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African Noises: la trentacinquesima edizione del Roccella Jazz Festival
Scritto da Gianmichele Taormina
Martedì 03 Novembre 2015 00:00
Foto: Gianmichele Taormina
African Noises: la trentacinquesima edizione del Roccella Jazz
Festival
Roccella Jonica - 11/22.8.2015
Nel titolo e nella complessa idea di festival concepita da Vincenzo
Staiano e Paola Pinchera, sostava quest'anno tutta la natura e la
peculiarità artistica di un progetto assai impegnativo e dai forti connotati
afrocentrici, ovvero "African Noises".
Giusto è parso quindi concludere la trentacinquesima edizione di una
delle manifestazioni italiane più longeve al mondo con l'esibizione della
Marockin' Brass - ospite il trombettista Byron Wallen - formazione
rappresentativa dello spirito come sempre felicemente "contaminato"
impresso all'interno del cartellone 2015.
Con Jazz, soul e R.&B. miscelato a suoni, ritmi, canti (e costumi) del
Marocco, l'eterogenea band proveniente inoltre da Inghilterra, Belgio e
Francia, seppur con momenti scollegati tra loro ha espresso il poco
noto concetto di Gnawa Music, una sorta di antica sonorità modale sulla
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quale scivolavano vocalizzi ipnotici ispirati a una delle più antiche etnie
provenienti dal sud del Marocco.
Dalla differente pronuncia estetica e da diversa derivazione semantica
è stato come era auspicabile aspettarselo il concerto di punta del
programma roccellese, quello cioè di Roscoe Mitchell. Quindici anni
dopo la splendida esibizione con la Note Factory, Mitchell e il suo trio,
completato dai fidi Jaribu Shahid al contrabbasso e Tani Tabbal alla
batteria, ha donato al pubblico calabro l'essenza carismatica ed
energica del suo spirito sempre innovativo. Travolgente sin dalla prima
nota il sassofonista di Chicago ha aperto il sipario con Chant,
composizione simbolo di un linguaggio esplosivo spesso proferito nel
solco di una solitudine infinita, propria della sua irripetibile creatività. In
altri luoghi del concerto la musica si manteneva scevra da compromessi
e condizionamenti, libera di vagare nei territori improvvisati dai
meravigliosi partner di cordata. Fino al consueto bis di Odwalla, storica
coda finale per l'epilogo di un concerto sicuramente indimenticabile.
Grande aspettativa, ripagata, (seppur con soli quarantasei minuti di
concerto), vi è stata alla stessa stregua per l'esibizione del Wadada Leo
Smith Golden Quartet (con Pheeroan Aklaff, Anthony Davis e John
Lindeberg). La musica, di grande tensione ritmica e avvolta in un
esplosivo intercalare di eventi, è emersa fulgida nella sua affascinante
bellezza sonora. Costruito da intense congiunzioni collettive ma anche
da brevi riflessioni e inaspettati silenzi individuali, il tappeto sonoro di
Smith si evolveva ininterrottamente, intersecandosi tra lunghi episodi
solisti. Specie quando il leader navigava in solitudine, attraversando
luoghi epici, esoterici. Inesplorati. E di seguito si alternava in enormi
spazi che il trombettista riservava ai suoi musicisti, specie per un
meraviglioso Anthony Davis, abbondantemente emerso nella prima
parte.
Spettacolo dalla dirompente forza sciamanica è stato invece quello
della vocalist e percussionista ivoriana Dobet Gnahoré. Giovane e
affascinante, energica e creativa, la Gnahoré non si è risparmiata in
vitalità e coraggio nell'affrontare il suo ricco repertorio pescato dai suo
quattro lavori solisti. Un variegato crossover non scevro dal moderno
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temperamento africano che caratterizzano i nuovi e antichi suoni del
variopinto continente. Band superlativa.
Seguendo poi la scia di sonorità e ritmi cui l'Africa è stata punto di
riferimento più alto vanno inoltre segnalate le esibizioni di Julius
Orlando e la sua variopinta band The Heliocentrics nonché la
formazione proveniente da Francia, Spegna e Marocco dei Gabacho
Maroconnection. Per entrambe le situazioni si è assistito a spettacoli
dalla natura festosa e solare. Il settantaduenne sassofonista nigeriano
ha trasmesso inarrivabile happiness e giocosità irresistibile mentre i
secondi hanno, soprattutto alla fine del concerto, intercalato ai suoni
Gnawa anche reggae e pop sino al movimentato coinvolgimento del
pubblico danzante.
Più vicino alla fusion e alla world music, è piaciuta la proposta dei
Gansan & Tamount Ifassen. Band proveniente per lo più dal Belgio, la
formazione è stata apprezzata per lucidità artistica, scelta ottimale nella
distribuzione scenica e dei vari interventi solisti. Tra questi da
sottolineare la chitarra di Nicolas Dechène e Ludovic Jeanmart ai
sassofoni.
Dal versante italiano sono invece giunte conferme artistiche di
indubbio valore espressivo. A cominciare dal granitico trio guidato da
Rosario Di Rosa. Reduce dal grande seguito ottenuto con l'incisione di
Pop-Corn Reflection, il pianista vittoriese insieme ai begli innesti di
Cristiano Calcagnile alla batteria e Paolo Dassi al contrabbasso, ha
regalato presso l'ex Convento dei Minimi un'esibizione perfetta,
composta da variegate forme compositive: dallo swing, alla musica
libera (sarebbe un delitto parlare di free), alla fulgida ricerca
contemporanea sino a quella minimal elettronica (sempre misurata e
mai abusata), a ballads dall'impressionante e incantevole bellezza.
Congratulazioni a Di Rosa ma anche al trombettista Angelo Olivieri,
compositore maturo e innovativo il quale, con il suo ZY Project, ha
ottenuto il meritato assenso del pubblico dell'Auditorium Comunale.
Dirigendo una formazione ben amalgamata con la bravissima Susanna
Stivali alla voce, Olivieri ha intercalato le proprie splendide composizioni
dal piglio elettrico tra i testi di Antonella Gatti Bardelli e la voce recitante
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di Sara Alzetta per la regia di un nume tutelare come Wilma Labate.
Al suo esordio da leader, il contrabbassista toscano Francesco
Marcocci da qualche tempo trapiantato a New York, presentava a sua
volta un quartetto dalle variegate anime jazzistiche: dal pianista
argentino Leo Genovese (celebre per le sue collaborazioni con
Esperanza Spalding), a Godwin Louis al sax alto e soprano, con inoltre,
Willy Rodriguez alla batteria e, ospite in gran spolvero, il sax soprano di
Gavino Murgia, sempre immenso solista, sempre una spanna "avanti",
cultore e animatore di una ricerca etnica che non ha eguali.
Swing e tradizione, bop intrigante e assai lirico sono stati i punti
salienti del quartetto del notevole sassofonista Tommaso Starace, il
quale ha "sorvolato" con le sue composizioni, le foto in bianco e nero di
un maestro come Gianni Berengo Gardin. Al suo fianco tre belle realtà
del jazz italiano: Michele Di Toro al pianoforte, Tommy Bradascio alla
batteria e, al contrabbasso uno splendido musicista di assoluta
maestria come Attilio Zanchi.
In chiusura segnaliamo l'esilarante concerto di Daniele Sepe dedicato
alle colonne sonore di film italiani con omaggi a Fellini, Nino Rota,
Alberto Sordi e con le immagini tratte da film di Totò, nonché il bel
concerto, intenso e carismatico dei Tetes De Bois (con la voce recitante
di Paolo Hendel e i disegni dal vivo di Sergio Staino), i quali hanno
raccontato la struggente storia dell'anarchico Passannante con
riferimenti a testi di Verlaine, Baudelaire e Leo Ferrè.
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