Iperlipidemia Familiare Combinata
Transcript
Iperlipidemia Familiare Combinata
Facoltà di Medicina e Chirurgia Scuola di Specializzazione in Medicina Interna “P.L. Mattioli” L’ Iperlipidemia Familiare Combinata Dr. Vittorio Emanuele Matricola 68292 Introduzione L’iperlipidemia familiare combinata o FCHL (Familial Combined Hyperlipidemia) è una delle più comuni iperlipidemie genetiche aterogene che causa malattie cardiovascolari premature, tabella I (1-4). Tabella I ______________________________________________________________ Dislipidemia Frequenza Difetto genetico Ipercolesterolemia familiare 1/500 Mutazioni LDL-R ApoB difettiva familiare 1/1000 Mutazioni apoB Disbetalipoproteinemia 1/milione Omozigosi apoE2 Ipercolesterolemia poligenica 10-20% Non definito Iperlipidemia familiare combinata 1-2% Non definito Ipoalfalipoproteinemia familiare 5-15% Mutazioni nell’ apoAI, LCAT, ABCA1 ______________________________________________________________ Sebbene Goldstein (1) già nel 1973, e subito dopo altri gruppi di ricerca (24), avesse identificato questa patologia, ad oggi non si dispone di alcun nesso di causa-effetto, né di una definizione diagnostica unica, né del tipo di ereditarietà; pertanto, non si è neanche in grado di distinguere gli eterozigoti dagli omozigoti (5), anche perché non è noto se il disordine alla base è di tipo monogenico o poligenico. Il nome della malattia deriva dalla variabilità di fenotipi lipidici dello stesso paziente nel tempo e all’interno delle famiglie affette; classicamente, infatti, nei pedigree sono presenti pazienti ipercolesterolemici, ipertrigliceridemici e/o pazienti con fenotipo misto. Lo stesso paziente nel tempo può esprimere tutti i possibili fenotipi, compreso il normolipidemico. Da alcuni autori (6-7) è anche usato il termine iperapobetalipoproteinemia, in conseguenza del riscontro ematochimico di elevati valori di Lipoproteina Apo B nel siero di questi soggetti. Riassumendo, non si ha una spiegazione metabolica circa la variabilità del fenotipo. Non vi è neanche accordo nella definizione diagnostica, non essendo ancora tutti gli autori unanimi sulle caratteristiche cliniche ed ematochimiche della malattia. L’unica cosa su cui vi è consenso è la variabilità del fenotipo intra ed inter individuale. Definizione La prima definizione di Goldstein del 1973 parla di un difetto in cui vi sono fenotipi lipoproteici multipli associati con un aumento del rischio per malattie cardiovascolari. È noto, infatti, che la FCH è l’iperlipidemia più comune quando si considerano famiglie con eventi cardiovascolari prematuri (16). Si tratta, quindi, di una patologia che è altamente correlata con la comparsa di eventi cardiovascolari prematuri. In base a tale rilievo, esclusivamente epidemiologico, è stato possibile calcolare che la diagnosi di FCH raddoppia il rischio cardiovascolare del paziente (17). Caratteristiche cliniche Nel 1986, durante il I workshop a Seattle, venne aggiunto tra le caratteristiche non essenziali per la definizione clinica anche un aumento dei livelli plasmatici di Apolipoproteina B. Nel 1998 il II workshop a Helsinki affrontò il problema delle cause genetiche, arrivando però a poche conclusioni. L’ultimo workshop della European Society for Clinical Investigation tenutosi nel 2001 a Barcellona (8) ha dato come priorità proprio l’identificazione delle caratteristiche necessarie per la diagnosi: ü aumentata secrezione delle VLDL; ü ridotta clearance delle lipoproteine postprandiali. Queste sono le più documentate e, al momento, le più accettate alterazioni metaboliche riscontrate nell’FCH. L’aumentata secrezione delle VLDL, soprattutto le VLDL2, produce ipertrigliceridemia ed elevati livelli di ApoB plasmatici. La ridotta clearance delle VLDL1, invece, favorisce la formazione delle LDL piccole e dense, estremamente aterogene, con conseguente ipercolesterolemia. In conseguenza di ciò, gli autori suggeriscono che l’FCH può essere diagnosticata quando è presente il fenotipo ipertrigliceridemia con iperApoB in più di un familiare e con almeno un familiare affetto da malattia cardiovascolare prematura. La definizione proposta da questi autori (8) è estremamente semplificata se confrontata, per esempio, con quella di Sniderman (5) che nello stesso anno elencava fra le caratteristiche fenotipiche essenziali dell’FCHL: ü ipertrigliceridemia e iperapoB; ü aumento delle LDL piccole e dense; ü aumento delle concentrazione plasmatiche di ApoE e ApoCIII. Fra le caratteristiche frequenti ma non essenziali lo stesso Sniderman citava: ü basse concentrazioni plasmatiche di HDL (<di 40mg/dl nelle donne e <di 35mg/dl nei maschi); ü presenza di iperlipidemia tipo IIA (aumento del LDL colesterolo). Per quanto riguarda i valori cut-off point, questi dipendono ancora una volta dagli autori, ma quelli più largamente accettati sono 125mg/dl per l’ApoB e 1.5 mmol/L (circa 130mg/dl) per i trigliceridi. Sono questi, quindi, i riferimenti che si utilizzano per identificare quello che, nell’FCH, sarebbe il fenotipo caratteristico: quello ipertrgliceridemico con associata iperapolipoproteinemia B (iperTri-iperapoB). Importante è anche capire il motivo su cui ci si è basati per scegliere questi valori di riferimento. Per quello che riguarda i livelli di trigliceridi, si fa riferimento al fatto che 1,5mmol/L è il livello a cui cominciano ad aumentare in maniera esponenziale le LDL piccole e dense (9). Il valore dell’Apo B, invece, si basa su osservazioni provenienti dal Quebec Cardiovascular Study (10). In tale studio prospettico tra i pazienti ipertrigliceridemici il rischio cardiovascolare aumentava solo fra quelli in cui i valori di apo B erano maggiori di 125mg/dl. Diagnosi Per fare diagnosi di iperlipidemia familiare combinata la prima cosa da fare, la più importante ed anche la più difficile ai fini della diagnosi, è senz’altro quella di costruire un albero genealogico accurato e preciso della famiglia da cui il soggetto in esame proviene. Nell’albero genealogico devono essere riscontrati il fenotipo lipidico e la presenza di malattie cardiovascolari, onde ricavare le informazioni che servono ai fini della diagnosi: la presenza di diverse alterazioni del profilo in più di un familiare, la presenza di almeno un familiare con malattia cardiovascolare prematura. Trattandosi di un processo lineare come l’aterosclerosi, è difficile stabilire un’età al di sotto della quale l’evento cardiovascolare è da definirsi prematuro. Comunque, sulla base della frequenza di tali eventi nella popolazione sana, un evento cardiovascolare in un maschio prima dei 55 anni o in una donna prima dei 60 sono senz’altro da definire prematuri. Vi è poi un range intermedio (55-60 nei maschi e 60-65 nelle donne) al di sopra del quale gli eventi non possono definirsi prematuri. La differenza fra maschi e femmine è da attribuirsi all’effetto protettivo che l’essere fertili nelle donne comporta. Gli esami ematochimici prevedono il profilo lipidico completo (da ripetere 3-4 volte in 6-8 mesi, onde valutare la variabilità intra individuale) comprendente l’ApoB. Utili ma di scarsa applicabilità clinica, data l’esigua disponibilità sul territorio, sono esami più approfonditi per lo studio del metabolismo lipidico, come le attività enzimatiche (per esempio della Cholesterol Ester Transfert Protein ) o il dosaggio delle LDL piccole e dense o l’elettroforesi delle lipoproteine. Quest’ultima, a volte, può essere utile nella diagnosi differenziale con altre iperlipidemie, come quella tipo III di Fredrickson. A tal proposito, nel caso di trigliceridemia molto elevata (intorno a 1g/dl), è assolutamente indispensabile l’esame del siero a 4°C dopo 12h, onde svelare una possibile iperchilicronemia. Dal punto di vista obbiettivo, specie in pazienti che non hanno già avuto eventi cardiovascolari, ci si deve aspettare poco: generalmente non sono presenti xantomi che comunque non sono in nessun modo né patognomonici né associati alla malattia (15). Si devono poi aggiungere altre indagini, al fine di escludere iperlipidemie secondarie o per meglio stratificare il rischio cardiovascolare del paziente. Fra le prime ricordiamo l’esame urine, gli enzimi epatici, il profilo di funzionalità renale e tiroidea, l’insulinemia, l’uricemia l’OGTT, per citare i più frequenti. Nel secondo gruppo, invece, rientrano l’ECG, l’esame ultrasonografico delle arterie carotidi, l’indice di Winsor e, qualora necessari, altre indagini più specifiche: ecg sotto sforzo, etc. Ancora aperta è la discussione sull’età di esordio di tale patologia. Si ritiene, infatti, che l’esordio sia abbastanza tardivo e comunque sempre dopo l’adolescenza, intorno ai 20-30 (14). Alcuni studi (11), però, non hanno escluso una manifestazione più precoce anche durante l’infanzia. E’ un dibattito tuttora in corso. È da ricordare che, trattandosi di una patologia frequente (1-3% della popolazione occidentale e 14% di tutti i pazienti con malattia cardiovascolare prematura) (12), la sua precoce identificazione sarebbe in grado di risparmiare migliaia di eventi cardiovascolari all’anno (13). Riassumendo, tutti gli autori sono d’accordo nel definire come criteri primari per la diagnosi di FCHL la variabilità intra ed inter individuale e la presenza nella famiglia di eventi cardiovascolari prematuri. La maggior parte è anche d’accordo nell’aggiungere tra questi criteri un’ipertrigliceridemia (>1.5mmol/L) con contemporanea iperApoB (>125mg/dl). Discussioni sono in corso riguardo il valore del basso HDL colesterolo, il rapporto LDL/apoB, la presenza/assenza di xantomatosi. Come abbiamo già avuto modo di dire, devono essere ovviamente escluse le dislipidemie secondarie. Particolare attenzione va dedicata alla diagnosi differenziale con la sindrome metabolica, da cui la FCH può spesso essere difficilmente distinguibile. Ricordiamo, infine, che la stessa obesità di grado medio e grave (BMI> di 35 kg/m2) e il diabete mellito di tipo II possono dare fenotipi lipidici simili a quello dell’FCH. Patogenesi e alterazioni metaboliche e funzionali L’FCH è probabilmente prodotta da un insieme di disordini (5): ü aumentata sintesi epatica di VLDL e ApoB100; ü ridotta clearance post-prandiale dei trigliceridi; ü alterato intrappolamento degli acidi grassi da parte del tessuto adiposo; ü aumento di FFA plasmatici post-prandiali; ü aumento della sintesi dei corpi chetonici post-prandiali; ü alterata soppressione degli FFA da basse dosi di insulina; ü insulino-resistenza. Per questo risulta fondamentale tentare di separare un problema da un altro. A tal fine è stato proposto che l’alterazione patofisiologica basilare nella FCH fosse un alterato modo di “intrappolare” e ritenere gli acidi grassi da parte del tessuto adiposo. Questo, insieme ad altre alterazioni del metabolismo lipidico e ad altri fattori indipendenti, sarebbe il responsabile della varietà dei fenotipi lipidici in questa patologia. Fondamentale risulta, quindi, la comprensione dei delicati e complessi meccanismi che regolano l’influsso e l’efflusso degli acidi grassi che vanno e vengono dal tessuto adiposo. Sembra abbastanza chiaro che uno dei difetti principali di questa patologia è l’aumentata produzione di Apo B da parte del fegato. Questo produce un aumento della sintesi epatica di VLDL con conseguente incremento delle concentrazioni di LDL plasmatiche. In che modo e per quali motivi avviene questa aumentata produzione di Apolipoproteina B da parte del fegato? Per rispondere a queste domande, si deve tornare al metabolismo degli acidi grassi a livello del tessuto adiposo. Vi sono diversi metabolismi che interagiscono e che producono l’influsso e l’efflusso netto di acidi grassi dal tessuto adiposo. Sono, quindi, moltissime le modificazioni che possono produrre alterazioni simili. La combinazione di questi fattori potrebbe essere responsabile della variabilità fenotipica dell’ FCH. In condizioni normali, circa il 60% degli acidi grassi circolanti raggiunge il tessuto adiposo; il resto rimane nel torrente ematico. Un’importante frazione di acidi grassi ematici residui finisce nel fegato, dove avviene la trasformazione in trigliceridi, che quindi ritornano nel torrente ematico trasportati dalle VLDL. Queste lipoproteine a bassissima densità entreranno, poi, di nuovo nel tessuto adiposo, nei cui capillari incontreranno un enzima, la lipoprotein lipasi (LPL). Questo enzima è in grado di idrolizzare i trigliceridi trasportati dalle VLDL e quelli dei chilomicroni e di rilasciare acidi grassi liberi. Questi vengono poi utilizzati dal tessuto adiposo o anche da quello muscolare per essere immagazzinati nel primo o consumati nel secondo. A tal proposito, studi in vitro hanno dimostrato che un’aumentata concentrazione di acidi grassi liberi, o FFA, è in grado di inibire l’attività della LPL, producendo il prematuro distacco dalla parete endoteliale dove avvengono le reazioni di idrolizzazione a carico di VLDL e chilomicroni. Per riassumere, un ridotto “intrappolamento” degli FFA da parte del tessuto adiposo produce da un lato l’aumento della quota di FFA che raggiunge il fegato e dall’ altro l’inibizione dell’attività della LPL. Una maggiore quantità di FFA, dunque, raggiunge il fegato che risponde aumentando la produzione di VLDL. Questo spiega il motivo per cui gli FFA in molti studi sono in grado di predire i valori di trigliceridemia plasmatici sia totale che a digiuno. Ancora, sebbene una misurazione diretta della quota di FFA “intrappolati” dal tessuto adiposo nei pazienti con FCH non è ancora stata valutata, molti studi hanno invece dimostrato come la concentrazione di FFA sia aumentata in questi pazienti sia a digiuno che in fase postprandiale. E’ stato possibile dimostrare lo stesso aumento in fase postprandiale per le VLDL e chilomicroni. L’aumento degli FFA a digiuno, nei pazienti FCH, potrebbe in parte essere spiegato dall’alterata soppressione del rilascio degli FFA mediato dall’azione sulla lipasi ormono sensibile stimolata dall’insulina. Molti studi, infatti, hanno evidenziato una riduzione dell’attività di questa lipasi nei pazienti FCH. A tal proposito vi è un’importate quantità di dati a supporto dell’ipotesi che il metabolismo glucidico possa avere un ruolo importante nell’FCH. Ad esempio, l’insulino resistenza spesso accompagna l’FCH. E’ impossibile, sulla base dei dati a disposizione al momento, capire chi sia la causa e chi la conseguenza. Cerchiamo ora di individuare i determinanti patofisiologici dell’alterato “intrappolamento” e della ritenzione degli acidi grassi da parte del tessuto adiposo, prendendo in considerazione: determinanti dell’uptake degli FFA, determinanti del release degli FFA, ruolo di LPL, ruolo dell’insulina, degli ormoni sessuali e della dieta. Determinanti dell’uptake degli FFA I primi enzimi che dobbiamo prendere in considerazione sono quelli responsabili della sintesi dei trigliceridi, a partire dal glicerolo 3 fosfato. Gli enzimi sono: glicerolo 3 fosfato aciltransferasi, fosfotidil-fosfoidrolasi e diacilglicerolo-acetil-tranferasi. Quale tra queste sia l’attività enzimatica responsabile della frequenza di sintesi dei trigliceridi non è noto. In più praticamente nulla si sa sui loro meccanismi di regolazione o su quelli di traduzione intracellulare del segnale. In linea di principio, una qualsiasi alterazione di uno di questi tre enzimi (mutazioni genetiche o alterazioni della loro regolazione) dovrebbe ridurre l’intrappolamento degli FFA da parte del tessuto adiposo, dal momento che non vi sarebbe richiesta di substrato. Non bisogna dimenticare, inoltre, il glicerolo 3 fostato. La sua produzione dipende dal livello di uptake del glucosio, a sua volta funzione dell’attività di due trasportatori specializzati nel trasferimento intracellulare del glucosio (GLUT1 e GLUT4), e dall’attività di una esochinasi che provvede alla fosforilazione. Anche un’alterazione di quest’ultima via metabolica ha come risultato un’incapacità dell’adipe di acquisire e trattenere gli FFA. Infine, vi sono le proteine e gli enzimi responsabili della presentazione degli FFA alla glicerolo-3-fosfatasi. Tra queste proteine distinguiamo quelle di membrana, che influenzano il trasporto degli FFA (FAT/CD36, FATP, FABPm), i trasportatori intracellulari (P2/FABP) e l’attivazione da parte degli FFA del acil-CoA-sintetasi. Determinanti del rilascio degli FFA Come è ovvio, l’ intrappolamento degli FFA non dipende solo dalla velocità con la quale questi vengono assorbiti dal tessuto adiposo, ma anche da quella con cui vengono rilasciati. Il principale determinante del rilascio degli FFA da parte del tessuto adiposo è la lipasi ormono sensibile (HSL). Bisogna, però, distinguere fra la frequenza con cui viene effettuata l’idrolisi dei trigliceridi e quella con cui gli FFA vengono rilasciati. Quest’ultima, infatti, è funzione della riesterificazione dei trigliceridi che erano immagazzinati nel tessuto adiposo. L’attività della HLS, infatti, sembra essere ridotta invece che aumentata nei pazienti con FCH. Queste evidenze suggerirebbero che l’aumento del rilascio degli FFA potrebbe essere dovuto alla riduzione della riesterificazione dei trigliceridi. Lipoprotein-Lipasi E’ stato già descritto che la LPL è responsabile dell’idrolisi dei trigliceridi contenuti nelle VLDL e nei chilomicroni. Questa attività enzimatica si svolge sulla superficie endoteliale dei capillari. La LPL, quindi, è una delle principali responsabili della quantità di FFA che entrano nell’adipocita. Anche la quantità di trigliceridi sintetizzata dal tessuto adiposo gioca un ruolo fondamentale nello stabilire la quantità di FFA assorbiti dall’adipe. Da questo si può facilmente predire un ruolo fondamentale dell’LPL nella patogenesi dell’FCH. Così non è, però, se si considerano gli studi genetici di associazione e quelli in cui alterazioni dell’LPL non hanno dimostrato di aumentare il rischio cardiovascolare. Insulino-resistenza e ormoni sessuali. L’insulina in fase post-prandiale è in grado di regolare la concentrazione di LPL con aumento nei capillari del tessuto adiposo e riduzione in quelli muscolari. In risposta all’insulina, e sempre in fase postprandiale, vi è anche un aumento del flusso sanguigno a livello degli adipociti. Vi sono, infatti, evidenze che suggeriscono un’alterata vasodilatazione insulino-dipendente in pazienti con FCH. Per quello che riguarda gli ormoni sessuali, si vuole solo ricordare che essi sono i determinanti principali della distribuzione di adipe nel corpo, che, come è noto, è sesso specifica oltre che locus specifica. In più vi sono evidenze che suggeriscono come la sospensione del trattamento con estroprogestinici, in corso di terapia ormonale sostituiva in donne in postmenopausa, possa ridurre l’assorbimento adiposo degli FFA. Dieta Concludiamo questa carrellata sulle alterazioni metaboliche nell’FCH con la dieta. Il consumo eccessivo di grassi animali e, più in generale, di calorie aumenta il pool di energia da immagazzinare nel tessuto adiposo. In tal senso vale il concetto che gli acidi grassi non ingeriti non devono neanche essere immagazzinati. L’FCH è stata associata in molti studi all’obesità, alla sindrome metabolica, all’insulino-resistenza. La dieta e il livello di attività fisica del soggetto hanno un ruolo fondamentale nel metabolismo lipidico e degli acidi grassi dell’organismo. Altre alterazioni I pazienti con FCH sono comunque dei pazienti con un albero vascolare precocemente colpito dall’aterosclerosi. Lo spessore medio intimale, rilevato (IMT) mediante tecnica ultrasonorografica ad alta risoluzione a livello dell’arteria carotide comune e carotide intera, infatti, e la concentrazione di LDL piccole e dense sono notevolmente più elevati. In particolare, l’IMT aggiunge valore prognostico in questi pazienti, considerato che è ormai accettato come end-point surrogato nella maggior parte degli studi (27-28). Anche questo dato è in accordo come il precedente sul fatto che i pazienti affetti da FCH hanno un elevato rischio di malattie cardiovascolari già all’inizio dell’età adulta (dopo i 30 anni). Dati propri indicano che un'altra alterazione in questi pazienti potrebbe riguardare la funzione endoteliale. Quest’ultima, rilevata mediante metodica non invasiva con approccio brachiale (protocollo di D. Celermajer), ha dimostrato di essere significativamente alterata nei pazienti con FCH paragonati a pazienti con pari dislipidemia ma non familiare confrontati per età e sesso e trattamento farmacologico (FMD 7,42% FCH vs 5,09 HLP P=0,017). Genetica Sono stati fatti e sono tuttora in corso numerosi sforzi per chiarire i meccanismi genetico-molecolari di questa patologia, ma ad oggi nulla di esaustivo è stato svelato. Sono stati a tal proposito tentati diversi approcci di ricerca: il Genomic Wide Scan, il Genetic Mapping, il Modifier Genes, il Candidate Gene Approach (29-41). Quest’ultimo è uno dei più usati (tabella 2) sebbene con scarsi e contrastanti risultati. Tabella 2 ______________________________ ______________________________ Molti sono, altresì, i ricercatori impegnati nello sviluppo di modelli animali per lo studio della patologia. Diversi sono i motivi di questo momentaneo fallimento. In primo luogo si deve considerare l’enorme variabilità fenotipica, che rende estremamente difficile oltre che non certa la diagnosi. A questo si aggiunge il fatto che non si conosce il tipo di ereditarietà e il ruolo dei fattori ambientali e che la malattia ha una penetranza incompleta. Nonostante tutto, vi è un’idea sul modello genetico dell’FCH in base ai dati genetici, biochimici e clinici che abbiamo in questo momento a disposizione (fig.1). Quest’idea prevede l’esistenza di geni maggiori e geni modificatori. I primi, quelli di cui recentemente si è scoperto un forte linkage (loci cromosomi 1 e 11) avrebbero un ruolo fondamentale e dovrebbero essere per forza presenti nella malattia. Ci sarebbe, poi, una serie di altri geni secondari, chiamati modificatori perché in grado di influenzare l’espressione di quelli principali. Questi geni e la loro interazione sarebbero anche i responsabili dell’estrema variabilità della patologia. Figura 1 Terapia Considerata la frequente concomitanza di resistenza insulinica e soprattutto dell’obesità, in questi pazienti il primo obbiettivo da raggiungere è senz’altro quello del peso ideale. La restrizione calorica, quindi, a tal fine è indicata. Più in generale, sono da favorire i carboidrati complessi (pasta riso ecc.) a scapito di quelli semplici (saccarosio, glucosio), i grassi monoinsaturi (olio di oliva) a scapito di quelli saturi di origine animale. Sarebbero, invece, assolutamente da evitare gli alcolici, a causa del loro effetto ipertrigliceridemizzante. Qualora dopo la correzione dietetica il profilo lipidico continuasse a rimanere alterato, alcuni studi (41-67) hanno dimostrato che il trattamento farmacologico può normalizzare il profilo lipidico. In particolare, nel caso di fenotipo ipertrigliceridemico, i fibrati sono i farmaci di prima scelta. Studi clinici randomizzati controllati hanno dimostrato la loro efficacia sia in prevenzione primaria che in prevenzione secondaria (68, 69). I fibrati, inoltre, hanno dimostrato di aumentare i livelli di HDL colesterolo. L’ipoalfalipoproteinemia, infatti, si associa frequentemente al fenotipo ipertrigliceridemico. Per quello che riguarda il fenotipo ipercolesterolemico, le statine anche di recente hanno dimostrato di essere un validissimo aiuto, nel ridurre il rischio di eventi cardiovascolari in questi pazienti (70). Quando è presente, il fenotipo misto va trattato con una terapia di associazione. Ampiamente dimostrata è l’efficacia dell’associazione fibrati-statine, anche se sotto stretto controllo medico, considerata la relativa maggiore frequenza di casi di danni muscolari rispetto alla monoterapia. Non dobbiamo dimenticare che spesso in questi pazienti sono presenti stati di comorbosità. Diabete e ipertensione sono frequentemente associati, infatti, all’FCH. In tali casi sono da preferire farmaci come la Metformina per il diabete e gli Ace-Inibitori come antipertensivi. In tutti i casi si deve tendere al raggiungimento del goal terapeutico stabilito dalle correnti linee guida NCEP ATP III (71). Conclusione A 30 anni dalla definizione della patologia non si è ancora in grado di conoscere l’alterazione genetica che produce la malattia. Di contro, i criteri per la diagnosi oggi sono molto più precisi di un tempo e consentono, con un po’ di attenzione clinica, di porla molto più precocemente di una volta. Questo si trasformerà in un enorme beneficio per il paziente a cui, per mezzo della terapia, potranno essere evitati eventi con favorevoli ripercussioni quod vitam e quod valetudinem. In questi casi, poi, a trarne vantaggio è l’intera famiglia del probando; infatti, la diagnosi di FCH ad un membro può permettere l’identificazione di altri familiari affetti. Nella pratica clinica, però, sono ancora troppo poche le diagnosi di questa che, dopo l’ipercolesterolemia comune ed escludendo le secondarie, rimane l’iperlipidemia aterogena più frequente nella popolazione. BIBLIOGRAIFA 1. Goldstein JL, Schrott HG, Hazzard WR, Bierman EL, Motulsky AG. Hyperlipidemia in coronary heart disease. II. Genetic analysis of lipid levels in 176 families and delineation of a new inherited disorder, combined hyperlipidemia. J Clin Invest. 1973 Jul;52(7):1544-68. 2. Rose HG, Kranz P, Weinstock M, Juliano J, Haft JI. Combined hyperlipoproteinemia. Evidence for a new lipoprotein phenotype. Atherosclerosis. 1974 Jul-Aug;20(1):51-64. 3. Rose HG, Kranz P, Weinstock M, Juliano J, Haft JI. Inheritance of combined hyperlipoproteinemia: evidence for a new lipoprotein phenotype. Am J Med. 1973 Feb;54(2):148-60. 4. Nikkila EA, Aro A. Family study of serum lipids and lipoproteins in coronary heart-disease. Lancet. 1973 May 5;1(7810):954-9. 5. Sniderman AD, Ribalta J, Castro Cabezas M. How should FCHL be defined and how should we think about its metabolic bases? Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2001 Aug;11(4):259-73 6. Kwiterovich PO HyperapoB: a pleiotropic phenotype characterized by dense low density lipoprotein and associated coronary artery desease. Clin Chem 34:B71-B77 1998. 7. Juo SH, Beaty TH, Kwiterovich PO Jr. Etiologic heterogeneity of hyperapobetalipoproteinemia (hyperapoB). Results from segregation analysis in families with premature coronary artery disease. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 1997 Nov;17(11):2729-36. 8. Sniderman AD, Castro Cabezas M, Ribalta J, Carmena R, de Bruin TW, de Graaf J, Erkelens DW, Humphries SE, Masana L, Real JT, Talmud PJ, Taskinen MR. A proposal to redefine familial combined hyperlipidaemia -- third workshop on FCHL held in Barcelona from 3 to 5 May 2001, during the scientific sessions of the European Society for Clinical Investigation. Eur J Clin Invest 2002 Feb;32(2):71-3 9. Griffin BA, Freeman DJ, Tait GW, Thomson J, Caslake MJ, Packard CJ, Shepherd J. Role of plasma triglyceride in the regulation of plasma low density lipoprotein (LDL) subfractions: relative contribution of small, dense LDL to coronary heart disease risk. Atherosclerosis. 1994 Apr;106(2):241-53. 10. Lamarche B, Despres JP, Moorjani S, Cantin B, Dagenais GR, Lupien PJ. Prevalence of dyslipidemic phenotypes in ischemic heart disease (prospective results from the Quebec Cardiovascular Study) Am J Cardiol. 1995 Jun 15;75(17):1189-95. 11. Koletzko B, Kupke I, Wendel U. Treatment of hypercholesterolemia in children and adolescents. Acta Paediatr. 1992 Sep;81(9):682-5. 12. Pajukanta P, Porkka KV. Genetics of familial hyperlipidemia. Curr Atheroscler Rep. 1999 Jul;1(1):79-86. combined 13. Gaddi A, Galetti C, Pauciullo P, Arca M. Familial combined hyperlipoproteinemia: experts panel position on diagnostic criteria for clinical practice. Committee of experts of the Atherosclerosis and Dysmetabolic Disorders Study Group. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 1999 Dec;9(6):304-11. 14. Grundy et al Familial combined hyperlipidemia workshop (meeting summary). Atherosclerosis 7:203-207 15. Kane JP et al Disorders of biogenesis and secretion of lipoproteins containing the B apolipoproteins. The metabolic basis of inherited disease McGraw Hill, New York, pp 1129-1164 16. R. R. Williams; P. N. Hopkins; S. C. Hunt; L. L. Wu; S. J. Hasstedt; J. M. Lalouel; K. O. Ash; B. M. Stults; H. Kuida Population-based frequency of dyslipidemia syndromes in coronary-prone families in Utah Arch Intern Med. 1990;150:582-588. 17. Melissa A. Austin, Barbara McKnight, Karen L. Edwards, Cynthia M. Bradley, Marguerite J. McNeely, Bruce M. Psaty, John D. Brunzell, and Arno G. Motulsky Cardiovascular Disease Mortality in Familial Forms of Hypertriglyceridemia: A 20-Year Prospective Study Circulation 101: 2777-2782 18. Karjalainen L, Pihlajamaki J, Karhapaa P, Laakso M. Impaired insulinstimulated glucose oxidation and free fatty acid suppression in patients with familial combined hyperlipidemia: a precursor defect for dyslipidemia? Arterioscler Thromb Vasc Biol. 1998 Oct;18(10):154853. 19. Henry N. Ginsberg New. Perspectives on Atherogenesis: Role of Abnormal Triglyceride-Rich Lipoprotein Metabolism. Circulation, Oct 2002; 106: 2137 – 2142. 20. Pihlajamaki J, Karjalainen L, Karhapaa P, Vauhkonen I, Laakso M. Impaired free fatty acid suppression during hyperinsulinemia is a characteristic finding in familial combined hyperlipidemia, but insulin resistance is observed only in hypertriglyceridemic patients. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2000 Jan;20(1):164-70. 21. Meijssen S, van Dijk H, Verseyden C, Erkelens DW, Cabezas MC. Delayed and exaggerated postprandial complement component 3 response in familial combined hyperlipidemia. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2002 May 1;22(5):811-6. 22. Veerkamp MJ, de Graaf J, Bredie SJ, Hendriks JC, Demacker PN, Stalenhoef AF. Diagnosis of familial combined hyperlipidemia based on lipid phenotype expression in 32 families: results of a 5-year followup study. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2002 Feb 1;22(2):274-82. 23. Purnell JQ, Kahn SE, Schwartz RS, Brunzell JD. Relationship of insulin sensitivity and ApoB levels to intra-abdominal fat in subjects with familial combined hyperlipidemia. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2001 Apr;21(4):567-72. 24. Jiang XC, Qin S, Qiao C, Kawano K, Lin M, Skold A, Xiao X, Tall AR. Apolipoprotein B secretion and atherosclerosis are decreased in mice with phospholipid-transfer protein deficiency. Nat Med. 2001 Jul;7(7):847-52. 25. Austin MA. Triglyceride, small, dense low-density lipoprotein, and the atherogenic lipoprotein phenotype. Curr Atheroscler Rep. 2000 May;2(3):200-7. 26. Pitkanen OP, Nuutila P, Raitakari OT, Porkka K, Iida H, Nuotio I, Ronnemaa T, Viikari J, Taskinen MR, Ehnholm C, Knuuti J. Coronary flow reserve in young men with familial combined hyperlipidemia. Circulation. 1999 Apr 6;99(13):1678-84. 27. Liu ML, Ylitalo K, Nuotio I, Salonen R, Salonen JT, Taskinen MR. Association between carotid intima-media thickness and low-density lipoprotein size and susceptibility of low-density lipoprotein to oxidation in asymptomatic members of familial combined hyperlipidemia families. Stroke. 2002 May;33(5):1255-60. 28. Keulen ET, Kruijshoop M, Schaper NC, Hoeks AP, de Bruin TW. Increased intima-media thickness in familial combined hyperlipidemia associated with apolipoprotein B. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2002 Feb 1;22(2):283-8. 29. Aouizerat BE, Allayee H, Cantor RM, Dallinga-Thie GM, Lanning CD, de Bruin TW, Lusis AJ, Rotter JI. Linkage of a candidate gene locus to familial combined hyperlipidemia: lecithin:cholesterol acyltransferase on 16q. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 1999 Nov;19(11):2730-6. 30. Pihlajamaki J, Karjalainen L, Karhapaa P, Vauhkonen I, Taskinen MR, Deeb SS, Laakso M. G-250A substitution in promoter of hepatic lipase gene is associated with dyslipidemia and insulin resistance in healthy control subjects and in members of families with familial combined hyperlipidemia. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2000 Jul;20(7):178995. 31. Tahvanainen E, Pajukanta P, Porkka K, Nieminen S, Ikavalko L, Nuotio I, Taskinen MR, Peltonen L, Ehnholm C. Haplotypes of the ApoA-I/C-III/A-IV gene cluster and familial combined hyperlipidemia. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 1998 Nov;18(11):1810-7. 32. Pihlajamaki J, Austin M, Edwards K, Laakso M. A major gene effect on fasting insulin and insulin sensitivity in familial combined hyperlipidemia. Diabetes. 2001 Oct;50(10):2396-401. 33. Pihlajamaki J, Valve R, Karjalainen L, Karhapaa P, Vauhkonen I, Laakso M. The hormone sensitive lipase gene in familial combined hyperlipidemia and insulin resistance. Eur J Clin Invest. 2001 Apr;31(4):302-8. 34. Pihlajamaki J, Miettinen R, Valve R, Karjalainen L, Mykkanen L, Kuusisto J, Deeb S, Auwerx J, Laakso M. The Pro12A1a substitution in the peroxisome proliferator activated receptor gamma 2 is associated with an insulin-sensitive phenotype in families with familial combined hyperlipidemia and in nondiabetic elderly subjects with dyslipidemia. Atherosclerosis. 2000 Aug;151(2):567-74. 35. Pajukanta P, Terwilliger JD, Perola M, Hiekkalinna T, Nuotio I, Ellonen P, Parkkonen M, Hartiala J, Ylitalo K, Pihlajamaki J, Porkka K, Laakso M, Viikari J, Ehnholm C, Taskinen MR, Peltonen L. Genomewide scan for familial combined hyperlipidemia genes in finnish families, suggesting multiple susceptibility loci influencing triglyceride, cholesterol, and apolipoprotein B levels. Am J Hum Genet. 1999 May;64(5):1453-63. 36. Pihlajamaki J, Rissanen J, Valve R, Heikkinen S, Karjalainen L, Laakso M. Different regulation of free fatty acid levels and glucose oxidation by the Trp64Arg polymorphism of the beta3-adrenergic receptor gene and the promoter variant (A-3826G) of the uncoupling protein 1 gene in familial combined hyperlipidemia. Metabolism. 1998 Nov;47(11):1397-402. 37. Allayee H, Krass KL, Pajukanta P, Cantor RM, van der Kallen CJ, Mar R, Rotter JI, de Bruin TW, Peltonen L, Lusis AJ. Locus for elevated apolipoprotein B levels on chromosome 1p31 in families with familial combined hyperlipidemia. Circ Res. 2002 May 3;90(8):926-31. 38. Allayee H, de Bruin TW, Michelle Dominguez K, Cheng LS, Ipp E, Cantor RM, Krass KL, Keulen ET, Aouizerat BE, Lusis AJ, Rotter JI. Genome scan for blood pressure in Dutch dyslipidemic families reveals linkage to a locus on chromosome 4p. Hypertension. 2001 Oct;38(4):773-8. 39. Coon H, Myers RH, Borecki IB, Arnett DK, Hunt SC, Province MA, Djousse L, Leppert MF. Replication of linkage of familial combined hyperlipidemia to chromosome 1q with additional heterogeneous effect of apolipoprotein A-I/C-III/A-IV locus. The NHLBI Family Heart Study. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 2000 Oct;20(10):2275-80. 40. Gehrisch S. Common mutations of the lipoprotein lipase gene and their clinical significance. Curr Atheroscler Rep. 1999 Jul;1(1):70-8. 41. Wijsman EM, Brunzell JD, Jarvik GP, Austin MA, Motulsky AG, Deeb SS. Evidence against linkage of familial combined hyperlipidemia to the apolipoprotein AI-CIII-AIV gene complex. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 1998 Feb;18(2):215-26. 42. Vakkilainen J, Pajukanta P, Cantor RM, Nuotio IO, Lahdenpera S, Ylitalo K, Pihlajamaki J, Kovanen PT, Laakso M, Viikari JS, Peltonen L, Taskinen MR. Genetic influences contributing to LDL particle size in familial combined hyperlipidaemia. Eur J Hum Genet. 2002 Sep;10(9):547-52. 43. Kuromori Y, Okada T, Iwata F, Hara M, Noto N, Harada K. Familial Combined Hyperlipidemia (FCHL) in Children: the Significance of Early Development of HyperapoB Lipoproteinemia, Obesity and Aging. J Atheroscler Thromb. 2002;9(6):314-20. 44. Rader DJ, Tietge UJ. Gene therapy for dyslipidemia: clinical prospects. Curr Atheroscler Rep. 1999 Jul;1(1):58-69. 45. Jacobson TA. Combination lipid-altering therapy: an emerging treatment paradigm for the 21st century. Curr Atheroscler Rep. 2001 Sep;3(5):373-82. 46. Bredie SJ, Westerveld HT, Knipscheer HC, de Bruin TW, Kastelein JJ, Stalenhoef AF. Effects apolipoprotein-B-containing of gemfibrozil lipoproteins, or simvastatin apolipoprotein-CIII on and lipoprotein(a) in familial combined hyperlipidaemia. Neth J Med. 1996 Aug;49(2):59-67. 47. Tato F, Keller C, Wolfram G. Effects of fish oil concentrate on lipoproteins and apolipoproteins in familial combined hyperlipidemia. Clin Investig. 1993 Apr;71(4):314-8. 48. Melenovsky V, Malik J, Wichterle D, Simek J, Pisarikova A, Skrha J, Poledne R, Stavek P, Ceska R. Comparison of the effects of atorvastatin or fenofibrate on nonlipid biochemical risk factors and the LDL particle size in subjects with combined hyperlipidemia. Am Heart J. 2002 Oct;144(4):E6. 49. Athyros VG, Papageorgiou AA, Athyrou VV, Demitriadis DS, Pehlivanidis AN, Kontopoulos AG. Atorvastatin versus four statin- fibrate combinations in patients with familial combined hyperlipidaemia. J Cardiovasc Risk. 2002 Feb;9(1):33-9. 50. Nordoy A, Hansen JB, Brox J, Svensson B. Effects of atorvastatin and omega-3 fatty acids on LDL subfractions and postprandial hyperlipemia in patients with combined hyperlipemia. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2001 Feb;11(1):7-16. 51. Zambon D, Ros E, Rodriguez-Villar C, Laguna JC, Vazquez M, Sanllehy C, Casals E, Sol JM, Hernandez G. Randomized crossover study of gemfibrozil versus lovastatin in familial combined hyperlipidemia: additive effects of combination treatment on lipid regulation. Metabolism. 1999 Jan;48(1):47-54. 52. Vazquez M, Zambon D, Hernandez Y, Adzet T, Merlos M, Ros E, Laguna JC. Lipoprotein composition and oxidative modification during therapy with gemfibrozil and lovastatin in patients with combined hyperlipidaemia. Br J Clin Pharmacol. 1998 Mar;45(3):2659. 53. Davidson MH, Macariola-Coad JR, McDonald AM, Maki KC, Hall HA. Separate and joint effects of marine oil and simvastatin in patients with combined hyperlipidemia. Am J Cardiol. 1997 Sep 15;80(6):7978. 54. Athyros VG, Papageorgiou AA, Hatzikonstandinou HA, Didangelos TP, Carina MV, Kranitsas DF, Kontopoulos AG. Safety and efficacy of long-term statin-fibrate combinations in patients with refractory familial combined hyperlipidemia. Am J Cardiol. 1997 Sep 1;80(5):608-13. 55. Aguilar-Salinas CA, Hugh P, Barrett R, Pulai J, Zhu XL, Schonfeld G. A familial combined hyperlipidemic kindred with impaired apolipoprotein B catabolism. Kinetics of apolipoprotein B during placebo and pravastatin therapy. Arterioscler Thromb Vasc Biol. 1997 Jan;17(1):72-82. 56. Kontopoulos AG, Athyros VG, Papageorgiou AA, Hatzikonstandinou HA, Mayroudi MC, Boudoulas H. Effects of simvastatin and ciprofibrate alone and in combination on lipid profile, plasma fibrinogen and low density lipoprotein particle structure and distribution in patients with familial combined hyperlipidaemia and coronary artery disease. Coron Artery Dis. 1996 Nov;7(11):843-50. 57. Bredie SJ, Westerveld HT, Knipscheer HC, de Bruin TW, Kastelein JJ, Stalenhoef AF. Effects apolipoprotein-B-containing of gemfibrozil lipoproteins, or simvastatin apolipoprotein-CIII on and lipoprotein(a) in familial combined hyperlipidaemia. Neth J Med. 1996 Aug;49(2):59-67. 58. Bruckert E, De Gennes JL, Malbecq W, Baigts F. Comparison of the efficacy of simvastatin and standard fibrate therapy in the treatment of primary hypercholesterolemia and combined hyperlipidemia. Clin Cardiol. 1995 Nov;18(11):621-9. 59. Bredie SJ, de Bruin TW, Demacker PN, Kastelein JJ, Stalenhoef AF. Comparison of gemfibrozil versus simvastatin in familial combined hyperlipidemia and effects on apolipoprotein-B-containing lipoproteins, low-density lipoprotein subfraction profile, and lowdensity lipoprotein oxidizability.Am J Cardiol. 1995 Feb 15;75(5):34853. 60. Broijersen A, Eriksson M, Angelin B, Hjemdahl P. Gemfibrozil enhances platelet hyperlipoproteinemia. activity in Arterioscler patients Thromb with Vasc combined Biol. 1995 Jan;15(1):121-7. 61. Franceschini G et al Pravastatin effectively lowers LDL cholesterol in familial combined hyperlipidemia without changing LDL subclass pattern. Arterioscler Thromb. 1994 Oct;14(10):1569-75. 62. Zambon S, Cortella A, Sartore G, Baldo-Enzi G, Manzato E, Crepaldi G. Pravastatin treatment in combined hyperlipidaemia. Effect on plasma lipoprotein levels and size. Eur J Clin Pharmacol. 1994;46(3):221-4. 63. Contacos C, Barter PJ, Sullivan DR. Effect of pravastatin and omega-3 fatty acids on plasma lipids and lipoproteins in patients with combined hyperlipidemia. Arterioscler Thromb. 1993 Dec;13(12):1755-62. 64. Odman B, Ericsson S, Lindmark M, Berglund L, Angelin B. Gemfibrozil in familial combined hyperlipidaemia: effect of added low-dose cholestyramine on plasma and biliary lipids. Eur J Clin Invest. 1991 Jun;21(3):344-9. 65. Ojala JP, Helve E, Tikkanen MJ. Treatment of combined hyperlipidemia with lovastatin versus gemfibrozil: a comparison study. Cardiology. 1990;77 Suppl 4:39-49. 66. Rabkin SW, Hayden M, Frohlich J. Comparison of gemfibrozil and clofibrate on serum lipids in familial combined hyperlipidemia. A randomized placebo-controlled, double-blind, crossover clinical trial. Atherosclerosis. 1988 Oct;73(2-3):233-40 67. East C, Bilheimer DW, Grundy SM. Combination drug therapy for familial combined hyperlipidemia. Ann Intern Med. 1988 Jul 1;109(1):25-32. 68. Manninen V, Elo MO, Frick MH, Haapa K, Heinonen OP, Heinsalmi P, Helo P,Huttunen JK, Kaitaniemi P, Koskinen P, et al.Lipid alterations and decline in the incidence of coronary heart disease in theHelsinki Heart Study. JAMA 1988 Aug 5;260(5):641-51 69. Rubins HB, Robins SJ, Collins D, Fye CL, Anderson JW, Elam MB, Faas FH, Linares E, Schaefer EJ, Schectman G, Wilt TJ, Wittes J. Gemfibrozil for the secondary prevention of coronary heart disease in men with low levels of high-density lipoprotein cholesterol. Veterans Affairs High-Density Lipoprotein Cholesterol Intervention Trial Study Group. N Engl J Med 1999 Aug 5;341(6):410-8 70. MRC/BHF Heart Protection Study of cholesterol lowering with simvastatin in 20,536 high-risk individuals: a randomised placebocontrolled trial. Lancet. 2002 Jul 6;360(9326):7-22. 71. Executive Summary of The Third Report of The National Cholesterol Education Program (NCEP) Expert Panel on Detection, Evaluation, And Treatment of High Blood Cholesterol In Adults (Adult Treatment Panel III). JAMA. 2001 May 16;285(19):2486-97. No abstract available.