano, definito da
un parametro di accrescimento medio λ̄ e una dispersione σλ , ma nulla di principio
vieta che la distribuzione del parametro di Eddington abbia un profilo più complesso
di quanto rappresentabile con una singola semplice gaussiana. Abbiamo quindi voluto testare la possibile presenza di due popolazioni di AGN in modi di accrescimento
distinti da due diversi parametri di Eddington; la dipendenza dell’accrescimento dalla
luminosità bolometrica dell’AGN è stata studiata ipotizzando una probabilità condizionata P(log λ| log l; z) di forma diversa in due intervalli disgiunti di luminosità; infine
si è passati ad indagare una dipendenza semplice dal redshift, suddividendo l’intervallo z ∈ [0, 5] in due sottointervalli caratterizzati ciascuno da una distribuzione del
parametro di Eddington di profilo gaussiano con una sua propria λ̄ ed una dispersione
σλ .
6.1.1
Una gaussiana
Ipotizziamo che la probabilità condizionata P(log λ| log l; z) abbia il profilo di una
distribuzione normale. Avremo dunque
" 2 #
1 log λ − log λ̄
1
exp
P(log λ| log l; z) = √
2
σ
2πσ
(6.3)
I parametri liberi del problema saranno allora il valore centrale λ̄ della probabilità
condizionata e la sua semilarghezza a metà altezza, σ.
La scelta di un profilo gaussiano dà l’opportunità di poter ritrovare immediatamente
94
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
il light bulb model come caso limite della probabilità condizionata:
lim P(log λ| log l; z) = δ log λ − (log l − log α0 )
σ→0
(6.4)
Data quindi la funzione di massa a redshift z = 5, ora completamente definita,
possiamo sfruttare l’equazione di continuità nella forma (5.55), che qui di seguito riscriviamo in funzione di z, per ottenere la distribuzione a redshift z − dz, con dz 1
e, nel nostro caso, fissato pari a dz = 0.05:
Z ∞
dt (1 − r )α ∂
∂f (log m; z)
+
λ P(log λ| log l; z) φ(log l; z) d log l = 0
∂z
dz r c2 ln 10 ∂ log m
log lmin
(6.5)
dt
La quantità
è fornita dal modello cosmologico ed è una funzione di z compledz
tamente determinata da h, Ωm,0 e ΩΛ,0 . Per un più diretto confronto con i risultati
presenti in letteratura, considereremo, d’ora in poi, h = 0.7, Ωm,0 = 0.3, ΩΛ = 0.7,
comunque consistenti con i dati più recenti disponibili (cfr. 2.23).
L’equazione differenziale è a variabili separabili, pertanto la soluzione può essere ottenuta in modo semplice con il metodo di Eulero, tuttavia, per una maggiore affidabilità
e stabilità del processo di integrazione numerica, si preferirà adottare la procedura di
Runge-Kutta del quarto ordine. Piuttosto che ricavare immediatamente la soluzione
per redshift z = 0, preferiamo calcolare la f (log m; z) ad intervalli di redshift dz = 0.2,
fino a pervenire alla soluzione per zf in = 0. In questo modo potremo descrivere in dettaglio l’evoluzione della funzione di massa entro tutto il range di redshift considerato.
La f (log m; 0) cosı̀ ottenuta rappresenta la forma che la funzione di massa dei relics
nell’universo locale assumerebbe qualora la distribuzione del parametro di Eddington
fosse indipendente dal redshift ed effettivamente di profilo gaussiano centrato in λ̄, con
HWHM σ ed efficienza radiativa pari ad r .
Ovviamente non è scontato che la funzione di massa cosı̀ ottenuta per z = 0 coincida
con quella osservata per i SMBHs del gruppo locale, e, anzi, con ottima probabilità se
6.1 Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
95
ne discosta considerevolmente. Valutando per ogni elemento di log m lo scarto fra le
due funzioni, possiamo definire la funzione
2
N X
fobs (log mi ; z = 0) − fcal (log mi ; z = 0)
χ =
σf2obs ,i
i=1
2
(6.6)
dove N è il numero di punti che definiscono la distribuzione di massa, fobs (log m; z) è
la funzione di massa dei SMBHs locali, con relativa incertezza di misura σfobs , descritta
nel capitolo 3 ed fcal (log m; z) è la funzione di massa dei relics appena ottenuta.
Nonostante la definizione formale sia la stessa, sottolineiamo che tale funzione non
coincide con il noto χ2 definito per distribuzioni normali: non è qui possibile assumere
che i valori ottenuti per la f (log m; z) dall’integrazione dell’equazione di continuità
siano distribuiti normalmente attorno al supposto “valore vero”, fornito dalla funzione
di massa osservata dei SMBHs locali. Tuttavia, grazie a questo funzionale è possibile
ottenere una stima di quanto la distribuzione calcolata e quella osservata siano in
accordo.
Operando una diversa scelta dei parametri che descrivono la probabilità condizionata, si otterrà ovviamente una funzione di massa locale ancora diversa, con un differente
valore del χ2 . Il codice da noi sviluppato assume i parametri della probabilità condizionata come gradi di libertà del sistema e consente di affiancare alla risoluzione
dell’equazione di continuità l’ottimizzazione di tali parametri per massimizzare l’accordo fra la distribuzione di massa dei SMBHs locali e la funzione di massa dei relics
prevista dalla (6.5).
Osservando la (6.5), è immediato verificare che, siccome si ha fcal (log m; z = 0) fcal (log m; z = 5), la funzione di massa dei relics ricavata integrando l’equazione di
continuità dipende quasi linearmente dal termine (1 − r )/r . Pertanto il valore dell’efficienza radiativa che minimizza il χ2 è in ottima approssimazione determinabile
analiticamente ed è quindi estratto dall’algoritmo di ottimizzazione.
Tale procedura di ottimizzazione ricerca dunque il minimo assoluto del χ2 entro lo
spazio dei parametri della distribuzione del parametro di Eddington: in particolare, gli
96
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
intervalli di definizione saranno per noi log λ̄ ∈ [−5; 0], σ ∈ [0.02, 5] ed r ∈ [0, 0.42].
Sottolineiamo per inciso come sia necessario imporre come minimo per la σ un valore
che consenta di campionare correttamente il profilo gaussiano della probabilità condizionata. In corrispondenza di tale limite inferiore i risultati ottenuti saranno quelli
corrispondenti al light bulb model descritto dall’equazione di continuità (5.76).
Di seguito, in figura (6.1), riportiamo i risultati per l’evoluzione della funzione
di massa ottenuti da una probabilità condizionata P(log λ| log l; z) caratterizzata dai
parametri λ̄ e σλ che ottimizzano l’accordo fra la funzione di massa ottenuta per i relics
e la distribuzione di massa dei SMBHs locali.
In tabella (6.1) sono poi riportati i valori dei parametri e dell’efficienza radiativa,
mentre in figura (6.2) mostriamo la mappa del χ2 entro la regione critica dello spazio
dei parametri. Qui, come nel seguito, la funzione di massa dei SMBHs dell’universo
locale scelta per l’ottimizzazione della P(log λ| log m; z) è quella ottenuta, nel capitolo
(3), dalla combinazione dei set 3 e 4, ossia dalla funzione di luminosità di Devereux
et al. (2009) convoluta con le correlazioni MBH − Lbul di Graham (2007) e Gültekin
et al. (2009).
Una corretta stima dell’incertezza sui parametri della distribuzione P(log λ| log l; z)
dovrebbe essere ottenuta, analogamente a quanto fatto nei capitoli 3 e 4, ripetendo
la procedura di ottimizzazione 1000 volte variando la funzione di massa dei SMBHs
locali entro gli errori. Dati i lunghi tempi di elaborazione richiesti (almeno 10 gg per
ogni distribuzione testata, con durate crescenti al crescere del numero di parametri),
siamo costretti a fornire in questa sede una stima grossolana ricavata da sole 100
ottimizzazioni.
Notiamo dalla figura (6.1) che l’accrescimento dei SMBHs di massa piccola (con
log m ∈ [6, 7.4]) non comporta, ad alti redshifts (z ∈ [3, 5]), una significativa variazione
di densità, ossia l’accrescimento di oggetti entro un intervallo di massa [log m, log m +
d log m] viene compensato da un uguale flusso di oggetti di massa inferiore. La popolazione di SMBH con log m ∈ [6, 8] incrementa dunque prevalentemente a bassi redshift,
dove invece la densità degli oggetti massicci è più lentamente varibile. La funzione di
6.1 Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
97
Figura 6.1: Evoluzione della funzione di massa dei relics, nel caso di efficienza radiativa
r = 0.0629 e P(log λ| log m; z) data da una singola gaussiana con λ̄ = 0.199 e semilarghezza a
metà altezza σλ = 0.0200. Le curve sono disegnate ad intervalli di redshift pari a ∆z = 0.2. La
curva rossa più spessa, con le relative barre di errore rappresenta la funzione di massa ottenuta
nel capitolo (3) dalla funzione di luminosità di Devereux et al. (2009) e dalle correlazioni
MBH − Lbul di Graham (2007) e Gültekin et al. (2009). La regione rettangolare in grigio
evidenzia l’intervallo di massa e di redshift per cui la funzione di luminosità degli AGN è nota
solo con una considerevole incertezza di misura.
Tabella 6.1: Parametri della distribuzione di rapporti di Eddington che ottimizza l’accordo
fra la funzione di massa ottenuta integrando l’equazione di continuità (6.5) e la funzione
di massa dei SMBHs locali. Il valore di σλ coincide con il limite inferiore di larghezza che
consente di campionare correttamente il profilo gaussiano, quindi l’errore per difetto non è
stimato.
r
λ̄
σλ
0.063+0.031
−0.024
0.173+0.061
−0.061
0.02+0.23
98
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
Figura 6.2: Mappa di χ2 per una distribuzione dei parametri di Eddington di forma gaussiana.
Dai colori freddi ai colori caldi è rappresentato un χ2 crescente, riscalato all’unità.
massa prevista per z = 0 è ovunque consistente con quella dei SMBHs locali entro gli
errori di misura, anche se è apprezzabile una sovrastima di densità in corrispondenza
degli estremi dell’intervallo di massa considerato.
I parametri ricavati dall’ottimizzazione evidenziano come la migliore gaussiana sia infinitamente stretta. I nostri risultati rigettano quindi la possibilità di significative
dispersioni del paramentro di Eddington e appaiono invece più compatibili con il modello a light bulb in cui tutti i SMBHs accrescono ad uno stesso valore di λ.
Duty cycle
Una volta ottenuti i migliori parametri per la distribuzione del parametro di Eddington,
la derivazione del duty cycle in funzione della massa del SMBH e del redshift può fornire
un utile parametro di controllo per il modello. Fissata la massa, è atteso un andamento
crescente con il redshift e ovunque ci si aspetta δ(log m; z) ≤ 1.
Ricaveremo il duty cycle dalla relazione (5.25), che qui di seguito riscriviamo secondo
6.1 Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
99
la notazione corrente:
Z
δlog lmin (log m; z) =
∞
P(log λ| log m; z) φ(log l; z) d log l
log lmin
f (log m; z)
(6.7)
Il numeratore quantifica il contributo di SMBH di massa m attivi, mentre il denominatore fornisce la giusta normalizzazione.
Senza troppa sorpresa il risultato che si ottiene dando alla probabilità condizionata
la forma (6.3) con i valori per i parametri dati dalla tabella (6.1) è riportato in figura
(6.3).
Figura 6.3: Evoluzione cosmologica del duty cycle. Le curve sono disegnate ad intervalli di
redshift pari a ∆z = 0.2. Per 3 < z < 5 e 6 < log m < 7.4 risulta δlog lmin (log m; z) > 1,
rivelando una probabile incompatibilità fra funzione di luminosità degli AGN e la funzione
di massa stimata ad alto redshift o l’impossibilità della condizione δlog lmin (log m; z) = 1 per
z = 5.
100
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
Come si può notare, per redshifts nell’intervallo z ∈ [1.6, 5] e masse di 106 ÷107.4 M il duty cycle risulta superiore ad 1, ossia per ottenere la distribuzione di luminosità osservata è richiesto un numero di SMBHs superiore a quello effettivamente presente.
Le ragioni di una tale divergenza dalle aspettative possono essere ricercate sia nella
funzione di luminosità, che per basse valori della massa e per alti redshifts è fornita
con una considerevole incertezza di misura, dato l’esiguo numero di oggetti osservabili,
sia nella forma iniziale per la funzione di massa, a sua volta ricavata dalla (6.2) e quindi dal duty cycle iniziale e, ancora, dalla funzione di luminosità. In altre parole, per
migliorare l’attendibilità del modello evolutivo è auspicabile un miglioramento nella
stima della funzione di luminosità per z ∈ [1.6, 5] e log m ∈ [6, 7.4] per poter stabilire
in modo più preciso la forma del duty cycle iniziale, da noi semplicisticamente definito
δlog lmin (log m; z) = 1 per ogni massa.
A conferma di quanto qui affermato, ripetiamo l’integrazione con la stessa probabilità
condizionata descritta dai parametri della tabella (6.1) ma imponendo una forma diversa per la funzione di massa iniziale.
Ad esempio, ricordando la definizione (6.2), definiamo
"
2 #
−1
1 log m − log mduty
1
exp −
log δlog lmin (log m; 5) = A · √
2
σduty
2πσduty
(6.8)
con A = 2.0, log mduty = 6.0 e σduty = 1.2. L’effetto di questa modifica sul duty
cycle iniziale è descritto nelle figure (6.4) e (6.5). Come si può notare, variazioni
anche significative della funzione di massa ad alto redshift hanno una trascurabile
influenza sulla distribuzione predetta per l’universo locale. Questa è una naturale
conseguenza dell’equazione di continuità (6.5), per cui la funzione di massa locale
6.1 Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
101
assume, al prim’ordine, la forma
f (log m; 0) = f (log m; 5)+
z=0
(1 − r )α X dt
∂
+
r c2 ln 10 z=5 dz ∂ log m
Z
∞
λP(log λ| log l; z)φ(log l; z)d log l dz
log lmin
(6.9)
in cui il termine f (log m; 5) è di fatto del tutto trascurabile rispetto alla sommatoria.
Figura 6.4: Evoluzione della funzione di massa nell’ipotesi di duty cycle diverso da 1 a
redshift z = 5.
6.1.2
Figura 6.5: Evoluzione del duty cycle, nell’ipotesi che δlog lmin (log m; 5) sia descritto dalla
(6.8)
Due gaussiane
Se la probabilità condizionata è descritta da due gaussiane, abbiamo
" 2 #
1
1 log λ − log λ̄1
P(log λ| log l; z) = A1 √
exp
+
2
σ1
2πσ1
" 2 #
1
1 log λ − log λ̄2
+ A2 √
exp
2
σ2
2πσ2
(6.10)
Questo corrisponde al caso di due popolazioni di AGN che accrescano a due differenti
valori del parametro di Eddington, con diverse dispersioni intrinseche quantificate dalla
larghezza delle gaussiane componenti. Ovviamente questo caso si riduce al precedente
102
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
nel limite A1 → 1 e A2 → 0.
Per conservare la coerenza con la definizione di probabilità, la P(log λ| log l; z) dovrà
comunque essere complessivamente normalizzata all’unità, pertanto i pesi A1 ed A2
non sono fra loro indipendenti: dovrà essere, cioè, A2 = 1 − A1 .
I risultati dell’ottimizzazione dei parametri λ̄1 , σ1 , λ̄2 , σ2 sono riportati, insieme con
l’efficienza radiativa, in tabella (6.2).
Tabella 6.2: Parametri che ottimizzano l’accordo fra la funzione di massa dei SMBHs locali
e la funzione di massa dei relics calcolata con una distribuzione del parametro di Eddington
data dalla (6.10). Si nota come il contributo della seconda gaussiana, pesato dal parametro
A2 di cui forniamo un limite superiore, sia del tutto minoritario.
r
λ̄1
σ1
A2
λ̄2
σ2
0.063+0.037
−0.024
0.208+0.091
−0.015
0.0202+0.0010
−0.0002
< 0.028
0.303+0.069
−0.067
0.367+0.019
−0.021
Si nota immediatamente che la prima gaussiana domina sulla seconda rendendo di
fatto indistinguibile questo caso da quello di gaussiana singola. Omettiamo pertanto
la rappresentazione grafica dell’evoluzione della funzione di massa e del duty cycle.
Possiamo quindi concludere che i nostri risultati prevedono in prima approssimazione
un’unica popolazione di AGN con una distribuzione del parametro di Eddington molto
stretta e centrata su λ̄ ' 0.20.
6.1.3
Dipendenza della distribuzione del rapporto di
Eddington dalla luminosità bolometrica
Ipotizziamo ora una probabilità condizionata del tipo
" 2 #
1
1 log λ − log λ̄
P(log λ| log l; z) = √
exp
2
σ
2πσ
(6.11)
6.1 Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
103
dove, stavolta,
log λ̄ = r(log l, log l∗ , σ∗ ) λ̄1 + [1 − r(log l, log l∗ , σ∗ )] λ̄2
σ = r(log l, log l∗ , σ∗ ) σ1 + [1 − r(log l, log l∗ , σ∗ )] σ2
(6.12)
La funzione r(log l, log l∗ , σ∗ ) consente di raccordare in modo continuo due distinte
probabilità condizionate di profilo gaussiano definite entro le regioni log l log l∗ e
log l log l∗ . Per essa scegliamo la forma
1
r(log l, log l∗ , σ∗ ) = 1 − √
2π
Z
x
2 /2
e−t
dt
con
x=
−∞
log l − log l∗
σ∗
(6.13)
I parametri liberi del sistema sono allora λ̄1 , σ1 , λ̄2 , σ2 , log l∗ e σ∗ ed i loro valori
numerici ottenuti dall’ottimizzazione della probabilità condizionata sono riportati in
tabella (6.3).
Tabella 6.3: Parametri ottimizzati che descrivono la distribuzione del parametro di Eddington
data dalla (6.11)
r
λ̄1
σ1
λ̄2
σ2
log l∗
σ∗
0.066+0.016
−0.018
0.100+0.086
−0.082
0.53+0.64
−0.48
1.00−0.12
0.126+0.082
−0.022
12.3+1.1
−1.8
0.96+0.92
−0.19
Notiamo dall’evoluzione cosmologica della funzione di massa, riportata in figura
(6.6), che l’accordo con la distribuzione dei SMBHs locali migliora sensibilmente e si
riesce, in particolar modo, a riprodurre in modo più accurato l’andamento per alte
masse.
Anche in questo caso, come riscontrabile dall’evoluzione cosmologica mostrata in
figura (6.7), il duty cycle risulta maggiore di 1 per log m ∈ [6, 7.4] e z ∈ [1.6, 5].
Tuttavia, come per la gaussiana singola, è possibile ovviare al problema ridefinendo
opportunamente il duty cycle (e di conseguenza anche la funzione di massa) a zstart = 5.
104
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
Figura 6.6: Evoluzione cosmologica della funzione di massa dei relics, nel caso di probabilità
condizionata dipendente dalla luminosità bolometrica dell’AGN (cfr. (6.11) e (6.12)). Si nota
un sensibile miglioramento della distribuzione predetta per alte masse (log m > 8.5).
6.1 Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
105
Figura 6.7: Evoluzione del duty cycle nel caso di distribuzione del parametro di Eddington
dipendente dalla luminosità bolometrica dell’AGN.
106
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
6.1.4
Dipendenza della distribuzione del rapporto di
Eddington dal redshift
Per ricercare un’eventuale dipendenza di P(log λ| log l; z) dal redshift, abbiamo considerato il caso, estremamente semplificato, di due regimi di accrescimento succedutisi
l’uno all’altro in corrispondenza di un’epoca cosmologica di “soglia”, individuata da
un redshift zcut . Assumeremo cioè
P(log λ| log l; z) =
" 
2 #

log
λ
−
log
λ̄
1
1
1


√
per z > zcut
exp


2
σ1

2πσ1


(6.14)

" 
2 #


1
1 log λ − log λ̄2



exp
per z ≤ zcut
 √
2
σ2
2πσ2
Sottolineiamo che la dipendenza dal redshift è stata limitata alla sola distribuzione del
parametro di Eddington, considerando pertanto un’unica efficienza radiativa, costante
a tutte le epoche cosmologiche.
I risultati ottenuti per i parametri e per l’efficienza radiativa sono riportati in tabella
(6.4).
Tabella 6.4: Parametri ottimizzati della distribuzione del parametro di Eddington nel caso
di una dipendenza dal redshift data dalla relazione (6.14)
r
λ̄1
σ1
λ̄2
σ2
zcut
0.059+0.038
−0.022
0.70+0.15
−0.11
0.20+0.15
−0.18
0.040+0.010
−0.006
0.41+0.06
−0.39
1.31+0.02
−0.21
Come si può notare (cfr. anche figura (6.8)), l’introduzione di una variazione della
modalità di accrescimento con il redshift migliora ancora l’accordo con la funzione
di massa dei SMBHs locali, e consente finalmente di ottenere una valida descrizione
dell’andamento a basse masse (log m ∈ [6, 8]).
Il valore ottenuto per il redshift di soglia zcut consente inoltre un’utile riflessione:
6.1 Modello T (zstart = 5 → zf in = 0)
107
Figura 6.8: Evoluzione della funzione di massa degli AGN, nell’ipotesi di modalità di accrescimento dipendente dal redshift secondo la relazione (6.14). Si nota, per z = 1.18 una brusca
variazione nell’evoluzione che consente di riprodurre con ottimo accordo l’andamento della
funzione di massa dei relics entro tutto quasi tutto l’intervallo di massa considerato.
nonostante possa apparire in prima analisi che la variazione della P(log λ| log l; z)
intervenga solo al termine dell’integrazione, occorre ricordare che la dipendenza del
redshift dal tempo non è lineare. In particolare, l’intervallo z ∈ [5, 1.31] corrisponde a
∼ 3.5 × 109 yrs, mentre l’intervallo z ∈ [1.31, 0] racchiude un lasso di tempo pari a ∼
8.8×109 yrs. Scopriamo cosı̀ che i nostri risultati propongono due fasi di accrescimento
distinte di durata confrontabile. In epoche più remote, l’accrescimento si sarebbe
verificato ad alti valori del parametro di Eddington, mentre in tempi più recenti il valore
di λ sarebbe calato, in media, di più di un ordine di grandezza, con un apprezzabile
incremento della dispersione intrinseca. Questo risultato è del tutto compatibile con
una progressiva diminuzione della densità di gas e polveri nelle regioni nucleari delle
galassie sia a causa dell’accrescimento sui SMBHs che per effetto della pressione di
108
Rapporto di Eddington e accrescimento dei buchi neri
radiazione prodotta dagli AGN.
Si può infine notare come per ognuna delle distribuzioni di λ presentate l’accrescimento dei BH più massicci avvenga prima e più rapidamente rispetto a quanto accade
per i BH di massa minore. Considerando che in ogni caso abbiamo trovato distribuzioni del parametro di Eddington di larghezza piuttosto ridotta, possiamo affermare
che BH molto massicci corrispondono ad AGN molto luminosi e BH meno massicci
ad AGN deboli. Scopriamo quindi che la rapidità di accrescimento è un’informazione
insita nella funzione di luminosità, che difatti (cfr. figura (4.5)) prevede ad alto redshift
un numero predominante di oggetti brillanti, mentre a redshift più basso il contributo
maggiore diventa quello di AGN deboli.
Capitolo 7
Conclusioni e sviluppi futuri
I should have liked to have closed these lectures by leading up to some
great climax. But perhaps it is more in accordance with the true conditions of scientific progress that they should fizzle out with a glimpse of
the obscurity which marks the frontiers of present knowledge. I do not
apologize fore the lameness of the conclusion, for it is not a conclusion.
I wish I could feel confident that it is even a beginning.
Lectures
Arthur Eddington, 1925
Nel capitolo 3 di questa tesi abbiamo aggiornato la stima della funzione di massa
dei buchi neri super massivi dell’universo locale. Sono state combinate le funzioni di
luminosità delle galassie vicine di Nakamura et al. (2003) e di Devereux et al. (2009) con
le correlazioni fra la luminosità della regione nucleare e la massa dei SMBHs proposte
da Graham (2007) e Gültekin et al. (2009).
In particolare, per la funzione di luminosità di Nakamura et al. (2003) è stato necessario
ricavare dalle misure di luminosità delle galassie le corrispettive stime per le luminosità
dei bulges. Per far questo, è stato ricavato dal lavoro di Graham & Worley (2008) il
fattore correttivo medio per ognuna delle classi morfologiche incluse nel campione. Si
sono infine determinati i valori dei parametri delle funzioni di Schechter che meglio
approssimano i dati ottenuti.
110
Conclusioni e sviluppi futuri
Nel caso della funzione di luminosità dei Devereux et al. (2009) si è invece preferito
ricavare autonomamente le funzioni di luminosità differenziali (ossia per ciascuna classe
morfologica considerata), trasformando poi le luminosità isofotali in luminosità dei
bulges. Data la suddivisione del campione in classi morfologiche differenti da quelle
usate da Nakamura et al. (2003) sono stati ricavati nuovi opportuni fattori correttivi.
Infine sono stati determinati anche in questo caso i parametri delle funzioni di Schechter
che fittano al meglio i dati sperimentali.
Del lavoro di Graham (2007) è stata utilizzata la misura di correlazione fra massa dei
SMBHs del campione considerato e magnitudini in banda K dei bulges ospiti, mentre
una analoga misura di correlazione in banda V è stata ottenuta da Gültekin et al.
(2009).
Per poter ricavare stime della funzione di massa dei SMBHs locali è stato necessario
convolvere ciascuna funzione di luminosità dei bulges con ognuna delle due correlazioni
Mbh − Lbul , avendo cura di riportare tutte le luminosità ad un’unica banda fotometrica.
Questo è reso possibile da una stima media, su ogni classe morfologica, degli indici di
colore fra le bande di interesse. Nel nostro caso, tali fattori correttivi sono stati trovati
in Fukugita et al. (1995).
Le funzioni di massa ottenute e le relative stime della densità di SMBH nell’universo
locale sono risultate quasi ovunque consistenti con la distribuzione di Marconi et al.
(2004) entro gli errori di misura.
Per poter disporre di funzioni di massa il più possibile attendibili si sono poi combinati
i risultati ottenuti per ciascuna combinazione fra una funzione di luminosità e una
correlazione Mbh − Lbul , ricavando, in particolare, le BHMFs relative ad una stessa
forma per la distribuzione di luminosità.
Nel capitolo 4 siamo poi passati ad aggiornare la funzione di luminosità degli AGN.
A questo scopo è stato necessario modificare la forma della SED per adattarla alle più
recenti stime del’indice spettrale ottico-X. Abbiamo dunque ottenuto un nuovo template per lo spettro di emissione tipico di una galassia attiva, tagliando i contributi
non direttamente dovuti all’emissione primaria. Si è quindi dovuto escludere il bump
111
comunemente osservato in banda infrarossa perché riconducibile in massima parte al
riprocessamento della radiazione ultravioletta ad opera delle polveri interposte lungo
la linea di vista. L’emissione IR è dunque stata rappresentata con una legge di potenza
di indice −2, corrispondente alla coda di Rayleigh-Jeans di un’emissione di corpo nero.
Il big blue bump è stato esemplificato con due leggi di potenza, trascurando quindi
la sovrapposizione delle righe di emissione osservate, che complessivamente apportano
uno scarso contributo alla potenza emessa.
Abbiamo assunto poi per lo spettro X la forma di una legge di potenza con una componente di riflessione Compton, e raccordato questa porzione dello spettro al big blue
bump con un’ultima legge di potenza la cui pendenza è l’indice spettrale ottico-X precedentemente determinato da Kelly et al. (2008).
Abbiamo scelto quindi, come funzione di luminosità monocromatica, la funzione di
luminosità di Hasinger et al. (2005) in banda X soffice per poter ridurre al minimo
possibile gli effetti di selezione introdotti dall’oscuramento e campionare al meglio la
popolazione di AGN non oscurati.
Il contributo degli oggetti mancanti, visti con una densità di colonna NH > 1021 cm−2 ,
è stato stimato dalla misura della radiazione X di fondo, assumendo che questa sia
verosimilmente prodotta in massima parte dall’emissione degli AGN e solo in misura
estremamente ridotta dalle emissioni di alta energia nelle galassie ordinarie. Seguendo
l’esempio di Gilli et al. (2006) e Gilli et al. (2007), abbiamo stimato il fattore correttivo assumendo una dipendenza dalla luminosità X (cfr. (4.11)). Il numero di AGN
Compton-thick è stimato da Gilli et al. (2007) ricavando lo spettro X da essi prodotto
e variando il loro contributo fino ad ottenere il miglior accordo con la radiazione X di
fondo. Risulta cosı̀ che, sia ad alte che a basse luminosità, il numero di AGN Comptonthick è approssimativamente uguale a quello di AGN Compton-thin.
Una volta corretta la funzione di luminosità monocromatica per tenere conto degli oggetti oscurati si è potuto utilizzare la correzione bolometrica per ricavare la funzione
di luminosità degli AGN utilizzata nel seguito. Abbiamo potuto notare che nonostante le modifiche apportate al template, l’effetto correttivo sulla stima della correzione
112
Conclusioni e sviluppi futuri
bolometrica è stato di entità trascurabile, per gli errori di misura, rispetto ai risultati
di Marconi et al. (2004) e non ha variato significativamente la forma della funzione di
luminosità bolometrica ricavata.
Nel capitolo (5) abbiamo approntato gli strumenti teorici di indagine per uno studio dell’evoluzione della funzione di massa degli AGN. Sotto alcune verosimili ipotesi
semplificative, ossia di contributo di merging trascurabile e di SMBHs presenti (anche
se non in accrescimento violento) in tutte le galassie, abbiamo scritto l’equazione di
continuità per la distribuzione di massa dei nuclei galattici attivi ed esaminato approfonditamente il significato fisico del tasso di accrescimento medio. Partendo dal
caso banale di corrispondenza biunivoca fra massa di un SMBH e luminosità bolometrica dell’AGN che lo ospita (ossia di rapporto di Eddington unico per ogni galassia
attiva) abbiamo generalizzato il modello a distribuzioni qualunque del parametro di
Eddington, definendo le probabilità condizionate di cui alle equazioni (5.14) e (5.15).
Abbiamo poi espresso le equazioni trovate in termini delle quantità direttamente osservabili.
E’ stato quindi studiato il significato del duty cycle ricavando per esso i limiti entro i
quali è giustificata l’approssimazione dell’equazione di continuità che si ottiene tenendo
conto dei soli termini dovuti alle galassie attive (cfr. (5.41)).
Per ottenere un modello più strettamente vincolato alla dinamica dell’accrescimento
abbiamo riscritto le equazioni ottenute in funzione del rapporto di Eddington, ottenendo infine la coppia di relazioni (5.55) e (5.56). Sono stati inoltre esaminati i vincoli
del sistema, dalle condizioni di normalizzazione per le distribuzioni di probabilità alle
definizioni operative di funzione di luminosità degli AGN.
Infine si è verificata la consistenza del modello riottenendo, nel limite di distribuzione
del Parametro di Eddington definita da una delta di Dirac, il modello semplice.
Nel capitolo (6) siamo finalmente approdati all’utilizzo degli strumenti affinati nei
capitoli precedenti. Abbiamo descritto il codice sviluppato per lo studio dell’evoluzione
cosmologica della funzione di massa degli AGN da redshift zstart = 5 a zf in = 0, per
passare poi ai risultati ottenuti per alcune distribuzioni del parametro di Eddington di
113
particolare rilevanza fisica.
Fissando ad 1 il duty cycle per zstart = 5 (ossia assumendo che il campione fosse formato
da sole galassie attive), abbiamo dapprima considerato una probabilità condizionata di
forma gaussiana ricavando, per i parametri che massimizzano l’accordo fra la funzione
di massa predetta per redshift zf in = 0 e la distribuzione di massa dei SMBHs osservata nell’universo locale, dei valori che parevano confermare in prima approssimazione
la presenza di un parametro di Eddington unico per l’intera popolazione di AGN (cfr.
tabella (6.1)).
Abbiamo quindi esaminato la possibilità di una diversificazione degli AGN in due sottopopolazioni in modalità di accrescimento distinte, descritte, ognuna, da una distribuzione del parametro di Eddington di forma gaussiana. L’ottimizzazione dei parametri
ha in questo caso relegato l’eventuale secondo modo di accrescimento ad un contributo
di gran lunga minoritario rispetto a quello predominante, consistente entro gli errori
con il risultato precedente (cfr. tabella (6.2)). Si è infine riscontrata una probabile
dipendenza della distribuzione del rapporto di Eddington dalla luminosità bolometrica della sorgente e dal redshift. In particolare, i parametri ottenuti suggeriscono un
accrescimento al limite di Eddington per gli AGN di luminosità estrema e bassi valori
di λ per la quasi totalità delle sorgenti (cfr. tabella (6.3)); inoltre è prevista una drastica diminuzione del rapporto di Eddington al diminuire del redshift: suddividendo
l’intervallo di redshift in due fasi evolutive, si osserva una variazione dal ∼ 70% al
∼ 4% del limite di Eddington, con un’epoca cosmologica di soglia fissata ad un tempo approssimativamente corrispondente alla metà della vita dell’universo (cfr. tabella
(6.4)).
Per ciascuna distribuzione si è controllata l’evoluzione cosmologica del duty cycle,
riscontrando in ogni caso la presenza di valori superiori ad 1 per alti redshift e basse
masse. Abbiamo attribuito questo effetto ad una scarsa conoscenza della funzione di
luminosità in quella porzione del piano z − m, che causa una probabile stima errata
della funzione di massa a z = zstart e impedisce una corretta valutazione del duty cycle
iniziale. Per verificare questa supposizione, abbiamo ripetuto l’integrazione dell’equa-
114
Conclusioni e sviluppi futuri
zione di continuità con un parametro di Eddington di profilo gaussiano attribuendo
al duty cycle iniziale una modulazione sulla massa. Si è inoltre verificato che anche
consistenti variazioni della funzione di massa iniziale non influissero significativamente
sulla stima della funzione di massa dei relics locali, nel limite per cui la funzione di
massa iniziale resti per ogni massa molto minore di quella predetta a redshift zf in = 0.
In conclusione possiamo affermare che per ciascuna delle distribuzioni testate del
parametro di Eddington è stato possibile determinare, con una procedura di ottimizzazione, opportuni valori dei parametri che rendono la funzione di massa dei relics
predetta a redshift z = 0 consistente entro gli errori di misura con la funzione di massa dei SMBHs locali. In particolare, il light bulb model si è rivelato, pur nella sua
semplicità, in grado di descrivere la densità di SMBHs dell’universo locale con risultati confrontabili con quelli ottenuti da più complesse modalità di accrescimento. Per
redshifts più alti la forma della funzione di massa è risultata invece strettamente dipendente dalla distribuzione di λ. Pertanto l’assunzione che i SMBHs rivelati nell’universo
locale siano prodotti per accrescimento verificatosi in massima parte durante periodi di
attività AGN continua ad essere plausibile anche nel caso di modi di accrescimento non
banali. Tuttavia, solo una diretta misura sperimentale del parametro di Eddington in
un vasto campione di AGN può consentire una stima corretta dei vincoli osservativi da
imporre al nostro modello e una valutazione dell’effettivo contributo apportato dagli
AGN all’evoluzione cosmologica dei nuclei galattici, oltre ad una più accurata stima
della funzione di massa a redshift z > 0.
7.1 Sviluppi futuri
7.1
115
Sviluppi futuri
In conclusione di questo lavoro, proponiamo alcune possibili modifiche o implementazioni future.
Ci soffermeremo dapprima sui risultati preliminari ottenuti per il modello Z, ossia per
l’analisi dell’evoluzione della funzione di massa a partire dall’universo locale fino a redshift zf in = 5. Infine, parleremo brevemente dei limiti dei risultati qui presentati e di
possibili correzioni significative.
7.1.1
Modello Z (z = 0 → z = 5)
Per riprodurre l’evoluzione della funzione di massa fra zstart = 0 e zf in = 5 potremmo
utilizzare la stessa equazione di continuità sfruttata per il modello T . Imponendo una
forma arbitraria per la distribuzione di massa dei relics, o assumendo che questa sia
data dalla funzione di massa dei SMBHs nell’universo locale, possiamo ripercorrere a
ritroso gli scenari evolutivi presentati nel capitolo 6.
Abbiamo tuttavia preferito studiare un metodo alternativo: assumiamo come funzione
di massa iniziale la funzione di massa dei SMBHs locali ed integriamo l’equazione di
continuità nella forma (5.56), che qui riscriviamo in funzione del redshift:
∂f (log m; z) dt (1 − r )α ∂
+
∂z
dz r c2 ln 10 ∂ log m
Z
f (log m; z)
0
λ Π(log λ| log m; z) d log λ
=0
log λmin
(7.1)
Ipotizziamo quindi una forma arbitraria per la distribuzione Π(log λ| log m; t) per ottenere una predizione sulla forma della funzione di massa ad alto redshift. Il vantaggio
offerto da questo metodo è che nell’equazione (7.1) non compare la funzione di luminosità bolometrica degli AGN, che può essere dunque utilizzata come vincolo esterno. Ad
ogni redshift possiamo infatti confrontare la funzione di luminosità descritta nel capitolo
116
Conclusioni e sviluppi futuri
4 con quella ricavabile dalla funzione di massa e dalla probabilità condizionata:
Z
∞
Π(log λ| log m; z) f (log m; z) d log m =
φ(log l; z) =
−∞
Z log mmin
−∞
Π(log λ| log m; z) f (log m; z) d log m +
Z ∞
Π(log λ| log m; z) f (log m; z) d log m
+
(7.2)
log mmin
dove mmin è data dalla (5.66):
log mmin = log lmin − log α0
(7.3)
Il primo dei due integrali corrisponde dunque al contributo di AGN in regime di accrescimento sovra-Eddington e può essere considerato trascurabile.
Supposta quindi, per z = 0, una certa parametrizzazione per la Π(log λ| log m; z) con
un dato numero di gradi di libertà, possiamo ricavare con una procedura di ottimizzazione i valori dei parametri che meglio approssimano la funzione di luminosità ricavata
dalla 7.2 alla funzione di luminosità locale osservata. La probabilità condizionata cosı̀
ottenuta può essere utilizzata per integrare la (7.1) entro un intervallo di redshift dz
piccolo a piacere. Nota la funzione di massa f (log m; dz), si potrà procedere ad una
nuova ottimizzazione dei parametri della probabilità condizionata e ad una nuova integrazione dell’equazione di continuità e cosı̀ via, fino ad ottenere una predizione per
la funzione di massa a z = 5.
Sottolineiamo per inciso che deve essere possibile ritrovare i risultati ottenibili con il
metodo T evitando l’ottimizzazione iterativa dei parametri e sfruttando il teorema di
Bayes
P(log λ| log l; z) φ(log l; z) = Π(log λ|m; z) f (log m; z)
(7.4)
per definire Π(log λ|m; z) a partire da un certo profilo per la distribuzione P(log λ| log l; z).
L’opportunità di ottimizzare la distribuzione del parametro di Eddington non solo alla fine dell’intervallo di integrazione ma ad ogni stadio evolutivo ha tuttavia l’ovvia
7.1 Sviluppi futuri
117
limitazione di comportare tempi di elaborazione notevolmente maggiori.
7.1.2
Vincoli osservativi alla distribuzione del parametro di
Eddington
In questo lavoro abbiamo inteso studiare l’eventuale esistenza di una distribuzione non
banale dei rapporti di Eddington nelle galassie attive. Di fatto, il numero di gradi di
libertà del problema cresce all’aumentare dei parametri che definiscono la probabilità
condizionata che descrive i modi di accrescimento dei BHs.
Pertanto risulta possibile, quanto inutile, aumentare arbitrariamente il numero di parametri fino a pervenire ad un accordo perfetto fra la funzione di massa misurata
nell’universo locale e la funzione di massa dei relics prevista dal modello. In questo
modo, ovviamente, si perde il contatto con la fisica e si riduce la questione ad un puro
esercizio matematico.
E’ essenziale, quindi, che la distribuzione del parametro di Eddington possa trovare in
futuro nuovi vincoli indipendenti. In particolare è auspicabile poter stimare direttamente il parametro di Eddington in un campione numeroso di galassie a partire dalla
misura di massa dei BHs e poter disporre di vincoli più stringenti per la funzione di
luminosità, la cui forma definisce, come abbiamo visto, il duty cycle e la rapidità di
crescita della funzione di massa.
A sua volta, un miglioramento della funzione di luminosità non può prescindere da una
stima più accurata del contributo di AGN oscurati e dall’osservazione di un numero
maggiore di oggetti agli estremi dell’intervallo di massa da noi considerato (ossia per
log m < 7 e log m > 9) e a redshift alti (z > 2).
7.1.3
Parametrizzazione dell’efficienza radiativa
Nei capitoli 5 e 6 abbiamo sempre assunto di poter estrarre, nell’equazione di continuità, il termine dipendente dall’efficienza radiativa dalla derivazione rispetto alla
massa e dall’integrazione sulla luminosità. In questo modo si è potuto semplificare il
118
Conclusioni e sviluppi futuri
calcolo numerico, ricavando analiticamente il valore dell’efficienza senza doverla includere fra i parametri da ottimizzare iterativamente; inoltre è stato possibile ottenere
un modello in cui i gradi di libertà del sistema fossero esclusivamente connessi alla
quantità fisica di interesse, ossia la distribuzione del parametro di Eddington.
Vi sono tuttavia riferimenti in letteratura a possibili parametrizzazioni dell’efficienza
radiativa, espressa come una funzione del parametro di Eddington o della distribuzione di spin dei SMBHs (cfr. Merloni 2008, Volonteri et al. (2005)). In quest’ottica, la determinazione di vincoli indipendenti sull’andamento di r potrebbe migliorare
l’attendibilità dell’analisi evolutiva.
7.1.4
Merging e termine di sorgente
Come anticipato nel capitolo 5, è possibile semplificare l’espressione dell’equazione di
continuità nell’ipotesi che il numero di BHs rimanga approssimativamente costante entro l’intervallo di redshift (o di tempo) considerato. Questo corrisponde a richiedere
che possano essere trascurati tutti gli effetti di variazione di massa e di numero nel
campione non direttamente riconducibili a fenomeni di accrescimento. Tuttavia, le osservazioni e i modelli di formazione galattica mostrano come una significativa frazione
delle galassie abbia attraversato fasi di interazione con altre galassie di massa minore o
confrontabile. In alcuni casi, generalmente considerati sporadici, l’interazione sarebbe
stata sufficientemente intensa da coinvolgere i nuclei galattici. Questi, avvicinandosi
per attrazione gravitazionale possono formare un sistema binario e perdere lentamente
momento angolare per attrito viscoso. Progressivamente, l’emissione di onde gravitazionali sottrae in modo sempre più rapido il momento angolare residuo, finché i SMBHs
centrali si fondono.
L’effetto del merging è quantificabile con un termine aggiuntivo nell’equazione di continuità, dipendente sia dalla massa che dal redshift. Nei casi di minor merging, ossia
di collisione fa SMBHs di massa molto diversa, questo si traduce semplicemente in
un termine di pozzo, dal momento che uno dei due BH scompare dal conteggio complessivo degli oggetti nel campione mentre la massa del BH più massiccio non viene
7.1 Sviluppi futuri
119
incrementata significativamente; quando invece si fondono BHs di massa confrontabile,
al termine di pozzo se ne affianca uno di sorgente centrato a massa più alta.
Nel nostro studio abbiamo pensato di poter ragionevolmente trascurare questi effetti,
assumendo che i processi di interazione fra galassie siano sufficientemente poco frequenti. Ciò nonostante, il merging potrebbe introdurre una significativa dispersione
dell’efficienza radiativa, strettamente connessa con la distribuzione di momento angolare dei SMBHs in accrescimento.
Gli studi sulla frequenza di tali eventi e sull’effetto che un termine di sorgente apporta
all’evoluzione della funzione di massa dei SMBHs sono molto numerosi (ad esempio
Shankar et al. 2009, Hopkins & Hernquist 2008, Hopkins et al. 2006b, Hopkins et al.
2006a, Hopkins et al. 2005), ma ancora non conclusivi.
7.1.5
Accrescimento sovra-Eddington
In questo lavoro abbiamo sempre avuto cura di limitare le distribuzioni dei parametri
di Eddington in modo da imporre una probabilità nulla di accrescimento oltre λ = 1.
In realtà il limite di Eddington è ricavato per sistemi in accrescimento radiale isotropo
e di distribuzione angolare uniforme della potenza emessa, cosicché qualora l’emissione
di un AGN dovesse rivelarsi anisotropa, ad esempio concentrata attorno alla direzione
del momento angolare, si potrebbe avere un accrescimento equatoriale non in equilibrio
con la pressione di radiazione anche al limite di Eddington.
Per esaminare la possibile evidenza osservativa di circostanze di questo tipo è ancora
una volta indispensabile misurare nel modo più accurato possibile la massa dei SMBHs
in accrescimento, per determinare sperimentalmente, al di là di ogni congettura teorica,
la distribuzione osservata del parametro di Eddington.
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Ringraziamenti
Un primo enorme ringraziamento, sincero e in nessun modo di rito, va al mio relatore,
Alessandro, per avermi sostenuto durante questo lavoro, per esser stato una paziente
guida e una incredibile fonte di energia.
Ringrazio la mia famiglia per avermi sempre offerto amore incondizionato, anche
se in una lingua che spesso non ho compreso: un abbraccio ai miei genitori, che divisi
dalla vita si riuniscono in me, e a mia sorella, il mio orizzonte, sempre tre passi e mezzo
avanti. Ringrazio mia nonna, che non smette, dalla terra, di raccontarmi ancora oggi
di pace, generosità ed ingiustizia; Gaetano e Pasquale, zii lontani quanto vicini, e due
quadrupedi: Arturo, che ha visto il peggio di me, e Pippo, il cane più buono del mondo.
Un grazie alla famiglia di Valentina: Paola, Rolando, Stefania, la mia quasi-nipotina
Lucrezia, in arte “Nano”, e la mandria connessa: Canenero, Canemorbido, Canegrosso
e Canegrasso. Mi avete accolto (e raccolto) come non avrei mai potuto sperare, un
vero scoglio in aperto oceano.
Devo ora ringraziare alcuni amici e non vorrei... Temo di dover rileggere, tra molti
anni, nomi di persone preziose perse di vista senza un perché. Provo a farmi coraggio
e a buttar giù un elenco ingrato e parziale:
Dario, con un ringraziamento particolare di cui non conosce ancora la ragione, e sua
moglie Valentina, Leonardo e Giulia, Checco, Nicolone, Giulia e Giordano, Luca, Pietro, Hans, Gabro, Marco, Carlo, Silvia (nella duplice versione Calusi e Pennazzi),
Alessandro e Sandra, Daniela, Giulio e Pamela, Lisa, Antonio, Sara, Lorenzo, Giacomo, Eleonora, Sebastiano, Tommaso, Veronica, Simone, Costanza, Marta, Marco,
Leonardo, Yara; i nuovi amici di Arcetri: Alessandra, Delia, Mauro & Maurizio, Anto-
130
Ringraziamenti
nio e Alessandro, Luca, Marco, Alessio, Clarissa e Michele ed infine due veri amici di
vecchia data, Lorenzo e Valentina. Senza tutti voi questi lunghi anni sarebbero stati
come un babà senza rum: secchi e pieni di vuoto.
Un ringraziamento a parte lo devo ad Andrea, che ha sopportato con stoico spirito di
sacrificio le mie paranoie durante la preparazione degli ultimi tre esami.
Desidero ringraziare con affetto speciale gli Studenti di Sinistra, veri e propri compagni
di viaggio. Con loro ho condiviso non saprei dire quante battaglie. Molte di queste,
purtroppo, erano perse in partenza; altre, non senza fatica, sono state vinte, ma tutte,
senza eccezione, ci hanno reso parte viva della società, facendoci guardare molto oltre
il bordo dei nostri libri. Ringrazio inoltre le organizzazioni umanitarie e di volontariato
che ho incontrato lungo il mio cammino per avermi nutrito la coscienza e per avermi
reso una persona migliore e desiderosa di migliorare ancora. Fra queste, tutti i volontari
del Canile del Termine e quei vecchi, storpi, piagnucolosi, inguardabili e meravigliosi
ospiti, scomodi ai più, che ho trascurato per studiare e che mi mancano un bel po’;
Legambiente, Emergency, Coopi e L.A.V., nomi importanti fatti di persone dal cuore
grande con le quali ho avuto l’onore di collaborare, anche se solo occasionalmente; infine quei disperati dell’associazione “Le Nocette”, in cui non ho mai smesso di credere.
Un riconoscimento va poi al progetto OpenLab, al prof. Righini e all’Osservatorio
Astrofisico di Arcetri per aver permesso le mie prime esperienze di insegnamento nei
laboratori di Fisica, al telescopio Amici e nelle scuole, consentendomi di tentare un
primo microscopico aiuto al martoriato mondo dell’istruzione pubblica, in questo triste
paese che pare oramai ambire solo all’arroganza e all’ignoranza, regredendo ogni anno
d’un decennio...
... Ora arriva la parte difficile: ringraziare te, che è un po’ come ringraziare me stesso.
Mi hai chiesto, anzi supplicato di non nominarti e quindi prontamente disubbidisco:
Valentina, Cicia, Bubu ... amore. Anche se non vuoi, il tuo nome è in ogni parola di
questa tesi, ne è il senso, il desiderio e l’obiettivo. Per te non basta una frase e non
basteranno i prossimi cinquant’anni. A te dedico tutto il seguito di questa storia.