jugonostalgija - Osservatorio Balcani e Caucaso
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Corso di Laurea (ordinamento ante D.M. 207/2004) in Lingue, Civiltà e Scienze del Linguaggio Tesi di Laurea JUGONOSTALGIJA Storia del ricordare: un percorso attraverso gli oggetti Relatore Ch. Prof. Alessandra Andolfo Laureando Eva Zilio 837703 Anno Accademico 2013 / 2014 JUGONOSTALGIJA Storia del ricordare: un percorso attraverso gli oggetti STRUTTURA DELL’ELABORATO INTRODUZIONE 1. CAPITOLO 1: Ostalgie 1.1. Breve storia introduttiva del fenomeno 1.2. Operazione nostalgia: esempi concreti nei paesi dell’ex blocco orientale (parchi a tema, musei, negozi e merchandising, film ostalgici) 2. CAPITOLO 2: Jugonostalgija 2.1. Caduta del regime e guerre intestine come negazione del passato condiviso 2.2. Cambio rotta: gli anni zero come momento di sviluppo del sentimento 2.3. Esempi di elaborazione del ricordo come rielaborazione di sé: Leksikon YU Mitologije, parchi a tema− il caso Kusturica 3. CAPITOLO 3: Oggetti e cose 3.1. Ruolo degli oggetti nella costruzione dell’immaginario collettivo nei regimi socialisti 3.2. Oggetti e memoria di sé: quanto valgono gli oggetti nel processo di ricostruzione mentale del passato perduto? 4. CAPITOLO 4: Leksikon YU Mitologije 4.1. Analisi e presentazione del progetto 4.2. Analisi dell’introduzione: proposta traduttiva 4.3. Scelta di tre oggetti jugonostalgici da analizzare 5. CAPITOLO 5: Analisi di tre jugo-oggetti 5.1. Oggetto uno: Fića (Zastava 750) 5.2. Oggetto due: Kalodont 5.3. Oggetto tre: Eurocrem 6. CONCLUSIONI 7. BIBLIOGRAFIA 8. SITOGRAFIA INTRODUZIONE Lo scopo che mi sono prefissata nella stesura di questa tesi è quello di inquadrare nel concetto di ostalgie il sentimento che ha attraversato anche le popolazioni dell’ex Jugoslavia dopo la morte del Maresciallo Tito, con la caduta della SFRJ. Questo fenomeno è conosciuto come jugonostalgija. Attraverso l’analisi del saggio/volume/dizionario/contenitore-ricordo Leksikon YU Mitologije, cercherò di parlare di quanto sia importante l’oggetto nella creazione dell’immaginario collettivo e della cultura condivisa in regimi di tipo socialista. L’oggetto materiale in quanto tale acquista un valore simbolico che va ben oltre la sua funzione pratica. Si carica di una valenza aggiuntiva che dura nel tempo e definisce dei tratti estremamente connotativi. In un regima socialista questo è molto più evidente, perché la produzione in serie fa sì che tutti condividano gli stessi oggetti, che questi livellino le differenze tra ceti, che diventino parte di quell’immaginario quotidiano che, soprattutto dopo la caduta spesso traumatizzante del regime in questione, diviene tassello indispensabile per la ricostruzione di quello che era, ma soprattutto di quello che si era. Per farlo, prenderò in analisi tre oggetti appartenenti all’epoca jugoslava. Gli oggetti, definibili “cose” in base alla distinzione fatta da Gian Piero Piretto1 tra oggetto e cosa, saranno studiati in relazione a: il momento della loro comparsa nella società jugoslava la loro funzione pratica il loro valore emotivo in confronto a quello funzionale il significato che ora hanno nel processo di ricostruzione storica dell’identità perduta In conclusione, vorrei stabilire qual è il valore “ricordante” di questi oggetti, cos’è che hanno definito e creato nelle menti degli ex jugoslavi, come si rapportano attraverso di essi al loro senso di appartenenza ora che lo stato di cui erano membri ha cessato di esistere. 1 G.P. Piretto La vita privata degli oggetti sovietici, stampato da New Press S.r.l, Ceremenate (CO), p.11. CAPITOLO 1 OSTALGIE 1.1.Breve storia introduttiva del fenomeno Ostalgie. Neologismo tedesco, introdotto nello Zanichelli italiano solo nel 2008, derivante dalla crasi delle parole tedesche “Ost” (est) e “nostalgie” (nostalgia). Indica quel senso di spaesamento che accompagnò l’unificazione di Berlino, quel rimpianto nei confronti della vecchia Repubblica Democratica Tedesca, della sua vita quotidiana, dei suoi prodotti, di quello che differiva il cittadino tedesco orientale da uno “capitalista” occidentale. Con lo sgretolarsi del blocco socialista nell’Europa dell’Est, assistiamo all’affermarsi di un diffuso sentimento di nostalgia, che la popolazione comune provava nei confronti di “quello che c’era prima”. Questo sentimento non fu immediato, perché inizialmente la gioia per la riunificazione e l’allineamento al sistema capitalista era molta e le novità mettevano in secondo piano i problemi che ad esse si accompagnavano. E’ solo nel 1993 che il termine tedesco viene eletto “parola dell’anno”. In un breve lasso di tempo, con la caduta dell’Unione Sovietica, questo neologismo fu applicato a tutte le altre realtà che un po’ alla volta stavano subendo lo stesso processo di dissoluzione toccato alla Germania dell’est. Quello che in precedenza sembrava un futuro dorato, iniziava a perdere credibilità e mostrava i suoi punti deboli. Non tutto era perfetto come si immaginava e questo era chiaro sia a livello politico che economico. Nel contempo sorgeva il bisogno di salvaguardare la memoria di un sistema di vita che per decenni aveva costituito la realtà e la quotidianità dei cittadini della Germania orientale: ancora oggi possiamo ascoltare il rimpianto di molti per la casa assicurata dallo stato, la sanità pubblica e gratuita, la chiarezza delle direttive che venivano fornite alla popolazione e tutti i tratti positivi tipici dell’esperimento socialista. Guardando al passato, spesso si fa l’errore di salvarne solo gli aspetti positivi, tralasciando quelli negativi (come ad esempio l’impossibilità di muoversi oltreconfine con facilità, il divieto di opposizione al regime, il controllo sistematico sulla privacy individuale, e così via), ed è da questa idealizzazione del ricordo che nasce il sentimento che si vuole evidenziare in questa breve trattazione. Il porsi delle domande sul problema della memoria e dell’identità collettiva improvvisamente persa, del cambiamento e del nuovo presente, ha dato vita ad un fenomeno di vasta portata che coinvolge, come abbiamo detto, tutti i paesi dell’ex blocco orientale. Tuttavia, nello specifico, ciò di cui si vuole parlare partendo dal termine ostalgie non è la riflessione sul cambiamento politico, ma il rapporto del singolo con tutta l’oggettistica, espressione materiale del precedente sistema, che sparì di punto in bianco dal commercio e che lasciò per molti un vuoto incolmabile. Tutt’a un tratto infatti, il sistema di produzione socialista si bloccò, seguendo il collasso storico del regime a cui apparteneva, e i beni che erano forniti ai cittadini sparirono dall’oggi al domani. In un regime socialista, dove la produzione in serie garantisce solo una disponibilità limitata di articoli, non essendoci la molteplicità di aziende, marche e modelli garantita dal sistema del libero commercio e la gamma di scelta è quindi estremamente inferiore ma soprattutto condivisa da tutti, il rapporto tra il singolo soggetto e l’oggetto in questione cambia, assume una valenza aggiunta, una sorta di intimità a noi estranea. L’oggetto è tassello nella creazione dell’immaginario collettivo, fa parte di quel panorama che crea e caratterizza l’appartenenza del cittadino, il suo riconoscimento ed auto inserimento nella comunità socialista a cui è legato. E’ in questo contesto che ritengo opportuno inquadrare il termine ostalgie nella stesura della mia tesi: nel rapportarsi dei singoli “ex cittadini” con l’oggettistica del vecchio regime. Di seguito, riporterò alcuni esempi pratici relativi al fenomeno. 1.2.Operazione nostalgia: esempi concreti nei paesi del’ex blocco orientale (parchi a tema, musei, merchandising e negozi, film ostalgici) Come anticipato, quello che ci interessa di questo fenomeno è il suo concretizzarsi nella sfera privata. Questa attitudine va però ben distinta dalla tendenza che ha portato, dopo la perdita di potere del comunismo, alla mercificazione di oggetti simbolo ai fini di vendita ai turisti. Molti di questi oggetti hanno infatti subito una mistificazione commerciale che li ha spogliati della loro aura emotiva e li ha resi semplici simulacri di un’epoca che non c’è più e che così, caduta e quindi innocua, è diventata solo una banale espressione kitsch della vecchia diversità. Il confine tra queste due realtà distinte è molto sottile, come vedremo con gli esempi che verranno ora citati. In Germania sono molte le imprese che si rivolgono a chi soffre di ostalgie rimettendo in produzione marchi obsoleti della vecchia DDR. C’è un apposito negozio a Berlino per la vendita di prodotti autarchici, l’Ostpaket2, e di questo ambiente possiamo notare che non si tratta solo di un negozio di souvenir, rivolto alla massa turistica di curiosi in cerca di un ricordo, ma di un luogo frequentato principalmente da anziani ex cittadini, nel tentativo di colmare il vuoto creatosi col collasso storico di cui sono stati vittime. Ci sono un’innumerevole quantità di musei a tema in cui sono ricreati gli ambienti tipici della vita quotidiana in epoca socialista, o dove sono conservate le vecchie monumentali statue della propaganda, rimaste incolumi alla furia iconoclasta seguita alla liberazione. Alcuni di questi sono il DDR Museum di Berlino, criticato da molti, tra cui il portavoce del Deutsches Historisches Museum Rudolf Trabold che sostiene “Non c’era veramente alcun bisogno di un museo del genere. E’ una ricostruzione consumistica del regime comunista, un modo per dire: oh, era tutto così carino”. Altri esempi sono il Memento Park di Budapest e il parco di Grutas in Lituania, che ripropongono una collezione di statue e monumenti dell’epoca. Decisamente più critico, sempre in Lituania, è il parco a tema Išgyvenimo Park, inaugurato all’inizio del 2008 per permettere ai turisti di sperimentare una giornata tipo del cittadino sovietico (l’esperienza, ad alto impatto emotivo, include: visione di programmi televisivi del 1984, imparare a indossare la maschera antigas, subire un interrogatorio rinchiusi in un bunker, imparare l’inno sovietico, mangiare cibo tipico dell’epoca, una visita medica in stile Gulag e così via)3. Grande successo hanno avuto anche alcuni film, tra i più noti cito “Goodbye Lenin!” (2003), ormai un cult, del regista Wolfang Becker. Tutto questo ci mostra come il problema del ricordare, della raccolta di testimonianze tangibili della quotidianità perduta per ricostruire frammenti della vita passata e, di conseguenza, anche sé stessi, abbia fatto nascere una notevole varietà di realtà commerciali e non, turistiche e non in cui vivere, comprare o scambiare il proprio pezzo di storia, facendo di alcuni veri e propri collezionisti di un mondo che non c’è più. 2 3 http://www.ostpaket-berlin.de/ http://sovietbunker.com/ CAPITOLO 2 JUGONOSTALGIJA 2.1. Caduta del regime e guerre intestine come negazione del passato condiviso Il 4 Maggio 1980 presso il Klinični center di Ljubjana, muore il Maresciallo Tito, tre giorni prima del suo ottantottesimo compleanno. Già a partire dai suoi ultimi mesi di vita era diminuita la sua presenza nella gestione degli affari politici dello stato a causa dei problemi circolatori che lo affliggevano. Inoltre, si erano sollevati dubbi sulla capacità degli eventuali successori di mantenere salda l’unità panjugoslava da lui creata secondo il principio “bratsvo i jedinstvo”4 cementificato dall’ideologia socialista nella sua componente antistalinista e per certi versi filoccidentale. I dubbi si tramutarono in una triste realtà circa dieci anni dopo la sua scomparsa con il montare sempre più allarmante dei nazionalismi. Tito era riuscito a manipolarli come strumenti per mantenere il proprio ruolo di mediatore super partes ma senza la sua presenza unificante, il collante che univa le varie etnie sotto un unico stendardo venne a mancare e iniziarono le lotte intestine note come dissoluzione della Jugoslavia. (Va detto tuttavia che il nazionalismo non fu l’unica causa della guerra, fu piuttosto la spinta che diede ad essa propulsione. Tra le altre motivazioni vanno ricordate: le pesanti differenze di sviluppo economico tra le singole repubbliche, la netta contrapposizione tra popolazione urbana e rurale, l’inflazione e la crisi economica, la paralisi degli organi politici del sistema federale e le stesse ambizioni personali dei leader coinvolti.) Con questa definizione si intendono quei conflitti inquadrabili come guerre civili e lotte secessioniste che hanno coinvolto i territori appartenenti alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia dal 1991 al 1995, portando alla sua dissoluzione. In questo contesto, parlare del passato condiviso e fare riflessioni di carattere nostalgico sulla dissoluzione della SFRJ era totalmente impensabile. La guerra imponeva di fare tabula rasa nelle menti e nei cuori, l’importante era marcare quanto più possibile la distinzione tra le varie etnie, a livello culturale, linguistico, politico... Per questo motivo si cercò di eliminare tutti quei tratti che avevano mantenuto salda l’integrità collettiva sino alla morte di Tito. La dissoluzione del regime rese netta la contrapposizione tra memoria collettiva, con la quale si 4 Fratellanza e Unità. Sentimento che univa i popoli della Federazione, lo spirito laico, interetnico e tollerante sulla base del quale, secondo Tito, andava rifondata la Jugoslavia. intende la successione storica di eventi a cui ogni singolo è esposto, e memoria condivisa, che si caratterizza per la presenza della soggettività di ogni singolo nel processo del ricordare. In questo caso, possiamo comprendere come un partigiano che lottò per la creazione della SFRJ avesse una memoria condivisa nettamente diversa da quella di un nazionalista convinto. Nella situazione di conflitto provocata dalla guerra a prevalere fu la seconda e ogni nostalgia storica fu nettamente bandita. I dati del censimento del 1991 lo dimostrano chiaramente: -36% della popolazione si dichiarò serbo -20% croato -10% bosniaco musulmano -9% albanese -8% montenegrino -6% macedone -2% ungherese E solo il 3% jugoslavo. Concludendo, quello che voleva rendere esplicito questo capitolo è come, subito dopo la caduta del regime, la situazione di conflitto impose un totale rifiuto del ricordo del passato e parlare di jugonostalgija in quegli anni è praticamente impossibile. 2.2 Cambio di rotta: gli anni zero come momento di sviluppo del sentimento E’ con l’avvento degli anni zero che le cose iniziano a cambiare. Con il tentativo di elaborazione del trauma causato dalla guerra, la popolazione civile inizia a guardare al suo passato. La difficoltà nell’affrontare un presente di distruzione porta il singolo a riflettere su molti degli aspetti positivi che il socialismo offriva, sulle sicurezze e le certezze che erano garantite ai cittadini. Oltre alle riflessioni di carattere pratico e politico, subentrano anche quelle affettivo-psicologiche. Si inizia a pensare a tutto quello che c’era e che ora non c’è più. Si pensa agli oggetti, agli eventi e alle feste, ai personaggi, ai miti caduti, a tutto quello che dava forma e consistenza all’esperimento socialista. Il trauma della sparizione del proprio passato fa innescare il meccanismo di salvaguardia della memoria, laddove questo sia possibile. Lo riscontriamo soprattutto tra i profughi, tra coloro che hanno lasciato la patria nel periodo di guerra. Se in essi la potenza accecante dell’odio nazionalista era minore, maggiore era il sentimento di sradicamento e perdita di sé. Ampio esempio di questa perdita di identità lo troviamo nei romanzi di Dubravka Ugrešić, scrittrice croata contemporanea auto esiliatasi per ragioni politiche nel 1993. Sia in Muzej bezuvjetne predaje5che in Ministarstvo boli6, la scrittrice croata fa una lucida analisi del ruolo dell’esule, di cosa comporta, di come è affrontato. Secondo il percorso che si sta cercando di seguire, è di particolare importanza il secondo romanzo citato, Ministarstvo boli, (Il ministero del dolore7). All’università di Amsterdam, sotto il corso di Lingua e letteratura serbo-croata, si trovano riuniti la protagonista-docente e degli studenti-profughi di guerra. Tutti stanno scappando da un qualcosa che non c’è più e tutti stanno cercando di ricostruirsi. Il fulcro dell’intero romanzo è la rielaborazione di una memoria condivisa attraverso la collezione di storie e aneddoti legati ad un certo oggetto. Interessante è l’opinione riguardo questo fenomeno di Dražen Lalić, noto sociologo di Zagabria: “ La jugo-nostalgia è un sentimento molto comune non solo tra i più anziani, ma anche tra i più giovani. Questi ultimi, tuttavia, lo sentono solamente a livello culturale, e non politico.”, spiega Lalić. “Dopo una lunga insistenza sul fatto che la Croazia appartiene esclusivamente al milieu culturale dell’Europa centrale e mediterranea, ora diventa sempre più evidente che, prendendo in considerazione lo stile di vita dei propri cittadini, la mentalità, i simboli e tutto quanto costituisce la cultura, la Croazia appartiene anche al milieu culturale balcanico. E noi associamo questo con la Jugoslavia, così che tutti quelli che sentono come proprio questo milieu - perché ne comprendono la lingua e la vicinanza culturale - vengono definiti jugonostalgici.”8 2.3. Esempi di elaborazione del ricordo come rielaborazione di sé: Leksikon YU Mitologije, musei, parchi a tema−il caso Kusturica Dunque, è sempre sull’onda del sentimento di ostalgie che anche nei territori dell’ex Jugoslavia compare quel sentimento che definiremo da ora in avanti jugonostalgija. Gli esempi sono molti: parlando sul posto con le persone che hanno vissuto quel periodo si può percepire una sorta di diffuso rimpianto. Citiamo alcuni estratti tratti da due interviste fatte a cittadini croati: 5 Dubravka Ugrešić, Il museo della resa incondizionata, Milano. Dubravka Ugrešić, Il ministero del dolore, Milano. 7 Dubravka Ugrešić, Il ministero del dolore, Milano. 8 Tratto dall’articolo “La jugo-nostalgia dei croati”, di Drago Hedel. http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/La-jugo-nostalgia-dei-croati-26121 6 “La jugo-nostalgia esiste, ma la gente non rimpiange la Jugoslavia come ex Stato; rimpiangono la qualità della vita di cui lì potevano godere. Credono che la vita fosse molto migliore in Jugoslavia - erano più sicuri, avevano uno standard di vita superiore, un lavoro sicuro e un miglior sistema sanitario di quello che hanno ora” afferma Milanka Opačić, 36 anni, vice presidente del partito socialdemocratico (SDP), un partito che i nazionalisti accusavano di tendenze pro jugoslave mentre erano al potere. Le parole della nota esponente politica della giovane generazione riecheggiano in quelle di Josip Horvat, un pensionato, che lavorava per la grande ditta di Zagabria "Rade Končar". " Avevo un lavoro sicuro, una cosa che i miei figli non hanno; non dovevo pagare per l’assicurazione medica addizionale, cosa che i miei figli invece devono fare; potevo camminare per Zagabria nel mezzo della notte, senza preoccuparmi del fatto che qualcuno avrebbe potuto derubarmi, cosa che ora invece neppure oso fare. Era meglio, la vita era più semplice e non c'erano così tanta criminalità e furti - dice Horvat."9 Si trovano spesso mercatini in cui vengono venduti “pezzetti di storia” come medagliette, stemmi, borse, accessori per giovani pionieri. A Belgrado il museo della Jugoslavia e la Kuća Sveća (monumento funebre costruito presso la collina Dedinje che ospita la salma dell’ex dittatore Tito) restano luoghi simbolo, carichi di fascino e scrigno dell’unità perduta. Da ricordare anche il museo-esposizione “Živeo Život!”, in cui vengono ricostruiti in chiave nostalgica vari ambienti e momenti della vita di un cittadino jugoslavo (il supermercato, la mensa, la stazione degli autobus, la biblioteca, la moda, ecc.).10 Già il titolo che è stato scelto indica il forte valore vivificante che si attribuisce al passato, un sentito “Viva la vita” contro gli anni bui della guerra, della separazione e della lotta intestina. Scopo principale del progetto è ricreare il clima tipico, far rivivere la giornata dell’uomo comune. Questa l’introduzione nel sito citato nella nota numero dodici: “L’uomo comune” si alzava alle sei, si lavava i denti con il dentifricio fatto in casa, usava la lozione Pitralon11 e il suo appartamento profumava di latte caldo. “L’uomo comune” guidava la sua nuova automobile Fiča12, leggeva il giornale 9 “La jugo-nostalgia dei croati” di Drago Hedel, tratto dal sito http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/La-jugo-nostalgia-dei-croati-26121 10 La mostra si presenta come un’esposizione itinerante, ed ha visto la sua prima comparsa a Belgrado dal giugno al luglio del 2013. Attualmente si trova a Novi Sad. http://www.ziveozivot.com/ 11 Con lozione Pitralon si intende un prodotto estremamente diffuso usato come dopobarba. 12 Si intende il modello di auto Zastava 750, prodotto appunto dall’azienda Zastava sotto licenza dell’italiana Fiat. Start13 e ascoltava Ivo Robić14 e i Siluete15 . Andava a Trieste a comprare quello che non trovava nei grandi magazzini nazionali, campeggiava in compagnia, senza spendere soldi, si rallegrava alle feste statali e... Viva la Vita!16 Tra le manifestazioni del fenomeno più interessanti vanno senza dubbio citate le cittadelle/parchi tematici fatti costruire dal regista Kusturica. Uno di questi è il villaggio di Kustendorf, di cui forniremo ora una breve descrizione: “Küstendorf, anche chiamata Drvengrad (villaggio di legno) e Mećavnik, è un villaggio tradizionale fatto costruire dal regista serbo Emir Kusturica per il suo film La vita è un miracolo (2004). È situato a 200 km a sud-ovest di Belgrado in Serbia adiacente al villaggio di Mokra Gora, presso la frontiera con la Bosnia-Erzegovina e tra la città serba di Užice e quella bosniaca di Višegrad, resa famosa dal romanzo Il ponte sulla Drina dello scrittore Premio Nobel per la letteratura Ivo Andrić. Per la sua creazione il regista ha ricevuto il Premio Europeo all’Architettura Philippe Rotthier nel 2005. «Ho perso la mia città [Sarajevo] durante la guerra. È per questo che ho voluto costruire il mio villaggio. Porta un nome tedesco: Kustendorf. Là organizzerò seminari per le persone che vogliono imparare a fare cinema, concerti, ceramiche, dipingere. È il luogo dove vivrò e dove qualcuno potrà venire di tanto in tanto. Ci saranno, naturalmente, altri abitanti che lavoreranno là. Sogno un luogo aperto con una diversità culturale che competa contro la globalizzazione ».17 L’operazione nostalgia messa in atto dal regista, oltre ad avere fini pratici di set cinematografico, ha una chiara valenza simbolica. Nel nuovo villaggio vengono ricostruite e mantenute integre molte di quelle peculiarità che la guerra aveva spazzato via, come ha dichiarato nell’intervista sopracitata lo stesso Kusturica. L’esperimento di elaborazione del ricordo diviene quindi anche un metodo di rielaborazione del sé perduto. 13Rivista zagrebese sulla vita quotidiana del cittadino jugoslavo. Ivo Robić fu un noto cantautore croato degli anni ’50. 15 I Siluete furono un famoso gruppo rock belgradese, degli anni ’70. 16 Mia traduzione, di seguito si riporta l’originale: “Običan čovek” je ustajao u 6 sati, prao zube domaćom pastom, koristio "Pitralon" losion, a stan mu je mirisao na toplo mleko. “Običan čovek” je vozio svog novog “Fiću”, čitao je "Start" magazin, slušao je Ivu Robića i Siluete. Išao je u Trst da kupi ono što nije mogao u domaćim robnim kućama, kampovao je sa društvom – bez para, radovao se državnim praznicima i ... Živeo Život! 14 17 http://kustendorf-filmandmusicfestival.org/2014/, http://it.wikipedia.org/wiki/K%C3%BCstendorf Altro esempio di questo processo è il libro Leksikon YU Mitologije18, collezione cartacea e virtuale del mondo scomparso, che nel suo itinerario creativo ha subito il crollo del regime vedendo cambiare la sua funzione prima da specchio della realtà condivisa a baluardo del ricordo. Ulteriori approfondimenti sul Leksikon verranno fatti nel capitolo ad esso dedicato. 18 Leksikon Yu Mitologije, Rende/Postscriptum, Belgrado/Zagabria. CAPITOLO 3 OGGETTI E COSE 3.1.Ruolo degli oggetti nella costruzione dell’immaginario collettivo in regimi socialisti Come già accennato, in un regime socialista l’oggetto assume un ruolo e una connotazione diversi da quelli a cui noi siamo abituati. La differenza fondamentale non è solo nella serialità della produzione, l’industria di per sé produce oggetti in massa sia a est che a ovest, quel che rende diversa la percezione dell’oggetto nei paesi socialisti è il monopolio statale sui beni di consumo. Tutto questo fa sì che la disponibilità materiale sia limitata e livella la capacità di possesso dei singoli, mettendoli tutti sullo stesso piano. Questo ha diverse conseguenze: l’oggetto mantiene con più evidenza la sua funzione pratica. Spesso noi tendiamo a dimenticarla, divenendo accumulatori per il semplice piacere dell’avere. Nel suo rapporto relazionale con il soggetto, viene quindi in un certo senso defunzionalizzato: questo non accadeva, anzi. La penuria materiale faceva sì che ogni oggetto venisse trattato per ciò che era. La dinamicità del rapporto col fruitore stava nell’essere il solo oggetto disponibile (o uno dei pochi), nell’essere pratico, indispensabile e per questo caro all’immaginario condiviso. Infatti, la limitata capacità di possesso che ciascuno aveva rendeva ogni oggetto intrinseco non solo di un investimento tecnologico e funzionale, ma anche emotivo. Nell’esperimento socialista, la fruizione e la percezione dell’oggetto da parte del cittadino avevano un ruolo chiave nella costruzione del discorso culturale. I prodotti autarchici del socialismo erano caricati di un’aura portatrice del messaggio ideologico. Erano prodotti unici, in tutti i sensi, e questa loro unicità li portava a divenire tassello nella creazione dell’immaginario condiviso che il regime costruiva. Possiamo quindi riscontrare questo doppio rapporto: l’importanza estrema della fruibilità dell’oggetto affiancata dal ruolo emotivo che esso assume. Prendiamo ad esempio dei biscotti per bambini. Nei nostri supermercati ne possiamo trovare a decine, ognuno ha la sua preferenza, ma la scelta è così vasta che spesso non ci si fa più caso. Per un bambino cresciuto nell’ex Jugoslavia invece era diverso. I famosi biscotti Plazma19 erano conosciuti e amati da tutti. Erano una tappa inevitabile, che si legava alla memoria degli anni di crescita. Tutti li conoscono e questo fa di loro non solo dei biscotti per bambini, ma i biscotti per bambini. 19 Plazma, pag. 311 “Leksikon YU Mitologije” A sostegno di questa tesi, si riporta lo schema del filosofo Maurizio Ferraris sul metodo umano di catalogo del mondo, tratto dal volume Documentalità, perché è necessario lasciare tracce20. Sebbene in quest’opera lo studioso concentri la sua attenzione sul ruolo del documento cartaceo come memoria dell’atto e quindi del sé, ritengo che possa essere chiarificante anche per la tesi qui sostenuta. Esemplari Soggetti con rappresentazioni Rappresentazioni Espressioni Naturali Iscrizioni Cose Oggetti senza rappresentazioni Ideali Strumenti Sociali(supporti+iscrizioni) Opere Documenti Secondo quanto riportato, l’oggetto resta immutabile nella dinamica percettiva rispetto al suo fruitore, ed è quindi quest’ultimo che varia la sua ricettività a seconda del contesto in cui si trova. Nel caso storico da noi analizzato, il soggetto varia la sua percezione nei confronti dei biscotti sopracitati poiché il crollo del regime e del mondo a cui apparteneva li ha connotati di un valore aggiunto, che è quello del ricordo. Nel suo dare concretezza visiva al concetto di cui è portatore, l’oggetto ha una sfumatura eternante ed è per questo che il processo di catalogazione è un bisogno così impulsivo e intrinseco dell’uomo. Grazie a questa sua attività di documentatore infatti, esso può fare sopravvivere parti di sé, smarribili nel fluire del tempo. A questo bisogno di lasciare tracce andrà a ricondursi la domanda fondante che sta a tesi di questo elaborato: quanto valgono gli oggetti nel processo di ricostruzione mentale del passato perduto? 20 Maurizio Ferraris, Documentalità, perché è necessario lasciare tracce, Lecce, p.3 3.2.Oggetti e memoria di sé: quanto valgono gli oggetti nel processo di ricostruzione mentale del passato perduto? Inquadrato in quest’ottica, l’oggetto assume un ruolo di estrema rilevanza nel processo di ricostruzione mentale del passato perduto. Il conservare o riprodurre cimeli dell’epoca precedente diviene un metodo di salvaguardia della memoria. L’oggetto defunzionalizzato resta impresso nelle menti in tutto il suo valore affettivo. Nel rapporto relazionale tra soggetto e oggetto viene quindi meno la funzione pratica e si innesca un processo di risemantizzazione della cosa in questione. Tenendo valido l’esempio dei sopracitati biscotti, con la caduta del regime essi hanno acquisito un ulteriore valore aggiunto: i plazma sono baluardo di una serie di ricordi, emozioni, sensazioni di una vita sparita, che ha cessato di essere e che forse per questo esercita un fascino sempre maggiore. Il passato è facile da lodare in un presente di fatica, guardando ad un futuro incerto. Per dirlo attraverso Proust: “ci sono due tecniche o gradi di recupero del ricordo: memoria volontaria e memoria spontanea. La memoria volontaria richiama alla nostra intelligenza tutti i dati del passato ma in termini logici, senza restituirci l'insieme di sensazioni e sentimenti che contrassegnano quel momento come irripetibile; la memoria spontanea o involontaria (epifania secondo la tradizione decadente) è quella sollecitata da una casuale sensazione e che ci rituffa nel passato con un procedimento alogico, che permette di "sentire" con contemporaneità quel passato, di rivederlo nel suo clima: è "l'intermittenza del cuore" la tecnica da seguire per il recupero memoriale basato sull'analogia-identità tra la casuale sollecitazione del presente e ciò che è sepolto nel tempo perduto. La memoria involontaria cattura con un'impressione o una sensazione l'essenza preziosa della vita, che è l'io e serve a spiegare il valore assoluto di un ricordo abbandonato dall'infanzia, risvegliato attraverso il sapore di un dolce o l’odore di un profumo. Questo procedimento porta alla vittoria sul tempo e sulla morte, cioè ad affermare noi stessi come esseri capaci di recuperare il tempo e la coscienza come unico elemento che vince la materia e porta alla verità e alla felicità. Ricordare è creare. Ricordare è ri-creare.” 21 E’ appunto su questo secondo tipo di memoria, ovvero il ricordo spontaneo, che si basa il concetto stesso di ostalgie e che si fonda questo sentimento di attaccamento agli oggetti spariti. E’ attraverso essi che si possono ricostruire momenti della vita passata, situazioni tipiche, sia private che condivise. Quando 21 http://it.wikipedia.org/wiki/Alla_ricerca_del_tempo_perduto poi si tratta di una separazione traumatica dalla propria nazione, come nel caso dei profughi di guerra, gli oggetti hanno un’importanza forse ancora più grande. L’evento traumatico infatti spesso porta a cancellare quelli che sono i ricordi ad esso legati e per molti si è trattato di una vera e propria perdita di identità. E’ grazie ad una ricostruzione a tappe attraverso i beni materiali che si può ricreare il ricordo e tentare una definizione del sé perduto. E questo è il processo attuato nel già citato romanzo di Dubravka Ugrešić Il ministero del dolore. CAPITOLO 4 LEKSIKON YU MITOLOGIJE 4.1.Analisi e presentazione del progetto Leksikon Yu Mitologije è un progetto di raccolta di tutti gli oggetti, gli eventi, le persone e le cose che hanno contribuito alla creazione dell’immaginario collettivo del cittadino jugoslavo. Si tratta quindi di una sorta di dizionario mitico la cui genesi fu lunga e travagliata. Risale infatti al 1989 quando Dubravka Ugrešić assieme a Dejan Kršić e Ivan Molek della rivista Start, lanciarono l’appello per la sua creazione: “Spettabili, la redazione di Start, di Arkzin e di Arkzin/Rende vi invita a collaborare al progetto per un libro e un sito web del Lessico della mitologia jugoslava [Leksikon jugoslavenske mitologije]. La tesi da cui parte il nostro progetto è che esiste un lessico della locale – jugoslava – cultura popolare, dei concetti articolati che potrebbero aiutare a definire le nostre identità. La situazione politica lo mostra chiaramente. Il problema è più ampio della mera mancanza della locale – jugoslava – cultura popolare. La questione della nostra identità-origine-fonte-passato comune, dovremmo indagarla non tanto per il mondo ma in primo luogo per noi stessi. Il futuro Leksikon lo abbiamo immaginato come una qualche forma dell'enciclopedia borgesiana. Ci aspettiamo da voi, nostri collaboratori, una fantasiosa e non tecnica trattazione dei concetti (miti, fenomeni...) della quotidianità jugoslava (quella politica, ideologica, consumistica, mediatica, ecc.) dal 1945 a oggi.”22 Con lo scoppio della guerra e con tutto ciò che essa comportò, l’idea del Leksikon fu abbandonata e la sua principale ideatrice andò in esilio volontario. Come spiegato nel primo paragrafo del secondo capitolo, i nazionalismi bandirono qualsiasi forma di nostalgia e avviarono un massiccio processo di diversificazione linguistica e culturale. Fu dopo gli anni zero che, con l’allentamento delle tensioni, ricomparve la sindrome “dell’epoca d’oro” e con esse l’idea del progetto. E’ nel 2001 che un gruppo zagabrese e uno belgradese mettono in rete un sito in cui ripropongono l’idea della Ugrešić: cosa vi ricordate, cos’è tipico nei vostri ricordi di quegli anni, quali precise forme aveva? La domanda ha dunque un 22 Estratto dall’articolo “La nostalgia e l’enciclopedia” dalla rivista online ElBradipo. http://www.elbradipo.net/index.php/focus/68-la-nostalgia-e-l-enciclopedia notevole cambio di prospettiva: se inizialmente ci si chiedeva chi siamo?, ora ci si chiede chi eravamo?. Si riparte in formato virtuale e l’appello lanciato assume proporzioni notevoli ed inaspettate, tanto da rimettere in moto il meccanismo inceppatosi dieci anni prima, facendo di questa raccolta online un vero e proprio libro. Molto interessante in questo processo creativo è il fatto che si parta da un progetto virtuale per arrivare ad uno cartaceo ed inoltre che siano due coordinamenti rispettivamente uno serbo ed uno croato a dar nuova vita all’idea, a segno di una riconciliazione in nome del passato che fu. Il libro, nella sua travagliata nascita, perde la prima funzione di enciclopedia del mondo condiviso e diviene enciclopedia del ricordo del mondo condiviso. La rete lo rende in primis uno strumento di comunicazione, come riporta l’introduzione: “Lo abbiamo fatto in primo luogo per noi stessi e non ci aspettavamo molto. Poi accadde una cosa strana. Come naufraghi che mandano messaggi “in bottiglia”, hanno iniziato a contattarci i nostri ex concittadini, letteralmente da tutto il mondo. E non è solo per dire: un musicologo di Novi Sad scrive da Gerusalemme, un impiegato da un ufficio di Londra, un famoso regista da Parigi, due ex adolescenti zagabresi da New York…”. Il sito internet dunque acquistò sempre più spessore, suscitando l’interesse di molti e divenendo porto sicuro per la fluttuante memoria di coloro che si erano smarriti. E’ per questo motivo che il meccanismo di recupero del ricordo da essi attuato non è un semplice procedimento nostalgico, ma un processo di ricostruzione critica dell’immaginario scomparso. Si parte dalla grafica, che richiama quella di quegli anni: il libro è impostato come fosse un falso cimelio d’epoca, richiama lo stile del tempo. Nel suo formato tuttavia oscilla sempre tra emulazione e parodia e questo gli fa mantenere quell’aura ironica che costituisce parte fondante del suo fascino. Il libro-contenitore indaga il concetto di nostalgia come sotto categoria della memoria e quindi dell’identità individuale e collettiva e non lo fa attraverso premesse filosofiche o analisi psicologiche, ma semplicemente attraverso la descrizione di singoli oggetti cari a coloro che hanno preso parte alla sua stesura. E’ per questo motivo che esso si inserisce alla perfezione nell’analisi sinora svolta. Alla domanda: quanto valgono gli oggetti nel processo di ricostruzione mentale del sé perduto? Questo volume offre una chiara risposta. L’oggetto è parte fondante della cultura a cui appartiene, ne diventa simbolo, pilastro, specchio, immagine. Ad esso si legano i ricordi dei momenti di vita a cui serviva e va a creare quell’insieme di memorie che costruisce tanto l’intimità del singolo quanto la sfera del condiviso. Per concludere la genesi creativa del libro, venne edito nel 2004 dalle rispettive case editrici a Belgrado (Rende) e a Zagabria (Postscriptum). Gli editori del progetto finale sono: Iris Adrić, Vladimir Arsenijević e Đorđe Rosić. La prima stampa prevede un tiraggio di tremila copie. Analizzandone invece l’impostazione, oltre alla particolare e coinvolgente grafica, va sottolineato che il libro si apre con una breve prefazione, di cui tratteremo in seguito, accompagnata da un indice cronologico illustrato, in cui vengono riportati tutti gli eventi salienti coadiuvati da un impianto illustrativo. I colori usati per l’intero volume sono quelli della bandiera della Federazione: bianco rosso e blu. Gli oggetti vengono presentati attraverso una vera e propria tipologia da dizionario: i lemmi sono impostati secondo una divisione alfabetica, spesso accompagnati da foto o illustrazioni. Ognuno di essi riporta la paternità, che sia essa dichiarata con il nome dell’autore o anonima, a seconda della provenienza del ricordo. Si tratta di oggetti, persone, eventi collettivi, film, band musicali. Tutto quello che ha effettivamente avuto un ruolo fondante nella creazione dell’immaginario condiviso. 4.2. Analisi dell’introduzione: proposta traduttiva Non essendo mai stato tradotto in italiano, si propone di seguito una personale traduzione delle pagine introduttive del Leksikon, ovvero della prefazione degli editori Đorđe Rosić e Iris Adrić. “Nell’anno 1989, Dubravka Ugrešić e i redattori della rivista “Start”, Dejan Kršić e Ivan Molek, hanno lanciato un appello per la cooperazione al progetto “Leksikon YU Mitologije”. Si è partiti dal presupposto che non c’erano concetti articolati riguardanti la cultura popolare jugoslava che aiutassero alla definizione della nostra identità. Il problema era, scrivevano gli artefici, “più ampio che semplici carenze interne della cultura popolare”, e affermavano che avrebbero dovuto esplorare la questione dell’identità jugoslava “non solo per il mondo, ma particolarmente per noi stessi” aggiungendo che “la situazione politica attuale ce lo mostra chiaramente”. L’ultima frase oggi suona ironica. Dalla domanda “cosa siamo?”, si giunge a “cosa eravamo?” e per molti anche questa domanda è divenuta “superflua”, perché a loro la risposta era già “nota”. I nuovi stati hanno stabilito differenze tra il passato e la memoria, dalla confisca dei monumenti alla reinterpretazione del passato secondo una assoluta negazione anche del conteggio del tempo, una sorta di “anni zero”. Sembrava che con la caduta della SFRJ si fosse perduta la necessità di compilazione del Leksikon. Il progetto è tuttavia tornato in vita, dopo la tragedia collettiva, nella seconda metà degli anni novanta, quando in una riunione in esilio Dubravka Ugrešić e gli altri sottoscriventi di questa prefazione hanno deciso di rinnovare l’intero progetto. Ci ha guidato, anche se tacito, il sentimento che aveva già descritto a proposito del Leksikon Boris Buden: “tutto ciò che viene dopo non è solo per questo migliore”. In collaborazione con la zagabrese Arkzin di nuovo è stata creata la redazione e una semplice pagina internet. Abbiamo fatto questo soprattutto per noi stessi, non aspettandoci troppo. E poi è accaduta una cosa strana. Come dei naufraghi, hanno iniziato ad inviarci “messaggi in bottiglia”, i nostri ex concittadini, letteralmente da tutte le parti del mondo. Questa non è affatto una frase banale: un musicologo di Novi Sad a Gerusalemme, un’impiegata in una cancelleria londinese, un famoso regista da Parigi, da New York due ex teenager di Zagabria, il nostro scrittore dall’Irlanda, un giovane conduttore televisivo di Zagabria, sono stati tra i primi a mandarci contributi. Velocemente sono stati accompagnati da altri: professionisti nelle faccende di scrittura, ma anche molti altri che non hanno mai pubblicato una riga. Hanno risposto alla nostra chiamata in decine e poi in centinaia di autori delle più diverse estrazioni sociali. Molti, lontani da casa, riscaldati dalla nostalgia e non solo traumatizzati dai recenti eventi e zittiti dalla repressione di quei fatti che Dubravka Ugrešić chiama “le note umilianti”, hanno trovato nel nostro sito una sorta di riparo, il porto in cui, volendo, possono dare sfogo al loro alienato diritto alla memoria. Si sono riversati ricordi, privati e collettivi, nomi dimenticati della cultura popolare locale, a volte come bozze, altre sotto forma di saggio, testo letterario, spesso come una miscela di stili e generi. Anche le lingue erano diverse. Alcune hanno conservato lo stile carico delle recenti modifiche linguistiche, altri hanno mescolato i registri, creando inconsciamente una neolingua. Entrambi si sono in certi casi dati il tormento per descrivere fenomeni dell’era passata. Cercavano di scrivere al meglio con più precisione possibile per comunicare i loro pensieri e ricordi, dimostrando che per loro si trattava di una questione di grande importanza. Anche se il Leksikon fosse rimasto in quello stadio e in quella forma, le risposte dettagliate e creative sarebbero comunque state un successo rispetto alle nostre aspettative. Fortunatamente non è stato così. Infatti, nel frattempo è cresciuto in grandezza e attrattiva. E’ cresciuto soprattutto grazie al contributo dei soci: il nostro team si è allargato con l’unione dei colleghi delle case editrici belgradese “Rende” e zagabrese “Postscriptum”. E’ così che si è iniziato a dare forma al libro che, dopo anni di collaborazione tra i vari autori, avete davanti a voi. Si è partiti da un gruppo di otto autori, ma altri hanno contribuito in vario modo al Leksikon: redattori e collaboratori esterni, amici e colleghi che hanno aiutato con preziosi consigli. Tutto questo fa di esso un’opera veramente collettiva. Rispettando la paternità degli articoli, i contributi sono lasciati nelle lingue originali. Invece i lemmi, al posto di essere raggruppati per ordine tematico, sono riposti in ordine alfabetico. Era impossibile dare spazio a tutto. Si tratta di cinquant’anni di storia culturale! E i sentimenti sono soggettivi, ci sarà sempre qualcuno a cui sembri che manchi qualcosa. Abbiamo tuttavia deciso di annunciare il Leksikon YU Mitologije quando siamo giunti ad averne un corpus abbastanza soddisfacente. Diversi fattori, cambiamenti, forze culturali e sociali, ci hanno mostrato che anche per questo era giunto il momento. Per diventare ricordo, il passato deve essere articolato. Con questo libro abbiamo cercato di esplorare la topografia culturale e lo spazio vitale che per cinquant’anni abbiamo costruito e condiviso. Non per il passato, ma nella convinzione che nel tempo postmoderno di rapido oblio sarà utile sapere cosa significavano afž23, žtp24, cosa slet25 e cosa mimohod26.”27 23 “Fronte antifascista delle donne” Compagnia ferroviaria 25 Celebrazione per il compleanno del Maresciallo Tito 26 Nome delle interminabili file nelle quali il popolo attese per ore di vedere il corpo del defunto dittatore. 27 Mia traduzione, di seguito il testo in lingua originale: “Godine 1989, Dubravka Ugrešić i urednici u tadašnjem Startu, Dejan Kršić i Ivan Molek, objavili su poziv za suradnju na projektu nazvanom Leksikon YU mitologije. Zamišljen kao zbirka natuknica o domaćoj popularnoj kulturi, Leksikon je trebao pružiti odgovor na “pitanje jugoslavenskih identiteta”, koje je po riječima inicijatora bilo potrebno istražiti “ne samo zbog svijeta već prvenstveno zbog nas samih”. S raspadom SFRJ, koji je uslijedio samo dvije godine po pokretnju inicijative, činilo se da je nestala potreba za sastavljanjem Leksikona. Određenje službenih kultura novonastalih država prema zajedničkom naslijeđu kretalo se u rasponu od svojevrsne konfiskacije memorije do apsolutnog negiranja i tabuiziranja svih pojavnih oblika kulture SFRJ. No projekt je ipak zaživio, i to u obliku jednog od najranijih domaćih internetskih foruma. U sjedištu zagrebačkog Arkzina oformljena je 2001. godine pod vodstvom Dejana Kršića provizorna redakcija i pokrenuta web-stranica. U neočekivano velikom broju i doslovno sa svih strana svijeta, s “porukama u boci” počeli su se javljati nekadašnji Jugoslaveni. Novosadski muzikolog u Jeruzalemu, službenica u jednoj londonskoj kancelariji, čuveni crnovalni režiser iz Pariza, iz New Yorka dvije bivše zagrebačke tinejdžerice, naš pisac iz Irske i mlada zagrebačka tv-voditeljica bili su među prvima koji su poslali priloge. Ubrzo su krenuli i ostali — profesionalci u stvarima pisanja, ali i mnogo više onih koji nisu nikada objavili ni retka. Nakon što je prikupljen planirani korpus priloga, fluidnom mrežnom projektu oblik knjige dali su urednici i dizajneri iz beogradske izdavačke kuće Rende i zagrebačkog Postscriptuma. Uz golem uspjeh i veliku pozornost javnosti, prvo tiskano izdanje objavljeno je 2004. godine, a drugo je uslijedilo nepunu godinu kasnije, istovremeno s makedonskim prijevodom knjige. U proljeće 2011. godine – deceniju nakon što je projekt zaživio na internetu – Postscriptum i Rende započeli su rad na drugom tomu knjige. Naš pokušaj bilježenja topografije kulturnog i životnog prostora SFRJ proizveo je tijekom tih deset godina i pozamašnu količinu vlastite mitologije. U nekim sredinama Leksikon je prigrljen kao bezazleno sentimentalno prisjećanje na prošlost, drugdje je pokrenuo ozbiljan terapijski proces dekontaminacije sjećanja na Jugoslaviju. Mješavina visoke i niske kulture karakteristična za 24 4.3. Scelta di tre oggetti jugonostalgici da analizzare Per entrare nello specifico della trattazione, si propone di seguito l’analisi di tre oggetti appartenenti all’epoca indagata. Ognuno di questi fa naturalmente parte del Leksikon ed è proprio da esso che vengono tratte le informazioni basilari per ricostruire il legame emotivo dei singoli descriventi, e più generalmente della società tutta, con gli oggetti stessi. Essi verranno rapportati a delle categorie ben definite per creare uno schema comune attraverso il quale sia possibile strutturare una risposta precisa alla domanda: quanto valgono gli oggetti nel processo di ricostruzione mentale del passato perduto? Come già accennato nell’introduzione, le categorie di analisi che verranno proposte in relazione agli oggetti sono le seguenti: il momento della loro comparsa nella società jugoslava la loro funzione pratica il loro valore emotivo in confronto a quello funzionale il significato che ora hanno nel processo di ricostruzione storica dell’identità perduta Gli oggetti selezionati sono i seguenti: Automobile Zastava 750 (Fića) Dentifricio Kalodont Eurocrem (cioccolata spalmabile) diskurs Leksikona obilježila je i njegovu recepciju. S jedne strane, kao referentna i doista kultna knjiga, bio je predmet međunarodnih akademskih studija slavistai drugih stručnjaka. S druge je pak postao ishodištem pop-kulturnih mutacija i imitacija — predložak višescenskih projekata, naziv stalne rubrike popularne tv-emisije i toliko tržišno prepoznatljiv brand da se 2010. godine u Srbiji na njega mogla osloniti čitava reklamna kampanja za Volkswagen automobile. Od obilja javnih diskusija, objavljenih recenzija i medijskih prikaza danas najsnažnije odzvanja ocjena Radija BBC, na kojemu se 2005. o Leksikonu govorilo kao o knjizi koja je u nepunih godinu od objavljivanja “odigrala važniju ulogu u uspostavljanju poslijeratnog dijaloga od pet godina skupnih napora svih političara u regiji”. Točnost ove procjene potvrđena je 2010. godine, kad je Leksikon kao predsjednički poklon obilježionormalizacijskom simbolikom nabijeni prvi susret dvojice postjugoslavenskih državnika. Usprkos zaboravnoj naravi vremena u kojem živimo, čini se da još uvijek ima smisla brinuti za očuvanje sjećanja na to što je nekada značila kratica AFŽ, a što ŽTP i što je to bio slet, a što mimohod.” CAPITOLO 5 ANALISI DI TRE JUGO-OGGETTI 5.1. Oggetto uno: Fića (Zastava 750)28 La Zastava 750, meglio nota col nome di Fića, è un’automobile prodotta dalla casa automobilistica serba Zastava, Crvena Zavod, con sede in Kragujevac. Era una versione della Fiat 600, che venne prodotta grazie alla licenza che la Fiat concesse all’azienda jugoslava dal 1965. Fu poi sostituita dall’altrettanto noto modello Yugo29. Deve questo soprannome al protagonista di alcune vignette pubblicate sul giornale “Borba”30 durante i primi anni di produzione del veicolo. Il momento della comparsa nella società jugoslava Come introdotto nelle righe soprastanti, questo modello di auto fu messo in vendita a partire dalla metà degli anni ’60. Impostato su una tipologia di auto italiana, accompagnò l’uomo medio jugoslavo fino all’introduzione del modello successivo. In qualità di prima vera e propria auto jugoslava, si impresse fortemente nell’immaginario e nei desideri dei cittadini dell’epoca. 28 Leksikon Yu Mitologije, p. 137. La Zastava Yugo è un'autovettura prodotta dalla casa automobilistica jugoslava Zastava dal 1981 fino al 2000. Ha sostituito la Zastava 750 (versione locale della Fiat 600), ed è stata poi a sua volta sostituita dalla Zastava Koral. 30 Borba: era formalmente il giornale ufficiale della Lega Comunista Yugoslava (SKJ), in lingua serbo-croata significa “lotta, combattimento”. Prese vita nel 1922 a Zagabria. 29 La funzione pratica La Fića era una macchina non predisposta per viaggi eccessivamente lunghi, né tantomeno per il trasporto di un elevato numero di passeggeri. Serviva da modesta auto quotidiana, tendeva ad avere spesso necessità di manutenzione a causa di guasti frequenti e fu ben presto sostituita dal più funzionale modello Zastava 1300, auto familiare. Il valore emotivo in confronto a quello funzionale Nonostante tutte le limitazioni e i problemi che spesso la affliggevano, essa fu il sogno di gran parte dei cittadini jugoslavi. Il suo acquisto veniva celebrato come una festa familiare degna di nota, quasi come un compleanno o come un funerale. Secondo quanto dice il lemma nel Leksikon, non solo l’acquisto veniva atteso e celebrato, ma l’auto stessa diveniva poi oggetto di continue cure e attenzioni da parte del possessore e dell’intero nucleo famigliare (la moglie cuciva il telo di copertura, il marito si occupava del rivestimento di sedili e volante, i bambini della decorazione degli interni e così via). Veniva usata come mezzo per le ferie, o per andare a trovare i parenti. Veniva usata per far fare il giro del quartiere ai bimbi del vicinato che sognanti sperimentavano per la prima volta un veicolo a motore. Essa rappresentava una sorta di traguardo del benessere ai cui tutti i cittadini aspiravano e il suo ottenimento indicava un momento di svolta nella vita del singolo, era come arrivare ad un meta. Il significato che ora ha nel processo di ricostruzione storica dell’identità perduta Per questo motivo anche ora, che il regime è caduto e la Fića è fuori produzione ormai da anni, essa resta modello di un importante momento di svolta e per il singolo e per la collettività. Simbolo di una modernità incalzante, da guardare coi fieri occhi condiscendenti del socialismo, e del benessere che si affermava proprio in quell’epoca. La Zastava 750 è saldamente impressa nell’immaginario di tutti coloro che hanno vissuto quegli anni, dai bambini agli adulti. Vederla passare ora per le strade ricostruisce una serie di ricordi ed emozioni, soggettive ma allo stesso tempo condivise perché ancora conservate nelle menti di tutti coloro che a quel tempo l’hanno vissuta. Il singolo si sente parte di una memoria tiepida e rassicurante, che lo avvolge e gli riporta alla mente quello che c’era e quello di cui faceva parte. 5.2. Oggetto due: Kalodont 31 Kalodont è il nome di un dentifricio entrato in produzione nell’impero AustroUngarico nel 1887, prodotto dalla compagnia F. A. Sarg’s Sohn&Co. Si diffuse anche nei territori ad esso limitrofi, assumendo un ruolo monopolistico in 34 nazioni. Nell’area balcanica si radicò così profondamente da diventare il sinonimo stesso di dentifricio, attraverso un procedimento metonimico di risemantizzazione del significato primo. Il momento della comparsa nella società jugoslava Come accennato, il Kalodont non fu introdotto come prodotto di regime, aveva una consolidata tradizione storica alle spalle appartenendo addirittura ai tempi del primo regno jugoslavo. Era chiaramente parte dell’immaginario collettivo e ancora più grave fu la sua scomparsa nel 1981, anno in cui uscì di produzione. La funzione pratica Il Kalodont era un dentifricio semplice, senza particolari aromi, che però era diffuso in gran parte delle case. La sua presenza era tappa imprescindibile che accompagnava lo scandire della routine quotidiana. Il valore emotivo in confronto a quello funzionale E’ anche grazie alla sua semplicità che questo dentifricio è stato compagno di innumerevoli generazioni ed è proprio per questo che esso si è con forza ritagliato il suo spazio nell’immaginario collettivo. Lo possiamo notare attraverso il processo di risemantizzazione del marchio in vocabolo descrittivo generale del 31 Leksikon Yu Mitologije, pag. 186 prodotto in sé: questa transizione estensiva di significato mostra chiaramente quanto fosse conosciuto, amato, usato e condiviso questo particolare prodotto, e non un altro, illuminandoci sull’entità del valore emotivo che esso investiva. Il significato che ora ha nel processo di ricostruzione storica dell’identità perduta Attualmente il Kalodont non esiste più concretamente. Essendo uscito di produzione ormai da molti anni è letteralmente sparito dal quotidiano, e non è un bene durevole come una macchina che resta empiricamente presente per anni dopo la cessata distribuzione. Tuttavia è stato scelto come prodotto esemplificativo del processo di ricostruzione dell’identità perduta proprio per la particolarità del nome, rimasto impresso nel dizionario serbo-croato come marchio indelebile del passato che fu. In un certo senso l’oggetto è stato privato della sua fruibilità ma investito di una nuova aura emotiva, è stato assunto a simbolo ufficiale del dentifricio. La riauratizzazione 32 è quindi una delle possibilità di risemantizzazione che l’oggetto subisce nell’evoluzione del suo rapporto dinamico col fruitore nel momento di cambiamento o sparizione del contesto socio-economico di cui era prodotto. 32 Il termine è tratto dal volume di Gian Piero Piretto La vita privata degli oggetti sovietici, Sironi Editore, Cermenate, 2012, p.9. 5.3. Terzo oggetto: Euro Crem Con Euro Crem Takovo33 si intende la particolare crema bicolore di nocciole e vaniglia prodotta a partire dagli anni ’70 dal gruppo Swisslion Group a Gornji Milanovac, circa 120 km da Belgrado. Il momento della comparsa nella società jugoslava Il marchio EuroCrem comparve nel regime jugoslavo all’inizio degli anni ’70: venne messo in produzione dallo stabilimento Takovo, nei pressi di Belgrado. Da quel momento questa crema bicolore si inserì prepotentemente nell’immaginario culinario dei cittadini, e vi è presente tutt’ora, nelle più svariate forme. Viene spesso rappresentata nell’usuale barattolo, la cui grafica è rimasta fondamentalmente invariata fino ai giorni nostri, accompagnata da alcune fette di pane. La funzione pratica L’EuroCrem nasce come pasta di nocciola e non ci mette molto a diventare tassello imprescindibile nel paesaggio di dolciumi jugoslavo. E’ un prodotto semplice e basilare e acquista per questo un fascino dilagante: da esso nel corso degli anni vennero creati svariati prodotti secondari, come ad esempio l’Euroblok, barretta di cioccolato composta dalla crema stessa o wafer farciti della suddetta ecc. 33 Takovo è il nome dell’azienda dell’ex SFRJ che nel 1972 ricevette il brevetto dal brand italiano A. Gandola & Co. Spa per la produzione del suddetto prodotto. Il valore emotivo in confronto a quello funzionale Questo prodotto, rispetto ai precedenti due, ha un valore emotivo nettamente più forte. Infatti, mentre i primi due possono prescindere la memoria condivisa di alcuni, l’EuroCrem è veramente parte dell’immaginario di tutti. Essa accompagna il singolo in tutte le fasi della sua vita, ne è parte nei momenti felici, tristi, in quelli quotidiani. Non c’è persona nei Balcani che non la conosca. Basti pensare che alcune compagnie di trasporto che organizzano viaggi in pullman dall’Italia alla Serbia nel momento di arrivo nella capitale oltre a proiettare il cult intramontabile “Ko to tamo peva” (1980), offrono ai passeggeri una barretta della stessa. Già nel periodo socialista, questo prodotto aveva un legame relazionale con il soggetto estremamente simbolico e significativo: era espressione di un tutto condiviso ed onnipresente, che accomunava tutti i cittadini, delle più svariate estrazioni sociali, e li rendeva parte di un’unicità livellante. Il significato che ora ha nel processo di ricostruzione storica dell’identità perduta Con la caduta del sistema autarchico, l’EuroCrem passa da elemento della costruzione del discorso culturale a strumento di salvaguardia della memoria. In questo caso la transizione tra i due significati che essa ricopre è limpida e lineare: la produzione infatti non è cessata, la si può tuttora trovare ovunque e non è stata vittima di alcuna mistificazione commerciale, poiché essa resta tale e quale, un baluardo dell’intimità domestica e del passato condiviso nonostante la violenza iconoclasta subìta durante il rovinoso processo di dissoluzione del regime nella quale è nata. CAPITOLO 6 CONCLUSIONI Giunti alla conclusione dell’analisi, la risposta alla domanda che sta alla base dell’elaborato “quanto valgono gli oggetti nel processo di ricostruzione mentale del passato perduto?” appare chiara, anche grazie all’apporto concreto degli esempi fatti nel precedente capitolo e cioè che in un contesto autarchico, qual è stato quello sinora studiato, l’oggetto svolge una funzione di primaria importanza, che può essere suddivisa in due fasi: Nella prima fase vediamo come esso sia pedina imprescindibile nella creazione dell’immaginario collettivo, è supporto materiale di un impianto ideologico basato sulla parità dei cittadini, sulla semplicità e sulla funzionalità. L’oggetto, così considerato, appare caricato di una doppia valenza: fruibilità e legame emotivo. Nella seconda fase, quella della caduta del regime all’interno del quale il prodotto fu concepito, esso viene defunzionalizzato, perde il suo valore primo, quello della fruibilità, e resta il solo legame emotivo. L’oggetto viene sovraccaricato di una funzione che non gli è propria, viene risemantizzato. Acquista un’aura nuova: diviene tassello nel processo di ricostruzione del passato perduto. Letto nel caos di identità smarrite causato dalla dissoluzione del regime jugoslavo, l’oggetto è un libro di ricordi, apre un mondo di memorie e piccole sensazioni di carattere proustiano legate l’una all’altra attraverso una serie di impulsi sensoriali e mentali di cui esso è scrigno. E’ un processo di ricordo all’inverso, e la produzione in serie e monopolizzata lo rende non solo individuale, ma collettivo. Grazie all’esperienza diretta che ho avuto nell’area dell’ex jugoslava, ho potuto verificare di persona quale sia l’effettivo valore che anziani, adulti e giovani attribuiscono al ricordo. Ognuno a modo suo, ricrea quel mondo condiviso di cui è stato parte e che ora non c’è più, riscrivendo la sua propria storia e condividendola con tutti coloro che ne hanno spartito i frammenti. CAPITOLO 7 BIBLIOGRAFIA Iris Andrić, Vladimir Arsenijević, Đorđe Matić, Leksikon Yu Mitologije, Belgrado/Zagabria, Rende/Postscriptum, 2004. David Albahari, L’esca, Rovereto, Zadonai Editore, 2008. Eva Banchelli, Taste the East. Linguaggi e forme dell’ostalgie, Bergamo, Bergamo University Press, 2006. Maurizio Ferraris, Documentalità, perché necessario lasciare tracce, Lecce, Editori Laterza, 2014. Gian Piero Piretto, La vita privata degli oggetti sovietici, 25 storie da un altro mondo, Milano, Sironi Editore, 2012. Dubravka Ugrešić, Il ministero del dolore, Milano, Garzanti Libri, 2007. Dubravka Ugrešić, Il museo della resa incondizionata, Milano, Bompiani Editore, 2002. ARTICOLI ACCADEMICI Nicole Lindstrom, “Yugonostalgia: ristorative and reflective nostalgia in former Yugoslavia”. Iva Pauker, “Reconciliation and Popular Culture: A Promising Development in Former Yugoslavia?”, in: Local-Global: Identity, Security, Community, volume 2, Issue 2006, 2006. Ivica Baković, “(JUGO)NOSTALGIJA KROZ NAOČALE POPULARNE KULTURE”, in Philological Studies, 2008. CAPITOLO 8 SITOGRAFIA http://www.elbradipo.net/index.php/focus/68-la-nostalgia-e-l- enciclopedia (02.07.2014) http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/La-jugo-nostalgia-dei-croati- 26121 (5.07.2014) http://haw.nsk.hr/arhiva/vol2/786/17710/www.leksikon-yu- mitologije.net/index.php.html (12.07.2014) http://postyu.info (29.08.2014) http://www.leksikon-yu-mitologije.net (15.09.2014)