jugonostalgija - Osservatorio Balcani e Caucaso

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jugonostalgija - Osservatorio Balcani e Caucaso
Corso di Laurea (ordinamento
ante D.M. 207/2004)
in Lingue, Civiltà e Scienze del
Linguaggio
Tesi di Laurea
JUGONOSTALGIJA
Storia del ricordare: un percorso
attraverso gli oggetti
Relatore
Ch. Prof. Alessandra Andolfo
Laureando
Eva Zilio
837703
Anno Accademico
2013 / 2014
JUGONOSTALGIJA
Storia del ricordare: un percorso attraverso gli oggetti
STRUTTURA DELL’ELABORATO
INTRODUZIONE
1. CAPITOLO 1: Ostalgie
1.1. Breve storia introduttiva del fenomeno
1.2. Operazione nostalgia: esempi concreti nei paesi dell’ex blocco orientale
(parchi a tema, musei, negozi e merchandising, film ostalgici)
2. CAPITOLO 2: Jugonostalgija
2.1. Caduta del regime e guerre intestine come negazione del passato condiviso
2.2. Cambio rotta: gli anni zero come momento di sviluppo del sentimento
2.3. Esempi di elaborazione del ricordo come rielaborazione di sé: Leksikon YU
Mitologije, parchi a tema− il caso Kusturica
3. CAPITOLO 3: Oggetti e cose
3.1. Ruolo degli oggetti nella costruzione dell’immaginario collettivo nei regimi
socialisti
3.2. Oggetti e memoria di sé: quanto valgono gli oggetti nel processo di
ricostruzione mentale del passato perduto?
4. CAPITOLO 4: Leksikon YU Mitologije
4.1. Analisi e presentazione del progetto
4.2. Analisi dell’introduzione: proposta traduttiva
4.3. Scelta di tre oggetti jugonostalgici da analizzare
5. CAPITOLO 5: Analisi di tre jugo-oggetti
5.1. Oggetto uno: Fića (Zastava 750)
5.2. Oggetto due: Kalodont
5.3. Oggetto tre: Eurocrem
6. CONCLUSIONI
7. BIBLIOGRAFIA
8. SITOGRAFIA
INTRODUZIONE
Lo scopo che mi sono prefissata nella stesura di questa tesi è quello di
inquadrare nel concetto di ostalgie il sentimento che ha attraversato anche
le popolazioni dell’ex Jugoslavia dopo la morte del Maresciallo Tito, con la
caduta della SFRJ. Questo fenomeno è conosciuto come jugonostalgija.
Attraverso
l’analisi
del
saggio/volume/dizionario/contenitore-ricordo
Leksikon YU Mitologije, cercherò di parlare di quanto sia importante
l’oggetto nella creazione dell’immaginario collettivo e della cultura
condivisa in regimi di tipo socialista. L’oggetto materiale in quanto tale
acquista un valore simbolico che va ben oltre la sua funzione pratica. Si
carica di una valenza aggiuntiva che dura nel tempo e definisce dei tratti
estremamente connotativi. In un regima socialista questo è molto più
evidente, perché la produzione in serie fa sì che tutti condividano gli stessi
oggetti, che questi livellino le differenze tra ceti, che diventino parte di
quell’immaginario quotidiano che, soprattutto dopo la caduta spesso
traumatizzante del regime in questione, diviene tassello indispensabile per
la ricostruzione di quello che era, ma soprattutto di quello che si era. Per
farlo, prenderò in analisi tre oggetti appartenenti all’epoca jugoslava.
Gli oggetti, definibili “cose” in base alla distinzione fatta da Gian Piero
Piretto1 tra oggetto e cosa, saranno studiati in relazione a:

il momento della loro comparsa nella società jugoslava

la loro funzione pratica

il loro valore emotivo in confronto a quello funzionale

il significato che ora hanno nel processo di ricostruzione storica
dell’identità perduta
In conclusione, vorrei stabilire qual è il valore “ricordante” di questi
oggetti, cos’è che hanno definito e creato nelle menti degli ex jugoslavi,
come si rapportano attraverso di essi al loro senso di appartenenza ora che
lo stato di cui erano membri ha cessato di esistere.
1
G.P. Piretto La vita privata degli oggetti sovietici, stampato da New Press S.r.l, Ceremenate
(CO), p.11.
CAPITOLO 1
OSTALGIE
1.1.Breve storia introduttiva del fenomeno
Ostalgie. Neologismo tedesco, introdotto nello Zanichelli italiano solo nel 2008,
derivante dalla crasi delle parole tedesche “Ost” (est) e “nostalgie” (nostalgia).
Indica quel senso di spaesamento che accompagnò l’unificazione di Berlino, quel
rimpianto nei confronti della vecchia Repubblica Democratica Tedesca, della sua
vita quotidiana, dei suoi prodotti, di quello che differiva il cittadino tedesco
orientale da uno “capitalista” occidentale.
Con lo sgretolarsi del blocco socialista nell’Europa dell’Est, assistiamo
all’affermarsi di un diffuso sentimento di nostalgia, che la popolazione comune
provava nei confronti di “quello che c’era prima”. Questo sentimento non fu
immediato, perché inizialmente la gioia per la riunificazione e l’allineamento al
sistema capitalista era molta e le novità mettevano in secondo piano i problemi
che ad esse si accompagnavano. E’ solo nel 1993 che il termine tedesco viene
eletto “parola dell’anno”. In un breve lasso di tempo, con la caduta dell’Unione
Sovietica, questo neologismo fu applicato a tutte le altre realtà che un po’ alla
volta stavano subendo lo stesso processo di dissoluzione toccato alla Germania
dell’est. Quello che in precedenza sembrava un futuro dorato, iniziava a perdere
credibilità e mostrava i suoi punti deboli. Non tutto era perfetto come si
immaginava e questo era chiaro sia a livello politico che economico. Nel
contempo sorgeva il bisogno di salvaguardare la memoria di un sistema di vita
che per decenni aveva costituito la realtà e la quotidianità dei cittadini della
Germania orientale: ancora oggi possiamo ascoltare il rimpianto di molti per la
casa assicurata dallo stato, la sanità pubblica e gratuita, la chiarezza delle
direttive che venivano fornite alla popolazione e tutti i tratti positivi tipici
dell’esperimento socialista. Guardando al passato, spesso si fa l’errore di salvarne
solo gli aspetti positivi, tralasciando quelli negativi (come ad esempio
l’impossibilità di muoversi oltreconfine con facilità, il divieto di opposizione al
regime, il controllo sistematico sulla privacy individuale, e così via), ed è da
questa idealizzazione del ricordo che nasce il sentimento che si vuole evidenziare
in questa breve trattazione. Il porsi delle domande sul problema della memoria e
dell’identità collettiva improvvisamente persa, del cambiamento e del nuovo
presente, ha dato vita ad un fenomeno di vasta portata che coinvolge, come
abbiamo detto, tutti i paesi dell’ex blocco orientale. Tuttavia, nello specifico, ciò di
cui si vuole parlare partendo dal termine ostalgie non è la riflessione sul
cambiamento politico, ma il rapporto del singolo con tutta l’oggettistica,
espressione materiale del precedente sistema, che sparì di punto in bianco dal
commercio e che lasciò per molti un vuoto incolmabile. Tutt’a un tratto infatti, il
sistema di produzione socialista si bloccò, seguendo il collasso storico del regime
a cui apparteneva, e i beni che erano forniti ai cittadini sparirono dall’oggi al
domani.
In un regime socialista, dove la produzione in serie garantisce solo una
disponibilità limitata di articoli, non essendoci la molteplicità di aziende, marche
e modelli garantita dal sistema del libero commercio e la gamma di scelta è
quindi estremamente inferiore ma soprattutto condivisa da tutti, il rapporto tra il
singolo soggetto e l’oggetto in questione cambia, assume una valenza aggiunta,
una sorta di intimità a noi estranea. L’oggetto è tassello nella creazione
dell’immaginario collettivo, fa parte di quel panorama che crea e caratterizza
l’appartenenza del cittadino, il suo riconoscimento ed auto inserimento nella
comunità socialista a cui è legato.
E’ in questo contesto che ritengo opportuno inquadrare il termine ostalgie nella
stesura della mia tesi: nel rapportarsi dei singoli “ex cittadini” con l’oggettistica
del vecchio regime.
Di seguito, riporterò alcuni esempi pratici relativi al fenomeno.
1.2.Operazione nostalgia: esempi concreti nei paesi del’ex blocco
orientale (parchi a tema, musei, merchandising e negozi, film
ostalgici)
Come anticipato, quello che ci interessa di questo fenomeno è il suo concretizzarsi
nella sfera privata. Questa attitudine va però ben distinta dalla tendenza che ha
portato, dopo la perdita di potere del comunismo, alla mercificazione di oggetti
simbolo ai fini di vendita ai turisti. Molti di questi oggetti hanno infatti subito una
mistificazione commerciale che li ha spogliati della loro aura emotiva e li ha resi
semplici simulacri di un’epoca che non c’è più e che così, caduta e quindi innocua,
è diventata solo una banale espressione kitsch della vecchia diversità. Il confine
tra queste due realtà distinte è molto sottile, come vedremo con gli esempi che
verranno ora citati.
In Germania sono molte le imprese che si rivolgono a chi soffre di ostalgie
rimettendo in produzione marchi obsoleti della vecchia DDR. C’è un apposito
negozio a Berlino per la vendita di prodotti autarchici, l’Ostpaket2, e di questo
ambiente possiamo notare che non si tratta solo di un negozio di souvenir, rivolto
alla massa turistica di curiosi in cerca di un ricordo, ma di un luogo frequentato
principalmente da anziani ex cittadini, nel tentativo di colmare il vuoto creatosi
col collasso storico di cui sono stati vittime. Ci sono un’innumerevole quantità di
musei a tema in cui sono ricreati gli ambienti tipici della vita quotidiana in epoca
socialista, o dove sono conservate le vecchie monumentali statue della
propaganda, rimaste incolumi alla furia iconoclasta seguita alla liberazione.
Alcuni di questi sono il DDR Museum di Berlino, criticato da molti, tra cui il
portavoce del Deutsches Historisches Museum Rudolf Trabold che sostiene “Non
c’era veramente alcun bisogno di un museo del genere. E’ una ricostruzione
consumistica del regime comunista, un modo per dire: oh, era tutto così carino”.
Altri esempi sono il Memento Park di Budapest e il parco di Grutas in Lituania,
che ripropongono una collezione di statue e monumenti dell’epoca. Decisamente
più critico, sempre in Lituania, è il parco a tema Išgyvenimo Park, inaugurato
all’inizio del 2008 per permettere ai turisti di sperimentare una giornata tipo del
cittadino sovietico (l’esperienza, ad alto impatto emotivo, include: visione di
programmi televisivi del 1984, imparare a indossare la maschera antigas, subire
un interrogatorio rinchiusi in un bunker, imparare l’inno sovietico, mangiare cibo
tipico dell’epoca, una visita medica in stile Gulag e così via)3. Grande successo
hanno avuto anche alcuni film, tra i più noti cito “Goodbye Lenin!” (2003), ormai
un cult, del regista Wolfang Becker.
Tutto questo ci mostra come il problema del ricordare, della raccolta di
testimonianze tangibili della quotidianità perduta per ricostruire frammenti della
vita passata e, di conseguenza, anche sé stessi, abbia fatto nascere una notevole
varietà di realtà commerciali e non, turistiche e non in cui vivere, comprare o
scambiare il proprio pezzo di storia, facendo di alcuni veri e propri collezionisti di
un mondo che non c’è più.
2
3
http://www.ostpaket-berlin.de/
http://sovietbunker.com/
CAPITOLO 2
JUGONOSTALGIJA
2.1. Caduta del regime e guerre intestine come negazione del passato
condiviso
Il 4 Maggio 1980 presso il Klinični center di Ljubjana, muore il Maresciallo Tito,
tre giorni prima del suo ottantottesimo compleanno. Già a partire dai suoi ultimi
mesi di vita era diminuita la sua presenza nella gestione degli affari politici dello
stato a causa dei problemi circolatori che lo affliggevano. Inoltre, si erano
sollevati dubbi sulla capacità degli eventuali successori di mantenere salda l’unità
panjugoslava da lui creata secondo il principio “bratsvo i jedinstvo”4
cementificato dall’ideologia socialista nella sua componente antistalinista e per
certi versi filoccidentale. I dubbi si tramutarono in una triste realtà circa dieci
anni dopo la sua scomparsa con il montare sempre più allarmante dei
nazionalismi. Tito era riuscito a manipolarli come strumenti per mantenere il
proprio ruolo di mediatore super partes ma senza la sua presenza unificante, il
collante che univa le varie etnie sotto un unico stendardo venne a mancare e
iniziarono le lotte intestine note come dissoluzione della Jugoslavia. (Va detto
tuttavia che il nazionalismo non fu l’unica causa della guerra, fu piuttosto la
spinta che diede ad essa propulsione. Tra le altre motivazioni vanno ricordate: le
pesanti differenze di sviluppo economico tra le singole repubbliche, la netta
contrapposizione tra popolazione urbana e rurale, l’inflazione e la crisi
economica, la paralisi degli organi politici del sistema federale e le stesse
ambizioni personali dei leader coinvolti.)
Con questa definizione si intendono quei conflitti inquadrabili come guerre civili
e lotte secessioniste che hanno coinvolto i territori appartenenti alla Repubblica
Socialista Federale di Jugoslavia dal 1991 al 1995, portando alla sua dissoluzione.
In questo contesto, parlare del passato condiviso e fare riflessioni di carattere
nostalgico sulla dissoluzione della SFRJ era totalmente impensabile. La guerra
imponeva di fare tabula rasa nelle menti e nei cuori, l’importante era marcare
quanto più possibile la distinzione tra le varie etnie, a livello culturale, linguistico,
politico... Per questo motivo si cercò di eliminare tutti quei tratti che avevano
mantenuto salda l’integrità collettiva sino alla morte di Tito. La dissoluzione del
regime rese netta la contrapposizione tra memoria collettiva, con la quale si
4
Fratellanza e Unità. Sentimento che univa i popoli della Federazione, lo spirito laico, interetnico
e tollerante sulla base del quale, secondo Tito, andava rifondata la Jugoslavia.
intende la successione storica di eventi a cui ogni singolo è esposto, e memoria
condivisa, che si caratterizza per la presenza della soggettività di ogni singolo nel
processo del ricordare. In questo caso, possiamo comprendere come un
partigiano che lottò per la creazione della SFRJ avesse una memoria condivisa
nettamente diversa da quella di un nazionalista convinto. Nella situazione di
conflitto provocata dalla guerra a prevalere fu la seconda e ogni nostalgia storica
fu nettamente bandita. I dati del censimento del 1991 lo dimostrano chiaramente:
-36% della popolazione si dichiarò serbo
-20% croato
-10% bosniaco musulmano
-9% albanese
-8% montenegrino
-6% macedone
-2% ungherese
E solo il 3% jugoslavo.
Concludendo, quello che voleva rendere esplicito questo capitolo è come, subito
dopo la caduta del regime, la situazione di conflitto impose un totale rifiuto del
ricordo del passato e parlare di jugonostalgija in quegli anni è praticamente
impossibile.
2.2 Cambio di rotta: gli anni zero come momento di sviluppo del
sentimento
E’ con l’avvento degli anni zero che le cose iniziano a cambiare. Con il tentativo di
elaborazione del trauma causato dalla guerra, la popolazione civile inizia a
guardare al suo passato. La difficoltà nell’affrontare un presente di distruzione
porta il singolo a riflettere su molti degli aspetti positivi che il socialismo offriva,
sulle sicurezze e le certezze che erano garantite ai cittadini. Oltre alle riflessioni di
carattere pratico e politico, subentrano anche quelle affettivo-psicologiche. Si
inizia a pensare a tutto quello che c’era e che ora non c’è più. Si pensa agli oggetti,
agli eventi e alle feste, ai personaggi, ai miti caduti, a tutto quello che dava forma
e consistenza all’esperimento socialista. Il trauma della sparizione del proprio
passato fa innescare il meccanismo di salvaguardia della memoria, laddove
questo sia possibile. Lo riscontriamo soprattutto tra i profughi, tra coloro che
hanno lasciato la patria nel periodo di guerra. Se in essi la potenza accecante
dell’odio nazionalista era minore, maggiore era il sentimento di sradicamento e
perdita di sé. Ampio esempio di questa perdita di identità lo troviamo nei
romanzi di Dubravka Ugrešić, scrittrice croata contemporanea auto esiliatasi per
ragioni politiche nel 1993. Sia in Muzej bezuvjetne predaje5che in Ministarstvo
boli6, la scrittrice croata fa una lucida analisi del ruolo dell’esule, di cosa
comporta, di come è affrontato. Secondo il percorso che si sta cercando di seguire,
è di particolare importanza il secondo romanzo citato, Ministarstvo boli, (Il
ministero del dolore7). All’università di Amsterdam, sotto il corso di Lingua e
letteratura serbo-croata, si trovano riuniti la protagonista-docente e degli
studenti-profughi di guerra. Tutti stanno scappando da un qualcosa che non c’è
più e tutti stanno cercando di ricostruirsi. Il fulcro dell’intero romanzo è la
rielaborazione di una memoria condivisa attraverso la collezione di storie e
aneddoti legati ad un certo oggetto.
Interessante è l’opinione riguardo questo fenomeno di Dražen Lalić, noto
sociologo di Zagabria: “ La jugo-nostalgia è un sentimento molto comune non
solo tra i più anziani, ma anche tra i più giovani. Questi ultimi, tuttavia, lo
sentono solamente a livello culturale, e non politico.”, spiega Lalić. “Dopo una
lunga insistenza sul fatto che la Croazia appartiene esclusivamente al milieu
culturale dell’Europa centrale e mediterranea, ora diventa sempre più evidente
che, prendendo in considerazione lo stile di vita dei propri cittadini, la
mentalità, i simboli e tutto quanto costituisce la cultura, la Croazia appartiene
anche al milieu culturale balcanico. E noi associamo questo con la Jugoslavia,
così che tutti quelli che sentono come proprio questo milieu - perché ne
comprendono la lingua e la vicinanza culturale - vengono definiti jugonostalgici.”8
2.3. Esempi di elaborazione del ricordo come rielaborazione di sé:
Leksikon YU Mitologije, musei, parchi a tema−il caso Kusturica
Dunque, è sempre sull’onda del sentimento di ostalgie che anche nei territori
dell’ex Jugoslavia compare quel sentimento che definiremo da ora in avanti
jugonostalgija. Gli esempi sono molti: parlando sul posto con le persone che
hanno vissuto quel periodo si può percepire una sorta di diffuso rimpianto.
Citiamo alcuni estratti tratti da due interviste fatte a cittadini croati:
5
Dubravka Ugrešić, Il museo della resa incondizionata, Milano.
Dubravka Ugrešić, Il ministero del dolore, Milano.
7
Dubravka Ugrešić, Il ministero del dolore, Milano.
8
Tratto dall’articolo “La jugo-nostalgia dei croati”, di Drago Hedel.
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/La-jugo-nostalgia-dei-croati-26121
6
“La jugo-nostalgia esiste, ma la gente non rimpiange la Jugoslavia come ex
Stato; rimpiangono la qualità della vita di cui lì potevano godere. Credono che
la vita fosse molto migliore in Jugoslavia - erano più sicuri, avevano uno
standard di vita superiore, un lavoro sicuro e un miglior sistema sanitario di
quello che hanno ora” afferma Milanka Opačić, 36 anni, vice presidente del
partito socialdemocratico (SDP), un partito che i nazionalisti accusavano di
tendenze pro jugoslave mentre erano al potere. Le parole della nota esponente
politica della giovane generazione riecheggiano in quelle di Josip Horvat, un
pensionato, che lavorava per la grande ditta di Zagabria "Rade Končar".
" Avevo un lavoro sicuro, una cosa che i miei figli non hanno; non dovevo
pagare per l’assicurazione medica addizionale, cosa che i miei figli invece
devono fare; potevo camminare per Zagabria nel mezzo della notte, senza
preoccuparmi del fatto che qualcuno avrebbe potuto derubarmi, cosa che ora
invece neppure oso fare. Era meglio, la vita era più semplice e non c'erano così
tanta criminalità e furti - dice Horvat."9
Si trovano spesso mercatini in cui vengono venduti “pezzetti di storia” come
medagliette, stemmi, borse, accessori per giovani pionieri. A Belgrado il museo
della Jugoslavia e la Kuća Sveća (monumento funebre costruito presso la collina
Dedinje che ospita la salma dell’ex dittatore Tito) restano luoghi simbolo, carichi
di fascino e scrigno dell’unità perduta. Da ricordare anche il museo-esposizione
“Živeo Život!”, in cui vengono ricostruiti in chiave nostalgica vari ambienti e
momenti della vita di un cittadino jugoslavo (il supermercato, la mensa, la
stazione degli autobus, la biblioteca, la moda, ecc.).10 Già il titolo che è stato scelto
indica il forte valore vivificante che si attribuisce al passato, un sentito “Viva la
vita” contro gli anni bui della guerra, della separazione e della lotta intestina.
Scopo principale del progetto è ricreare il clima tipico, far rivivere la giornata
dell’uomo comune. Questa l’introduzione nel sito citato nella nota
numero
dodici:
“L’uomo comune” si alzava alle sei, si lavava i denti con il dentifricio fatto in casa,
usava la lozione Pitralon11 e il suo appartamento profumava di latte caldo.
“L’uomo comune” guidava la sua nuova automobile Fiča12, leggeva il giornale
9
“La
jugo-nostalgia
dei
croati”
di
Drago
Hedel,
tratto
dal
sito
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/La-jugo-nostalgia-dei-croati-26121
10
La mostra si presenta come un’esposizione itinerante, ed ha visto la sua prima comparsa a
Belgrado dal giugno al luglio del 2013. Attualmente si trova a Novi Sad.
http://www.ziveozivot.com/
11 Con lozione Pitralon si intende un prodotto estremamente diffuso usato come dopobarba.
12 Si intende il modello di auto Zastava 750, prodotto appunto dall’azienda Zastava sotto licenza
dell’italiana Fiat.
Start13 e ascoltava Ivo Robić14 e i Siluete15 . Andava a Trieste a comprare quello
che non trovava nei grandi magazzini nazionali, campeggiava in compagnia,
senza spendere soldi, si rallegrava alle feste statali e... Viva la Vita!16
Tra le manifestazioni del fenomeno più interessanti vanno senza dubbio citate le
cittadelle/parchi tematici fatti costruire dal regista Kusturica. Uno di questi è il
villaggio di Kustendorf, di cui forniremo ora una breve descrizione:
“Küstendorf, anche chiamata Drvengrad (villaggio di legno) e Mećavnik, è un
villaggio tradizionale fatto costruire dal regista serbo Emir Kusturica per il suo
film La vita è un miracolo (2004). È situato a 200 km a sud-ovest
di Belgrado in Serbia adiacente al villaggio di Mokra Gora, presso la frontiera con
la Bosnia-Erzegovina e tra la città serba di Užice e quella bosniaca di Višegrad,
resa famosa dal romanzo Il ponte sulla Drina dello scrittore Premio Nobel per la
letteratura Ivo Andrić. Per la sua creazione il regista ha ricevuto il Premio
Europeo all’Architettura Philippe Rotthier nel 2005. «Ho perso la mia città
[Sarajevo] durante la guerra. È per questo che ho voluto costruire il mio villaggio.
Porta un nome tedesco: Kustendorf. Là organizzerò seminari per le persone che
vogliono imparare a fare cinema, concerti, ceramiche, dipingere. È il luogo dove
vivrò e dove qualcuno potrà venire di tanto in tanto. Ci saranno, naturalmente,
altri abitanti che lavoreranno là. Sogno un luogo aperto con una diversità
culturale che competa contro la globalizzazione ».17
L’operazione nostalgia messa in atto dal regista, oltre ad avere fini pratici di set
cinematografico, ha una chiara valenza simbolica. Nel nuovo villaggio vengono
ricostruite e mantenute integre molte di quelle peculiarità che la guerra aveva
spazzato via, come ha dichiarato nell’intervista sopracitata lo stesso Kusturica.
L’esperimento di elaborazione del ricordo diviene quindi anche un metodo di
rielaborazione del sé perduto.
13Rivista
zagrebese sulla vita quotidiana del cittadino jugoslavo.
Ivo Robić fu un noto cantautore croato degli anni ’50.
15
I Siluete furono un famoso gruppo rock belgradese, degli anni ’70.
16
Mia traduzione, di seguito si riporta l’originale: “Običan čovek” je ustajao u 6 sati, prao zube
domaćom pastom, koristio "Pitralon" losion, a stan mu je mirisao na toplo mleko. “Običan čovek”
je vozio svog novog “Fiću”, čitao je "Start" magazin, slušao je Ivu Robića i Siluete. Išao je u Trst
da kupi ono što nije mogao u domaćim robnim kućama, kampovao je sa društvom – bez para,
radovao se državnim praznicima i ... Živeo Život!
14
17
http://kustendorf-filmandmusicfestival.org/2014/,
http://it.wikipedia.org/wiki/K%C3%BCstendorf
Altro esempio di questo processo è il libro Leksikon YU Mitologije18, collezione
cartacea e virtuale del mondo scomparso, che nel suo itinerario creativo ha subito
il crollo del regime vedendo cambiare la sua funzione prima da specchio della
realtà condivisa a baluardo del ricordo. Ulteriori approfondimenti sul Leksikon
verranno fatti nel capitolo ad esso dedicato.
18
Leksikon Yu Mitologije, Rende/Postscriptum, Belgrado/Zagabria.
CAPITOLO 3
OGGETTI E COSE
3.1.Ruolo degli oggetti nella costruzione dell’immaginario collettivo in
regimi socialisti
Come già accennato, in un regime socialista l’oggetto assume un ruolo e una
connotazione diversi da quelli a cui noi siamo abituati. La differenza
fondamentale non è solo nella serialità della produzione, l’industria di per sé
produce oggetti in massa sia a est che a ovest, quel che rende diversa la
percezione dell’oggetto nei paesi socialisti è il monopolio statale sui beni di
consumo. Tutto questo fa sì che la disponibilità materiale sia limitata e livella la
capacità di possesso dei singoli, mettendoli tutti sullo stesso piano. Questo ha
diverse conseguenze: l’oggetto mantiene con più evidenza la sua funzione pratica.
Spesso noi tendiamo a dimenticarla, divenendo accumulatori per il semplice
piacere dell’avere. Nel suo rapporto relazionale con il soggetto, viene quindi in un
certo senso defunzionalizzato: questo non accadeva, anzi. La penuria materiale
faceva sì che ogni oggetto venisse trattato per ciò che era. La dinamicità del
rapporto col fruitore stava nell’essere il solo oggetto disponibile (o uno dei pochi),
nell’essere pratico, indispensabile e per questo caro all’immaginario condiviso.
Infatti, la limitata capacità di possesso che ciascuno aveva rendeva ogni oggetto
intrinseco non solo di un investimento tecnologico e funzionale, ma anche
emotivo. Nell’esperimento socialista, la fruizione e la percezione dell’oggetto da
parte del cittadino avevano un ruolo chiave nella costruzione del discorso
culturale. I prodotti autarchici del socialismo erano caricati di un’aura portatrice
del messaggio ideologico. Erano prodotti unici, in tutti i sensi, e questa loro
unicità li portava a divenire tassello nella creazione dell’immaginario condiviso
che il regime costruiva.
Possiamo quindi riscontrare questo doppio rapporto: l’importanza estrema della
fruibilità dell’oggetto affiancata dal ruolo emotivo che esso assume. Prendiamo ad
esempio dei biscotti per bambini. Nei nostri supermercati ne possiamo trovare a
decine, ognuno ha la sua preferenza, ma la scelta è così vasta che spesso non ci si
fa più caso. Per un bambino cresciuto nell’ex Jugoslavia invece era diverso. I
famosi biscotti Plazma19 erano conosciuti e amati da tutti. Erano una tappa
inevitabile, che si legava alla memoria degli anni di crescita. Tutti li conoscono e
questo fa di loro non solo dei biscotti per bambini, ma i biscotti per bambini.
19
Plazma, pag. 311 “Leksikon YU Mitologije”
A sostegno di questa tesi, si riporta lo schema del filosofo Maurizio Ferraris sul
metodo umano di catalogo del mondo, tratto dal volume Documentalità, perché è
necessario lasciare tracce20. Sebbene in quest’opera lo studioso concentri la sua
attenzione sul ruolo del documento cartaceo come memoria dell’atto e quindi del
sé, ritengo che possa essere chiarificante anche per la tesi qui sostenuta.
Esemplari
Soggetti con rappresentazioni
Rappresentazioni
Espressioni
Naturali
Iscrizioni
Cose
Oggetti senza rappresentazioni
Ideali
Strumenti
Sociali(supporti+iscrizioni)
Opere
Documenti
Secondo quanto riportato, l’oggetto resta immutabile nella dinamica percettiva
rispetto al suo fruitore, ed è quindi quest’ultimo che varia la sua ricettività a
seconda del contesto in cui si trova. Nel caso storico da noi analizzato, il soggetto
varia la sua percezione nei confronti dei biscotti sopracitati poiché il crollo del
regime e del mondo a cui apparteneva li ha connotati di un valore aggiunto, che è
quello del ricordo. Nel suo dare concretezza visiva al concetto di cui è portatore,
l’oggetto ha una sfumatura eternante ed è per questo che il processo di
catalogazione è un bisogno così impulsivo e intrinseco dell’uomo. Grazie a questa
sua attività di documentatore infatti, esso può fare sopravvivere parti di sé,
smarribili nel fluire del tempo. A questo bisogno di lasciare tracce andrà a
ricondursi la domanda fondante che sta a tesi di questo elaborato: quanto
valgono gli oggetti nel processo di ricostruzione mentale del passato perduto?
20
Maurizio Ferraris, Documentalità, perché è necessario lasciare tracce, Lecce, p.3
3.2.Oggetti e memoria di sé: quanto valgono gli oggetti nel processo di
ricostruzione mentale del passato perduto?
Inquadrato in quest’ottica, l’oggetto assume un ruolo di estrema rilevanza nel
processo di ricostruzione mentale del passato perduto. Il conservare o riprodurre
cimeli dell’epoca precedente diviene un metodo di salvaguardia della memoria.
L’oggetto defunzionalizzato resta impresso nelle menti in tutto il suo valore
affettivo. Nel rapporto relazionale tra soggetto e oggetto viene quindi meno la
funzione pratica e si innesca un processo di risemantizzazione della cosa in
questione. Tenendo valido l’esempio dei sopracitati biscotti, con la caduta del
regime essi hanno acquisito un ulteriore valore aggiunto: i plazma sono baluardo
di una serie di ricordi, emozioni, sensazioni di una vita sparita, che ha cessato di
essere e che forse per questo esercita un fascino sempre maggiore. Il passato è
facile da lodare in un presente di fatica, guardando ad un futuro incerto. Per dirlo
attraverso Proust:
“ci
sono due
tecniche
o
gradi
di
recupero
del
ricordo: memoria
volontaria e memoria spontanea. La memoria volontaria richiama alla nostra
intelligenza tutti i dati del passato ma in termini logici, senza restituirci l'insieme
di sensazioni e sentimenti che contrassegnano quel momento come irripetibile;
la memoria spontanea o involontaria (epifania secondo la tradizione decadente)
è quella sollecitata da una casuale sensazione e che ci rituffa nel passato con un
procedimento alogico, che permette di "sentire" con contemporaneità quel
passato, di rivederlo nel suo clima: è "l'intermittenza del cuore" la tecnica da
seguire per il recupero memoriale basato sull'analogia-identità tra la casuale
sollecitazione del
presente e ciò
che è
sepolto
nel tempo
perduto.
La memoria involontaria cattura con un'impressione o una sensazione l'essenza
preziosa della vita, che è l'io e serve a spiegare il valore assoluto di un ricordo
abbandonato dall'infanzia, risvegliato attraverso il sapore di un dolce o l’odore di
un profumo. Questo procedimento porta alla vittoria sul tempo e sulla morte, cioè
ad affermare noi stessi come esseri capaci di recuperare il tempo e la coscienza
come unico elemento che vince la materia e porta alla verità e alla felicità.
Ricordare è creare. Ricordare è ri-creare.” 21
E’ appunto su questo secondo tipo di memoria, ovvero il ricordo spontaneo, che si
basa il concetto stesso di ostalgie e che si fonda questo sentimento di
attaccamento agli oggetti spariti. E’ attraverso essi che si possono ricostruire
momenti della vita passata, situazioni tipiche, sia private che condivise. Quando
21
http://it.wikipedia.org/wiki/Alla_ricerca_del_tempo_perduto
poi si tratta di una separazione traumatica dalla propria nazione, come nel caso
dei profughi di guerra, gli oggetti hanno un’importanza forse ancora più grande.
L’evento traumatico infatti spesso porta a cancellare quelli che sono i ricordi ad
esso legati e per molti si è trattato di una vera e propria perdita di identità. E’
grazie ad una ricostruzione a tappe attraverso i beni materiali che si può ricreare
il ricordo e tentare una definizione del sé perduto. E questo è il processo attuato
nel già citato romanzo di Dubravka Ugrešić Il ministero del dolore.
CAPITOLO 4
LEKSIKON YU MITOLOGIJE
4.1.Analisi e presentazione del progetto
Leksikon Yu Mitologije è un progetto di raccolta di tutti gli oggetti, gli eventi, le
persone e le cose che hanno contribuito alla creazione dell’immaginario collettivo
del cittadino jugoslavo. Si tratta quindi di una sorta di dizionario mitico la cui
genesi fu lunga e travagliata. Risale infatti al 1989 quando Dubravka Ugrešić
assieme a Dejan Kršić e Ivan Molek della rivista Start, lanciarono l’appello per la
sua creazione:
“Spettabili,
la redazione di Start, di Arkzin e di Arkzin/Rende vi invita a collaborare al
progetto
per
un
libro
e
un
sito
web
del
Lessico
della
mitologia
jugoslava [Leksikon jugoslavenske mitologije]. La tesi da cui parte il nostro
progetto è che esiste un lessico della locale – jugoslava – cultura popolare, dei
concetti articolati che potrebbero aiutare a definire le nostre identità. La
situazione politica lo mostra chiaramente. Il problema è più ampio della mera
mancanza della locale – jugoslava – cultura popolare. La questione della nostra
identità-origine-fonte-passato comune, dovremmo indagarla non tanto per il
mondo ma in primo luogo per noi stessi. Il futuro Leksikon lo abbiamo
immaginato come una qualche forma dell'enciclopedia borgesiana. Ci aspettiamo
da voi, nostri collaboratori, una fantasiosa e non tecnica trattazione dei concetti
(miti, fenomeni...) della quotidianità jugoslava (quella politica, ideologica,
consumistica, mediatica, ecc.) dal 1945 a oggi.”22
Con lo scoppio della guerra e con tutto ciò che essa comportò, l’idea del Leksikon
fu abbandonata e la sua principale ideatrice andò in esilio volontario. Come
spiegato nel primo paragrafo del secondo capitolo, i nazionalismi bandirono
qualsiasi forma di nostalgia e avviarono un massiccio processo di diversificazione
linguistica e culturale. Fu dopo gli anni zero che, con l’allentamento delle
tensioni, ricomparve la sindrome “dell’epoca d’oro” e con esse l’idea del progetto.
E’ nel 2001 che un gruppo zagabrese e uno belgradese mettono in rete un sito in
cui ripropongono l’idea della Ugrešić: cosa vi ricordate, cos’è tipico nei vostri
ricordi di quegli anni, quali precise forme aveva? La domanda ha dunque un
22
Estratto dall’articolo “La nostalgia e l’enciclopedia” dalla rivista online ElBradipo.
http://www.elbradipo.net/index.php/focus/68-la-nostalgia-e-l-enciclopedia
notevole cambio di prospettiva: se inizialmente ci si chiedeva chi siamo?, ora ci si
chiede chi eravamo?.
Si riparte in formato virtuale e l’appello lanciato assume proporzioni notevoli ed
inaspettate, tanto da rimettere in moto il meccanismo inceppatosi dieci anni
prima, facendo di questa raccolta online un vero e proprio libro. Molto
interessante in questo processo creativo è il fatto che si parta da un progetto
virtuale per arrivare ad uno cartaceo ed inoltre che siano due coordinamenti
rispettivamente uno serbo ed uno croato a dar nuova vita all’idea, a segno di una
riconciliazione in nome del passato che fu. Il libro, nella sua travagliata nascita,
perde la prima funzione di enciclopedia del mondo condiviso e diviene
enciclopedia del ricordo del mondo condiviso. La rete lo rende in primis uno
strumento di comunicazione, come riporta l’introduzione:
“Lo abbiamo fatto in primo luogo per noi stessi e non ci aspettavamo molto. Poi
accadde una cosa strana. Come naufraghi che mandano messaggi “in bottiglia”,
hanno iniziato a contattarci i nostri ex concittadini, letteralmente da tutto il
mondo. E non è solo per dire: un musicologo di Novi Sad scrive da Gerusalemme,
un impiegato da un ufficio di Londra, un famoso regista da Parigi, due ex
adolescenti zagabresi da New York…”.
Il sito internet dunque acquistò sempre più spessore, suscitando l’interesse di
molti e divenendo porto sicuro per la fluttuante memoria di coloro che si erano
smarriti. E’ per questo motivo che il meccanismo di recupero del ricordo da essi
attuato non è un semplice procedimento nostalgico, ma un processo di
ricostruzione critica dell’immaginario scomparso. Si parte dalla grafica, che
richiama quella di quegli anni: il libro è impostato come fosse un falso cimelio
d’epoca, richiama lo stile del tempo. Nel suo formato tuttavia oscilla sempre tra
emulazione e parodia e questo gli fa mantenere quell’aura ironica che costituisce
parte fondante del suo fascino. Il libro-contenitore indaga il concetto di nostalgia
come sotto categoria della memoria e quindi dell’identità individuale e collettiva e
non lo
fa attraverso premesse filosofiche o
analisi psicologiche, ma
semplicemente attraverso la descrizione di singoli oggetti cari a coloro che hanno
preso parte alla sua stesura. E’ per questo motivo che esso si inserisce alla
perfezione nell’analisi sinora svolta. Alla domanda: quanto valgono gli oggetti nel
processo di ricostruzione mentale del sé perduto? Questo volume offre una chiara
risposta. L’oggetto è parte fondante della cultura a cui appartiene, ne diventa
simbolo, pilastro, specchio, immagine. Ad esso si legano i ricordi dei momenti di
vita a cui serviva e va a creare quell’insieme di memorie che costruisce tanto
l’intimità del singolo quanto la sfera del condiviso.
Per concludere la genesi creativa del libro, venne edito nel 2004 dalle rispettive
case editrici a Belgrado (Rende) e a Zagabria (Postscriptum). Gli editori del
progetto finale sono: Iris Adrić, Vladimir Arsenijević e Đorđe Rosić. La prima
stampa prevede un tiraggio di tremila copie.
Analizzandone invece l’impostazione, oltre alla particolare e coinvolgente grafica,
va sottolineato che il libro si apre con una breve prefazione, di cui tratteremo in
seguito, accompagnata da un indice cronologico illustrato, in cui vengono
riportati tutti gli eventi salienti coadiuvati da un impianto illustrativo. I colori
usati per l’intero volume sono quelli della bandiera della Federazione: bianco
rosso e blu. Gli oggetti vengono presentati attraverso una vera e propria tipologia
da dizionario: i lemmi sono impostati secondo una divisione alfabetica, spesso
accompagnati da foto o illustrazioni. Ognuno di essi riporta la paternità, che sia
essa dichiarata con il nome dell’autore o anonima, a seconda della provenienza
del ricordo. Si tratta di oggetti, persone, eventi collettivi, film, band musicali.
Tutto quello che ha effettivamente avuto un ruolo fondante nella creazione
dell’immaginario condiviso.
4.2. Analisi dell’introduzione: proposta traduttiva
Non essendo mai stato tradotto in italiano, si propone di seguito una personale
traduzione delle pagine introduttive del Leksikon, ovvero della prefazione degli
editori Đorđe Rosić e Iris Adrić.
“Nell’anno 1989, Dubravka Ugrešić e i redattori della rivista “Start”, Dejan Kršić e
Ivan Molek, hanno lanciato un appello per la cooperazione al progetto “Leksikon
YU Mitologije”. Si è partiti dal presupposto che non c’erano concetti articolati
riguardanti la cultura popolare jugoslava che aiutassero alla definizione della
nostra identità. Il problema era, scrivevano gli artefici, “più ampio che semplici
carenze interne della cultura popolare”, e affermavano che avrebbero dovuto
esplorare la questione dell’identità jugoslava “non solo per il mondo, ma
particolarmente per noi stessi” aggiungendo che “la situazione politica attuale ce
lo mostra chiaramente”. L’ultima frase oggi suona ironica. Dalla domanda “cosa
siamo?”, si giunge a “cosa eravamo?” e per molti anche questa domanda è
divenuta “superflua”, perché a loro la risposta era già “nota”. I nuovi stati hanno
stabilito differenze tra il passato e la memoria, dalla confisca dei monumenti alla
reinterpretazione del passato secondo una assoluta negazione anche del conteggio
del tempo, una sorta di “anni zero”. Sembrava che con la caduta della SFRJ si
fosse perduta la necessità di compilazione del Leksikon. Il progetto è tuttavia
tornato in vita, dopo la tragedia collettiva, nella seconda metà degli anni novanta,
quando in una riunione in esilio Dubravka Ugrešić e gli altri sottoscriventi di
questa prefazione hanno deciso di rinnovare l’intero progetto. Ci ha guidato,
anche se tacito, il sentimento che aveva già descritto a proposito del Leksikon
Boris Buden: “tutto ciò che viene dopo non è solo per questo migliore”. In
collaborazione con la zagabrese Arkzin di nuovo è stata creata la redazione e una
semplice pagina internet. Abbiamo fatto questo soprattutto per noi stessi, non
aspettandoci troppo. E poi è accaduta una cosa strana. Come dei naufraghi,
hanno iniziato ad inviarci “messaggi in bottiglia”, i nostri ex concittadini,
letteralmente da tutte le parti del mondo. Questa non è affatto una frase banale:
un musicologo di Novi Sad a Gerusalemme, un’impiegata in una cancelleria
londinese, un famoso regista da Parigi, da New York due ex teenager di Zagabria,
il nostro scrittore dall’Irlanda, un giovane conduttore televisivo di Zagabria, sono
stati tra i primi a mandarci contributi. Velocemente sono stati accompagnati da
altri: professionisti nelle faccende di scrittura, ma anche molti altri che non
hanno mai pubblicato una riga. Hanno risposto alla nostra chiamata in decine e
poi in centinaia di autori delle più diverse estrazioni sociali. Molti, lontani da
casa, riscaldati dalla nostalgia e non solo traumatizzati dai recenti eventi e zittiti
dalla repressione di quei fatti che Dubravka Ugrešić chiama “le note umilianti”,
hanno trovato nel nostro sito una sorta di riparo, il porto in cui, volendo, possono
dare sfogo al loro alienato diritto alla memoria. Si sono riversati ricordi, privati e
collettivi, nomi dimenticati della cultura popolare locale, a volte come bozze, altre
sotto forma di saggio, testo letterario, spesso come una miscela di stili e generi.
Anche le lingue erano diverse. Alcune hanno conservato lo stile carico delle
recenti modifiche linguistiche, altri hanno mescolato i registri, creando
inconsciamente una neolingua. Entrambi si sono in certi casi dati il tormento per
descrivere fenomeni dell’era passata. Cercavano di scrivere al meglio con più
precisione possibile per comunicare i loro pensieri e ricordi, dimostrando che per
loro si trattava di una questione di grande importanza. Anche se il Leksikon fosse
rimasto in quello stadio e in quella forma, le risposte dettagliate e creative
sarebbero comunque state un successo rispetto alle nostre aspettative.
Fortunatamente non è stato così. Infatti, nel frattempo è cresciuto in grandezza e
attrattiva. E’ cresciuto soprattutto grazie al contributo dei soci: il nostro team si è
allargato con l’unione dei colleghi delle case editrici belgradese “Rende” e
zagabrese “Postscriptum”. E’ così che si è iniziato a dare forma al libro che, dopo
anni di collaborazione tra i vari autori, avete davanti a voi. Si è partiti da un
gruppo di otto autori, ma altri hanno contribuito in vario modo al Leksikon:
redattori e collaboratori esterni, amici e colleghi che hanno aiutato con preziosi
consigli. Tutto questo fa di esso un’opera veramente collettiva. Rispettando la
paternità degli articoli, i contributi sono lasciati nelle lingue originali. Invece i
lemmi, al posto di essere raggruppati per ordine tematico, sono riposti in ordine
alfabetico. Era impossibile dare spazio a tutto. Si tratta di cinquant’anni di storia
culturale! E i sentimenti sono soggettivi, ci sarà sempre qualcuno a cui sembri che
manchi qualcosa. Abbiamo tuttavia deciso di annunciare il Leksikon YU
Mitologije quando siamo giunti ad averne un corpus abbastanza soddisfacente.
Diversi fattori, cambiamenti, forze culturali e sociali, ci hanno mostrato che anche
per questo era giunto il momento. Per diventare ricordo, il passato deve essere
articolato. Con questo libro abbiamo cercato di esplorare la topografia culturale e
lo spazio vitale che per cinquant’anni abbiamo costruito e condiviso. Non per il
passato, ma nella convinzione che nel tempo postmoderno di rapido oblio sarà
utile sapere cosa significavano afž23, žtp24, cosa slet25 e cosa mimohod26.”27
23
“Fronte antifascista delle donne”
Compagnia ferroviaria
25
Celebrazione per il compleanno del Maresciallo Tito
26
Nome delle interminabili file nelle quali il popolo attese per ore di vedere il corpo del defunto
dittatore.
27
Mia traduzione, di seguito il testo in lingua originale: “Godine 1989, Dubravka Ugrešić i
urednici u tadašnjem Startu, Dejan Kršić i Ivan Molek, objavili su poziv za suradnju na projektu
nazvanom Leksikon YU mitologije. Zamišljen kao zbirka natuknica o domaćoj popularnoj kulturi,
Leksikon je trebao pružiti odgovor na “pitanje jugoslavenskih identiteta”, koje je po riječima
inicijatora bilo potrebno istražiti “ne samo zbog svijeta već prvenstveno zbog nas samih”. S
raspadom SFRJ, koji je uslijedio samo dvije godine po pokretnju inicijative, činilo se da je nestala
potreba za sastavljanjem Leksikona. Određenje službenih kultura novonastalih država prema
zajedničkom naslijeđu kretalo se u rasponu od svojevrsne konfiskacije memorije do apsolutnog
negiranja i tabuiziranja svih pojavnih oblika kulture SFRJ. No projekt je ipak zaživio, i to u obliku
jednog od najranijih domaćih internetskih foruma. U sjedištu zagrebačkog Arkzina oformljena je
2001. godine pod vodstvom Dejana Kršića provizorna redakcija i pokrenuta web-stranica. U
neočekivano velikom broju i doslovno sa svih strana svijeta, s “porukama u boci” počeli su se
javljati nekadašnji Jugoslaveni. Novosadski muzikolog u Jeruzalemu, službenica u jednoj
londonskoj kancelariji, čuveni crnovalni režiser iz Pariza, iz New Yorka dvije bivše zagrebačke
tinejdžerice, naš pisac iz Irske i mlada zagrebačka tv-voditeljica bili su među prvima koji su
poslali priloge. Ubrzo su krenuli i ostali — profesionalci u stvarima pisanja, ali i mnogo više onih
koji nisu nikada objavili ni retka. Nakon što je prikupljen planirani korpus priloga, fluidnom
mrežnom projektu oblik knjige dali su urednici i dizajneri iz beogradske izdavačke kuće Rende i
zagrebačkog Postscriptuma. Uz golem uspjeh i veliku pozornost javnosti, prvo tiskano izdanje
objavljeno je 2004. godine, a drugo je uslijedilo nepunu godinu kasnije, istovremeno s
makedonskim prijevodom knjige. U proljeće 2011. godine – deceniju nakon što je projekt zaživio
na internetu – Postscriptum i Rende započeli su rad na drugom tomu knjige. Naš pokušaj
bilježenja topografije kulturnog i životnog prostora SFRJ proizveo je tijekom tih deset godina i
pozamašnu količinu vlastite mitologije. U nekim sredinama Leksikon je prigrljen kao bezazleno
sentimentalno prisjećanje na prošlost, drugdje je pokrenuo ozbiljan terapijski proces
dekontaminacije sjećanja na Jugoslaviju. Mješavina visoke i niske kulture karakteristična za
24
4.3. Scelta di tre oggetti jugonostalgici da analizzare
Per entrare nello specifico della trattazione, si propone di seguito l’analisi di tre
oggetti appartenenti all’epoca indagata. Ognuno di questi fa naturalmente parte
del Leksikon ed è proprio da esso che vengono tratte le informazioni basilari per
ricostruire il legame emotivo dei singoli descriventi, e più generalmente della
società tutta, con gli oggetti stessi. Essi verranno rapportati a delle categorie ben
definite per creare uno schema comune attraverso il quale sia possibile
strutturare una risposta precisa alla domanda: quanto valgono gli oggetti nel
processo di ricostruzione mentale del passato perduto?
Come già accennato nell’introduzione, le categorie di analisi che verranno
proposte in relazione agli oggetti sono le seguenti:

il momento della loro comparsa nella società jugoslava

la loro funzione pratica

il loro valore emotivo in confronto a quello funzionale

il significato che ora hanno nel processo di ricostruzione storica dell’identità
perduta
Gli oggetti selezionati sono i seguenti:

Automobile Zastava 750 (Fića)

Dentifricio Kalodont

Eurocrem (cioccolata spalmabile)
diskurs Leksikona obilježila je i njegovu recepciju. S jedne strane, kao referentna i doista kultna
knjiga, bio je predmet međunarodnih akademskih studija slavistai drugih stručnjaka. S druge je
pak postao ishodištem pop-kulturnih mutacija i imitacija — predložak višescenskih projekata,
naziv stalne rubrike popularne tv-emisije i toliko tržišno prepoznatljiv brand da se 2010. godine u
Srbiji na njega mogla osloniti čitava reklamna kampanja za Volkswagen automobile. Od obilja
javnih diskusija, objavljenih recenzija i medijskih prikaza danas najsnažnije odzvanja ocjena
Radija BBC, na kojemu se 2005. o Leksikonu govorilo kao o knjizi koja je u nepunih godinu od
objavljivanja “odigrala važniju ulogu u uspostavljanju poslijeratnog dijaloga od pet godina
skupnih napora svih političara u regiji”. Točnost ove procjene potvrđena je 2010. godine, kad je
Leksikon kao predsjednički poklon obilježionormalizacijskom simbolikom nabijeni prvi susret
dvojice postjugoslavenskih državnika. Usprkos zaboravnoj naravi vremena u kojem živimo, čini se
da još uvijek ima smisla brinuti za očuvanje sjećanja na to što je nekada značila kratica AFŽ, a što
ŽTP i što je to bio slet, a što mimohod.”
CAPITOLO 5
ANALISI DI TRE JUGO-OGGETTI
5.1. Oggetto uno: Fića (Zastava 750)28
La Zastava 750, meglio nota col nome di Fića, è un’automobile prodotta dalla
casa automobilistica serba Zastava, Crvena Zavod, con sede in Kragujevac. Era
una versione della Fiat 600, che venne prodotta grazie alla licenza che la Fiat
concesse all’azienda jugoslava dal 1965. Fu poi sostituita dall’altrettanto noto
modello Yugo29. Deve questo soprannome al protagonista di alcune vignette
pubblicate sul giornale “Borba”30 durante i primi anni di produzione del veicolo.
Il momento della comparsa nella società jugoslava
Come introdotto nelle righe soprastanti, questo modello di auto fu messo in
vendita a partire dalla metà degli anni ’60. Impostato su una tipologia di auto
italiana, accompagnò l’uomo medio jugoslavo fino all’introduzione del modello
successivo. In qualità di prima vera e propria auto jugoslava, si impresse
fortemente nell’immaginario e nei desideri dei cittadini dell’epoca.
28
Leksikon Yu Mitologije, p. 137.
La Zastava
Yugo è
un'autovettura
prodotta
dalla casa
automobilistica jugoslava Zastava dal 1981 fino al 2000. Ha sostituito la Zastava 750 (versione
locale della Fiat 600), ed è stata poi a sua volta sostituita dalla Zastava Koral.
30
Borba: era formalmente il giornale ufficiale della Lega Comunista Yugoslava (SKJ), in lingua
serbo-croata significa “lotta, combattimento”. Prese vita nel 1922 a Zagabria.
29
La funzione pratica
La Fića era una macchina non predisposta per viaggi eccessivamente lunghi, né
tantomeno per il trasporto di un elevato numero di passeggeri. Serviva da
modesta auto quotidiana, tendeva ad avere spesso necessità di manutenzione a
causa di guasti frequenti e fu ben presto sostituita dal più funzionale modello
Zastava 1300, auto familiare.
Il valore emotivo in confronto a quello funzionale
Nonostante tutte le limitazioni e i problemi che spesso la affliggevano, essa fu il
sogno di gran parte dei cittadini jugoslavi. Il suo acquisto veniva celebrato come
una festa familiare degna di nota, quasi come un compleanno o come un funerale.
Secondo quanto dice il lemma nel Leksikon, non solo l’acquisto veniva atteso e
celebrato, ma l’auto stessa diveniva poi oggetto di continue cure e attenzioni da
parte del possessore e dell’intero nucleo famigliare (la moglie cuciva il telo di
copertura, il marito si occupava del rivestimento di sedili e volante, i bambini
della decorazione degli interni e così via). Veniva usata come mezzo per le ferie, o
per andare a trovare i parenti. Veniva usata per far fare il giro del quartiere ai
bimbi del vicinato che sognanti sperimentavano per la prima volta un veicolo a
motore. Essa rappresentava una sorta di traguardo del benessere ai cui tutti i
cittadini aspiravano e il suo ottenimento indicava un momento di svolta nella vita
del singolo, era come arrivare ad un meta.
Il significato che ora ha nel processo di ricostruzione storica
dell’identità perduta
Per questo motivo anche ora, che il regime è caduto e la Fića è fuori produzione
ormai da anni, essa resta modello di un importante momento di svolta e per il
singolo e per la collettività. Simbolo di una modernità incalzante, da guardare coi
fieri occhi condiscendenti del socialismo, e del benessere che si affermava proprio
in quell’epoca. La Zastava 750 è saldamente impressa nell’immaginario di tutti
coloro che hanno vissuto quegli anni, dai bambini agli adulti. Vederla passare ora
per le strade ricostruisce una serie di ricordi ed emozioni, soggettive ma allo
stesso tempo condivise perché ancora conservate nelle menti di tutti coloro che a
quel tempo l’hanno vissuta. Il singolo si sente parte di una memoria tiepida e
rassicurante, che lo avvolge e gli riporta alla mente quello che c’era e quello di cui
faceva parte.
5.2. Oggetto due: Kalodont 31
Kalodont è il nome di un dentifricio entrato in produzione nell’impero AustroUngarico nel 1887, prodotto dalla compagnia F. A. Sarg’s Sohn&Co. Si diffuse
anche nei territori ad esso limitrofi, assumendo un ruolo monopolistico in 34
nazioni. Nell’area balcanica si radicò così profondamente da diventare il
sinonimo stesso di dentifricio, attraverso un procedimento metonimico di
risemantizzazione del significato primo.
Il momento della comparsa nella società jugoslava
Come accennato, il Kalodont non fu introdotto come prodotto di regime, aveva
una consolidata tradizione storica alle spalle appartenendo addirittura ai tempi
del primo regno jugoslavo. Era chiaramente parte dell’immaginario collettivo e
ancora più grave fu la sua scomparsa nel 1981, anno in cui uscì di produzione.
La funzione pratica
Il Kalodont era un dentifricio semplice, senza particolari aromi, che però era
diffuso in gran parte delle case. La sua presenza era tappa imprescindibile che
accompagnava lo scandire della routine quotidiana.
Il valore emotivo in confronto a quello funzionale
E’ anche grazie alla sua semplicità che questo dentifricio è stato compagno di
innumerevoli generazioni ed è proprio per questo che esso si è con forza ritagliato
il suo spazio nell’immaginario collettivo. Lo possiamo notare attraverso il
processo di risemantizzazione del marchio in vocabolo descrittivo generale del
31
Leksikon Yu Mitologije, pag. 186
prodotto in sé: questa transizione estensiva di significato mostra chiaramente
quanto fosse conosciuto, amato, usato e condiviso questo particolare prodotto, e
non un altro, illuminandoci sull’entità del valore emotivo che esso investiva.
Il significato che ora ha nel processo di ricostruzione storica
dell’identità perduta
Attualmente il Kalodont non esiste più concretamente. Essendo uscito di
produzione ormai da molti anni è letteralmente sparito dal quotidiano, e non è un
bene durevole come una macchina che resta empiricamente presente per anni
dopo la cessata distribuzione. Tuttavia è stato scelto come prodotto
esemplificativo del processo di ricostruzione dell’identità perduta proprio per la
particolarità del nome, rimasto impresso nel dizionario serbo-croato come
marchio indelebile del passato che fu. In un certo senso l’oggetto è stato privato
della sua fruibilità ma investito di una nuova aura emotiva, è stato assunto a
simbolo ufficiale del dentifricio. La riauratizzazione 32 è quindi una delle
possibilità di risemantizzazione che l’oggetto subisce nell’evoluzione del suo
rapporto dinamico col fruitore nel momento di cambiamento o sparizione del
contesto socio-economico di cui era prodotto.
32
Il termine è tratto dal volume di Gian Piero Piretto La vita privata degli oggetti
sovietici, Sironi Editore, Cermenate, 2012, p.9.
5.3. Terzo oggetto: Euro Crem
Con Euro Crem Takovo33 si intende la particolare crema bicolore di nocciole e
vaniglia prodotta a partire dagli anni ’70 dal gruppo Swisslion Group a Gornji
Milanovac, circa 120 km da Belgrado.
Il momento della comparsa nella società jugoslava
Il marchio EuroCrem comparve nel regime jugoslavo all’inizio degli anni ’70:
venne messo in produzione dallo stabilimento Takovo, nei pressi di Belgrado. Da
quel momento questa crema bicolore si inserì prepotentemente nell’immaginario
culinario dei cittadini, e vi è presente tutt’ora, nelle più svariate forme. Viene
spesso
rappresentata
nell’usuale
barattolo,
la
cui
grafica
è
rimasta
fondamentalmente invariata fino ai giorni nostri, accompagnata da alcune fette di
pane.
La funzione pratica
L’EuroCrem nasce come pasta di nocciola e non ci mette molto a diventare
tassello imprescindibile nel paesaggio di dolciumi jugoslavo. E’ un prodotto
semplice e basilare e acquista per questo un fascino dilagante: da esso nel corso
degli anni vennero creati svariati prodotti secondari, come ad esempio
l’Euroblok, barretta di cioccolato composta dalla crema stessa o wafer farciti della
suddetta ecc.
33
Takovo è il nome dell’azienda dell’ex SFRJ che nel 1972 ricevette il brevetto dal brand italiano
A. Gandola & Co. Spa per la produzione del suddetto prodotto.
Il valore emotivo in confronto a quello funzionale
Questo prodotto, rispetto ai precedenti due, ha un valore emotivo nettamente più
forte. Infatti, mentre i primi due possono prescindere la memoria condivisa di
alcuni, l’EuroCrem è veramente parte dell’immaginario di tutti. Essa accompagna
il singolo in tutte le fasi della sua vita, ne è parte nei momenti felici, tristi, in
quelli quotidiani. Non c’è persona nei Balcani che non la conosca. Basti pensare
che alcune compagnie di trasporto che organizzano viaggi in pullman dall’Italia
alla Serbia nel momento di arrivo nella capitale oltre a proiettare il cult
intramontabile “Ko to tamo peva” (1980), offrono ai passeggeri una barretta della
stessa. Già nel periodo socialista, questo prodotto aveva un legame relazionale
con il soggetto estremamente simbolico e significativo: era espressione di un tutto
condiviso ed onnipresente, che accomunava tutti i cittadini, delle più svariate
estrazioni sociali, e li rendeva parte di un’unicità livellante.
Il significato che ora ha nel processo di ricostruzione storica
dell’identità perduta
Con la caduta del sistema autarchico, l’EuroCrem passa da elemento della
costruzione del discorso culturale a strumento di salvaguardia della memoria. In
questo caso la transizione tra i due significati che essa ricopre è limpida e lineare:
la produzione infatti non è cessata, la si può tuttora trovare ovunque e non è stata
vittima di alcuna mistificazione commerciale, poiché essa resta tale e quale, un
baluardo dell’intimità domestica e del passato condiviso nonostante la violenza
iconoclasta subìta durante il rovinoso processo di dissoluzione del regime nella
quale è nata.
CAPITOLO 6
CONCLUSIONI
Giunti alla conclusione dell’analisi, la risposta alla domanda che sta alla base
dell’elaborato “quanto valgono gli oggetti nel processo di ricostruzione mentale
del passato perduto?” appare chiara, anche grazie all’apporto concreto degli
esempi fatti nel precedente capitolo e cioè che in un contesto autarchico, qual è
stato quello sinora studiato, l’oggetto svolge una funzione di primaria importanza,
che può essere suddivisa in due fasi:
Nella prima fase vediamo come esso sia pedina imprescindibile nella creazione
dell’immaginario collettivo, è supporto materiale di un impianto ideologico
basato sulla parità dei cittadini, sulla semplicità e sulla funzionalità. L’oggetto,
così considerato, appare caricato di una doppia valenza: fruibilità e legame
emotivo.
Nella seconda fase, quella della caduta del regime all’interno del quale il prodotto
fu concepito, esso viene defunzionalizzato, perde il suo valore primo, quello della
fruibilità, e resta il solo legame emotivo. L’oggetto viene sovraccaricato di una
funzione che non gli è propria, viene risemantizzato. Acquista un’aura nuova:
diviene tassello nel processo di ricostruzione del passato perduto.
Letto nel caos di identità smarrite causato dalla dissoluzione del regime
jugoslavo, l’oggetto è un libro di ricordi, apre un mondo di memorie e piccole
sensazioni di carattere proustiano legate l’una all’altra attraverso una serie di
impulsi sensoriali e mentali di cui esso è scrigno. E’ un processo di ricordo
all’inverso, e la produzione in serie e monopolizzata lo rende non solo individuale,
ma collettivo.
Grazie all’esperienza diretta che ho avuto nell’area dell’ex jugoslava, ho potuto
verificare di persona quale sia l’effettivo valore che anziani, adulti e giovani
attribuiscono al ricordo. Ognuno a modo suo, ricrea quel mondo condiviso di cui
è stato parte e che ora non c’è più, riscrivendo la sua propria storia e
condividendola con tutti coloro che ne hanno spartito i frammenti.
CAPITOLO 7
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CAPITOLO 8
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