UNA TRASFORMAZIONE DELL`INSEDIAMENTO RURALE IN ETÀ
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UNA TRASFORMAZIONE DELL`INSEDIAMENTO RURALE IN ETÀ
UNA TRASFORMAZIONE DELL'INSEDIAMENTO RURALE IN ETÀ MODERNA: L'ORIGINE DELLA DIMORA A « CORTE » IN PIEMONTE. Premessa. Sempre più frequentemente oggi la ricerca documentaria è concepita, nello studio dell'insediamento rurale, come la fase preparatoria di un più ampio lavoro che comporta un fieldwork fondato su tecniche d'analisi genericamente definite « archeologiche ». Ciò però significa —oltre che una precisa scelta di campo nell'ambito della ricerca geostorica— un più attento uso, qualitativamente diverso, delle fonti scritte. Un primo problema di metodo è, a questo proposito, inerente il rapporto parola-cosa, rapporto che non solo non è sempre facilmente decodificabile, ma che oltretutto è variabile nel tempo, come è già stato ampiamente dimostrato in due situazioni insediative specifiche1. Va poi tenuto presente un ulteriore ordine di problemi: le preoccupazioni tassonomiche espresse in materia di insediamento dalla geografia positivista hanno prodotto classificazioni tipologiche prive di ogni fondamento geo-storico. Risulta quindi molto pericoloso, ossia fuorviante, concepire la ricerca documentaria come una semplice analisi retrogressiva del «tipo» insediativo, come è stato purtroppo fatto e come ancora recentemente si è proposto2. [271] La geografia storica europea, nelle sue formulazioni metodologicamente più fondate, ha più volte esortato, a questo proposito, a mettere in opera corrette analisi morfogenetiche3, della cui utilità nello studio anche tipologico della dimora rurale Pierre De Martin ancora recentemente ci ha dato un brillante saggio4. Questo lavoro5 si propone appunto lo scopo di tentare una decodificazione delle fonti documentarie inedite utilizzabili nello studio della casa rurale in Piemonte, a partire da un problema di ABBREVIAZIONI USATE NELLE NOTE. A.A.T. Archivio Arcivescovile di Torino A.O.M. Archivio dell'Ordine Mauriziano AST Archivio di Stato di Torino Comm. Patr. Commende Patronate Comm. Lib. Coll. Commende di Libera Collazione 1 Cfr. D. MORENO - S. DE MAESTRI , Casa rurale e cultura materiale nella colonizzazione dell'Appennino genovese tra XVI e XVII secolo, Atti della Conferenza Permanente Europea per lo Studio del Paesaggio Agrario, VII Sess. (Perugia 1973), Perugia 1975, pp. 388-407, R. COMBA, Contributo alla storia della dimora rurale nel Cuneese, Atti del Colloquio Intern. di Archeologia Medievale (Palermo-Erice 1974), Palermo 1976, pp. 3-14, ID., Due cascine del Cuneese nella prospettiva di una storia della casa rurale, «BSBS», LXXIII, 1975, pp. 211-268 e ID., Rappresentazioni mentali, realtà e aspetti di cultura materiale nella storia delle dimore rurali: le campagne del Piemonte sud-occidentale fra XII e XVI secolo, «Archeologia Medievale», V, 1978, pp. 375-414. 2 In questo senso non solo non ci rallegra, ma anzi ci preoccupa, per i rischi che palesa, l' apparente apertura all'analisi storica ventilata ora da F. ADAMO, Per una tipologia geografia-sociale della casa rurale nella pianura piemontese, «Boll. Soc. Geog. It.», ser. X, VII, 1978, pp. 479-515, dove —a parte considerazioni di metodo etnografico e geostorico che andrebbero ponderate alla luce di recenti dibattiti—lo spoglio estensivo di fonti archivistiche, per altro già note e utilizzate, non è stato in grado, per la sua impostazione, di riconoscere alcuno dei problemi di contenuto e di metodo connessi alla ricerca. 3 Sull'utilità dell'analisi morfogenetica si veda per tutti D. FLIEDNER, Aufgaben der genetischen Siedlungsforschung in Mitteleuropa aus der Sicht der Siedlungsgeographie, «Berichte Deut. Landeskunde» 50, 1976, pp. 55-83. Classificazioni fondate su « corretti criteri genetico-retrospettivi» sono auspicate anche dalla Commissione per la Terminologia del Paesaggio Agrario dell'Unione Geografica Internazionale: cfr. H. UHLIG - C. LIENAU, Materialien zur Terminologie der Agrarlandschaft, vol. II Die Siedlungen des Ländlichen Raumes, Giessen 1972, pp. 42-47. 4 P. DE MARTIN, Un exemple d'evolution vers une fausse maison à cour ouverte dans les monts du Livradois, Actes de la Conférence Permanente Européenne pour l'Etude du Paysage Rural, IX Sess. (Rennes-Quimper 1977) Rennes 1979, pp. 113-120. Nel materiale preparatorio del convegno era contenuta un'altra interessante relazione dello stesso autore, sul tema Un indice de fermeture des cours de la maison à cour fermèe purtroppo non inserita poi negli atti. 5 Le considerazioni svolte in questo saggio costituiscono un ampliamento di un precedente lavoro sullo stesso tema: cfr. P. SERENO, La maison à cour fermée en Piémont: quelques remarques morphogenétiques, Actes de la Conf. Perm. Eur. pour l'Et. du Paysage Rural, IX Sess. op. cit., pp.91-111. morfogenesi che interessa la comparsa, nel paesaggio agrario della regione, della cassina a corte chiusa che ne costituisce ceno un elemento caratterizzante. I1 materiale documentario che si è sottoposto ad analisi è costituito essenzialmente dai fondi archivistici dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, dell'Ordine di Malta, delle famiglie nobili piemontesi, del patrimonio del duca del Chiablese, dell'Economato dei Benefici Vacanti, delle visite d'informazione ai feudi, del Capitolo di San Giovanni di Torino; a questi possiamo aggiungere alcuni altri fondi che non mette conto citare perché non hanno dato che scarsissimi esiti. In alcuni casi, ove è stato possibile, i risultati della ricerca documentaria sono stati confrontati con le strutture ancora in situ6. Sono state quindi preparate schede per ogni cassina —indipendentemente dalla sua forma— di cui era possibile ricostruire le vicende in un arco di tempo sufficientemente significativo, compreso in una fascia tra la seconda metà del secolo XVI e la fine del secolo XIX.[272] Il linguaggio delle fonti: un problema di ricerca. Le fonti non sembrano registrare per l'età moderna una diversificazione dell'insediamento rurale sparso nella pianura piemontese. La terminologia relativa si impoverisce infatti rispetto all'età medievale7: il termine cassina finisce per sopraffare in larga misura le altre denominazioni, tra le quali solo il termine « grangia » sembra conservarsi in alcuni casi, ma senza una connotazione specifica, mentre il termine « tetto » si cristallizza nella toponomastica8. Ciò non deve però far pensare ad una uniformizzazione dei tipi di insediamento; in altre parole non vi è una rispondenza tra la denominazione e l'oggetto denominato. Le stesse case a corte chiusa non hanno nei documenti designazioni specifiche. Dobbiamo ritenere quindi che, rispetto ai secoli precedenti, in cui sembra possibile riconoscere un processo di denominazione legato alla tipologia dell'insediamento, l'età moderna muti il sistema di significazione e rinunci a codici di riferimento preciso, limitatamente però alla pianura, mentre conserva nella montagna una ricchezza lessicale certamente legata a tipologie insediativo-colturali. La relativa abbondanza di documenti descrittivi e, da un certo momento in poi, anche di documenti cartografici, rende abbastanza facilmente superabile questo ostacolo, benché non sempre le descrizioni — e ciò potrà sembrare paradossale — siano illuminanti sulle forme insediative. In ogni caso l'impoverimento del lessico relativo all'insediamento rurale sparso, proprio in quanto esso rappresenta un'inversione di tendenza, non può essere considerato casuale, anche se per ora dobbiamo dichiararci disarmati dinanzi a tale problema. Il termine « cassina » diventa dunque alquanto elastico e finisce per coprire realtà insediative diverse. Ma anche contestualmente all'oggetto che designa, qualunque sia la sua forma, il termine tende ad espandere il suo spettro di significazione, secondo un processo che è simile all'iter del termine « tectum », di cui è già un sostitutivo9. Dapprima infatti « cassina » non basta a definire una struttura che è ambivalente, abitativa e produttiva al tempo stesso. Si deve ricorrere all'espressione « casa et cassina », connotando il nostro termine soltanto la parte funzionale dell'edificio rurale. [273] In breve tempo però « cassina » si sovrappone anche a «casa», passando a designare l'intera dimora rurale, ciò che sembra sottintendere una concezione puramente economico-funzionale dell'edificio, inteso alla Demangeon come «outil agricole». E d'altronde la «cassina», in questo secondo significato onnicomprensivo, viene spesso spiegata come «casa da massaro», rappresenta cioè un'unità di lavoro che corrisponde ad una unità familiare. E quindi non dobbiamo dimenticare —se fossimo tentati da analisi di tipo 6 Il lavoro sul terreno è stato ispirato nelle sue linee metodologiche generali a R. W. BRUNSKILL, Vernacular Architecture, Londra 1971. 7 Sulla terminologia medievale cfr. COMBA, Rappresentazioni mentali. . ., art. cit., pp. 378-411. 8 In età moderna, il termine toponomastico « Tetto » designa di norma un piccolo nucleo e solo molto raramente un insediamento isolato. Uno di questi rari esempi è dato dal significativo toponimo « al Tetto Murato » di una cassina presso Busca, molto simile nella forma al « tetto » rappresentato in una mappa cinquecentesca edita in parte da COMBA, Contributo alla storia della dimora rurale, rel. cit., p. 8. si tratta di un piccolo edificio circondato su tre lati da un muro di cinta ciò che naturalmente non può ancora definirsi « corte » nel senso attribuito dai geografi. Cfr. A.O.M., Serie Cabrei, reg. 18. 9 Per il termine « tectum » cfr. COMBA, Due cascine del Cuneese, art. cit., pp. 211 sgg. percezionistico— che le nostre fonti ci portano la « voce del padrone ». Esiste per altro anche il termine «massaria» come sinonimo di «cassina», benché la sua frequenza nelle fonti sia trascurabile e la sua scomparsa definitiva possa farsi risalire già alla prima metà del secolo XVII10. Infine, « cassina » passa a designare l'intero podere, con la sua dotazione di terre, secondo un uso diffuso ancora oggi nella parlata dialettale. La vitalità del termine trova forse una ragione proprio nella sua polisemia e nella sua adattabilità. Tuttavia, se « cassina » diventa parola poco connotante, che tipo di informazioni ci possono fornire allora le fonti. La questione appare ancora molto intricata, anche se possiamo già vantare notevoli progressi rispetto a non molti anni or sono, quando si è cominciato ad avviare questo genere di ricerche. Nelle campagne piemontesi d'ancien régime la cassina poteva essere indubbiamente disparati tipi di insediamento, non importa qui per ora quali. Dobbiamo allora dedurne che il modo di denominare l'abitato sparso non era più sensibile alle forme, ma solo ad una elementare distinzione tra il costruito e il coltivato. In altri termini la cassina può essere interpretata come una parcelie bâtie, non diversamente dal tompt scandinavo o dal toft anglosassone o dalla plant-masure della Normandia. Così per esempio è definita una cassina presso Tronzano nel 1575: « Et primo petia una di terra sive sedime co la cassina dentro et il sitto di una fontana co il suo cauo o sia fosso atorno detto sedime, laqual casina si è di trabate otto nelli quali gli è una casa et stalla oue al presente habita il massaro co il suo solaro di trabate tre et supra coperta di copi et trabati tre coperti di paglia et trabata una e meza discoperta nel quale sedime gli è una bocha di matoni et copi cotti per redificar et augmintar detta cassina »11. In generale, il sedimen comprende, oltre all'edificio, l'aia, l'orto di norma cintato, a volte un canapale, spesso un prato, il tutto concepito di frequente come unitario12. [274] Che ciò possa aver favorito in certi casi il processo di chiusura della «corte» è ipotesi suggestiva, suggerita anche da una decisione presa appunto in questo senso, sia pure in modo limitato alle sue possibilità, da uno dei massari del marchese Carli della Porta, a Momo, il quale nel 1680, «in questo tempo sospettoso di contaggio» fa recingere con una fitta siepe la parcella, cioè il sedimen, su cui sorge la cassina che gli è affidata13: una concezione di paesaggi ad enclos, che però si trasferisce soprattutto sull'abitato. Il sedimen d'altronde è in larga misura assimilabile allo spazio interno delle «corti» moderne, diversamente dalla corte così come è intesa nei nostri documenti, vale a dire lo spiazzo, antistante l'edificio rurale, parte del quale è definito «ajra», là dove si batte il grano. Vi è una sola eccezione a questa regola costante nell'uso del 10 Si vedano per esempio le «tre massarie di Sancto Laurencio», presso Racconigi, che già nel 1626 diventano «Case et cassine» (AS.T., Sez. Riun., Carte dell'Ordine di Malta, mazzo 210, fasc. 1, 1602 e fasc. 7, 1626). Nella stessa Commenda di S. Lorenzo però il termine «cassina» è già presente nel 1602 nella toponomastica (« le due massane di Cassineri » nel doc. cit.). Si veda anche A.O.M., Comm. Lib. Coll., Commenda di S. Marco di Chivasso, m. 1, fasc. 7 (1606): «... alla cassina o massaria del Brlcco . .. alla cassina o massaria di Prato Regio ». 11 A.OM., Comm. Patr., Commenda dei Santi Maurizio e Lazzaro e San Giorgio (Famiglia San Giorgio di Tronzano), m. 1, fasc. 1. 12 Si veda ad esempio A.O.M., Comm. Patr., Commenda Magna (Famiglia Loyra Mongrandi), m. 1, fasc. 3 (1609): « Et primo petiam unam terre culte et plantate, sitam in finibus Sancte Agathe, ubi dicitur ad Canzaliam in tribus tornis, unitam, continentem domum columbariam muratam, et solariatam, stabulum cum travatis apertis, copertas palea nec non ayram, sedimen, puteum, fumum, hortum et canaperiam » La descrizione costruisce una struttura per molti aspetti paragonabile al chazal del Delfinato, al chezal del Berry e alla plant-masure della Normandia. Su quest'ultima cfr. H. FLATRES - MURY, Deux aspects de l’habitat rural: cours et plants sur les confins normands, bretons et manceaux, «Norois », XVII, 1970, pp. 21-37. I chezaux del Berry avrebbero dato origine, attraverso un processo di ricomposizione fondiaria, a dimore a corte aperta: cfr. F.P. GAY, La maison rural à cour ouverte du Berry, Actes du Colloque sur la Maison Rural (Poitiers 1967), in «Norois », XVI, 1969, pp. 415-421. Per una spiegazione funzionale del processo morfogenetico cfr. GAY, La champagne du Berry, Bourges 1967. Il paesaggio piemontese però solo formalmente—e non strutturalmente, se non in rari casi — può definirsi un sistema agrario di tipo champagne. È pur vero per altro che in un caso di formazione di una corte chiusa—relativa al tenimento di Parpaglia, presso Stupinigi —sussiste una probabilità che il processo morfogenetico sia passato attraverso una fase intermedia di accorpamento attorno ad una corte comune, a causa di complesse vicende di proprietà, non perfettamente ricostruibili neppure mediante le fonti notarili, secondo un modello di comportamento non dissimile nelle sue linee generali da quello del Berry e del Livradois, sul quale ultimo cfr. DE MARTIN, Un exemple d'evolution vers une fausse maison à cour ouverte, loc. cit., pp. 113-120. 13 A.S.T., Sez. I, Archivio Carli della Porta, I ser., busta 30. termine: la troviamo in uno strumento di vendita della cassina Cantone di Ronco, nel territorio di Suno: «... capsina una murata et cupata cum non nullis eius locis inferioribus et superioribus, curia, vulgo chioso, canepale, horto et prato, quantitatis in totam modiorum quatuor circit sita in terra Suni, ubi dicitur in Cantone di Ronco»14. È l'unico caso questo in cui la corte viene definita come uno spazio chiuso; ma va notato che il documento—oltre ad essere in contraddizione con l'intero corpus delle nostre fonti—si riferisce ad una zona, come vedremo, di precoce formazione delle «corti»15. [276] Occorre ora tornare a considerare il termine «cassina». Può essere di qualche utilità notare la derivazione di «capsina/cassina» dal lat. capsum/cassum. La parola «casso» è presente infatti, spesso nella forma «cassi da terra», per indicare una tettoia chiusa su tre lati, posta in proseguimento della stalla e del soprammesso fienile. Ma ciò che più importa è che spesso i nostri documenti descrivono le cassine in termini di numero di cassi o di numero di travate. Per questo motivo pare ragionevole supporre che «casso» e «travata» fossero misure volumetriche, ossia moduli edili di valore standardizzato, benché probabilmente con diversificazioni metrologiche subregionali, almeno nella fase più antica, legate a usi locali, non diversamente da quanto si praticava per le misure fondiarie. A questo proposito si può osservare che l'uso di « casso » e di « travata » si stabilizza nel corso del tempo tra XVI e XVIII secolo, tendendo—sembra—ad acquistare una sempre più precisa capacità di connotazione. Paiono significativi sotto questo aspetto due documenti cinquecenteschi. Il primo è una relazione di visita alla grangia di Borgonuovo di Pancalieri nel 152016, nella quale le dimensioni dell'edificio si danno in trabucchi («... diserunt et retulerunt sese vidisse, visitasse et mensurasse domum dicte grangie Burgi Novi quam dixerunt esse muratarn et edifficatam de nouo et testa ac calze et esse in mensura trabucorum viginti unius . . . stabulum ipsius grangie in mensura trabucorum sex . . . »), ad eccezione però delle tettoie, o cassi, che sono soltanto numerati: «... vidisse et visitasse cassos decem predicte cassine edifficatos remibus . . . ». Il secondo documento è una relazione di visita alla grangia della Margarita, nel territorio di Tronzano, nel 156717. Si tratta certamente di una cassina a corte chiusa, composta tra l'altro da « trauati deciotto de cassina . . . co il muro alto di longo in longo . . . pedi quattordeci et detto muro di longo in longo fatto la mesura si troua di longhezza di trabucchi vinti tre più in capo di ditte trauate si troua ona stalla uerso leuante di trauate deci coperta a coppi et tutta trouinata et edifficata in calzina co ly pilloni in meggia et il muro alto forj sino alli coppi alti pedi quindici et oncie sette ...». [276] L'uso di descrivere gli edifici attraverso le loro misure —esemplificato nel primo documento—diventa nella seconda metà del secolo XVI una forma di specificazione di una espressione più sintetica. In questo modo si continuano a descrivere le case rurali ancora nella prima metà del secolo XVII; poi le dimensioni in piedi e trabucchi scompaiono del tutto per essere sostituite esclusivamente dal numero dei cassi o delle travate. Così per esempio viene descritta la 14 AS.T., Sez. I, Archivio Carli della Porta, I ser., busta 23. La polisemia del termine «corte» non è estranea a certe teorie sull'origine della dimora a corte chiusa o a anche recenti confusioni tra «corte», «curtis» e «consortes». L'imprecisione del termine è già stata giustamente sottolineata da A. PECORA, La corte padana, nel vol. G. BARBIERI -L. GAMBI, La casa rurale in Italia, Firenze 1970, pp. 219-222. Per correttezza etimologica va precisato che il nostro termine deriva dal lat. cohors, nel significato generico di spazio rurale chiuso: cfr. Thesaurus Linguae Latinae, s.v., vol. III, Lipsia 1912, p. 1549 («... cohortes sunt villarum intra maceriam spatia ») e E. FORCELLINI, Lexicon totius latinitatis, Padova 1940, s.v., vol. I, p. 679: « Locus est in villa, maceriis aut saepe circumdatus, in quo altiles aves custodiuntur, et alia ad usum villae servantur... Cohors etiam appellatur saeptum, in quo includuntur oves, cum longe a villa pascuntur . . . Dicitur etiam de stabulis boum in ipsa villa ». Si veda anche A. ERNOUT - A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Parigi 1967, s.v., p. 131, J.F. NIERMEYER, Mediae Latinitatis lexicon Minus, Leida 1976, s.v. «curtis», p. 295, entrambi con il significato di «enclos», « clôture d'un jardin ou d'un cour », e infine DUCANGE, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Parigi 1840-1850, s.v. «cortis», vol. II, pp. 585 sgg. Non trovano perciò conforto né nella documentazione né nell'esame etimologico le proposte avanzate da W. MATZAT in margine alla relazione di SERENO, La maison à cour ferméé en Piémont, loc. cit., p. 106, così come paiono sorprendenti le notazioni di ordine metodologico ivi espresse, la nostra risposta alle quali è stata per errore omessa dagli atti. 16 AS.T., Sez. Riun., Art. 755, mazzo P, fasc. 423. 17 A.S.T., Sez. Riun. Art. 755, mazzo M, fasc. 342. 15 cassina di S. Giacomo di Moncalieri in una relazione di visita del 1679: « . . . due case da massaro... di travate ventisette di coperto incluse tre stalle et incluse anche due travate aperte in modo di portico . . . »18. Pare quindi giustificata l'ipotesi che in età moderna la terminologia relativa all'insediamento rurale, nell'area presa in esame, passi dall'aspetto formale ad un aspetto che potremmo definire tecnicocostruttivo, di cui dovremo in futuro precisare i termini. Si deve d'altronde ancora osservare che le misure lineari riportate dalle fonti descrivono solo altezza e lunghezza degli edifici, tacendo sempre la larghezza, come se questa fosse una misura nota; ciò potrebbe far pensare ad una misura uniforme e conosciuta perché imposta dalla lunghezza della trave. Alcuni documenti infatti, alla fine del secolo XVI, forniscono misure che non sono quantità nette, forse valutando con nuovi criteri metrologici edifici costruiti secondo tecniche più antiche, con un conseguente scollamento della denominazione dall'oggetto denominato. Così ad esempio una cassina a S. Damiano nel 1So2 ha locali di una «travata e meza» e di «due travate e meza»19, misure anomale che non si troveranno più nei secoli seguenti. E tuttavia i problemi connessi alla decodificazione del lessico delle fonti non possono certo dirsi risolti, non solo perché resta da quantificare la dimensione delle travi e perciò l'ampiezza delle campate, tenendo per altro conto della difficile questione della diffusione delle tecniche e della mobilità geografica delle maestranze, di cui si ha documentazione certa nelle fonti20. Resta anche da capire—tra le altre cose— che significato specifico possiamo attribuire a « casso » rispetto a « travata ». In alcuni documenti infatti i due termini sembrano intercambiabili, come se fossero sinonimi, come ad esempio nel consegnamento di Masazza del 161221 [277] o in una descrizione della cassina S. Fiorenzo di Centallo nel 1607: «... l'edifficio di Fabrica della presente Cassina et habitatione del Massaro d'essa contiene tutt'il corpo trauate tredeci, cioè tre di casa, cinque di fenera e cinque casi da terra . . . »22. In altri documenti però i due termini sembrano alternativi l'uno rispetto all'altro, come là dove si elencano « tre casi da terra . . . con più una travata »23. La questione sfocia probabilmente in un fatto di tecniche —come sembra suggerire anche il Dizionario della Crusca24— e forse anche di conseguente definizione di aree culturali25. Il Lorenzi per parte sua pensa alla cassina come alla «cassa da fieno»26, ciò che però presuppone un legame semantico tra il « casso » e il fienile, per contro non documentato dalle fonti, dove la «fenera » sovrammessa alla stalla è di norma misurata in numero di travate o di «trabiali»27. [278] 18 A.O.M., Comm. Lib. Coll., Commenda S. Giacomo di Moncalieri, m. 1, fasc. 16. A.S.T., Sez. Riun., Art. 755, mazzo S/2, fasc. 511. Naturalmente per questo genere di considerazioni non sono sufficienti descrizioni generiche di case rurali, ma occorre riferirsi agli atti di visita e alle perizie d'estimo. 20 Sono identificabili aree di attività più o meno espanse di alcune maestranze locali, accanto alle quali però troviamo prove dell'operosità di mastri da muro di provenienza geografica allogena e dalla forte mobilità sul territorio regionale. Si tratta in particolare dei «mastri da muro» biellesi (da Andorno e da Graglia soprattutto), attivi nel Basso Piemonte, e delle maestranze comacine e ticinesi in genere, la cui attività è ben attestata nel Piemonte orientale. 21 AS.T., Sez. Riun., Archivio Avogadro della Motta e Collobiano, div. 4°, c. I, t. II, reg. 28. 22 A.O.M., Comm. Patr., Commenda S. Fiorenzo (Famiglia Zavattero), m. 1, fasc. 7. 23 A.O.lM., Comm. Patr., Commenda di S. Ottavio di Mondella (Famiglia Pallavicini di Frabosa), m. 1, fasc. 14 (1682). 24 Cfr. Vocabolario degli Accademici della Crusca , Firenze 1865-66, vol. II, s.v. « cassa », p. 636: « ... Murare a cassa si disse una maniera particolare di muramento. Bald. Vocab. Dis. 101, 2: Murare a cassa. Un modo di murare usato dagli antichi alzando da due lati alcune tavole per coltello, in tanta distanza quanto volevan che fusse grosso il muro, in tanta altezza quanto volevan che alzasse il primo ordine di esso muro, e riempiendole poi di calcina e ghiaia, o di calcina frombola e cementi alla rinfusa ». 25 Per quanto concerne la definizione di aree culturali, riconosciute attraverso il processo di diffusione di varianti tipologiche di dimore rurali, è di grande interesse metodologico, sebbene riferito ad un caso non di maestranze, ma di « vernacular architecture », il lavoro, ispirato nelle sue scelte teoriche a procedimenti propri dell'antropologia e della geografia linguistica, di D. MCCOURT, Innovation Diffusion in Ireland: an historical Case Study, « Proccedings of the Royal Irish Academy », ser. C. fasc. 3, 1973. 26 Cfr. A. LORENZI, Studi sui tipi antropogeografici della Pianura Padana , « Riv. Geogr. It. », XXI, 1914, p. 46 estr. La « casa con fienile » è infatti considerata dal Lorenzi il carattere distintivo di quella che egli definisce la « cassina piemontese », propria di una zona a « coltura non specializzata » (p. 42). In realtà, come abbiamo visto, il termine cassina nella nostra regione non spiega caratteristiche tipologiche ed è diffuso anche in aree certamente a coltura 19 Il casso sembra invece avere in generale un uso più estensivo, riferito al numero delle campate —o «colmate»— dell'intero edificio rurale, senza una precisa distinzione tra le sue parti28, mentre il termine « travata », pur essendogli nella pratica sinonimo, ha una frequenza d'uso quasi esclusiva per denominare il fienile29. Una distinzione tra le due parole sulla base di una diversità strutturale dell'oggetto denominato, non è facilmente dimostrabile. La travata pare suggerire l'idea della copertura, forse del tipo a capriata, ma non si può per certo dimostrare che l'altro tipo di soffittatura documentabile nelle nostre dimore rurali—quello a voltini—corrisponda al casso30. Per il momento non si può che constatare come il termine « travata» venga di frequente usato in modo di sineddoche rispetto al termine « casso »; una intensificazione del lavoro sul terreno, sulla base delle informazioni documentarie, potrà forse contribuire ad un chiarimento della questione. [279] Morfogenesi della cassina a corte chiusa. Nella più recente classificazione delle case rurali italiane31 compaiono diversi tipi di casa a corte chiusa, in rapporto a modi di produzione diversi. Ne consegue una sub-regionalizzazione definita, là specializzata, per quanto non si possa, a nostro avviso, considerare non specializzata nei secoli che prendiamo in esame quella parte della pianura piemontese dove si pratica la policoltura che, nella campagna d'ancien régime, era anche coltura promiscua. 27 Si veda ad esempio A.0lM., Comm. Lib. Coll., Commenda S. Marco di Chivasso, m. 1, fasc. 20 (1646): «... et in seguendo le dette noue fabriche ui segue la stalla grande con suoi trabiali di sopra et coperto nouo sostenuto da pilastri uerso mezanotte, il tutto di trauate tre coperte a coppi tutti noui, et una tranata coperta a paglia, il tutto sostenuto da lignami et boscami tutti posti di nuovo . . .». COMBA, Contributo . . ., rel. cit., p. 14, definisce il trabiatum un « ampio ripostiglio per riporre il fieno, situato sopra la stalla o sopra il pian terreno, generalmente costruito con assi sopra travi », ma ID., Rappresentazioni mentali. . ., art. cit., p. 407 precisa che per « trabià » deve intendersi l'assito sul quale si riponeva il fieno. Questa seconda definizione sembra plausibile, e tuttavia nelle nostre fonti il trabiale è leggibile come volumetria. Cfr. anche V. SANT’ALBINO, Gran Dizionario Piemontese-Italiano, Torino 1859, s.v. «travà» p. 1176 («fienile.. fatto a tettoia») e s.v. « cassina » p. 339: «... Trabià della Cassina. Capanna. Quella specie di tettoia, talora murata da due o tre iati, che s'erge le più volte sopra la stalla, dove si ripongono fieni, paglie, strami ecc. ». 28 Si veda ad esempio AS.T., Sez. Riun., Archivio Thaon di Revel e Famiglie Alleate, Carte della Famiglia Beggiami, busta 4 « cassis quatuor domus et cassina », riferito ad una dimora rurale nei pressi di Savigliano nel 1598 e AS.T., Sez. Riun., Art. 807, m. 4, fasc. 5, (1568): «... Margarita moglie del fu Nicolò Stratta et Cesare et Pompeo suoi figlioli hanno ceduto a Sua Altezza li beni infrascritti: primo una luoro cassina oue si dice all'Ayrale di cassi deci coperta a coppi et altri cassi cinque... più una casa sittuata nel ricetto di detto ayrale continente tre cassi coperta a coppi col sitto della torre rouinata con cassi quattro aperti... Gio Ambrogio della Porta et Madonna Marganta sua consorte figliola del fu Michel Vjnea hanno ceduto a Sua Altezza li beni infrascritti: primo una torre sovra la porta dell'Ayrale congiontamente alla casa del massaro con cassi tredici di cassinaggio cioè nove di stabiaria et quattro da terra coperti a coppi; più l'edifficio o sia corpo del casiamento grande posto nel ricetto d'esso ayrale continente cassi sette ». La derivazione del nostro termine dal lat. capsum cassum è accettabile col significato traslato di « cavità, vano ». Si veda anche la definizione di FORCELLINI, Lexicon totius Latinitatis, s.v. « capsa », vol. I, p. 528: « . . . vallum, saeptum, mandram in qua includuntur animaba ». L'etimo pare accettato anche da SANT’ALBINO, Gran Dizionario Piemontese-Italiano, s.v. « cassina », p. 339: « Podere, possessione con casa, massaria, e nell'uso anche cascina; sebbene propriamente questo nome derivato da cascio ora cacio (sic) significhi luogo chiuso ove si fanno pasturare le vacche ». Casso quindi in questo caso sarebbe da porre in correlazione con la stalla in particolare e quindi la sua dimensione potrebbe essere legata a ciò che di volta in volta viene considerato il rapporto ottimale tra spazio e bestiame, problema che riceverà nel corso del XVIII secolo l'attenzione degli agronomi. A questo proposito cfr. A.A.T., Archivio del Capitolo di S. Giovanni, cat. D., cart. 5, fasc. I il doc. relativo alla cassina Bossola di Leynì nel 1761: «... Attigua alla camera al piano di terra verso ponente evvi la stalla capace di venticinque bestie... sopra detta staba per la sua estensione vi sono quattro travate et in seguito alla medesima tre casi da terra ». 29 Si conosce una sola eccezione in un instromento di divisione di beni nella zona di Barengo, Solaro e Agnellengo del 1657. Cfr. AS.T., Sez. I, Archivio Carb della Porta, ser. I, busta 11, reg 7: «... più iui annesso uerso matina un'altra cassina che di presente abita Biaggio Bennino ora Camparo, qual consiste in duoi corpi di casa di sotto, un solaro di sopra, stalla con duoi cassi aperti di sopra di detta stalla et un casso aperto con un portico auanti . . . ». 30 Si veda per esempio A.O.M., Comm. Patr., Commenda di S. Fiorenzo (Famiglia Zavattero), m 1, fasc. 7 (1687): «... più si come ivi atigua alla casa del massaro si troua una stalla grande per il corso di trauate sei trabiolata al di sopra e non uoltinata ». Per contro non è sicuramente interpretabile nel senso predetto la descrizione della cassina Camia di Caramagna del 1721: cfr. AS.T., Sez. Riun., Art. 755, m. C/1, fasc. 107 «... un corpo di cassina coperta a coppi et di mattoni cotti murata... continente una stanza focolare al piano di terra con voltini cinque sopra ». 31 Cfr. L. GAMBI, Carta della abitazione rurale in Italia , nel vol. Italian Contributions to the 23rd International Geographical Congress (Mosca 1976), Roma 1976, pp. 83-86. dove in passato, in base soprattutto a considerazioni fisiognomiche, si era riconosciuta un'unica area compatta32; la Pianura Padana infatti era considerata l'area elettiva di diffusione delle «corti», assunte come «tipo» insediativo di quella regione naturale33. Un insediamento a cui si riconosce una tale importanza nell'ambito del paesaggio agrario suscita necessariamente l'interesse degli studiosi sia per quanto attiene ai suoi aspetti odierni sia per quanto concerne la sua storia. E tuttavia, forse per preoccupazioni di ordine sistematico, si è stati indotti a ragionare per « tipi », là dove invece questi avrebbero dovuto essere il punto di arrivo di una corretta analisi geo-storica, in considerazione del fatto che gli elementi del paesaggio agrario hanno temporalità diverse e qtı~ndi rapporti molto complessi. Percorrendo questa strada non si è così tenuto conto—tra le altre cose—della possibilità di osmosi tipologiche, per altro già accertate venticinque anni or sono dallo Juillard nel contesto geografico alsaziano e confermate poi in altre situazioni da studi più recenti34. Come è noto, le tesi sull'origine della dimora a corte chiusa sono fondamentalmente due: quella del Saibene, che fa risalire il tipo insediativo al periodo medievale, per imitazione del chiostro cistercense, e quella del Caraci che, ancor prima, propone una rapporto di dipendenza della «corte» dalla villa rustica romana35.[280] Entrambe le tesi, ciascuna a suo modo, finiscono per avallare una sorta di pregiudizio che può farsi risalire già al Biasutti, il quale, affermando che la casa a corte chiusa «è forse una delle più antiche forme di insediamento isolato in Italia»36, pare disposto ad accettare un supposto e imprecisato ordre eternelle del nostro paesaggio agrario o quanto meno di uno dei suoi più importanti elementi. Tra le due tesi, quella del Caraci è la sola a poggiare su alcune argomentazioni, che si riferiscono soprattutto a scavi archeologici forse tra i primi condotti in villae rusticae, specie meridionali. Tuttavia il confronto tra queste e le case a corte chiusa del nostro secolo non solo non ci pare dia risultati convincenti37, ma soprattutto ha il torto di comparare due strutture troppo distanti tra loro, senza poterne verificare in modo risolutivo la supposta continuità. D'altronde in tempi più recenti la ricerca archeologica ha dimostrato la ricchezza di soluzioni architettoniche e strutturali offerte dalla villa rustica, le quali sembrano andare al di là di una semplice varietà tipologica38. In particolare proprio per l'area piemontese recenti campagne di scavo 32 Cfr. R. BIASUTTI, Ricerche sui tipi degli insediamenti rurali in Italia. I. La carta dei tipi di insediamento nel vol. Scritti rari sulla geografia fisica e antropica dell'Italia, Memorie della Società Geografica Italiana, vol. XVII, Roma 1932, pp. 5-25 e spec. 16-18. La classificazione tipologico-formale finisce per apparentare insediamenti che esprimono strutture agrarie e sistemi sociali diversi: ad esempio le corti padane vengono classificate insieme con quelle meridionali, campane o pugliesi. 33 Cfr. già LORENZI, Studi sui tipi antropogeografici , art. cit., pp. 269-354, 401-450, 497-530, 576-604 e in seguito H. DONGUS, Die Agrarlandschaft der östlichen Po-Ebene, Tubingen 1960 e H. LEHMANN, Das Landschafts-gefüge der Padania. Grundzüge einer natur-und Kultur ränmlichen Gliederung des Po-Tieflandes, «Frankfurter Geogr. Hefte», XXXVII, 1961, pp. 87-158. 34 E. JUILLARD, Le vie rurale dans la plaine de Basse-Alsace. Essai de géographie sociale , Strasburgo 1953, pp. 134144. In seguito cfr.: A. BOUHIER, Les types des maisons à usage agricole sur la façade maritime du Sud-Vendéen. Essai de classification, Actes du Colloque sur la Maison Rurale, loc. cit., pp. 333-385, DE MARTIN, La genèse de la maison rurale du Livradois, «Rev. Géog. Alpine», LV111, 1970, pp. 339-348. D'altronde in questa prospettiva si era già posto a proposito della casa rodano-provenzale anche D. FAUCHER, Plaines et Bassins du Rhône Moyen entre BasDauphiné et Provence, Grenoble 1927, pp. 618-627. 35 Cfr. C. SAIBENE, La casa rurale nella pianura e nella collina lombarda , Firenze 1955, p. 201 e G. CARACI, Le corti lombarde e l'origine della corte, nel vol. Scritti vari sulla geografia, op. cit., pp. 26-72. 36 BIASUTTI, Ricerche sui tipi degli insediamenti rurali, mem. cit., p. 17. 37 Scarsamente comparabile con la realtà insediativa attuale ci pare anche il modello tipologico desumibile da COLUMELLA I, 6 su cui è utile cfr. R. MARTIN, Recherches sur les agronomes latins et leur conceptions économiques et sociales, Parigi 1971, pp. 366-370. 38 Cfr. ad esempio G. A. MANSUELLI, La villa romana nell'Italia settentrionale , « La Parola del Passato » LVII, 1957, pp. 447 sgg.; R. AGACHE, La villa gallo-romaine dans les grandes plaines du Nord de la France, «Archeologia», 1973, pp. 37-52; t. E. SKYDSGAARD, Nuove ricerche sulla villa rustica romana, «Analecta Romana Instituti Danici», V, 1969, pp. 25 sgg.; AA.VV., La villa romana di Russi, Faenza 1971; G. FOUET, La villa gallo-romaine de Montmaurin, «Gallia», suppl. XX, 1970; R. BOYER, Un habitat gallo-romain à Saint-Hermentaire «Et. Rur.», 3, 1961, pp. 91-100; E. M. WIGHTMAN, The Pattern of rural Setllement in Roman Gaul, in Aufstieg and Niedergang der hanno riportato alla luce presso Caselette una villa rustica—di cui sono riconoscibili tre diverse fasi databili tra la fine del I secolo a. C. e la metà del II sec. d. C.—la quale risulta apparentata non con le ville centro-meridionali e nemmeno con la maggior parte di quelle dell'Italia settentrionale (ad eccezione del Friuli e della villa di Albisola), bensì con quelle diffuse in Gallia39. Ne consegue una maggior articolazione del problema insediativo a scala regionale. La villa di Caselette d'altronde subisce, dopo la fase primaria, due radicali trasformazioni che appaiono in connessione con mutamenti di struttura economica e sociale, l'ultimo dei quali porta all'abbandono dell'insediamento.[281] Ora, se passiamo poi a confrontare i complessi modelli strutturali delle ville romane con le planimetrie sette-ottocentesche di sia pur articolate « corti » attuali, la possibilità di comparazione appare immediatamente preclusa. La documentazione archivistica per quel periodo ci mostra una presenza rimarchevole e una tendenziale diffusione nella pianura piemontese delle cassine a corte chiusa; ma ci mostra altresì la relativa semplicità del loro impianto, diversissimo non solo da quello delle ville romane o dei chiostri cistercensi, ma persino dal loro assetto attuale40. Le trasformazioni di rilievo, tali cioè da implicare un riassetto strutturale, iniziano solo nella seconda metà del XIX secolo. In questo senso può essere considerato esemplare il progetto di ristrutturazione che si attua nel 1850 alla cassina Catella, presso Vercelli, di proprietà del principe di Masserano41. Quei lavori rivelano un nuovo modo di considerare l'azienda agricola e rispondono evidentemente ad un mutato modello di specializzazione colturale e di organizzazione gerarchica del lavoro, estremamente articolata e controllata, inaugurando una lunga stagione di trasformazioni radicali dell'insediamento rurale della grande proprietà fondiaria piemontese, là dove fino a quel momento gli interventi sulle strutture edili erano stati soprattutto di conservazione e solo raramente di ristrutturazione. Intervento di conservazione può definirsi anche—come vedremo—per certi aspetti la formazione della cassina a corte chiusa piemontese, la cui morfogenesi segue un processo tipico nell'area regionale, ma su una scala temporale diversificata. La pianura orientale, annessa agli Stati Sabaudi solo nel XVIII secolo, ha un comportamento che possiamo definire «lombardo»; vale a dire che in essa la corte compare certamente già in età rinascimentale42, secondo una cronologia che trova riscontro nelle vicende delle «corti» della Bassa Pianura lombarda43 e che risulta perciò anticipata di circa un secolo rispetto alla pianura del Piemonte occidentale. [282] Romischen Welt vol. 114, 1975, pp. 584-657 e ora, per la villa di Settefinestre, A. CARANDINI - S. SETTIS, Schiavi e padroni nell'Etruria romana, Bari 1979. 39 Cfr. G. WATAGHIN CANTINO, Risultati e problemi dello scavo , in AA.VV., La villa romana di Caselette , Torino 1977, pp. 7-21. 40 Per quanto concerne la situazione attuale delle corti cfr. l'ampia trattazione di PECORA, La corte padana , loc. cit., pp. 219-244. 41 A.S.T., Sez. l, Archivio Masserano, c. 30, cart. 138 (tipi) e art. 4°, fasc. 7. 42 Le attestazioni certe di « corti » nel secolo XVI riguardano esclusivamente la pianura vercellese e novarese. Si veda per esempio AS.T., Sez. I, Archivio Carli della Porta, ser. I, busta 40 per una cassina a corte chiusa a Sizzano nel 1559; AS.T., Sez. Riun., Archivio dell'Ordine di Malta, Commenda S. Giovanni de Pellegrini di Novara, m. 195, fasc. I (1598) Ie cassine La Generala e la Colombara, nel territorio di Masazza diventano a corte chiusa tra il 1577 e il 1601: A.O.M., Comm. Lib. Coll. (Famialia Avogadro di Villa), m. I, fasc. I e 5. Negli atti di visita del 1601 si registra la fase finale di una serie di miglioramenti «... è ritrouato all'entrar di essa grangia una porta grande coperta a coppi et una muraglia che circunda il sedime di essa grangia che si ueddono ocularmente construtte di nono come anche si uede essere statto construtto di nouo due trauate da stalla coperte a coppi. Più si uede una muraglia in rista ad esse trauate et un'altra muraglia auanti ad undici trauate da stalla di essa medesima grangia noua. Più si ueddono ricorsi et accomodati da poco in qua tutti li boscami et coppi di esse undeci trauate et quelle accomodate et assicurate dalle pioggie et di andar in ruina. Più si ueddono altre due trauate da casa recoperta come demonstrano novamente li coppi parte noui et parte usati... Più in un'altra stanza di essa grangia che si è detto che seruiva et serue per li berghamini et pechorarij si uede fatta una muraglia tutta nona . . . ». Per altri esempi cfr. SERENO, La maison à cour fermée, loc. cit. pp. 104 sg. 43 Ci riferiamo ai risultati purtroppo inediti della ricerca di M. T. Maramaldo e C. Cavalca riassunti e citati in L. GAMBI, Per una storia dell'abitazione rurale in Italia, « Riv. St. It. », LXXVI 1964, pp. 437-439. La cronologia « lombarda » è confermata anche dai documenti delle Commen de di S. Maria della Boffalora e di S. Croce di Milano: cfr. A.S.T., Sez. Riun., Archivio dell'Ordine di Malta, Commende Lombarde, m. 40. Torniamo per un momento a prendere in esame le planimetrie e le descrizioni di cassine a corte chiusa del secolo XVIII e della prima metà del secolo XIX. È facile leggere nella maggior parte di esse una struttura che, pur arricchita dalla presenza di « case da nobile », cioè edifici a carattere non rurale, usati per la villeggiatura estiva dei proprietari, appare fondata sulla ripetizione lungo due o più lati della corte, di uno stesso nucleo insediativo-funzionale, riconoscibile anche se complicato a volte da aggiunte o modificazioni. La corte in breve appare come la giustapposizione geometrica di nuclei molto semplici, come nel caso della Margaria di S. Cristoforo presso Vercelli o della «corti» lungo la strada che da Torino portava al Castello di Stupinigi (figg. 1-3), delle quali si hanno rappresentazioni grafiche del 171644. L'elemento edile con cui si compongono le « corti » è un semplice edificio che, nelle sue numerose sopravvivenze attuali, viene definito come la cassina piemontese tradizionale della piccola proprietà45. Si tratta di una costruzione a pianta rettangolare composta da una stanza (o due) al piano terra, un'altra stanza o un solaio al piano superiore; poi, in proseguimento, si trova la stalla con il sovrapposto fienile e infine, sempre in continuazione, il già mentovato « casso da terra » (fig. 4). A volte la pianta è modificata da un piccolo locale posto sul retro della stanza a piano terra, definito dalle fonti «crotta» (fig. 5). Vi può essere anche un forno, contiguo alla stanza o separato dall'edificio.[284] La stanza del piano terra è definita « stanza focolare » o « foganea » e costituisce spesso l'unico locale adibito ad abitazione: è usato come cucina, come luogo di riunione della famiglia del massaro e probabilmente anche come stanza da letto per alcuni membri della famiglia46. La stanza al primo piano infatti è solo raramente usata con funzioni abitative; di norma essa serve da granaio, così come il solaio con cui spesso è sostituita. Il porcile e il «polille» sono spesso situati dentro la stalla, almeno fino alla seconda metà del secolo XVIII. La « crotta » ha esclusivamente funzione di dispensa e non significa quindi « cantina », come nel dialetto attuale, tanto che non sempre è interrata, ma di frequente è sita al piano di terra. La cantina intesa come locale della vinificazione e della conservazione del vino è detta nei documenti «tinaggio» e trova la sua collocazione, quando è presente nella casa a corte, nella « casa da nobile » e non nella cassina vera e propria. Tuttavia non si può escludere che la crotta venisse usata anche con funzioni di tinaggio nelle aziende agricole dove la vinificazione doveva soddisfare solamente esigenze familiari; ciò spiegherebbe la scomparsa nel corso del tempo di un termine a vantaggio dell'altro. Il tinaggio infatti non è documentato in numerose cassine, benché nei corrispondenti poderi sia attestata la presenza della vite, tenuta ad alteno e spesso associata agli arativi in coltura promiscua47. 44 A.O.M., Serie Cabrei, Commenda la Margaria di S. Cristoforo, reg. 26 e Commenda di Stupinigi, reg. 45. Si vedano anche gli impianti delle « corti » della Fossata (AS.T., Sez. Riun., Archivio dell'Azienda del Duca del Chiablese, cat. La Fossata, sez. Affittamenti, busta 3, reg. 1), di Parpaglia (A.OM. Carte di Stupinigi Vinovo e sue dipendenze, m. 125, fasc. 3218), La Presidenta di Cavalerleone (A.S.T., Sez. Riun., Art. 755, m. C/2, fasc. 178), I Reddi ai Corpi Santi di Novara nel 1862 (A.S.T., Sez. I, Archivio Carli della Porta, ser. I, busta 39, fasc. 2), Il Buffo presso Cuneo nel 1809 (AS.T., Sez. Riun., Azienda Generale delle Finanze, Insinuazione Demanio, sez. I, div. 4° art. 77, fasc. 1) e di Rivagagliarda nel 1732 (AA.T., Archivio del Capitolo di S. Giovanni, ser. TM, reg. 131, f. 67). 45 Cosi già LORENZI, Studi sui tipi antropogeografici , art. cit., p. 42 estr. e ora P. DAGRADI, La casa della piccola proprietà nella Pianura Padana (forme tradizionali), nel vol. BARBIERI - GAMBI, La casa rurale in Italia, op. cit., pp. 130 sg. La tipologia è comparabile con la maison élémentaire di A. DEMANGEON, Problemes de Géógraphie humaine, Parigi 1947, pp. 268-270 e con la maison à juxtaposition linéaire della più recente classificazione di J. ROBERT, La maison agricole. Essai de classfication et définitions, « Norois », XIX, 1972, pp. 541-548 e spec. 545. Nel nostro caso però se l'edificio è sempre « sur la même ligne » non è sempre invece «sur le même toit» per quanto concerne l'alzato, come si può vedere nelle fig. 6-7. 46 La mancanza di stanze da letto nelle cassine è documentata ancora alla fine del secolo XIX dalla Commissione Jacini, che lamenta l'abitudine dei contadini di dormire in cucina o nel granaio o persino nella stalla: cfr. Inchiesta Agraria Jacini, Roma 1883, Piemonte, vol. VIII, fasc. II, p. 645 e pp. 717 sg. Osserviamo d'altronde che ancor oggi nel dialetto piemontese la cucina è chiamata «casa». 47 Nel Piemonte d'ancien régime la superficie a vigna e soprattutto ad alteno era molto estesa, anche in situazioni pedologiche e climatiche non favorevoli, ciò che però non corrisponde ad una specializzazione vinicola, almeno fino alla seconda metà del secolo XIX: cfr. P. L. GHISLENI, Le coltivazioni e la tecnica agricola in Piemonte dal 1831 al 1861, Torino 1961, pp. 144-161. Si può citare in proposito la risposta che la Comunità di Carignano diede in occasione Il tipo di cassina appena descritto ha—non immagliato nel rigido schema della «corte», bensì isolato nella campagna—un'ampia diffusione nell'area regionale48. [286] Ora, la questione che si pone è se esiste una relazione tra quella che potremmo definire—usando la terminologia di Demangeon—la cassina elementare e le « corti » d'ancien régime, oppure se i due tipi sono indipendenti l'uno dall'altro. La ricostruzione diacronica delle vicende delle singole cassine, di cui possediamo documentazione scritta, ci permette di individuare due modelli di comportamento nel processo morfogenetico delle « corti » in insediamento disperso. È indubbio che la cassina a corte chiusa non nasce come « tipo » edile: le prime « corti » costruite ex novo come tali, secondo progetti già pensati in tal senso, sono posteriori alle prime attestazioni di cassine a corte49, le quali invece risultano—in tutti i casi documentabili—come prodotto di una lenta e graduale trasformazione di un insediamento preesistente. Esse, in altri termini, sono a livello tipologico insediamenti secondari, la cui forma finale è un esito inizialmente non previsto, non progettato, non pensato come « tipo ». È quanto si evince da un'ampia documentazione, da cui stralciamo qualche esempio. «Due cassine poste nelle fini di detta Città (Chieri) regione di Canarone, con fabrica civile, e rustica, ... continente quattro stalle con sette travate sopra, due case per li massari, cioè una attigua alla porta di dette cassine con due stanze al piano di terra, e piccol camerino, con altre due stanze superiori, e l'altra casa anche di due stanze al piano di terra, e altre due superiori, con piccol camerino sopra, parte del tinaggio ivi attiguo, granaro al di sopra d'esso, scuderia ivi attigua, otto casi da terra, due pollili, con un porcille sotto a caduno d'essi, forno e due pozzi d'acqua viva, uno nell'ayrale, e l'altro al di dietro d'esso, attiguo alla strada, dette cassine tutte cinte di muraglie, con cappella nuda attigua a dette cassine, con giornate cento quaranta una tavole tredici circa, tra campi, prati, vigna, bosco o sij ripaggio compreso il sitto di dette fabriche, e peschiera esistente al di dietro di dette cassine ». Si tratta della descrizione del fabbricato rurale nel tiletto di vendita delle Cassine di Canarone, di proprietà del conte Broglia, del 172250. Tale descrizione ci offre l'immagine usuale di una « corte » settecentesca; molto diversa però appare la medesima cassina in una serie di consegnamenti di beni della famiglia Broglia del 1571 e del 157951, dai quali a Canarone risulta una sola cassina o « grangia », [288] di piccole dimensioni. Non possiamo dire quando sia avvenuto il raddoppio della «casa da massaro»; sappiamo però da un dettagliato elenco di conti che tutti gli edifici di Canarone furono chiusi in una «corte» nel corso di un periodo di intensa attività edilizia tra il 1667 e il 1697, mediante la costruzione di «trabucchi 79 piedi otto di muraglia»52, vale a dire circa m. 245. dell'inchiesta promossa nel 1699 per la Perequazione Generale dello Stato, lamentando l'alto costo rispetto al reddito e lo spreco di terra arativa imposti dagli alteni «... et pure conviene al patrone sopportar questo danno se uogliono retrouar massari alle luoro cassine; poiché quando non ui fossero alteni nelli beni delle cassine, li beni o andarebbero inculti, ouero conuerebbe accordar alli massari nel massaritio patti molto disauantaggiosi alli Patroni » (cfr. AS.T., Sez. Riun., Catasti, All. I, m. 1). Evidentemente però la concessione di coltivare la vite non corrispondeva nell'edificio rurale ad un locale adeguato per la vinificazione, se non là dove essa doveva soddisfare esigenze di mercato e non solo di autoconsumo della famiglia del massaro. 48 Per la diffusione del tipo cfr.: I Chielli a S. Michele di Mondovì (A.OM., Comm. Patr., Commenda S. Carlo, Famiglia Curbis di S. Michele, m. 1, fasc. I e 2), S. Damiano di Vercelli nel 1582 (A.S.T., Sez. Riun., Art. 755, m. S/2, fasc. 511), la cassina Masone presso Alessandria nel 1621 e 1715 (AS.T., Sez. riun., Archivio dell'Ordine di Malta, Commenda S. Maria Strappona, m. 20, fasc. 2 e 6), le cassine del Bischiarino, della Colombara, Pomponio e Versenga a Barengo, Solarolo e Agnellengo nel 1657 (A.S.T., Sez. I, Archivio Carli della Porta, ser. I, busta 11, reg. 7), la cassina Camia di Caramagna, diroccata già nel 1721 (A.S.T., Sez. Riun., Art. 755, m. C/l, fasc. 107), le cassine del Bricco e di Prato Regio presso Chivasso nel 1606 e 1646 (A.O.M., Comm. Patr., Commenda S. Marco di Chivasso, m. 1, fasc. 7 e 20), la cassina Rivaira di Cavallermaggiore nel 1700 (A.A.T., Archivio del Capitolo di S. Giovanni, ser. TM, reg. 131, f. 84 e ser. CC2, cart. 3, fasc. 1-4). 49 Per un progetto di costruzione di casa a corte cfr. AS.T., Sez. Riun., Economato Benefici Vacanti, Abbazia di Rivalta, m. 24. Che la diffusione della cassina a corte chiusa avvenga principalmente nella seconda metà del secolo XVIII è documentabile attraverso un confronto—fatto per comuni campione—delle mappe catastali del Catasto Antico (metà sec. XVIII) e del Catasto Napoleonico (1809-1812). 50 A.S.T., Sez. Riun., Archivio Broglia di Casalborgone, vol. 23, mazzo A, fasc. 22. 51 Ibid., fasc. 31-32. 52 Ibid., fasc. 16.s La cassina S. Dalmazzo di Racconigi fino al 1710 è costituita da una sola cassina lineare; in quell'anno si dà incarico al mastro da muro Gioseppe Quadrupane di Racconigi di costruire una seconda cassina lineare accanto a quella già esistente. L'anno successivo, a lavoro già ultimato, sara lo stesso mastro da muro a consigliare di chiudere le due cassine entro un muro di cinta, come si legge in una lettera dell'economo Antonio Georgis al Capitolo di S. Giovanni di Torino, a cui spetta la proprietà di quei beni: «... Mastro Gioseppe ha poi giudicato di chiudere l'ayra col muro, e impiegarne li materiali senza raddoppiare le spese in mutarli da un luogo all'altro, senza però stabillirne ora le mura a causa delli gielli prossimi quali quando of-fendessero li medesimi vuole a sue spese ripararli. Al che ho accondesceso: metter l'ayra in tutta clausura e sicurezza . . .»53 Nello stesso territorio di Racconigi d'altronde non mancavano modelli insediativi di tale tipo. Tra gli altri, la cassina di S. Lorenzo—che si presenta già nel 1711 come un insediamento complesso, formato da una grande «casa da nobile » con cappella e cortile del tipo basse-cour sul modello dei palazzi francesi seicenteschi, in comunicazione con l'ampia corte chiusa dell'edificio rurale—si forma attraverso un lento processo di ingrandimento, iniziato nel 1612, che culminerà nella chiusura del perimetro murario verso il 167554. Fatta salva la cronologia «lombarda» delle «corti» novaresi e vercellesi, di cui si è già fatta menzione, tutti i casi precoci di formazione della cassina a corte chiusa nel Piemonte occidentale confermano una datazione compresa tra la fine del secolo XVII e i primi anni del secolo XVIII, circa un secolo dopo le prime attestazioni nella parte orientale della regione55. La cassina Ravero di Carignano acquista il suo assetto a corte chiusa nel 1668, un anno dopo la cassina di Rivagagliarda56. [289] S. Bartolomeo di Cavallermaggiore subisce molti lavori e modifiche, fino al completamento del muro di cinta tra il 1703 e il 170957, pochi anni dopo la cassina di Vanchia Grosa, alla Madonna del Pilone di Torino58, che risulta a corte chiusa già nel 1700. Ancora nel territorio torinese, nel 1680-1681 si trasformano «in corti» le cassine che il Capitolo di S. Giovanni possiede a Millefiori e al Martinet ossia Valdoch59. Nel 1689 si fa preparare alla cassina della Bossola di Leynì una fornace per ventottomila mattoni che servono per fabbricare il muro di cinta, completato l'anno seguente60. Il processo morfogenetico segue un comportamento uniforme che documenteremo attraverso il caso esemplare della cassina di S. Lorenzo in Carpice, nel territorio di Savigliano. Possiamo seguire le vicende dell'insediamento a partire dal 1652, anno a cui risalgono i primi atti di visita pervenutici: «Le case tenute et habitate dal moderno massaro Petrino Ferrero et suoi fratelli consistenti in due stanze poste al piano di terra tendenti nell'intrata d'esse uerso mezanotte assai capaci e caduna hauente il suo fornello, et una il suo lauello, una col solaro et l'altra uoltata di uoltini hauenti di sopra una camera per caduna senza solari ma col solo coperto de tetti, et da un canto uerso mezogiorno et mezanotte una cassina aperta grande da tenerli sotto paglie, fieni, carri et altri instromenti grossi, et necessarij per la collonia, et altre cose sostenuta da un casso uerso mezanotte da tre pilastri grandi di altezza di due trabuchi circa fabricati di matoni et calzina, et al di dietro uerso leuante d'una muraglia suseguente alle dette case, che unitamente con detti pilastri sostentano 53 A.A.T., Archivio del Capitolo di S. Giovanni, ser. Pl, cart. 4, fasc. 1, reg. B. AS.T., Archivio dell'Ordine di Malta, m. 210 e reg. 212 (cabreo). Su S. Lorenzo di Racconigi cfr. SERENO, La maison à cour fermée, loc. cit., pp. 95 sg. 55 La nostra cronologia trova un puntuale riscontro in quella stabilita da R. Machut per la piana della Scarpe, nel Pas-deCalais, dove è del tutto analogo anche il processo morfogenetico. Non ci è stato purtroppo possibile accedere direttamente allo studio di Machut, ma se ne veda un' ampia esposizione in J. COUDOUX, Fermes d'abbayes et modernisation rurale: le cas da Nord de la France, Actes de la Conférence de Rennes-Quimper, op. cit., pp. 133-135. 56 Per la cassina Ravero cfr. A.A.T., Archivio del Capitolo di S. Giovanni, ser. CC2, cart. 4,ser. TM, reg. 131, ser. CC3, reg. 28-29. Per Rivagagliarda cfr. ibid., ser. M4, reg. 87. 57 AA.T., Archivio del Capitolo di S. Giovanni, ser. Ml, cart. 10, ser. TM, reg. 128 e 131. 58 Ibid., ser. Ml, cart. 69, ser. TM, reg. 129 e 131, ser. M4, reg. 90. Cfr. anche A. GROSSI, Guida alle cascine e vigne del Territorio di Torino e suoi contorni, Torino 1790, t. 1, p. 202. 59 Per la cassina di Millefiori cfr. AA.T., Archivio del Capitolo di S. Giovanni, ser. CC2, cartella 1, ser. TM, reg. 129, ser CC:, reg. 31. Per la cassina di Valdoch: ibid., Ser. Ml, cart. 34, ser. M4, reg. 90. 60 Ibid., ser. D5, cart. 1. 54 il coperto della cassina, di longheza in tutto di trauate sei ordinarie, et il coperto d'essa cassina et case è tutto unitamente di coppi sostenuti da buoni lignami apparendo la fabbrica d'esse case et cassina quasi nuova et di non molti anni fabricata di matoni et calzina . .. verso puoi mezogiorno ui sono le stalle una de quali assai grande da capire cinquanta e più bestie, in testa alla quale ui è la crotta del massaro di larghezza trauate due, et dall'altro canto di detta stalla, o sia in testa d'essa uerso mezogiorno et ponente ui è altra casa continente due stanze una al piano di terra con suo fornello nella quale il massaro ui fa di presente stalla capace di tenerui bestie quattro e il polaggio delle galline, polli d'India, oche, annatre, et altri simili animali de quali il massaro sudetto ne ha gran quantità. Al di sopra puoi ui è un'altra stanza o sia camera senza fornello e senza solaro ma col solo coperto de tetti, et coppi, [290] a canto anco uerso mezogiorno ui sta il forno con un portico auanti sostenuto da un pilastretto fabricato di matoni, et calzina, tutto coperto di coppi, qual forno si uede redificar de nouo come ha detto il massaro Ferrero che dice hauer fatto lui la spesa per redificarlo. Le stalle sudette con la crotta hanno di sopra li trabialli di longhezza di trauate dodeci tutte coperte di coppi, sostenuto il coperto dal canto uerso mezogiorno da pilastri ondeci... Dauanti detti edifficij ui è l'area assai grande et capacissima per battere li biadi, essendoui ueduto in capo d'essa uerso mezogiorno un gran pagliaio di honesta altezza e di longhezza quanto è tutta l'area, non ui è pozzo alcuno, ma ben attinente a detta area una copiosissima et abundantissima fontana... dietro le case del massaro ui è il loro horto assai capace per seminarui le hortaglie necessarie per l'uso di detti massari »61. L'impianto dell'insediamento non è certo quello primario. La casa che appare costruita di nuovo risale in realtà a circa mezzo secolo prima, perché è contrassegnata dal millesimo 1606. Vi è stato evidentemente un riuso in senso funzionale dell'abitazione più antica, ora adibita a stalla. Ne risulta però un impianto poco funzionale e certo anomalo rispetto alla prassi, avendo suddiviso in edifici diversi funzioni tradizionalmente concluse in un unico spazio costruito. In quanto tale è una struttura tendenzialmente instabile. Nel 1669 si trasporteranno crotta e forno—rimasti nell'edificio più antico—in contiguità della casa del massaro, secondo un assetto che si può leggere in una sorta di plan-terrier (fig. 8) datato al 170362. Nel 1715 i commissari, incaricati di redigere, dopo la consueta visita, il cabreo descrittivo, lamentano le cattive condizioni dell'edificio più antico e si dimostrano critici rispetto all'intero impianto dell'insediamento, proponendo anche un miglior utilizzo delle trecento giornate circa di terra che compongono il podere. Per il conseguimento di questo obiettivo propongono la formazione di una nuova «casa da massaro» da levante a ponente, in prosecuzione dell'edificio più antico, che viene a costituire la stalla-fienile della costruenda cassina, mentre quella già esistente—chiamata da quel momento La Cassina Vecchia—deve essere ingrandita mediante la prosecuzione della stalla e dei cassi da terra, svoltando ad angolo retto e costruendo quindi una manica parallela alla cassina da costruirsi. Questo nuovo assetto consente anche di «chiuder l'ayra, o sia corte di dette due cassine per il che non ui mancherebbe altro che una semplice muraglia dalla parte di ponente, lasciandoui una porta per andar alli beni su le fini di Monasterolo, e chiudendosi con altra porta il tramezzo che ui è tra la Casa Vecchia, e la stalla vecchia sudette, per qual porta si va poi alli beni, [291] che sono sovra le fini di Ravigliano, e così restarebbe chiusa tutta la cassina con le sue comodità interiori»63. I lavori proposti vengono realizzati nel 1719, come conferma il millesimo posto sulla «porta grande»64 (fig. 9). La nuova cassina si chiamerà Cassina della Cappella, essendo localizzata sul lato della corte che guarda verso la Cappella di S. Lorenzo, che dà il nome all’insediamento. Nel 1750 si decide di costruire un’altra «casa da massaro», o Cassina Nova, raggiungendo così l’impianto definitivo della «corte», documentato dagli atti di visita del 1756 (fig. 10) e dal cabro del 176065 (fig. 11-12). [292] 61 A.O.M., Comm. Lib. Coll., Commenda di S. Lorenzo in Carpice, m. 1,fasc. 2. Ibid., m. 4, fasc. 7. 63 A.O.M. cit., Serie cabrei, Commenda di S. Lorenzo in Carpice, reg. 10. 64 Il millesimo si ri cava dagli atti di missione in possesso del 1750 (ibid., m.1, fasc. 18B) 65 Ibid., m. 1, fasc. 23 e cabre reg. 31. 62 Possiamo considerare quello appena descritto come il processo morfogenetico usuale delle «corti» piemontesi. Va però registrato anche un fatto di diversità di insediamento preesistente, cioè della matrice che dà origine alla « corte ». Possiamo distinguere tre casi: quello in cui—come si è visto—l'insediamento originario è una cassina elementare; quello in cui la corte si forma per aggregazione in uno spazio chiuso di un precedente insediamento ad hameau; quello infine in cui si ha un riuso in senso poderale di un precedente insediamento originariamente non rurale, già a spazio chiuso, generalmente a funzione difensiva, come ad esempio i ricetti. Nel secondo caso il processo morfogenetico è identico a quello già descritto, mentre nell'ultimo caso si ha già una struttura a corte chiusa che—in un primo tempo almeno—non subisce modifiche. In entrambi i casi però avviene una ricomposizione fondiaria da una situazione di partenza di tipo plurifamiliare e pluriaziendale ad una situazione di tipo ancora plurifamiliare, ma monoaziendale, là dove nel primo caso invece permane una struttura monoaziendale che diventa però plurifamiliare. È evidente quindi che quando la corte si forma da un hameau o da un ricetto la trasformazione non è solo insediativa, ma, innestando un processo di appoderamento, coinvolge anche il sistema agrario. Un caso molto ben documentato in tal senso ci è dato dalla cassina Bazzano di Barge, una « corte » che si forma per ristrutturazione di due cassine, rubricate in catasto a due diversi proprietari, semiabbandonate già nel 1646, quando si riscontrano « muraglie trasparenti » e si constata che in una stalla « per la longa rouina et mancanza d'habitatori ui si uedono natte diuerse piante di sambuchi grossi come la gamba »66 L'Ordine Mauriziano acquista i due poderi e inizia una serie di lavori che porteranno, oltre alla formazione di un'ampia «corte», anche ad una ricomposizione fondiaria67. Più complesso già in origine appare l'insediamento alla Badia di Savigliano, da cui la famiglia Beggiami, dopo acquisti successivi, ricaverà nel 1672 una grande cassina a corte chiusa, là dove prima esistevano almeno tre cassine lineari, una casa civile, un'osteria, uno spaccio, un forno68. Si originano invece da ricetti la cassina di S. Giovanni della Motta di Cavallermaggiore, per riuso in senso poderale di un ampio insediamento fortificato, definito appunto ancora nei secoli XVII e XVIII «castello et ricetto della Motta», nel quale sono compresi un castello, una chiesa69 [294] e quattro masserie70 . Un caso analogo è documentabile per la già menzionata cassina dell'Ayrale al Regio Parco di Torino71 e per la Commenda Gentile al Cerreto di Carignano, originariamente un insediamento fortificato, costituito da quattro abitazioni protette oltre che dal recinto murario del ricetto, anche da una torre (figg. 13-14). Le «corti» generatesi da un preesistente insediamento fortificato hanno, almeno nella fase più antica, una struttura per certi aspetti anomala rispetto all'impianto tipico delle prime cassine a corte chiusa, organizzate come giustapposizione geometrica dei segmenti edili uniformi delle cassine lineari. Il Cerreto è sotto questo riguardo un caso esemplare, dove l'anomalia non si limita al solo fatto edile: la struttura del ricetto72 è ancora riconoscibile dalla localizzazione di certe funzioni agricole al di fuori del recinto, come è documentato dagli atti di missione in possesso della Commenda nel 1675:[295] «... Più fori del ricetto dal canto uerso meza notte due ayre simultenenti per servizio delle cassine con tranate dieci sette di portico, il tutto coperto a coppi, cioè case, stalle e portico. Più due benassi coperti a paglia appendici al di dietro la casa del ricetto dal canto di meza notte di trauate sei, quali seruono per il tinaggio. Più le corti che restano nel ricetto »73. 66 A.O. M. Comm. Patr., Commenda S. Ottavio di Mondella o Bazzano (Famiglia Pallavicini di Frabosa), m. i, fasc. 4. Ibid., fasc. 14. 68 A.S.T., Sez. Riun., Archivio Thaon di Revel e Famiglie Alleate, Famiglia Beggiami, busta 1 e 3. 69 A.S.T., Sez. Riun., Archivio dell'Ordine di Malta, m. 89. 70 Le cappelle entro le corti che si originano da una cassina elementare tendono a fare la loro comparsa solo nel corso del secolo XVIII. In linea di massima dunque, cappelle anteriori alla fine del secolo XVII potrebbero essere considerate indizio di una matrice insediativa più complessa della semplice cassina. 71 A.S.T., Sez. Riun., Art. 807, m. 3 e 4. 72 Sulla struttura del ricetto cfr. A. A. SETTIA, Fortificazioni collettive dei villaggi medievali dell’Alta Italia: ricetti, villeforti, recinti, «BSBS», LXXIV, 1976, pp. 527-617. 73 A.O.M., Comm. Lib. Coll., Commenda Gentile di Carignano, m. 1, fasc. 9. 67 In materia di insediamento rurale di pianura, il Piemonte d'ancien régime sembra dunque caratterizzato da una tendenza al riuso di strutture già esistenti, piuttosto che a nuove fondazioni, almeno fino alla seconda metà del secolo XVIII, quando la tipologia della corte comincerà ad espandersi. In questa tendenza va tuttavia riconosciuta la capacità di trasformazione l'assetto insediativo e non solo sul piano tipologico: basti osservare che scompaiono molti nuclei, sostituiti da insediamenti singoli, anche se spesso si conserva o si conia e novo un toponimo declinato al plurale, quasi a voler sottolineare comunque nella «corte» un insediamento plurimo. Possiamo, in sintesi, ammettere che vi è una continuità di occupazione del sito, ma che a questa corrisponde di norma una discontinuità della struttura e del popolamento. Resta però da capire quali sono le ragioni che danno impulso a tale processo di trasformazione. Ci pare che la questione presenti tre aspetti distinti, ma interferenti: la situazione socio-economica, sia a scala regionale sia a scala delle aziende agricole; i meccanismi di diffusione dell'innovazione tipologica, la quale evidentemente non è di ambito locale, piemontese, ma di provenienza lombarda; infine la presenza nella società piemontese d'ancien régime di determinati archetipi spaziali in ragione dei quali si operano le scelte formali che modellano il paesaggio agrario, problema questo di cui ancora poco o nulla sappiamo. Quanto al processo di diffusione dell'innovazione tipologica, bisognerà studiare in futuro la storia geografica di quelle famiglie nobili che attraverso la gestione dei propri beni o di quella di ordini religiosi o cavallereschi, hanno la possibilità di intervenire sul territorio regionale in luoghi non contigui, trasmettendo spazialmente scelte che, attentamente studiate, sono suscettibili di rivelare un concetto egemone di paesaggio e di rimandare quindi a quegli archetipi spaziali di cui si è fatto cenno. A questo proposito potrà rivelare forse qualche sorpresa la considerazione dell'immagine che dell'incastellamento poteva avere in età moderna una nobiltà — come quella piemontese — che vedeva messi in discussione dalla corte sabauda e, a livello teorico generale, dal concetto di stato moderno i propri privilegi feudali, fondati sull'identità tra potere politico e potere territoriale. [296] Possiamo infatti ammettere che la genesi della « corte» (parola che allora in questo contesto si carica di significato) sia uno degli ultimi rigurgiti della réáction seigneuriale di fine Seicento, uno degli ultimi tentativi di rifondare un potere già sgretolato, segnando il territorio con una presenza fisica che si serve di modelli e persino di strutture materiali del passato, ulteriormente esaltate dalle « case da nobile », alla cui ombra si raccoglievano le masserie come in un piccolo borgo e che stavano a testimoniare la presenza diffusa del potere signorile sul territorio. In questa prospettiva di ricerca—che andrà certo verificata—trova una plausibile spiegazione l'apparente contraddizione di una trasformazione insediativa che avviene in un periodo di ristagno, ciò che potrebbe sembrare una smentita a ben note e da tempo accettate tesi sul rapporto tra società e paesaggio. In realtà, per mancanza di analisi geo-storica, ci siamo lasciati fuorviare dalla constatazione che nel nostro secolo le « corti» sono il polo funzionale dell'agricoltura capitalistica, accettando implicitamente l'idea che le due strutture —quella socio-economica e quella materiale— nascessero insieme. Dobbiamo però ammettere che il rapporto società-paesaggio è molto più complesso e articolato di quanto si potesse immaginare. Il processo di formazione delle « corti » va letto nel contesto delle difficili vicende patrimoniali e delle strategie sociali, matrimoniali e perciò dotali in specie74, della nobiltà piemontese dalla fine del secolo XVII a tutto il secolo successivo e ai conseguenti comportamenti economici che improntano la gestione delle grandi aziende agricole. Il calcolo economico che viene fatto è quello di aumentare la produttività, senza uscire dalla logica dell'economia d'ancien régime. Ciò è documentabile a vari livelli: fedi catastali per quanto concerne l'ampiezza della proprietà fondiaria, la cui superficie totale resta stabile; i tipi di colture e di rotazioni, ricostruibili dai conti dei libri dei maneggi e dai bilanci e paralleli resi dagli economi e dagli agenti; la strumentazione agricola, la cui povertà è conoscibile da inventari e atti notarili. 74 Esemplari ci sembrano sotto questo aspetto, le vicende di Francesco Evasio Sibaldi, Patrizio Alessandrino, analizzate da G. LEVI, Strutture familiari e rapporti sociali in una comunità piemontese tra Sette e Ottocento, in Annali della Storia d'Italia, vol. I, Torino 1978, pp. 617-630. Sulla nobiltà piemontese d'ancien régime cfr. anche S.J. WOOLF, Studi sulla nobiltà piemontese nell’epoca dell'assolutismo, Torino 1963. La necessità sempre crescente di poter disporre di una base monetaria più cospicua convince i proprietari ad intervenire sul loro patrimonio fondiario, cercando il modo di ricavare da esso una rendita più elevata senza sacrificarle investimenti di capitale. Non ci pare casuale che il processo di formazione della « corte » nella sua fase iniziale sia coevo al progetto di Perequazione Generale dello Stato e che esso si sviluppi parallelamente alla realizzazione del primo catasto geometricoparticellare, strumento di controllo fiscale che colpisce la rendita fondiaria. [298] La sola soluzione che si riesce a concepire allo scopo è quella di aumentare il lavoro, anziché di intervenire sulla base tecnologica75. La corte nasce così soprattutto come aggregato di « case da massaro », cioè come moltiplicazione su uno stesso fondo di unità di lavoro. Ciò significa il passaggio ad un'agricoltura intensiva, realizzata mediante la messa a coltura dei gerbidi, cioè degli incolti. Si potrebbe obiettare che anche il fervore edilizio che si manifesta con l'ampliamento degli insediamenti e la conseguente formazione delle « corti » esige investimenti di capitale. Ciò è senza dubbio vero, basti considerare alcune cifre tra la fine del secolo XVII e la prima metà di quello successivo un trabucco di muro di cinta (circa tre metri) costava in media otto lire; alla già mentovata cassina del Marinetto il solo muro di cinta costa nel 1681 settecentocinquanta lire, la cassina elementare che il capitolo di S. Giovanni fa costruire a Millefiori nel 1754, utilizzando materiali di una casa demolita, cosa tremilacinquecentosessanta lire. Teniamo conto che, secondo i calcoli del Prato76, nel periodo 1680-1717 nella provincia di Torino il prezzo medio della terra per giornata era di centoquaratesei lire e il reddito medio di circa sedici lire per giornata. Il prezzo medio del frumento, calcolato per la Perequazione, era di due lire per emina; perciò un trabucco di muro costava quanto quattro emine di grano. Si tratta certo di cifre ingenti. Tuttavia l'intervento sul costruito piuttosto che sulla terra è molto più vantaggioso perché di fatto, anche se i patti da massarizio non lo prevedono, il relativo costo grava soprattutto sui massari. Ne abbiamo numerose testimonianze. Valga per tutte il caso del Ravero: «Perché l'area della cassina del Ravero era talmente stretta che non si poteuano battere le messi comodamente, oltre che quando in quei tempi pioueua passauano molti giorni prima che detta aera asciugasse, et in conseguenza restaua molto grano nel terreno humido, per questo fu stimato necessario ingrandire detta aera nel modo che si troua presentemente: et non hauendo la Capella auanzi per far la spesa di tall'ingrandimento, si stimò bene d'impiegarui lire mille di capitale di un censo, restituito dal Signor Carlo Cauda, come in questo libro pagina 1, purché li massari quali molto desiderauano detto ingrandimento augmentassero il fitto dei prati in proportione delli censi, che rendeua detto capitale; al che non solamente condescesero; ma di più s'obbligauano a fare a loro spese tutte le condotte necessarie de materiali sopra il luogo tanto delle muraglie, che de coperti, et d'ogni altro bisogno; et in questa conformità se ne fece con loro la capitolazione per la quale parimente si confermò con li suddeti massari la colonia di detta cassina come in questo medesimo libro pagina 66. Et perché in detta cassina ui si ritrouaua un corpo di casa rustico uicino al forno, di due stanze l'una sopra l'altra, col suo granaro, separato dall'habitatione di detti massari, si stimò parimente bene con tall'occasione ridurlo al ciuile, affinché ui potesse alloggiare il Signor Economo pro tempore, quando colà sarebbe andato per gli occorrenti bisogni di detta cassina . . . »77. La soluzione rappresentata dalla «corte» si rivela tutto sommato un calcolo sbagliato, o almeno insufficiente: in tutti i casi dove sono ben documentabili anche i contratti agrari, dobbiamo registrare, pochi anni dopo la formazione di ogni «corte», il passaggio dalla mezzadria all'affittanza, cioè alla definitiva scelta di una rendita in danaro. Così la «corte» piemontese si caratterizza come 75 Per una teoria generale dell'innovazione tecnologica nella storia dell'agricoltura cfr. P. UGOLINI, Tecnologia ed economia agrarie dal feudalesimo al capitalismo, in Annali della Storia d'Italia, vol. I, op. cit., pp. 375 sgg. 76 G PRATO, La vita economica in Piemonte a mezzo il secolo XVIII , Torino 1908, pp. 196 sg. e p. 157. Sui prezzi dei materiali da costruzione nel solo Vercellese nel XVIII secolo cfr. S. PUGLIESE, Due secoli di vita agricola. Produzione e valore dei terreni, contratti agrari, salari e prezzi nel Vercellese nei secoli XVIII e XIX, Torino 1908, pp. 356-373 e spec. tab. p. 369. 77 A.A.T., Archivio del Capitolo di S. Giovanni, ser. CC3, reg. 28, f. 43. Il costo reale di tutti i lavori, compresa la casa per l'economo, assomma a poco più di cinquecento lire, mentre il tasso d'interesse è calcolato sul censo di mille lire. Cfr. il caso analogo, ma molto più tardo, dei lavori alla Scotta di Caselle nel 1792 in A.S.T., Sez. I, Archivio Masserano, c. 14, cart. 47, art. 5, fasc. 20. l'insediamento rurale di un'età di transizione: nata come espressione di un'economia ancora feudale diventa l'espressione del capitalismo agrario. Saranno infatti i fittavoli a mutare in tal senso il sistema agrario e poi, a poco a poco, ad adeguarvi la struttura della cassina. E sulle nuove «corti» dominerà l'antica «casa da nobile» trasformata in caposaldo di una gestione capitalistica delle campagne. [299] PAOLA SERENO