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IL SONNO DEI BAMBINI PICCOLI Una delle più frequenti cause di consultazione del pediatra da parte dei genitori di neonati e lattanti sono i problemi del sonno. Parlo di bambini piccoli di un età compresa tra 0 e 3 anni. Dopo quell’età alcuni disturbi, come le insonnie,le ipersonnie e le dissonnie,possono in alcuni rari casi, necessitare anche di interventi farmacologici e della consulenza di uno specialista. Purtroppo quei disturbi o meglio disagi come le difficoltà di addormentamento ed i risvegli frequenti prima dei tre anni vengono spesso trattati con farmaci inappropriati o peggio ancora con metodi pseudoscientifici, risultati scarsi o nulli nel modificare le abitudini del sonno di questi bambini e sicuramente dannosi nella costruzione del loro personalità futura e nella fiducia in sé stessi. Il sonno dei bambini piccoli è diverso da quello degli adulti e anche da quello dei bambini più grandi. Quando dormiamo attraversiamo diverse fasi: le 2 più importanti sono il sonno REM (rapidi movimenti oculari) e quello non REM. Il sonno REM è un sonno attivo:in questa fase aumenta l’attività metabolica,la sintesi dell’ RNA,è la fase dei sogni e quella in cui fissiamo nel cervello le esperienze e le informazioni acquisite nella fase di veglia. Il sonno REM è preponderante nei bambini piccoli e tende a diminuire progressivamente nelle età successive. Durante il sonno non REM c’è un rallentamento del metabolismo e il suo fine è quello di garantire il recupero fisico. Il sonno è caratterizzato dal ripetersi di più cicli in ognuno dei quali si alternano le due fasi REM E non REM. Più i bambini sono piccoli maggiore è il numero dei cicli di sonno: 7-8-9 nei piccolissimi 3-4 negli adulti a notte. Alla fine di ogni ciclo solitamente ci svegliamo:è il momento in cui i sogni sono ancora quasi reali ed in genere ci riagganciamo subito al ciclo successivo e ci riaddormentiamo. Nei bambini piccoli questi intervalli tra un ciclo e l’altro sono più frequenti e quindi anche i risvegli. La paura del e nel buio è quella provata dai nostri antenati sapiens sapiens e dai loro predecessori ominidi più di 200.000 anni fa quando, di notte ,erano preda dei carnivori cacciatori notturni con scarsi mezzi(vista e udito)per percepire il loro approssimarsi nelle tenebre. La vista dell'uomo è meno acuta di quella di molti animali, per esempio del cane e del gatto; le tenebre lo lasciano perciò più indifeso di molti altri mammiferi. Li immagino, bambini e adulti stretti ,vicini ai fuochi alcuni addormentati ed altri svegli, di guardia con i sensi in allarme, nel silenzio della notte. Tali paure, che si riproponevano ogni sera,sono entrate nel codice genetico della nostra specie. La paura nel buio è anche quella del piccolo bambino che si è addormentato, ma che poi si sveglia una o più volte bisognoso di essere rassicurato. Alessandra Bortolotti,Psicologa perinatale ed autrice di due preziosi libri :”E se poi prende il vizio” e “I cuccioli non dormono da soli” mi raccontava che un giorno parlando con dei suoi colleghi asiatici le chiedevano come mai nei paesi occidentali fossero così frequenti i disturbi del sonno nei bambini piccoli. La risposta era semplice: nei paesi occidentali abbiamo allontanato i piccoli da dal contatto fisico con noi e ci hanno convinto(falso mito dell’autonomia a tutti i costi e subito) che sin dai primi giorni dobbiamo addestrare i bambini a dormire di un sonno profondo ed ininterrotto mentre in gran parte del Mondo i bambini dormono vicino ai genitori per lungo tempo e si distaccano spontaneamente quando hanno raggiunto sicurezza per stare da soli. Nei bambini piccoli i desideri ed i bisogni coincidono: non rispondere ai loro bisogni provoca una potente frustrazione di quel senso di “onnipotenza magica”giusta ed adeguata a quell’età e minaccia la fiducia in sé stessi nella vita futura. Risale alle ricerche di John Bowlby (Londra, 26 febbraio 1907 – Isola di Skye, 2 settembre 1990), psicologo e psicoanalista britannico l’elaborazione della teoria dell”Attaccamento”. Per Bowlby che iniziò i suoi studi per conto della Organizzazione Mondiale della Sanità nei primi anni 50 e che poi proseguì autonomamente, è molto importante che il legame di attaccamento si sviluppi in maniera adeguata, poiché dipende da questo un buono sviluppo della persona: stati di angoscia e depressione, che possiamo ritrovare nell’età adulta, possono essere ricondotti a periodi in cui la persona ha fatto esperienza di disperazione, angoscia e distacco nei primi anni e mesi di vita. Secondo Bowlby il modello di attaccamento, sviluppatosi durante i primi anni di vita, è qualcosa che va a caratterizzare la relazione con la figura di riferimento durante l’infanzia e diviene successivamente un aspetto della personalità e un modello di relazione nei rapporti futuri con se stessi e con gli altri. le teorie di Bowlby dovrebbero essere parte fondamentale nella preparazione accademica dei pediatri eppure spesso sento riferire dai genitori frasi pronunciate da pediatri come: “lo faccia piangere un po’ cosi diventa più autonomo” oppure “per un po' piangerà ma poi accetterà la situazione e smetterà di farlo !…” Nel 1977 svolsi il mio primo tirocinio abilitante presso la divisione di Pediatria di un grande ospedale romano. Ero un giovane medico con scarsissime conoscenze di psicologia tuttavia rimasi sconcertato dal fatto che i bambini ricoverati ricevevano le visite dei loro genitori due volte al giorno per un tempo limitato esattamente come succedeva agli adulti ricoverati negli altri reparti. Un’infermiera anziana mi spiegò che era meglio così “sennò i genitori avrebbero intralciato il lavoro dei sanitari ed i bambini non avrebbero fatto altro che piangere tutto il giorno”. “Separandoli dai genitori” proseguì l’infermiera anziana “dopo due o tre giorni i bambini sarebbero diventati mansueti ed avrebbero smesso di piangere”. L’anno successivo entrai nella scuola di specializzazione presso il Policlinico UmbertoI di Roma e proprio quell’anno grazie all’impegno della Professoressa Renata Gaddini de Benedetti che dirigeva l’Unità di Igiene Mentale finalmente ai genitori dei bambini ricoverati fu permesso di accudire i propri figli ventiquattro ore al giorno. Circa vent’anni fa un pediatra spagnolo di nome Eduard Estivil pubblicò un libro (Fate la nanna!)che ha venduto circa 3.000.000 di copie in cui teorizzava la necessità di far piangere i bambini che si svegliano durante la notte utilizzando il metodo dell’estinzione progressiva. Estiv il non ha mai fornito dati sull’efficacia del metodo. Il suo libro è stato certamente un grande successo editoriale ma non ha certo aiutato i genitori ed i bambini perché, come affermano le Pediatre Annamaria Moschetti e Maria Luisa Tortorella dell’Associazione Culturale Pediatri nel libro “Facciamo la nanna” di Grazia Honegger Fresco,:”…il fatto che i bambini dopo un po’ di tempo si “abituano” e cioè smettono di chiamare non è un indicatore di un buon adattamento e dell’instaurarsi di un ‘efficace autoregolazione ma il segno che il bambino si è rassegnato. Ma questa “rassegnazione è intrisa di sofferenza e costituisce una deviazione dal percorso normalmente stabilito dalla natura…” I risvegli più frequenti,il sincronizzarsi del sonno della madre e del bambino,la minore profondità del loro sonno sono fattori di protezione perché il lattante è capace di sentire e rispondere a eventi avversi e la mamma di reagire più prontamente. E’ per tale ragione che dopo anni di studi sugli eventi che avevano accompagnato migliaia di casi a in cui si era verificata la SIDS(sindrome della morte in culla) l’American Accademy of Paediatrics raccomanda, per ridurre al minimo il rischio di tale evento, di far dormire il bambino supino, nella stanza dei genitori fino almeno al VI mese di vita(oltre a varie altre raccomandazioni come informare le donne in gravidanza, non fumare durante la gravidanza e l’allattament, allattare al seno, offrire il ciuccio durante il sonno notturno ed i sonnellini diurni (non prima di un buon avvio dell’allattamento al seno),evitare di coprire troppo i bambini e vaccinare). A proposito del “bed sharing”(dormire nello stesso letto) l’ Unicef (Comitato UK per la Baby Friendly Hospital Initiative per la promozione dell’allattamento al seno) insieme alla Fondazione per lo Studio delle Morti Infantili (FSID-UK), ha revisionato in questo senso le proprie raccomandazioni, con uno “statement” che rimane pertanto il punto di riferimento più aggiornato (21 maggio 2013): • alla luce delle più recenti e accreditate raccomandazioni, rappresentano fattori di rischio per il bed sharing il consumo di tabacco, di alcol o di farmaci da parte dei genitori, oltre a condizioni di particolare stanchezza. • • • il letto non va mai condiviso quando il lattante è nato pretermine o piccolo per l’età gestazionale, se la mamma non allatta al seno (essend n sintesi: o la qualità del sonno diversa per effetto degli ormoni dell’allattamento) il lattante non deve condividere il letto con un altro bambino. Il bambino più grande nel sonno si muove e potrebbe accidentalmente schiacciare il piccolo. rimane particolarmente pericoloso condividere il sonno con il lattante su divani e poltrone, sia per il rischio consistente di intrappolamento del lattante tra le sponde o tra i cuscini, sia perché questo tipo di bed sharing, per lo più involontario, riflette una condizione di particolare stanchezza associata all’addormentamento involontario e non controllato da parte dell’adulto. Ribadita che la posizione più sicura è in una culla vicino al letto (The safest place for your baby to sleep is in a cot by your bed), la scelta della condivisione del letto va poi lasciata ai genitori, a cui vanno ricordate le precauzioni e in quali casi questa pratica è del tutto sconsigliata, assumendo, sia in un caso che nell’ altro un atteggiamento di sostegno, teso alla consapevolezza e non prescrittivo. E’ quindi chiaro che il bambino piccolo deve essere comunque a portata ” di pianto” dai genitori e che il pianto è un segnale che va accolto per evitare uno stress insopportabile. Non c’è a confermare questa indicazione soltanto la teoria dell’attaccamento di Bowlby ma oggi ce lo dicono anche l’epigenetica e le neuroscienze. Alessandra Bortolotti nel suo libro” i cuccioli non dormono da soli” sintetizza efficacemente quello che accade, alla luce delle più recenti ricerche, quando nei bambini in risposta a fattori stressanti viene prodotto l’ormone cortisolo: ”l’eccesso di cortisolo nell’infanzia provoca un flusso eccessivo nell’ippocampo(area cerebrale che svolge un ruolo fondamentale nella memoria a lungo termine) di una sostanza chiamata glutammato,che causa perdita di neuroni e può ridurre il numero dei recettori di cortisone per tutta vita.Ciò significa che nel corso della vita adulta ci saranno meno risorse fisiologiche disponibili per reagire allo stress…” In conclusione non esiste la ricetta magica per far dormire tutta la notte i bambini piccoli ,sicuramente è importante seguire i ritmi del bambino, offrire routine rassicuranti ed accettare il fatto che in questa età della vita i risvegli notturni e e le difficoltà di addormentamento sono fisiologiche. Cercate di recuperare il sonno quando dorme il bambino,entrate a far parte di una rete di pari (ad esempio altre mamme conosciute ai corsi di accompagnamento alla nascita o i gruppi d’incontro della Leche League) con cui scambiarsi confidenze, consigli e sostegno. Affidate ad altri,se e quando è possibile, le attività logistiche (cucinare,pulire). Mi ricordo anni fa di una mamma di due gemelle che seguivo al Consultorio familiare di Campagnano: per molto tempo quando una si addormentava l’altra si svegliava e la mamma nonostante la presenza di un padre collaborativo era stanca e affaticata. La incontrai qualche anno dopo,quando ormai le bambine andavano a scuola. Dopo i primi convenevoli le chiesi se c’erano ancora problemi di sonno in casa e lei mi rispose candidamente e sinceramente”Perchè,mi fa questa domanda?” Si era completamente scordata di quel periodo così faticoso.