febbraio - Voli - Vallecamonica On Line

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febbraio - Voli - Vallecamonica On Line
19º anno - n. 190 - febbraio 2010
“... incisioni eseguite con una punta su una superficie
dura, per lo più mettendo allo scoperto un sottostante strato di colore diverso...”
Direzione, Redazione, Amministrazione: Darfo Boario Terme, vicolo Oglio - Direttore responsabile: Tullio Clementi - Autorizz. Tribunale di Brescia n.3/92
del 10.01.92 - Spedizione in abbonamento postale, art. 2 comma 20/d legge 662/96 - Filiale Bs - Ciclostilato in proprio, Darfo Boario Terme.
ma la Lega dov’è?
«Fra tutti il ministero dell’Amore era
quello che incuteva un autentico terrore. Era assolutamente privo di finestre. Accedervi era impossibile, se non
per motivi ufficiali, e anche allora
solo dopo aver attraversato grovigli
di filo spinato, porte d’acciaio e nidi
di mitragliatrici ben occultati. Anche
le strade che conducevano ai recinti
esterni erano pattugliate da guardie
con facce da gorilla, in uniforme nera
e armati di lunghi manganelli...».
(George Orwell, “1984”
di Guido Cenini
Ma la Lega dov’è? Mai come ora la Valle
Camonica sta attraversando un periodo difficilissimo dal punto di vista economico. I piccoli
artigiani non hanno più ordinativi da mesi, licenziano o chiudono del tutto. Le banche se ne
guardano bene dal prestare soldi, fornire mutui
ed assistenza. Le industria tessili sono ormai
alla frutta: Franzoni Filati, NK, Olcese e le altre della Prada di Cividate. La siderurgia non è
da meno, basta guardare alla Dalmine-Tenaris
di Costa Volpino o alla Tassara. Ovunque si
parla di cassa integrazione, licenziamenti e
mobilità. Tante sono state le manifestazioni
fuori dalle fabbriche. Dappertutto.
Ma la Lega dov’era? Hanno consiglieri comunali nei paesi interessati all’occupazione
in bilico, hanno i consiglieri provinciali (compaesano del call center e del NK), hanno la
provincia, il sottosegretario all’economia, i
consiglieri regionali e il parlamentare.
Spariti tutti. Mai visti ad una manifestazione degli operai. Mai visto un comunicato
stampa a loro sostegno. Mai sentito una dichiarazione a favore di impegni ed iniziative
contro la crisi economica della valle.
Agli operai camuni che sono nelle condizioni
di cui sopra chiedo di parlare dell’assenza
della Lega proprio laddove raccoglie, o dice
di raccogliere, ampi consensi elettorali.
Ai partiti di sinistra di essere più incisivi e
presenti. Non perdiamo questa grande opportunità di tornare al fianco dei senza lavoro,
dei precari, dei disoccupati, degli ultimi della
catena sociale ed economica.
RACCONTI DI MIGRANTI, STORIE DI VITA
oltraggi di ieri e di oggi
di Margherita Moles e Alessio Domenighini
Serata importante quella di giovedì 28 gennaio
alla sede della Caritas di Darfo. Si svolgeva il
terzo incontro sul tema dell’emigrazione. In
questa occasione era prevista la presentazione
di alcune testimonianze di migranti sia da che
verso l’Italia. Più facile portare in sala alcuni
immigrati oggi presenti sul nostro territorio,
difficilissimo recuperare migranti camuni degli
anni Cinquanta del secolo scorso. Ancora vivi
alcuni di loro, ma impossibilitati ad essere
presenti a portare i loro racconti.
Si è supplito a questa assenza con quattro let«C’è una classe imprenditoriale che da decenni
esige meno tasse, meno costi per il lavoro; ma
non condivide mai i risultati economici, a volte
clamorosamente buoni». (Furio Colombo)
ture di brani di biografie tratte dal libro Nell’incavo di queste mani. Storie e racconti di
genti camune. Le storie di vita di Giacomina
Cotti di Gianico, di Luigi Moles di Edolo, di
Giuliano Bettoni di Bienno, di Piera Bazzana di Cerveno. Storie vere, vissute, lontane
nel tempo, ma non troppo. Storie dimenticate,
rimosse, socialmente rimosse, in un’Italia dell’apparenza e delle favole, che ci parlano di
necessità materiali, di difficoltà a trovare lavoro in Valle Camonica, del desiderio di migliorare la propria condizione, del bisogno di ricongiungersi al proprio marito con i figli per vivere insieme, dell’andare in una direzione già
percorsa da una sorella o da un altro parente.
Storie segnate da nostalgia, da difficoltà di
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migranti contro il razzismo
TOLTI I FONDI, LA POLTRONA RESTA
(Barbara Distaso), pag. 4)
la montagna come mancia
la Manifattura di Ceto...
di Bruno Bonafini
(Tullio Clementi), pag. 5)
Chi si era a suo tempo stupito della nomina di Edoardo Mensi a presidente dell’Ente Italiano per la
montagna, l’istituto di alti studi scientifici sui problemi della montagna italiana (allora si chiamava
Imont), ha di che ri-stupirsi, di nuovo e di più. Il Nostro non era un accademico («nemmeno laureato!», si scrisse), e nemmeno poteva vantare particolari studi o pubblicazioni sul tema, ma innegabilmente il Comune di Breno, di cui era sindaco, e il BIM camunosebino, di cui era presidente, con la
montagna qualcosa avevano a che fare. Ma il progresso avanza, e se per il Centrodestra al governo
furono a suo tempo superflui i titoli di merito scientifico per tale autorevole postazione, oggi è superfluo anche conoscerla la montagna, non serve (non è richiesto) l’averci vissuto o il viverci. E nemmeno
avere con essa un minimo di rapporto di vita o di lavoro istituzionale o averlo avuto in passato.
segue a pagina 3
la crisi? non per tutti!
(Daniele Ducoli), pag. 6)
ritratto di Ruggero Marani
(Ermete Giorgi), pag. 9)
la marcia e i frutti per la pace
(Maurizio Gino Morandini), pag. 10)
febbraio 2010 - graffiti
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dalla prima pagina
oltraggi di ieri e di oggi
convivenza ed integrazione, talvolta da netta
separazione, ma anche da un forte spirito di
intraprendenza e di accettazione del rischio
per realizzare quei sogni che si sono portati
dentro partendo. C’è anche lo stupore e il
confronto con la modernità, rappresentata da
una grande città con tutti i suoi servizi, c’è la
scoperta di realtà improntate all’ordine e all’educazione, c’è il vivere una nuova dimensione di libertà che le chiuse comunità di partenza non consentono, c’è la soddisfazione di
imparare una lingua straniera.
Le umiliazioni subite ancora rodono dentro.
Piera non dimentica che gli Svizzeri non si fidavano degli italiani che spesso venivano chiamati Italiënër cingali, quando non addirittura
“zingari maledetti”. Luigi non ha mai potuto
varcare la soglia di una casa di australiani nei
suoi otto anni di permanenza, quattro praticamente da eremita in un bosco a tagliare legna.
Giuliano definisce selvadeg i greci che guardavano male ed insultavano loro, operai, in un
cantiere sul loro suolo.
In tutti questi protagonisti c’è il racconto di
una partenza e di un ritorno. L’esperienza dell’emigrazione è stata temporanea. Il boom
economico degli anni Sessanta, il desiderio di
radicarsi in modo più solido nella vita e nella
realtà hanno suggerito loro un rientro in Italia.
Queste testimonianze si sono intervallate con
quelle di immigrati di oggi. Anzitutto Gueje
Khalifa del Senegal, un infermiere diplomato,
costretto ovviamente a fare moltissimi lavori
tra sospetti e discriminazioni. Ha ricordato,
per esempio, quando, nonostante la documentazione di completa idoneità, gli era stata rifiutata la possibilità di donare il sangue: la
mentalità razzista di alcuni italiani li portava a
credere che un nero, per forza, dovesse essere
anche infetto. Quando si dice l’ignoranza che
regna anche tra i dottori e i farmacisti.
Seconda testimonianza: Joussef El Amrani,
del Marocco, impegnato come mediatore culturale e collaboratore dello sportello immigrati
della Cgil. A questo punto si è aperto il dibattito e dal pubblico ha portato la sua testimonianza uno dei primi immigrati africani in Valle Camonica, dove è approdato nel 1983 finendo, lui della Tanzania, nel freddo polare di
Ponte di Legno. È stato il suo un intervento
simpaticissimo e molto colorato. Lui è cuoco
diplomato ed ha raccontato la grande difficoltà
iniziale e poi il lavoro per più di quindici anni
come cameriere al teatro tenda. Ha suscitato
molti sorrisi il racconto della sua odissea per
trovare casa, che alla fine l’aveva portato a vivere, praticamente, in un pollaio.
A questo punto il pubblico ha posto delle domande, soprattutto quella sui figli, come si
trovano qui in Italia. È intervenuto il figlio dodicenne di Khalifa, che frequenta la seconda
media. A scuola, ha detto, si trova bene, i
compagni lo accettano e nessuno lo prende in
giro, anche se lui è nero. Da grande vuole fare
l’architetto. Grande investimento fanno questi
immigrati sui loro figli: le loro fatiche e le loro
rinunce sono perchè i loro figli possano conquistarsi una visibilità nella società italiana,
quella che oggi loro non hanno.
Ecco, la serata è proprio un po’ tutta qui. Importante proprio per la scarsa possibilità di
trovare luoghi ed occasioni nelle quali conoscer-
AVANTI GRAN PARTITO!
si, confrontarsi, raccontarsi tra italiani, camuni
e persone che provengono da molti Paesi diversi, spesso poveri, con la necessità di trovare un
modo per sopravvivere, ma anche col desiderio
di trovare persone con cui confrontarsi, parlare,
imparare a vivere come membri di una comunità sempre più destinata ad essere interculturale
e nella quale l’integrazione è il passaggio decisivo. E che la Valle, terra di emigranti, trovi il
modo per dialogare con chi ripete i viaggi della
speranza già percorsi da molti camuni, sembra
proprio essere un segnale importante e, se possibile, da moltiplicare.
«... No, questa Italia non è più un Paese di
compagni. Da intendersi, naturalmente, nel
senso nobile, etimologico: persone che accettano di spezzare il pane con noi, facendone
“un simbolo della condivisione, del frutto
del lavoro di molti, della solidarietà, della
compagnia autentica”...». (Enzo Bianchi)
(a cura di Michele Cotti Cottini)
un senso a questa storia?
5 La banda dei disgiunti. Complicato scrivere la rubrica questo mese. Nelle ultime settimane il partito bresciano ha conosciuto un’intensa vita interna: Primarie provinciali, assemblea
dei delegati, elezione del nuovo segretario, consultazioni, nuova direzione provinciale… Ma
ciò che più mi rende difficile la vita (in senso giornalistico, si intende) è la bomba che è sul
punto di esplodere in Valcamonica. Le voci si rincorrono. L’on. Pierangelo Ferrari sul suo blog
sintetizza così la situazione: «In Valcamonica alcuni sindaci di area PD ex Margherita si stanno
organizzando, nell’indifferenza del responsabile di zona (ex Ds), per fare campagna a favore
del voto disgiunto: alla lista del PD (in realtà, per dare una preferenza all’interno della lista) e
al candidato presidente Formigoni». A tirare le fila dell’operazione sono i più autorevoli amministratori democratici camuni: Bonomelli (quello del passo indietro), Tomasi (quello del rinnovamento). Comunque vada a finire questa brutta storia, per quel che mi riguarda questi giganti
del pensiero politico si sono posti fuori dal partito. Va bene il partito plurale, ma il voto a
Formigoni no. Il voto a Formigoni, per favore, no. Sono un pericoloso radicale se penso che un
dirigente del PD che teorizza l’opportunità di votare Formigoni o ha bisogno di molto riposo
oppure va cacciato via dal partito?
5 Bisinella vince al secondo turno. Un inizio di fuoco per il neosegretario provinciale Bisinella. Vincitore di misura alle Primarie del 17 gennaio (44,4%) ed eletto dall’assemblea del 24
gennaio grazie al voto dei sostenitori di Frati (21,2%), il sindaco di Leno dovrà gestire la grana
camuna, subito dopo aver chiuso la partita delle candidature regionali. Lodevole lo sforzo di
coinvolgere i territori, improvvisando nell’arco di un paio di settimane un giro di consultazioni. Dall’assemblea di Breno è uscita con forza la proposta di candidare Marina Berlinghieri,
assessore a Pisogne e componente della segreteria regionale. Indisponibilità personale e condizioni politiche non hanno permesso di dar seguito all’indicazione della base. Peccato.
5 Girelli verso il Pirellone. Dalle consultazioni dei territori sono emersi pochi nomi con
reali chance di elezione (alle regionali permane fortunatamente il voto di preferenza). Le poche
proposte interessanti affiorate, come la candidatura dell’ex sindaco di Lumezzane Silvano Corli, sono state sgonfiate nel giro di un giorno dall’attivismo dei capicorrente. Così Bisinella non
ha potuto far altro che ratificare le decisioni assunte dalle varie mozioni. I lettiani hanno puntato in massa su Girelli, valsabbino, ultimo segretario della Margherita (Mottinelli in direzione
l’ha presentata come la candidatura più forte per rappresentare la Valcamonica!). I bersaniani
di Bragaglio hanno sponsorizzato Squassina, approdato a luglio in casa PD da Sinistra Democratica. La riconferma per lui è in salita: le perplessità e le critiche all’interno nel partito non
mancano e a differenza di 5 anni fa non può contare sull’intera base Ds.
5 Un abbraccio. A Giambattista Ferrari, altro consigliere regionale in pectore (34,4% alle
ultime primarie), va un caloroso abbraccio e l’augurio di riprendersi al più presto. Mentre
Graffiti va in stampa, Giambattista è ricoverato in ospedale dopo essere stato colpito da
ictus. Tieni duro compagno.
graffiti - febbraio 2010
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dalla prima pagina
la montagna come mancia
Massimo Romagnoli, il nuovo presidente nominato, responsabile di tali alti studi sulla
montagna e sul suo sviluppo, siciliano d’origine, vive da vent’anni stabilmente in Grecia
con residenza ad Atene, da sempre fa di mestiere l’operatore import-export. Meriti pregressi: l’esser stato l’animatore dei circoli di
Forza Italia all’estero, nei paesi del Mediterraneo, ed averli rappresentati in Parlamento
come deputato “estero” per un breve periodo
dal 2005 al 2006. Un ex deputato da ricollocare, insomma, sfacciatamente estraneo, cultu-
ralmente e geograficamente, alla montagna italiana ed ai suoi problemi, almeno finora.
«Beh, ci poteva anche capitare una velina, consoliamoci», la battuta scherzosa (?) di chi, notando l’annunciata presenza del Romagnoli al
recente convegno di Edolo ne ricordava il curriculum, rende bene la serietà dei tempi. E coglie
la considerazione che l’attuale governo di destra assegna alla montagna (dove Lega e Pdl pur
raccolgono non pochi voti e militanza).
La nomina, infatti, ha preceduto di poco alcune
scelte negative “storiche” per la montagna italiana: l’attacco all’esistenza, alla credibilità e
alle finanze delle Comunità montane (senza distinguere quelle “vere”, giustificate, da quelle
“finte”, pretestuose); una riclassificazione dei
Comuni montani particolarmente restrittiva, finalizzata a tagliare contributi; infine, con l’ultima finanziaria, l’azzeramento dei fondi statali
per la montagna. Quando il più sensato dei tagli
doveva e poteva essere proprio l’eliminazione
dell’Ente di cui sopra, vero ente inutile per
l’improduttività riconosciuta da decenni, commissariato e ridefinito ad ogni cambio di mag-
IL 28 FEBBRAIO ASSEMBLEA DI GRAFFITI. Un centinaio di persone, tra lettori, tesserati,
amici e simpatizzanti di Graffiti, ha partecipato lo scorso 30 gennaio alla seconda edizione di “A
cena con Graffiti”. Per il secondo anno consecutivo a Bienno abbiamo passato una piacevole
serata in compagnia: speriamo di anno in anno la cena sociale di Graffiti possa consolidarsi come
occasione per ritrovarsi, con vecchi e nuovi compagni… di viaggio. Diamo un caloroso benvenuto ai nuovi iscritti all’Associazione culturale Graffiti e a tutti diamo appuntamento per domenica
28 febbraio! Alle 15.30 in sala ’89 a Boario (vicolo Oglio) è in programma una riunione per il
rinnovo del coordinamento e l’organizzazione delle prossime attività. (m.c.c.)
AMBIENTE & DINTORNI
(di Guido Cenini)
Osservatori territoriali camuni
Gli Osservatori Territoriali di Edolo e di Darfo stanno conducendo le loro battaglie contro il
consumo di suolo ed è giusto dar loro lo spazio che meritano. Sono entrambe associazioni nate
da poco, Edolo prima e Darfo a ruota. I problemi sono diversi, ma il fatto di aver creato in
poco tempo un’adesione così numerosa attorno all’idea di conservazione del territorio, implica
che la visione di gestione dell’ambiente non sempre è affidata in mani sicure.
Sicuramente meglio la situazione a Edolo, laddove si tenta di salvaguardare la grande piana dell’Ogliolo che dalla piscina si estende sino all’inerpicarsi della strada per Santicolo tra irti spuntoni rocciosi. La zona industriale è stata finora relegata sul fondo della prada, quasi nascosta alla
vista, ma l’incombere di capannoni da affittare e vendere sulla carta ha messo sull’allarme i cittadini che hanno a cuore l’ultimo polmone verde rimasto sul fondovalle. Inoltre si è preoccupati
anche dei vari insediamenti agricoli, recinzioni, stalle, ammassi di materiale vario. L’idea dell’OTE sarebbe quella di bloccare ogni intervento istituendo un PLIS, un parco locale di interesse
sovra comunale, che non comporta grandi vincoli, ma salvaguarda l’area in oggetto con un regolamento che gli stessi amministratori possono predisporre a loro piacimento.
Ben diversa la situazione a Darfo dove l’amministrazione sta approntando il PGT, il piano di
gestione del territorio con l’obiettivo di costruire in futuro circa un milione di metri cubi di nuovo
edificato. Una trentina le nuove aree da occupare, spazi verdi attualmente piccoli polmoni tra i
caseggiati. Nuove grandi aree attualmente agricole da inserire tra i nuovi insediamenti, tra questi
tutta la zona che dalla pista ciclabile in arrivo da Piamborno va fino all’area industriale. Un’occupazione gigantesca per trasferirvi l’imbottigliamento della Boario tra due aziende agricole e lontano da una zona già industrializzata e con enormi spazi ancora da riempire.
Come sempre siamo di fronte a delle emergenze territoriali a cui guardare con estremo interesse, anche perché ci sembra stia passando in Valle Camonica l’idea che demograficamente arriveremo a raddoppiare la popolazione nell’arco di cinque anni. Ed allora via libera, come dice il
popolo della libertà, alla libera edificazione su libero suolo e con regole libertarie.
gioranza e da tempo ormai usato per ricollocare
personale politico senza arte né parte ma da
gratificare con sedia, prebende e laute diarie per
viaggi e trasferte (ora transnazionali). Tirando
la morale, come impegno di governo la montagna non esiste, è ben presente invece come pretesto per regalie di sottogoverno.
Ps: Al momento di andare a stampa, la notizia
della nomina del direttore dell’Ente, la camuna
Anna Giorgi, docente presso la Facoltà di
Agraria di Edolo, figura certamente adeguata al
ruolo per competenze e interessi. Nomina forse scaturita dalla visita in Valle dell’Ateniese
Presidente. Positivo, certamente, che almeno
il direttore sappia di montagna. Un alibi,
quantomeno, dopo tale figura presidenziale.
Che cambia poco tuttavia i dati di fondo più
sconfortanti della questione: l’inesistenza di
una politica della montagna da parte di questo
governo, anzi addirittura la demolizione di
quanto poco restava di essa in termini di finanziamenti; la permanenza invece dell’Ente
meno apprezzato nel settore per evidenti motivi di sottogoverno.
«Del futuro ignoriamo tutto o quasi, ma di
una cosa possiamo essere certi: quando una
guerra o una rivoluzione o la dominazione cinese o qualche altro sconquasso faranno girare pagina all’umanità, di questa immensa
buffonata contemporanea che è “l’immagine”, intesa come lo sforzo da guitti di sembrare ciò che non si è e non si sarà mai, rimarrà appena una traccia di commiserazione.
[...] Le facce ceronate faranno, ai posteri, lo
stesso effetto comico che a noi fanno i parrucconi seicenteschi». (Michele Serra)
M’ILLUMINO DI MENO
Giornata del risparmio energetico. Buone
abitudini per il 12 febbraio (e anche dopo!)
1. spegnere le luci quando non servono.
2. spegnere e non lasciare in stand by gli
apparecchi elettronici.
3. sbrinare frequentemente il frigorifero; tenere la serpentina pulita e distanziata dal
muro in modo che possa circolare l’aria.
4. mettere il coperchio sulle pentole quando si
bolle l’acqua ed evitare sempre che la fiamma
sia più ampia del fondo della pentola.
5. se si ha troppo caldo abbassare i termosifoni invece di aprire le finestre.
6. ridurre gli spifferi degli infissi riempiendoli di materiale che non lascia passare aria.
7. utilizzare le tende per creare intercapedini
davanti ai vetri, gli infissi, le porte esterne.
8. non lasciare tende chiuse davanti ai termosifoni.
9. inserire apposite pellicole isolanti e riflettenti tra i muri esterni e i termosifoni.
10. utilizzare l’automobile il meno possibile
e se necessario condividerla con chi fa lo
stesso tragitto.
febbraio 2010 - graffiti
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BRESCIA: UN POPOLO MULTICOLORE E MULTICULTURALE IN PIAZZA
migranti (e non solo) contro il razzismo
di Barbara Distaso
La speranza è che la riuscitissima manifestazione antirazzista tenutasi a Brescia sabato
sei febbraio, su iniziativa di organizzazioni
sindacali e numerose associazioni, abbia chiarito una volta per tutte alle amministrazioni
comunali di città e provincia quanto fallimentari si rivelino le politiche “migratorie” volte
unicamente a garantire un fantomatico ordine
pubblico, nel completo disinteresse per l’accoglienza, l’integrazione e la coesione sociale.
Considerato, tuttavia, che “non c’è peggior
sordo di chi non vuol sentire”, trattasi di speranza piuttosto vana.
I numerosissimi immigrati accorsi in Piazza
della Loggia, sfoggiando orgogliosamente tutti
i loro colori, religioni, lingue e culture, hanno
detto chiaro e a gran voce agli occupanti del
Palazzo: «Noi da qui non ce ne andiamo! Stiamo facendo studiare i nostri figli perchè un
giorno possano contribuire al Governo di questo Paese!». Non lo sanno ancora i nostri volenterosi ospiti che al giorno d’oggi in Italia
non c’è più bisogno di studiare per conquistare i posti che contano...
Ad ogni modo, si rassegnino Paroli e Rolfi,
clandestini in questa bella giornata: gli assurdi
divieti e le deliranti delibere messi in campo
negli ultimi mesi non sono serviti a nulla se
non a creare nuove tensioni. Evaporerà in una
bolla di fumo anche l’ultima geniale trovata di
chi pensa che un viaggio gratuito (di sola andata, ovviamente) ed un misero compenso
possano convincere chi non ha trovato il paradiso a Brescia (chissà mai per quali responsabilità) a tornare alla povertà e alle guerre del
proprio Paese, educatamente e in silenzio.
«A Brescia sino a qualche anno fa si governava con la fede e la ragione», dicono gli organizzatori dal palco, «oggi ci sono solo sfruttamento e razzismo».
La nostra provincia e l’Italia intera hanno bisogno di capire che cosa sarebbe il nostro Paese
«Cosa sono le differenze socioculturali?»,
chiede la ragazzina all’autore de Il razzismo
spiegato a mia figlia, Tahar Ben Jelloun, ed
ecco la risposta: «Sono le differenze che distinguono un gruppo umano da un altro, attraverso il modo in cui gli uomini si organizzano in società e ciò che creano come prodotti culturali. Ovvero, sono i diversi colori
che sfoggiano orgogliosamente sfilando nelle
vie della città per rivendicare il loro diritto di
cittadinanza universale, come scrive Barbara
in questa stessa pagina: sono le lingue, le religioni, le culture, tanto diverse fra di loro e
tuttavia ugualmente ricche di una propria dignità umana. Perché, scrive ancora Tahar Ben
Jelloun, «ogni essere umano è unico», che
non vuol dire migliore di altri. (t.c.)
senza gli immigrati. È questo il senso dello
sciopero degli stranieri proclamato per il prossimo primo marzo. Cacciato l’uomo nero da
Rosarno, le arance restano a marcire sugli alberi. Cosa succederebbe nelle fabbriche e nei cantieri se i più deboli tra i deboli dovessero incrociare le braccia per un giorno? Quante famiglie
si dovrebbero riorganizzare senza più qualcuno
che bada per loro ad anziani e bambini?
Personalmente credo di conoscere la risposta a
queste domande senza la necessità di andarlo a
verificare, rischiando di creare, in un momento
di crisi che ci vuole uniti, odiose distinzioni tra
lavoratori italiani e non. Mi rendo conto, tuttavia, di come molte persone, invece, si rifiutino
di comprendere il fondamentale ruolo sociale
degli immigrati che, pertanto, sentono di non
poter più rinunciare ad un gesto forte.
C’è molto di che riflettere e ci sarebbe molto
di cui discutere se solo non fossimo costantemente impegnati in altri dibattiti ed in altre
questioni. Se solo a sinistra avessimo un leader capace di spiegare le nostre molte ragioni
con la stessa forza e la stessa passione che sabato ci hanno messo i migranti su quel palco,
come si dice... saremmo a cavallo.
“il divano di Anna Frank”
Un parlamentare della Lega ha chiesto al ministro Gelmini di
scoraggiare la lettura nelle scuole della versione integrale del
«Diario di Anna Frank», dato che in una pagina del testo la
protagonista «descrive in modo minuzioso e approfondito le
proprie parti intime, suscitando inevitabile turbamento».
Francamente di quel libro sono sempre state altre cose a turbarmi: per esempio il razzismo, per
esempio i nazisti. Certo non la scoperta della propria sessualità da parte di un’adolescente.
Ma non voglio farne colpa all’onorevole Grimoldi o ai genitori degli allievi della scuola elementare di Usmate Velate, in provincia di Monza, che gli avrebbero segnalato il gravissimo caso.
Sono vittime anch’essi di quella incapacità di cogliere il senso complessivo di un evento o di
un’opera, arrestandosi davanti al particolare scabroso o semplicemente irrituale, che chiamerei
la sindrome del divano. Il divano è la normalità, il simbolo di un’esistenza tranquilla da abitare
in tinello, dopo avere chiuso la porta a doppia mandata. La tv fa parte dello stesso tinello in
cui si trova il divano: la sua volgarità è rassicurante, indigna e spaventa di meno.
A indignare e spaventare sono la diversità, l’originalità, l’imprevisto: tutto ciò che distrae dalle
certezze sedimentate e perciò va rifiutato e rimosso. Gli occhiali che si indossano davanti al
divano assomigliano alle lenti dei microscopi: magari di un capolavoro non afferreranno l’essenza, ma ne coglieranno sempre la riga fuori posto. (Massimo Gramellini, La Stampa)
RITRATTO
(a cura di Bruna Franceschini)
Rosetta Nulli
L’abbiamo incontrata circa un anno fa a Marzabotto, al congresso dell’ANED. Ci era parsa un
po’ inquieta: forse avvertiva di avere poco futuro, forse erano i ricordi di un passato che per
lei non è mai passato. Non ha mai smesso di portare sulle spalle il peso della tragica esperienza concentrazionaria, di quando fu internata nel lager di Bolzano con tutta la famiglia Nulli,
tranne Agape, già in prigione a Canton Mombello. E con quella del marito Bruno, i Bonomelli
di Iseo, anch’essi convinti antifascisti, cui i nazisti avevano già trucidato il padre, Silvio. Internato con mamma Rosetta fu anche il piccolo Ennio, di cinque anni, protagonista di una “resistenza minima”, il furto di un fischietto che suonò come una sfida, interrompendo i lavori del
campo e facendo accorrere infuriati i tedeschi. Tutti dentro al posto di Paride e Bruno Bonomelli, divenuti collaboratori della 9° Armata Britannica. Rosetta conservava religiosamente i
triangoli verde pallido che avevano contrassegnato gli ostaggi italiani e su cui erano stati impressi i numeri 4131 e 4132: il suo e quello del piccolo Ennio. Gli otto mesi dell’esperienza
bolzanina avevano profondamente segnato la sua vita: da allora, là dove c’era da portare la
testimonianza dei “tempi oscuri”, lì c’era Rosetta. Divenuta così un “quadro sociale” della
memoria, consegnando la sua piccola storia alla grande Storia, per renderla completa, viva,
accessibile alle nuove generazioni. Per sottrarla alla de-memoria del revisionismo e del negazionismo, al ribaltamento delle responsabilità. Con Rosetta abbiamo perso non solo una preziosa
testimone, ma anche un esempio di tenace volontà di rivivere/ricordare, per affermare la propria esistenza, salvarla dalla cancellazione, che purtroppo ha caratterizzato molta resistenza
femminile. Ancorché, come Rosetta, fregiata della qualifica di “partigiana combattente”.
graffiti - febbraio 2010
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IL LAVORO CHE NON C’È PIÙ
la parabola della Manifattura di Ceto
di Tullio Clementi
In principio era la Manifattura Brenese, impiantata «da un gruppo il cui titolare, un certo
Gabardi di Milano, che aveva già un altro stabilimento tessile a Cormano», come ricorda il
“vecchio” delegato Pietro Tosi in un intervista
raccolta circa 25 anni fa da Valerio Moncini
per conto della rivista camuna Periferia.
Nata all’inizio degli anni Sessanta, in pieno
“miracolo economico”, l’MB di Ceto (così
verrà conosciuta dai camuni negli anni a venire, in virtù della sua ubicazione, nell’area a cavallo tra i comuni di Ceto e Capo di Ponte),
occupa circa 250 dipendenti. Un organico che
andrà via via calando di pari passo con il crescente e continuo processo di innovazione
tecnologica, fino ad assestarsi fino ai poco più
di cento attuali (anzi, dei giorni scorsi, visto
quanto sta bollendo in pentola).
Stefano Torri, entrato a metà degli anni Sessanta ed uscito per andare in pensione dopo
quasi quattro decenni, è stato per anni nel
Consiglio di fabbrica, oltre che nel Consiglio
di zona della Cgil di Valcamonica, ed è con
lui che andiamo a ricostruire alcune delle fasi
più significative nella storia di questa fabbrica
tessile di medie dimensioni.
Nata in un periodo in cui la concezione di “fabbrica-villaggio” sta ormai diventando “obsoleta”, in attesa di andare ad arricchire il patrimonio storico dell’umanità (come sarà appunto il
caso del “villaggio” di Crespi d’Adda, dal quale
prese le mosse anche l’insediamento camuno di
Vittorio Olcese), la Manifattura Brenese non
rinuncerà a ricalcarne le ultime orme, con la re-
alizzazione di alcune casette attigue allo stabilimento, che però verranno riservate quasi
esclusivamente al “personale di concetto”.
Assorbita dal Cotonificio Valle Susa sul finire
degli anni Sessanta, la manifattura manterrà il
nome originale fino a quasi tutti gli anni Settanta quando, in seguito alla crisi del “Valle Susa”
stesso, verrà rilevata dal gruppo Niggeler e
Küpfer, insediato già sul finire dell’Ottocento
nella bassa Franciacorta, ed assumerà il nome
di “Nuova MB”.
La storia dei Niggeler e Küpfer, in sostanza,
è la storia di una delle tante dinastie svizzere
calate in Lombardia a inverare (ed arricchire)
la profezia manzoniana e, quindi, diffuse a
macchia d’olio in buona parte dell’arco alpino: «Oltre mille dipendenti sparsi nel Bresciano, nella Bergamasca e in Friuli – scrive
Lettera finanziaria del 20 marzo 1980 –, la
NK non dimentica le tradizioni. E ogni cotoniero che si rispetti ha una centrale idroelettrica che lo “salva” dall’Enel». (E come non
riandare per un attimo alla vicenda Olcese,
quando i Dalle Carbonare passarono come
Attila in Valcamonica giusto il tempo per
scippare all’Olcese i gioielli di famiglia – le
centrali idroelettriche, appunto – per lasciar
andare poi a ramengo la fabbrica?).
Tornando alla Manifattura di Ceto, più ancora
che i Niggeler e Küpfer, i veri e propri Deus
ex machina (nel bene e nel male) saranno gli
Archetti (padre e figlio), amministratori degli
stabilimenti bresciani da qualche decennio.
Del primo, Alberto, giova riproporre come
“ritratto-flash” quanto scrive la già citata Lettera finanziaria: «... presidente della Nk, uno
dei pochi manager bresciani con delega piena
da parte della proprietà, non ha avuto bisogno
di ricorrere alla maniera forte come dovette
fare Gianni Agnelli alla vigilia della rivoluzione
tecnologica di Mirafiori».
Del secondo, Paolo, ci atteniamo alle vicende
ed alle relative cronache degli ultimi giorni, che
non sono affatto lusinghiere.
Per concludere, quindi, ecco il commento riassuntivo di Alessandro Bertolini (Trentino industriale on-line) sulla tavola rotonda al termine di un convegno promosso nel 2007 dalla
Confindustria di Trento sul tema “L’impresa
di famiglia oltre le generazioni”: «Non è sempre vero, come si crede, che l’imprenditore
dell’azienda familiare sia sempre garanzia di
stabilità. È invece spesso vero, come si è soliti
pensare, che la prima generazione fa l’azienda,
la seconda la mantiene e la terza la distrugge».
Nel caso “nostro” ci tocca fare la media, nel
senso che la “famiglia” dei Niggeler e Küpfer è
andata ben oltre la terza generazione, mentre
quella degli Archetti pare intenzionata a...
chiudere il cerchio entro la seconda.
«... Lunedì l’azienda distribuisce 210 milioni
di euro di dividendo agli azionisti, due giorni
dopo 30 mila lavoratori vanno in cassa integrazione. Forse si potrebbe immaginare
di distribuire meglio il necessario sacrificio: tra chi ha molto e chi ha poco e non ha
nulla...». (Concita De Gregorio, L’Unità)
sebben che siamo donne...
dove va la Franzoni?
«Le donne sono più brave», dice l’operaio che mi sta accanto mentre sorseggiamo lentamente la nostra porzione di vin brülé per contrastare il freddo che tenta di penetrare
nelle ossa. «Sì», rispondo non troppo convinto, e intanto ne approfitto per scrutare
ancora fra la gente che sta presidiando quella che rimane ancora per poco (si spera) la
“statale 42”, di fronte allo stabilimento Nk di Ceto, per cogliere le ragioni e, quindi,
condividere, se è il caso, il giudizio del mio interlocutore. Sì, sono più brave, confermo a
ragion veduta, perché non si arrabbiano mai, e tuttavia assolvono al loro impegno con
maggiore efficacia: consegnano il volantino agli automobilisti con voluta lentezza (per far
durare più a lungo il presidio, evidentemente), accompagnandolo sempre con un sorriso
ed una battuta di spirito; e quando si tratta di autotreni salgono sul predellino soffermandosi quasi sempre a scambiare qualche breve commento con il camionista.
I partecipanti al presidio – anche senza mettere in conto la decina di rappresentanti
delle istituzioni e la mezza dozzina di carabinieri – sono decisamente superiori dei
dipendenti: poco più di un centinaio ormai, quasi tutti presenti al presidio. Un presidio che richiama quindi altri tempi (almeno da queste parti): i tempi dell’Ucar di Forno
Allione o, pen non andare troppo a ritroso nel tempo, quelli dei presidi contro il blocco
dei cantieri per la “superstrada”.
Degna di nota, infine, anche l’attenzione prestata dai mezzi di informazione, benché un
po’ delusi dalla difficoltà a raccogliere testimonianze dirette (che differenza con i tanto
bistrattati anni Settanta!). Per capire che non si tratta di reticenza, però, è più che sufficiente immergersi fra la gente senza il microfono in mano: allora i commenti piovono
davvero senza filtro, sull’organizzazione del lavoro, sulla qualità del filato e, soprattutto,
sulla vetustà degli impianti (quella sui muri perimetrali l’avevamo già notata). (t.c.)
E due giorni dopo, giovedì 21gennaio, sono gli
operai della Franzoni (molti più uomini che donne,
in questo caso) a presidiare ciò che rimane delle
omonime filature in Valcamonica: lo stabilimento
di Esine, con ingresso dirimpetto all’ospedale valligiano. Gli altri stabilimenti italiani (compreso
quello di Cividate) sono chiusi da tempo, mentre la
società, nella più classica e consolidata tradizione
del capitale speculativo è andata a cercare profitti
più facili dalle parti della Bosnia, portandovi pure
i macchinari acquistati a suo tempo con «finanziamenti europei a fondo perduto per progetti d’innovazione d’impresa», come scrive Giammarco Felappa su Mediterraneo online, e, quindi, avere le mani
libere in Italia per «riconvertire l’azienda tessile in
un grande centro commerciale». E intanto, di fronte
ad un’imprenditoria mordi e fuggi» (sono parole del
segretario della Uil di Bari), le istituzioni – come “le
stelle” di Cronin – stanno a guardare.
Ps: il giornalista di Mediterraneo online si riferisce
allo stabilimento di Trani, in Puglia, ma si tratta di
una prospettiva ben nota, che ha destato non pochi
allarmi anche dalle nostre parti. (t.c.)
febbraio 2010 - graffiti
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CONTROCORRENTE
la crisi? Sì, certo, ma non per tutti!
di Daniele Ducoli
Questa crisi annunciata da tempo ha dimostrato i limiti del mercato libero e l’incertezza
del capitalismo come sistema economico sostenibile. La logica del profitto a ogni costo si
è rivolta contro tutti noi, anzi contro le fasce
sociali più deboli che come sempre pagano il
danno causato da pochi “maghi” della finanza
virtuale, dediti unicamente alle speculazioni.
Era evidente che un’eccessiva produzione
avrebbe portato alla saturazione di tutti i mercati, ormai non esistono più bisogni da soddisfare, parlo di quelli materiali.
Da questa crisi non ne usciremo con gli incentivi all’acquisto di nuove autovetture, né con
le numerose casse integrazioni straordinarie
distribuite in Vallecamonica, vedi comparto
tessile ormai naufragato.
Le parole d’ordine sono rinnovamento e conversione industriale, puntare cioè su produzioni alternative tipo quelle legate all’ambiente, all’energia, all’ecologia, alle realizzazioni
tecnologicamente avanzate, innovazione e creatività progettuale.
Un ruolo fondamentale lo hanno le banche che
devono sostenere progetti industriali costruttivi, cioè credere in chi se lo merita, in quegli
industriali “vecchio stampo” che vogliono fare
industria e non speculazione finanziaria.
La tendenza attuale è che molte aziende chiedono assistenza alle banche o allo Stato per
sopravvivere e non consulenza per crescere.
Di pari passo necessitiamo di una riforma organica dello Stato Sociale e di una politica del
Welfare all’altezza dei problemi di una moderna Società. Perché non tutti i lavoratori hanno
subito la crisi allo stesso modo.
Sostanzialmente i dipendenti pubblici di ogni
settore, i professori, insegnanti, ferrovieri,
medici, notai, magistrati, le forze dell’ordine,
politici di professione, bancari, dipendenti
delle Poste, Enel, Telecom ecc., pensionati
d’«oro», hanno continuato a percepire lo stesso stipendio, rafforzato da un potere d’acquisto maggiore determinato da un’inflazione al
ribasso e da forme di finanziamento agevolato.
Le grosse aziende preferiscono produrre all’estero a costi inferiori scaricando i lavoratori allo Stato (cioè a tutti noi contribuenti)
attraverso la richiesta di cassa integrazione
straordinaria.
Pare proprio che i dipendenti di piccole aziende
private siano quelli che pagano gli effetti peggiori della crisi. Per non parlare dei lavoratori artigiani autonomi che sono obbligati ad anticipare
le tasse dell’anno successivo senza la certezza di
lavorare e senza nessun tipo di assistenza.
Se si vuole fare una riforma fiscale deve essere
basata su principi di equità dove non c’è nes“La speranza ha due bellissime figlie: lo sdegno
e il coraggio... Lo sdegno per la realtà delle
cose; il coraggio per cambiarle”. (Pablo Neruda)
suna differenza tra lavoro dipendente e autonomo, pubblico o privato.
È proprio vero che in Italia il lavoro non è
uguale per tutti e tutti non hanno gli stessi diritti e doveri. Non parliamo poi dei giovani (a
parte i soliti raccomandati senza merito) che
si vedono sbarrate diverse opportunità per il
loro futuro, in Italia le parole ricerca e sperimentazione le troviamo solo sul vocabolario!
È di pochi giorni fa la notizia di un lavoratore dipendente di 35 anni che dopo aver perso
il lavoro si è suicidato dandosi fuoco con una
tanica di benzina. È questo il libero mercato
che vogliamo?!
Attraversiamo un momento storico cruciale
dove è necessario pensare ad un mercato del
lavoro di nuova concezione; il lavoro come
espressione della libertà e dignità dell’uomo e
non come merce da barattare!
Questa crisi sarà provvidenziale nella misura
in cui sarà in grado di generare un sistema
economico sano, una specie di distruzione
creatrice. Pare che questa sia l’occasione storica per vedere il mondo con occhi diversi…
saremo capaci di raccogliere questa sfida? Dipende da tutti noi!
La previsione che nel 2010 l’Italia sfonderà il
tetto dei 2.000 miliardi di debito pubblico ci
dovrebbe quanto meno suggerire una pausa di
riflessione, sempre che abbiamo la consapevolezza di questa amara situazione.
“grande vacanza” per gli evasori fiscali
La prima volta che ho sentito lo slogan, alla radio (lo trasmetteranno anche in tv, suppongo,
ma almeno di quella me no sono liberato, finalmente), sono rimasto quasi inorridito: «Anche
chi ha un piccolo reddito merita una grande vacanza».Una volgare caduta di stile, ho pensato.
Una caduta di stile che poteva benissimo fare il paio con la battuta sui “campeggi solidali” in
Abruzzo (chissà se nei prossimi giorni andrà a proporli anche ai Caraibi?). D’altronde, la
scuola di pensiero è quella, non ci scappi.
Per un attimo ho avuto la tentazione di consigliarla provocatoriamente ai cassintegrati della Nk
e della Franzoni (di cui si parla nella pagina accanto), la proposta della signora Brambilla, ma
mi sono trattenuto in tempo, pensando a quanto sarebbe stato arduo contrabbandare come
battuta di spirito una simile insolenza.
Nel frattempo, però, mentre lo slogan imperversava nell’etere senza alcun ritegno, si cominciavano a leggere notizie in ordine all’alto indice di gradimento dei “Buoni vacanza per le fasce
più deboli” lanciati dal ministero del turismo e, quindi, dell’altrettanto elevato numero dele
domande in atto («... stanno ottenendo un successo insperato», scriverà Alessandro Borelli sul
Giorno, con un’enfasi degna di miglior causa), e allora sono entrato in profonda crisi. Per un
attimo. Fino a quando l’arcano si è svelato in tutta la sua rovinosa dimensione, grazie al dossier del Fisco dal quale risulta che prima di operai e pensionati (nel senso di “piccolo reddito”), vengono, nell’ordine, parrucchieri, ambulanti, proprietari di negozi sportivi, titolari di
officine meccaniche, proprietari di bar, tutti con un reddito più o meno inferiore a quello di
operai e pensionati (almeno nella media). Ecco dunque quali saranno, in primis, le categorie
sociali bisognose di aiuto ospiti negli alberghi della Valcamonica nell’imminente stagione vacanziera. Già, perché la seconda fase del progetto prevede pure il coinvolgimento di apposite
strutture convenzionate, ed in questo senso, a fronte di 49 aziende turistiche che hanno aderito al progetto in tutta la Lombardia, la parte del leone è toccata alla provincia di Brescia, con
l’adesione di 16 tra alberghi, residence e hotel, di cui ben 4 a Darfo Boario Terme ed altri due
o tre sparsi lungo la Valle, da Borno a Pontedilegno. (tullio clementi)
graffiti - febbraio 2010
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«... non si può omettere di segnalare la ornai intervenuta degradazione del permesso di soggiorno in contratto, appendice del parallelo contratto di lavoro,
con rinuncia da parte dello Stato ai suoi poteri sul punto e attribuzione degli
stessi al datore di lavoro (nuovo signore feudale, padrone non solo della prestazione lavorativa del dipendente, ma anche del suo status, e dunque della sua
libertà e del suo stesso corpo). Il “contratto di soggiorno”, condizionato dalla
esistenza di un corrispondente “contratto di lavoro”, ha, infatti, come effetto
automatico la attribuzione al datore di lavoro di una sorta di potere assoluto
sul lavoratore, essendo evidente, nelle attuali condizioni economiche, che il licenziamento è l’anticamera della espulsione. L’attribuzione di tale potere consegna al datore di lavoro un ruolo pubblicistico, nel senso che il conseguimento
o il mantenimento di uno status di rilevanza pubblica (quale la regolarità del
soggiorno) finisce, di fatto, per essere rimesso al suo arbitrio. Si passa così
dalla importazione di braccia al ripristino, nella organizzazione sociale, di modelli tipicamente feudali». (da Diritto, Immigrazione e Cittadinanza)
la rava e la fava
I COCCI DEL LIBERISMO
chi erano gli estremisti...
Si usa dire che aver ragione troppo presto è
come non averla, o addirittura è come aver
torto marcio. Lo si dice di fronte a proposte
innovative rispetto ai contesti, ritenute al momento estremiste o utopiche, che trovano solo
dopo lungo tempo accettazione. Effettivamente, il valore di un’idea non può essere tale
solo in astratto. Ma quando i tempi tra la proposta sbeffeggiata e la sua successiva accettazione non si misurano in secoli e nemmeno in
lunghi decenni, e il contesto non è mutato, beh
allora semplicemente ci troviamo di fronte a
qualcuno che la realtà l’ha capita prima e prima ha avuto il coraggio di affrontarla, tempestivamente, rispetto ad altri che solo tardivamente giungono a segno, per conservatorismo
personale, per interesse o ideologia, o semplicemente per quieto vivere, per non affrontare
il disagio che sempre la novità comporta.
Considerazioni che affiorano pensando a
due diverse proposte, di ambito e di portata
diversa, ma legate al nostri tempi difficili.
Quella della Tobin tax, la tassa sulle operazioni finanziarie transnazionali, rese facilissime dalla globalizzazione crescente, e incontrollabili nei loro effetti perversi. Effetti
misurati dalla crisi in cui ci siamo infilati
dall’ipertrofia di una finanza selvaggia, impunita fiscalmente e politicamente, che una
Tobin tax avrebbe consentito di contenere o
quantomeno di monitorare preventivamente. La misura, giudicata estremista nel decennio scorso, una delle grandi richieste dei
movimenti di critica alla globalizzazione
selvaggia, viene oggi presa in considerazione
dai grandi del mondo come uno tra i possibili rimedi strutturali onde evitare rischi
analoghi a quelli sperimentati. Ci si riflette,
è fattibile, non era follia quindi.
Più in piccolo, ma non tanto da sottovalutare, una seconda proposta vive analoga
rivalutazione. Quella avanzata in Regione
Lombardia l’anno scorso da Osvaldo
Squassina, consigliere per Rifondazione
comunista prima e oggi di Sinistra e Li-
bertà. La proposta di legare gli incentivi
pubblici per le iniziative imprenditoriali al
mantenimento in loco dell’occupazione. E
l’obbligo di restituire all’Ente il maltolto
nel caso di delocalizzazione o di smantellamento della struttura e della relativa perdita di occupazione. Proposta snobbata
come boutade estremista, vista la paternità, ma tacitamente rivalutata nel dibattito
politico anche nazionale di queste settimane, in cui è universale lo sdegno (almeno
sembra) per chi ha incamerato incentivi e
profitti prima e lascia ora sul lastrico l’occupazione locale per produrre all’estero
ciò che potrebbe fare in Italia. (b.b.)
ULTIMA ORA
marcia antirazzista
Il 21 marzo è la giornata internazionale contro il razzismo, una ricorrenza che si richiama
anche all’eccidio di 42 anni fa a Shaperville,
in Sudafrica, quando 69 dimostranti furono
uccisi durante una manifestazione contro
l’apartheid. Quest’anno la commemorazione
cade di domenica, ed il Centro migranti sta
organizzando una marcia antirazzista da Darfo Boario Terme a Pisogne, con pranzo al
sacco e rientro nel pomeriggio col treno. (t.c.)
AMARCORD
il treno di Ruggero
Ruggero è entrato nella mia breve vita soltanto
in due occasioni. La più triste è anche la più
recente: apro il giornale e apprendo della sua
morte, così, aspettando un treno in stazione
mentre mi faccio andar bene un caffè macchiato dal gusto metallico; a pensarci accuratamente, associo ancora quell’amara notizia a
quel sapore raggelante nella mia bocca.
La prima volta fu, al contrario, un’esplosione
di vita. Ero uno sperduto studente all’Istituto
Tecnico Olivelli di Darfo, tentavo in ogni modo
di evitare le interrogazioni di economia aziendale, non sapevo mai dove mettere le mani mentre
parlavo e la classe Quarta Sezione A mi andava
decisamente stretta; così iniziai a scrivere sul
Giornalino dell’istituto, un contenitore che
dava spazio agli sfoghi più disparati: la disperazione poetica dell’amour fou per la compagna di banco si combinava magicamente alle ansie da educazione fisica, le citazioni colte di
Wilde alle note biografiche di qualche bidello
border-line, e c’erano sempre quei tvb di troppo nei messaggi anonimi dedicati alla bellona
della scuola. Ma io volevo prendere a pugni il
mondo. I miei primi articoli trattavano di alcuni
temi sociali scottanti: ricordo ancora il pezzo di
denuncia rispetto al G8 di Genova, con il testo
di “La Guerra di Piero” ad intercalare quei manganelli, quelle urla e quel mondo che mi sembrava così inspiegabile.
Fu in quei giorni che ricevetti un’email da un
tale Ruggero Marani, che si complimentava
col mio stile di scrittura e, in qualche modo,
col mio furore sociale. Mi spiegava che gli
piaceva leggere quel Giornalino che a noi tutti
sembrava così di basse pretese, che i nostri argomenti lo animavano, che gli piaceva l’idea di
ricordarsi di quando anche lui, anni addietro,
aveva iniziato a scrivere. Le sue parole mi colpirono. Ci incontrammo in occasione di una
mostra d’arte a Breno, e davanti a me scoprii
un bambino curioso custodito dentro un corpo d’anziano: mi raccontò la sua vita e mi diede alcune dritte nel caso in cui volessi seguire
la via del giornalismo. Mi disse che stava
prendendo lezioni di pianoforte, che stava
partendo per un viaggio. Che stava imparando
a costruirsi un sito internet tutto per sé perché “quello era il futuro del giornalismo”. Lo
guardavo ad occhi spalancati, ammirato. Nei
mesi successivi ci scrivemmo alcune cartoline
colme di complimenti dalle rispettive mete
estive; poi iniziai l’università, i contatti si fecero più rari, non ci sentimmo più.
Eppure oggi ripenso a Ruggero e al suo
cuore di bambino curioso; e questo pensiero sereno scaccia l’amaro gusto di quel caffè macchiato bevuto mentre leggevo la triste notizia, mentre l’ennesimo treno sta
partendo verso una meta lontana come lui
avrebbe voluto. (Stefano Malosso)
Su Ruggero Marani, “vecchio” ed affezionato lettore/abbonato di Graffiti, ha scritto un
bel “ritratto” anche un altro nostro lettore
(e collaboratore), Ermete Giorgi (pag. 9).
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ANTIFASCISTI IN SPAGNA PER LA REPUBBLICA (E PER LA LIBERTÀ)
i camuni nelle brigate internazionali
a cura di Tullio Clementi
«Forse non avevano il fascino di Gary Cooper
quando interpretava Robert Jordan, l’eroe anti
franchista di Hemingway in “Per chi suonala
campana” – scrive Massimo Tedeschi su Bresciaoggi –. Forse non avevano la tempra dei rivoluzionari di professione. Forse non erano,
tecnicamente, degli eroi. Eppure le loro vite furono avventurose, le loro scelte estreme, il loro
sacrificio enorme. Sono i sessanta bresciani che
entrarono nel novero de “I soldati della buona
ventura”, ovvero i “militanti antifascisti nella
guerra civile spagnola 1936-1939” la cui vicenda viene tratta dall’oblio grazie a un monumentale lavoro di Roberto Cucchini sostenuto dalla
Camera del lavoro di Brescia».
Fra questi militanti antifascisti che combatterono nella guerra civile spagnola in difesa della
democrazia e della libertà, ben sette erano camuni, due dei quali (Giuseppe Murachelli e
Pietro Troletti) verranno insigniti della medaglia d’oro alla memoria dal Consiglio regionale
della Lombardia. Eccone dei brevi profili,
come emergono dal libro di Cucchini.
Marco Favetta, di Malonno, emigra con la
qualifica di bracciante il 2 novembre 1923. Lo
si trova prima a Vienna e quindi in Lussemburgo, da dove verrà espulso perché ritenuto
«anarchico pericoloso». In precedenza, la polizia fascista si era limitata a schedarlo come
uno che «dimostrava di professare idee comuniste ma non ne faceva propaganda», salvo
rincarare la dose in seguito alla denuncia di un
informatore: «acerrimo nemico del fascismo,
svolge attiva propaganda comunista». La sua
partecipazione alla guerra civile spagnola risulta soltanto da «una “riservata” del Ministero dell’interno dei primi mesi del 1938».
Pietro Garatti, di Angolo Terme, contadino,
segnalato come sovversivo, «è attivo politicamente sin da quando presta servizio militare»,
nei primi anni Venti. Il 6 novembre del 1925
«espatria in Francia, ufficialmente per ragioni
di lavoro, e si stabilisce nella provincia di Lione», soggiornando però alternativamente tra la
Francia e il Lussemburgo.
Conosciuto dai suoi compagni col soprannome di “Brescia”, scrive Cucchini citando anche alcune note della polizia, «nel 1932 è
considerato dagli informatori come “uno dei
principali animatori del movimento rivoluzionario italiano della regione di Liegi”».
Verso la fine del 1936 «parte alla volta della
Spagna, e si arruola in una delle formazioni
antifranchiste non meglio precisata. Alla fine
dello stesso mese, per le diverse ferite riportate sul fronte di Madrid, è ricoverato nell’ospedale militare n. 1 della capitale. Successivamente, nel settembre del 1939, il Consolato italiano di Liegi sostiene che a causa di tali
ferite, sia morto, senza però fare cenno né alla
data né al luogo del decesso».
Giuseppe Murachelli, nato a Capo di Ponte
nel 1903, «è segnalato come comunista». Nel
luglio del 1926 si trasferisce a Milano dove lavora come autista e, quindi, nel gennaio del
1928 emigra in Francia, «dopo essere stato
fermato nel capoluogo lombardo per misure di
pubblica sicurezza». Nell’agosto del 1936 è
già in Spagna, «dove viene gravemente ferito
durante la battaglia di monte Pelato nei pressi
di Huesca (Aragona)».
Dopo essersi ristabilito, «dal gennaio del 1937
ritorna al fronte per essere incorporato in una
nuova formazione, col grado di capitano
dell’87ª Brigata mista impiegata sul fronte di
Teruel, dove, il 7 febbraio del 1938, viene
nuovamente ferito alla gamba destra. Catturato dai franchisti, riesce a fuggire e riparare in
Francia, dove però viene nuovamente arrestato e detenuto per circa un anno. Riesce ancora
a fuggire e, quindi, prende contatti col Partito
comunista francese e partecipa attivamente
alla Resistenza, nella zona di Tolosa».
Poco prima della liberazione di Parigi rientra
clandestinamente in Italia e, «tra il dicembre
1944 e il maggio del 1945, milita nella 41ª Brigata Carlo Carli della Divisione Garibaldi operativa in Val di Susa. Dopo la fine della guerra,
svolgerà ancora attività politica nel Pci».
Geremia Pederzoli nasce a nel 1909. «È
segnalato come antifascista. Di famiglia contadina, emigra con la stessa in Francia nel 1913.
Manovale, risiede ad Aubonne, nella regione
della Meurthe-et-Moselle, fino alla sua
partenza per la Spagna in data non accertata»,
«Fomentare l’odio razziale, come soluzione del difficile problema migratorio,
è molto pericoloso. La civiltà del mercato e dei consumi ha generato una
moltitudine di scontenti, di arrabbiati,
di egoisti e aumentano rigurgiti di fascismo in chi non conosce la storia».
(Lina Tridenti Monchieri)
dove «combatte nella XII Brigata internazionale. Rientrato nell’Esagono verso la fine del
1938 diretto verso l’Est del Paese, viene fermato e internato nel campo di Le Vernét tra il
1939 e il ’40. Nell’ottobre del 1942 risulta residente presso un campo del Deutsche
Arbeitsfront-DAF (Fronte tedesco del lavoro), a Bolchen (Germania). Di lui non si hanno
altre informazioni».
Giulio Antonio Polotti nasce a Iseo nel 1913.
Figlio di un militante socialista, «si trasferisce
con tutta la famiglia prima a Costa Volpino nell’aprile del 1914 e due anni dopo a Lovere».
Nel 1923 il padre, accompagnato dalla famiglia,
emigra in Francia e «nel 1932, Giulio aderisce
alla Gioventù comunista diventando segretario
dell’organizzazione di Longwy (Meurthe-etMoselle) dove lavora come aggiustatore in una
acciaieria iscrivendosi poi al Pcf». Nel 1936,
scrive ancora Cucchini, «le informazioni consolari di Nancy lo danno naturalizzato francese
come il padre [...], «comunista militante» e
capo delegato operaio della Cgtu delle officine
di Mont Saint Martin sin dall’ottobre del ’33».
Discreto parlatore, interviene a tutte le riunioni
sindacali e di partito, per cui viene ritenuto
«elemento capace e pericoloso».
Nel 1937 parte alla volta della Spagna repubblicana, dove viene «inquadrato in una unità delle Brigate internazionali in qualità di commissario politico». Al suo ritorno in Francia,
verso il finire dello stesso anno, «viene eletto
segretario federale del Partito comunista della
Meurthe-et-Moselle e funzionario dei sindacati
metallurgici». Dopo la smobilitazione dell’esercito francese, passa alla clandestinità e «la direzione del Pcf della zona Sud, lo designa segretario regionale dell’Isère» e, successivamente,
viene «assegnato alla regione Sud-Ovest».
L’esperienza spagnola, continua Cucchini, «fa
di lui, come di altri dirigenti della Gioventù
comunista d’anteguerra, un “quadro” interamente dedicato alla formazione dei gruppi
combattenti. In questo periodo diventerà il
“comandante Georges”. Sorpreso durante una
riunione nel quartier generale partigiano il 17
maggio del 1944, a Fontaine (Isère) dalla Gestapo e dalla Feld-gendarmerie, viene ucciso
durante lo scontro a fuoco».
Umberto Romele nasce a Pisogne nel 1903.
«Meccanico, emigra in Francia in data non accertata, e risiede a Gennevilliers (Seine). È tra
i primi volontari a recarsi in Spagna: il 12 agosto del 1936 risulta arruolato nella Milizia popolare che combatte in difesa di Irún. Durante
gli scontri, è ferito da una pallottola che lo
colpisce vicino al cuore. Trasportato d’urgenza a Bordeaux (Francia), dopo la guarigione,
verso la fine di aprile del 1937, ritorna al fronsegue a pagina 9
graffiti - febbraio 2010
9
dalla pagina precedente
i camuni nelle brigate internazionali
te per essere inquadrato nella terza compagnia
del 2° Battaglione della XII Brigata internazionale. Viene nuovamente ferito da una
scheggia alla gamba destra sul fronte di Huesca, il 16 giugno del 1937».
Rientrato in Francia nell’agosto dell’anno successivo, all’indomani della dichiarazione di
guerra di Mussolini alla Francia, viene internato in quanto cittadino italiano. Successivamente parteciperà alla Resistenza francese
«inquadrato in un non ben definito “gruppo
Garibaldi”, formazione che dovrebbe far parte del Fronte di liberazione nazionale».
Pietro Troletti nasce a Cividate Camuno nel
1900. Anche per lui vale la segnalazione della
polizia fascista come antifascista. «Incarcerato
una prima volta nel 1920, nel 1923 espatria per
sfuggire alle persecuzioni. Si stabilisce per una
decina d’anni a Boulogny (Meuse), nella Francia del nord, dove lavora in una miniera di ferro,
mentre il suo recapito è presso il caffè Breda».
Milita nei gruppi di lingua italiana del Partito
comunista francese ed è iscritto al sindacato.
Dopo un primo trasferimento a Lounwy
(Meurthe-et-Moselle) «dove trova un’occupazione nella fonderia Senel», ed un secondo a Tusage (Mosella) dove riprende a fare il minatore,
nell’aprile del 1938, «si reca a Parigi e da qui,
con altri, parte alla volta dei Pirenei». In Spagna
«viene inquadrato nella quarta compagnia del 2°
Battaglione della XII Brigata internazionale» e,
«dopo un periodo di addestramento, in luglio si
trova sulla riva sinistra dell’Ebro dove, appena
giunto, è ferito al ginocchio sinistro da una
scheggia di bomba d’aereo».
Uscito dalla Spagna nel febbraio del 1939, viene internato in vari campi fino al rimpatrio,
nell’agosto del 1941. Nell’ottobre dello stesso
anno «la Commissione provinciale di Brescia
lo assegna al confino per cinque anni da scontare a Ventotene, in quanto “combattente
antifranchista”. [...] Dopo il 25 aprile del
1945, si stabilisce ancora a Cividate Camuno,
dove milita nel Pci fino alla morte avvenuta il
29 dicembre del 1969».
Altra storia, invece, quella di Enrico Brichetti,
di Corteno Golgi, che Carlo Rosselli, proporrà
come comandante del neonato Battaglione Matteotti schierato sul fronte aragonese, nonostante
lo avesse già segnalato in precedenza al gruppo
di Giustizia e Libertà come elemento sospetto.
Un elemento che alla fine risulterà ben più che
“sospetto”, come scrive lo stesso Cucchini e
come aveva già scritto Mimmo Franzinelli nel
suo I tentacoli dell’Ovra: «Fu uno dei sette ufficiali dei legionari che a Ronchi il 28 agosto
«... e quando ebbe plasmato gli uomini
versò in ognuno di essi l’intelligenza, con
un misurino uguale per tutti: così che ad
alcuni la porzione bastò per diventare
saggi mentre altri, più grossi, risultarono
piuttosto sciocchi...». (Esopo)
1919 giurarono di riunire Fiume alla madrepatria. Dannunziano-repubblicano, a Brescia fu
tra i promotori delle squadre degli Arditi del
popolo e poi del movimento antifascista Italia
libera. [...] Arrestato su ordine di Bocchini il 7
dicembre, barattò la liberazione con la disponibilità a fungere da informatore».
Ed ecco una breve nota (tratta sempre dal libro di Franzinelli) del capo della polizia al
prefetto di Brescia, in merito allo stesso Brichetti: «Essendosi verificata la necessità di
avere un fiduciario fra gli stessi volontari
repubblicani in Spagna, il Brichetti, interpellato, non esitò ad arruolarsi nelle milizie rosse,
recandosi a combattere in Catalogna, dove riu-
scì a mantenere i collegamenti con i nostri servizi col rischio continuo della propria vita. Allorché si trovava fra le stesse truppe marxiste
di Spagna, per meglio attendere al suo pericolosissimo compito, dovette perfino assumere,
per qualche tempo, col grado di capitano dei
miliziani internazionali, il comando interinale
del famigerato battaglione “Matteotti”, composto dei peggiori fuoriusciti ed antifascisti
italiani, sul conto dei quali ha avuto così gli
elementi per poter dettagliatamente riferire».
E per finire, ancora un commento di Roberto
Cucchini: «Fece la spia all’Ovra sulle mosse
degli iscritti a Giustizia e Libertà onde molti
furono arrestati e forse fucilati».
DAL NOSTRO INVIATO A...
Ruggero Marani? Eccolo!
di Ermete Giorgi
Ad 84 anni, se n’è andato in punta di piedi, con la solita discrezione, Ruggero
Marani, il decano dei giornalisti camuni. Un banale incidente mentre era in vacanza in
Tunisia, l’ha strappato ai suoi cari ed agli amici. Da qualche tempo, ai ferri corti con problemi
di salute, ultimamente scriveva poco e, nonostante si movesse con fatica, non rinunciava (nonostante i divieti dei familiari) a passeggiate a piedi ed in bicicletta ed alla partecipazione a
conferenze stampa, nel corso delle quali incontrava i colleghi e scherzava volentieri con loro.
Nativo dell’Emilia Romagna, era giunto a Breno nel primo dopoguerra come comandante del
distaccamento camuno di Polizia stradale e qui s’era sposato con Anna Maria Beretta, da cui
ebbe il figlio Marco. Ritiratosi in pensione s’era subito dedicato al giornalismo e all’hobby
preferito, quella della musica classica. Da buon dilettante, si sforzava di eseguire al pianoforte
anche brani di grandi autori. Per un certo periodo s’era impegnato con entusiasmo persino
nello studio della lingua inglese.
Dalle parti di Bologna aveva militato, a suo tempo, nelle file della Resistenza. Corrispondente
dalla Valcamonica per un quotidiano di Brescia, scriveva con passione, sobbarcandosi persino
estenuanti udienze presso il Tribunale brenese, o chilometriche sedute nella sala del consiglio
comunale cittadino. Praticava simpaticamente il difficile, ma saggio esercizio dell’auto-ironia,
riuscendo a scherzare persino sul maggiore problema che l’andava affliggendo e giorno dopo
giorno minava la condizione fisica, non certo lo spirito sempre pronto, tenace, caparbio. Non
disdegnava, con umiltà, di chiedere ai colleghi il significato di qualche vocabolo abbastanza
peregrino che incontrava nelle sue letture, o la traduzione di talune frasi latine che ricorrono
nel parlar comune. Molti i colleghi e gli amici presenti al rito e parecchi i vessilli delle associazioni combattentistiche e d’arma. Il defunto era particolarmente attivo in questi sodalizi e la
sua presenza sulle cime, al pellegrinaggio annuale degli Alpini in Adamello, era immancabile,
anche a fronte del sacrificio di una dura, faticosa salita. Tutti a Breno ricordano la sua partecipazione (con tanto di bustina militare ed alamari cremisi) alle sfilate verso il monumento dei
caduti il XXV aprile, o il IV novembre
Era membro dinamico ed efficiente, oltre che dell’associazione che riunisce le ex Guardie di Pubblica Sicurezza (Anps), anche della locale sezione sottufficiali. Alla fine del rito nel duomo di
Breno gli ex appartenenti alla sua arma hanno voluto leggere la preghiera a san Michele Arcangelo, patrono della Polizia. Anche il figlio ha pronunciato al microfono una serie di pensieri affettuosi e dolenti, alla fine dei quali dagli astanti s’è levato spontaneo un applauso corale.
Un pensiero a parte merita la religiosità del nostro uomo: costante alla funzione domenicale, non
si limitava ad assistere, ma seguiva con un messalino la cerimonia e riceveva sempre l’Eucaristia.
Il suo impegno però non si limitava a quel che appare esteriormente: senza far troppo chiasso,
con elemosina, accoglienza, una parola incoraggiante, esercitava la carità verso il prossimo, pensiero ed azione che dovrebbero essere per tutti i credenti il “modus vivendi”.
Della sua umanità, del senso dell’amicizia, della sua rettitudine morale oggi siamo un po’ tutti più
poveri e mentre pensiamo a suoi affettuosi “pezzi” giornalistici pubblicati sulla vallata dell’Oglio, ci sentiamo di dichiararlo camuno “ad honorem”. Sotto lo stemma araldico della Polizia
di Stato si legge un adagio latino probabilmente di Cicerone “Sub lege libertas” (libertà, però
sotto la tutela della legge); ecco appunto: l’esistenza di Marani, l’impegno professionale, la vita
civile e sociale si sono ispirati a quest’aureo principio meditandolo e mettendolo in pratica.
febbraio 2010 - graffiti
10
UN TRENO SPECIALE DALLA VALCAMONICA ALLA FRANCIACORTA
una marcia e un kaki per la pace
di Maurizio (Gino) Morandini
Da alcuni anni a questa parte, il Tavolo della
pace Monte Orfano di Franciacorta propone in
primavera una marcia per sensibilizzare i cittadini intorno all’importante, ed irrinunciabile,
tema della pace. Può darsi che, a titolo personale, qualcuno di voi vi abbia anche già partecipato. Quest’anno la programmazione dell’evento si è però evoluta in maniera differente,
ed un filo ha iniziato a legare i percorsi del Tavolo e dell’associazione culturale Graffiti.
Tutto è partito con la nostra decisione di aderire al progetto Kaki Tree Project (di cui si è
già riferito nel numero di gennaio 2010), di cui
gli amici franciacortini sono i referenti per la
provincia di Brescia. Due piantine, figlie del
kako sopravvissuto al bombardamento atomico di Nagasaki, arriveranno anche da noi: il 26
marzo avverranno le piantumazioni a Bienno
e a Pisogne, che saranno precedute da una serie di iniziative collaterali ancora in corso di
definizione (il calendario verrà pubblicato sul
sito www.graffitivalcamonica.it).
Un piccolo fragile simbolo di speranza per un
futuro senza guerre, un segno da utilizzare per
spiegare ai nostri figli l’importanza della convivenza tra i popoli, della giustizia sociale,
della coesione e della solidarietà.
Queste piccole piantine di kako saranno il
leit motiv della marcia che si terrà il 14 marzo: il percorso inizierà infatti dal kako di Ca-
stegnato e si concluderà nel parco dove, poche settimane dopo, sarà piantato il kako di
Cazzago San Martino. Questo appuntamento sarà inserito in un periodo in cui, in tutta
la nostra provincia, verranno organizzati svariati appuntamenti per ricordare ed approfondire, oltre alla storia folle e disperata di
Hiroshima e Nagasaki, anche la cultura giapponese e la sua sapienza antica.
La marcia si articolerà in sette tappe: sette
come i colori dell’arcobaleno, ognuno dei quali
è stato scelto per rappresentare un “bene comune per tutti” su cui saremo invitati a riflettere e che dovremo portare con noi, con maggiore
consapevolezza, anche dopo il 14 marzo.
Religione, accoglienza, lavoro, giustizia, acqua, istruzione, non violenza: sono questi i
temi scelti dagli organizzatori come primi imprescindibili beni da difendere e da diffondere, per tutti e in ogni dove. Sette beni, sette
frutti rari che anche noi di Graffiti vogliamo
contribuire a far maturare; proprio per questo motivo abbiamo già contattato i rappresentanti di alcune associazioni operanti sul
territorio camuno e da sempre impegnate a
promuovere quegli stessi valori, proponendo
loro di aderire all’iniziativa e di partecipare
insieme. Per rendere più evidente, collettiva
e, perché no, ecologica la nostra azione, abbiamo deciso di scendere in Franciacorta utilizzando la linea ferroviaria, creando un treno
“speciale” che ci auguriamo sarà il più partecipato, colorato e festoso possibile.
Per i dettagli organizzativi rimandiamo al già
citato blog di Graffiti, che nei prossimi giorni
saprà fornire indicazioni più precise sulle
adesioni e, soprattutto, sugli orari e i luoghi
di partenza e di ritorno. Intanto, per maggiori informazioni, potete contattarci scrivendo
ad [email protected], oppure
telefonando al 339.8455276. Al 14 marzo, allora, e buona pace a tutti.
“giù le mani dalle foibe”
«I fatti ci hanno dato ragione – scriveva Enzo Collotti sul manifesto dell’11 febbraio 2007 –. I
timori che avevamo espresso fin da quando fu istituito il giorno del ricordo si sono puntualmente
avverati. Anche dalle più alte cariche dello Stato si è sentito il dovere di enfatizzare una retorica
che non contribuisce ad alcuna lettura critica del nostro passato, l’unica che possa servire ad
elevare il nostro senso civile, ma che alimenta ulteriormente il vittimismo nazionale».
Ed ecco un più recente commento del bresciano Adriano Moratto, figlio di profughi istriani:
«Personalmente, sull’argomento, sono rimasto più sorpreso nello scoprire come gli italiani
avevano trattato gli slavi durante il regime fascista e poi durante la guerra. Dai miei, in casa,
avevo saputo solo dell’obbligo di parlare in italiano e dell’italianizzazione dei cognomi (mia
madre era croata). Se si volesse parlare di storie dimenticate nei confini orientali, il 10 febbraio
si dovrebbero ricordare soprattutto le persecuzioni italiane contro gli “allogeni”: le centinaia di
migliaia di “non italiani” fuggiti all’estero (Canada, Australia, Svezia); i campi di concentramento per serbi, croati e sloveni; l’invasione (nel ’41) del Regno Yugoslavo; la risiera di San
Sabba, a Trieste, campo di sterminio elettivamente per “slavi”. [...] Si è caduti nella trappola
della pretesa riconciliazione tra le parti in conflitto, subendo passivamente la “narrazione”
fascista della storia. Da anni, nel bresciano, imperversa nelle scuole e in assemblee pubbliche
Luciano Rubessa, che (ben pagato da soldi pubblici) inventa la Storia a suo uso e consumo...».
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graffiti - febbraio 2010
11
Un lettore ci ha segnalato la seguente poesia di Adriano Sofri, adattata
su quella di Primo Levi, Se questo è un uomo. La poesia, col titolo “Nei
ghetti d’italia questo non è un uomo”, è già stata pubblicata sul quotidiano “La Repubblica”. La riproponiamo quindi ai lettori di Graffiti.
Di nuovo, considerate di nuovo / Se questo è un uomo, / Come un rospo a
gennaio, / Che si avvia quando è buio e nebbia / E torna quando è nebbia e
buio / Che stramazza a un ciglio di strada, / Odora di kiwi e arance di Natale, / Conosce tre lingue e non ne parla nessuna, / Che contende ai topi la sua
cena, / Che ha due ciabatte di scorta, / Una domanda d’asilo, / Una laurea in
ingegneria, una fotografia, / E le nasconde sotto i cartoni, / E dorme sotto i
cartoni della Rognetta, / sotto un tetto d’amianto, / O senza tetto, / Fa il
fuoco con la mondezza, / Che se ne sta al posto suo, / In nessun posto, / E
se ne sbuca, dopo il tiro a segno, / “Ha sbagliato!”, / Certo che ha sbagliato,
/ L’Uomo Nero, / Della miseria nera, / Del lavoro nero, e da Milano, / Per
l’elemosina di un’attenuante, / Scrivono grande: NEGRO, / Scartato da un
caporale, / Sputato da un povero cristo locale, / Picchiato dai suoi padroni,
/ Braccato dai loro cani, / Che invidia i nostri cani, / Che invidia la galera, /
(un buon posto per impiccarsi) / Che piscia coi cani, / Che azzanna i cani
senza padrone, / Che vive tra un no e un no, / Tra un Comune commissariato per mafia, / E un centro di ultima accoglienza / E quando muore, una
colletta / Dei suoi fratelli a un euro all’ora / Lo rimanda oltre il mare, oltre il
deserto / Alla sua terra - “A quel Paese” / Meditate che questo è stato, /
Che questo è ora, / Che Stato è questo, / Rileggete i Vostri saggetti sul Problema, / Voi che adottate a distanza, / Di sicurezza in Congo, in Guatemala,
/ E scrivete al calduccio, né di qua né di la, / Né bontà, roba da Caritas, né /
Brutalità, roba da affari interni, / Tiepidi come una berretta da notte, / E
distogliete gli occhi da questa, / Che non è una donna, / Da questo che non è
un uomo, / Che non ha una donna, / E i figli, se ha i figli, sono distanti / E
pregate di nuovo che i vostri nati / Non torcano il viso da voi.
recensione
di Tullio Clementi
Titolo: Storia della Cgil
Autore: Fabrizio Loreto
Editore: Ediesse
Dopo l’introduzione di Adolfo Pepe e la presentazione di Enrico
Panini, il volume viene suddiviso in una dozzina di capitoli.
Dal mutualismo alla resistenza (1861-1901), ovvero, «il miglioramento dell’operaio deve essere opera dell’operaio stesso,
attraverso le società di mutuo soccorso, le leghi di resistenza, le
Camere del Lavoro e le Federazioni di mestiere».
L’età giolittiana e la Grande Guerra (1901-1918): la nascita
della Confederazione generale del Lavoro, «per promuovere e disciplinare la lotta della classe lavoratrice contro il regime capitalistico della produzione del lavoro».
Dal biennio rosso al biennio nero (1919-1922). La crisi dello
Stato liberale e, quindi, la violenza squadrista contro il sindacato.
La costruzione dello Stato totalitario (1922-1926). Il sindacato fascista e la distruzione del sindacato libero e democratico e
delle Commissioni interne (unica forma di
rappresentanza operaia nei luoghi di lavoro)
LA CLASSIFICA DEL MESE a cura di Gastone ([email protected]) dell’età liberale.
Le due Cgil, tra clandestinità ed esilio
(1927-1939). Il sindacato dalle divisioni al
patto di unità d’azione. Il sindacato fascista
Voto 1 a George Clooney e ad Elisabetta Canalis, personaggi dello spettacolo. La toccata e
nello Stato corporativo.
fuga presso Villa Damioli di Pisogne per comprare un letto matrimoniale a 48mila euro è
La guerra totale e la Resistenza (1940quanto di più esibizionista ci possa essere. Spreconi.
1944). La crisi del fascismo e la seconda guerVoto 2 a Monica Rizzi, consigliere regionale della Lega. Sta cercando di calmare la base (ed i
ra mondiale. Gli scioperi di marzo-aprile 1943
pretendenti), difendendo la scelta di Bossi di candidare il figlio Renzo a Brescia. Troppo
e del marzo 1944.
facile per lei: la posizione nel listino bloccato di Formigoni la catapulta automaticamente in
7. La Cgil unitaria (1944-1948). Dalla Libeconsiglio. Privilegiata e opportunista.
razione alla Repubblica. La scissione sindacale
del 1948, dopo le elezioni del 1948 e l’attenVoto 3 ad Alessandro Sala, assessore provinciale allo sport. Dopo l’infortunio di Nadia, ha
tato a Togliatti.
scritto una lettera alle due Fanchini (pubblicata anche dai giornali) in cui le incoraggia a non
I duri anni cinquanta (1949-1959). La “Comollare. Tante “a” senza l’acca e poi anche un tono ed uno stile discutibili. Patetico.
stituzione materiale” e il centrismo. La “guerVoto 4 a Pietro Bertelli, presidente dell’azienda territoriale per i servizi alla persona di Breno. La
ra fredda” sindacale. Il “miracolo economico”.
storica direttrice della società è tornata a fare funzioni di coordinamento, in aggiunta all’attuale
La ripresa degli anni sessanta (1960direttrice “importata” recentemente dall’Asl. Ma quanti dirigenti ci sono? Ecco perché i costi dei
1969). La vicenda “Tambroni”. Il primo censervizi sociali a carico dei comuni stanno andando alle stelle…
trosinistra: programmazione economica e auVoto 5 a Paolo Fenaroli, consigliere comunale di minoranza a Pisogne. A sei mesi dalle elezioni
tonomia sindacale.
perse si è dimesso lasciando Pdl e Lega nel litigio più assoluto. Per fortuna la capacità di farsi
Il decennio della conflittualità permanente
del male da soli non è solo patrimonio della sinistra.
(1970-1980). Luci e ombre degli anni settanta:
Voto 6 a Maddalena Lorenzetti, sindaco di Artogne. Ai leghisti che se ne sono andati dalla maggiole riforme economiche, sociali, istituzionali.
ranza non gliene ha mandate a dire. Ora rischia grosso con una maggioranza risicatissima.
11. La crisi del sindacato nella crisi della
Voto 7 ad Alessandro Federici, assessore all’ecologia del comune di Esine. A settembre parte la
Repubblica (1980-1992). La vertenza Fiat
raccolta porta a porta, come già sperimentato in altri paesi della Valgrigna. Finalmente, è l’unica
del 1980. “Su e giù per la s cala mobile”. Brusoluzione per incentivare a produrre meno rifiuti.
no Trentin: il “sindacato dei diritti”.
Voto 8 a Walter Sala, presidente dell’Ente Celeri di Breno. L’operazione di togliere spazio alla
12. Concertazione, risanamento, Europa
cooperativa e di assumere tutto il personale in capo alla fondazione è il segnale di una certa
(1993-2001). Il crollo della “Repubblica dei
attenzione al mondo del lavoro dipendente. Per niente scontato di questi tempi.
partiti”. La nuova “supplenza sindacale”. La
Voto 9 a Simona Ferrarini, assessore alla cultura in Comunità Montana. Nonostante i tagli del
Cgil nell’Italia bipolare.
50% subiti dagli enti comprensoriali, saranno ancora in campo per il 2010 le rassegne Del
Il libro – di cui è stata donata una copia a tutti i
Bene e Del Bello, Crucifixus, Passi nella Neve e Archeoweek. Tenace come pochi.
delegati ed agli invitati al recente congresso del
Voto 10 a Davide Bassanesi, titolare di Officine Video di Darfo. La trasmissione della Cgil, le sfilate
Dipartimento industria della Cgil camuno-sebimilanesi di Dolce & Gabbana, i campionati del mondo di sci di fondo, i video per il Distretto
na – si chiude infine con un capitolo dedicato
culturale. Il cineoperatore per eccellenza, sempre con la telecamera sulle spalle. Troppo bravo.
alla Cgil del “Tempo presente”.
protagonisti e... comparse
febbraio 2010 - graffiti
12
appello ai sindaci camuni
L’Associazione Culturale Graffiti, il Circolo Culturale Ghislandi, il
Gruppo Italiano Amici della Natura di Lozio, Italia Nostra, Legambiente, Tapioca e l’Università Popolare di Valcamonica-Sebino hanno
avviato a febbraio una campagna di sensibilizzazione e mobilitazione,
per contrastare con forza la nuova legge approvata dal centrodestra in
merito alla gestione dell’acqua. Un manifesto 70 x 100 è apparso in quasi
tutti i Comuni della Valle: “la nostra acqua, il guadagno di pochi”, lo slogan.
Un manifesto per denunciare come approvando questa legge il PDL e la Lega Nord abbiano
svenduto agli interessi speculativi la nostra risorsa più preziosa.
E non finisce qui. Inaugurata alle Fiere di S.Valentino (Breno) e S.Faustino (Darfo), è partita una
raccolta-firme a sostegno del seguente appello, rivolto ai Sindaci dei Comuni della Valcamonica:
Visto la Legge 135/09, il cosiddetto Decreto Ronchi, sulla privatizzazione della gestione dell’acqua; visto che la nostra acqua sarà gestita da imprese private o da multinazionali; visto che sicuramente la privatizzazione ci porterà un aumento delle tariffe; visto che la Valle Camonica ha
grande disponibilità di acqua e dovrà affidarla a mani private o all’Ambito Territoriale Ottimale
Provinciale perché la faccia gestire in appalto senza tener conto delle delibere dei Comuni Camuni; le Associazioni ed i singoli cittadini sottoscriventi il presente appello chiedono ai sindaci
camuni di convocare i consigli comunali e deliberare quanto
segue: «l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale, il servizio idrico è privo di rilevanza economica e la sua
gestione deve essere lasciata in capo alle comunità locali».
Solo in questo modo un BENE PUBBLICO, come
l’acqua, rimarrà davvero BENE DI TUTTI.
«Il protagonista di un racconto di Samuel
Bellow, un vecchio intellettuale americano
ebreo di nome Wulpy, sostiene – più o
meno – che dove le classi perdono di vista i loro interessi materiali non c’è una
lotta politica, e dove non c’è vera lotta
politica la vita tutta marcisce, e la società
precipita nella nevrosi».
Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo
ABBONAMENTO 2010
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in Redazione: Monica Andreucci, Bruno
Bonafini, Guido Cenini, Michele Cotti Cottini,
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hanno collaborato: Ando Domenighini,
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Franceschini, Ermete Giorgi, Stefano Malosso,
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Direttore responsabile: Tullio Clementi.
Le vignette di Staino, Ellekappa, Vauro, ed
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Redazione Valcamonica: MERCOLEDÌ 24 FEBBRAIO
dalle ore 18,30 alle ore 19,20
«Due anime, ahimè, dimorano nel mio petto;
e una è sempre divisa dall’altra». Goethe.
VALCAMONICA ON-LINE (di Mario Salvetti)
www.cividatecamuno.gov.it
Il restyling operato dalla rete civica Voli ai portali di tutti i comuni aderenti
al Bim è servito per migliorare l’impatto visivo e la funzionalità, ma anche
per ottemperare alle nuove disposizioni sulla trasparenza nella pubblica
amministrazione, che impongono la pubblicazione dell’albo pretorio online a partire dal 1° gennaio di quest’anno.
Tutti i comuni, in questi primi mesi dell’anno, si stanno attrezzando
per caricare sull’albo delibere, ordinanze, determine e convocazioni, tramite un software elaborato dalla Cooperativa CSC di Ceto, che è poi la
“madre” di Voli. Un lavoro che ha richiesto un percorso di formazione per i dipendenti comunali ed anche una collaborazione tra gli enti mai vista prima d’ora (una “rete” di relazioni che
per una volta tanto non è stata solo virtuale…). Non abbiamo quindi compreso la scelta isolazionista del comune di Cividate Camuno di muoversi per conto proprio, costruendo un sito ex
novo, al di fuori del Consorzio Bim (di cui tra l’altro è presidente l’ex sindaco), con una gestione privata e fuori dalle regole condivise. Un portale sicuramente di tutto rispetto, ma che
non risponde alle regole del gioco di squadra e dell’economicità. Ci pare l’ennesimo campanile
eretto in una Valle che ha bisogno di tutto tranne che di ulteriori recinti.