Lo sfruttamento criminale del minore

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Lo sfruttamento criminale del minore
A tutta velocità
di Gaël Morel
Sinossi
Bassa provincia francese, metà degli anni Novanta. Quentin è un giovane romanziere baciato dal
successo grazie al suo libro d’esordio. Incontra per caso Samir, giovane immigrato algerino omosessuale,
che ha da poco perduto il compagno, vittima di un attacco razzista, e decide di utilizzare la vita del nuovo
amico come spunto per il suo prossimo romanzo. Samir viene sedotto da Quentin, il quale, però, lo tiene
sprezzantemente a distanza, utilizzandolo unicamente come fonte di ispirazione. Nel ménage entrano
altre due persone: Julie, che ha una relazione con Quentin, con il quale cerca costantemente situazioni
estreme e border-line, nonché Jimmy, il migliore amico di Quentin e Julie, prestante pugile di strada,
seduttore inconsapevole e amico apparentemente leale. Insieme, i quattro vivono delle esistenze
sbandate, ai limiti della legalità. In realtà, le inquietudini personali di ciascun componente del gruppo
finiranno per allontanare i quattro personaggi con conseguenze dolorose: Julie e Jimmy si avvicineranno
più del dovuto, approfittando di una momentanea assenza di Quentin; Samir resterà vittima di
un’aggressione razzista, e Jimmy, per proteggere l’amico, sacrificherà la propria vita.
Presentazione critica
Introduzione al film
I registi della “rivoluzione multiculturale”
A tutta velocità è il lungometraggio che ha sancito l’esordio nella regia dell’allora ventiquattrenne
Gaël Morel, attore reso famoso un paio d’anni prima grazie al ruolo di protagonista in L’età acerba (Les
Roseaux sauvages, Francia, 1994) di André Téchiné, pellicola dalla quale il neoregista ha preso quasi tutti
gli attori principali del suo film. A tutta velocità intercetta una serie di inquietudini tipiche del cinema
francese incentrato sulla condizione giovanile, filone che, soprattutto a cavallo fra la seconda metà degli
anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta, ha conosciuto un periodo di grande floridezza, sia dal
punto di vista meramente numerico che sul piano della qualità delle singole opere, spesso molto alta. Pur
sfuggendo alle facili schematizzazioni delle opere “a tesi”, Morel affronta una serie di problematiche nei
confronti delle quali l’intero orizzonte culturale francese si è sempre dimostrato molto ricettivo e in
anticipo rispetto ad altre realtà nazionali: la formazione di una società multietnica e multiculturale,
l’emarginazione del mondo omosessuale, il crescente nichilismo e la perdita di punti di riferimento delle
nuove generazioni. Contestualmente, il film di Morel è l’epitome di un movimento complessivo di
ricambio generazionale del cinema francese, che proprio in quegli anni vedeva l’affermazione definitiva
dei cineasti di età compresa fra i trenta e i quarant’anni – come Olivier Assayas, Léos Carax e JeanJacques Beineix – e l’esordio di un gruppo non meno agguerrito di "fratelli minori", non ancora trentenni
(da Mathieu Kassovitz a Christophe Honoré). Non a caso, quasi tutti questi giovani cineasti hanno mosso i
loro primi passi occupandosi di giovani e giovanissimi, spesso attingendo a elementi autobiografici o a
stralci della loro adolescenza.
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A tutta velocità
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Per un cinema dell’inquietudine
Sorta di catalogo del disagio giovanile negli anni dell’esplosione del multiculturalismo come nuovo
schema antropologico delle comunità europee, A tutta velocità getta uno sguardo sulla formazione
"deviata" delle identità dei suoi giovani protagonisti, uno sguardo sospeso fra due ossimori: da un
lato una pietas accorata e sensibile, che stabilisce una forte empatia fra i personaggi e l’istanza
narrante; dall’altro una stolida spietatezza nel definire un destino ineluttabile segnato dalla morte
(Samir, Jimmy), dalla perdizione (Julie) o dall’alienazione anaffettiva (Quentin). Le tipologie
giovanili illustrate da Morel, a dire il vero in maniera un po’ compilativa e senza troppe sfumature,
abbracciano un arco di declinazioni piuttosto ampio.
Quentin è il giovane intellettuale non allineato, dall’aria Bohèmienne, il cui orizzonte emozionale
appare eroso dall’interno da un ego smisurato e da un autentico culto della personalità, che gli
impedisce di condividere pienamente affetti, amori, amicizie. Approfitta senza scrupoli del rapporto
di dipendenza che l’ingenuo Samir instaura con lui, ne sfrutta le debolezze traducendole in “arte” e
ribaltandole a suo esclusivo vantaggio; un vantaggio, peraltro, puramente strumentale – l’accumulo
di materiali per una nuova opera letteraria – e niente affatto sentimentale. Sarà proprio questa sua
incapacità di amare a causare il “tradimento” di Julie con Jimmy. Julie, a sua volta, è il prototipo
della ragazza perduta, sorta di erede della rabbiosa Maïté di L’età acerba – entrambi i personaggi
sono interpretati da Élodie Bouchez, all’epoca tra i volti più incisivi del cinema transalpino
nell’ambito della rappresentazione di una gioventù ribelle e/o emarginata –, privata tuttavia di una
causa per la quale lottare, e dunque ridotta a uno stato randagio, tipico di chi ha bisogno di un
gruppo entro il quale sentirsi accettata per affermare, in maniera quasi osmotica, se non addirittura
parassitaria, la propria incerta personalità. Jimmy, in apparenza il più bidimensionale del gruppo,
scivola nel corso del film dal ruolo – puramente drammaturgico – di "spalla" di Quentin a quello –
tragicamente simbolico – di agente dei più significativi ribaltamenti narrativi del racconto, fino a
incontrare una sorta di epilogo degno di un martire. Al contrario, Samir è sicuramente, sin dalle
prime battute del film, il personaggio più complesso e contraddittorio. Innanzitutto, esso è a sua
volta, al pari di Julie, una libera rielaborazione del personaggio pied-noir Henry di L’età acerba (in
questo caso, rispetto al film di Téchiné, troviamo un attore diverso). In seconda istanza, Samir vive
sulla propria pelle una duplice “clandestinità”, afferente alla sua condizione di immigrato e alla sua
omosessualità; è, in sostanza, il rappresentante di un tessuto sociale emergente, in cui le minoranze
e gli emarginati di un tempo reclamano uno spazio alla luce del sole e un ruolo sociale definito.
Apparentemente, è l’anello debole del gruppo, in realtà è colui che, con la sua fragilità, orienta
vettorialmente i destini degli altri membri, in particolare di Jimmy – che per lui si sacrificherà,
rivelando in nuce un insospettato slancio omoerotico – e Quentin – che su Samir erigerà le sue
future fortune letterarie, consegnandosi al tempo stesso a una visione cinica e disillusa
dell’esistente, in cui il successo occupa una posizione dominante e gli affetti sono relegati a un
ruolo men che subalterno –, denunciando da subito una certa inclinazione verso la tragedia (tutta la
prima parte che lo riguarda è dedicata alla commemorazione dell’amico-amante deceduto).
A fare da sfondo a un simile intreccio di pulsioni, troviamo una provincia francese in cui il
multiculturalismo è vissuto in maniera apparentemente meno traumatica rispetto alle grandi metropoli,
località dove non esistono banlieues in fiamme o rivolte di piazza, e le tragedie si consumano fra
l’indifferenza generale e amniotica di una popolazione autoctona abituata a farsi scivolare addosso le
piccole o grandi tragedie del quotidiano. La violenza è la cifra, il linguaggio privilegiato di una
generazione privata di orizzonti referenziali, l’unica reazione possibile all’indifferenza delle istituzioni e
alla sistematica assenza o ostilità degli adulti.
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A tutta velocità
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Il film è una sorta di raddoppiamento del già citato L’età acerba di André Téchiné, e sarebbe utile
proporre una visione abbinata dei due testi, anche per tracciare delle linee di continuità o dei punti
critici di discontinuità fra due epoche differenti: L’età acerba è infatti ambientato nei primi anni
Sessanta, A tutta velocità oltre trent’anni più tardi. Non cambiano, invece, i temi di fondo, la realtà
della provincia francese a contatto con elementi perturbanti per il tessuto sociale locale, intriso di
bigottismo e intolleranza verso il “diverso”: nella fattispecie, l’immigrazione nordafricana, vero e
proprio rimosso storico del periodo coloniale francese, e l’omosessualità.
Dei film a sfondo “giovanile” realizzati in Francia nel medesimo periodo, è utile recuperare
soprattutto L’Eau froide (id., Francia, 1994) di Olivier Assayas e L’odio (La Haine, Francia, 1995)
di Mathieu Kassovitz: il primo ha in comune con la pellicola di Morel il nichilismo iper-romantico
dei personaggi principali; il secondo prende di petto, con piglio maggiormente “militante”, la
questione razziale.
Infine, in Italia, un efficace ritratto di gioventù di provincia, sospesa fra violenza repressa e slanci
idealistici, lo ha offerto di recente Texas (Italia, 2005), debutto nella regia cinematografica del
giovane attore e commediografo Fausto Paravidino.
Sergio Di Lino
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