Il nutrimento universale dell`arte. La collezione Doria Pamphilj e il cibo

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Il nutrimento universale dell`arte. La collezione Doria Pamphilj e il cibo
Delicate allegorie dei sensi, buie dispense e indaffarate cucine, animate taverne, tavole riccamente
imbandite per banchetti sacri e profani, pane croccante, frutta e verdura dai vividi colori, pesci e
crostacei lucenti di mare, selvaggina piumata, carni sanguinolente, salumi e odorosi formaggi,
dolci preziosi come gioielli, vini e liquori vellutati colmano le sale della Galleria Doria Pamphilj
loro dedicate e saturano di sensazioni i visitatori.
L’esposizione Il nutrimento universale dell’arte. La collezione Doria Pamphilj e il cibo, curata da Alessandra
Mercantini, si inserisce nel piano delle mostre temporanee che la Galleria Doria Pamphilj da
alcuni anni organizza ed ha ricevuto il patrocinio dell’Esposizione Universale 2015 in corso a
Milano e dedicata alla nutrizione.
Le opere in mostra, realizzate nell’arco temporale compreso tra la fine del XVI e la prima metà
del XVIII secolo, fanno tutte parte della quadreria Doria Pamphilj, una delle collezioni più
importanti del mondo, e includono capolavori dei Bassano e dei Lavagna, di Pasquale Chiesa,
Ippolito Scarsella, il “Cigoli” e Niccolò Stanchi, nonché notevoli prove dei fiamminghi Jan van
Kessel, Johannes Hermans, David Ryckaert e David Teniers. Alcune tra le tele proposte,
abitualmente collocate negli appartamenti privati dei principi Donna Gesine e Don Jonathan
Doria Pamphilj e concesse eccezionalmente in questa occasione, vengono offerte alla visione del
pubblico per la prima volta.
Iniziamo il nostro viaggio con le delicate allegorie dei sensi del Gusto e dell’Olfatto, i due raffinati
ovali en pendant (Fc223 e Fc224) del viterbese “Raffaellino”, e proseguiamo con le illustrazioni dei
cibi nelle nature morte in voga nel XVII secolo e che furono particolarmente amate dai principi
Pamphilj, abili mecenati e sagaci collezionisti, dal gusto spesso precursore di mode artistiche, che
si circondarono letteralmente di tali soggetti. Tra questi, basti citare i due incantevoli oli su rame
di Jan van Kessel il Vecchio (Fc243 e Fc253) e la tela Natura morta con trionfo di fiori e vasellame con un
giovane in atto di rubare canditi (Fc622) di Monsù Aurora, pittore fiammingo che lavorò a lungo per il
principe Camillo Pamphilj e per il figlio cardinale Benedetto e che a Roma fu il precursore della
moda del lusso nella natura morta.
La raffigurazione realistica degli alimenti nella pittura dell’epoca romana si perderà nel Medioevo,
periodo nel quale la verisimiglianza dei soggetti sarà sacrificata a favore del significato allegorico
del cibo e le sontuose portate di un banchetto, simbolo di convivialità e socializzazione, si
contrapporranno alla vita spirituale. Nel XVI secolo i quadri di genere, nei quali l’alimento
diventerà metafora sociale, renderanno espliciti i rapporti tra le diverse classi sociali, mentre nel
secolo successivo si diffonderà con straordinaria velocità dal Nord Europa lo Stilleben, la natura
morta, nel quale gli artisti, rappresentando elementi statici come libri, strumenti musicali, fiori e
cibo, spesso accompagnati da gustosi dettagli di vita quotidiana, celebrano il loro pubblico di
ricchi mercanti e professionisti borghesi e attestano il processo di secolarizzazione dell’arte. Gli
alimenti, disposti in maniera più o meno casuale su una tovaglia o distribuiti in modo strategico
sulla scena, assumono sempre più il ruolo di protagonisti dell’opera. Frutta, verdura, carni e pesci
vengono rappresentati nei minimi particolari, nella loro naturalezza e nella loro imperfezione, ad
indicare il ciclo della natura e l’andamento della storia dell’uomo, illustrando periodi di
abbondanza e carestia in una sorta di documentazione fotografica.
Alle scene di gusto popolare, in voga nel XVII secolo, riportano i convitti campestri dei
contemporanei David Teniers (Fc350) e David Ryckaert (Fc242), i venditori di diversi alimenti
ritratti nell’atto di esibire la propria merce - ortaggi, meloni, pesci e ciambelle - ai possibili
acquirenti e la raffigurazione delle taverne, luogo di socializzazione e di circolazione delle idee che
venne elevato, durante il Cinquecento e soprattutto ad opera di pittori fiamminghi, a tema degno
di illustrazione pittorica.
Chiudono l’esposizione le diverse scene conviviali sacre tratte dalle parabole del Vangelo di Luca, il
più prolifico di suggestioni per gli artisti di tutti i tempi. L’episodio della cena pasquale di Cristo
con gli apostoli è uno dei palinsesti sui quali i pittori si sono da sempre messi alla prova:
l’illustrazione de L’Ultima cena (Fc249) del ferrarese Ippolito Scarsella, fedele all’iconografia
biblica, inquadra la scena in una architettura classica con traguardo paesaggistico e inserisce il
particolare giocoso della lotta tra cane e gatto per aggiudicarsi il piccolo pezzo di pane caduto
dalla tavola. Un secolo dopo Sebastiano Conca (Fc486), che illustra la confusione degli apostoli
dopo la rivelazione dell’imminente tradimento, aggiunge stravaganti particolarità, quali la presenza
della Maddalena seduta sul pavimento in primo piano, le due caraffe e il gatto che sembra in
caccia. La bella tela di Ludovico Cardi, datata 1596 e dedicata alla Cena in casa di Simone il fariseo
(Fc246), mostra il momento della lavanda dei piedi di Gesù da parte di una nota ‘peccatrice’ e
rimarca l’attenzione del Cristo verso gli ultimi e il suo silenzioso rimprovero verso l’ipocrisia della
superbia incarnata dal fariseo. Molto amato dagli artisti per i suoi chiari riferimenti alla vita dopo
la morte ed al giudizio divino è poi il Banchetto del ricco Epulone, che pasteggia ogni giorno
circondato dai propri servitori, mentre il mendicante Lazzaro chiede invano l’elemosina accanto
alla sua tavola. Lazzaro è vicino, ma il ricco non lo vede, preso com’è da se stesso e dalla propria
vita, come se dovesse durare in eterno. Entrambe le tele presentate, una di Leandro da Ponte
(Fc490) e l’altra di Giacomo Legi o Liegi (Fc193), sono notevoli esempi di quelle ‘nature morte
invertite’, nelle quali il tema sacro, cui è riservato un angolo dell’opera, si contrappone al soggetto
profano e si fa quasi semplice pretesto per l’illustrazione dell’abbondanza dei cibi, delle ricche
dispense e delle affaccendate e buie cucine tipiche del Cinque-Seicento.
L’episodio della Cena in Emmaus, nel quale Gesù si manifesta ai due sconfitti e delusi viandanti,
dopo i tragici avvenimenti della Pasqua, nel gesto inconfondibile dello spezzare e condividere il
pane, permettendo alla vita di passare in un tratto dalla sofferenza alla speranza, dalla
incomprensione alla comprensione, e dimostrando che l’amore lenisce anche gli strazi più terribili,
divenne presto uno dei temi preferiti dai pittori. L’olandese Stomer, fortemente influenzato dallo
stile pittorico di Caravaggio, rappresentò il soggetto (Fc86) con aderenza alla narrazione
evangelica, mentre la fortunata bottega dei Bassano replicò più volte l’opera per la propria
committenza, che, come detto, molto apprezzava l’illustrazione del soggetto sacro e della scena di
genere elevati a pari dignità. Infine, il tema della Parabola del figlio prodigo, nella quale la
preoccupazione di Dio si manifesta verso il peccatore pentito a preferenza di chi è rigorosamente
giusto, viene sviluppato nella nostra bella tela (Fc103) da Jacopo e Francesco Bassano, che ancora
una volta affiancano scene domestiche, qui rappresentate dalla minuziosa preparazione di un
sontuoso banchetto - paradigmatico della clientela di mercanti e ricchi borghesi che si affacciava al
prolifico mercato artistico nordeuropeo - alla raffigurazione religiosa.
La Galleria Doria Pamphilj e le Salette sulla via del Corso
Lo splendido complesso monumentale del Palazzo Doria Pamphilj, tuttora residenza della
famiglia, è il risultato dell’accordo architettonico ed artistico di fasi costruttive che coprono un
arco di ben quattro secoli e racchiude una serie di sale splendidamente decorate e una Galleria che
espone al modo settecentesco le opere d’arte di una delle più celebri collezioni italiane. Non è solo
la qualità e il valore di questi capolavori a stupire, ma anche il loro numero: le opere sono così
tante da rivestire completamente le pareti degli Appartamenti e della splendida Galleria. La
raccolta ebbe il suo momento di maggiore accrescimento nel corso del XVII e XVIII secolo,
quando molte opere giunsero ai Pamphilj grazie a diversi importanti matrimoni, al mecenatismo e
al collezionismo di alcuni dei personaggi più rilevanti della famiglia, nonché al potere e
all’influenza del pontefice Innocenzo X e della famigerata cognata Olimpia Maidalchini Pamphilj.
Nel 1731 il principe Camillo Pamphilj iunior chiamò l’architetto Gabriele Valvassori a rinnovare il
corpo di fabbrica più antico del palazzo sulla via del Corso e in questa occasione fu chiusa la
loggia superiore del cortile rinascimentale, trasformando il quadrilatero in un ambiente espositivo
e uno dei bracci fu allestito a “Galleria degli Specchi”. In asse con questa, quattro piccole sale
furono allora restaurate e le volte a padiglione vennero campite di architetture fantastiche con
prospettive, ornati e fiori dal pittore Pompeo Aldobrandini.
In questi sontuosi ambienti trova scenografia appropriata la mostra dedicata alle ‘gustose’ opere
della collezione Doria Pamphilj che invitano a compiere un viaggio all’interno del vincolo secolare
che lega arte figurativa e cibo.