Il Peak Pikes di Cecilia Mora
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Il Peak Pikes di Cecilia Mora
CRONACHE CLASSIFICA MASCHILE 1. Matt Carpenter 3h 51’ 34” 2. Daryn Parker 3h 52’ 57” 3. Jordi Bes Ginesta 3h 54’ 26” CLASSIFICA FEMMINILE 1. Kery A. Nelson 4h 34’ 24” 2. Cecilia Mora 4h 51’ 49” 3. Megan C. Kimmel 5h 05’15” Testo di Cecilia Mora Foto © Giorgio Pesenti Indiano Nella terra del grande popolo PIKESPEAK MARATHON Colorado Springs (USA) 22 agosto 2010 42 km 2.400 m D+ www.pikespeakmarathon.org 36 | SPIRITOTRAIL | ottobre 2010 S ono seduta sul Boeing, vicino al finestrino, di ritorno a casa. Il cielo è azzurro, ecco, si decolla e ci si alza in volo sopra il bellissimo aeroporto di Denver, con il suo tetto caratteristico che mi ricorda le tende di un villaggio indiano, ma sono state le cime innevate delle montagne rocciose ad ispirare gli architetti che lo hanno progettato. Sotto di me il paesaggio si presenta come una coperta patchwork dai caldi colori della terra, grandi distese lavorate dove le poche abitazioni quasi non si notano. È sera ma la notte scorrerà veloce e già alta nel cielo di fianco a me splende la luna, non riesco a distogliere lo sguardo dal filmato che mi regala il “piccolo schermo” dai molteplici giochi di luci e colori. Chiudo gli occhi e come un flash mi rivedo nella mia avventura in Colorado. Eccoci finalmente io e mio figlio Federico giunti a destinazione: Denver, in aeroporto si diffonde la musica degli indiani d’America, le gigantografie dei grandi capi con i loro volti scavati dal tempo ci danno il benvenuto. Siamo in attesa dei compagni di squadra che ci raggiungeranno con un altro volo. Ora il gruppo si è compattato e ci si avvia verso Colorado Springs, dove finalmente ci concederemo un riposo dopo il lungo viaggio. È venerdì mattina e l’avventura comincia. Ci avviamo a Manitou Springs, dove già è un viavai di atleti che si preparano, si organizzano con gli ultimi acquisti sulle bancarelle e le burocrazie: recupero pettorali etc. Eccoci ora anche noi riconoscibili, con al polso il braccialetto giallo della Pikes Peak Marathon, il lasciapassare per i vari ristori, pasta party e tutto quanto messo a disposizione dall’organizzazione per la folla di atleti: fanno le cose in grande questi americani! Il pomeriggio ci lascia il tempo per fare i turisti e in serata allenamento nel Golden Garden, con le sue montagne rocciose spettacolari illuminate dalle luci del tramonto. Sabato mattina non assistiamo alla partenza del folto gruppo di atleti dell’“Ascent”, ma ci concediamo la colazione con calma; il nostro programma prevede l’ascesa al Pikes Peak, comodi, seduti sull’auto presa a noleggio. Denver, Colorado Springs, Manitou Springs, situati su un altopiano, a quasi 2000 metri sul mare, certo non somigliano alle nostre valli strette e chiuse, qui gli spazi sono immensi, infiniti, e allora ti ritrovi a percorrere un sentiero che porta a 4.302 m di quota, che non è un sentiero ma una strada comoda e larga che ti conduce alla vetta e dove il rifugio più che un rifugio sembra un grande magazzino… Ah, questi americani! Eccoci ad ammirare la scia di atleti che come laboriose formiche in fila si avviano alla loro meta: la vetta del Pikes Peak; domani toccherà a noi la lunga salita e in più la discesa sullo stesso sentiero, ma non è ora di preoccuparsi troppo, godiamoci ancora queste ore da villeggianti sulle rive di un lago. Lo scenario è quello di alcuni documentari: grandi distese di boschi e praterie con lo sfondo di grandi vette addolcite dal tempo, grandi spazi, grandi cuori, come quelli dei grandi popoli che hanno abitato quelle terre. Giornata di svago ma con un occhio al percorso, alla gara, alle liste iscritti e il pensiero che domani sarà il grande giorno della nostra avventura americana. È di nuovo mattina. Salvatore, Giordano ed io siamo seduti su una staccionata con alle spalle una vecchia locomotiva a vapore per la foto di rito prima del via. Non sarà il treno a cremagliera che ci porterà alla vetta ma saranno i muscoli delle nostre gambe, la forza della nostra mente e il calore del nostro cuore che ci condurranno in cima al Pikes Peak e poi giù, senza respiro verso il traguardo. La voce melodiosa di una giovane donna che intona le note dell’inno americano è il miglior augurio a tutti noi e dopo… il via. Il cielo è limpido, la giornata calda, siamo in tanti, quasi un migliaio, pronti per questa sfida e tanti avevano già affrontato la salita il giorno prima: many compliments! Mi ritrovo nel gruppone di testa a percorrere il tratto di percorso per le vie della cittadina di Manitou, che ricorda un paese del vecchio Far West, ma è breve il tratto di asfalto e subito si prende il sentiero che conduce nel parco. Il percorso gara è molto veloce, si sale, saranno 2.400 m di dislivello, ma in modo graduale per un bel sentiero in mezzo al bosco di conifere. Sono in testa nel primo tratto di gara, ma poi vengo raggiunta da due giovani bionde americane e dietro di me le altre atlete non mollano. Riesco a recuperare la seconda posizione ma non mi devo distrarre e purtroppo ce ne sarebbe anche motivo: gli scorci di panorama, la vegetazione, la fauna, non di rado si possono incontrare nel parco i simpatici cip e ciop o il picchio picchiarello, ma devo stare concentrata: questa è una gara mondiale. Si sale sempre più, ora il paesaggio cambia e il bosco lascia lo spazio alle rocce di color rosa, grandi massi che sembrano messi lì apposta uno sopra all’altro, come gli “ometti” ai quali siamo abituati lungo i sentieri di montagna, forse dalla mano di un gigante buono ad indicarci la via. Il caldo si fa sentire, la salita più ripida e la quota mi rallentano il passo, eccomi sorridente al mio primo traguardo, ma non c’è un attimo di tregua, la gara non lo permette e nemmeno le atlete che seguono. E allora giù a rotta di collo… ma senza rompersi nulla! Nel primo tratto è un incrociarsi di atleti che salgono e scendono, poi il gruppo si sgrana e mi ritrovo sola a ripercorrere il sentiero di andata. Finalmente il tratto finale di asfalto, manca poco al traguardo, il caldo e la stanchezza segnano il mio volto. Eccomi in mezzo alla folla che applaude, a prender fiato, a realizzare della mia impresa, di questo secondo posto in terra americana. Eccomi a ricevere le “congratulations” dei passanti, ma non perché sei arrivata prima o seconda, sul podio o no, ma semplicemente perché hai corso la Pikes Peak Marathon, perché sei salita a 4.302 m che non è un semplice “4000” ma è “il 4000” (14.115 piedi), è la montagna, la grande vecchia montagna che gli americani ammirano e rispettano come il grande vecchio capo indiano. Impeccabile organizzazione, fiscali su alcune cose, ma non ci hanno fatto mancare nulla, abbondanti e ricchi ristori, forse un po’ strani e allora ti ritrovi oltre alle variopinte bibite e per fortuna alla mia preferita frutta, salatini, patatine e caramelline colorate (quelle di ET) e quanto di più strano. Giungono al traguardo anche i compagni di squadra felici e soddisfatti. Incantevoli, immense, grandi spazi, grandi cuori, ma non cambierei le mie montagne, il mio Monte Rosa e le altre cime che fanno da sfondo al mio paesello. Le nostre, di montagne, più aspre e severe, le nostre, di valli, strette e ombrose, che un po’ ci hanno chiuso i cuori, non le cambierei neanche con le grandi valli del Colorado e neanche con le maestose montagne rocciose. Ma sicuramente mi porterei a casa la devozione e il rispetto per la nostra madre terra del grande popolo indiano. Riapro gli occhi, fuori è ormai notte fonda, il viaggio è ancora lungo, sono stanca e non riesco a riposare, ma sul mio viso c’è un leggero sorriso. ▼ C 1 2 3 C 1 2 3