Il cielo sulla terra - Terra di Teatri

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Il cielo sulla terra - Terra di Teatri
Terra di Teatri Festival
Il cielo sulla terra
Stefano Scodanibbio
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Tolentino Teatro Nicola Vaccaj
23 luglio 2006 ore 21.30
Il cielo sulla terra
di Stefano Scodanibbio
Forum Neues Musiktheater
Staatsoper Stuttgart
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scenografia, costumi e luci
coordinamento alla regia
video
regia del suono
Stefano Scodanibbio
Stefano Scodanibbio,
Gianni Dessì, Giorgio Agamben
Gianni Dessì
Jörg Behr
Claudius Brodmann
BH audio
coreografia e danza
Alexandra Gilbert, Damien Jalet
musica e direzione
ideazione
trombone
percussioni
basso elettrico e chitarra elettrica
pianoforte
violino
viola
violoncelli
contrabbassi
voce
flauto preregistrato
Mike Svoboda
Michael Kiedaisch
Gianluca Gentili
Fabrizio Ottaviucci
Aldo Campagnari
Paolo Fumagalli
Rohan de Saram, Francesco Dillon
Dario Calderone, Emiliano Amadori
Antonio Negri
Manuel Zurria
bambini del Kinderchor Staatsoper Lili Breuninger, Veronika Bildstein,
Sophia Burger, Rebekka Irion,
Kim Kessler, Jule Kessler,
Amanda Lopez, Hannah Ritzmann,
Olga Stuhrmann, Elias-Omar Ben Dahhou,
Valentin Bildstein, Rafael Kufer, Luca Rapp,
Flynn Matza, Michael Guggenheimer
bambini dialogo finale
Jacopo Frascarello, Oksana Piergentili
attori
David Quintili, Omero Affede,
Antonio Mingarelli, Elisa Amabili,
Pasquale Angeloni, Anna Chiara Appignanesi,
Emanuele Cionca, Giulia Elisei, Lara Lucaccioni,
Sonia Maggini, Riccardo Minnucci,
Elena Pigliacampo, Francesca Rossi Brunori,
Raffaela Siniscalchi.
responsabile allestimento
direttore di scena
assistente regia
assistenti di palcoscenico
Audio service
Riprese video
Bodo Gottschalk
Paolo Appignanesi
Tamara Wolf
Dorothee Armbruster, Kristina Bulat, Jutta Müller
BH audio
Marica Violini, Mario Spinaci
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Il cielo sulla terra
Musica Teatro in 6 scene
1 Je m’en allais
I pugni nelle tasche rotte, me ne andavo
Con il mio paletot diventato ideale.
Arthur Rimbaud: La mia bohème
Era la mattina del 18 giugno 1956. Ebbi un facile viaggio a nord, come se i migliori
auguri mi accompagnassero. Sulla 101 ottenni subito un passaggio. Camminai per
circa un chilometro e mezzo. Improvvisamente mi sentii così libero che cominciai a
camminare sul lato sbagliato della strada sporgendo il pollice da quel lato, ramingo
come un santo cinese verso il Nulla senza una ragione al mondo.
Jack Kerouac: Vagabondi del Dharma
2 Ludens
Dopo tutto era la poesia moderna, da cent’anni, che ci aveva condotti lì. Eravamo
alcuni a pensare che bisognava attuarne il programma nella realtà; e in ogni caso
non fare nient’altro.
Guy Debord: Panegirico
Si può amare una città, si possono riconoscere le sue case e le sue strade nelle
proprie memorie più remote e segrete; ma solo nell’ora della rivolta la città è
sentita veramente come l’”haut-lieu” e al tempo stesso come la propria città… Ci si
appropria (di?) una città fuggendo o avanzando nell’alternasi degli attacchi, molto
più che giocando da bambini nei suoi cortili o per le strade, o passeggiandovi poi
con una donna…
Furio Jesi: Lettura del Bateau Ivre di Rimbaud
3 La rivolta
La rivolta era coincisa con l’apparizione subitanea e brevissima di un tempo di
qualità inconsueto, in cui tutto ciò che avveniva, con estrema rapidità, sembrava
avvenire per sempre…Si trattava di agire una volta per tutte, e il frutto dell’azione
era contenuto nell’azione stessa. Ogni scelta decisiva, ogni azione irrevocabile,
significava essere in accordo col tempo; ogni indugio, essere fuori dal tempo.
Quando tutto finì, alcuni dei veri protagonisti erano usciti della scena per sempre.
Furio Jesi: Lettura del Bateau Ivre di Rimbaud
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Ecco la Città Santa, seduta a occidente !
Se il tuo piede nell’ira danzò fortemente,
O Parigi ! colpita da molti coltelli,
Se giaci, serbando nell’occhio trasparente
Qualche fulva bontà in cui ti rinnovelli,
Arthur Rimbaud: L’orgia parigina o Parigi si ripopola
La città ha il selciato rovente
malgrado docce di petroli,
dobbiamo noi decisamente
scuotervi nei vostri ruoli…
Arthur Rimbaud: Canto di guerra parigino
Ci sono dunque dentro a questa separazione che mi collega al mondo come forza
di distruzione. Ci sono dentro e sento l’intensità del salto, della mutazione cui son
sottoposto ogni volta che mi libero attraverso la distruzione.
Nulla rivela a tal punto l’enorme storica positività dell’autovalorizzazione operaia,
nulla più del sabotaggio. Nulla più di quest’attività continua di franco tiratore,
di sabotatore, di assenteista, di deviante, di criminale che mi ritrovo a vivere.
Immediatamente risento il calore della comunità operaia e proletaria tutte le volte
che mi calo il passamontagna.
Antonio Negri: Il dominio e il sabotaggio
4 Amores
5 Psichedelia
Allentamento dell’io nell’ebbrezza..
Il superamento vero risiede in una illuminazione profana, in una ispirazione
materialistica, antropologica, rispetto a cui l’hashish, l’oppio e le altre droghe
possono avere una funzione propedeutica.
Conquistare le forze dell’ebbrezza per la rivoluzione.
Una componente di ebbrezza è presente e operante in ogni atto rivoluzionario.
Walter Benjamin: Il surrealismo
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Beatles, Rolling Stones, Greateful Dead, Jefferson Airplane, Jimi Hendrix, Pink Floyd, Country
Joe & the Fish, Incredible String Band, Fool, Vanilla Fudge, Mothers of Invention, Fug, Mc%,
Soft Machine, Gentle Giant, Sweet Smoke, Moby Grape, Love, Archie Sheep, Led Zeppelin,
Cream, Donovan, Bob Dylan, Jethro Tull, Leonhard Cohen, Tangerine Dream, Fabrizio De
André, Blood Sweet and Tears, Ten Years After, Mamas & Papas, Santana, Alice Cooper, Huriah
Heep, Black Sabbath, Who, John Coltrane, Miles Davis, Joan Baez, Jonie Mitchell, Crosby Still
Nash and Young, Woody Guthrie, Pete Seeger, The Doors, King Crimson, Colosseum, Jack
Bruce, Eric Clapton, Nice, Emerson Lake and Palmer, Sun Ra, Pink Floyd, Keith Tippett, Antony
Braxton, Yes, Deep Purple, Iron Butterfly, Lou Reed, Velvet Underground, Frank Zappa,
Captain Beefheart, Area, Demetrio Stratos, Steely Dan, Eagles, Procul Harum, Janis Joplin,
Rory Gallagher, Weather Report, Gato Barbieri, El pueblo unido, Waldo de los Rios, Inti
Illimani, Giovanna Marini, Roland Kirk, Brian Auger, Simon & Garfunkel, Sonny and Cher, Van
Morrison, Eric Burdon, Moody Blues, Chicago, Jaques Brel, George Brassens, …
Alice nel paese delle Meraviglie Carroll, Rubaiyat Omar Khayyam, Politica dell’estasi Timothy
Leary, Rivoluzione sessuale Whilhelm Reich, A scuola dallo stregone Carlos Castaneda, Politica
dell’esperienza Ronald Laing, Elogio dell’ombra Luis Borges, I dieci giorni che sconvolsero il
mondo John Reed, Raymond Roussel Locus Solus, Michel Leiris Africa fantasma, Doppio sogno
Arthur Schnitzler, Robert Walser La passeggiata, Leonardo Sciascia Todo modo, Jacques Derrida
La scrittura e la differenza, Fenomenologia della percezione Maurice Merleau Ponty, Lo scambio
simbolico e la morte Jean Baudrillard, Economia libidinale Jean François Lyotard, I ribelli Eric
J. Hobsbawm, I moderni Jean-Paul Aron, Le parole e le cose Michel Foucault, Le porte della
percezione Aldous Huxley, Fuga senza fine Joseph Roth, Juke Box all’Idrogeno Allen Ginsberg,
Sulla strada Jack Kerouac, Il pasto nudo William Burroughs, Tarantola Bob Dylan, Compagno
di sbronze Charles Bukowski, L’uomo a una dimensione Herbert Marcuse, Massa e potere Elias
Canetti, Homo ludens Johan Huizinga, Detti e contraddetti Karl Kraus, Passi falsi Maurice
Blanchot, Semiotica Charles Sanders Peirce, Opera aperta Umberto Eco, Trattato di linguistica
generale Ferdinande de Saussurre, Lo spirituale nell’arte Wassily Kandinski, Asfissiante
cultura Jean Dubuffet, Parole nel vuoto Adolf Loos, Entropia e arte Rudolf Arnheim, Studi di
iconologia Erwin Panofsky, Il rituale del serpente Aby Warburg, La carne, la morte e il diavolo
nella letteratura romantica Mario Praz, Goedel Escher Bach Douglas Hofstadter, Gli strumenti
del comunicare Marshall McLuhan, Il linguaggio Louis Hjemslev, Una generazione che ha
dissipato i suoi poeti Roman Jacobson, I quaderni dal carcere Antonio Gramsci, La distruzione
della ragione Gyorgy Lucàks, Leggere il Capitale Louis Althusser, L’industria culturale Edgar
Morin, Lavoro intellettuale e lavoro manuale Alfred Sohn-Rethel, Eclissi della ragione Max
Horkheimer, Infanzia berlinese Walter Benjamin, La parole sotto le parole Jean Starobinski, Il
maestro e Margherita Michail Bulgakov, Blade Runner Philp K. Dick, Siddharta Herman Hesse,
L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello Oliver Sackhs, René Guénon La grande triade,
James Frazer Il ramo d’oro, George Gurdjieff Vite di uomini straordinari, La terra desolata
Thomas Eliot, Viaggio al termine della notte Luis Ferdiinand Celine, Morte della famiglia
David Cooper, Antiedipo Gilles Deleuze Felix Guattari, Tractatus Logicus Philosophicus Ludwig
Wittgenstein, Vogliamo tutto Nanni Balestrini, Visas Vittorio Reta, Porci con le ali Rocco e
Antonia, Antologia di Spoon River Edgar Lee Master, Minima Moralia Adorno, Stanze Giorgio
Agamben, Il teatro e il suo doppio Artaud, L’azzurro del cielo Bataille, Rayuela Cortazar,
Cent’anni di solitudine Garcìa Marquez, Margherite Yourcenar Memorie di Adriano, Lo zen
e il tiro con l’arco Herrigel, V Thomas Pynchon, Il giovane Holden J.D Salinger, Tropico del
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cancro Henry Miller, Il piacere del testo Roland Barthes, La gelosia Alain Robbe Grillet, Le
due
avanguardie Lucien Goldmann, Karl Popper Scienza e filosofia, Juergen Habermas Cultura e
critica, Gregory Bateson Verso un’ecologia della mente, Lo straniero Albert Camus, La nausea
Jean Paul Sartre, Il Bafometto Pierre Klossowski, Laborintus Edoardo Sanguineti, I letterati e
lo sciamano Elemire Zolla, I fiori del male Charles Baudelaire, Una stagione all’inferno Arthur
Rimbaud, Thomas de Quincey Confessioni di un mangiatore di oppio, La filosofia nel boudoir
D.A.F. de Sade, Thomas Hobbes Leviatano, Etica Spinoza, Il contratto sociale Jean-Jacques
Rousseau, Viaggi Alexis de Toqueville, Tenera è la notte Francis Scott Fitzgerald, Il libro dell’Es
Groddeck, Silenzio John Cage, Per volontà e per caso Pierre Boulez, L’interpretazione dei
sogni Freud, Gli archetipi dell’inconscio collettivo Jung, Manifesto del Partito Comunista Marx,
Che fare? Lenin, Al servizio del popolo Mao, Centralismo o democrazia Rosa Luxenbourg;
Rivoluzione permanente Trotzki, Vieja Maria, Il Socialismo e l’uomo a Cuba Che Guevara,
Flash - Katmandu il grande viaggio Charles Duchaussuois, 1984 George Horwell, 150.000.000
Majakowskij, Confessione di un teppista Esenin, Libertà Paul Eluard, Il tamburo di latta
Günther Grass, Colloqui con Marx ed Engels Palaver, Considerazioni politiche Hans Magnus
Enzensberger, Jules et Jim Henri-Pierre Roché, Il grande sonno Raymond Chandler, Scritti
Lacan, Tristi Tropici Levis Strauss, Molloy Samuel Beckett, La vita Istruzioni per l’uso George
Perec, Raymond Quenau Zazie nel metro, Margherite Duras L’amante, Nadjia André Breton,
Il profeta Kahlil Gibran, Peggio di un bastardo Charles Mingus, Moska sulla vodka Venedikt
Erofeen, Praga magica Angelo Maria Ribellino, La tentazione di esistere Cioran, Cantos E..
Pound, Il Corvo Edgard A. Poe, La società dello spettacolo Guy Débord, Storie di ordinaria
follia Bukowski, …
La cinese Godard, I pugni in tasca Bellocchio, Zabriskie Point Antonioni, I pugni in tasca Rosi,
Germania anno zero Rosselini, Ladri di biciclette De Sica, Riso Amaro Giuseppe De Santis,
Il sospetto Citto Maselli, Otto e mezzo Fellini, Qualcuno volò sul nido del cuculo Forman,
2001 Odissea nello spazio Kubrick, Punto zero Seraphian, El Topo Jodorowsky, La passione
di Giovanna d’Arco Carl Theodor Dreyer, L’anno scorso a Marienbad Resnais/Robbe Grillet,
Hiroshima mon amour Alain Resnais, Il buono il brutto il cattivo Sergio Leone, L’uomo del
banco dei pegni (The Pawnbroker) Sidney Lumet, Un uomo una donna Claude Lelouch,
Fahrenheit 451 François Truffaut, Chi ha paura di Virginia Woolf? Mike Nichols, Il ladro di
Parigi Louis Malle, Morte a Venezia Luchino Visconti, Marat-Sade Peter Brook, Quella sporca
dozzina Robert Aldrich, Per favore non mordermi sul collo Roman Polanski, Abschied von
gestern (La ragazza senza Storia) Alexander Kluge, Easy Rider Dennis Hopper, Il laureato Mike
Nichols, Woodstock Michael Wadleigh, Gli uccelli (The Birds), Psyco Alfred Hitchcock, Ultimo
Tango a Parigi Bernardo Bertolucci, Pat Garrett and Billy the Kid Sam Peckinpah, Z- L’orgia
del potere Costa Gravas, Barravento, Cabezas cortadas Glauber Rocha, Salomé Carmelo Bene,
The Chelsea Girls Andy Wharol, Il fascino discreto della borghesia Buñuel, Teorema Pasolini,
Piccolo grande uomo Arthur Penn, Soldato blu Ralph Nelson, Corazzata Potemkin Eisenstein,
Tempi moderni Chaplin, Le Lacrime amare di Petra von Kant Fassbinder, Alice in den Städten
(Alice nelle città) Wenders, Jules et Jim Truffaut, Flesh Paul Morrisey, Nashville Altman, I sette
samurai Kurosawa, Rio Grande John Ford, Il servo Joseph Losey, Un tranquillo week end di
paura I. Boorman, Quinto potere S. Lumet, I tre giorni del Condor S. Pollack, Tutti gli uomini del
presidente A. Papula, Un uomo da marciapiede J. Schlesinger, Robin e Marian R. Lester, Punto
zero R. Seraphian, Il re dei Giardini di Marvin B. Raphelson, Welcome to Los Angeles Alam
Rudolph, I duellanti R. Scott, Johnny prese il fucile D. Trombo, Un uomo chiamato cavallo E.
Silvesters, MASH Altman, Butch Cassidy J.R. Hill, Il Cacciatore M. Cimino, Il mucchio selvaggio
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S. Peckimpah,
All that Jazz B. Fosse, Stop a Greenwich Village Paul Mazursky, L’impossibilità
Se mi buco? Se me lo puoi chiedere? Me lo ricordo solo ora, di passaggio, di essermi
perso nomade in un viaggio pulito fino alla putrefazione…
In qualunque direzione vada sono
a corto di vene
a corto di vene, di sangue, di un
passaggio.
Vittorio Reta: Visas
Pensate che tutto ciò che possiamo raggiungere per vie chimiche è accessibile
attraverso altre vie…
William Burroughs
..forza visionaria, capacità di vedere le cose, ogni cosa, come inaudite.
Luigi Nono: Quando stanno morendo
Mitragliamento della superficie per trasmutare il pugnalamento dei corpi, oh
psichedelia.
Gilles Deleuze: Logica del senso
6 L’arte nella vita
L’arte nell’epoca della sua dissoluzione, in quanto movimento negativo che
persegue il superamento dell’arte in una società storica in cui la storia non è
ancora vissuta, è allo stesso tempo un’arte del cambiamento e l’espressione pura
del cambiamento impossibile. Più la sua esigenza è grandiosa, più la sua autentica
realizzazione è al di là di essa. Quest’arte è forzatamente d’avanguardia, e non è.
La sua avanguardia è la sua scomparsa.
Quando l’arte divenuta indipendente rappresenta il suo mondo con dei colori
smaglianti, un momento della vita è invecchiato, e non è con dei colori smaglianti
che si lascia ringiovanire. Si lascia soltanto evocare nel ricordo. La grandezza
dell’arte non inizia ad apparire che con il crepuscolo della vita.
Guy Debord: La società dello spettacolo
…ebbe infatti la visione improvvisa di uno scorrere come di fiume eterno; gli sembrò
di vedere la vita scorrere e sfociare nell’arte: l’arte dare alla vita una forma e un
significato e sfociare poi in essa, intanto che la vita stessa non rimaneva immota;
ed era di questo che ci si dimenticava sempre: che la vita trasformata dall’arte
cerca un ulteriore significato attraverso l’arte trasformata a sua volta dalla vita…
Malcolm Lowry: Buio come la tomba dove giace il mio amico
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“Dicono che un tempo anche gli adulti sapessero giocare. Avevano inventato
un gioco, che si chiamava sessantotto e l’hanno giocato con tanto impegno
che per poco non cambiava loro la vita”.
“Io non credo che gli adulti sappiano veramente giocare. Ma di che gioco
si trattava?”
“Non lo sappiamo. Ci sono rimasti solo dei pezzi del libretto delle istruzioni.
O almeno mi sembra che sia qualcosa del genere”:
“Sotto il selciato, la spiaggia”, che vuol dire? “Non lavorate mai”; Questo lo
capisco, ecc.
Gianni Dessì
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Stefano Scodanibbio
Intervista con Stefano Scodanibbio
1977. Conservatorio di Pesaro. Studi di contrabbasso, composizione e musica elettronica.
Classi aperte, professori aperti, tutti o quasi di sinistra, molte sigarette, molti dibattiti.
Ma fuori impazza quello che è stato definito il Movimento del ’77, l’ultima scheggia di
utopia collettiva dopo il maggio ’68. Le manifestazioni si mescolano ai viaggi, le case sono
luoghi di passaggio delle persone più incredibili, i libri si consumano passandoseli di mano
in mano, tutto sembra mosso da un regista occulto. Nella vicina Bologna accadono cose
importanti: riviste di ogni sorta fioriscono mescolando dadaismo e maoismo. Radio Alice, la
prima radio libera, trasmette programmi improvvisati dove la poesia di Majakowskij si unisce
naturalmente ai discorsi sulla sessualità e alla riduzione dell’orario di lavoro, a Satisfaction
dei Rolling Stones segue l’Orfeo di Monteverdi, la pratica della felicità diventa sovversione.
Una sorta di territorio liberato si crea, non tanto un contropotere ( il motto è quello di
“non prendere il potere”), ma una spazio altro, lontano dalle logiche del dominio, della
produzione, della competizione. Per un momento, neanche troppo corto, la rivoluzione è
compiuta.
Viviamo in un universo parallelo, autonomo e irriducibile, senza per questo ignorare che
esiste ancora il mondo del lavoro della produzione e dello sfruttamento, che odiamo e
combattiamo, ma non passa più attraverso di esso il nostro percorso di identità collettiva.
Si era raggiunto il massimo dell’autodeterminazione e dell’autonomia: “non abbiamo più
nulla a che fare, non c’è più un nemico da abbattere, un potere cui opporsi, perché siamo
oltre, abbiamo creato un modo di vita radicalmente altro che non ha bisogno di voi, voi che
non siete più un nemico ma l’estraneo. La rivoluzione è finita, abbiamo vinto.”
Mario Zanzani
La lotta armata e la repressione poliziesca (complementari allora come oggi lo sono Al Qaida
e Bush, che si nutrono l’uno dell’altro) da una parte, la diffusione generalizzata dell’eroina
dall’altra, misero fine al Movimento del ’77 che si sciolse in mille rivoli defluiti nel mare
torbido degli anni ’80 che, secondo alcuni, sembrano non finire mai. Ma davvero?
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“Il cielo sulla terra” nasce dall’idea di tradurre in musica le esperienze della sua
generazione, così come sono state vissute nel 1977 a Bologna. Come si è sviluppata
da questa idea la forma e il concetto della composizione?
L’idea di questo lavoro mi ha accompagnato per molto tempo, più o meno dal 1977 (l’anno
che ha segnato l’apice del movimento giovanile in Italia), quando la consapevolezza di
vivere un momento importante di esplosione collettiva coincidente con gli anni pieni della
gioventù, perfetta fusione di privato e politico come si sarebbe detto allora, mi fece aver
la prefigurazione che un giorno mi sarebbe piaciuto esprimere in musica i sentimenti, le
tensioni e le aspirazioni che una generazione stava allora vivendo. La complessità e la
ricchezza dei temi trattati mi hanno spinto subito verso una forma a “pannelli” dove la
frantumazione dell’esperienza acquista un ruolo determinante nei vari livelli e nei vari piani
di lettura che si giustappongono. Così questo lavoro può essere letto come una riflessione
sul tema della liberazione dell’uomo, un excursus tra alcune delle avanguardie del secolo,
un’evocazione di alcuni momenti perno dell’utopia novecentesca dalla Beat Generation al
’68, dal Flower Power ai no global, una trasposizione autobiografica degli anni ’70 in Italia
e che perfino può essere concentrata in una giornata esemplare (come Ulysses o Under the
Volcano) e che può divenire quasi una storia.
Le varie sollecitazioni (acustiche, visive, letterarie) si sovrappongono, più che fondersi. La
suddivisione programmatica dell’opera in sei parti (Je m’en allais – Ludens – La rivolta
– Amores – Psichedelia – L’arte nella vita) invita a una caratterizzazione molto accentuata.
I vari temi espressi così come la loro concentrazione nell’arco di una giornata possono
aver bisogno di tecniche diverse per essere detti nella loro singolarità (la partenza di
buon’ora, la manifestazione a mattino pieno, lo scontro a metà giornata, l’eros nel primo
pomeriggio, la psichedelia avviandosi verso il tramonto, il dada-party entrando nella sera e
si protrae fino a notte inoltrata).
Dal punto di vista puramente musicale le sei scene possono essere accorpate in tre coppie,
ognuna delle quali si caratterizza per un uso particolare di tecniche e materiali.
Il mettersi in viaggio (Je m’en allais) così come la scena d’amore (Amores), per esempio,
sono affidati principalmente agli archi, gli strumenti che hanno viaggiato con me in questi
anni e che mi hanno fornito possibilità di letterale esplorazione delle tastiere e delle corde,
affiancandosi parallelamente a quella dei cinque continenti che andavo compiendo. Le
tavolozze offerte dalle varie articolazioni digitali (principalmente giocata sull’opposizione e
giustapposizione di premuto/sfiorato, ossia suono reale/suono armonico) degli archi erano
la trasposizioni dei nuovi orizzonti che sognavo, le Western Lands, le Americhe di Humboldt,
i jardins d’Hamilcar, le geografie amorose e i Visas a marcare indelebilmente l’esperienza.
L’attività ludica (Ludens) e la gran scena finale (L’arte nella vita) mettono in gioco tutto
l’ensemble privilegiando naturalmente gli aspetti ritmici, intervallari e combinatori.
La terza scena (La rivolta) e la quinta (Psichedelia) sono incentrate invece sulla musica
elettronica e concreta, utilizzando anche materiali registrati degli anni ’70.
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“Il cielo sulla terra” è un tentativo di assemblare alcune delle utopie del XX
secolo. Cosa contraddistingue, secondo lei, lo sviluppo di queste utopie che vanno
dall’avanguardia storica fino al movimento giovanile del ‘77 in Italia?
Tutte le avanguardie artistiche del ‘900, i movimenti sociali giovanili, le teorie della liberazione convergono su questo punto: non c’è rivoluzione senza invenzione continua e
non c’è un mondo sganciato dalla logica del lavoro (forzato) senza attività ludica. Sono
state le avanguardie storiche come in particolare il dadaismo e il surrealismo a mettere al
centro dell’attenzione il rapporto dell’arte con la vita, rapporto che non può non passare
attraverso una rivoluzione sociale con conseguente liberazione dal lavoro. Il vero scopo
del lavoro è quindi di liberare l’uomo dal lavoro, per condurlo verso altre dimensioni come
quelle della conoscenza e del piacere.
Nel ’77 si diceva: abbiamo oltrepassato la politica, non ci interessa prendere il potere in
quanto lo abbiamo già, abbiamo cioè determinato un processo di costruzione sociale ampio
e radicale, e non meramente comunitario, nel quale la vita si costruisce come in una fucina,
attraverso esperienze autonome e libere, socialmente significative e aggreganti. Al di là e al
di fuori del mondo del lavoro che pure non ci interessa più: il valore della vita non passa più
attraverso il valore del lavoro, quindi dai luoghi di produzione, cioè dalle fabbriche.
L’urgenza di cambiare radicalmente la qualità della vita, il rifiuto dei codici costituiti (patria,
famiglia, religione, costumi sessuali), la liberazione dell’inconscio erano i temi principali che
riflettevano le vecchio parole d’ordine: quella di Marx che diceva di trasformare il mondo,
e quella di Rimbaud che voleva cambiare la vita.
È l’arte, suggerita nella scena finale, a diventare lo strumento politico per eccellenza per
una rivoluzione della quotidianità. L’arte dunque, come definitivamente espresso dal
gruppo Situazionista, come ciò che rende la vita più interessante dell’arte.
Personalmente poi ho passato una buona parte della mia esistenza a cambiare la fisionomia
del mio strumento, il contrabbasso, uno strumento carico di storia e potenzialità inespresse,
comunque mai usato prima, se non episodicamente, come solista: io ho invece cercato e
cerco di farlo, questa è per me l’avanguardia, o se si vuole, questa è alla lettera la mia biografia, il segno nuovo che posso lasciare.
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“Il cielo sulla terra” è anche un’opera autobiografica. Quali esperienze personali
si ccllegano con il al movimento degli anni ’70 della sua generazione?
Ho sempre considerato lo slogan la rivoluzione è finita, abbiamo vinto come quello che
meglio esprimeva i contenuti più avanzati del movimento del ‘77, in particolare della sua
faccia bolognese.
Mi è sempre piaciuto molto. Anche se non abbiamo mai potuto e voluto capire bene cosa
significasse nel profondo o nel suo significato di apertura verso il futuro. Per me lo slogan,
ma l’interpretazione autentica è di Bifo che lo ha penso inventato, significa: viviamo in un
universo parallelo, autonomo e irriducibile, senza per questo ignorare che esiste ancora il
mondo del lavoro della produzione e dello sfruttamento, che odiamo e combattiamo, ma
non passa più attraverso di esso il nostro percorso di identità collettiva.
Questa dimensione era rappresentata dall’ala creativa del movimento, su questa dimensione
si erano riconosciuti centinaia di migliaia di persone; le manifestazioni di quell’anno furono
enormi. In ciascuna di essa tuttavia si manifestava il lato oscuro, lo spettro del leninismo:
innalziamo il livello dello scontro, contro lo stato, gettiamo questa enorme massa di persone
contro le istituzioni statali. Più le manifestazioni erano di massa, più pistole apparivano, e
c’erano vittime, da entrambe le parti; e pure assurdamente il movimento cresceva, fino alla
follia finale: il rapimento di Moro da parte delle Brigate Rosse e la conseguente repressione
che portò in carcere migliaia di persone. E il ciclo si chiuse.
E in questo si dava forse ragione delle premesse. Non ci fu nessun scontro, bensì una
ritirata di fronte all’enormità di quel livello di conflitto. Il movimento si ritirò e rifluì nella
modernizzazione degli anni 80.
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Quale rilevanza hanno secondo lei oggi termini come “rivolta” e “utopia”?
L’opposizione mondiale alla Guerra in Irak, le banlieues parigine che bruciano, le grandi
manifestazioni contro leggi impopolari e repressive…non mancano certo i temi d’attualità
per ragionare ancora in termini di resistenza e di rifiuto a un modello sociale imposto che
si vuol spacciare sempre più come “naturale” o unico (un’altra delle grandi mistificazioni
della modernità).
Pur nella generale situazione di riflusso che si è venuta a creare negli ultimi trent’anni
non è solo l’insorgere di altri movimenti collettivi a livello locale e mondiale a marcare
il desiderio di immaginare un mondo diverso e la conseguente mai sopita rivolta, non è
solo la pratica di resistenza e invenzione che proprio le condizioni esterne ci impongono.
È il pensare l’utopia come bellezza irrinunciabile, secondo Maria Zambrano (bellezza
convulsa avrebbe detto invece Breton). Bellezza che non può essere che del presente.
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Guai pensare l’utopia come una cosa che avverrà un giorno, una promessa sempre da
realizzare. La lettura in positivo dell’utopia che qui si propone è sottratta all’intendimento
comune di vaga aspirazione collettiva a qualcosa che non avverrà mai. Al contrario,
sganciata dal futuro, riconverte e rilancia il passato in una tensione presente e continua.
Soprattutto si vuol mettere l’accento, attraverso le dimensioni del gioco e del piacere,
su come solo nell’attimo presente, finito ma incommensurabile, l’uomo può cogliere
l’opportunità favorevole e decidere della propria libertà.
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Quale ruolo giocano nelle sue composizioni le citazioni musicali e linguistiche
dei movimenti storici, rivoluzionari?
La citazione (così come gli elenchi e i cataloghi presenti anche loro in quest’opera in
maniera massiccia) è una delle tecniche preferite dei movimenti d’avanguardia e secondo
Benjamin il libro ideale sarebbe consistito di sole citazioni. In effetti il libretto di quest’opera
è una raccolta di citazioni da vari autori: Kerouac, Debord, Furio Jesi, lo stesso Benjamin,
Toni Negri, Deleuze, Burroughs ed altri. Ho scelto che i testi fossero completamente
intellegibili e leggibili presentandoli sotto varie forme agli occhi del pubblico (con una sola
eccezione, la voce di Toni Negri, che è l’unica presenza ancora viva degli autori proposti e
viene presentata qui come una testimonianza diretta degli anni ’70 in Italia). Musicalmente
invece, più che di citazioni vere e proprie, si può parlare di riferimenti a certa musica di area
non accademica che ha marcato gli anni ’70 e di conseguenza la mia gioventù. Penso ai
nuovi orizzonti dischiusi da Miles Davis con Bitches Brew, all’uso specialissimo della chitarra
elettrica di Robert Fripp, alle sonorità elettroniche dei Pink Floyd o dei Tangerine Dream.
C’è poi, in campo drammaturgico scenografico, tutta una serie di citazioni nascoste e
allusioni a quadri, opere, azioni e tematiche dei movimenti d’avanguardia (il poeta-pugile
Arthur Cravan, il costume cubista di Marcel Janco, il manichino metafisico, il cavalluccio a
dondolo dada, le derive Situazioniste, ecc.) che vengono trattate come materiali d’uso per
il gran dada-party finale.
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Segno e senso in ogni caso. Solo da qui si può immaginare un’apertura verso il
mondo. La rete di relazioni che l’articolazione tra loro crea, il gioco analogico e la
catena dei riferimenti che questo genera, libera ed emancipa la forma dal proprio
sé per divenire paradossalmente specchio e velo.
A questo apparire piace richiamarmi. È questo vedere primo che vado cercando.
Il teatro, e quello musicale ancora più esemplarmente, è tempo dell’azione, luogo
per eccellenza dello svelare, dramma del vero che si compie. Qui l’umano si mostra
in carne in ossa, qui può ripensarsi, chiamarsi e riprendere slancio per ri-crearsi.
Stagione della nostra gioventù, irrinunciabile oggi.
Il cielo sulla terra
Invito al viaggio verso quei luoghi delle memorie e dei futuri possibili dove il lusso,
calma e voluttà del poeta non è canto di sirena.
Veli che celano e schiudono trame che trattengono immagini e svelano corpi
restituiti alla loro esemplarità di tutti e nessuno.
Canto d’amore.
Colore giallo, blu, arancione, rosso e terra d’ombra.
Promesse di nuovi giochi giocati.
Le nostre città percorse nelle sue arterie a vene scoperte.
Gioco superiore, regola d’oro, fare che si compie.
I movimenti e la storia che corre.
Presto, prestissimo…
Tutti insieme!
Adagio…andante con moto.
Gianni Dessì
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Giorgio Agamben
Infanzia e storia
Esiste però un’esperienza immediata e disponibile per ciascuno in cui una nuova concezione
del tempo potrebbe trovare il suo fondamento. Quest’esperienza è qualcosa di così essenziale
all’umano, che un antico mito dell’Occidente ne fa la patria originale dell’uomo. Si tratta del
piacere. Già Aristotele si era accorto che esso è qualcosa di eterogeneo rispettoall’esperienza
del tempo quantificato e continuo. “La forma (eĩdos) del piacere egli scrive nell’ Etica a
Nicomaco - è perfetta (téleion) in qualunque momento” e aggiunge che il piacere, a differenza
del movimento, non si svolge in uno spazio di tempo, ma è “in ogni istante un che di intero e
di compiuto”. Questa incommensurabilità del piacere rispetto al tempo quantificato, che noi
sembriamo aver dimenticata, era ancora così familiare al Medioevo, che san Tommaso poteva
rispondere negativamente al quesito “utrum delectatio sit in tempore”; ed era questa stessa
coscienza che sorreggeva il progetto edenico dei trovatori provenzali di un piacere perfetto
(fin’amors, joi) perché sottratto alla durata misurabile.
Ciò non significa che il piacere abbia il suo luogo nell’eternità. L’esperienza occidentale del
tempo è scissa in eternità e tempo lineare continuo. Il punto di divisione, attraverso il quale
essi comunicano, è l’istante come punto inesteso e inafferrabile. A questa concezione, che
condanna al fallimento ogni tentativo di padroneggiare il tempo, si deve opporre quella
secondo cui il luogo proprio del piacere, come dimensione originale dell’uomo, non è né
il tempo puntuale continuo né l’eternità, ma la storia. Contrariamente a quanto affermava
Hegel, solo come luogo originale della felicità la storia può avere un senso per l’uomo. Le
sette ore di Adamo in Paradiso sono, in questo senso, il nucleo originario di ogni autentica
esperienza storica. La storia non è infatti, come vorrebbe l’ideologia dominante, l’asservimento
dell’uomo al tempo lineare continuo, ma la liberazione dell’uomo da esso: tempo della storia
è il cairós in cui l’iniziativa dell’uomo coglie l’opportunità favorevole e decide nell’attimo della
propria libertà. Come al tempo vuoto, continuo ed infinito dello storicismo volgare, si deve
opporre il tempo pieno, discontinuo, finito e compiuto del piacere, così al tempo cronologico
della pseudostoria, si deve opporre il tempo cairologico della storia autentica.
Vero materialista storico non è colui che insegue lungo il tempo lineare infinito un vacuo
miraggio di progresso continuo, ma colui che è in grado in ogni momento di arrestare il
tempo, perché detiene il ricordo che la patria originale dell’uomo è il piacere. E di questo
tempo che si fa esperienza nelle rivoluzioni autentiche, che, come ricorda Benjamin, sono
sempre state vissute come un arresto del tempo e come un’interruzione della cronologia; ma
una rivoluzione da cui scaturisse non una nuova cronologia, ma una mutazione qualitativa
del tempo (una cairologia) sarebbe la più gravida di conseguenze e l’unica che non potrebbe
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essere assorbita nel riflusso della restaurazione. Colui che, nell’epochē΄ del piacere, si è ricordato
della storia come della propria patria originale, porterà infatti in ogni cosa questo ricordo,
esigerà in ogni istante questa promessa: egli è il vero rivoluzionario e il vero veggente, sciolto
dal tempo non nel millennio, ma ora.
Profanazioni – Elogio della profanazione
Il termine religio non deriva, secondo un’etimologia tanto insipida quanto inesatta, da
religare (ciò che lega e unisce l’umano e il divino), ma da relegere, che indica l’atteggiamento
di scrupolo e attenzione cui devono improntarsi i rapporti con gli dèi, l’inquieta esitazione (il
“rileggere”) davanti alle forme – e alle formule – da osservare per rispettare la separazione fra
il sacro e il profano. Religio non è ciò che unisce uomini e dèi, ma ciò che veglia a mantenerli
distinti. Alla religione non si oppongono, perciò, l’incredulità e l’indifferenza rispetto al
divino, ma la “negligenza” cioè un atteggiamento libero e “distratto” – cioè sciolto dalla
religio delle norme – di fronte alle cose e al loro uso, alle forme della separazione e al loro
significato. Profanare significa: aprire la possibilità di una forma speciale di negligenza, che
ignora la separazione o, piuttosto, ne fa un uso particolare.
Il passaggio dal sacro al profano può, infatti, avvenire anche attraverso un uso (o piuttosto, un
riuso) del tutto incongruo del sacro. Si tratta del gioco. È noto che la sfera del sacro e quella
del gioco sono strettamente connesse. La maggior parte dei giochi che noi conosciamo deriva
da antiche cerimonie sacre, da rituali e da pratiche divinatorie che appartenevano un tempo
alla sfera in senso lato religiosa. Il girotondo era in origine un rito matrimoniale; giocare
con la palla riproduce la lotta degli dèi per il possesso del sole; i giochi di azzardo derivano
da pratiche oracolari; la trottola e la scacchiera erano strumenti di divinazione. Analizzando
questa relazione fra gioco e rito, Emile Benveniste ha mostrato che il gioco non solo proviene
dalla sfera del sacro, ma ne rappresenta in qualche modo il capovolgimento. La potenza
dell’atto sacro – egli scrive – risiede nella congiunzione del mito che racconta la storia e del
rito che la riproduce e mette in scena. Il gioco spezza questa unità: come ludus, o gioco di
azione, esso lascia cadere il mito e conserva il rito; come jocus, o gioco di parole, esso cancella
il rito e lascia sopravvivere il mito. “Se il sacro si può definire attraverso l’unità consustanziale
del mito e del rito, potremo dire che si ha gioco quando soltanto una metà dell’operazione
sacra viene compiuta, traducendo solo il mito in parole e solo il rito in azioni”.
Ciò significa che il gioco libera e distoglie l’umanità dalla sfera del sacro, ma senza semplicemente abolirla. L’uso a cui il sacro è restituito è un uso speciale, che non coincide con il
consumo utilitaristico. La “profanazione” del gioco non riguarda, infatti, soltanto la sfera
religiosa. I bambini, che giocano con qualunque anticaglia capiti loro sottomano, trasformano
in giocattolo anche ciò che appartiene alla sfera dell’economia, della guerra, del diritto e delle
altre attività che siamo abituati a considerare come serie. Un’automobile, un’arma da fuoco,
un contratto giuridico si trasformano di colpo in giocattoli. Comune, tanto in questi casi come
nella profanazione del sacro, è il passaggio da una religio, che è ormai sentita come falsa e
oppressiva, alla negligenza come vera religio. E questo non significa trascuratezza (nessuna
attenzione regge il confronto con quella del bambino che gioca), ma una nuova dimensione
dell’uso, che bambini e filosofi consegnano all’umanità. È un uso del genere che doveva avere
in mente Benjamin, quando scrive, ne Il nuovo avvocato, che il diritto non più applicato, ma
soltanto studiato, è la porta della giustizia. Come la religio non piú osservata, ma giocata,
apre la porta dell’uso, cosí le potenze dell’economia, del diritto e della politica, disattivate in
gioco, diventano la porta di una nuova felicità.
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Dopo tutto era la poesia moderna,
da cent’anni, che ci aveva condotti lì.
Eravamo alcuni a pensare che
bisognava attuarne il programma nella realtà;
e in ogni caso non fare nient’altro.
Guy Debord: Panegirico
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Se, come sembra, siamo obbligati a entrare nell’ambito del realismo politico, siamo anche
costretti a ripetere il vecchio slogan maoista “Grande è il disordine sotto il cielo, ma la
situazione è ottima”? Certamente no: la nostra situazione è propizia non tanto a causa
della crisi universale della democrazia, dello stato di eccezione permanente e di guerra
globale interminabile, ma in quanto il potere costituente della moltitudine è maturato
in modo così profondo che è diventato capace, attraverso le sue reti comunicative e la
cooperazione, attraverso il suo modo di produrre il comune, di sostenere sulle sue spalle
una società democratica alternativa. A questo punto, il problema del tempo diviene
essenziale. Quando verrà il momento della rottura? In precedenza abbiamo parlato di
una capacità di decisione politica in termini di reti di determinazione biopolitica e di un
dispositivo della cooperazione tra le volontà singolari; qui, però, dobbiamo riconoscere
che la decisione è anche un evento – che non va inteso come l’accumulazione lineare
di Cronos e il monotono ticchettio dei suoi orologi, ma come l’improvvisa espressione
di Kairòs. Kairòs è il momento in cui la freccia viene scoccata dall’arco, il momento in
cui viene presa la decisione di agire. La politica rivoluzionaria è chiamata a cogliere,
nel movimento delle moltitudini e attraverso l’accumulazione delle decisioni comuni
che vivono nella cooperazione, il momento della rottura o il clinamen che può dar vita
a un nuovo mondo. Di fronte al distruttivo stato di eccezione del biopotere, quindi,
c’è anche uno stato di eccezione costituente della biopolitica democratica. La grande
politica ha sempre tematizzato questo momento che anima, come spiega Macchiavelli
ne Il Principe, una nuova temporalità costituente. L’arco scocca la freccia di una nuova
temporalità, e con ciò inaugura un nuovo avvenire.
Saper cogliere il tempo è una questione di importanza cruciale. Il Bruto di Shakespeare
insiste sull’importanza, per la pratica rivoluzionaria, del saper vagliare il tempo. “Vi è
una marea nelle case degli uomini la quale, se colta al flusso, mena al successo; se invece
è negletta, tutto il viaggio della loro vita resta arenato nei bassifondi e nelle disgrazie”.
Un libro filosofico come questo, tuttavia, non è adatto per valutare se il tempo di una
decisione politica rivoluzionaria sia imminente: non possediamo nessuna palla di cristallo
e non pretendiamo di leggere i segni del tempo, come le antiche streghe di Macbeth.
Qui non c’è alcuno spazio né per l’escatologia né per l’utopismo. Ma un libro del
genere non è neanche la sede per rispondere a una domanda del genere: “Che fare?”.
Questo deve essere deciso concretamente nelle discussioni politiche collettive. Possiamo
comunque riconoscere che c’è un salto incolmabile tra il desiderio di democrazia, la
produzione del comune, i comportamenti antagonisti che li esprimono e il sistema
globale della sovranità. Dopo questa lunga stagione di violenza e di contraddizioni,di
guerra civile globale, di corruzione del biopotere imperiale e di infaticabile lavoro
delle moltitudini biopolitiche, a un certo punto la straordinaria accumulazione di
rivendicazioni e di proposte di riforma dovrà essere trasformata da un evento di grandi
proporzioni, da una istanza radicalmente insurrezionale. Possiamo già renderci conto
di come oggi il tempo sia diviso tra un presente che è già morto e un futuro che è già
vivente – l’abisso che li separa sta diventando enorme. Un giorno, un evento ci proietterà
come una freccia verso questo futuro che già vive. Questo sarà il momento di un vero
atto d’amore politico.
Antonio Negri, Michael Hardt Moltitudine
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Si narra che in un locale di Zurigo, nei giorni in cui la guerra imperialista insanguinava
l’Europa, nascosto tra la folla che ascoltava le strane recite di Tristan Tzara, ci fosse
Vladimir Il’ič Uljanov, in arte Lenin.
Nascosto tra la folla, seduto accanto alla Krupskaja, l’esule russo certamente dovette
sorridere nel percepire la forza sottile dell’ironia, sovvertitrice dell’ordine più profondo
che irreggimenta la società: l’ordine del linguaggio.
Poi Lenin ritornò in Russia, trascinato dalla tempesta rivoluzionaria. Pronunciò delle
parole semplici: pane lavoro pace libertà. Tutto il potere ai soviet. Trasformare la guerra
imperialista in guerra civile rivoluzionaria.
Le sue parole mossero all’azione milioni di uomini, il mondo ne fu cambiato.
Ma la potenza delle parole produce mostri, se non è temperata dall’ironia, dalla coscienza
ludica dell’azione.
E la coscienza ludica è consapevolezza del fatto che stiamo giocando un gioco, che le
parole creano un mondo che si libra leggero nell’aria.
Quando gli uomini perdono la consapevolezza di giocare un gioco senza regole, quando
si prendono sul serio, allora le parole diventano catene, armi pericolose, violenza.(…)
Qual è la vera potenza del linguaggio?
Quella insita nelle parole di Lenin, che mette in moto milioni di uomini e crea un partito
di acciaio e uno stato di pietra? Oppure quella che sta nelle parole di un pazzo, del
poeta, del giullare: le parole leggere che mettono il mondo in sospensione, che irridono
la forza dell’acciaio e della pietra?
L’acciaio e la pietra sono potenti, ma il sorriso di più. Perché può ridere dell’acciaio e
della pietra.
Dove sta l’autonomia? Nella forza che si contrappone, violenza contro violenza, o nella
leggerezza del sottrarsi, nella leggerezza di chi non risponde all’appello, di chi dorme
invece di andare in fabbrica, di chi fa l’amore quando si è chiamati a combattere?
Non c’è potenza più grande del sottrarsi, del non essere, del non fare. È questa la potenza
dell’autonomia. (…)
Volevamo andare verso un’epica senza sudore e senza violenza, un’epica, diciamolo, un
po’ ironica, un’epica dell’assenteismo, della disaffezione al lavoro, un’epica della pigrizia
e della rilassatezza. Un’epica sensuale capace di spazzar via l’obbligo del lavoro e la
miseria che nasce dal pregiudizio che il mondo sia necessario. Un’epica della felicità
possibile che si collettivizza.
Ma sapevamo che quel gioco è così difficile. Come l’intendersi tra Vladimir Il’ič e Tristan
che pure si incontrarono nelle serate del Cabaret Voltaire.
Franco Berardi “Bifo” Leggermente ribelli
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La prima rivolta studentesca inizia il 14 settembre 1964 all’università di Berkeley,
California, dura tre mesi e termina con una vittoria quali incredibile degli studenti.
Il 14 settembre l’amministrazione dell’università vieta che studenti mettano davanti
all’ingresso del Campus dei tavolini. Sono tre anni che gruppi politici vendono lì
riviste, libri, che distribuiscano volantini, raccolgono soldi per le loro attività. Una
scena simile ad un mercato che disturba evidentemente chi ama l’ordine.
Per l’inizio dell’anno accademico tornano gli attivisti dalle loro vacanze che hanno
trascorso a Mississipi, dove hanno lottato, assieme con il SNCC, per l’iscrizione
nelle liste elettorali dei neri. Questi studenti che hanno dunque convissuto con la
paura di diventare vittime delle azioni del Ku Klux Klan non hanno di certo paura
dell’amministrazione di una università e accettano volentieri questa lotta. Il loro
leader è Mario Savio, studente di filosofia, figli di genitori italiani; un giovane
alto, ben piazzato, orgoglioso, dispettoso, cattivo con sguardo scuro sotto i lunghi
cappelli rossicci.
Loro dunque rimettono questi tavolini e portano il conflitto al culmine quando li
mettono anche all’interno dello stabile e davanti alla Sproul Hall, un grande edificio
dell’amministrazione. Difatti si iniziano le pratiche disciplinari contro 8 studenti,
tra loro c’è anche Savio. Alcuni giorni dopo viene una gazzella della polizia sulla
piazzetta, vogliono arrestare Jack Weinberg, il quale ha appena messo, un’altra volta,
un tavolino davanti alla Sproul Hall. Qualcuno urla “sedersi” e improvvisamente
appaiano centinaia di studenti che circondano la macchina, nella quale sta seduto
Weinberg, appena arrestato. Gli attivisti usano la macchina come podio per fare dei
discorsi, si arrampicano sul tettino e fanno delle richieste al Presidente Clark Kerr.
Ora gli attivisti si chiamano Free Speech Movement e organizzano giornalmente
degli eventi nel Campus seguiti da almeno 5000 studenti. Infine, all’inizio di dicembre
– Kerr non ha quasi fatto niente di quanto promesso mesi prima – si organizza un
nuovo Sit-in davanti alla Sproul Hall, Joan Baez canta, Savio parla, Kerr chiama la
polizia che ha bisogno di 24 ore per portare via gli studenti – e ne arresta 773, il più
grande numero di arrestati nella storia della California. A questo punto inizia uno
sciopero che sotterra definitivamente l’autorità di Kerr. Fa un ultimo tentativo per
ristabilire la sua autorità indicendo una riunione generale. La manifestazione sta
per mutarsi in un successo per lui, quando la sua amministrazione fa un altro errore.
Dopo il discorso di Kerr, Savio salta sul palco e cerca di prendere il microfono. Ma
la polizia del Campus glielo impedisce e lo trascina via. Un urlo di rabbia di 18
000 ragazzi. Il successo di Kerr è distrutto. All’indomani viene presa una decisione
dal Senato Accademico. Tutte le procedure disciplinari si interrompono, i tavolini si
possono nuovamente mettere all’ingresso del Campus e la libertà di parola è estesa
a tutti. Questi regolamenti vengono sottoscritto dalla più alta autorità – un successo
quasi incredibile del Free Speech Movement. Nell’anno successivo gli studenti
fondano una propria università critica, la Free University of Berkeley (FUB).
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Nel 1967 non succedono soltanto a Berkeley azioni di protesta contro la guerra
nel Vietnam. Ma lì, in California, si viene a creare una cosa nuova – il movimento
Hippie, i figli dei fiori. Questi non combattono attivamente contro lo svuotamento
di senso del mondo capitalistico, ma che si ritirano in una propria cultura giovanile.
Che si ribellano pacificamente contro la società del benessere e delle prestazioni.
Loro cercano di vivere in un mondo libero, pacifico in unione con amore, musica
droghe. Il punto più alto di questo movimento è il concerto di Woodstock, al nord
di New York nel ’68 con mezzo milione di partecipanti. Joan Baez è lì, Joe Cocker,
Jimi Hendrix, Janis Joplin e The Who. Una festa che è rimasta pacifica come del resto
tutto il movimento.
Uwe Wesel La rivoluzione ludica
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Tutto è da fare, tutti i mezzi devono essere utilizzati per demolire le idee di famiglia, di
patria, di religione. La posizione surrealista è, su questo punto, ben nota; ma è bene che
si sappia che essa non comporta accomodamenti. Coloro che si assumono il compito di
mantenerla persistono nel riproporre quella negazione, senza fare gran caso di qualsiasi
altro criterio di valore. Intendono godersi fino in fondo la desolazione così ben recitata
con cui viene accolto, nel pubblico borghese – sempre ignobilmente pronto a perdonare
qualche errore “di gioventù” – il bisogno che ancora li prende di ridere selvaggiamente
davanti alla bandiera francese, di vomitare il loro disgusto in faccia a ogni prete e di
puntare su tutta la genìa dei “primi doveri” l’arma a lunga gittata del cinismo sessuale.
Noi combattiamo sotto tutte le forme l’indifferenza poetica, la distrazione d’arte, la
ricerca erudita,la speculazione pura, non vogliamo aver niente da spartire con i piccoli
o con i grandi risparmiatori dello spirito. Tutti i cedimenti, tutte le abdicazioni, tutti i
tradimenti possibili non potranno impedirci di farla finita con queste scempiaggini. (…)
L’uomo, che avrebbe torto a intimidirsi per certi mostruosi fallimenti storici, è ancora
libero di credere alla propria libertà. È padrone di sé, ad onta delle vecchie nubi che
passano e delle forze cieche che si scontrano in lui. Non ha il senso della breve bellezza
che gli è trafugata e dell’accessibile e lunga bellezza trafugabile? La chiave dell’amore
che il poeta diceva di aver trovata, la cerchi bene anche lui: la possiede. Sta in lui solo
levarsi al di sopra del sentimento passeggero di vivere pericolosamente e di morire. Che
usi, a dispetto di tutte le proibizioni, l’arma vendicatrice dell’idea contro la bestialità di
tutti gli esseri e di tutte le cose e che un giorno, vinto – ma vinto soltanto se il mondo è
il mondo – accolga la scarica dei suoi tristi fucili come un fuoco a salve.
André Breton Secondo Manifesto del Surrealismo
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C’eravamo tutti quando è arrivato Janko con le sue maschere e ognuno ne ha indossata
subito una. In quel momento accadde qualcosa di strano. La maschera chiedeva non
soltanto immediatamente un costume, ma dettava anche un gesto particolare un po’
ingessato. Senza averlo neanche lontanamente immaginato cinque minuti prima, ci
muovevamo in delle figure stranissime, drappeggiati con degli oggetti impossibili – uno
cercando di superare l’altro con delle idee strane. La violenza motrice delle maschere
si comunicava a noi con una forza irresistibile. Tutto ad un tratto avevamo compreso il
significato di una tale larva per il teatro. Le maschere richiedevano sempli-cemente che
coloro che li indossavano si muovessero in una danza tragica assurda.
Ora cominciavamo a guardare meglio questi oggetti di cartone dipinto e sottraevamo
dalle loro particolarità un numero di danze per le quali inventavo lì per lì piccoli pezzi
di musica. Uno di questi balli lo chiamavamo “Acchiappare mosche”. A questa maschera
si addicevano soltanto passi goffi e pesanti con alcuni gesti veloci e grossi – il tutto
accompagnato da musica stridula. Il secondo ballo lo chiamavamo “Cauchemar”. La figura
danzante cresce da una posizione in ginocchio. La bocca della maschera è molto aperta,
il naso largo e spostato. Le braccia alzate in maniera minacciosa della danzante sono
prolungate artificialmente con delle stecche. Il terzo ballo lo chiamavamo “Disperazione
festosa”. Mani dorate penzolano dalle braccia arrotondate. La figura si gira alcune volte
verso destra e sinistra, poi si gira del tutto fin quando non crolla velocissimamente per
tornare finalmente nella prima posizione.
Quel che ci aveva affascinati tutti in queste maschere era che non incorporavano delle
passioni e caratterizzazioni umani ma la sovradimensionalità. L’orrore dei nostri tempi,
il fondo paralizzante delle cose è stato reso visibile.
Da Hugo Ball La Fuga dal Tempo
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Stefano Scodanibbio Stefano Scodanibbio, contrabbassista e compositore, è nato
a Macerata il 18.6.1956. Ha studiato contrabbasso con Fernando Grillo, composizione
con Fausto Razzi e Salvatore Sciarrino, musica elettronica con Walter Branchi. Il suo
nome è legato alla rinascita del contrabbasso negli anni ‘80 e ‘90, ha infatti suonato
nei maggiori festival di musica contemporanea numerosi pezzi scritti appositamente
per lui da compositori quali Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough,Frith, Globokar,
Sciarrino, Xenakis. Nel 1987, a Roma, ha tenuto una maratona di 4 ore non-stop
suonando 28 brani per contrabbasso solo di 25 autori.Ha collaborato a lungo con
Luigi Nono (“arco mobile à la Stefano Scodanibbio” è scritto nella partitura del
Prometeo) e Giacinto Scelsi. John Cage, in una delle sue ultime interviste, ha detto
di lui : “Stefano Scodanibbio is amazing, I haven’t heard better double bass playing
than Scodanibbio’s. I was just amazed. And I think everyone who heard him was
amazed. He is really extraordinary. His performance was absolutely magic”. Suona
regolarmente in duo con Rohan de Saram e Markus Stockhausen. Nel 1996 è stato
insegnante di contrabbasso ai Darmstadt Ferienkurse.Attivo come compositore ha
scritto più di 40 lavori principalmente per strumenti ad arco (Sei Studi per contrabbasso
solo, Six Duos per tutte le combinazioni dei quattro archi, Concerto per contrabbasso,
archi e percussioni, 4 Quartetti, ecc.) e per quattro volte le sue composizioni sono
state selezionate dalla SIMC, Società Internazionale di Musica Contemporanea
(Oslo 1990, Città del Messico 1993, Hong Kong 2002, Stoccarda 2006). Nel giugno
2004 ha eseguito la prima esecuzione della Sequenza XIVb di Luciano Berio, una
propria versione per contrabbasso dall’originale Sequenza XIV per violoncello. Ha
registrato per Montaigne Auvidis, col legno, New Albion, Dischi di Angelica, Ricordi,
Stradivarius, Wergo. Di particolare rilievo le sue collaborazioni con Terry Riley e con
Edoardo Sanguineti. Nel 1983 ha fondato e da allora dirige la Rassegna di Nuova
Musica di Macerata.
Gianni Dessì Artista di primo piano di quella che variamente viene definita Nuova
Scuola Romana o Scuola di San Lorenzo, vede i suoi esordi nella prima metà degli
anni ‘70 nel teatro d’avanguardia. Del ‘79 la prima mostra personale cui fa seguito
un’intensa attività espositiva in importanti gallerie, rassegne internazioneli e musei.
Realizza nel 2002 le scenografie per il Parsifal di Wagner, con la regia di Peter Stein
e la conduzione musicale di Claudio Abbado, che va in scena al Festival di Pasqua
di Salisburgo in cooproduzione con il Festival di Edimburgo. Sue, inoltre, le scene
de Il Cordovano di Goffredo Petrassi, allestito al Teatro dell’Opera di Roma (regia
di Stefano Vizioli, diretto da Marcello Panni). Un’importante mostra retrospettiva
a lui dedicata si è tenuta al MACRO (museo d’arte moderna e contemporanea di
Roma) nel 2006.
Giorgio Agamben Giorgio Agamben (1942) si laurea nel 1965 presso l’Università
di Roma con una tesi sul pensiero politico di Simone Weil. Negli anni sessanta, a
Roma frequenta intensamente Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini (interpreta Filippo
ne Il Vangelo secondo Matteo), Ingeborg Bachmann. Dal 1966 al 1968, partecipa
ai seminari di Martin Heidegger a Le Thor. Nel 1974 risiede a Parigi come lettore
di Italiano presso l’Università di Haute-Bretagne, studia Linguistica e cultura
Medievale, frequenta Pierre Klossowski e Italo Calvino. Nel 1974-75 risiede a Londra
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dove, con gli auspici di Frances Yates, lavora presso la biblioteca del Wartburg
Institute. Prepara il libro Stanze, la parola e il fantasma nella cultura occidentale
Einaudi 1977. Tornato in Italia, dal 1978 dirige per Einaudi l’edizione italiana
delle Opere complete di Walter Benjamin, di cui ritrova importanti manoscritti.
Dal 1986 al 1993, è Directeur de programme presso il Collège International de
Philosophie di Parigi. Dal 1988 al 1992, professore associato di Estetica presso
l’Università di Macerata. Dal 1993 al 2003, professore associato di Estetica presso
l’Università di Verona. A partire dagli anni novanta, i suoi interessi si sono rivolti
alla filosofia politica e al concetto di biopolitica. Attraverso una rilettura della
Politica aristotelica e del pensiero di Michel Foucault, di Hannah Arendt e di
Carl Schmitt, elabora una teoria del rapporto fra diritto e vita e una critica del
concetto di sovranità, Homo sacer Einaudi 1995. Dal 1994, è visiting Professor nelle
università americane. Nominato, nel 2003, Distinguished professor presso la New
York University, abbandona l’incarico per protesta contro la politica del governo
statunitense. Dal novembre 2003, professore di estetica presso la Facoltà di Design
e Arti della IUAV (Venezia). Tra i suoi lavori ricordiamo, Il linguaggio e la morte
Einaudi 1982 Bartleby, la formula della creazione Quodlibet 1993, scritto con Gilles
Deleuze, e Homo sacer Einaudi 1995. Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato
Mezzi senza fine. Note sulla politica 1996; Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e
il testimone 1998; Il tempo che resta, un commento alla Lettera ai Romani 2000; la
nuova edizione di La comunità che viene 2001 già Einaudi1990, L’aperto. L’uomo e
l’animale 2002 e Stato di eccezione 2003.
Joerg Behr Parallelamente agli studi scolastici Behr ha studiato violino al conservatorio di Brema. Ha studiato Regia per il teatro Musicale con Götz Friedrichs
ad Amburgo diplomandosi nel 1997 mettendo in scena la Zaide di Mozart
nell’elaborazione di Berio. Ha lavorato come aiuto regista al Teatro dell’Opera di
Stoccarda con i più importanti registi di Teatro Musicale tedeschi. Behr ha messo in
scena, tra gli altri, lavori di Maderna, Benedetto Marcello, Stravinskij, Britten. Per
il suo lavoro ha ricevuto diverse borse di studio e nel 2003 gli è stato conferito il
premio Friedrich Götz quale miglior regista giovane.
Claudius Brodmann Nel 1999 conclude gli studi di Animazione ed Elaborazioni
Digitali presso l’Accademia del Film del Baden-Württemberg ed apre lo studio
di animazione e post-produzione M.A.R.K. 13. Ha girato numerosi cartoni e
cortometraggi tra gli altri per l’Expo 2000 e per la Federazione Nazionale dello Sport
tedesco. Insegna all’Accademia del Film del Baden- Württemberg, all’Accademia
Merz e all’Accademia di belle arti di Stoccarda.
Alexandra Gilbert Studia ballo al Conservatorio di Parigi e conclude gli studi nel
1996 al Centre National de Danse Contemporaine d’Angers – l’Esquisse. Lavora
per vari progetti e performance con Lévy, Cré-Ange, Lehuédé, Bouvier/Obadia,
Davy, Haleb, Hoche e Lot. Dal 1999 prende parte ai progetti di Serge Ricci. Ha
collaborato nella trilogia Partiellement effacè – Humor – Endless con il musicista
Fennesz così come con Au Nombre des Choses. Nel 2004 entra nella compagnia di
ballo Les Ballets C de la B/Sidi Larbi Cherkaoui in Foi. E’ apparsa nel progetto We
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are all Marlene Dietrich FOR di Erna Omarsdöttir con la regia di Hrvatin. Accanto
alla sua attività di ballerina, Alexandra Gilbert crea costumi sia per il balletto che
per il teatro di prosa.
Damien Jalet Ha studiato al Institut National des Arts du Spectacle di Bruxelles.
Successivamente si dedica alla danza contemporanea e studia a New York e
Bruxelles con vari Maestri tra i quali Janet Panetta. Con lo show The day of heaven
and hell 1998 debutta come coreografo. Nel 2000 inizia la collaborazione con Sidi
Larbi Charakoui come partner artistico nella compagnia di ballo Les Ballets C de
la B. Per la Schaubühne a Berlino crea nel 2002, assieme a Cherkaoui, Dunberry e
Kruz Diaz de Garaio Esnaola lo spettacolo d’avant. Nel 2005 gira con Omarsdottir
e Dumspiro il cortometraggio The unclear age. Per il 175° compleanno dello
stato belga, assieme a Cherkaoui su incarico di Rosas prepara la coreografia del
Bal Moderne con 40 000 ballerini. Damien Jalet è ed è stato docente in numerosi
istituti e per varie compagnie di balletto.
Mike Svoboda Nato a Guam, isola del Pacifico, Mike Svoboda è cresciuto a
Chicago e dopo aver completato gli studi di composizione e direzione, nel 1981
si trasferisce in Germania. Dal 1984 al 1995 lavora con Karlheinz Stockhausen.
Svoboda si esibisce con il proprio ensemble in diverse formazioni jazz, e come
solista con famose orchestre. Ha eseguito numerose prime esecuzioni di concerti
per trombone e orchestra e trombone solista; ha ampliato il repertorio del
suo strumento collaborando con famosi compositori da Rihm a Zappa. Come
compositore riceve molte commissioni di lavori per orchestra da importanti Teatri.
Michael Kiedaisch Ha studiato percussioni al conservatorio di Stoccarda e
ha suonato in diverse formazioni jazz della Germania del sud. La sua attività
concertistica nell’ambito della musica contemporanea lo ha fatto collaborare, tra
gli altri, con l’Ensemble Avance, con l’Ensemble delle Percussioni Stuttgart, con
l’Ensemble Piano & Percussions, con Gelber Klang e Surplus. Ha collaborato come
compositore e interprete di musica di palcoscenico a svariate produzioni teatrali in
Germania e nella Svizzera. Kiedaisch è docente all’Università di Witten-Herdecke
e al Conservatorio di Stuttgart. E’ fondatore e Direttore Artistico del Eurojazz –
Festival a Berlingen sul lago di Costanza.
Gianluca Gentili Autodidatta Gianluca Gentili si è perfezionato con Burgos a
Sevilla. Nel 1986 si iscrive al conservatorio Pergolesi di Jesi dove si diploma tre anni
dopo con il massimo dei voti. Si è successivamente perfezionato con Gilardino,
Chiesa, Andersson e Tomás. Nel 2003 è la chitarra dell’ensemble strumentale che
realizza El Cimarron di Henze e che vince il Premio Abbiati 2004. Ha collaborato
con il poeta Edoardo Sanguineti in occasione della mostra “Magazzino Sanguineti”
presso il Palazzo Ducale di Genova nell’anno della città capitale europea della
cultura. Come compositore ha scritto musiche di scena per vari spettacoli teatrali
e nell’ambito della musica contemporanea ha partecipato alla produzione di oltre
20 CD per Wergo, New Albion, col legno, Stradivarius, mode records, collaborando
con prestigiosi musicisti internazionali.
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Fabrizio Ottaviucci Diplomato in pianoforte ha studiato anche composizione e
musica elettronica. Come solista ha tenuto concerti per le più importanti istituzioni
musicali d’Italia e d’Europa con tournèe anche negli Stati uniti, Canada e India.
Importante la sua attività nella musica contemporanea nella quale collabora
continuativamente con insigni artisti italiani ed internazionali nel repertorio
classico e contemporaneo. Ha eseguito prime esecuzioni di opere di autori
dell’ultima generazione di compositori italiani, tiene concerti con artisti dell’area
extracolta e dirige ad Assisi (PG) un Laboratorio di musica intuitiva.
Aldo Campagnari Ha studiato violino con Cazzulani e successivamente con
Burattin. Nel 1994 è primo violino di spalla dell’Orchestra Giovanile Italiana. Si
è perfezionato ai Corsi di Alta Formazione alla Musica dell’Emilia Romagna con
Massimo Quarta sotto la cui guida studierà presso il conservatorio Superiore
della Svizzera italiana. Nel 1997 entra a far parte del Quartetto Prometeo. Svolge
un’intensa attività cameristica anche in altre formazioni, dal duo al quartetto
con pianoforte, con particolare attenzione al repertorio contemporaneo. Aldo
Campagnari oltre a collaborare con prestigiose orchestre svolge anche attività
didattica insegnando presso Accademie di perfezionamento musicale e Corsi
internazionali in Italia ed Europa.
Paolo Fumagalli Diplomato in violino Paolo Fumagalli si è perfezionato con
Jokanovic e dal 2002 studia viola con Tarenzi diplomandosi nel 2003 presso il
Conservatorio Nicolini di Piacenza proseguendo poi gli studi di viola con Tavolini
e Barconi. Come camerista ha suonato per le più importanti istituzioni musicali
d’Italia e d’Europa. Attento agli sviluppi artistici della musica contemporanea, nel
2002 ha fondato a Milano insieme ad altri musicisti il Musica d’Insieme Ensemble
con il quale ha realizzato prime esecuzioni di autori storici e di giovani compositori.
È prima viola dell’orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” diretta da Riccardo Muti.
Rohan de Saram Nel novembre del 2005 Rohan de Saram nato nello Sri Lanka ha
lasciato il Quartetto Arditti per seguire la propria personale visione artistica che
accoglie i suoni di tutte le musiche di tutte le epoche suonando con altri artisti amici e
compositori di tutto il mondo. Bambino prodigio ha studiato con Cassado, Barbirolli
e Casals debuttando nel 1960 alla Carnegie Hall con la New York Philhamornic
diretta da Skrowaczewski. Da allora ha suonato con un repertorio che spazia dal
classico al contemporaneo in tutti i continenti come solista col Quartetto Arditti e
con orchestra sotto le bacchette più prestigiose. È dedicatario di numerose opere
scritte appositamente per lui dai più significativi compositori contemporanei, da
Pousseur a Berio. I critici di tutto il mondo ne esaltano la sonorità, l’intonazione, la
tecnica, il controllo ritmico, la concentrazione, il virtuosismo. Ultima collaborazione
di successo è quella con il trombettista Rajesh Mehta.
Francesco Dillon Per tre anni primo violoncello dell’Orchestra Giovanile Italiana,
ha studiato violoncello con Geringas, Brunello e Baldovino e composizione con
Sciarrino. Parallelamente all’attività solistica con orchestra svolge un’intensa
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attività cameristica con il Quartetto Prometeo in Italia e all’estero e nel campo della
musica contemporanea con l’ensemble Alter Ego suonando moltissime opere in
prima esecuzione collaborando strettamente con gli stessi compositori. Numerose
le sue performance anche nel campo dell’improvvisazione con altre formazioni
da camera o con altri prestigiosi solisti. Numerosi anche i riconoscimenti e premi
conseguiti nonché le incisioni discografiche e la diffusione di suoi concerti dalle più
importanti radio internazionali.
Dario Calderone Ha studiato contrabbasso al Conservatorio di Roma, all’Accademia Stauffer di Cremona e al Klangforum Wien. Nel 2002 ha vinto il 1° Premio
del Concorso Benzi per Contrabbasso. Dal 2001 suona in diverse formazioni di
musica da camera con le quali ha dato concerti in tutto il mondo. Suona in diverse
orchestre, tra le quali l’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, l’Orchestra del
Teatro dell’Opera di Roma ed è membro del Laboratorium, un ensemble di Musica
Contemporanea.
Emiliano Amadori Diplomato in contrabbasso Emiliano Amadori ha studiato
parallelamente anche musicologia e composizione. Collabora con l’orchestra Toscanini
dal 1999 e dal 2001 suona con l’orchestra del Teatro Regio di Parma. Ha seguito per
due anni i seminari di Siena Jazz ed è tra i fondatori dell’ensemble Fontana Mix
con il quale partecipa a numerosi festival di musica contemporanea. Collabora con
l’Università di Bologna alla realizzazione di seminari e rassegne di musica.
Antonio Negri Membro fondatore del gruppo politico Potere Operaio e dei
gruppi di Autonomi che si sono creati successivamente, Toni Negri viene arrestato
nel 1977. Dopo la condanna passa alcuni anni in prigione, poi eletto deputato
nelle file del partito Radicale gode dell’immunità parlamentare. Quando la sua
posizione viene messa in discussione al Parlamento e votata, Negri come molti
altri nella sua situazione emigra in Francia dove prende ad occuparsi del pensiero
dei poststrutturalisti: Foucault, Deleuze, Guattari. Nel 1997, dopo più di 15 anni
d’esilio, torna a Roma dove viene arrestato ed incarcerato. Dal 2003 Toni Negri
può muoversi liberamente in Italia: Recentemente ha pubblicato con Mchael Hardt
Empire il nuovo ordine mondiale e Moltitudine.
Coro dei bambini del Teatro dell’Opera di Stoccarda Ogni volta quando ci
sono parti di coro per bambini nel cartellone del Teatro dell’Opera, i bambini e
le bambine del Coro entrano in scena. Ogni anno si aggiungono nuovi elementi
dai sette anni in poi, dopo aver superato delle piccole audizioni. Tutti i bambini
del Coro ricevono lezioni di musica con particolare attenzione alla voce così come
lezioni di ballo ritmico. Per la direzione musicale e artistica sono responsabili il
Direttore del Coro Michael Alber e il suo vice Johannes Knecht.
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Terra di Teatri Festival
dal mare ai monti un’immensa platea
Fin dall’esordio nel luglio 2000 la formula delle nuove produzioni Eventi accanto a Rassegne
e Festival già consolidati ha sancito il successo di Terra di Teatri Festival, successo decretato
dalla numerosa e favorevole accoglienza registrata in questi anni sia da parte del pubblico
che della critica.
La logica della collaborazione solidale ed attiva tra l’Amministrazione provinciale di Macerata
ed i Comuni che ospitano gli eventi si è rivelata nel tempo la strategia vincente che ha
consentito a luoghi di particolare pregio artistico, architettonico o paesaggistico scelti dal
ricchissimo patrimonio di teatri, centri storici, basiliche, santuari, cave dimesse, rocche,
altopiani, di offrire al pubblico la scoperta insieme allo spettacolo di un luogo sconosciuto, a
volte faticoso da raggiungere ma certamente emozionante e da segnalare agli amici.
Il cartellone delle proposte si caratterizza oltre che per lo specifico propriamente artistico
anche per le connotazioni ambientalistiche rievocative e sociali che informano la realizzazione
di alcuni spettacoli.
La qualità delle proposte anche con commissioni d’opera prima (Giorgio Battistelli, Erri De
Luca, Giovanni Sollima) è mediamente alta con punte di assoluto rilievo: un esempio per
tutti è costituito dal Premio Abbiati attribuito nel 2003 alla messa in scena di “El Cimarron”
di H.W.Henze per la regia di Henning Brockaus e lo spazio scenico di Benito Leonori.
Swingle Singers, Baly Othmani, Joji Hirota, Borte, Ogam, Tiziana Ghiglioni, Ensemble Cantar
Lontano di Marco Mencoboni, Ruggero Raimondi, Sandro Lombardi, Stefano Scodanibbio,
Edoardo Sanguineti, sono solo alcuni dei protagonisti che hanno illuminato con la loro arte
le notti maceratesi di Terra di Teatri Festival.
Musica, danza, prosa, cinema, in ogni luogo capace di ospitare uno spettacolo e dal luglio
2005 una sezione è dedicata anche all’infanzia.
Un viaggio nel mondo della favola su piazze, cortili, chiostri, castelli, spiagge, che di volta in
volta diventano palcoscenici naturali nei quali si rinnova la magia dell’invenzione, la libertà
assoluta del sogno attraverso la liturgia del gioco.
www.terraditeatri.sinp.net
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Forum Neues Musiktheater
Staatsoper Stuttgart
“All’inizio del 21esimo secolo il Teatro Musicale deve porsi domande sulle proprie prospettive.”
Klaus Zehelein – Drammaturgo e Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Stoccarda.
“Dove esistono oggi luoghi come questo al mondo? È l’utopia del Teatro diventata realtà
– l’ho trovato qui per la prima volta in tutta la mia vita.”
Salvatore Sciarrino in una conversazione con Detlev Brandenburg – Caporedattore
della rivista di Die Buehne – nell’edizione giugno/2004.
Il Teatro dell’Opera di Stoccarda ha creato una forma completamente nuova di laboratorio
interdisciplinare di Teatro Musicale, fondando il Forum Neues Musiktheater. In questa
struttura si prepara nel migliore dei modi il terreno per progetti creativi aperti a più
discipline, prestando particolare attenzione alle idee spaziali. L’obiettivo del Forum consiste
nello sviluppare una prospettiva per il Teatro Musicale del 21esimo secolo offrendo strategie
teatrali precedentemente applicate e verificate in questo stesso laboratorio. Interesse
primario del Forum sono gli approcci creativi necessari alle nuove strutture narrative del
Teatro Musicale così come le problematiche legate alla migliore combinazione delle attività
pratiche con quelle teoretiche. Un aspetto importante e fondante per la filosofia del
Forum è l’applicazione delle nuove tecnologie e dei nuovi media al Teatro Musicale per
verificarne le potenzialità e la compatibilità. Il Forum è un laboratorio nel quale vengono
eseguite e poi connesse tra di loro le applicazioni dei vari oggetti di ricerca e di sviluppo.
Compositori, Produttori, Media designer sono i benvenuti: i loro progetti troveranno al
Forum le risorse necessarie in termini di personale e di strumentazione tecnica per la loro
migliore realizzazione. Fino ad oggi sono stati elaborati progetti, anche in collaborazione
con partner nazionali e internazionali, informati alle nuove tecnologie elettroniche e digitali
studiando la loro applicazione interattiva nel campo audio – visivo. Alcuni di questi progetti
sono stati realizzati con il ZKM di Karlsruhe, l’IRCAM di Parigi e lo STEIM di Amsterdam.
Il Forum Neues Musiktheater del Teatro dell’Opera d Stoccarda è sostenuto dalla Regione
Baden-Wurttemberg e dal Partner del Teatro dell’Opera di Stoccarda la Banca di Baden
– Wurttemberg.
www.fnm.de
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Ringraziamenti
Dr. Joachim Blüher – Deutsche Akademie Villa Massimo, Roma Akademie Schloss Solitude,
Tim Murphy, Mario Zanzani, Ambrogio Vitali, Massimo Simonini, Tom Welsh, Sergio Rosini,
Franco Berardi Bifo, Silvia Fanti, Wolfgang Korb.
Documenti da
G. Agamben Profanazioni Nottetempo s.r.l. Roma 2005; Infanzia e Storia Einaudi 1978 e 2001
H. Ball Die Flucht aus der Zeit Limmat 1992
F. Berardi “Bifo” Leggermente ribelli
A. Breton Manifesti del Surrealismo Einaudi 1966
M. Hardt, A. Negri Moltitudine Rizzoli Milano 2004
J. C. Holmes This is the Beat Generation. New York Times Magazine novembre 1952
U. Wesel Die verspielte Revolution Blessing 2002
Traduzioni
Reinhard Sauer, Franziska Kurth
Crediti fotografici
Studio A. T. Schaefer pag. 10, 12, 14, 15, 17, 20, 26, 28, 29, 30, 36, 41
Isolde Ohlbaum pag. 18
Provincia di Macerata
Presidente: Giulio Silenzi, Assessore ai Beni Culturali: Donato Caporalini,
Dirigente VI Settore: Antonella Garbuglia, Coordinatrice Servizio Cultura e Turismo: Paola Pigini,
Funzionari Settore Cultura: Lina Morganti, Irene Manzi, Serenella Sperandini, Flavio Pianesi.
Associazione Arena Sferisterio
Presidente: Giorgio Meschini, Direttore Artistico: Pier Luigi Pizzi,
Segretario Artistico: Luciano Messi, Direttore Amministrativo: Carmelo Grasso,
Responsabile Comunicazione: Evio Hermas Ercoli, Capo Ufficio Stampa: Sergio Sparapani,
Responsabile organizzativo Terra di Teatri Festival: Gianfranco Leli.
Forum Neues Musiktheater der Staatsoper Stuttgart
Sovrintendente: Klaus Zehelein, Direzione Artistica: Andreas Breitscheid,
Direzione Amministrativa: Anna Loose, Responsabile della Produzione: Joerg Geiger,
Ufficio Stampa: Andrea Scheufler.
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Associazione Arena Sferisterio
via S. Maria della Porta, 65
62100 Macerata
tel. 0733 261334-5
fax 0733 261499
Provincia di Macerata
Corso della Repubblica, 28
62100 Macerata
tel. 0733 248248
fax 0733 248531
www.terraditeatri.sinp.net
[email protected]
in collaborazione con
COMUNE
DI POLLENZA
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memphiscom.it
Terra di Teatri Festival