Beltel NOVEMBRE 2002

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Beltel NOVEMBRE 2002
dal 1995
èBeltel
rapporto mensile indipendente sulle comunicazioni promosso da Gianni Di Quattro
Comitato d’Onore
Enzo Cheli
Antonio Maccanico
Comitato
Tecnico-Scientifico
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Maurizio Decina
Sandro Frova
Gustavo Ghidini
Claudio Leporelli
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Franco Morganti
Elserino Piol
Enzo Pontarollo
Comitato di redazione
Franco Carlini
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Marina Mascazzini
Antonio Pilati
Luigi Prosperetti
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responsabile
Marina Mascazzini
Caspa srl
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20122 Milano
tel. 02.58325500
fax 02.58325555
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bundling people
ci vuole innovazione per il futuro che vogliamo, Franco Carlini
controluce, Franco Morganti
primopiano l’impresa e le sue strategie al centro del dibattito, Sandro Frova
sapore d’antico...ma sempre di attualità, Enzo Pontarollo
a che punto siamo, Elserino Piol
avanti con giudizio, Luigi Prosperetti
analisi
le banche e l’emergenza tlc, Giorgio Meletti
salvare la competizione per stimolare la crescita, Claudio Leporelli
lo scenario competitivo nei servizi di tlc, Massimo G. Colombo
tv digitale terrestre: quali benefici e per chi, Augusto Preta
inchieste
denaro, mercato, regole, persone: cosa manca di più? a cura di Grazia Longoni
opinioni di Arturo Artom, Achille De Tommaso
i “sogni” degli utenti a cura di Marinella Zetti
opinioni di Giuseppe Capponcelli, Alfonso Izzo, Marcello Milano
attualità
notizie
da New York, Sandro Malavasi
convergenze, Andrea Lawendel
la tv nel libro bianco della Fondazione Bordoni, Marco Mele
regole
digital media: interferenze normative, Eugenio Prosperetti
dall’Antitrust, Stefano Ciullo
banche
notizie
il digital networking della promozione finanziaria, Sergio Lonoce
forum
banda larga contro telefonia mobile? risponde Sandro Frova
price cap, una meritata pensione, Giovanni Crea
internet: l’eldorado del marketing virale, Stefano Santucci
informatica tra convergenza e divergenza compatibile, Massimo Messina
novembre 2002 n. 10
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ci vuole innovazione per il futuro che vogliamo
Franco Carlini
www.totem.to
«E’ in atto una rivoluzione epocale, una totale inversione di rotta rispetto a quello che solo due anni
fa si credeva fosse la realtà. Bisogna che tutti lo capiscano. Le compagnie di telecomunicazioni sono
nel mezzo di una crisi spaventosa, il mito di Internet è definitivamente tramontato, l’e-commerce è
morto». Così su “Affari e Finanza” del 30 settembre 2002, Susan Kalla, analista della Friedman,
Billings and Ramsey di Washington, presentata come una Cassandra purtroppo lungimirante. Una
che vede lontano e che si sottrae alla moda, dicendo anche le verità sgradevoli, quando ci vogliono.
Ma davvero le cose stanno così, come Susan Kalla le rappresenta? Qualche dubbio sorge leggendo
un altro suo giudizio assai netto, emesso nel corso della stessa intervista: «Prendiamo Lucent, che
era forse l’esempio più luminoso di gloria degli anni scorsi ed è un perfetto esempio della disfatta
attuale». Chiunque frequenti anche approssimativamente il mondo delle telecomunicazioni sa bene
che Lucent, ex ramo manifatturiero di At&T non è mai stato un luminoso esempio, almeno negli ultimi
dieci anni e dunque la sua situazione attuale ha solo in parte a che fare con la bolla scoppiata e con
il generale collasso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Era un gigante ammalato, perennemente in ritardo sull’innovazione che forse avrebbe potuto riprendersi in una situazione
di grande domanda di apparati (centrali e router), ma che è in crisi in modo del tutto razionale e
ragionevole. Dunque non era luminosa prima e non è un perfetto esempio della disfatta attuale;
semplicemente è un’altra storia.
Per parte sua il il Wall Street Journal ha puntato il dito accusatorio sulle previsioni ottusamente
ottimistiche che hanno generato l’attuale eccesso di fibra nelle reti di telecomunicazione di tutto il
mondo (Yochi J. Dreazen.“Wildly Optimistic Data Drove Telecoms to Build Fiber Glut”, 26 settembre
2002). Questa riflessione è stata parzialmente ripresa su Repubblica Affari e Finanza (Federico
Rampini, “L’autocritica di massa sulla bolla speculativa”, 7 ottobre 2002). Al centro della questione c’è
una apparentemente misteriosa stima che avrebbe generato un eccesso di aspettative e che a suo
tempo dilagò come un incendio, venendo utilizzata più e più volte, senza mai verificarla. Questa
perniciosa dichiarava che il traffico Internet stava raddoppiando regolarmente ogni tre mesi, il che
significa una crescita annua del 1000 per cento circa, quanto bastava per scatenare gli appetiti più
folli in chi faceva fibra (Cornig), in che la stendeva (Wordcom), in chi fabbricava router (Cisco) e via
via a salire, fino agli strati superiori dell’Internet, dedicati al commercio e all’entertainment. Secondo
Rampini non è nemmeno chiaro chi abbia emesso per primo tale profezia disastrosa, ma lo stesso
Wall Stret Journal ci informa (e una ricerca in rete lo conferma) che si trattava di una cifra fornita da
Michael O’Dell di UUNet, il più importante provider americano che nel 1997 riferiva che sul suo
backbone quello era il ritmo di crescita del traffico misurato. Era un momento di grande esplosione e
la cifra era assolutamente veritiera, ma nessuno avrebbe dovuto sognarsi di trasformarla come
avvenne in una nuova legge di Moore.
Una volta ristabilità la verità storiografica, il problema dell’eccesso di capacità va preso sul serio, ma
sarebbe il caso di vederlo con occhi più lucidi e meno emotivi. Intanto il rapporto tra fibra effettiva-
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mente usata (“lit”, illuminata) e fibra posata ma non connessa alle reti (“dark”) che arriva appena al
10 per cento è forse significativo per un giudizio sul passato, ma non è un parametro serio per l’oggi
e per il domani. Quegli investimenti costosi sono stati fatti, la fibra non si deteriora significativamente
e accenderla costa poco; diciamo che è capitale immobilizzato e non redditizio, ma ormai il danno è
fatto. Più interessante semmai è il fatto che il traffico di bit comunque continua a crescere al ritmo del
100 per cento annuo circa (forse attualmente un po’ meno) e questa è una cifra più che rispettabile.
Vuol dire dunque che nel giro di 3-5 anni le reti attuali torneranno a essere saturate a livelli ragionevoli, compatibili con una sana economia di tali infrastrutture.
Occorre anche dare per scontato, tuttavia, che il puro trasporto è ormai divenuto una commodity: il
costo di una connessione business tra Londra e New York è caduto del 95 per cento negli ultimi tre
anni e ormai vale soltanto 6mila dollari al mese, ci informa Business Week (“When Will the Telecom
Depression End?”, 7 ottobre 2002). Il gioco è fatto e (fortunatamente) nessuno può ricreare condizioni artificiose di scarsità.
Il problema più grave è invece un altro: l’offerta di servizi e contenuti che davvero abbiano bisogno di
una banda larga e che dunque possano essere venduti a un prezzo un po’ superiore. E’ su questo
terreno che le innovazioni scarseggiano. O meglio proliferano i nomi fantasiosi, vecchi (Video On
Demand) e nuovi (Web Services). Ma per ora restano soprattutto parole vuote o generiche indicazioni di futuro sperato.
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controluce
Franco Morganti
meno convergenza = meno larga banda
Ricordo che nel 1993 l’allora Direzione Generale XIII (ora Information Society) della Commissione
europea lanciò un progetto Broadband (larga banda) dal quale si aspettavano mirabilie. Se nel 2003
(ci siamo quasi), a dieci anni di distanza, stiamo constatando che la larga banda fa fatica a decollare,
una ragione (o più) ci sarà.
Credo che una delle cause stia nel relativo insuccesso della convergenza, almeno nei termini in cui la
si profetizzava allora. Si pensava a terminali onnivori che poi si sono dimostrati di uso complicato. Si
pensava a una rete per tutti i contenuti, dimenticando che le reti hanno limitazioni che non consentono qualsiasi contenuto. Si pensava che gli operatori di tv via cavo sarebbero entrati nella telefonia,
ma negli Usa è avvenuto poco e in Europa ci sono stati fallimenti.
Si è sottovalutato il problema distributivo dell’aDsl, ma soprattutto sono fallite le alleanze che automaticamente dovevano scaturire dal magico diagramma dei tre cerchi (Tlc, It e Media) che parzialmente si sovrapponevano facendo sognare mitiche intese e fusioni.
Una certa responsabilità di queste insensate fusioni sta anche nella grafica aziendalistica che ci ha
ricamato sopra, salvo poi accorgersi, con Porter, che la catena del valore, con tanti poligoni in sequenza, rappresentava meglio la situazione rispetto ai cerchi del mitico hula-hoop.
Basta pensare a AOL-Time Warner e a Vivendi che un bel giorno ha pensato, sempre per la teoria
dell’hula-hoop, che ai clienti dell’acqua poteva offrire anche il meglio della televisione. Dom Serafini,
su Intermedia di luglio 2002, si è divertito a calcolare che Time Warner ci ha guadagnato di più a
vendere i diritti di Harry Potter all’ABC della Disney che a cederli alla sua controllante AOL.
Naturalmente la convergenza, senza miti, va avanti e si farà più visibile sull’Umts e sulla Dtt. Ma le
ragioni per cui la larga banda si fa strada soltanto adesso ci sono, eccome.
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primopiano
l’impresa e le sue strategie al centro del dibattito
Sandro Frova
Università L. Bocconi, Milano
In un recente intervento*, il Commissario Monti ha, a mio giudizio molto opportunamente, riportato
l’attenzione del dibattito “regolatorio” sull’esigenza fondamentale di garantire le condizioni per lo
sviluppo e gli investimenti delle imprese, campo classico sul quale si verificano le capacità imprenditoriali. A prescindere dalla condivisione – o meno- delle posizioni del Commissario alla Concorrenza
(non possiamo essere così ingenui da dimenticare che comunque è in atto un processo di definizione
dei poteri delle diverse Autorità), trovo che tutti noi dovremmo trarne spunto per ritrovare la consapevolezza che, al centro dei nostri ragionamenti, devono sempre stare la concorrenza e le imprese.
Mi sembra che nella relazione di Monti i richiami in tal senso siano numerosi e pressanti. Saltando
qua e là, ne cito solo alcuni che mi paiono particolarmente forti e indicativi di quanto delicati siano i
nodi da sciogliere in questa fase storica.
• La transizione alla nuova direttiva si verifica in un contesto economico fortemente problematico, in
cui occorre, a fortiori, garantire alle imprese più efficienti migliori prospettive di sviluppo.
• Stiamo uscendo da un “pacchetto regolamentare” caratterizzato dall’utilizzo di strumenti regolatori pesanti quali i controlli dei prezzi di accesso, l’orientamento ai costi, il price cap; nel nuovo quadro dovrebbe
invece verificarsi gradualmente la completa liberalizzazione dei mercati, con quanto ne consegue.
• La convergenza basata principalmente sulla tecnologia digitale prefigura un contesto competitivo
in cui successi e insuccessi delle imprese dipenderanno molto dalla capacità di offrire servizi a
valore aggiunto e di attuare gli investimenti “aderendo” alla domanda.
• La nuova definizione di significant market power, che abbandona il criterio automatico del 25% per
orientarsi verso il concetto di posizione dominante, forse solo apparentemente meno stringente.
• L’individuazione dei mercati da sottoporre a regolamentazione, con la premessa (ovvia, ma di cui
forse si era un po’ persa la memoria) che “se un mercato può essere efficacemente disciplinato
applicando soltanto le regole generali della concorrenza, è allora inopportuno introdurre o mantenere obblighi regolamentari a carico delle imprese presenti in un mercato”; e ancora “ … sarebbe
ingiustificato e controproducente imporre nuovi obblighi regolamentari agli operatori di mercato”.
Qui mi pare molto importante il richiamo al fatto che lo spirito del nuovo quadro regolamentare,
che entrerà in campo dal luglio 2003, dovrebbe comunque essere recepito da subito.
* M. Monti, “L’evoluzione della regolamentazione comunitaria nel settore delle comunicazioni”, intervento al Seminario
di studio sulla regolamentazione, AGCOM, Napoli, 14 ottobre 2002.
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• I dubbi che la regolamentazione sia giustificata in alcuni dei mercati contenuti nell’ormai famoso
Allegato I della Direttiva Quadro: transito, chiamate da mobile, terminazione sulla rete mobile (a
proposito: se è così, come la mettiamo con le ultime decisioni dell’AGCOM?).
• L’affermazione in termini chiari e forti che non dovrà esservi spillover regolatorio dai servizi di
seconda generazione verso l’UMTS: in altre parole, la terza generazione non dovrà avere
regolamentazione ex-ante, in quanto si tratta di servizi sostanzialmente nuovi.
Insomma, traspare chiaramente la preoccupazione che le imprese si trovino nel prossimo futuro a
competere in un contesto nuovo e globale, caratterizzato dalla convergenza, in cui la vischiosità della
regolamentazione potrebbe risultare fatale al successo degli investimenti e delle imprese stesse.
D’altronde, il Commissario conclude “La scelta della soluzione regolamentare è costosa per la collettività e, quando è eccessiva, inibisce le capacità imprenditoriali (mia sottolineatura). Pertanto, è
essenziale che gli obblighi regolatori siano imposti soltanto laddove gli strumenti del diritto della
concorrenza comunitario e nazionale non sono sufficienti per affrontare il problema”.
Qualcuno potrebbe dire: nulla di assolutamente nuovo. Il momento (la vigilia di grandi cambiamenti
sia sul mercato che nelle regole), il luogo (il seminario di studio sulla regolamentazione promosso
dall’AGCOM) e la fonte (il Commissario europeo alla Concorrenza) di queste osservazioni fanno
tuttavia capire quanto importanti sono le scelte dei prossimi mesi. E’ concreto il rischio che le
imprese –vero motore dello sviluppo- non abbiano la sufficiente libertà, pur nel dovuto rispetto delle
regole, per intraprendere attività rischiose e poter mettere a frutto lo spirito imprenditoriale. Ed è un
rischio gravissimo.
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sapore d’antico...ma sempre di attualità
Enzo Pontarollo
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Nelle scorse settimane, l’attenzione dell’opinione pubblica europea è stata fortemente attratta dalle
problematiche relative all’allargamento dell’Unione Europea a dieci nuovi stati (Estonia, Lettonia,
Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Malta e Cipro).
Il sì irlandese al Trattato di Nizza e l’accordo raggiunto a Bruxelles tra i leader dei 15, sulle condizioni
previste per l’adesione e soprattutto sul pacchetto finanziario da offrire ai 10 candidati con la conseguente necessità di ripartirne gli oneri tra i paesi che già fanno parte dell’Unione, hanno spianato la
strada all’avvio delle trattative finali, che dovrebbero portare alla firma dei trattati di adesione già
nella primavera del 2003.
Di conseguenza, se non succederanno incidenti di percorso, dato che tali trattati dovranno essere
sottoposti a referendum nei paesi candidati, l’allargamento dell’Unione dovrebbe diventare operativo
a partire dal 2004.
L’attenzione ai grandi snodi politici e soprattutto finanziari, tuttavia, ha lasciato nella penombra un’altra serie di aspetti di rilevante importanza connessi all’allargamento come il fatto che tutti gli stati
membri, sia vecchi sia nuovi, devono rispettare il cosiddetto acquis communautaire, una sorta di
piattaforma o di minimo comun denominatore, che solo può consentire la partecipazione all’Unione.
L’acquis è composto da 30 diversi capitoli, ciascuno dei quali tratta delle più importanti questioni di
carattere politico ed istituzionale che rendono possibile l’esistenza di una vera Unione, come, ad
esempio, il libero movimento dei capitali, l’ambiente o l’agricoltura. Ciò significa che uno stato candidato deve attuare questi vari capitoli, se vuole entrare entro il 2004: dovrà perciò modificare in molti
casi le proprie politiche, ma anche introdurre nuovi assetti istituzionali, compatibili e coerenti con
quelli dell’Unione. A tal fine, da quando sono iniziate le trattative per l’ingresso, la Commissione Europea
pubblica un rapporto annuale riguardante l’implementazione di questi capitoli nei 10 paesi candidati.
Per i lettori di Beltel, cruciale è il capitolo 19, che riguarda proprio le telecomunicazioni: rileggendolo,
si avverte un “sapore d’antico”, si ripercorrono cioè molte vicende già vissute dai paesi già inseriti
nell’UE, e altre che sono ancora sul tappeto, e pertanto il riconsiderarle può aiutarci ad affrontare
meglio anche i nostri attuali problemi.
L’acquis communautaire prevede infatti che gli stati candidati, come già hanno fatto gli stati membri,
– creino un’Autorità indipendente di regolamentazione per le Tlc e separino gli organismi che si
occupano di normare il settore da quelli che sono proprietari degli operatori, in caso di proprietà
pubblica;
– adottino una politica per le Tlc coerente con quella comunitaria;
– preparino gli operatori ad affrontare la pressione concorrenziale, che si manifesterà in seguito
all’entrata nell’Unione;
– costruiscano il mercato tramite la trasposizione e l’implementazione della normativa comunitaria,
in particolare attraverso il ribilanciamento tariffario;
– garantiscano l’attuazione effettiva del quadro regolatorio attraverso un’Autorità indipendente ben
addestrata e dotata di risorse adeguate;
si preoccupino di affrontare i problemi del servizio universale.
I diversi paesi candidati stanno cercando di adeguarsi a quanto previsto dall’acquis, con risultati che
variano da paese a paese.
L’Ungheria ha fatto molti progressi, come pure l’Estonia e la Slovenia. Cipro si sta comportando
abbastanza bene, mentre altri paesi mostrano maggiori difficoltà, in particolare la Polonia, che ha
difficoltà a garantire il servizio universale nelle aree rurali e che ha anche deciso di rinviare l’apertura
del mercato telefonico internazionale. Al di là delle difficoltà specifiche di questa o quella nazione su
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alcuni punti, tuttavia, è importante notare come le questioni che creano difficoltà sono più o meno le
stesse in tutti i paesi candidati, e riguardano una serie di aspetti dell’attività regolatoria che gli stati
già membri hanno dovuto affrontare nel corso degli anni ’90 e che non sono sempre riusciti a risolvere in maniera efficiente e pro-competitiva.
Le prime e cruciali difficoltà che emergono riguardano interconnessione e portabilità del numero: ciò che
si sta verificando nei paesi nuovi entranti è esattamente quello che è avvenuto (e che avviene ancora) nei
paesi già membri e cioè una difficoltà a risolvere i conflitti in materia di interconnessione, a meno di
interventi decisi da parte delle Autorità di Regolamentazione. Gli incumbent, infatti, nei paesi dell’est come
in quelli dell’Europa occidentale, usano ogni mezzo a loro disposizione per impedire una concorrenza
equa e per proteggere le loro quote di mercato (all’est sono ancora alle prese con la definizione dei listini
di interconnessione, mentre in occidente il problema è quello del vertical price squeeze).
Di conseguenza la regolamentazione dell’incumbent è una sfida particolarmente delicata: da un lato
è assolutamente necessaria, se si vuole consentire l’entrata, dall’altra si scontra con la resistenza
degli ex monopolisti, talvolta protetti dai governi. Nella maggior parte dei paesi candidati, gli incumbents
hanno, nella loro compagine azionaria soci esteri molto forti (come in Polonia, dove l’azionista principale dell’incumbent è France Telecom o in Ungheria dove troviamo Deutsche Telekom, o nei paesi baltici
dove sono presenti Sonera e Telia) che minacciano di rallentare gli investimenti, se il governo non si
piega ai loro desideri, per cui una vera liberalizzazione richiede una grande determinazione politica.
Anche il servizio universale costituisce ancora un grosso problema in diversi dei paesi candidati,
mentre sembra aver trovato una regolamentazione adeguata ad ovest.
Al di là delle questioni specifiche, tuttavia, i problemi maggiori riguardano proprio il rispetto sostanziale dell’acquis communautaire, non tanto con riguardo alle normative, bensì alla loro implementazione.
Gli stati possono, infatti, fissare date stringenti per la liberalizzazione e approvare anche le relative
norme, ma queste servono a poco se gli organismi di regolamentazione non dispongono del personale, delle competenze e di poteri qualitativamente adeguati a trasformare le buone intenzioni in
fatti. Non è tanto un problema di leggi, bensì di come queste leggi vengono attuate sul campo e
inoltre, di come esse vengano fatte rispettare, e quindi dell’esistenza di un apparato sanzionatorio
tale da indurre gli operatori ad adottare comportamenti virtuosi.
In un contesto economico così difficile come quello attuale, la grande sfida per i regolatori è di
esercitare la pressione necessaria a incoraggiare nuovi ingressi e nuovi investimenti sui mercati.
Solo se gli entranti potranno contare su una regolamentazione che li tuteli dalle manovre ostruzionistiche degli incumbent, saranno indotti a sfidare le difficoltà della congiuntura in paesi che, almeno in
otto casi su dieci, sono ancora alle prese con la difficile transizione verso l’economia di mercato.
Il percorso cui si trovano di fronte i 10 candidati non è però molto diverso da quello che è stato
seguito in passato e viene seguito tuttora dai 15 paesi dell’Unione, anche se, a differenza di questi
ultimi, i 10 candidati hanno un vantaggio informativo, in quanto possono conoscere ciò che è avvenuto da noi, e possono quindi evitare le ingenuità in cui talvolta sono caduti i paesi che per primi hanno
avviato la liberalizzazione dei mercati.
Il dubbio maggiore che sussiste è se il quadro normativo comunitario approvato in primavera in
materia di “significativo potere di mercato” sia effettivamente in grado di tenere a freno la spinta
degli operatori incumbent, in misura almeno non inferiore a quella abbastanza modesta, resa possibile dalla ben più incisiva regolazione ex-ante di cui hanno potuto avvantaggiarsi i 15 paesi già
membri dell’UE.
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a che punto siamo?
intervista a Elserino Piol
a cura di Grazia Longoni
Per questo numero di fine anno, Beltel ha chiesto a Elserino Piol uno scenario del settore tlc proiettato
sul 2003.
In questi giorni sono state pubblicate alcune analisi che vedono segni di miglioramento del settore: lei
è d’accordo? Sono segnali che potrebbero rafforzarsi nei prossimi mesi?
“Il 2003 sarà certamente un anno migliore del 2002, ma non ci sarà ancora una vera ripresa. Certamente continuerà il processo di consolidamento industriale, già avviato anche se sono ancora pochi
i segnali concreti. Credo che avremo più chiarezza, uno scenario competitivo meglio definito”.
Con quali protagonisti?
“Telecom Italia sarà sempre il numero uno, credo che il nuovo management aziendale e del marketing
avranno successo. Ma c’è spazio anche per i concorrenti. Insomma, penso che ci sarà una ripresa
anche se perdureranno le difficoltà finanziarie e continuerà l’espulsione delle aziende più deboli.
Certo, ci sono anche alcune grosse incognite...”.
Quali?
“La principale è il futuro dell’Umts. C’è chi ne dà una valutazione ottimistica, sostenendo che potrebbe
partire già alla fine di quest’anno. Altri però ritengono che non decollerà ancora neppure nel 2003. Ci
sono delle difficoltà che riguardano per esempio la disponibilità dell’hardware. Ci sono ancora problemi tecnici sulla rete, c’è scarsità di telefonini pronti per il nuovo standard. Quanto ai servizi che
verranno supportati dall’Umts, ci sono dei progetti. Ma, ripeto, mancano le quantità. Questo è un
problema che si presenta diversamente per le aziende nuove e per quelle che sono già sul mercato
con lo standard Gsm. A un’azienda nata per l’Umts come H3G l’insufficiente disponibilità di apparecchi
può non creare particolari difficoltà in fase di lancio. Ma aziende come Vodafone Omnitel, Tim o
Wind che dovranno fare operazioni di permuta rivolte ai loro clienti, hanno bisogno di disporre di una
grande quantità di terminali e la scarsità di produzione può essere un problema”.
E’ un problema di produzione industriale o di prezzi?
“Ci sono entrambe le cose, perché si tratta di due aspetti collegati. Sul piano industriale ci sono dei
ritardi legati anche alla funzionalità dello standard. Recentemente il settimanale Economist ha
messo in discussione la validità dello standard Umts rispetto ad altri standard 3G. L’Umts registra
un certo ritardo rispetto ad alcuni standard concorrenti. Per esempio in Giappone, lo standard
CDMA 2000 della Quantum Science, alternativa alla versione dell’Umts, ossia il WCDMA, oggi è in
vantaggio. Certamente i problemi tecnici Umts verranno risolti ma ci può essere un impatto negativo sulla tempistica”.
Come si presenterà lo scenario competitivo?
“Ci sarà un consolidamento, con una probabile riduzione del numero di competitor che riguarderà
anche il settore della telefonia mobile. Per quanto riguarda Blu, il suo destino è stato deciso dal
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governo. Per Ipse restano delle incognite e non è ancora chiaro se chiuderà o resterà. Resteaenno
ovviamente i tre attuali grandi operatori del cellulare. Quindi, da una previsione di sei siamo già scesi
a un tre-più-uno. Anche qui il 2003 farà chiarezza. Ci sono alcune opportunità nuove, come il WiFi.
Qui le regole non sono ancora chiare ma sembra che sia destinato a diventare un servizio pubblico e
potrebbe consentire nuovi sviluppi agli operatori”.
Come vede lo scenario per la telefonia fissa?
“Credo che la battaglia più importante riguarderà la Dsl. E’ qui che si giocherà il vero confronto che
deciderà le quote di mercato. Perché se un operatore acquisisce il cliente su Dsl lo acquisisce più
stabilmente. L’altro aspetto è che aumenterà la disponibilità di trasmissione sulla lunga distanza a
banda larga a prezzi molto più interessanti. Ci sono su questo diversi operatori, come E-via e altri.
Sulle lunghe distanze è quindi possibile avere più banda larga a prezzi più bassi”.
In questo stesso numero di Beltel, Achille De Tommaso di Colt sostiene che la DSL non ha futuro nei
confronti della fibra ottica.
“La questione va posta in termini diversi, a mio parere. Penso che la fibra costi molto in termini di
investimenti e che quindi si giustifichi solo per utenti medio-grandi. Per loro il discorso di De Tommaso
è giusto. Ma al medico o al professionista che si limita a usare internet la fibra non serve”.
Dunque il mercato della fibra riguarderebbe solo grandi imprese?
“Non esattamente. Segmenterei il mercato nel seguente modo. C’è una prima fascia di utenti residenziali che fanno un uso limitato di internet: per loro la situazione attuale è sufficiente. Poi ci sono le
piccole imprese e i professionisti. Per le loro esigenze basta la Dsl. E poi c’è l’ultima fascia, quella delle
grandi imprese, che ha effettivamente bisogno della fibra. La questione oggetto della concorrenza tra i
due sistemi, Dsl e fibra, è quella che sta tra le piccole e le grandi imprese e non è un segmento limitato.
E’ su questa fascia intermedia che si svilupperà la grande battaglia tra i due sistemi”.
Intorno a quali parametri?
“I soliti. La disponibilità e l’accesso, su cui certamente la Dsl è in vantaggio. Poi c’è la questione dei
prezzi. La Dsl costa certo meno della fibra, ma se il grosso della tariffa lo assorbe Telecom Italia per
chi offre il servizio il problema è diverso”.
Ma poi c’è il divario sulle prestazioni..
“Con la fibra sono ovviamente superiori, ma non è detto che servano sempre. Anche perché la DSL
offre diverse alternative, c’è anche quella più veloce, sincrona. Per un utente normale la Dsl è soddisfacente. In alternativa allo scenario da me ipotizzato, vi è lo scenario eBiscom che offre l’accesso
con la fibra ottica anche all’utenza residenziale, almeno nelle grandi città come Milano. Si tratta di
investimenti considerevoli, il cui ritorno dipenderà dall’efficacia dell’azione di marketing eBiscom”.
Quali sono invece i parametri su cui si svilupperà la battaglia nella rete fissa?
“Potremmo indicare il consolidamento degli operatori, le nuove tecnologie come il WiFi, a cui si
potranno collegare anche gli utenti della rete fissa, la battaglia sulla Dsl, i minori costi di trasmissione
per una maggiore disponibilità di reti a fibra su lunga distanza. Infine ci sarà con la crescita delle reti
metropolitane, una maggior disponibilità di infrastrutture. Comunque, penso che nel 2003 l’accesso
a fibra ottica crescerà meno della Dsl”.
Che cosa può dire delle regole? Che bilancio possiamo tracciare per il 2002 e quali sono le prospettive?
“Anche su questo piano sono in corso processi di chiarificazione. Il Ministro Gasparri ha promesso
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norme certe per il WiFi entro l’anno. Ci sarà un adeguamento alle leggi Ue. Ma non credo saranno
questi i punti decisivi. Il punto chiave è e sarà quello di controllare l’applicazione delle regole. L’Authority
e l’Antitrust devono essere più vigili. Serve questo, non la creazione di regole nuove. Occorrerebbe
una messa a punto più rigorosa e più rispettosa della concorrenza per quanto riguarda le tariffe.
Subito dopo la liberalizzazione il tema principale erano le macroregole. Oggi il problema sono le
microregole. L’Authority deve garantire condizioni di accesso “fair” alla rete di Telecom Italia, tali cioè
da consentire la profittabilità degli altri operatori”.
Che giudizio dà fin qui dell’Authority?
“Rispetto a quanto è stato fatto nel 2002, sono meno critico di altri. Ho già avuto modo di dire che
l’Authority ha il cervello ma molte volte non ha i muscoli. La questione non è che debba attaccare
Telecom Italia (una grande azienda che invece deve poter prosperare a vantaggio di tutto il settore e
del paese) ma trovare gli spazi per i nuovi operatori. Senza atteggiamenti ideologici.”
Come vede il futuro per quanto riguarda l’assetto della concorrenza nel settore?
“Ci sono due scuole di pensiero. Molti temono che si vada verso una situazione di monopolio o di
oligopolio. Se la concorrenza è ritenuta un valore, penso che l’Authority e il governo debbano garantire due condizioni di base, lo spazio per i concorrenti e l’efficacia dei competitor. D’altra parte,
bisogna smettere di pensare che l’assetto della concorrenza dipenda solo dai comportamenti
dell’Authority o da Telecom Italia. Molto dipenderà da come gli altri protagonisti del mercato decideranno di investire i loro soldi”.
A proposito, come vede le prospettive degli investimenti nel prossimo anno?
“Quella degli investimenti è l’area più critica per gli operatori alternativi. Oggi la finanza è poco
interessata alle tlc o comunque le considera un settore ad alto rischio. Inoltre, le aziende sono
indebitate. Ma questo problema non riguarda solo le tlc. Se si aprissero prospettive e mercato per le
Ipo, si potrebbe ricorrere di nuovo al mercato finanziario. Ma qui si innesta il più generale problema
della sfiducia nella Borsa. In sintesi, ci sono due componenti. Uno è specifico delle tlc ed è che le
aziende serie dovrebbero poter andare sul mercato. L’altro è la Borsa che deve uscire dalla crisi.
Insomma, se potessimo fare delle Ipo le tlc troverebbero più ossigeno. Ma le IPO oggi non si fanno
per nessuno. In conclusione, c’è qualche ventata di ottimismo. Ma potrebbe essere compromessa da
un peggioramento dello scenario generale dell’economia e della finanza.”
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avanti, con giudizio
Luigi Prosperetti
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Nelle scorse settimane si è concluso il processo di consultazione indetto dall’Autorità per le Comunicazioni sull’utilizzo dei costi incrementali di lungo periodo (LRIC, all’americana) nel nostro sistema
regolamentare. In attesa di conoscere le valutazioni dell’Autorità è utile ricordare come l’impiego di
questa metodologia ponga numerosi problemi, sia metodologici che pratici.
Tra i molti, che sono stati oggetto di vari interventi sulle pagine di Beltel, vorrei qui attirare l’attenzione su un aspetto che mi pare spesso trascurato, ovvero sulle modalità di scelta del fattore di mark up.
Questo, ricordiamo, è necessario: l’adozione dei costi incrementali non consentirebbe al gestore
regolato di recuperare quei costi comuni e congiunti che non hanno un carattere incrementale, ma
che neppure un operatore perfettamente efficiente potrebbe evitare di sostenere. Il totale degli LRIC
viene dunque moltiplicato per questo fattore che, proprio in quanto moltiplicativo, ha un effetto
considerevole sul totale: qualche decimale si traduce facilmente in una differenza di parecchie centinaia di milioni.
Come stimare questo fattore? Questo non è molto chiaro perché la letteratura economica, prodiga di
analisi sugli effetti benefici degli LRIC, è però assai avara di suggerimenti su questo punto, né di
maggior aiuto sembrano possano essere gli ingegneri, e dunque non si può considerare la questione
senza rimanere con il dubbio che – dopo valutazioni sofisticatissime degli LRIC basate su costosi
modelli ingegneristici ed economici - il fattore di mark up che li moltiplica sia scelto dal regolatore in
base ad una buona dose di valutazioni soggettive.
Ma i problemi ai quali è difficile dare una risposta univoca nella stima dei costi incrementali di lungo
periodo sono molti altri, come del resto ci ricordano le domande contenute nel documento di consultazione predisposto dall’Autorità: la scelta del tipo di modello da utilizzare per gli LRIC, (top down o
bottom up?); la valutazione degli assets; l’allocazione dei costi incrementali tra i diversi servizi offerti, e
molti altri. La lista appare invero talmente lunga da sollecitare una domanda di fondo: ne vale la pena?
Sono personalmente incline ad una risposta negativa, poiché mi pare che l’utilizzo di una nozione di
costo assai chiara nella teoria economica, ma poco chiara ed affetta da margini di soggettività nella
pratica, possa facilmente ledere i principi di chiarezza, obiettività, e di verificabilità del processo
regolatorio, e possa poi comportare vari costi. Tra questi occorre considerare certamente quelli
sopportati dalle imprese e dal regolatore per la stima degli LRIC, ma anche quelli che sarebbero posti
a carico della collettività qualora il regolatore incorresse in errori nella stima degli LRIC e/o del
fattore di mark up. Se questi portassero a costi riconosciuti troppo alti, la collettività verrebbe a
pagare un prezzo troppo elevato, ma - se i costi riconosciuti fossero troppo bassi - i gestori non
riceverebbero un adeguato tasso di rendimento sul capitale e ridurrebbero gli investimenti
Del resto, forse ad essere un poco maliziosi, mi sembra possibile rintracciare qualche raffreddamento nei confronti degli LRIC anche in sede europea. Come i lettori ricorderanno, i costi incrementali
hanno fatto la loro comparsa nell’allegato V della direttiva 97/33 comparendo, probabilmente sull’onda dell’influenza delle prime determinazioni della FCC per l’implementazione della 1996
Telecommunications Act, in una assai improbabile lista che comprendeva anche “ad esempio… costi
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Beltel
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interamente distribuiti,...... costi marginali, costi unici, costi diretti incorporati, ecc.”. In attesa che
qualcuno possa spiegarci che cosa mai siano i costi unici, e come si possono misurare nelle telecomunicazioni nozioni di costo strettamente manifatturiere come i costi diretti incorporati, possiamo qui
ricordare come nella successiva Raccomandazione dell’8 gennaio 1998 la Commissione propendesse
chiaramente proprio per questa nozione di costo, che essa considerava come la più opportuna in
materia di tariffazione dell’interconnessione, ma procedeva a raccomandare – in attesa che tali costi
venissero determinati - il principio della best practice per i prezzi di interconnessione.
Chi, come il sottoscritto, si aspettava che nel nuovo quadro regolatorio la preferenza per gli LRIC si
facesse più forte, e venisse iscritta in un provvedimento cogente come una direttiva, e non più
soltanto in una generica raccomandazione, è rimasto però deluso. Infatti, la Direttiva Accesso si
limita a proporre all’articolo 13 alcuni principi generali, in parte tra loro contraddittori. Dopo avere
infatti ricordato al comma 1 la necessità che le autorità nazionali di regolazione tengano conto degli
investimenti effettuati dall’operatore [corsivo aggiunto], essa indica anche al comma 2 che i meccanismi di determinazione dei prezzi devono promuovere l’efficienza e la concorrenza sostenibile: la
dicotomia tra costi sostenuti dall’operatore esistente e costi che sarebbero sostenuti da un nuovo ed
efficiente operatore che entri nel mercato, già presente nella Direttiva 97/33, non viene dunque
risolta bensì perpetuata.
La conclusione che mi pare possiamo trarre da quanto precede è che, nel nuovo quadro regolatorio,
l’adozione dei costi incrementali rimane - come nel precedente - una delle opzioni possibili per le
Autorità nazionali di regolazione, che devono lucidamente valutarne i costi e i benefici.
Mi pare anche opportuno che, in queste valutazioni, non ci si lasci troppo trascinare dalla speranza
che gli LRIC portino a prezzi più bassi: in almeno un caso rilevante – il radiomobile britannico – è
successo esattamente il contrario1!
1
Si veda, per una discussione, l’articolo di Geoffrey Myers, Senior Economic Advisor di Oftel, sul sito:
www.lppartners.com.
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Beltel
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analisi
le banche e l’emergenza tlc
Giorgio Meletti
E’ noto ai più che la scelta di chi ha investito in Argentina - sia che si trattasse di imprese, grandi o
piccole, di banche o di semplici risparmiatori a caccia di bond con cedolone invitanti - non è stata
brillantissima. Quello che colpisce è che da qualche tempo, nelle pragmatiche cronache finanziarie
dei giornali americani, quando si affronta il tema delle grandi disgrazie odierne, l’espressione “Latin
America” è regolarmente accompagnata dall’altro indicatore obbligatorio di disastro bancario: “bad
loans to telecommunications”. Ovverossia: soldi dati al settore delle tlc che tendono a non tornare
indietro. Sì, i problemi che affliggono il settore telefonico sono così seri da essere diventati, in tutto il
mondo, una delle spine più dolorose del sistema finanziario.
Il debito complessivo delle tlc mondiali è stimato attorno ai mille miliardi di dollari, come dire due
milioni di miliardi di lire. Innanzitutto fa spicco l’indebitamento record di France Telecom e Deutsche
Telekom, entrambe esposte tra i 70 e gli 80 miliardi di euro. Proprio perché si tratta di società a
controllo statale, è automatico capire che non si sono certo indebitate fino a questo punto per l’accumulo di squilibri gestionali. Al contrario i due colossi europei, come alcuni americani, sembrano avere
considerato l’alto indebitamento un passaggio obbligato per perseguire i sogni di espansione così di
moda negli ani di boom. Basti pensare che France Telecom ha speso 40 miliardi di euro cash solo per
acquistare l’operatore mobile Orange in Gran Bretagna.
Nel capitolo delle ambizioni illimitate va registrato il paragrafo Umts: gli operatori hanno speso 120
miliardi di euro per aggiudicarsi le licenze in Europa, e stanno investendo circa 250 miliardi per
realizzare le reti e i servizi.
Per anni prestare soldi alle società telefoniche dev’essere sembrato più sicuro che investire in Bot. In
fondo, quali che fossero le perplessità anche tempestive sullo sviluppo del mercato Internet, nessuno
ha mai avuto dubbi che l’attività infrastrutturale dei carriers fosse serenamente al riparo da contraccolpi, destinata in ogni caso a una crescita sostenuta. Un semplice modo di ragionare che però ha
occultato di fatto il tema della sovracapacità. Un dato americano: delle 37 società telefoniche americane nate dopo il 1996 e quotate in Borsa, 18 sono già fallite, e tra loro ci sono dei rovesci fragorosi
come quelli di Adelphia e Winstar. Un dato italiano: secondo gli ultimi dati diffusi dall’Authority delle
Comunicazioni, le società attive nella telefonia fissa sono 118. Tra queste Telecom Italia ha la presenza che tutti sanno, e subisce una parziale erosione del mercato da parte dei tre principali concorrenti, Wind-Infostrada, Albacom e Tele2. Tutte le altre società telefoniche raggiungono messe insieme a mala pena il due per cento del mercato, hanno bilanci zoppicanti e un attivo patrimoniale
finanziato mediamente per tre quarti da debiti.
Tutto questo spiega perché e in che modo il sistema bancario mondiale deve mettere in conto un’emergenza tlc, e perché lo stesso presidente francese Chirac si è deciso a scendere in campo con la
richiesta di un intervento comunitario di tipo, per così dire, keynesiano.
Due colossi bancari mondiali come Citigroup e J.P. Morgan-Chase sono i principali indiziati, proprio in
quanto si sono distinti in passato come assoluti protagonisti della distribuzione di prestiti al mondo
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Beltel
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telefonico. Nel loro caso le brutte notizie provenienti dalle società di telecomunicazioni si aggiungono
alle ferite profonde già portate ai rispettivi bilanci dal crack Enron. In Europa sono abbastanza appesantite tre banche tedesche, Deutsche Bank, Commerzbank e Dresdner.
Benché buona parte del problema sia già nota, è lecito ipotizzare che si tratti di una bomba ad
orologeria non ancora esplosa. I motivi? In primo luogo perché finora si è guardato solo ai colossi
bancari, pesantemente esposti sul settore tlc, e quindi “ovviamente” in difficoltà. Ma l’indebitamento
più pericoloso per il sistema bancario non è tanto quello dei colossi più o meno malati, quanto quello
delle piccole e velleitarie società nate come funghi negli ultimi quattro-cinque anni, per intenderci i
cento nani italiani. I loro debiti, alimentati generosamente negli anni delle grandi speranze, sono
presumibilmente diffusi in modo capillare nel network degli istituti di credito locali: i veri guai devono
ancora esplodere. In secondo luogo il bubbone finanziario creato negli anni della bolla nel mondo
delle tlc è ancora lontano dall’essere completamente compreso e descritto. Una recente inchiesta
pubblicata da Newsweek apre solo un piccolo squarcio di luce, per esempio, sui perversi incroci
finanziari tra carriers e fornitori di tecnologie. Società come Nortel, Corning, Lucent, Cisco, Motorola
e Nokia si sono contese i clienti – soprattutto i più piccoli e “promettenti” – finanziandone pesantemente gli acquisti di apparati e, non contente, anche l’attività ordinaria in fase di start-up. Quando le
cose hanno cominciato ad andare male, e le banche chiudevano i rubinetti alle società telefoniche in
difficoltà, i fornitori di tecnologie hanno visto lo spettro di una secca frenata nei tassi di crescita del
mercato e del loro business. Presi da una sorta di panico hanno aumentato la generosità dei
finanziamenti ai carriers loro clienti, e sono arrivati a un’esposizione calcolata nell’ordine delle decine
di miliardi di euro. Questo ha rinviato la resa dei conti per le società telefoniche più deboli. Ma ha
fatto gonfiare il conto finale, che adesso dovrà essere calcolato considerando anche le voragini che si
sono aperte nei conti dei fornitori di hardware.
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Beltel
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salvare la competizione per stimolare la crescita
Claudio Leporelli
Università di Roma “La Sapienza”
Che la crisi dell’industria delle telecomunicazioni sia grave, nel mondo, è indubbio, ma è opportuno
entrare nel merito ed analizzare le sue caratteristiche e le sue diversità, in aree geografiche e
comparti di mercato diversi.
Ad esempio, un paese come l’Italia, che meno ha approfittato in passato, sia come produttore sia
come utente, del boom dell’intero settore Itc, ha subito, per molti aspetti, una crisi meno grave ed
ha ancora spazi più ampi di altri per raccogliere i frutti della progressiva assimilazione della
rivoluzione Internet da parte di consumatori e imprese.
In effetti la crisi ha avuto molteplici aspetti, ciascuno dei quali ha avuto una importanza diversa in
specifiche realtà settoriali o nazionali. Ad esempio, nel comparto Internet il fenomeno prevalente
sembra la bolla speculativa sui mercati finanziari. Essa è tipica delle fasi iniziali dei processi innovativi rivoluzionari innescati da nuove “general purpose technologies” (ad esempio, le ferrovie) e
si associa a eccesso di entrata e di investimenti cui segue una fase di consolidamento che non
mette in discussione una più moderata crescita di lungo periodo. La bolla Internet ha sicuramente
contagiato il mondo delle telecomunicazioni portando in alcuni paesi a crisi da eccesso di capacità
(nelle grandi dorsali in fibra e, in alcune aree metropolitane, nelle reti di accesso per gli utenti
business; su un piano diverso, anche nella telefonia mobile) accompagnati a volte da incertezza sul
grado di maturità di alcune tecnologie o sulla disponibilità a pagare per alcuni servizi.
Nelle telecomunicazioni, però, la finanza ha interagito non solo con l’innovazione tecnologica, ma
anche con quella istituzionale e regolamentare. Basta confrontare le quotazioni delle RBOC, gli
incumbent locali, con l’indice NASDAQ delle telecomunicazioni (in cui sono rappresentati i titoli dei
CLEC e dei nuovi operatori verticalmente integrati, nati dopo il Telecom Act) per vedere dove
fossero concentrate le speranze di crescita e l’afflusso di risorse investibili.
Anche in Europa la crisi ha a che vedere con l’evoluzione delle strutture di mercato. Il crollo
comincia nella primavera del 2000 in concomitanza con l’asta inglese per l’UMTS. Ma nessuno,
nella seconda metà del ’99 aveva attirato l’attenzione sull’irrazionalità di prezzi, più che raddoppiati
nella telefonia mobile, in pochi mesi, a seguito delle scalate a catena Orange – Mannesmann –
Vodafone (che tra l’altro aveva generato le risorse che hanno drogato l’asta inglese). Nei fatti,
l’oligopolio multinazionale degli operatori mobili stava sprecando risorse per posizionarsi adeguatamente nei paesi più ricchi, in attesa di profitti tutti da verificare ma forse anche per confermare
al mondo finanziario che le loro quotazioni erano giustificate. Né va ignorato che tra i peggiori
spendaccioni, in aste e acquisizioni internazionali, ci sono almeno due grandi operatori a maggioranza pubblica, oggi indebitatissimi: Deutsche Telekom e France Telecom.
E’ una magra consolazione, per l’Italia, notare che l’incumbent italiano ha sprecato meno soldi di
altri, in centro Europa: è stato così anche perché di soldi ce ne erano pochi, sia per la scarsa
solidità della compagine proprietaria, sia perché molti soldi sono stati spesi altrove (Turchia, Sud
America) e altri sono stati inspiegabilmente sprecati (Seat Pagine Gialle).
Più positivo il fatto che anche da noi la situazione dei mercati abbia consentito a qualche impresa vera,
come Tiscali ed e-Biscom, di nascere e crescere (anche se, ancora per molto, non certo di guadagnare).
La crisi, dunque, è emersa ben prima degli scandali finanziari e dell’11 settembre, ed è qualcosa di
più complesso della sola bolla speculativa in borsa.
Per i nuovi entranti la situazione è più grave per ben precisi motivi strutturali:
- la crisi dei mercati finanziari raziona le risorse investibili soprattutto per coloro che non godono
degli ingenti flussi di ammortamento delle preesistenti infrastrutture di rete;
- l’inerzia dei consumatori a cambiare gestore rende necessarie, e tuttavia spesso non sufficienti,
politiche di prezzo aggressive;
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Beltel
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per gli utenti business più remunerativi esistono, soprattutto nei servizi dati, reali costi di cambiamento, che danno spazio all’esercizio dei margini consistenti di flessibilità tariffaria lasciati
all’incumbent;
- anche nei segmenti di rete generalmente considerati duplicabili, sussistono indivisibilità ed
economie di scala che rendono insostenibile una entrata facility based se le quote di mercato
pianificate sono troppo ridotte; in ogni caso, anche un competitore sostanzialmente più efficiente dell’incumbent potrebbe avere, per un lungo transitorio, costi unitari sensibilmente più
alti di quest’ultimo.
E qui veniamo, dunque, alle domande cruciali. La crisi finanziaria metterà fine al processo di
evoluzione in senso competitivo dei mercati dei servizi di telecomunicazione? Avendo ben chiaro il
fatto che nessuno ha il diritto di essere salvato dai propri errori, si uscirà prima dalla crisi affossando
o promuovendo la competizione (più che singoli competitori)?
Nella seconda parte del titolo riprendo la formula usata da Robert Hall e William Lehr, rispettivamente professori alla Stanford University e alla Columbia University in un libro bianco del settembre 2001 (Rescuing Competition to Stimulate Telecom Growth), che condivido pienamente.
In questo lavoro e nel successivo, dal titolo altrettanto pregnante (Promoting Broadband Investment
and Avoiding Monopoly, del febbraio 2002), gli autori sottolineano la necessità di rimedi strutturali
al problema più grave che ha sin qui vanificato la concretizzazione degli obiettivi del Telecom Act
del 1996: l’assenza di qualsiasi incentivo per gli incumbent locali a cooperare con chi entrava sul
mercato per divenire loro concorrente. Di qui due forme di discriminazione: quella nei comportamenti (che in inglese ha un nome molto preciso: sabotage) e quella nelle condizioni economiche,
con prezzi intermedi superiori ai costi per gli elementi di rete utilizzati in unbundling.
Che Hall e Lehr lavorino per AT&T e che il loro lavoro sia motivato in primo luogo dallo sforzo di
bloccare nuove leggi che si propongono di dare mano libera agli incumbent locali nei servizi innovativi
(ad esempio il progetto Tauzin-Dingell), toglie poco alla rilevanza del problema, anche se costringe a
guardare meglio alle soluzioni proposte. D’altra parte sul lato opposto è folta la schiera di chi lavora
per gli incumbent e propone soluzioni opposte agli stessi problemi: i problemi, dunque, esistono.
La soluzione proposta dagli economisti che lavorano per gli incumbent è semplice nella sua brutalità: perché gli ex-monopolisti locali non blocchino i nuovi entranti, con i mille mezzi che hanno a
disposizione, la (tra virgolette) “concorrenza” non deve diminuire i loro profitti. La soluzione ha una
sua eleganza teorica ma ignora che la concorrenza costa, soprattutto quella facility based, l’unica
che in prospettiva possa rendere più ridotto il ruolo del regolatore, l’unica che consente agli entranti di introdurre innovazioni tecnologiche indipendentemente dalle scelte dell’incumbent.
La soluzione proposta da chi ha sperimentato anni di sabotage è invece quella di disincentivarlo
rendendolo non remunerativo, evitando di pagare, invece, il perpetuarsi delle rendite di monopolio.
Ad esempio: se la resale si ottiene subito e senza fatica, mentre l’unbundling è lungo e faticoso da avviare,
chi chiede il passaggio da resale ad unbundling ha diritto da subito ai risparmi che esso comporta.
E se questo non basta a riallineare gli incentivi a favore di un atteggiamento collaborativo, la
separazione strutturale di una loop company diviene probabilmente la soluzione più efficiente per
condividere equamente i costi della concorrenza e per ridurli al minimo.
Sono convinto che una posizione così radicale abbia suoi meriti ben precisi anche nel contesto europeo. L’Unione Europea ha fatto un significativo investimento politico in una prospettiva di liberalizzazione del mercato basata sull’unbundling del local loop. Lo sforzo in investimenti richiesto agli entranti che accettano il rischio di adottare, ove possibile, il modello
competitivo basato sull’unbundling, e non solo quello dell’accesso indiretto, è, a sua volta,
molto significativo e si tradurrebbe in gran parte in una perdita collettiva, se questi ambiziosi
progetti non avessero successo.Naturalmente ciò è possibile, e fa parte delle regole del gioco:
l’unbundling è una possibilità e sta agli entranti decidere se e come utilizzarlo, assumendosene le
conseguenze. E’ però essenziale che le regole del gioco siano eque e rispettate, coerenti con gli
obiettivi di fondo e ragionevolmente stabili, per non vanificare gli investimenti fatti.E’ arrivato il
momento per verificare a fondo che il campo di gioco sia effettivamente livellato e che nessuno
violi le regole. E se si arrivasse alla conclusione che l’attuale architettura del sistema non consente
una leale collaborazione tra concorrenti, meglio cambiare architettura prima di continuare a investire in progetti senza speranze.
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Beltel
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lo scenario competitivo nei servizi di tlc
Massimo G. Colombo
Ciret, Politecnico di MIlano
Nell’ultimo biennio il settore dei servizi di telecomunicazione ha subito una profonda trasformazione
strutturale. Da un lato i ranghi delle imprese che, a seguito della liberalizzazione, erano entrate nel
settore sono stati falcidiati dall’inconsistenza di modelli di business basati su aspettative di crescita
della domanda rivelatesi infondate e/o dalla difficoltà di reperire presso le istituzioni finanziarie o i
produttori di apparati (attraverso la pratica del vendor financing) le risorse finanziarie necessarie per
implementarli. Tale situazione ha interessato in particolare il trasporto dati su reti a larga banda e i
servizi Internet. Dall’altro gli operatori incumbent, i quali avevano reagito all’apertura alla concorrenza dei relativi mercati nazionali con strategie aggressive di espansione internazionale e di ingresso in
nuovi business (soprattutto Umts, Internet e i media), si sono ritrovati in una posizione finanziaria
insostenibile e si confrontano oggi con la necessità di rimettere in ordine rapidamente i propri conti.
In questo scenario competitivo profondamente mutato, quali sono i nuovi imperativi per le strategie
degli operatori incumbent?
Razionalizzare il portafoglio internazionale di business. La presenza multinazionale continua a essere una fonte di vantaggi competitivi di lungo periodo, per la possibilità di sfruttare più a fondo le
economie di scala soprattutto nel brand e nello sviluppo di nuovi servizi; la strategia di Vodafone ne
è un esempio importante. Tuttavia, gli operatori puntano oggi a una presenza internazionale più
ordinata. Ciò significa aggredire mercati contigui, caratterizzati da effetti sinergici (l’Est europeo per
Deutsche Telekom, l’America Latina per Telefonica e Telecom Italia) attraverso partecipazioni di
controllo. Ne deriva anche l’abbandono di mercati periferici o scarsamente omogenei con il resto del
portafoglio (l’America Latina per France Telecom, l’Europa Centrale per Telefonica) e di partecipazioni di minoranza in società di cui, per vari motivi, gli operatori non ritengono di poter assumere il
controllo (ne sono un esempio l’uscita di Telecom Italia da Auna, Telekom Austria e Bouygues).
Riposizionarsi su segmenti di business in crescita e/o con pressione competitiva in attenuazione. Ciò
consente di migliorare la redditività operativa e di concentrare gli investimenti. I servizi wireless, i
servizi dati e l’aDsl costituiscono esempi significativi. Da questo punto di vista, lo shake out e il
consolidamento del settore, con la consistente riduzione del numero di competitori che ne è seguita,
giocano certamente a favore della strategia di recupero di redditività degli operatori incumbent.
Ricercare un nuovo equilibrio tra strategia industriale e struttura finanziaria. Molti operatori si trovano oggi in una situazione finanziaria difficile, caratterizzata da livelli di indebitamento non sostenibili.
Essi sono obbligati a ridurre i piani di investimento e a impiegare buona parte del reddito operativo al
servizio del pagamento degli interessi sul debito. Tale situazione ben illustra il circolo vizioso industria-finanza: una strategia industriale eccessivamente espansiva mina la struttura finanziaria la
quale diviene un vincolo per la strategia industriale. La riduzione dell’indebitamento, essenzialmente
attraverso dismissioni, diviene dunque una priorità ineludibile. Essa è inoltre la premessa indispensabile per poter pensare di riattivare il circolo virtuoso industria-finanza. Un piano industriale credibile
ed il rispetto dei target di redditività generano confidenza nei mercati finanziari; a sua volta la
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Beltel
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capitalizzazione borsistica cresce e l’elevato valore relativo del titolo riduce il costo di operazioni di
crescita esterna (grazie all’utilizzo del meccanismo dello stock swap).
In definitiva, è possibile riassumere l’attuale situazione competitiva degli operatori incumbent lungo
due dimensioni:
• la solidità della posizione strategica: essa dipende essenzialmente dalla presenza con una
posizione di forza su prodotti/mercati in espansione;
• la solidità della posizione finanziaria: essa cresce con la redditività delle operazioni e diminuisce con il livello di indebitamento.
Tutti gli operatori incumbent sono oggi lontani, per motivi diversi, da un posizionamento ottimale. La
rapidità con la quale sapranno avvicinarvisi sarà una leva determinante per l’esito del confronto
competitivo.
La situazione competitiva degli operatori incumbent
ALTA
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DT
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SOLIDITA’
STRATEGICA
Telefonica
BT
Telecom Italia
BASSA
BASSA
SOLIDITA’ FINANZIARIA
novembre 2002
ALTA
Beltel
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tv digitale terrestre: quali benefici e per chi
Augusto Preta
Responsabile Osservatorio ANFoV sul digitale terrestre
Il peccato originale
Una delle attitudini meno condivisibili (almeno dal sottoscritto) di una certa mentalità italiana è quella
di non assumersi le proprie responsabilità scaricando su altri la soluzione dei propri problemi.
In anni recenti il mito dell’integrazione europea ha rappresentato uno degli esempi più evidenti di
quanto sto dicendo, come se i problemi e i ritardi di un paese potessero essere come d’incanto
risolti dalla relazione con coloro che all’interno della nuova entità, a torto o a ragione, venivano
considerati più seri e capaci. La stessa cosa, mutatis mutandis, credo possa trasferirsi al digitale, e,
come vedremo meglio in seguito, più in particolare al digitale terrestre. Come noto i tanti (più o
meno falsi) profeti della rivoluzione digitale hanno affermato come la sola diffusione di questa
tecnologia avrebbe come d’incanto aperto la strada al nuovo mondo, sottraendo il potere alle
oligarchie che controllano l’accesso e l’uso dei mezzi di comunicazione e distribuendolo senza
vincoli e confini ai cittadini del villaggio globale.
Questa versione più o meno aggiornata del determinismo tecnologico come espressione diretta
della democrazia elettronica ritengo abbia avuto un’influenza molto più forte di quanto si tenda a
ritenere anche sul nostro legislatore e sugli organismi istituzionali chiamati a regolare il settore. Se
andiamo a rileggere in questa chiave il dibattito che si è sviluppato in Italia a partire dalla legge
249 con la relativa istituzione dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni fino all’attuale ddl
Gasparri, passando attraverso il Libro Bianco e gli altri provvedimenti dell’Autorità in materia di
digitale terrestre, il filo rosso che li unisce, pur in presenza di momenti politici tra loro anche
radicalmente diversi, è rappresentato dall’idea che gli stessi concetti di aumento delle libertà e del
pluralismo fossero automaticamente dipendenti dallo sviluppo del digitale.
Tutto ciò, in un sistema bloccato come quello televisivo, alla fine metteva d’accordo oppositori di
regime e sostenitori dello status quo, innovatori e conservatori: chi voleva mantenere le proprie
posizioni infatti poteva ragionevolmente sostenere che dietro l’angolo c’era il vero cambiamento e
dunque non valeva la pena modificare una realtà in via di superamento; chi voleva cambiare, a sua
volta essendosi convinto che l’era di Internet, cioè della personalizzazione dei consumi e della fine
della televisione generalista era ormai arrivata, piuttosto che operare su un presente ritenuto
ormai obsoleto, non politically correct in tempi di new economy, preferiva concentrare i propri
sforzi per accelerare il passaggio alla nuova fase.
Se andiamo a rivedere come nacque a suo tempo la scelta del 2006 come data di chiusura delle
trasmissioni analogiche scopriamo probabilmente come questa nostra lettura non sia poi così lontana dalla realtà. D’altra parte non vi è altra ragionevole motivazione che abbia potuto giustificare
allora questo salto in avanti, essendo il nostro un paese arretrato tecnologicamente dal punto di
vista televisivo, basato (allora) quasi esclusivamente sul terrestre e con le frequenze tutte occupate dalle emittenti nazionali e da una miriade di emittenti locali, e dunque per questo destinato a
sviluppare una transizione in condizioni più difficili e con un minor tempo a disposizione di tutto il
resto d’Europa.
A ciò si è poi aggiunto nel frattempo un elemento di scenario ancor più preoccupante, rappresentato dal venir meno delle condizioni che in molti casi avevano determinato l’entusiasmo dei governi
per il digitale: la chiusura dell’analogico e la vendita delle frequenze, che una volta liberate avrebbero
potuto consentire di rimettere in sesto le casse dello Stato come avvenuto nel caso dell’UMTS, oggi
non potrebbero più rappresentare il driver dell’intero processo, come lo sono state ad esempio in
maniera palese nel caso del Regno Unito e in maniera forse più occulta in altre parti d’Europa.
novembre 2002
Beltel
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Quale strategia per il digitale?
Il primo passaggio fondamentale per comprendere le prospettive della digitalizzazione nel nostro
paese è dunque a mio avviso quello di fare chiarezza sugli obiettivi, analizzando costi e benefici
collegati al raggiungimento degli stessi.
Rifuggendo dall’idea di una tecnologia creatrice di libertà e di pluralismo, credo sarebbe importante capire se il pluralismo sia effettivamente tra i primari obiettivi del governo collegati allo sviluppo
del digitale terrestre. In tal caso, è opportuno sapere che l’attuale evoluzione del mercato, anche
nel settore del digitale, non favorisce questa tendenza, essendo in atto a livello globale un forte
processo di concentrazione degli operatori che tende a ridurre complessivamente il numero di chi
fornisce le informazioni alla maggioranza della popolazione.
In ambito nazionale, dove il problema per tanti motivi è ancora più sentito, questo viene favorito
soltanto in via pregiudiziale dalla presenza di nuovi operatori, ma l’attuale progetto nazionale
garantisce soltanto il “pluralismo tecnologico”, attraverso il cosiddetto spacchettamento della catena del valore, che però non impedisce nei fatti che uno stesso soggetto possa essere presente su
tutti gli elementi della catena (dunque con possibilità di integrazione orizzontale e verticale), con
l’unico vincolo della separazione contabile. Che tutto questo apra prospettive di sviluppo ai fornitori
dei contenuti “indipendenti”, che sono chiamati a negoziare la loro visibilità sui multiplex con gli
stessi operatori dominanti da cui dipendono totalmente nell’analogico a condizioni “eque e non
discriminatorie” (definite da chi e con quali criteri e soprattutto con quanti canali a disposizione?),
è pertanto ancora tutto da dimostrare.
Peraltro in tutti i paesi europei (solo 4 per la verità) il digitale terrestre è stato fin qui un fallimento,
in alcuni casi anche in senso letterale (ITV Digital nel Regno Unito e Quiero in Spagna). L’idea che
oggi prevale è che era sbagliato il modello di business collegato principalmente all’offerta a pagamento e alla diretta competizione con gli operatori satellitari dominanti. Indubbiamente ciò è vero,
ma d’altra parte non vi sono per ora esperienze che possano dimostrare che vi sia comunque un
efficiente modello di business alternativo. Ci sta provando in questi giorni (lancio il 30 ottobre)
Freeview, che come dice il nome è un modello di offerta di 30 canali TV tutto basato sull’offerta
gratuita e dunque in chiaro, con una peraltro importante componente interattiva. Il consorzio che
lo promuove e gestisce è composto da BBC, che ne è un po’ il traino, Crown Castle già noto in Italia
per la vicenda di Raiway, e BSkyB, l’operatore a pagamento che vede nel terrestre soprattutto
un’opportunità per promuovere i suoi canali satellitari a pagamento. Gli operatori hanno le dimensioni e l’autorevolezza giusta per avere successo ma anche, a ben guardare il business plan,
l’aspettiva è molto ridotta e limitata a un mercato residuale.
Questo significa che neppure nel mercato europeo più evoluto esistono modelli di business tali da
garantire il decollo del digitale terrestre. A maggior ragione in Italia, con tutti i suoi problemi, a
partire da quelli della carenza delle frequenze, senza un forte intervento pubblico il digitale terrestre non potrà mai affermarsi. Ma tutto questo, occorre saperlo fin d’ora, richiede costi notevoli
(miliardi di Euro) che potrebbero essere accollati sotto varie forme alla collettività (offerta gratuita
o come sembra più probabile incentivi al set-top-box, aumento del canone Rai). Perché tutto ciò
non venga vissuto come un’imposizione da parte dell’opinione pubblica, è opportuno che qualcuno
spieghi chiaramente e convinca i contribuenti su quali sono i vantaggi che ne deriverebbero, non
tanto in chiave di benefici individuali, altrimenti sarebbe più corretto che fosse il mondo dell’impresa ad assumersi in toto il rischio di convincere gli utenti/consumatori, quanto soprattutto come
bene comune per la collettività.
novembre 2002
Beltel
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inchieste
denaro, mercato, regole, persone: cosa manca di più?
opinioni di Arturo Artom, Achille De Tommaso
a cura di Grazia Longoni
Denaro, risorse umane, regole e mercato sono i fattori critici delle tlc italiane. L’inchiesta Beltel
prosegue con l’intervista ad Arturo Artom, presidente e amministratore delegato di Netsystem.
Artom, 36 anni, è noto tra l’altro per aver sfidato per primo nel ’93, quando era amministratore
delegato di Telsystem, il monopolio dell’allora Sip nella telefonia vocale. Passato poi da Infostrada,
Omnitel e Viasat, ha fondato nel 2000 la società che oggi guida, primo operatore italiano di internet
a larga banda via satellite con oltre 60.000 clienti di cui circa il 10% all’estero. La sua mission è
portare la larga banda in tutti i piccoli comuni europei (7.100 solo in Italia) non raggiunti da fibra
ottica nè dall’aDsl terrestre.
”Parlare di telecomunicazioni all’inizio del nuovo millennio è come parlare di industria dei trasporti
nel secolo scorso: è tutto, è il motore dell’economia mondiale” esordisce. “Se oggi, anche solo per
un’ora, in una qualunque azienda dovesse saltare il sistema di posta elettronica sarebbe come se
venissero a mancare luce, acqua, telefoni e impianto di climatizzazione. Internet non è stata soltanto
la bolla. E’ stata la rivoluzione che ha cambiato radicalmente la vita delle aziende e delle persone
in tempi ancora più veloci di quelli della telefonia mobile. Oggi è un bisogno di massa, qualcosa di
cui non si può più fare a meno”.
Secondo molti dei nostri interlocutori, però, il problema principale oggi è quello della carenza di
risorse finanziarie per lo sviluppo degli investimenti del settore. E’ d’accordo?
”In generale direi proprio di no. Nessuna rivoluzione tecnologica ha saputo attrarre capitali come ha
fatto internet alla fine degli anni 90. Il problema è che internet non produce ancora, per le aziende del
settore, un reddito paragonabile al suo peso nell’economia. I termini di questa attaule difficoltà non
sono diversi in Italia e nel resto del mondo”.
Qual è il suo parere sulla disponibilità delle risorse umane e sull’adeguatezza delle regole?
”Sulle risorse umane non vedo problemi, anzi. La rivoluzione della rete ha liberato risorse intellettuali
e imprenditoriali straordinarie. Quanto alle regole, che sono importanti, non dimentichiamo che,
soprattutto in Europa e in particolare in Italia, la ventata di innovazione che si è dispiegata negli ultimi
dieci anni nel settore delle telecomunicazioni è figlia proprio della deregulation e della liberalizzazione.
Due termini che non stanno a indicare il Far West, ma al contrario un insieme di norme nuove e
appropriate per un mercato in continua evoluzione”.
Qual è allora secondo lei il vero nodo delle TLC in Italia?
”Il mercato. Internet si è affermata in modo così rapido e pervasivo, in tutti gli aspetti della vita
economica e civile, contraddicendo la regola fondamentale di ogni business: generare reddito. Oggi
siamo alla svolta. Tutti gli operatori si stanno seriamente confrontando con il tema del mercato. E
tutti si stanno sforzando di trasformare internet da pascolo brado a terreno coltivato. E’ uno sforzo
che comporta la necessità di standard accettabili e accettati, di efficienza e di affidabilità. La banda
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Beltel
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larga è sicuramente uno di questi standard, anzi in questo momento è lo standard di un servizio di
navigazione veloce, di accesso rapido ed efficiente ai contenuti, guadagno di produttività per l’utente
finale. Il mercato lo riconosce come tale, e per questo è disposto a pagare”.
Che cosa vuol dire, per lei, banda larga in termini di infrastrutture a disposizione dell’utente finale?
”Banda larga vuol dire, nelle grandi città, il collegamento in fibra ottica, nei centri di media dimensione
l’aDsl terrestre e nei piccoli comuni l’aDsl via satellite. Il mercato ha stabilito che navigare su internet
a 56k, la velocità della normale connessione telefonica, è un’ esperienza interessante, mentre navigare
a 250-300 kbps è un servizio”.
Per il quale, a suo parere, si è disposti a pagare...
”Mi sembra che si stia affermando il giusto compromesso tra prezzo e servizio, che consente una
velocità almeno cinque volte superiore a quella della normale connessione telefonica e che sta aprendo
in molti paesi un vero e proprio mercato di massa con milioni di utenti. Per questo servizio il cliente
è disposto a pagare una cifra ragionevole, tra i 300 e i 400 euro l’anno. Il problema della fibra ottica
e dell’aDsl terrestre è che non arrivano dovunque. In Italia possono raggiungere circa i due terzi della
popolazione, in Europa ancora meno, poco più del 40%. Questo vuol dire che oltre una famiglia
europea su tre, il che vuol dire migliaia e migliaia di piccoli comuni (all’inizio dello scorso millennio in
Europa vennero censiti 100.000 campanili!) tagliati fuori, penalizzati dal digital divide”.
E’ il mercato cui voi vi rivolgete...
”Netsystem offre un servizio semplice, accessibile a tutti con costi allineati a quelli dell’aDsl terrestre,
sfruttando al massimo quello che esiste già: il filo del telefono per trasmettere e la normale parabola,
la stessa della tv digitale, per ricevere a banda larga, grazie a un utilizzo intelligente del satellite.
Abbiamo già 60.000 utenti, di cui il 10% risiede in altri paesi, dalla Spagna alla Bielorussia, dalla
Gran Bretagna all’Algeria passando per la Francia. E la componente estera del nostro mercato è
quella che si sta rivelando più dinamica, perchè arriva a noi direttamente da internet, senza passare
per le strutture commerciali tradizionali.”
Proseguendo nella sua inchiesta su “che cosa manca di più alle tlc italiane”, Beltel intervista Achille
De Tommaso, numero uno di Colt in Italia, un gruppo decisamente votato alla fornitura di servizi su
reti in fibra ottica, con cui sta realizzando collegamenti in Italia e con i principali nodi della rete Colt
nel mondo.
Denaro, mercato, regole o uomini, di che cosa abbiamo più bisogno, dottor De Tommaso?
”Non farei una graduatoria. Credo che tutti questi fattori abbiano un peso equivalente. Se su tre di
questi fattori però il giudizio può essere variabile e opinabile, su uno ci sono invece dati di fatto: il
denaro non c’è. Non so se il problema riguardi solo l’Information Technology. Vedo crisi in molti altri
settori, a cominciare dall’auto. E anche se nessuno vuol parlare di recessione, di fatto l’Italia produce
meno e il Pil cala. Semmai dovremmo discutere se si tratta di una congiuntura o, peggio, di un trend.
Nel primo caso il tracollo di fiducia e di investimenti che si è abbattuto, ad esempio, su internet
sarebbe transitorio e piano piano potremmo ritornare a tassi di crescita delle tlc del 12-13% l’anno”.
Perché invece potrebbe non essere transitorio?
“Beh , se ci trovassimo di fronte a un trend dovremmo forse riconoscere che si è prodotta troppa
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Beltel
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tecnologia; che molte aziende producono non per il mercato ma per autoalimentarsi; che si fa ricerca
perché c’ è gente pagata per farla e non perché il mercato la richiede. In parole povere: si produce
tecnologia che al mercato non serve o che il mercato non vuole. Qualche avvisaglia di fenomeni come
questo c’è per esempio nei computer, dove sei obbligato a passare a un sistema successivo per pura
decisione del costruttore, altrimenti il tuo precedente rischia di non essere più utilizzabile anche per
quello che fai adesso. Questi ragionamenti si potrebbero applicare al settore dell’elettronica di consumo
o , per restare nel nostro ambito, dei nuovi servizi per comunicazioni mobili, il cui impatto sul mercato
è ancora ignoto, come la trasmissione di immagini dal telefonino”.
Ma lei non è fuori dal processo che descrive, in fondo anche per la fibra si parla di
sovradimensionamento di strutture, e di servizi di cui ancora non si può valutare il mercato...
“Puntualizziamo alcune cose e sfatiamo una leggenda. Primo: L’unica infrastruttura adatta a fornire il
più ampio spettro di servizi, a banda larga o no, è quella fatta con la fibra ottica; e non con Dsl, WiFi, satellite, Umts e via dicendo. Chi dice il contrario sa che non è vero oppure non ha grande
competenza. Dobbiamo quindi parlare di servizi e non di tecnologie. Con la tecnologia Dsl, ad esempio,
si possono fornire servizi internet in maniera più veloce, è vero, ma non è affatto l’alternativa alla
fibra ottica; in quanto, ad esempio, internet non è l’unica applicazione richiesta dalle aziende che
richiedono banda larga. Le aziende necessitano di trasferire files, di fare condivisione di server, di
connettere Lan, di avere disaster recovery e reti IPVPN. Secondo: le infrastrutture in fibra sovrabbondanti
sono quelle di lunga distanza, non quelle metropolitane. Quindi, in sintesi, i bisogni dell’utenza
residenziale e delle picole aziende potrebbero essere soddisfatti dalla Dsl o da altre tecnologie, ma
per le aziende occorre sicuramente la banda larga fornita dalla fibra. Ed è ovvio che chi spinge tanto
la DSL sia Telecom Italia; essendo detentore del doppino telefonico”.
Secondo lei questa domanda di fibra esiste già?
“Sì, perchè quando parliamo di collegamenti tra Lan cittadine a 150 Mbit, la necessità esiste già,
quando parliamo di disaster recovery òa necessità esiste già. Il problema è un altro”.
Quale?
“Mancano i soldi alle aziende che in precedenza facevano massicci investimenti per cablare l’Italia,
soprattutto nelle aree metropolitane dove i costi sono più alti. Sulle lunghe distanze il problema non
c’è, di fibra ce n’è fin troppa. Un altro problema è quello del Sud. Se non c’è un progetto Paese più
generale, è difficile che gli operatori vadano, ad esempio, a cablare Palermo o Catania. Le necessità
ci sarebbero, il nodo sono i costi. Non tanto solo quelli dello scavo locale, quanto quelli necessari per
colmare la distanza di quelle aree dalle reti nazionali e internazionali che erogano i servizi”.
Come vede il mercato residenziale per la banda larga?
“Qui, al contrario che per le aziende, manca ancora la famosa killer application. A parte internet (che
comunque ha perso molta attrattiva) il video-on-demand, che sulla carta è un classico servizio di
intrattenimento su banda larga, è già fallito molte volte. Magari arriverà, ma al momento, archiviato
Socrate, visto l’esito dei tentativi delle tv via cavo in Europa, vista la presenza di ormai numerosi
canali digitali e via satellite, è difficile prevedere quando potrà decollare. Oltretutto non ci sono
abbastanza titoli cinematografici liberi da mettere su un circuito VoD, inoltre la maggior parte non
sono doppiati in italiano. Insomma, non vedo grandi prospettive per il momento”.
Torniamo alla sua affermazione iniziale, quello che di sicuro manca sono i soldi…
“Gli investimenti della maggior parte degli operatori ormai sono revenue driven. E se il mercato
finanziario non è disponibile, i soldi o li genera chi offre i servizi o si chiedono alla banche. Ma anche
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Beltel
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in questo caso il ritorno deve essere a breve. Questa situazione provoca una frenata nel completamento
di strutture in fibra ottica per tutta la penisola. D’altra parte, se le le reti di telecomunicazione sono
una infrastruttura strategica per la nazione, non si vede perchè l’onere della loro costruzione debba
gravare solo sugli operatori”.
Che cosa pensa della situazione regolatoria?
“Le regole ci sono, bisognerebbe farle rispettare meglio, soprattutto nei confronti di Telecom Italia.
Perché non basta fare la liberalizzazione, bisogna stabilire condizioni che consentano ai
nuovi operatori di avere ritorni, insomma, bisogna tenere in vita le società che sono nate dalla
liberalizzazione. Non è un problema solo italiano. E la regola numero uno riguarda i prezzi, soprattutto
quelli del rapporto commerciale tra nuovi operatori ed ex incumbent. Questo problema è ad esempio
alla base del rallentamento della Dsl”.
Che cosa può dire sulla disponibilità di risorse umane?
“In una fase iniziale c’è stata euforia, sembrava che bastasse il diploma delle elementari per operare
su internet. Ma poi la realtà è apparsa chiara. Il problema non era tanto di specializzazione tecnica o
tecnologica. Era soprattutto - clamorosamente lo si vede oggi, alla luce di tanti fallimenti - un problema
di capacità di gestione dei capitali reperiti sul mercato. Questa competenza non si improvvisa. Nelle
attuali condizioni, con poche aziende sopravvissute, comunque, la disponibilità di cervelli è buona”.
Concludiamo con una valutazione generale sul mercato delle tlc?
“Non credo che stia diminuendo: la realtà è che diminuiscono i prezzi . A questo punto bisogna fare
bene i conti e avere una mentalità finanziaria, è finito il tempo in cui si potevano vendere servizi di tlc
anche in perdita pur di avere dei clienti. Serve però anche una maggior efficacia dell’Authority, che
vigili sul rapporto tra prezzi e margini dei nuovi operatori nei confronti dell’operatore dominante”.
novembre 2002
Beltel
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i “sogni” degli utenti
a cura di Marinella Zetti
Con il numero di novembre si conclude il Forum dedicato ai “sogni” degli utenti, in particolare delle
banche, in merito alla telefonia fissa o mobile. Anche per questo ultimo appuntamento, Beltel ha
coinvolto tre operatori del mondo bancario; ancora una volta abbiamo scoperto che la soluzione
non è semplice e tiene conto di tanti aspetti; tra le esigenze più impellenti emergono la chiarezza
e l’efficienza, inoltre gli utenti chiedono servizi reali e non solo una banale “guerra” dei prezzi.
Questa volta hanno partecipato al Forum virtuale: Giuseppe Capponcelli (Seceti), Alfonso
Izzo (Banco di Napoli) e Marcello Milano (Banca121).
Il mercato e i clienti cosa si aspettano dagli operatori di telefonia mobile e fissa? Migliori servizi?
Migliori prezzi? O....
Giuseppe Capponcelli
In primo luogo credo sia auspicabile una “completa trasparenza”, ovvero una integrazione dei
servizi tra operatori diversi per dare la completa fruibilità da qualsiasi “punto di ingresso”.
Dovrebbe essere reso possibile utilizzare i servizi offerti dai vari operatori indipendentemente dal
gestore dell’Ultimo Miglio” e dal gestore della connessione Wireless. Mi spiego con un esempio
concreto: il servizio “Numero Unico” offerto da Telecom Italia non è accessibile da Mobile Omnitel.
Credo che sia necessario anche il riconoscimento del ruolo attivo svolto dai fornitori di servizi
(ASP, etc.) quali generatori di traffico per gli Operatori.
I fornitori di servizi, quale Seceti, portano traffico agli operatori; infatti, servizi come la gestione
dei terminali P.O.S., utilizzano la rete telefonica commutata con costi a carico del chiamante e,
quindi, ricavi per l’operatore. Al gestore del servizio, quale originante dei ricavi per gli operatori,
deve essere riconosciuto un ruolo.
Ma gli utenti hanno anche altri “sogni”: migliore reattività alle richieste di nuove implementazioni
(tempi più brevi), spesso i tempi di realizzazione di nuovi impianti e/o servizi impediscono ai gestori
dei servizi di essere “time to market”; migliori livelli di tempestività nella soluzione dei guasti.
Seceti (Gruppo Bancario Istituto Centrale
L’utilizzo di tecnologia per la gestione remota delle reti non ha delle Banche Popolari) offre servizi telematici
ancora prodotto, se non in parte limitata, gli attesi migliora- e informatici dedicati esclusivamente al mondo delle banche e delle finanziarie. Nata
menti di efficienza. E’ molto limitata, soprattutto, la proattività, come gestore di rete per banche, Seceti si è
evoluta realizzando, e spesso anticipando,
sintomo di scarso monitoraggio delle risorse.
tutti i nuovi strumenti che sono oggi indispenA queste richieste aggiungerei un unico numero fisso-mobile, sabili al sistema bancario, tra questi: servizi
ma forse è un’utopia; l’ideale sarebbe avere un identificativo, telematici e sistemi di pagamento online,
segnalazioni di vigilanza, sistemi direzionafisico o virtuale, che consentisse di connettersi su rete fissa e/ li, servizi di trading online, carte a microprogestori di reti di ATM (oltre 4500),
o mobile, consentendo di essere rintracciati mediante la com- cessore,
Full Processing per i Servizi di Carte di Creposizione di un unico numero personale, associato dal gestore dito, Sistemi di Corporate Banking e RemoBanking, a cui si sono aggiunti di recente
al punto di connessione: ufficio (varie sedi), casa (varie sedi), te
i servizi Bank Pass ed e.bollettino.
mobile e così via.
novembre 2002
Beltel
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Alfonso Izzo
Esprimo un parere strettamente personale circa le attese del mercato e dei clienti dagli operatori di telefonia fissa e mobile. Sicuramente tutti gli utenti di telefonia fissa e mobile si aspettano un miglioramento dei costi per poter usufruire di quei servizi che oggi incidono significativamente sui bilanci familiari e aziendali; ma sono convinto che gli utenti (famiglie e aziende)
desiderano soprattutto un miglioramento del servizio di comunicazione. Miglioramento dei
canali di comunicazione significa operare affinché la rete
di Napoli (Gruppo SanPaolo Imi),
del gestore sia sempre più affidabile in termini di qualità, Banco
nato nel 1539, con i suoi 723 punti operaefficienza e sicurezza per poter garantire tutta una serie di tivi, opera in tutti i rami del credito, della
finanza e dei servizi, prestando particonuovi servizi già disponibili o annunciati.
lare attenzione al livello ed alla qualità del
Credo che saranno proprio i servizi il polo trainante della servizio offerto alla clientela.
Gran parte dei suoi 723 sportelli è diffutelfonia fissa e mobile, in particolare, a mio avviso, si svilup- sa nell’area di maggior radicamento stoperanno: hosting e Internet marketing, una maggiore inte- rico, il Mezzogiorno; di questi, 364 sono
in Campania. ll Banco svolge un signifigrazione dei servizi utente/aziende per offrire una comuni- cativo ruolo di catalizzatore del risparmio
cazione più efficiente per il telelavoro; maggiori servizi in- delle famiglie; di pari passo con l’evoluzione dei mercati finanziari e con la proformativi per la rete di apparati mobili; integrazione di nuovi gressiva evoluzione delle esigenze degli
dispositivi, ad esempio i palmari; market place per garantire investitori e dei risparmiatori, l’azienda
segue con particolare attenzione le gepagamenti sicuri su un mercato garantito da parte di chi stioni patrimoniali, i fondi comuni di inla distribuzione dei prodotti
fornisce la connettività; integrazione di servizi sociali a inte- vestimento,
assicurativi, l’assistenza e la consulenza
grazione dei servizi per il cittadino; e, infine, flessibilità nel- alle imprese, il finanziamento di progetti
industriali ed infrastrutturali.
l’offerta di comunicazione.
Marcello Milano
Riduzione dei prezzi per tutti i servizi e miglioramento della qualità e della gamma dei servizi
offerti sono i principali effetti positivi che gli utenti italiani di telecomunicazioni si aspettano dal
processo di liberalizzazione ancora in corso. A volte il mercato ha dato segni di stagnazione
che - a un occhio più vigile - si è spesso rivelato come un cartello tariffario ben mascherato e
abilmente propinato al consumatore attraverso una rosa di tariffe competitive e differenziate.
La tariffa, infatti, è l’unica arma concreta nelle mani del marketing e regna incontrastata negli
spazi pubblicitari accanto a qualche testimonial d’eccezione.
Aziende e consumatori si aspettano soprattutto chiarezza ma non stanno certo ad aspettare
passivamente: pullulano associazioni di consumatori (vedi Aduc e Adusbef) o anche iniziative
non ufficiali che – sfruttando la potenza comunicativa di Internet – rilasciano consigli e offrono
servizi come tariffometri o modelli precompilati per far valere meglio i propri diritti; l’esplosione di queste iniziative (soprattutto quelle di natura non commerciale o a pagamento), indica in
modo esemplare una carenza di trasparenza da parte degli operatori .
La mia prima riflessione è che il successo di queste iniziative sia dovuto comunque a una
carenza di chiarezza da parte dei carrier; Banca 121 è molto attenta alla chiarezza, tanto è
vero che nel 2001 ci è valsa il premio dooyoo Award 2001 nella categoria “Miglior servizio
bancario” assegnatoci dall’omonimo portale che raccoglie in Europa opinioni su prodotti e su
servizi da parte dei consumatori.
Il mercato della telefonia fissa è stato pesantemente influenzato da quello mobile: non è
necessario un occhio esperto per osservare che gran parte delle comunicazioni si è spostato
sul traffico mobile (sostenuto soprattutto dalla formula del prepagato); dalle analisi di tali
spostamenti del traffico telefonico nascono sicuramente le tariffe flat, espedienti che il marketing
ha elaborato per garantirsi comunque un’entrata certa da parte del traffico “fisso” in fuga
verso quello mobile. I servizi disponibili dal fisso sono notevolmente aumentati e migliorati e
sicuramente è cresciuto il livello dell’assistenza, soprattutto grazie alle recenti integrazioni con
il web (si pensi alle bollette inviate anche per email in formato pdf). Nella realtà dei fatti però,
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Beltel
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quello che i consumatori si aspettano è soprattutto più chiarezza di fronte al ginepraio delle
tariffe (paradossalmente figlio della liberalizzazione in atto).
Nel caso della telefonia mobile, a mio avviso, lo scenario non è molto diverso. Come abbiamo
già sostenuto, il mercato della telefonia mobile è decollato sostanzialmente grazie al prepagato che, con il noto meccanismo di “ricarica”, ha liberato gli utenti dai vincoli del canone e
ha introdotto un meccanismo di controllo della spesa (a volte apparente e rassicurante solo dal
punto di vista psicologico). Una recente ricerca condotta da Ericsson ed Eurisko (fonte Osservatorio Mobile Internet Luiss) ha indicato per ogni attributo del servizio di telefonia mobile un
grado di importanza per il consumatore: al primo posto figurano la convenienza delle tariffe
(38.4%), al secondo la copertura e roaming (18.0%), al terzo l’assenza di costi aggiuntivi (17.6%),
solo agli ultimi posti troviamo l’innovatività (5.7%).
Banca 121 (Gruppo MPS) è specializRisulta chiaro come l’attuale mercato dei cellulari e dei servizata nei servizi finanziari personalizzati
zi erogabili ha raggiunto – sempre nell’ambito del GSM – una
e nelle attività di asset gathering, con
un forte orientamento alla customer
sua maturazione. Il cellulare è ancora utilizzato solo per parsatisfaction. Grazie ad evolute piattaforlare ed inviare sms. Una nuova frontiera della comunicazione
me di Customer Relationship Management e di Personal Financial Planning,
si aprirà probabilmente con l’Umts e l’inizio dell’era della
consulenti e promotori finanziari di
Banca 121 sono in grado di offrire rivideocomunicazione radiomobile, in questo caso sarà fondasposte personalizzate e di alto profilo
mentale tener conto di quello che gli analisiti del settore indialle specifiche esigenze di ogni cliente.
Banca121 poggia su un’infrastruttura teccano come total ownership experience, cioè la tendenza da
nologica, sia nei contenuti che nelle
parte dei consumatori, sempre più esperti e smaliziati, a raintegrazioni fra le componenti “business”
e persegue in concreto il concetto di
gionare in termini globali, valutando ogni aspetto del servimulticanalità integrata nell’erogazione di
zio, anche se il costo farà sempre la parte del leone.
servizi e prodotti innovativi.
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Beltel
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notizie
a cura della redazione
Nel primo semestre 2002 la domanda ict in Italia è calata dell’1,2%. Nello stesso periodo dell’anno scorso era cresciuta del 12,2%. Dati Assinform.
Nel 2002, secondo il rapporto Assinform, il mercato delle
tlc è di 19.950 milioni di euro, pari a un decremento del
2% contro una crescita del 12,9% dell’anno scorso.
Il mercato wireless lan nel 2002 crescerà del 73%. Dati
Gartner Dataquest.
Accordo tra H3G e Buongiorno.it su scala mondiale. Per
una piattaforma di messaggistica e alerting.
E’ stata approvata dall’Antitrust europeo l’acquisizione
da parte di IBM di Pricewaterhouse Coopers Consulting
per 3,5 miliardi di dollari.
In Italia l’Adsl tra canone e traffico procurerà oltre 1 miliardo di euro di fatturato ai provider. L’Authority nella sua
relazione annuale aveva previsto 782 milioni.
Nasce la figura del “negoziatore di software” che assiste le imprese, soprattutto piccole e medie, nella scelta
tecnica, economica e contrattuale del software necessario,
anzi, sempre più necessario.
Home Shopping Europe propone una formula mista di commercio elettronico: la tv per vedere ed internet per
comprare. Ha già 200 mila clienti dopo un solo anno di
attività che saranno il doppio alla fine del 2002. Gli ordini
giornalieri sono di circa 20 mila euro.
Chiudono i giornali online. Un grande business arrivato
sul mercato troppo presto, secondo il giudizio di molti esperti.
Perciò se ne riparlerà tra qualche anno.
La fusione Atlanet ed Edisontel è rinviata, forse cancellata. Allora cosa farà Atlanet e cioè che intenzioni hanno Fiat e Telefonica in questo momento “impicciati” in
altre faccende?
Non si sente più parlare della firma digitale. Da quando è
stata introdotta è passato qualche anno e le firme rilasciate
dai certificatori sono solo 400 mila.
Deutsche Bank ha affidato a IBM in outsourcing la gestione dei propri data center.
Alcatel annuncia il taglio di 20 mila posti di lavoro.
Non è strana la decisione, visti i tempi, quanto la dimensione del fenomeno.
Telecom Italia, ENI e Unicredito, nell’ordine, hanno, in Italia, la migliore comunicazione finanziaria.
La rete ADSL a Telekom Sud Africa l’ha fornita la Marconi.
Adriano De Maio è il nuovo rettore della Luiss di Roma.
Michele Piracci è il nuovo amministratore delegato di Elitel.
AEM esce da Fastweb e, in compenso, potrebbe entrare
direttamente in eBiscom, come, forse, doveva essere sin
dall’inizio della storia.
Nel 2002 si venderanno 400 milioni di terminali per la
telefonia cellulare. Nel 2001 sono stati 380 milioni.
Sbc Comm, una delle Baby Bells Usa, licenzia oltre 11 mila
persone e taglia del 40% la spesa per investimenti.
Nokia ha “lanciato” il suo primo terminale per reti Umts: il 6650.
Intesa Netsystem e Yahoo! per il lancio del servizio, a
marchi unificati, “Yahoo! Sat Adsl”.
Il nuovo amministratore dlegato di France Telecom è
Thierry Breton. E’ stato in Bull e in Thomson Multimedia, di
cui attualmente è amministratore.
La News Corp di Rupert Murdoch ha pagato Telepiù 920
milioni di euro in totale tra cash e debiti pregressi.
Della nuova compagnia, Sky Italia, Telecom Italia sarà
socio al 19,9%.
29 milioni di euro dalla Marina per Datamat per il sistema cms (un sistema per la condotta delle operazioni
di combattimento).
Fastweb lancia il videotelefono: un’applicazione della banda larga al di fuori di internet.
Secondo gli ultimi dati forniti da Cisco sono 19 gli aeroporti europei dove già sono stati installati dispositivi per le
wireless lan. Entro pochi mesi il servizio sarà esteso a
un centinaio di scali.
Si diffonde l’e-learning e adesso si scopre che mancano i
professori capaci di insegnare via internet.
Le autorità svedesi hanno detto no ad Orange e Vodafone
che volevano ritardare di tre anni la partenza Umts.
Nec acquista il 5% delle due società operative di
Hutchinson nella terza generazione della telefonia cellulare,
per 73 milioni di dollari in contanti. L’investimento in questo
settore da parte del gruppo è di circa 15 miliardi di dollari.
I lettori di Network World hanno votato i dieci manager
Ict italiani che godono di maggior considerazione. Nell’ordine: Elio Catania di IBM, Marco Tronchetti Provera di
Telecom Italia, Renato Soru di Tiscali, Stefano Venturi di
Cisco, Silvio Scaglia di Fastweb, Riccardo Ruggiero di
Telecom Italia, Nicola Aliperti di HP, Tommaso Pompei di
Wind, Vittorio Colao di Vodafone, Umberto Paolucci di
Microsoft. Questa tabella può servire anche a capire i lettori di Network World.
novembre 2002
Beltel
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Che mestiere fa un operatore di telecomunicazioni?
Qualche anno fa sarebbe stata una domanda oziosa. Nessuno infatti avrebbe osato rispondere altro che: offrire servizi di connettività. Negli ultimi mesi la risposta non è invece
così banale e scontata. E’ infatti indubbio che la connettività
sempre più percepita come una commodity e, quindi, sempre meno contribuisce al profitto del business di un operatore. La connettività deve essere dunque associata ai servizi. Due anni fa sembrava che si fosse trovata la soluzione
al problema: l’Asp, ovvero l’erogazione degli applicazioni It attraverso la rete in logica pay-per-use. Da tutti
venne percepita come la vera rivoluzione Ict, la reale
implementazione della “telematica”. Gli analisti si sbizzarrirono in previsioni da capogiro e gli operatori investirono molto in data centre e in infrastrutture tecnologiche.
Falllimento clamoroso! Alla data attuale dell’Asp rimangono
alcuni servizi di hosting e di colocation (outsourcing delle
infrastrutture It). Era dunque tutto sbagliato? No, semplicemente si sono anticipati troppo i tempi: l’Asp è il punto di
arrivo e non di partenza nella catena del valore. Tra hosting e
Asp esiste tutto un mondo di servizi offribili all’impresa estesa, ossia all’impresa che vuole utilizzare Internet per costruire la filiera dei rapporti con i propri clienti, partner o fornitori.
Il web può essere dunque visto come la cerniera tra l’azienda
e il mercato. Partiamo da cose semplici e poi educheremo
facilmente l’utente a evolvere verso forme complete di mercato digitale e di software applicativo erogato come servizio.
Questo è il tema che sarà discusso nell’Osservatorio Beltel di
novembre. L’Osservatorio presenta tutti i mesi ai propri
sottoscrittori e ad un numero selezionato di invitati di volta in
volta diversi, informazioni e dibattiti sulle regole delle tlc: politiche, normative, tecnologiche e di mercato. Oltre ad offrire
un desk informativo permanente e personalizzato.
Entro la fine dell’anno le regole per il wi-fi, dice il Ministro Gasparri.
Telecom Italia ha lanciato “Alice a tempo” che affianca il
servizio Alice a forfait già commercializzato. L’obiettivo è
1,4 milioni di utenti entro il 2004.
Kpmg Consulting cambia nome. Si chiamerà Bearing Point
un modo per prendere più distanza dalla revisione e
certificazione contabile.
Dopo l’acquisiszione di Pwc Consulting IBM pensa, si
dice, ad altre acquisizioni. Per diventare una società di servizi
di consulenza insieme a quelli finanziari, di infrastruttura e di
tecnologia. La vendita di tecnologia IBM non è comunque un
obbligo quando non è la cosa più conveniente per i clienti.
Le fusioni e le acquisizioni in Europa nei primi 9 mesi
dell’anno sono calate del 22%. I settori principali: energia,
immobiliare e media. Tutta old economy.
ePlanet nel primo semestre 2002 fattura di più e perde di
meno rispetto al 2001. Vuol dire che è stata gestita meglio ed ha
sfruttato il proprio mercato. Ma la strada per lo sviluppo probabilmente non è così vicina. Vedremo le sue nuove strategie.
Il tasso di incremento dei cellulari nelle famiglie americane è stato dell’11% tra il 1997 e l’anno scorso. Nell’anno
che sta per finire sembra che si attesti intorno al 7%. Non
solo in Europa esiste, quindi, la saturazione del mercato.
Ipse cerca di rivendere le frequenze Umts conquistate nella gara di un anno fa. Non è prevista dalle norme questa eventualità. Ma se per caso l’azienda non dovesse avviarsi, il Ministero non potrebbe ricollocarle? Forse non allo stesso prezzo.
Per i personal computer Gartner Dataquest prevede una ripresa anche importante nel 2003. Nel mondo dell’ordine del 10,9%.
Accordo tra Wind e Freever, azienda francese specializzata in
sistemi di messaggistica mobile, per gestire ChaTribù, chat via
sms dedicata agli abbonati Wind attraverso il portale Libero.
Gestione e invio dei documenti a clienti e fornitori.
E’ la formula di “Mail Service”. Il servizio per le aziende
clienti, raccoglie informazioni sul flusso di documenti e attività on line degli ultimi 12 mesi, con statistiche in formato
grafico o Excel. Permette, inoltre, la consultazione di un
elenco di documenti ricevuti con eventuale richiesta on line
di duplicati in formato elettronico o cartaceo.
Ma questa prestazione e/o servizio sarà inclusa probabilmente nel prossimo futuro tra le prestazioni
infrastrutturali degli operatori telefonici.
Uno studio realizzato da AT Kearny tra 6 mila utenti di telefonia mobile in 15 paesi rivela che il 61% del campione
conosce i servizi e le applicazioni disponibili con le reti Umts,
ma appena il 29% si dichiara interessato ad adottarle.
Le quote di mercato della telefonia fissa: Telecom Italia
75%, Wind 17% ed altri 8%.
Oggi ci sono 118 titolari di licenze per la telefonia
fissa. Secondo Tommaso Pompei, in un’intervista rilasciata
al Sole 24 Ore, a breve il numero vero dei competitori di
Telecom Italia sarà inferiore alle dita di una mano.
Omnitel Vodafone dal 2003 adotterà il contratto dei telefonici al posto di quello per i metalmeccanici.
Gli esuberi risultanti dalla fusione HP-Compaq in Italia sono
201 su un organico totale di 2600.
Finsiel ha venduto Consiel a WIP, una finanziaria belga
presente in Italia attraverso Allaxia e Alterego
Communication. Per un milione di euro.
Accordo tra Buffetti, Actalis e Genertel per la firma digitale.
In fase di lancio Bankpass web, un sistema sicuro di ecommerce realizzato da SSb per 230 banche italiane. Il
sistema consente di firmare le transazioni senza immettere in rete nè nomi nè indirizzi nè codici della carte di credito. Serve solo una formula personalizzata e segreta riconosciuta dal proprio Istituto di Credito, dove viene attivato
un portafoglio virtuale, il cosidetto Wallet, che farà partire
l’ordine di pagamento. Per acquisti su siti stranieri non
convenzionati è prevista una carta di credito virtuale usa e
getta da usare una sola volta.
Tutta l’area dei sistemi di pagamento è in movimento
e sarà una delle applicazioni principali delle nuove reti
sicure tipo Umts.
Orange si appresta a lanciare nuovi telefonini per telefonia cellulare. Dotati di software Microsoft. Creato
particolarmente per gestire navigazione in internet e applicazioni multimediali. I terminali saranno prodotti dall’azienda di taiwan High Tech Computer Corporation. Useranno il software Microsoft anche la Sendo (società britannica) e la Cingular Wireless (joint venture tra Sbc e
BellSouth). I tradizionali come Nokia per esempio per il
momento si rifiutano, ma sicuramente qualcun’altro si
appresta ad avvicinarsi a Microsoft!
novembre 2002
Beltel
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Hera è la maxiholding delle aziende di servizio pubblici emiliano-romagnolo. Oltre 1 miliardo di euro di
fatturato e 4.500 dipendenti, si colloca per diemnsioni
tra l’Acea e l’AEM di Milano. Presidente Tomaso Tommasi
di Vignano e amministratore delegato Stefano Aldrovandi.
In Italia ci sono 5,5 milioni di persone che navigano regolarmente su internet. Gli abbonati a internet con collegamento Adsl
erano a giugno 580 mila, che crescono di 50/60 mila al mese. E ci
sono 1300 Comuni con la possibilità di collegamento Adsl. Dati di
Riccardo Ruggiero in una intervista ad Affari e Finanza.
Ottorino Passariello ha lasciato Cap Gemini ed è ora in
Telecom Italia, alle dipendenze di Riccardo Ruggiero. Si occupa di pianificazione operativa e controllo.
Nei primi sei mesi del 2002 le Poste hanno raddoppiato le perdite rispetto ai primi sei mesi del 2001. Secondo l’amministratore delegato Massimo Sarmi il futuro è
verso i servizi a valore aggiunto.
I clienti Fastweb a fine anno saranno 240 mila e garantiscono introiti per 780 euro anno ciascuno. La rete raggiunge 1,2 milioni di famiglie e 800 mila con connessioni Dsl.
Nell’esercizio 2002 che si chiuderà a fine marzo 2003,
Albacom punta ad un fatturato di 700/750 milioni di
euro, che vorrebbe dire +27% sull’esercizio precedente.
Secondo Tim, i tagli alle tariffe fisso-mobile previste
dall’Authority consolidano le diminuzioni degli ultimi anni:
tra il gennaio ‘99 e l’agosto del 2002 la tariffa è scesa del
38% con una media annua del 10,6%.
Riccardo Ruggiero ha detto al Sole 24 Ore che i costi di
gestione in Telecom Italia nel 2002 si ridurranno del
20% rispetto al 2001 e le spese generali amministrative del
13% rispetto al primo semestre 2001. Salgono solo i costi
commerciali e di marketing dell’8%.
Più passa il tempo più sale il numero dei tagli del personale annunciato da Deutsche Telekom.Adesso si parla di
eliminare 50.000 persone entro il 2005. La sensazione è
che non sia ancora il numero definitivo!
Michele Preda, amministratore delegato di Albacom, ha detto
al Sole 24 Ore che “sarebbe interessante una fusione
tra Albacom e I-net”.
Allora Blu sparisce. In conclusione: le azioni di Tim
ed inoltre 830 siti, 1.400 stazioni radio-base, i sistemi
informativi, il call center di Firenze. A Wind i marchi, sei
negozi, 305 siti, 600 mila clienti e il call center di Palermo. Ad Omnitel 200 siti con i BTS, 12 dispendentied un
terzo dei 15 Mhz delle frequenze Gsm. I clienti che passano a Wind per il momento non potrannp scegliersi un
altro gestore, forse tra sei mesi.
Lorenzo Pelliccioli, ex numero uno di Seat Pagine Gialle e destinatario l’anno scorso di una “stock option” di 168
miliardi di lire, vive a Parigi e fa consulenza spot per la de
Agostini, scrive sul Corriere della Sera.
De Agostini in ogni modo entra nell’azionariato Olivetti
ed esce da quello e.Biscom.
Le prime 5 aziende nel fatturato software e servizi: IT
Telecom con 1.952 milioni di euro, IBM Italia con 1.852,
Gruppo EDS con 608, Global Value (50% IBM e 50% Fiat)
con 599.5. Dati 2001.
Il mercato delle soluzioni per call center basate su
protocollo ip non sta più crescendo ai ritmi
ipotizzati in passato.
Il 14 novembre un convegno Teach sul tema “da
enterprise application integration a total business
integration”. Per molte aziende, l’EAI rappresenta una priorità molto elevata per mantenere la propria competitività.
Con particolare riferimento ad iniziative che riguardano sistemi CRM, portali e applicazioni web-driven.
Accordo commerciale tra Netsystem e gli inglesi di
Transcom.
Banca San Paolo-IMI incorpora Banco di Napoli.
Mentre il matrimonio tra MPS e BNL in ballo da più di un
anno, è tramontato.
Comunque MPS incorpora alcune controllate: Banca Agricola Mantovana e Banca Toscana.
Dopo l’acquisto di Pwc Consulting, IBM sta per comprare Eads Matra, specialista nei software di progettazione e gestione del ciclo di vita dei prodotti. C’è proprio la
consulenza nel futuro IBM!
Beltel-DATABANK CONSULTING
Beltel e Databank Consulting conoscono da anni il mercato Ict e sulla base delle loro esperienze
hanno progettato un intervento formativo dedicato ai protagonisti della domanda e dell’offerta di
questo mercato.
Il corso fornisce un quadro di riferimento politico e tecnologico, una serie di nozioni pratiche per
capire e per operare con la massima competenza e una panoramica sulle prospettive a breve.
Unico, curato nella documentazione, con l’intervento di professionalità riconosciute, si articola in 5
giornate nell’arco di due settimane e prevede un numero massimo di 15 partecipanti.
Il primo corso è programmato a gennaio 2003. Beltel è a disposizione per
approfondimenti e per disegnare proposte personalizzate: [email protected], t.02-58325500
novembre 2002
Beltel
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Accordo tecnologico, almeno per ilmomento, tra J.D.
Edward e IBM. La prima utilizzerà le infrastrutture IBM
per le proprie soluzioni Erp, Crm, Scm e business intelligence.
Il problema di molte aziende: l’integrazione delle applicazioni software. E la compatibilità delle nuove reti tlc, diciamo noi.
Nuova società per il gruppo di Franco Bernabé: la Kelyan
Project.Net di cui è amministratore delegato Valdimiro Consani.
Si occupa di consulenza, formazione e servizi per l’enterprise
project management. Fa capo a Kelyan Smc, la società di
Franco Bernabé specializzata in prodotti e soluzioni ict.
La sede dell’Authority per le tlc rimane a Napoli, ma sarà più
operativa a Roma. Per esempio 50 dei 150 dipendenti di Napoli
stanno per essere trasferiti a Roma. Qualcuno lo aveva previsto?
Salvatore Pinto lascia Telespazio e diventa amminsitratore
delegato di Finsiel affiancando Nino Tronchetti Provera.
Chiude in Usa Forbes Asap, il magazine dedicato al web
ed alle tlc tra i primi a monitorare il fenomeno internet.
Perchè H3G diventa “3”? Perchè 3 in Cina è il numero
della vita e in Occidente è il numero perfetto.
Da gennaio in Italia per le carte di credito e di debito si
passa dalla banda magnetica al microchip. Le carte da sostituire, tra debito e credito, sono 32 milioni, i POS 750
mila, gli ATM (cash dispenser) più di 34 mila. Da un punto
di vista del giro d’affari, l’operazione è colossale.
Ma i futuri telefonini Umts potranno subire l’assalto dei
virus? Come succede oggi per il Pc insomma.
Kpmg mette insieme le risorse dell’executive search con
quelle sparse nelle altre realtà che già si occupavano di
management assessment. Nasce così la business unit chiamata “people advisory service” di cui è responsabile
Andrea Oddi ed in cui è senior advisor Guido Di Stefano.
Il Consiglio di Amministrazione della Bocconi presieduto da
Mario Monti ha confermato per i prossimi due anni Carlo
Secchi Rettore.
Nortel Networks proclama che raggiungerà il pareggio
nel secondo trimestre 2003.
Tim ha annunciato il lancio del Gsm in Brasile.
La newsletter della BNL è un settimanale dal titolo “Risparmi e Mercati” con una tiratura di 30 mila copie. Sarà
fatta da Radiocor del gruppo Sole 24 Ore che, sembra, considera il mercato delle newsletter per conto terzi come uno
dei più promettenti nel prossimo futuro.
La Corte di Giustizia europea dovrebbe entro breve tempo decidere sui contributi chiesti dallo Stato ai gestori telefonici
del 1999 e che sono in percentuale al fatturato. In caso di illegittimità per i gestori si tratta di risparmiare 2,1 miliardi di euro.
H3G ha registrato il termine “videofonino”.
Il Ministero delle Comunicazioni ha dato ragione a
Megabeam: si può sperimentare il servizio per l’offerta al
pubblico di servizi wi-fi. Megabeam sino a questo momento
ha registrato gratuitamente 4 mila utenti e si prepara a
lanciare il servizio entro i prossimi tre mesi negli scali
aeroportuali di Venezia, Verona e Malpensa.
Nel trimestre luglio-settembre Microsoft ha fatto registrare un aumento del fatturato del 26% ed un raddoppio degli utili.
Sulla bolla della new economy interessante un giudizio di
Renato Soru: “oggi non si vende più un’azione, non si
fanno ipo. La finanza è come morta per quanto riguarda
internet. E allora tutti quelli rimasti si sono messi a fare il
loro lavoro, come qualsiasi altro imprenditore”.
Francesco Cajo è ottimista sul prossimo futuro: “prima
o poi dovranno emanare norme più precise, più severe per
avviare davvero un fenomeno di competizione e di concorrenza. Comincerà una nuova stagione più ricca di soggetti e
di occasioni. In più si stanno muovendo delle cose anche
sul piano della tecnologia. Per esempio il wi-fi”. Da una intervista rilasciata ad Affari e Finanza di Repubblica.
Gli aeroporti di Roma fanno una società per fornire servizi di telefonia, internet, eccetera agli aeroporti di roma. La
notizia può essere letta al contrario.
In una ricerca Bocconi si evidenzia come solo l’11% delle imprese italiane ha finora sviluppato applicazioni internet
contro il 61% Usa e il 47% medio in Gran Bretagna, Francia
e Germania. Il dato è relativo alle piccole-medie imprese
perchè quelle grandi, da 250 addetti in su, per il 50% sono
dotate di applicazioni internet.
Siemens Mobile ha consegnato ad alcuni operatori europei il suo primo terminale umts.
ePlanet si fonde con “Iniziative Tecnologiche”, holding partecipata da Sirti, Marconi e fondo Kiwi. Di Inziative Tecnologiche fa parte eVia.
Tecnosistemi ha acquisito da Siemens la divisione
carrier networks tutte le attività di manutenzione e assistenza delle reti fisse.
Secondo Databank Consulting oggi il mercato del wifi vale 10 milioni ed in effetti non è ancora partito. Ma
nel 2006 varrà 450 milioni e le soluzioni si integreranno
con quelle umts.
ATT nel terzo trimestre dell’anno è tornata in utile.
Vivendi publishing è stata venduta da Vivendi a
Lagardere per fare cassa e concentrarsi sulle tlc, sembra. Per questo vuole esercitare il diritto di prelazione
su Cegetel.
Secondo Assinform nel 2003 gli acquisti di Ministeri
ed Enti Locali crolleranno del 10%. Parliamo ovviamente di informatica.
Tele2, secondo maggiore operatore telefonico svedese, ha
chiuso il terzo trimestre con ebitda in forte rialzo rispetto
all’anno precedente.
E’ nata Telecom Italia Learning Services (Tils) per raggiungere la leadership nel mercato del learning e knowledge
management. Responsabile Agostino Ragosa.
Al posto di Giuliano Zuccoli come Presidente di Fastweb
è stato nominato Riccardo Protti.
Il risparmio fiscale di Tim dopo l’operazione Blu: 370 milioni
di euro. Per salvare i posti di lavoro lo Stato doveva pur
pagare qualcosa, o no?
novembre 2002
pubbliredazionale
Via Tucidide, 56 Torre 2 - 20134 Milano Tel. +39 02 75289.1 Fax +39 02 75289.319
Via Tagliamento, 20 - 00198 Roma Tel. +39 06 8541999 Fax +39 06 8541846
www.equant.com [email protected]
Con il partner vincente, il canale indiretto di Equant conquista il mercato
Intervista con Giuseppe Imbrosciano, Indirect Sales Director
Perché il canale delle vendite indirette?
Dovevamo raggiungere quell’area vastissima, fatta di migliaia di piccole e medie imprese italiane: di qui la decisione
di instaurare la partnership con i principali operatori di telefonia.
Quando intervenite direttamente presso i clienti raggiunti tramite il canale indiretto?
Spesso interveniamo anche noi, magari dopo che il contatto è stato già approfondito o la trattativa è entrata in fase di
definizione.
Facciamo un esempio concreto, parliamo della
partnership con Wind?
Ci rivolgiamo a società che si sono affacciate di recente sui
mercati internazionali e che necessitano di disporre di collegamenti veloci per la trasmissione dei dati. Oltre a quanto
offerto dall’operatore telefonico, siamo in grado di offrire tutta
una serie di prodotti e di servizi per la trasmissione dei dati.
Come gestite la politica di partnership con gli operatori che vi affiancano?
Equant è un operatore leader mondiale, ciò non può che
costituire un vantaggio per i nostri partner. Ma anche noi
traiamo profitto dalle varie partnership realizzate.
Come è possibile conciliare la vendita del prodotto
per così dire “tradizionale” dell’operatore telefonico con soluzioni specifiche quali le vostre?
L’obiettivo è rendere “autonome” le forze vendite dei nostri partner, soprattutto per quanto riguarda le conoscenze e le competenze, ovvero come interloquire e come approcciarsi al cliente.
Di quante unità è composta la rete dei venditori?
Sommando le reti dei venditori dei nostri partner credo che
dovremmo superare le 500 unità.
Come risolvete le problematiche e i risvolti “politici”
che inevitabilmente gli operatori italiani della telefonia trascinano con sé?
In Italia le discussioni per quanto riguarda il mondo
delle telecomunicazioni in senso lato sono sempre molto
accese. Ne prendiamo atto e ci adeguiamo. Ma senza
drammatizzare.
Un’ultima battuta, con uno slogan, quale l’obbiettivo della sua area?
Proporci sul mercato in modo sempre più qualificato, insieme ai nostri partner.
Non solo carrier. Con i Professional Services, Equant dà ancora di più
Intervista con Francesco Di Berardino, Professional Services Director
Perché i Professional Services?
A un certo punto, ci siamo domandati se Equant dovesse
essere percepita soltanto come carrier o se tale percezione
dovesse essere più ampia. Abbiamo scelto la seconda ipotesi. Più semplicemente, vogliamo rendere la nostra offerta in
termini di telecomunicazioni più completa.
Nel dettaglio, che cosa danno i Professional Services
a un’azienda?
I servizi vanno dalla gestione degli standard alla progettazione a soluzioni cioè di vero e proprio project management, sino ad arrivare a servizi consulenziali più specifici,
dalla consulenza legale al managing ai servizi di controllo
sull’area IT, quali strumenti di risk, security, hosting, soltanto per citare i principali.
Come tenete conto delle caratteristiche di Equant
che, come detto, sono uniche?
Certamente, i nostri servizi non solo tengono conto del fatto che Equant sia da sempre un operatore che agisce su
scala globale, anzi sono proprio il risultato di ciò.
Quale l’azienda-cliente tipo dei Professional
Services?
Per le caratteristiche della nostra offerta, i nostri clienti sono
in gran parte aziende multinazionali, organizzazioni che hanno cioè esigenze specifiche e possono realizzare determinati investimenti.
Come individuate i potenziali clienti e che tipo di
approccio seguite nei loro confronti?
Effettuiamo un cross-selling sulle aziende già clienti. Quindi
abbiamo definito una metodologia standardizzata per il contatto, che prevede interviste e altri strumenti realizzati con
personale specializzato.
A proposito di personale, come è composta la “sua”
squadra e quali sinergie utilizzate con le altre divisioni attive all’interno di Equant?
Disponiamo di una fitta rete di consulenti sul mercato, fatta
di 750 professionisti, che fanno capo a 6 referenti interni.
Ovvio, la squadra interagisce strettamente con la forza commerciale di Equant. Quest’ultima non solo è di supporto alla
nostra attività, ma è direttamente coinvolta sul cliente in
un’ottica di team.
Per finire con uno slogan, quali i vantaggi dei
Professional Services?
Vogliamo presentarci al mercato non solo come un carrier,
ma dare molto di più.
Beltel
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Se i ragazzi che oggi si scambiano sms sui cellulari cominciano a scambiarsi “squili” che non costano?
Tim sperimenta sul Gprs le videotelefonate. In accordo
con La7, infatti, arrivano i goal del calcio per quanto riguarda Inter, Lazio, Roma e Torino.
La politica di Tim, Vodafone e Wind sembra essere quella di spingere il Gprs e di passare all’Umts allo “stesso prezzo” solo con più velocità.
I gestori delle connessioni internet sono succubi di un’idea
televisiva dal centro alla periferia. Dice Franco Carlini:
“se invece offrissero a ciascuno di noi la possibilità di diventare una radio o una tv che spedisce sonori e video alla
propria comunità di amici?” Fastweb è in questa direzione.
Su internet Wind detiene il 45% del mercato italiano.
Barbara Poggiali in Telecom Italia ad occuparsi con
Marco Tronchetti Provera del master plan.
Ma, come dice Maurizio Decina, la banda larga del Gprs
in realtà è molto stretta e quindi inadatta al vero mondo
dei servizi interattivi. Inoltre, il Gsm e le sue evoluzioni non
sono in grado di garantire la giusta affidabilità nei collegamenti e sicurezza dalle intrusioni nel commercio elettronico.
Paolo Huscher in Wind per occuparsi di it e sviluppo servizi.
Comunque il rapporto Eito dice che le tlc saranno trainate fuori
dalla crisi grazie alla tecnologia della banda larga. In Italia
dagli 800 mila accessi attuali nel 2004 si passerà al oltre 2 milioni.
Secondo un analista Michel Bon e Ron Sommer “sono riusciti nell’impresa di distruggere l’indistruttibile”.
Secondo Francesco Caio (l’ha detto al Sole 24 Ore) la trasmissione della sola voce attraverso l’Umts diventerà
più economica rispetto ai costi delle linee fisse.
La somma del debito di France Telecom e di quello di
deutsche Telekom sembra sia uguale al debito estero
dell’Argentina.
Allora dopo Megabeam e Freestation nel wi-fi parte prima
della fine dell’anno Telecom Italia. A scopo sperimentale
per sei mesi, in modo non esclusivo, mentre il servizio deve
essere gratuito. Tuttavia la “partita wi-fi” è ancora aperta.
novembre 2002
Beltel
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da New York
Sandro Malavasi
Per il matrimonio satellitare di Echostar, gli asset passano al rivale…
Immaginatevi una coppia che per fare accettare le proprie nozze ai parenti e agli amici decide di dare
in beneficenza la propria casa e buona parte dei propri beni. Le vicende del matrimonio miliardario,
in dollari, contrastato fra Echostar e la DirectTV di Hughes sul fronte della tv satellitare, sembrano
seguire questo bizzarro copione. L’operazione da 18 miliardi di dollari o 25,8 se si considerano anche
i debiti che si accollerrebbe Echostar, ha ricevuto un primo “no” da parte della Fcc che non vede di
buon occhio la fusione dei primi due gruppi del settore con quasi 19 milioni di abbonati negli Usa. La
stessa authority ha dato però 30 giorni di tempo alle parti per riformulare la loro proposta e la scelta
è caduta su Cablevision. Vale a dire la strada scelta, e non ancora approvata, è quella che Echostar
cederà parte dei suoi asset a Cablevision, attualmente settimo gruppo Usa sul fronte della tv via cavo,
che coronerà così il “sogno” di creare un sistema televisivo satellitare in grado di sfidare il colosso
che nascerà dalla fusione dei due primi gruppi del settore. La proposta di Echostar è quella di regalare oltre cinquanta frequenze a Cablevision, che aggiungendosi alle 11 di cui già dispone creerà un
vero sistema di tv satellitare su base nazionale.
A questo si aggiungerebbe la cessione di un satellite da Echostar a Cablevision e un accordo di leasing
su altri due satelliti. La stessa Echostar, evidentemente disposta a tutto pur di non compromettere la sua
acquisizione, sembra disposta a dividere con Cablevision i costosi sistemi di trasmissione satellitare dei
programmi locali agli abbonati. Cablevision, secondo gli esperti, non ha però ancora i mezzi finanziari
per un vero e proprio lancio del servizio di tv satellitare e avrà probabilmente bisogno di un partner
finanziario. Echostar ha invece molta fretta. La parola finale, come sempre, spetterà alla Fcc.
Per il suo “Smart Phone” Gates sceglie Orange
Il debutto è previsto entro l’anno e sarà Orange a offrire i nuovi telefoni targati Microsoft – denominati Orange SPV - prima nel Regno Unito e poi nel resto d’Europa. I prezzi non sono ancora noti, si
parla di 260 dollari per apparecchio, ma sono in linea con quelli dei concorrenti, e gli apparecchi
verranno prodotti dalla HTC di Taiwan. Negli Usa, invece, sarà AT&T Wireless a offrire per prima,
probabilmente a metà del 2003, i telefoni con il nuovo software Smartphone 2002 che permetterà ai
cellulari di utilizzare molte delle opzioni finora riservate alle agendine elettroniche e, soprattutto,
molte delle caratteristiche della applicazione Outlook. La nuova variante di Windows destinata ai
cellulari corrisponde allo sbarco di Microsoft nel settore dei telefoni intelligenti. La risposta di Nokia,
Motorola, Siemens, Samsung e Sony Ericsson che temono un’avanzata di Gates anche nel loro territorio e una loro progressiva marginalizzazione, è nello sviluppo della piattaforma Symbian. Il gruppo
inglese che porta questo nome ha già venduto 250mila cellulari. Microsoft, per aggirare il blocco nei
suoi confronti posto dai produttori di cellulari, ha stretto accordi di produzione con gruppo come
Compal, Sendo e High Tech Computer.
La Fcc approva la radio digitale
IBiquity Digital ha vinto la sua sfida, Il gruppo privato che gode del sostegno dei big del settore della
radio, come Clear Channel, Abc Radio e Infinity Broadcasting del gruppo Viacom e della casa automobilistica Ford, ha infatti visto il suo sistema di trasmissione radiofonico digitale approvato dalla
Fcc. La nuova tecnologia permette trasmissioni digitali su canali analoghi e quindi apre la strada a un
netto miglioramento della qualità e alla possibilità di trasmettere altri dati e servizi agli ascoltatori che
li vedranno sui loro apparecchi. L’ascolto richiede speciali apparecchi radiofonici che negli Usa saran-
novembre 2002
Beltel
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no in vendita a partire dal prossimo anno, a prezzi naturalmente superiori a quelli delle radio tradizionali.
I modelli avranno anche la capacità di registrare determinati programmi, con un meccanismo simile a
quello di un radioregistratore, e in futuro anche i personal computer dovrebbero essere in grado di
ricevere, registrare ed eventualmente trasmettere in forma compressa e con la posta elettronica ogni
trasmissione radiofonica. Entro la fine di quest’anno, 30-50 stazioni radio di Los Angeles New York e
Chicago, dovrebbero essere in grado di trasmettere in via digitale i loro programmi a un costo iniziale di
75mila dollari per le nuove attrezzature. Le trasmissioni digitali della radio dovrebbero rappresentare una
sfida ai sistemi radio satellitare come Sirius che negli Usa offrono un abbonamento mensile per trasmissioni di alta qualità ma che richiedono per l’ascolto apparecchi relativamente costosi.
E nel metro di Boston i cellulari tacciono…
Quindici milioni di dollari non sono arrivati. Nemmeno con l’intervento delle banche. L’azienda pubblica dei trasporti di Boston aveva pensato a un canone annuale di 3 milioni di dollari però nel settore
dei cellulari non è tempo per grossi investimenti. A quel punto il progetto di permettere le trasmissioni cellulari nei quasi 35 chilometri di linee sotterranee e in 29 stazioni delle quattro linee della metropolitana è saltato. I tre maggiori carriers della città, AT&T Wireles Cingular e Verizon Wireless non
hanno rinunciato al progetto, però, la strada è tutta in salita. Nextel, invece, preferisce investire nel
potenziamento della trasmissione nei tunnel dell’autostrada e sulle tangenziali locali. Lo scorso anno
la Andrew Corp. dell’Illinois aveva vinto un bando per la fornitura di servizi e per l’installazione di
antenne nelle stazioni e lungo il percorso della metropolitana ma alla scadenza del bando di concorso nessuno dei sei providers di servizi cellulari di Boston ha presentato domanda e il concorso è
saltato. I costi proibitivi del progetto hanno spinto Christopher Foster, un analista di Technology
Business Research a Hampton nel New Hampshire, a fare qualche calcolo. Al momento, secondo le
sue stime, i margini di profitto lordi del settore sono pari a 7-8 centesimi di dollaro per minuto di
chiamata, quindi, sarebbero necessari fra 80 e 100 milioni di nuove chiamate cellulari dalle stazioni
e sui treni del metro per giustificare i costi di questo progetto. Questo equivarrebbe a 50-65mila
passeggeri che giornalmente facessero almeno una chiamata di 5 minuti sui loro cellulari da lunedi a
sabato, su una media di 670mila passeggeri in totale. Alla Verizon ribattono invece che sulla metropolitana sarà più comoda la trasmissione di dati via cellulare e la lettura della posta elettronica. Nel
frattempo, però, sulla metropolitana di Boston i cellulari tacciono.
Dall’auto una spinta al ritorno di Bluetooth
A quasi dieci anni dal suo lancio, Bluetooth sembrava destinata a essere una sorta di “eterna promessa” fra le tecnologie cellulari. Utilizzando la stessa banda di trasmissione della più trendy Wi-Fi,
quindi una frequenza che non richiede licenza di trasmissione negli Usa, Bluetooth permette a un
computer e ai suoi accessori di comunicare senza l’uso di cavi. Con gli anni, però, la tecnologia è
stata considerata costosa e poco sicura per la riservatezza dei dati trasmessi. Invece ora la stessa
tecnologia sembra perfetta per permettere a chi guida di parlare al telefono e di utilizzare comandi
vocali ed è al centro del sistema di comunicazioni OnStar offerto dalla General Motors sulle sue
vetture. La risposta di DaimlerChrysler, in arrivo in queste settimane, è Uconnect che negli Usa al
prezzo di 299 dollari permette al guidatore di utilizzare il suo cellulare e ottenere varie informazioni
senza spostare le mani dal volante. Il ritorno di Bluetooth ha spinto Apple al lancio di iSync, un’applicazione per sincronizzare i telefoni della terza generazione con tutto il resto di un network. Più
recentemente, anche Microsoft ha reso noto il codice del sistema operativo Windows XP che può far
operare strumenti che usano tecnologia Bluetooth. La casa di Bill Gates nei mesi scorsi ha anche lanciato
una tastiera e un mouse che operano sulla base del sistema Bluetooth. Un successo annunciato.
Un servizio per collegare tutti i (vostri) telefoni
SimulRing è l’ultimo ritrovato… per ritrovare i dipendenti che si attardano a pranzo o i tecnici che
hanno il dono della irreperibilità. Offerto inizialmente in una mezza dozzina di città americane, il
servizio offre un numero di telefono, con prefisso locale, che riceve le telefonate e fa suonare simultaneamente tutti i telefoni che il cliente ha precedentemente indicato, vale a dire quelli di casa, ufficio
e i cellulari. Per meno di dieci dollari al mese il servizio, che viene offerto anche come numero verde
novembre 2002
Beltel
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da utilizzare da ogni parte degli Usa, fa da amplificatore delle chiamate e può essere facilmente
organizzato o reimpostato online. Per poco meno di 20 dollari al mese, invece, al numero prestabilito
risponde un messaggio registrato con la voce dell’utente, ma la chiamata viene passata a un massimo di 5 numeri telefonici contemporaneamente e il servizio spedisce un messaggio di posta elettronica o un messaggio al cellulare per segnalare le chiamate rimaste senza risposta.
Broadband sugli aerei grazie a Boeing
La prima a offrire i servizi di Connexion, all’inizio del prossimo anno, sarà la Lufthansa e dopo pochi
mesi sarà la volta della British Airways. Partirà così il debutto aereo dei servizi broadband, grazie a un
progetto della Boeing. Sullo stesso versante è attiva anche Verizon che ha rilevato GTE cioè la società
che offriva i collegamenti telefonici in volo alle maggiori compagnie americane e che ha lanciato il
mese scorso JetConnect su alcuni voli interni negli Usa e in particolare sui voli di Continental Airlines.
Il servizio permette, a un costo fisso di 5,99 dollari per volo, di collegare i propri laptop a una presa
telefonica per spedire messaggi o per fare alcuni giochi facendo capo a un server sull’aereo che vede
le informazioni in suo possesso aggiornate ogni quindici minuti. Nei primi voli transoceanici che offriranno Connexion, invece, saranno disponibili alcuni tecnici a bordo, ma alla Boeing assicurano che il
sistema è di semplicissimo utilizzo. Il prezzo è invece ancora da stabilire ma si parla di 25-35 dollari
a persona per un volo di 7-8 ore.
Un libro di successo… sul successo di Docomo
Il libro del momento nel settore delle tlc è di quelli che fanno soffrire gli americani. John Beck e
Mitchell Wade hanno infatti pubblicato da Amacom un libro sulla giapponese “DoCoMo-Lo tnunami
cellulare del Giappone”, con sottotitolo “Come un operatore della telefonia mobile ha creato un nuovo
mercato ed è diventato una forza globale”. “In Giappone quasi un terzo della popolazione lavora,
gioca, e fa gli acquisti con il cellulare, rimanendo in collegamento con una miniera di dati, servizi e
altre persone. La forza responsabile per tutto questo è un’azienda giovane e visionaria, il cui nome in
Giappone significa dovunque” si legge nel volume. La tesi di fondo è che il gruppo giapponese ha
avuto un successo straordinario negli ultimi tre anni, a fronte di una crisi profonda dell’economia
giapponese, perché è riuscito a toccare le emozioni e le passioni dei giapponesi. E’ riuscito a convogliare sul cellulare delle passioni che prima erano espresse in altro modo. Un messaggio importante
nella fase di crisi e di rallentamento della crescita per il settore negli Usa e in genere nell’Occidente.
Usa e getta, o quasi, anche negli Usa
Hop-On ha lanciato negli Usa i cellulari che usano la tecnologia CDMA e che sono “usa e getta”. Il
telefono, che viene offerto inizialmente tramite tre negozi della catena di supermercati Walgreen in
Florida, non richiede contratti, costo iniziale o tariffe differenziate per le intercomunali. L’apparecchio
è riciclabile, volendo è possibile sostituire la batteria o acquistare altri minuti per telefonare, anche
dopo la scadenza della carica iniziale.
novembre 2002
Beltel
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convergenze
a cura di A n d r e a L a w e n d e l
A che punto è la convergenza? Si sono davvero concretizzate le prospettive economiche e finanziarie di un mercato nato dal forte potenziale di integrazione che l’univoco linguaggio dei bit e di
Internet sembrava aver regalato a comparti tradizionalmente autonomi e separati? Anche sfrondato
dagli effetti negativi dello scoppio della bolla speculativa e dalla crisi che ne è derivata, il fenomeno
convergenza non sembra aver avuto successo e non è neppure arrivato a un grado di maturazione
tale per cui sia possibile formulare ipotesi attendibili. La giuria, per utilizzare una espressione
tipicamente americana, è ancora in sala consiglio.
Di strada, ovviamente, ne è stata percorsa parecchio. Il successo delle soluzioni intranet, della
telefonia radiomobile e del wireless in generale, i discreti segnali provenienti dalle applicazioni
commerciali del Web, sono tutti sintomi interessanti. Ad alcuni dei grandi temi della convergenza
digitale e infrastrutturale (multiutility, televisione interattiva, wireless, messaggistica interpersonale
e interapplicativa, e-learning, multimedialità e business), dedichiamo una serie di riflessioni generali. Un tentativo di fare il punto della situazione e individuare le possibile tendenze.
Multiutility
Sulla carta un’idea estremamente efficace. Quella di sposare la capacità di relazione con le estese
clientele (per definizione “fedeli”) delle aziende municipalizzate - già di inserite da tempo in ottica
“multiservizio” - con la capacità di offrire anche servizi tipicamente bidirezionali come quelli erogati
dalle reti informatiche e telefoniche, innestando così nuovi circoli virtuosi.
Tra gli esempi più celebri, basti citare Citytel l’azienda della milanese Aem confluita nell’iniziativa
MetroWeb/Fastweb di eBiscom.
Molti gli apparenti vantaggi: poter controllare e interagire direttamente con la clientela, poter
sfruttare convergenze infrastrutturali (uso di canalizzazioni e intercapedini, addirittura - con tecnologie come Powerline, in seguito rivelatasi poco praticabile - condivisione della infrastruttura di
trasporto elettrico per veicolare i dati), oltre al generale effetto volano su consumi che finiscono
per intrecciarsi e stimolarsi a vicenda.
Il discorso, apparentemente, non ha veramente funzionato (su questi temi si è espresso in Beltel
l’economista Prosperetti). Tra le problematiche messe in evidenza, si possono citare le difficoltà di
riuscire a coprire un bacino interessante in termini demografici compatibili con una economia di
scala sostenibile. La constatazione dell’impossibilità, in molti casi, di riutilizzare infrastrutture e
condutture esistenti, a fronte dei costi proibitivi di nuovi scavi e pose. La delusione derivata da
lunghi anni di prove infruttuose di tecnologie avanzate come Powerline.
Il giudizio resta sospeso in virtù dello stadio ancora iniziale del progetto Fastweb, anche se da
poco è possibile citare un altro modello potenzialmente interessante, quello della multiutility consortile
Acantho. Si tratta di un caso interessante perché il business model dell’azienda, sorta per iniziativa di Seabo, sembra più ragionato e anche il discorso della convergenza tecnologica (la fibra
ottica, il Voip) appare sensato. Acantho potrebbe risultare più forte di una municipalizzata classica
perché si basa su un esteso modello federativo su base regionale e ipotizza servizi al cittadino (la
ritrasmissione via cavo delle partite di basket, sport molto popolare a Bologna e trascurato dalle
emittenti nazionali; la videosorveglianza digitale su fibra ottica delle condutture fognarie…) realmente alternativi all’offerta di altri provider.
Televisione interattiva (iTv)
Forse l’idea di convergenza più longeva. Si parla da anni di televisore che confluisce nel personal
computer e di modelli di fruizione tipicamente informatici trapiantati sullo schermo del televisore.
novembre 2002
Beltel
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Si pensi a tecnologie come quelle sviluppate da Intel in passato per dar vita una sorta di
“ipertelevideo” sfruttando i segnali di cancellazione del quadro televisivo per veicolare informazioni
digitali. Ma i linguaggi, le tecnologie, le pratiche di consumo continuano a essere diversissime. La
strada della convergenza televisiva si dice oggi, passa per Internet e la tv satellitare digitale,
favorita quest’ultima dalle future evoluzioni verso la bidirezionalità dei segnali e il venir meno del
problema del canale di ritorno indispensabile per l’interattività. Oggi occorre un modem e una linea
telefonica per comunicare da casa verso l’emittente televisiva Interattiva, ma col satellite a due vie
o il cavo a fibra ottica tutto si risolverebbe.
Che tipo di contenuti possiamo immaginarci? Intanto la navigazione Web sic et simpliciter, da
consumare piacevolmente seduto in poltrona insieme a tutta la famiglia. Nokia ha già presentato
alle manifestazioni di settore un decoder satellitare dotato di hard disk e basato sul sistema operativo Linux. Un decoder general purpose che funge da set-top-box, personal video recorder, console per giochi e naturalmente per la navigazione su Internet. Questi apparecchi però non sono
ancora in vendita su larga scala. Affiancare la normale navigazione alla programmazione tv, del
resto, è una questione complessa e i possibili vantaggi controversi. C’è chi dibatte sul tipo di
contenuti da offrire: navigazione completamente aperta (stile WebTv) oppure modelli “walled garden”
(l’emittente seleziona le pagine, l’abbonato legge contenuti di qualità senza rischiare di incappare
- almeno non intenzionalmente - in contenuti poco adatti alla famiglia).
La “vera” tv interattiva, in altre parole, ancora non si che cosa sia. Per il momento il panorama è
fatto di servizi di grande semplicità grafica, con bassi livelli di interazione: poco più che una vera e
propria evoluzione del tradizionale televideo. Un altro terreno sperimentato (si veda a questo
proposito un interessante studio dell’i-Lab dell’Università Bocconi, che ha recentemente analizzato
i contenuti di un centinaio e più di servizi di iTv) è quello della commistione di generi. Il programma
televisivo non cambia, tuttavia sul quadro appaiono richiami che permettono di attivare un secondo flusso informativo o di interazione, mentre si guarda un film o subito dopo la chiusura di uno
spettacolo. Con questi strumenti le aziende fanno comunicazione o pubblicità ma possono fare
anche sondaggi e sfruttare altre forme di interazione. La più interessante? Tanto per cambiare
l’home shopping (valore nel 2005 del T-commerce, commerce col telecomando, 50 milioni di dollari secondo le prime stime)
WiFi
Il wireless lan nelle sue articolazioni “pubbliche” (l’installazioni di “hot spot” in strategici luoghi
chiusi o comunque ben delimitati, nell’ambito del quale il computer abilitato al WiFi può accedere
senza connessioni fisica alle risorse di rete locale) è la tecnologia più bella dell’anno. E soprattutto
è reale e tangibile, a differenza di un Umts che viene percepito, a seconda degli interlocutori, siano
essi provider di tecnologie WiFi o operatori radiomobili, come una formidabile opportunità complementare o un formidabile concorrente. Come finirà?
Il WiFi rappresenta la vera convergenza tra reti dati fisse e reti digitali mobili. Nasce come semplice
estensione delle varie “modalità di trasporto” su cui si articola Ethernet. Ma al posto di rame,
coassiale o fibra permette di usare le onde radio. Lo standard 802.11 non è recentissimo ma in
passato soffriva di un handicap iniziale molto forte. Era uno standard solo nel senso generale, un
po’ come il Gsm. Il vero successo del Gsm non è legato alla standardizzazione ma alla interoperabilità.
In seno all’Etsi ci si è occupati per tempo di controllare che una rete costruita in base alle specifiche
Gsm potesse dialogare con tutte le altre reti a livello di signalling e interconnessione e, soprattutto,
con tutti i terminali costruiti da tutti i produttori.
Con l’802.11 le cose non hanno funzionato subito così. Il sistema consente di accedere a una rete
Lan cablata Ethernet non collegandosi fisicamente con un cavo ma dialogando via radio con una
vera e propria cellula, un “access point” che funge da ponte radio e interfaccia più utenti esterni
a una rete Ethernet cablata. Prima dell’iniziativa WiFi, wireless fidelity, non era assicurato il
dialogo tra un access point costruito da un particolare costruttore, con una radiointerfaccia
diversa inserita in un pc portatile.
Il consorzio WiFi ha reso possibile tutto questo, verificando che tutti costruissero i loro apparati
rispettando in un modo preciso le specifiche generali dell’802.11. In ufficio WiFi ha un vantaggio
enorme in termini di costi di investimento dell’accessibilità agli utenti occasionali: i telelavoratori
dotati di notebook e privi di un punto-rete a una scrivania; i clienti e i fornitori in visita e così via.
Nelle installazioni più piccole, come gli uffici di modeste dimensioni o le abitazioni, si può addirittura fare a meno del cavo, collegando via radio anche gli utenti fissi (che possono comunicare
direttamente tra loro anche senza access point).
Da qui nasce il concetto dell’applicazione commerciale, pubblica della tecnologia. La rete locale cablata
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Beltel
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di una location molto frequentata da persone dotate di computer portatili o palmari, come un aeroporto
o un centro congresso, viene estesa tramite una rete di access point a tutti i visitatori dotati di un
terminale abilitato al WiFi. Considerando le larghezze di banda disponibili, misurabili anche in decine di
megabit al secondo, è pensabile di erogare servizi a larga banda in condizioni di relativa mobilità. Molto
prima dell’effettiva e capillare disponibilità della terza generazione radiomobile Umts.
Siamo di fronte a un reale concorrente dell’Umts? No, avvertono i fautori del WiFi. Al contrario è
una tecnologia positiva perché abilitante, permette di inventarsi servizi che poi la gente potrebbe
voler utilizzare con il suo telefonino di terza generazione, quando questo dovesse arrivare. Inoltre
WiFi è pensato per un utente non mobile bensì nomade, un telelavoratore che ha comunque
bisogno di una superficie su cui appoggiare il proprio portatile o che si muove in un ambito molto
preciso (un ospedale, un edificio) con un dispositivo palmare in tasca e non deve allontanarsi
troppo o percorrere grandi distanze ad alta velocità.
Il problema più grande nasce dalla competizione su livelli diversi. Gli operatori WiFi sono per il
momento privi di licenza, come l’italiana MegaBeam (aeroporti di Roma e Milano, alberghi della
catena Star Hotel), o la napoletana Nocable che pensa di utilizzare il satellite per fornire la connettività
Internet alle reti di hot spot (il wireless nel wireless, per così dire). E spuntano anche consorzi e
alleanze che offrono il roaming su reti di hot spot di provider diversi, in modo che con un abbonamento Megabeam ci si possa collegare a una rete WiFi installata in un aeroporto non coperto da
Megabeam. Nascono anche iniziative che puntano a incrementare la capillarita’ degli hot spot
estendendola a intere aree metropolitane, cercando così di superare le differenze tra approccio
Lan senza-fili e approccio Wan (wide area network) cellulare.
Considerando che il WiFi in versione 802.11a e i successivi “gusti” di questo standard offrono
capacità di 50 Mbps, non è improbabile pensare ad applicazioni intensive, come la multimedialità
e il Voip. Se il sistema di licensing resterà così liberale (ma fino a quando?), uno scontro più diretto
con un Umts in forte ritardo non si può escludere del tutto, anche se la telefonia cellulare conserverebbe l’enorme vantaggio dell’estensione geografica e dei bacini di utenza.
Messaggistica unificata
La comunicazione interpersonale, quella che gli stessi utenti di una rete producono è, secondo
Mauro Sentinelli, direttore generale di Tim, un motore sufficiente a generare traffico su una rete di
telefonia cellulare anche quando la voce smette di essere il veicolo del messaggio. Un motore che
da solo potrebbe compensare la difficoltà che oggi molti operatori incontrano nel formulare e
commercializzare servizi a valore aggiunto preconfezionati o personalizzati in base alle esigenze
del consumatore. La messaggistica unificata è un concetto di estremo fascino, così come il groupware
(le piattaforme di messaggistica e di collaborazione come Lotus Notes o Microsoft Exchange). Per
estensione la convergenza verso un unico sistema complesso di messaggistica riguarda anche i
cosiddetti messaggi inter-applicativi, il cosiddetto middleware. Il software cioè che nasce per mettere in comunicazione tra loro e quindi integrare applicazioni e processi aziendali distinti e separati.
Un’articolazione di questa profonda integrazione a livello sistemico finisce per abbracciare le recenti tematiche dei Web services (le applicazioni e i servizi fruibili attraverso una unica interfaccia) e
del knowledge management e dei business portal: lo sviluppo, sempre su base Web, di “cruscotti”
grazie a cui il lavoratore della conoscenza può raggruppare tutti i flussi informativi interni ed
esterni alle aziende e fonderli con le risorse di comunicazione, calendaring e scheduling, di cui ha
bisogno nella sua vita professionale.
Si potrebbero quindi distinguere alcuni filoni principali di questo aspetto della convergenza:
– la messaggistica vera e propria, cioè l’arte di coniugare e integrare tra loro flussi di comunicazione che avvengono su canali diversificati come la telefonia fissa o mobile, il voice-mail, la
posta elettronica realtime (Sms, sistemi di chat su Internet), la posta elettronica tradizionale
(store and forward) o il fax.
– Il groupware e le piattaforme collaborative alla Ibm Lotus Notes che diventano al tempo stesso
strumenti di comunicazione, whiteboarding, collaborazione (versioning di documenti confezionati a più mani), pianificazione di attività, meeting e appuntamenti…
– Enterprise application integration, middleware. Un filone basato fondamentalmente sulla
messaggistica interapplicativa.
– Web services, ossia le piattaforme di aggregazione di servizi e applicazioni (Eai) basate sugli standard
e le interfacce grafiche di Internet. In questo momento un mercato potenziale nuovissimo e difficile da
quantificare dove dominano due scuole di pensiero. Da un lato la visione di Internet e del software
come servizio proposta da Microsoft attraverso la strategia evolutiva del sistema operativo Windows,
altrimenti detta “.Net”. Dall’altro il mondo degli application server conformi con le specifiche Java.
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Beltel
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– Knowledge management, inteso come attività di aggregazione di flussi informativi e strumenti
di comunicazione e lavoro tramite piattaforme come i “business portal”. Un filone fortemente
affine - e sempre più convergente - con quello dei Web services.
Come si vede è un universo di respiro estremamente ampio, che abbraccia tutte le forme di
comunicazione, informazione e collaborazione convergenti, un terreno in cui reti telefoniche fisse,
mobili e dati e tutti i loro contenuti (conversazioni, messaggi scritti, grafici, multimedialità, software
applicativi) non appaiono più confinati in una rigida griglia di comparti tra cui è l’uomo a effettuare
manualmente i travasi. Qui è il software a rendere possibili travasi, associazioni e transazioni in
toto o in parte automatici.
L’esempio più significativo di strategie UM del primo filone descritto può essere il servizio Unitim di
Tim, che secondo lo stesso Sentinelli ha un enorme successo. Con questa piattaforma l’abbonato
al cellulare Tim può inviare e ricevere Sms e messaggi di posta elettronica, ricevere notifica su email e voice-mail pervenute a un indirizzo “unificato” (su rete mobile o su Internet), accedere alla
posta elettronica dall’interfaccia text to speech, inviare fax e instradare su un fax i messaggi di
testo che arrivano in casella di e-mail.
Servizi di grande attrattiva, sulla carta, ma qualche cautela sul reale gradimento di queste possibilità di intreccio è d’obbligo perché non esistono dati ufficiali sul ritorno degli investimenti in una
forma di convergenza che forse non è ancora entrata negli stili di vita e di lavoro collettivi.
Altre piattaforme unificate coinvolgono direttamente l’interfaccia Web. Un’azienda italiana come Bware
si è specializzata in sistemi per la gestione della comunicazione unificata, così come la società Yourvoice,
i cui prodotti e servizi consentono di gestire campagne di messaggistica testuale e vocale.
Poi c’è la problematica non meno importante della comunicazione dati realtime, il cosiddetto “chat”.
Sistemi che portano ai limiti i concetti di reperibilità dell’individuo. Tim offre servizi di chat via Sms
su telefonino, grandi piattaforme mondiali come Icq, Aim di Aol, Netmeeting utilizzano Internet
con il dichiarato obiettivo di allargarsi anche alle reti cellulari (grazie soprattutto ai client di
messaggistica evoluti previsti sui futuri smarphone o sugli javaphone).
I filoni del groupware, dell’Eai, del knowledge management e soprattutto dei Web services rappresentano (groupware a parte, forse) argomenti piuttosto nuovi e discussi, soprattutto nell’ambito
delle grandissime organizzazioni di business, in prevalenza americane. Sulla questione dei Web
services si sta discutendo molto perché la convergenza del lavoro al computer su una unica interfaccia
- in pratica la riproposizione dello slogan “la rete è il computer” (il computer con l’aggiunta di Tcp/
Ip, Http, Html e quant’altro, visti in pratica come un nuovo “meta-sistema operativo”) è un tema
affascinante ma quanto mai incerto. Alcuni scettici dicono che tra qualche anno ce lo lasceremo
alle spalle, esattamente come ci siamo lasciati alle spalle molte delle speranze del cosiddetto
business to business. Altri ritengono che la convergenza su questo piano sia inevitabile, anche se
i suoi percorsi sono ancora incerti.
Di Web services si parla da parecchio ma finora si è visto poco. Il concetto è al centro della nuova
strategia Microsoft “.Net”, l’evoluzione futura del sistema operativo Windows distinto tra versioni
client e server (una distinzione che il mondo Unix e con esso il recente MacOs conosce ma in forma
leggermente più attenuata grazie alla robustezza dei client) come sistema in grado di lavorare in
un ambiente completamente distribuito, proprio perché grazie a Internet neppure la singola macchina del singolo utente domestico può essere più considerata “isolata”. Sulla piattaforma .Net
anche le applicazioni cambiano la loro natura, abbandonando gli stretti confini del pacchettizzato
per esplorare nuove formule di distribuzione e consumo, direttamente ispirate ai modelli dell’Asp e
dell’outsourcing. Il software insomma tenderà a spostarsi da un modello centralistico (il disco
locale del computer) verso il non-luogo astratto della rete, assumendo connotazioni tipiche del
servizio pay per use. Non a caso aziende come Sun e Ibm parlano di Utility Computing, di informatica equiparabile al concetto che oggi abbiamo di energia elettrica.
Anche in questa futuribile realtà si propongono le stesse fratture di mercato. Per una Microsoft che
propone .Net, ci sono i fornitori di application server (Ibm WebSphere, Bea Systems WebLogic, Sun
e altri) che sposano Java come fattore di integrazione di programi e servizi. Accanto a loro i vendor
di applicazioni aziendali Erp, Crm, Scm (supply chain management) come Sap, Siebel, PeopleSoft,
che cercano di reinventare un modello commerciale nuovo (il su misura, l’hosting e il pagamento a
consumo rispetto alle tradizionali - e costose - implementazioni presso il cliente) e di trovare un
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possibile punto di equilibrio tra .Net e Java. Questo conflitto preventivo, reso ancora più complicato
da un proliferare di iniziative di standardizzazione e definizione di comuni linguaggi, può rivelarsi
potenzialmente dannoso ma anche foriero di una proficua tensione tra due realtà.
E-learning
Non èsolo una scommessa finanziaria di portata notevole (Gartner parla di un valore di 4,2 miliardi di
dollari quest’anno e di una crescita a 33 nel 2005. Idc parla di 23 miliardi di dollari ma tende a definire
il mercato in modo più restrittivo). Quella dell’e-learning è anche una forma di convergenza tecnologica
molto importante. Evoluzione del tradizionale del Cbt (computer based training), parte dallo stesso
concetto che mescolava su supporti off-line contributi testuali e multimediali strutturati a fini autodidattici
o autovalutativi, per riversare questi contenuti e strumenti in un contesto online e realtime.
L’apprendimento a distanza, cavalcato da colossi del software e dei servizi come Ibm e Siemens, è
un segmento verso cui stanno confluendo le aziende specializzate in produzioni multimediali che
rifuggono dal campo di battaglia ormai in parziale declino del Cd-Rom, e le molte Web agencies
ferite dal dopo-bolla, che cercano di sfruttare la forte domanda di personale specializzato in tutte
le aziende proponendo siti e servizi Web di taglio didattico. Un caso particolarmente interessante
è quello di Enel.it, che sull’e-learning focalizza una grossa parte delle sua attività forte di una
notevole esperienza in materia di formazione interna. Sono di impronta didattica molte applicazioni di streaming video su Internet. Le applicazioni di authorware e courseware - in grado di costruire
lezioni interattive con contributi realtime (l’immagine del docente) e sistemi di intervento e dialogo
docente-discente, oltre che di valutazione finale degli stessi.
La teleformazione, evolutasi essenzialmente sul desktop e addirittura nella “classroom” attrezzata,
oggi comincia a esplorare le opportunità offerte dalla mobilità, con l’avvento delle reti cellulari di
generazione 2.5 e 3 e di terminali di comunicazione sempre più intelligenti e funzionali. Telefonini
e palmari possono diventare i protagonisti di una piccola rivoluzione didattica, grazie alla possibilità
di accesso a servizi di consultazione (referencing) in tempo reale nei più diversi campi o di prelievo
e successiva consultazione off-line o interattiva di “minicorsi”, manualistica, guide utente e così via.
Il business e la multimedialità: la convergenza nella relazione tra aziende,
fornitori, clienti
Un altro punto di convergenza messo in evidenza dall’evoluzione tecnologica e degli strumenti
comunicazione in particolare, ci porterà ad assistere secondo alcuni visionari alla graduale scomparsa del confine - fino a ieri ben definito - tra i tradizionali ruoli del produttore di beni e servizi (le
aziende o le istituzioni pubbliche), del suo fornitore e soprattutto del suo cliente.
Non si dice che certi confini si attenuano perché di colpo smetteranno di esistere entità che producono e vendono qualcosa e altre entità che le acquistano e le consumano. Anche se ci sarebbe
molto da discutere su un’altra tematica interessante come il denaro (e la transazione finanziaria) al
tempo di Internet. Insieme a Nicholas Negroponte, incontrato recentemente in occasione di un
convegno promosso da uno dei maggiori circuiti di carte di credito, si discuteva della possibilità che
il valore progressivamente uguale a zero della transazione puramente elettronica (che regola ormai anche una buona percentuale degli acquisti) potrebbe addirittura sfociare nella progressiva
scomparsa del denaro inteso sia come mezzo fisico di scambio e misurazione del valore, sia come
strumento di pagamento. Niente, sosteneva Negroponte, impedisce di pensare a un sistema di
valori basati puramente sulle percezioni (del valore di un bene o servizio) da parte di chi sta
conducendo una specifica transazione. In definitiva a un sistema basato sul baratto regolato da
complessi scambi (criptati) di informazioni.
Che cosa rimane oggi di certe visioni? Forse per colpa della crisi (anche se certi modelli non
hanno comunque dato prova di buon funzionamento, ben prima della crisi), molte idee di
partenza si sono arenate, anche se non è possibile escludere un loro successivo ritorno. Si è
per esempio parlato molto di marketing one-to-one, la possibilità di generare business
interagendo direttamente con il singolo consumatore. Molti siti, è vero, hanno introdotto strumenti di profilatura e personalizzazione dei contenuti, tipico il caso di Amazon che suggerisce
un determinato libro sulla base degli acquisti passati e del generale andamento delle vendite
di un determinato titolo. Strumenti che vengono tuttora utilizzati sul Web, sebbene paradossalmente non siano Internet o l’e-commerce a sfruttarli su larga scala. Esiste per esempio un
filone interessante di software che può rientrare nella categoria del Crm: le cosiddette soluzioni di dynamic pricing. Si tratta di veri e propri sistemi esperti che calibrano il prezzo giusto da
novembre 2002
Beltel
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scrivere sul cartellino di un articolo in vendita nei negozi e nelle catene grandi magazzini. Il
calcolo avviene sulla base di una lunga lista di parametri, che includo lo stato delle scorte, la
richiesta, il gradimento dell’articolo. Soluzioni costose e complesse che girano su sistemi costosi e
complessi e vengono utilizzati da catene di negozi fisici, non virtuali.
E’ uno dei tanti casi in cui una tecnologia concepita in un contesto di forte intangibilità come l’ecommerce finisce per essere adottata al meglio da chi interagisce soprattutto con la realtà fisica,
con clienti tradizionali. Anzi, con moltissimi clienti tradizionali, perché solo i grandi numeri sono
compatibili con gli investimenti richiesti da certi strumenti software. Pochi anni fa, le aziende che
introducevano anche in Italia il concetto di comunità di acquisto (concetto che si è lasciato poi una
lunga scia di vittime) parlavano appunto di cose come il dynamic pricing. Niente, raccontavano
quelle aziende, impedisce di pensare a sistemi satellitari che aggiornano i prezzi sui singoli distributori automatici di lattine di Coca Cola, in funzione per esempio della temperatura e dell’umidità
nel punto in cui è dislocata la macchina (quando fa caldo e si ha sete, forse si è disposti ad
acquistare una bibita spendendo dieci centesimi in più…).
Proprio il concetto di gruppo di acquisto o di reverse auctioning, per cui un certo numero di
persone si mettono in contatto via Internet per acquistare un bene a prezzi più vantaggiosi, ha
dimostrato che certi modelli, incluso il presunto ruolo del “prosumer” il consumatore/produttore
che può influire direttamente sul prezzo con il suo comportamento, sono affascinanti ma ancora
lontani da venire. Il gruppo di acquisto è un meccanismo macchinoso e il sito Web che fa del
reverse auctioning finisce per soccombere di fronte alla concorrenza della grande distribuzione
organizzata nel mondo fisico (magari supportata, come si è visto, da sofisticati mezzi tecnologici).
Iniziative come Letsbuyit, che organizzava cordate di acquisto, hanno subito tonfi notevoli e fallimenti. Il marketing one-to-one è una idea ricca di fascino, ma è un gioco che si deve giocare in
due. Non è facile calcolare quanti possono essere i consumatori realmente disposti a farsi coinvolgere in un continuo dialogo con il mercato, a fornire continuamente un profilo o una preferenza
d’acquisto, a ricevere e organizzare decine di messaggi pubblicitari che saranno anche “mirati” e
“personalizzati”, ma non per questo risultano meno invadenti. E’ anche questione di sensibilità e
cultura da parte dei consumatori. E di complessità nella gestione di un rapporto unitario che
smette di avere senso sui grandi volumi di vendita di prodotti massificati (gli unici che garantirebbero i margini necessari a sostenere gli investimenti), e d’altro canto non genera margini sufficienti
quando il mercato di riferimento è troppo piccolo.
Ancora irrisolta, anche se qui il ruolo della tecnologia e della convergenza (o meglio dell’integrazione) è molto più chiaro e i casi di successo sono numerosi, l’intera questione delle attività
business-to-business, le relazioni tra aziende nei loro ruoli di acquirente e fornitore. Molto più di
Internet inteso come medium di massa sono i modelli di intranet ad aver funzionato in questo
caso. L’azienda ha sempre perseguito l’obiettivo di una maggior continuità procedurale tra le sue
varie componenti e di conseguenza di una maggior continuità tecnologica tra i sistemi informativi su cui tale componenti si basano. Un fenomeno tipico della prima fase della bolla della new
economy è stato quello dei marketplace, borsini virtuali ai quali un fornitore accedeva per soddisfare alle necessità di procurement delle aziende. Nonostante la generale tendenza
all’esternalizzzione, i marketplace pubblici, realizzati da terzi a favore delle aziende acquirenti da
un lato e dei loro potenziali fornitori dall’altro, hanno funzionato poco e male. In compenso le
grandi aziende hanno capito l’importanza della tecnologia nella gestione del procurement e delle
relazioni con il fornitore e sono nati nuovi filoni di software e applicazioni, meno “visibili” ma
forse più significativi come sintomo di cambiamento.
novembre 2002
Beltel
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la tv nel libro bianco della Fondazione Bordoni
Marco Mele
Il Sole 24 Ore
I servizi di IP-TV su Internet offrono qualità decisamente inferiori alla televisione analogica o digitale. Il
giudizio è contenuto nel Libro Bianco elaborato dalla Fondazione Bordoni per conto del Ministero delle
Comunicazioni, intitolato “Le reti di telecomunicazione in Italia”. Qui ci si limita a illustrare, senza necessariamente condividerli in toto, i punti di vista degli estensori sulle prospettive della tv via Internet e
della televisione digitale terrestre, all’interno del capitolo sull’evoluzione delle reti televisive.
Al momento attuale, la qualità del servizio di trasporto su rete crea problemi per un servizio di
televisione su Internet. I vari network provider locali e fornitori di tratte dorsali a lunga distanza,
infatti, dovrebbero garantire una qualità uniforme di trasporto. in grado di supportare servizi a qualità televisiva. Ovvero, nel caso di servizio webcast,uno streaming multicast di almeno 2-3 Mbit/s per
ogni programma. Una qualità di servizio che non è oggi fornita sulla generalità della Rete. Sia per la
non adeguatezza delle tratte d’interconnessione tra i vari network provider, sia per la capacità delle
tratte di accesso degli utenti (la tecnologia aDsl non basta; è necessario ricorrere a tecniche vDsl o
accesso diretto in fibra).
Un’eccezione è costituita, in gergo, dai cosiddetti Walled Garden (giardino recintato: un network
provider fornisce a un parco di propri utenti, connessi a banda larga, servizi di IP-TV ad alta qualità,
webcast oppure on demand. Tale servizi si basano su un decoder proprietario, da interporre tra
l’accesso di rete ed il televisore. Il limite sta nel legame decoder-rete che non favorisce la standardizzazione e non dà garanzie d’interoperabilità. Tuttavia, proprio la standardizzazione del decoder apre
la strada a usi non consentiti, con la possibilità di copiatura dei flussi digitali.
In quest’ultimo caso, l’IP-TV avrebbe lo stesso limite dei servizi di televisione digitale: quello di essere
chiusi, e, per questo, rigidamente controllati. Niente di paragonabile a quanto succede in Rete, dove un
qualsiasi provider può essere raggiunto dall’intera utenza mondiale. Gli operatori televisivi, però, sostengono il modello “chiuso”, del giardino recintato, perchè vedono una sottrazione di risorse, in termini
di tempo-utente, a favore di un altro media, Internet, estraneo al proprio modello di business.
La televisione digitale, comunque, ha dei vantaggi competitivi rispetto alla IP-TV. In primo luogo la diffusione dei terminali televisivi, già oggi totale, mentre anche le più ottimistiche previsioni sui pc in rete vedono
servita, tra qualche anno, solo la metà della popolazione. E il raggiungimento della quasi totalità della
popolazione con una qualità di servizio paragonabile solo alle reti a larga banda di nuova generazione.
Reti diffuse principalmente nei grandi centri abitati. La televisione digitale interattiva può migliorare l’efficienza dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese, promuovendo l’innovazione del Paese.
La trasmissione terrestre, del resto, senza il digitale, cesserebbe di essere competitiva rispetto al
cavo e al satellite. Dal ‘96 il numero delle abitazioni europee che adottano la ricezione terrestre cala
del 5% annuo. Il limite è quello dell’alto costo dell’upgrade della rete trasmissiva, tale da scoraggiare
gli operatori esistenti. La copertura universale comporta infatti costi aggiuntivi esponenziali, oltre un
certo livello di penetrazione (intorno al 7%). Ogni canale, inoltre, sarà trasmesso in simulcast, in
digitale e in analogico, duplicando i costi d’illuminazione. Lo Stato si dovrà fare carico di sovvenzionare la copertura delle aree economicamente non redditizie.
Il costo di trasmissione, una volta ultimata la rete, sarà più economica per il digitale che per l’analogico: ma questa prospettiva di lungo periodo non rappresenta uno stimolo adeguato per gli operatori
esistenti, anche perchè il digitale potrebbe favorire la nascita di nuovi operatori, con perdita di quote
di mercato per gli attuali incumbent duopolisti, Rai e Mediaset. La numerizzazione della rete terrestre, insomma, di per sè non è un fattore chiave per incentivare l’azione degli operatori esistenti. Non
è scontato, infatti, l’impegno del mercato pubblicitario nel supportare un ampio numero di canali free
to air. L’equilibrio economico del settore appare allora molto incerto. Occorre favorire la diversificazione
dell’offerta di prodotti e servizi, per aumentare la spesa di utenti e di imprese, con il lancio di nuove
offerte, in particolare da parte dei servizi pubblici.
novembre 2002
Beltel
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regole
digital media: interferenze normative
Eugenio Prosperetti
Studio Legale Prosperetti, Roma
[email protected]
Torno su di un tema che ho incidentalmente trattato in varie occasioni su queste pagine con intento
di lanciare un dibattito tra giuristi, economisti e tecnici, dal quale scaturiscano linee guida precise
per chi intende effettuare (o effettua) attività che prevedono la “comunicazione” di audiovisivi
digitali1 su piattaforme convergenti.
In questo multiforme settore stanno entrando in gran numero gli operatori di telecomunicazioni,
affiancati da altri soggetti che si affacciano per la prima volta sul mercato.
L’impressione che si ha, analizzando l’approccio al mercato dei servizi di trasmissione/comunicazione di audiovisivi digitali è quella che gli operatori tendano ad avere una visione del quadro
normativo che regola tale attività che si basa esclusivamente su di un’estensione della normativa in
tema di telecomunicazioni, con la quale questi sono per lo più già familiari.
E’ bene avvertire da subito che tale tipo di approccio è antitetico allo stesso termine “convergenza” che
viene comunemente utilizzato, in campo tecnico, per descrivere i fenomeni di cui ci stiamo interessando.
Infatti, una convergenza di tecnologie implica anche una convergenza di quadri regolamentari,
nella specie il quadro regolamentare delle telecomunicazioni “converge” con il quadro regolamentare del settore radiotelevisivo e dell’editoria.
Il motivo si può facilmente comprendere: il nucleo della normativa TLC è basato sul presupposto
dell’esistenza di un network fisso o mobile sul quale transitano voce e/o dati; tre elementi rimangono sempre costanti: (i) il transito di voce e dati avviene secondo uno schema punto-punto, (ii)
ambedue le parti sono in grado di trasmettere e ricevere e (iii) la trasmissione in genere avviene su
richiesta/iniziativa di una delle due parti e con il consenso dell’altra.
Nella trasmissione di audiovisivi su piattaforma convergente, rispetto al quadro sopra delineato,
vengono a mancare, a seconda dei casi, l’elemento della trasmissione punto-punto, sostituito dal
broadcasting (trasmissione verso un numero indeterminato di soggetti passivi o dalla trasmissione
punto-multipunto), o, in altre ipotesi, viene a mancare l’alternanza di attività di trasmissione ed
attività di ricezione da parte dei soggetti in comunicazione.
Il broadcasting e le altre forme di diffusione di audiovisivi insomma, prevedono il seguente schema:
fornitore di contenuti Æ rete (o supporto) di trasmissione Æ utente.
Le comunicazioni in senso inverso allo schema sopra riportato, quelle cioè dall’utente al fornitore di
contenuti, avvengono con tecniche diverse (es. telefono da utente a fornitore di contenuti per
acquistare un prodotto in pay-per-view e satellite da fornitore di contenuti a utente per la visione
del prodotto acquistato) e sono, anche per il loro oggetto di natura accessoria rispetto all’attività di
trasmissione di contenuti dal fornitore all’utente; in alcuni casi la trasmissione avviene poi indipendentemente dalla volontà dell’utente che vi può o meno assistere ma non la può impedire.
Qualunque tipo di attività che rientra nello schema sopra delineato ed è diversa dall’attività
radiotelevisiva è normativamente, oltre che tecnicamente, convergente e deve tener conto, nell’essere progettata e pianificata, delle norme che regolano il settore radiotelevisivo.
Senza entrare nello specifico, possiamo accennare da una parte alla ambiguità delle attuali defini-
1
Per comunicazione intendo qualunque forma di trasmissione, incluse quelle che utilizzano un supporto quale CD-ROM
o DVD.
novembre 2002
Beltel
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zioni di “emittente” e “trasmissione televisiva” nelle quali molti dei soggetti che trasmettono contenuti audiovisivi rientrano pienamente, dall’altra alla previsione, contenuta nel Disegno di Legge per
la riforma del sistema radiotelevisivo recentemente presentato dal Ministro Gasparri e attualmente
in discussione alla Camera dinanzi alle Commissioni Cultura ed Infrastrutture in composizione
congiunta, che include espressamente le attività di trasmissione effettuate tramite Internet e gli altri
“nuovi” mezzi di comunicazione nell’ambito di applicazione della normativa, senza però preoccuparsi
delle peculiarità di ciascun mezzo di trasmissione2 (Si veda il mio commento su Beltel scorso).
E lo stesso, come accennato, vale per la diffusione tramite supporto: infatti si può ipotizzare che la
normativa sulla pubblicità si applichi anche al caso di un DVD distribuito da una catena di noleggio
contenente un film e spot pubblicitari che lo spettatore non può evitare poiché, anche se la tecnologia utilizzata è diversa da quella televisiva, il risultato è analogo.
Sempre alla normativa sulla pubblicità potrebbe essere soggetto chi voglia trasmettere video-ondemand tramite UMTS o, se il canale è trasmesso senza bisogno della richiesta da parte dell’utente, occorrerà vedere se esso rientra nei limiti minimi previsti per il palinsesto di un fornitore di
contenuti e, nel caso, curare l’adempimento della normativa sulle opere europee, sulla tutela dei
minori, sulla trasmissione di notiziari, ecc.
La trasmissione, anche on-demand di trasmissioni facenti parti di vecchi palinsesti o di programmi
prelevati da palinsesti di emittenti straniere, potrebbe poi essere soggetta ad obblighi di informativa circa i possibili contenuti pubblicitari di tali trasmissioni.
All’inverso, programmi televisivi che utilizzano tecnologie quali la telefonia premium per consentire
ai telespettatori di intervenire, potrebbero costituire (come è successo per il programma di giochi
trasmesso da La7) violazioni della legislazione sulle lotterie e giochi a premi.
Un semplice sito Internet potrebbe, in base alla normativa attuale ed emananda facilmente essere
classificato quale “fornitore di contenuti” e il provider che ospita tale sito potrebbe, con un’ulteriore
opera di interpretazione estensiva, trovarsi inconsapevolmente a ricoprire il ruolo di “operatore di
rete” perché ospita un sito attraverso il quale è possibile effettuare un qualcosa di analogo alla
“diffusione radiotelevisiva”.
Allo stato quelle sopra sono per lo più ipotesi provocatorie. La speranza è che esse possano
stimolare gli operatori a ragionare a 360 gradi rispetto al quadro normativo vigente anche nell’ottica di elaborare, nell’attuale fase di “rifondazione” del sistema radiotelevisivo, proposte di “messa
a punto” dirette all’attenzione del legislatore.
2
Una regolamentazione del broadcasting digitale con un ambito più ristretto e specifico di applicazione, limitata alla
trasmissione via etere, era contenuta nel Regolamento 435/01/CONS (del quale è presente una sintesi su Beltel
scorso). Il Regolamento fu approvato circa un anno fa dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e sembrerebbe
ora, sarebbe, almeno in parte, implicitamente abrogato dalla approvanda normativa che prevede per tutti gli operatori
la possibilità ex lege di sperimentare la trasmissione con tecnica digitale terrestre. Il confronto tra la tecnica normativa
utilizzata nel Regolamento citato e quella utilizzata nel DDL Gasparri offre un ottimo esempio di come un ambito di
applicazione della normativa molto esteso e non accompagnato da un adeguato articolato, possa causare seri problemi interpretativi.
novembre 2002
Beltel
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dall’Antitrust
cronache di diritto della concorrenza e telecomunicazioni dal giugno al settembre 2002
Stefano Ciullo
Cleary, Gottlieb, Steen & Hamilton, Washington
Sviluppi di diritto comunitario della concorrenza
Local loop unbundling: abuso di posizione dominante di Deutsche Telekom?
Nel maggio 2002, la Commissione ha inviato delle risultanze istruttorie a DT, in cui si ipotizza che
l’operatore storico tedesco abbia applicato prezzi di accesso alla sua rete locale tali da comprimere
il margione dei concorrenti, in considerazione del ridottissimo scarto rispetto ai prezzi al dettaglio
della stessa DT. DT aveva poco prima modificato la sua offerta, onde la Commissione ha dato atto
dell’intervenuto miglioramento in senso procompetitivo; ma ha anche ritenuto tale miglioramento
insufficiente a far venire meno i propri sospetti di violazione concorrenziale.
La manovra imputata a DT non pare dissimile da quella per cui l’Autorità antitrust, nel 2001, ha
condannato Telecom per comportamenti tenuti nel mercato della connettività xDSL.
Contrattazione centralizzata diritti TV: bene per la Champions League (non per la Serie A!)
Nel giugno 2002, la Commissione ha deciso di approvare, mediante esenzione individuale, gli accordi
UEFA in virtù dei quali i diritti televisivi relativi alle partite di Champions League sono negoziati
centralmente mediante l’UEFA. La Commissione aveva manifestato preoccupazioni del tutto simili a
quelle che, nel 1999, avevano animato la decisione Vendita Diritti Televisivi dell’Autorità antitrust
italiana, con cui gli accordi di Lega Calcio relativi alla negoziazione centralizzata furono assimilati,
sostanzialmente, ad un cartello non suscettibile di esenzione (con la sola eccezione della Coppa
Italia: cfr. in questo stesso numero di Beltel la notizia del rinnovo di tale esenzione).
E’ chiaro che l’accordo tra possibili venditori che concordino di vendere collettivamente (anzi che
individualmente e quindi in possibile concorrenza tra di loro) costituisce di per sé una restrizione della
concorrenza.. Tuttavia, la Commissione ha deciso di tenere conto delle peculiarità del settore dei
diritti sportivi ed ha identificato i benefici sociali e di efficienza che conseguono alla contrattazione
centralizzata: ha quindi deciso di consentirla, dopo che le relative regole UEFA sono state modificate
in una duplice direzione: da un lato, creando un mercato ad hoc per i diritti Internet e UMTS, fino ad
oggi rimasti largamente non sfruttati; dall’altro, dividendo i diritti DTH in una serie di pacchetti da
commercializzarsi separatamente, con aggiudicazione sulla base di procedure concorsuali e per
periodi di esclusiva non superiori a tre anni.
In altre parole, la Commissione ha giudicato importante introdurre meccanismi concorrenziali
regolamentando l’offerta centralizzata, così da assicurare condizioni concorrenziali adeguate, piuttosto che impedendola: una strada diametralmente opposta a quella seguita dall’Autorità antitrust,
almeno con riferimento ai diritti della Serie A.
Concentrazione tra incumbents: Telia / Sonera
Nel luglio 2002, la Commissione ha autorizzato la concentrazione di Sonera, un gruppo di telecomunicazioni con attività in Finlandia, con l’operatore svedese Telia, attivo in tutta l’area nordica. La
Commissione originariamente temeva che, in considerazione della sovrapposizione orizzontale in
Finlandia tra le attività di Telia e quelle di Sonera, quest’ultima potesse rafforzare la propria posizione dominante ivi detenuta nel rispettivo mercato nazionale della telefonia mobile. A tale preoccupazione, le parti hanno posto rimedio impegnandosi a vendere ad un acquirente idoneo le attività di
Telia nel mercato della telefonia mobile finlandese.
Inoltre, la Commissione temeva i possibili effetti di integrazione verticale derivanti dalla forza di Telia
e Sonera in alcuni mercati al dettaglio nazionale (telefonia mobile e servizi per imprese), dal loro
novembre 2002
Beltel
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monopolio di fatto nel mercato all’ingrosso della terminazione di chiamate fisse e mobili nonché
dall’importante posizione detenuta nel roaming internazionale. A tale preoccupazione, le parti hanno
posto rimedio impegnandosi a cedere a terzi la rete di TV via cavo di Telia in Svezia (che costituisce
la principale alternativa all’esistente rete fissa) nonché a separare strutturalmente le loro reti e i loro
servizi di telefonia mobile e fissa, tanto in Finlandia quanto in Svezia.
L’operazione costituisce la prima in Europa tra due operatori storici di telecomunicazioni; la prima sarebbe
stata, ove non fosse stata rinunciata, la fusione tra Telia e Telenor cui l’operatore svedese e quello
norvegese non diedero corso nonostante l’approvazione della Commissione (cfr. Beltel luglio 2001).
Pay-TV: Telefonica/Sogecable
Nell’agosto 2002, la Commissione ha deciso di rinviare all’autorità antitrust spagnola, su istanza di
quest’ultima, la valutazione degli effetti dell’accordo di concentrazione tra le due piattaforme di televisione a pagamento spagnole, Via Digital (controllata dal gruppo Telefonica) e Sogecable (controllata dal gruppo Prisa e dal gruppo Canal+). Ad esito dell’operazione, Prisa e Canal+ continuerebbero
ad avere il controllo dell’unica piattaforma, in cui Telefonica manterrebbe una partecipazione rilevante. La Commissione ha individuato un serio rischio di creazione o rafforzamento della posizione
dominante di Sogecable nel mercato della pay-TV e nei mercati collegati (acquisizione di diritti televisivi
relativi a film premium; acquisizione e sfruttamento di diritti televisivi relativi alle partite di calcio delle
squadre spagnole; acquisizione di diritti televisivi relativi ad altri sport, e produzione e distribuzione di
canali tematici) nonché, grazie al legame mantenuto con Telefonica, un rischio di rafforzamento della
posizione dominante di quest’ultima nei mercati delle telecomunicazioni (naturalmente il mercato dei
servizi di accesso ad Internet, ma anche il mercato della telefonia fissa e servizi collegati, in considerazione della possibilità di garantire lo “one stop shopping” per servizi di comunicazione).
Sarà interessante verificare l’approccio delle autorità spagnole di fronte a una concentrazione che,
almeno per la parte relativa ai servizi pay-TV, presenta chiare similarità con l’ipotesi di concentrazione tra Stream e Telepiù, di cui l’Autorità italiana si è occupata già due volte, e di cui la Commissione
si sta occupando mentre scriviamo.
Telefonia mobile– smembramento di Blu
Tra l’agosto ed il settembre 2002 la Commissione ha approvato lo smembramento dell’azienda di Blu
- prevalentemente siti e relative stazioni - e la sua cessione ad altri operatori della telefonia mobile,
in particolare TIM (che acquisirà anche il pacchetto azionario), Vodafone/Omnitel e HRG. La Commissione è addivenuta a tale decisione dopo aver constatato l’assenza di un acquirente idoneo
all’acquisizione della partecipazione in Blu detenuta da Edizione Holding (già imposta dall’Autorità
come condizione per l’acquisizione di Telecom da parte di Pirelli e Edizione Holding), nonché le gravi
difficoltà economiche e finanziarie della stessa Blu. Pur non trattandosi di un caso di failing firm
defense (più semplicemente, l’analisi della Commissione parte dalla constatazione dell’impossibilità
di individuare l’acquirente idoneo per Blu, oggetto di precedente decisione), la ratio non è dissimile.
La Commissione ha anche tenuto conto dell’adozione, da parte del Ministero delle Comunicazioni e
degli operatori mobili acquirenti, di una serie di misure volte ad evitare il rafforzamento della posizione dominante di TIM (la quale consentirà l’accesso alla propria porzione di siti provenienti dall’azienda di Blu, a condizioni commerciali) e l’attribuzione di vantaggi permanenti agli attuali operatori GSM
nell’allocazione delle frequenze.
Sviluppi di diritto nazionale della concorrenza
Multiutilities: Enel/Infostrada
Nel giugno 2002, con motivazione resasi disponibile durante il mese di settembre, il Consiglio di Stato
ha in larga parte accolto l’appello dell’Autorità antitrust contro la sentenza del TAR Lazio, che aveva
annullato il suo provvedimento di approvazione, con condizioni, dell’acquisizione di Infostrada da
parte di Enel. Come noto, la decisione dell’Autorità, sulla scorta del rinvio disposto dalla Merger Task
Force (che aveva approvato l’operazione solo per i suoi riflessi sul mercato delle telecomunicazioni),
aveva configurato un rischio di rafforzamento della posizione dominante di Enel nel mercato della
fornitura di energia elettrica, ed aveva quindi imposto ad Enel, quale condizione per l’acquisizione di
Infostrada, la dismissione di 5500 MW sul mercato della generazione.
novembre 2002
Beltel
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Tale decisione, apparentemente estranea al mondo delle telecomunicazioni, suscita invece interesse
anche in tale ambito, per le sue motivazioni: infatti, l’Autorità ha ravvisato nell’integrazione con
Infostrada l’origine di un possibile vantaggio competitivo di Enel, consistente nel poter offrire ai clienti
un pacchetto integrato di servizi riferibili a mercati rilevanti diversi, e cioè servizi elettrici e di
telecomunicazione (cd. offerta “multiutilities”). Dopo che il TAR Lazio aveva annullato la decisione
dell’Autorità per erroneo accertamento della posizione dominante di Enel, il Consiglio di Stato ha
rovesciato tale decisione e sancito la legittimità dell’itinerario logico seguito dall’Autorità, ivi comprese le valutazioni in ordine allla posizione dominante e quelle sugli effetti della possibile offerta
multiutilities di Enel/Infostrada. Nel far ciò, il Consiglio di Stato ha ulteriormente precisato i confini
del sindacato di legittimità del giudice amminisrativo, ricordando che mentre quest’ultimo può e deve
rilevare l’inesistenza o inesattezza dei fatti alla base delle decisioni dell’Autorità, egli non può sostituirsi all’Autorità nelle complesse valutazioni tecnico-economiche che a questa spettano, nella valutazione di quegli stessi fatti.
Il Consiglio di Stato ha tuttavia considerato fondato uno dei motivi di gravame presentati da Enel, e
che il TAR non aveva considerato per assorbimento: quello secondo cui l’Autorità non ha mostrato il
carattere necessario e proporzionato del rimedio individuato (la dismissione di 5500 MW di capacità
generativa) rispetto al rischio competitivo ravvisato dall’Autorità. Conseguentemente, l’Autorità dovrà, se lo ritiene opportuno, adottare un nuovo provvedimento ad hoc, che potrà confermare l’approccio multiutilities, ma dovrà questa volta identificare (con adeguata motivazione) un rimedio caratterizzato da “proporzionalità della misura” e “corrispondenza al vantaggio competitivo ipotizzato”.
Contrattazione centralizzata diritti TV: bene per la Coppa Italia
Nel luglio 2002, l’Autorità ha deciso di rinnovare fino al 30 giugno 2005 l’esenzione individuale in virtù
della quale i diritti della Coppa Italia di calcio (ma non, come visto sopra, della Serie A o della Serie
B) possono essere negoziati in maniera centralizzata presso la Lega Calcio. Pur ribadendo che i
relativi accordi di Lega hanno carattere restrittivo della concorrenza, l’Autorità ha ritenuto che essi
danno luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato e comportano un sostanziale
beneficio per i consumatori. mediante restrizioni della concorrenza strettamente indispensabili a tale
scopo e non suscettibili di eliminare la concorrenza in una parte sostanziale del mercato.
novembre 2002
Beltel
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notizie dal mondo bancario
Cresce la spesa It delle degli istituti bancari europei
Anche se in maniera modesta rispetto al recente passato, continua a crescere la spesa in infrastrutture e soluzioni It da parte delle banche europee: un recente studio della società di consulenza statunitense Celent prevede, infatti, che entro la fine del 2002 gli investimenti
toccheranno quota 46 miliardi di euro, ovvero circa il
23% in più di quanto investiranno in It le banche commerciali americane. In particolare, entro tale data, saranno quattro le banche europee con investimenti It
oltre i due miliardi di euro. In cima alla classifica Deutsche
Bank, con 3,1 miliardi di euro di spesa informatica, poi
Ubs e Hsbc (con 2,8 miliardi di euro ciascuna) e Abn
Amro con 2,3 miliardi. Seguono Credit Suisse e Royal
Bank of Scotland con 1,6 miliardi.
Con Koç Financial Services, Unicredit sbarca in Turchia
Reso operativo l’accordo firmato lo scorso maggio tra
UniCredit e Koç Group, il principale gruppo industriale
turco, per lo sviluppo di una partnership paritetica in Koç
Financial Services (Kfs), società attiva nel settore dei
servizi finanziari con un ampio raggio di attività, dal bancario al leasing e factoring, dall’asset management
all’investment banking. Con un attivo a fine 2001 di 4,4
miliardi di dollari e 636 milioni in massa amministrata, Kfs
intende consolidare la sua quota di mercato in Turchia
con l’obiettivo di diventare uno dei principali gruppi finanziari per valore gestito.
Tim e Clarima lanciano CreditTIM
Grazie ad un accordo tra Tim e Clarima, banca del Gruppo
UniCredito Italiano, nasce CreditTIM, la nuova credit card
che unisce i vantaggi di una carta di credito a quelli di una
Tim Card. Con CreditTIM, infatti, sarà possibile, attraverso il cellulare, controllare le spese effettuate con la carta
di credito, essere avvertiti da un SMS se si sta superando
l’importo mensile scelto, scegliere se rimborsare le spese
effettuate a saldo o ratealmente, ma anche ottenere informazioni sul bancomat o la farmacia più vicini, e, grazie al
servizio Tim Automatica, ricaricare il telefonino con addebito direttamente su CreditTIM.
Il monitoraggio degli Atm Unicredito a Quercia
Software
Siglato l’accordo tra Unicredito e Quercia Software, società specializzata nello sviluppo di soluzioni per il corporate
banking e per la monetica, per il monitoraggio degli oltre
3.500 sportelli Atm del gruppo UniCredit su tutto il territorio nazionale. La soluzione proposta da Quercia Software
consentirà di individuare e risolvere gli eventuali
malfunzionamenti del circuito degli sportelli Atm grazie a
un’interfaccia che consente l’integrazione tra ambiente host
e ambiente web. Nel dettaglio, l’applicazione rileva le anomalie e trasmette la segnalazione del guasto a una procedura di trouble ticketing, che a sua volta genera una scheda di apertura guasto contenente una serie di informazioni
per la risoluzione dell’anomalia riscontrata.
“DoUWantIt.com”, il nuovo servizio per gli acquisti
on line di We@bank e CartaFacile
We@bank (Gruppo Bpm) e CartaFacile, prima carta
prepagata per acquisti su Internet, hanno annunciato un
nuovo servizio che consente agli utenti di fare acquisti sui siti
di e-commerce americani senza utilizzare la propria carta di
credito. Tramite “DoUWantIt.com” questo il nome del nuovo
servizio, e CartaFacile, infatti, sarà possibile fare shopping
online anche negli Stati Uniti, acquistando prodotti delle più
diverse categorie merceologiche. Oltre alle abituali soluzioni
di pagamento, sarà possibile acquistare online grazie a
CartaFacile oppure, per gli utenti del servizio We@bank, a
breve anche con addebito diretto sul proprio conto on line.
Partnership di co-marketing tra Olivetti Advalia e
Banca 121
Banca 121 e Olivetti Advalia, business unit di Olivetti
Tecnost dedicata alle soluzioni per l’ufficio, hanno siglato un accordo per la realizzazione di attività di comarketing. L’ intesa ha per oggetto iniziative di
merchandising “incrociato”, di comunicazione integrata
on e off line e di azioni rivolte a target selezionati di
clientela dai due attori. In particolare, i clienti dell’istituto di credito potranno usufruire di sconti e proposte
speciali sull’offerta di Olivetti Advalia.
(Vanessa Gemmo, CeTIF – Università Cattolica Milano)
novembre 2002
Beltel
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il digital networking della promozione finanziaria
Sergio Lonoce
Direzione Organizzazione e Sistemi, Responsabile Sviluppo Sistemi Banca 121
Il mondo delle reti di promozione finanziaria è oggigiorno un contesto in cui la multicanalità integrata
esprime al meglio le proprie intrinseche potenzialità: in tale ambito il promotore finanziario è spesso
obbligato ad affiancare la tradizionale attività di raccolta con un’articolata gestione manageriale che
appare sempre più condizionata dalla stretta relazione con le nuove modalità distributive click e
mortar (di cui il negozio finanziario rappresenta uno degli esempi più vincenti e concreti).
Nello scenario appena disegnato, Banca121 (soprattutto alla luce delle nuove direttive emanate dal
piano industriale del Gruppo Monte di Paschi di Siena) si connota come una realtà aziendale essenzialmente fondata sulla rete di promozione finanziaria e specializzata nel Personal Financial Services:
tale missione fonda il proprio operato su un’infrastruttura tecnologica evoluta e sull’integrazione fra
le componenti “business”. Sin dalla sua nascita Banca 121 ha perseguito in concreto il concetto di
multicanalità integrata nell’erogazione di servizi e prodotti innovativi.
La banca - come si evince dall’intrinseco portato semantico della propria denominazione - realizza il
concetto “one-to-one” anche attraverso l’utilizzo della tecnologia; ciò richiede una gestione delle
evoluzioni sia della piattaforma sia delle competenze, in anticipo sui normali tempi del mercato.
La capacità di anticipare i tempi e di realizzare soluzioni innovative è maturata, nel tempo, attraverso
un processo di cambiamento continuo ed è parte integrante del know how delle persone e della
struttura, confluendo in un insieme organico di conoscenze, di motivazione personale e di capacità di
gestione delle innovazioni nel business e nelle tecnologie, tramite un approccio pragmatico allo studio e alla realizzazione di nuove soluzioni.
Lo spirito di innovazione pervade tutta la struttura nell’ambito di un modello che non poggia su linee
definite di demarcazione funzionale in senso stretto e non trova schematica sistemazione in un’unica
entità delle competenze in materia di innovazione. Ne consegue che i progetti sono condotti da team
multidisciplinari dove tutte le componenti della catena del valore si integrano, cooperando al
raggiungimento degli obiettivi individuati.
Il modello adottato
Il modello di riferimento, in continua evoluzione, si basa su tre concetti fondamentali:
• innovazione della rete distributiva (a costi variabili) tramite lo sviluppo della rete promotori e dei
negozi finanziari in franchising;
• innovazione delle politiche commerciali, tramite l’individuazione e il consolidamento dei criteri di
segmentazione della clientela, l’analisi del mercato di riferimento, lo studio, la realizzazione e la
commercializzazione di specifiche offerte;
• innovazione tecnologica, tramite lo studio, la sperimentazione e l’introduzione di nuovi prodotti e
di architetture hardware e software nel contesto preesistente.
• La singolarità del modello evolutivo di Banca121, che può essere sintetizzato dallo schema seguente, è il risultato di un mix sinergico di componenti organizzative, commerciali e tecnologiche,
ed è: 1) fortemente specializzato, 2) integrato nelle sue componenti, 3) dinamico e flessibile
• Capacità di adattarsi in tempi molto brevi alle evoluzione dei processi e dei servizi e in grado di
acquisire, integrare e dare visibilità a tutte le componenti dati necessari al livello di aggregazione
opportuno (è il concetto di zero latency enterprise)1.
1
Cfr. C. Battistoni, L’ONTOGENESI DELL’AZIENDA DIGITALE: VERSO LA ZERO-LATENCY ENTERPRISE?, http:/
/www.tech.it/twire/mesi/articoli/tw-0004/0004013.htm
novembre 2002
Beltel
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La conoscenza acquisita, non soltanto meramente tecnica ma anche soprattutto funzionale, sia sulle
componenti personalizzate sia su quelle package, viene costantemente aggiornata sulle novità per
garantire, nel tempo, la capacità di adeguamento dell’intero sistema in tempi, costi e rischi ridotti e
controllabili. L’integrazione di tecnologia, di processi operativi e commerciali ha permesso di raggiungere un rapporto ottimale tra livelli di servizio condivisi e costi.
L’elemento distintivo della Banca si sintetizza poi anche nello sforzo di mettere a disposizione dei
propri promotori strumenti sempre più in grado di anticiparne le esigenze, garantendo standard
informativi e operativi efficienti soprattutto dal punto di vista della funzionalità e dell’efficacia operativa: tutto questo avviene avvalendosi di un infrastruttura multicanale che rispecchia l’offering rivolto
al cliente esterno.
In ogni negozio finanziario infatti, ogni promotore può disporre di una postazione collegata a Internet
a banda larga (hDsl) e operare in tutta sicurezza tramite una piattaforma applicativa Web based per
la gestione completa della relazione del cliente.
Quanto ai tipi di device utilizzati, focus group sul livello di soddisfazione dell’utenza interna hanno
dimostrato che il pc o il notebook è lo strumento operativo preferito (nonostante la possibilità di poter
già utilizzare alcune funzionalità come il palmare); una recente survay che Banca 121 ha effettuato
(tramite il proprio Osservatorio sull’innovazione e cambiamento) conferma questi risultati, indicando
una convergenza logica e non fisica dei canali con cui il promotore opera: in sintesi, il promotore
finanziario sa di poter disporre di diversi canali e ne modula l’utilizzo durante il giorno, poiché la
pratica indica che non è necessario che un unico strumento permetta di fare tutto questo. Vi sono
infatti evidenti motivi ergonomici per i quali – pur offrendo la mobilità - un dispositivo portatile non
potrà mai offrire tutte le comodità offerte da un device differente: appare quindi probabile che strumenti onnicomprensivi, che ambiscono di unire portabilità e piena funzionalità, sono destinati ad avere
scarso successo o almeno non quello che ipotizzano le strategie commerciali che ne sono alla base.
Oltre comunque alla piattaforma informatica accessibile via web, la multicanalità offerta al promotore si avvale anche del servizio telefonico 121 High Care, il “contact center” dedicato (Numero Verde
800-121.111) che Banca 121 mette a disposizione dei suoi 1.500 promotori finanziari. Non un semplice help-desk, ma una struttura integrata di consulenza e supporto a 360 gradi, articolata in sei aree
e presidiata da un team di consulenti.
121 High Care si propone, innanzitutto, come interfaccia unica che fornisce ai promotori assistenza
su tutti gli aspetti tecnico-operativi, anche attraverso il coinvolgimento delle altre unità organizzative,
fino alla completa risoluzione dei problemi (area Supporto operativo).
Inoltre, attraverso il numero verde è possibile accedere ad approfondimenti tecnici, commerciali,
economici, fiscali, ecc., sui prodotti e servizi di Banca 121 (Focus prodotti), e ottenere assistenza
sull’utilizzo degli strumenti per la pianificazione finanziaria, quali il sito di Personal financial Planning,
i tool di asset allocation e il personal risk profiling-var, ecc. Il promotore finanziario può anche contare
su un ampio ventaglio di news e di approfondimenti su titoli, finanza e mercati (notizie macroeconomiche
e finanziarie, quotazioni, indici e benchmark, ecc.), per ottimizzare le scelte di investimento dei clienti
(Focus Finanza e Mercati). Gli operatori di 121 High Care supportano, inoltre, i promotori nell’attività
di negoziazione degli strumenti finanziari (Phone Trading). In un’ottica di Customer Relationship
Management evoluto, infine, è possibile ottenere assistenza nella progettazione e gestione di campagne di marketing diretto rivolte sia a clienti potenziali che, in una logica di cross-selling e up-selling,
clienti già acquisiti (Focus campagne commerciali). 121 High Care si inserisce armonicamente, rafforzandolo, nel modello di piattaforma tecnologica e informativa multicanale realizzata da Banca 121
a servizio esclusivo della rete di promozione finanziaria. Chiave di volta della piattaforma è l’HUB121,
struttura dedicata che soddisfa l’operatività di Back-Office di tutta l’attività della promozione finanziaria, dei Negozi Finanziari e delle teleboutiques.
Il sistema informativo ha un insieme di componenti personalizzate, fondamentali per la realizzazione
dei servizi innovativi, che integrano le componenti package e standard di mercato. In tal modo, oltre
a conservare la possibilità di mantenere il sistema complessivo aggiornato ai nuovi rilasci del software
applicativo ed agli sviluppi della tecnologia di base (sia hardware che software), si contengono i costi
di sviluppo ed i rischi di progetto circoscrivendoli alle attività di system integration.
novembre 2002
Beltel
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Conclusioni
Da questi assunti, la tendenza che sta progressivamente maturando è una graduale “umanizzazione”
della tecnologia, cioè l’uso della stessa realmente connaturato alle esigenze del cliente-fruitore: la
non-dipendenza da essa ma il concreto miglioramento della vita dell’utenza.
L’utilizzo dei canali tendente a una convergenza logica – e non fisica – unitamente a potenti servizi di
CRM raggiungono nuovi confini del marketing relazionale, traducibili come circoli virtuosi che creano
benefici tanto per l’azienda quanto per i propri clienti: i movimenti del cliente generano delle tracce
che possono influenzare la creazione di nuovi prodotti e/o servizi integrati, producendo azioni di
fidelizzazione prima impensabili.
Per concludere sarebbe opportuno riflettere macroscopicamente sulla malmessa new economy per
la quale (tenendo conto dell’ineludibilità della rivoluzione messa in atto da Internet) probabilmente
una fase realistica deve ancora iniziare (anche se i primi feedback dalla realtà hanno iniziato a
influenzare le scelte di chi sta operando nella new economy e soprattutto di chi sta muovendo i primi
passi). In questa fase si assisterà ai primi veri successi commerciali a prova di naufragio poiché
supportati dalla rivoluzione culturale che nel frattempo si sarà consolidata sugli errori del passato e
sulla diffusione della conoscenza.
novembre 2002
Beltel
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forum
banda larga contro telefonia mobile
L’articolo “Banda larga contro telefonia mobile”, apparso su Beltel di settembre, ha stimolato le
critiche di Girolamo Di Genova da un lato, di Antonello Conte e Fabrizio Giusti dall’altro, che sono
state pubblicate in ottobre.
Sandro Frova risponde a Di Genova, Conte e Giusti
“Evidentemente la premessa del mio articolo, da cui discendeva il commento successivo, non
è stata sufficientemente chiara, e di ciò non posso che scusarmi con i lettori. Semplicemente
trovavo - e trovo- sbagliata l’idea ventilata in qualche sede che le riduzioni della cosiddetta
terminazione (ovvero la somma girata dai fissi ai mobili per le chiamate fisso/mobile) potessero essere “ribaltate” positivamente in aumenti della cosiddetta retention (ovvero la quota di
spettanza dei fissi per le chiamate fisso/mobile) invece di andare a ridurre il prezzo finale per
i consumatori. Di questo avevo discusso, e non del livello attuale e futuro della terminazione
fisso/mobile; i recentissimi orientamenti dell’AgCom, ove confermati, vanno nel senso di comprimere sia la terminazione sia la retention di Telecom Italia.
Comprendo le motivazioni e le momentanee difficoltà degli operatori fissi “non Telecom Italia”,
e mi sono assolutamente chiare le fatiche di chi deve competere con un ex monopolista;
tuttavia continuo a non capire la logica di questo eventuale spostamento di ricavi e, di conseguenza, mantengo la mia posizione!”
novembre 2002
Beltel
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price cap, una meritata pensione
Giovanni Crea
Public & Economic Affairs Telecom Italia
Le premesse storiche del price cap
La regolamentazione preventiva (ex ante) dei prezzi al consumo ha origine da una condizione di
mercato legata all’offerta esclusiva dell’operatore storico, esercitata in virtù della Concessione
ricevuta dall’amministrazione per la fornitura dei servizi di telecomunicazioni ad uso pubblico. Nella
maggior parte dei paesi europei, lo squilibrio tariffario ha rappresentato la caratteristica storica di
questa situazione: per garantire a tutta la popolazione la possibilità di effettuare e ricevere telefonate, le tariffe di alcuni servizi sono state fissate al di sotto degli effettivi costi; si tratta del collegamento alla rete telefonica (accesso) e della telefonia urbana, per i quali si è registrato un deficit (in
particolare sull’accesso), per lungo tempo remunerato con la fissazione di condizioni economiche
maggiorate per i servizi di comunicazione a lunga distanza, nazionale ed internazionale.
Con l’apertura dei mercati alla concorrenza e la rimozione dei diritti di offerta esclusiva per gli
operatori storici, il mantenimento dello schema di “sussidio incrociato” non è stato più possibile,
perché non compatibile con il dispiegarsi dei meccanismi competitivi. Nella quasi totalità dei paesi
europei è stato, pertanto, introdotto lo strumento del price cap1, il quale ha consentito di raggiungere simultaneamente diversi obiettivi, segnatamente:
1. l’incentivazione dell’operatore storico ad una maggiore efficienza e l’aumento di benessere per
la collettività, direttamente correlato alla diminuzione dei prezzi;
2. mettere l’operatore storico nella condizione di “battere il cap”. Una discesa dei costi di produzione maggiore o inferiore di quella attesa si traduce automaticamente in un aumento o una
diminuizione dei profitti. Inoltre, se il recupero di efficienza dell’operatore è superiore al cap i
benefici si traslano l’anno successivo su tutto il sistema, in particolare, in termini di riduzione del
listino di interconnessione;
3. il ribilanciamento tariffario, in particolare il risanamento del deficit gravante sul servizio di
accesso (in Italia, è stato introdotto uno specifico sub cap per monitorarne e contenerne gli
effetti sui consumatori). In una situazione di squilibrio dei prezzi, non sarebbe possibile esercitare la concorrenza sui servizi offerti sottocosto e, allo stesso tempo, sussisterebbe il rischio di
ingressi inefficienti nei servizi offerti molto al di sopra dei costi.
Il ribilanciamento è stato attuato con lentezza per tutelare i consumatori che meno avrebbero
beneficiato della concorrenza.
L’osservazione delle odierne condizioni di mercato che caratterizzano l’offerta dei servizi di telefonia vocale, porta a ritenere la “missione” regolatoria del price cap conclusa con successo. Per
1
In Italia, il ricorso al meccanismo di price cap, è stato previsto dalla Legge n. 481/95 per garantire la promozione della
concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità. Successivamente, la Legge n. 249/97 ha disposto, con l’articolo 4, comma 9, il suo impiego quale strumento di determinazione delle tariffe del servizio telefonico, con
l’obiettivo del ribilanciamento tariffario e dell’orientamento ai costi dell’operatore “concessionario”.
novembre 2002
Beltel
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proteggere questo risultato positivo sono stati necessari altri provvedimenti dell’Autorità; citiamo,
a questo proposito (a) le prescrizioni stabilite in materia di condizioni economiche agevolate del
servizio di telefonia vocale destinato a particolari categorie di clientela2 e (b) la revisione, per gli
anni 2001 e 2002, del valore di sub cap stabilito per i prezzi dell’accesso, attuata allo scopo di
completare il ribilanciamento tariffario entro la data del 1 luglio 20023.
Il paradosso del price cap
Il prolungamento del regìme di price cap potrebbe rivelarsi più critico che opportuno, compromettendo il buon funzionamento del mercato. Risolte le questioni che fino alla manovra di luglio 2002
ne hanno costituito le ragioni fondamentali, il mantenimento di un simile meccanismo rischia di
disincentivare la propensione della clientela alla sostituibilità del fornitore e, per contro, di accentuarne la vischiosità. In queste condizioni, il naturale gioco della concorrenza sarebbe verosimilmente sostituito da un comportamento degli operatori alternativi tendente all’allineamento automatico dei prezzi attorno al ceiling, via via stabilito con il suddetto meccanismo. Esemplare, a
questo proposito, è il parere reso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’ambito
del progetto di Riforma della Regolazione e promozione della Concorrenza4, avviato dal Governo;
sul punto (“Fissazione di prezzi massimi e price cap come strumento generale di regolazione”)
l’organo antitrust osserva che:
“[…] al di fuori delle ipotesi di monopolio per i servizi pubblici o di casi particolari di protezione del
consumatore […] in cui effettivamente può essere necessario un intervento regolamentare di
fissazione dei prezzi massimi, occorre riflettere sull’effettiva necessità dello strumento per perseguire obiettivi di interesse generale, tenendo conto anche dei costi e delle controindicazioni che vi
sono connessi.
In particolare, la fissazione regolamentare dei prezzi massimi agevola la collusione tra le imprese
che sono indotte ad allineare il proprio prezzo a quello individuato dal regolamentatore, verso
l’alto […]. Pertanto, nei mercati non caratterizzati da situazioni di monopolio, in presenza di regole
antitrust che vietano le intese restrittive della concorrenza e l’abuso di posizione dominante, la
fissazione dei prezzi massimi costituisce una tipologia di intervento di regolamentazione non efficiente […].
In altre parole, nelle nuove condizioni di mercato, il price cap potrebbe rivelarsi uno strumento che
danneggerebbe insieme l’operatore notificato, i concorrenti e, in ultima analisi, i consumatori. Nei
tre anni appena trascorsi l’operatore storico ha potuto ridurre i costi anche grazie a situazioni
irripetibili e comunque esaurite; ha già razionalizzato gli investimenti, eliminando quelli giustificati
in un contesto di monopolio come contributo al sistema Paese; ha sfruttato la crescita del traffico
fisso-mobile e del traffico Internet. La riproposizione del price cap sarebbe ancor più grave per i
concorrenti, i quali hanno bisogno di ricostruire i loro margini per finanziare investimenti in infrastrutture in un momento in cui è difficile ricorrere a capitali esterni. Il price cap potrebbe rivelarsi
– paradossalmente – una barriera all’ingresso, favorevole al mantenimento della posizione dominante dell’operatore notificato; anzi, al ritorno ad un monopolio di fatto. La riduzione dei livelli di
2
3
4
DELIBERA N. 314/00/CONS – Determinazione di condizioni economiche agevolate per il servizio di telefonia vocale a
particolari categorie di clientela, 1 giugno 2000. In questo provvedimento l’Autorità (i) ha definito i criteri socio-economici con riferimento ai quali verificare l’appartenenza della clientela alle categorie sociali, (ii) ha indicato i servizi
oggetto di abbordabilità e (iii) ha stabilito la misura dell’abbordabilità.
DELIBERA N. 330/01/CONS – Applicazione ed integrazione della DELIBERA N. 314/00/CONS “determinazione di
condizioni economiche agevolate per il servizio di telefonia vocale a particolari categorie di clientela, 1 agosto 2001.
DELIBERA N. 847/00/CONS – Revisione dei valori del sistema di “Price Cap” di cui alla DELIBERA N. 171/99, 11
dicembre 2000.
DELIBERA N. 469/01/CONS – Revisione dei valori del sistema di “Price Cap” di cui alla DELIBERA N. 171/99 alla luce
degli effetti prodotti dall’applicazione del “Sub Cap” relativo a contributi e canoni di cui alla DELIBERA N. 847/00/
CONS, 19 dicembre 2001.
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Attività di segnalazione e consultiva: Riforma della regolazione e
promozione della concorrenza (AS 226), Bollettino n. 1-2, 28 gennaio 2002, pag. 113.
novembre 2002
Beltel
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investimento che ne deriverebbe per l’operatore dominante e per i concorrenti “superstiti”, sarebbe finanziata anche dai consumatori, i quali pagherebbero in termini di minore surplus ricevuto
attraverso il calo dei prezzi.
Conclusioni
Il maggior indice di successo di uno strumento regolamentare ex ante si coglie quando, raggiunto
il suo obiettivo, esso “va in pensione”.
Tuttavia – per la tranquillità dei fautori della regolamentazione ex ante – in questa prospettiva, il
retail price cap potrà essere opportunamente sostituito da due sistemi di regolamentazione avanzati; il network cap ed il retail price floor (test di prezzo). Il ricorso ad un modello di cap appare,
infatti, necessario per regolare l’offerta nei mercati intermedi, in particolare quelli dei servizi di
interconnessione e di accesso disaggregato alla rete locale, per i quali le condizioni strutturali ne
giustificano l’applicazione. Nell’ottica riformatrice della regolazione, il binomio “network cap–test di
prezzo” appare l’impianto regolatorio più idoneo. Il network cap assicura, con il progressivo passaggio ai costi di tipo LRIC, la continuità nel recupero di efficienza dell’operatore notificato e la
riduzione dei costi per i concorrenti. In assenza di accordi di cartello (sui quali deve vigilare l’Autorità di Concorrenza), il mercato garantirà la discesa dei prezzi, il benessere per la collettività ed il
corretto dimensionamento dei profitti e degli investimenti. Il test di prezzo, recentemente introdotto dall’Autorità di settore5, può costituire il nuovo strumento di controllo per i prezzi retail, alternativo al price cap; con esso si sostituisce il riferimento al “tetto” tariffario (price ceiling), stabilito con
la riduzione annuale dei prezzi, con un “pavimento” tariffario (price floor), ridotto, anch’esso annualmente, secondo la regola di network cap.
Alla logica del price cap subentrerebbe un algoritmo di verifica delle offerte finali, proposte dagli
operatori notificati, ispirato a criteri di copertura dei costi e di parità di trattamento interna ed
esterna. Inutile, anzi dannosa, la loro applicazione congiunta.
Le opinioni espresse dall’autore sono personali e possono non coincidere con quelle della società
5
DELIBERA N. 152/00/CONS – Misure atte a garantire la piena applicazione del principio di parità di trattamento interna
ed esterna da parte degli operatori aventi notevole forza di mercato nella telefonia fissa, 15 maggio 2002.
novembre 2002
Beltel
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internet: l’eldorado del marketing virale
Stefano Santucci
Responsabile Sviluppo Iniziative Internet Elitel
From: m.tesini@____.it
Sent: lunedì 7 ottobre 2002 13.12
To: [email protected]
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stefano santucci just sent you money with PayPal.
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ciao
marco
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Se è la prima volta che ricevete un messaggio simile allora non ci sono dubbi ....
il viral marketing vi sta contagiando!
novembre 2002
Beltel
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Ma procediamo per gradi torneremo dopo su cosa si cela dietro questa email. Innanzi tutto proviamo ad inquadrare lo scenario generale provando a dare una definizione di “Viral Marketing” con
l’aiuto di Seth Godin teorico e specialista di questa tecnica.
“Il marketing virale è un innovativo sistema di marketing che punta a creare un ambiente all’interno del quale il messaggio marketing o idea (virus) viene propagato dal consumatore stesso (in
gergo “sneezer” colui che starnutisce) e non dal marketer che, secondo le tecniche tradizionali,
utilizza agenzie specializzate (media company) e canali di comunicazione adeguati (stampa, video,
eventi, ecc.) per raggiungere il maggior numero di consumatori o aziende appartenenti al settore
di mercato d’interesse.”
Anche se a prima vista può sembrare il tradizionale “passaparola” nel quale un individuo informa
personalmente altri individui, di un prodotto, di un servizio o una novità ci troviamo davanti ad un
meccanismo di comunicazione, relazioni e interessi che non è così facile da attivare al fine di
ottenere risultati significativi quale sostituto o complemento del marketing tradizionale.
Infatti, anche se nel suo insieme risulta apparentemente semplice ed estremamente economico, rispetto
ai costi di una campagna di comunicazione tradizionale, tale sistema risulta realmente efficace, “infettando” una significativa quota di mercato, solo se vengono rispettati una serie di passi fondamentali.
Nel caso specifico delle internet companies o di aziende che intendono utilizzare il canale internet
all’interno della propria strategia aziendale, si possono elencare:
1. Creare un prodotto o servizio che sia completamente nuovo rispetto all’offerta tradizionale o che
migliori realmente e sensibilmente la vita dei consumatori o delle aziende alle quali ci si rivolge
2. Incapsulare l’offerta all’interno di un “idea virale” che fornisca forti motivazioni (economiche,
pratiche o emotive) agli utenti in modo che agiscano loro stessi da propagatori del virus
3. Colmare il vuoto di offerta alzando barriere che rendano difficile ai competitori la propagazione
della loro idea di virus
4. Assicurarsi una customer ownership creando alti costi di switching per il cliente (cambiamento di fornitore)
5. Ottenere dagli utilizzatori il permesso di instaurare un dialogo bidirezionale continuativo
(permission marketing) che consenta di monitorare e migliorare continuamente la propria offerta a vantaggio del profitto di entrambi consumatore e fornitore
6. Rilasciare costantemente nuovi servizi che possano a loro volta essere incapsulati in nuove idee
virali utilizzando la base di clienti già acquisita quale propagatore dei nuovi virus.
Personalmente ritengo non esista nessun substrato, anche non necessariamnte tecnologico, migliore di una rete di comunicazione globale come internet per facilitare un rapido ed efficace
sviluppo di questa tecnica.
Se pensiamo ad internet non solo come a una rete trasmissiva ma all’intero sistema che include i
contenuti web, le e-mail, il multimedia, la facilità e la velocità di delivery di messaggi e di nuove
applicazioni web estremamente complesse integrate con sistemi di trattamento di enormi basi di dati e
non ultimo la possibilità di automatizzare processi anche estremamente complicati di tipo interaziendale,
novembre 2002
Beltel
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ecco che abbiamo davanti il contesto nel quale pensare a qualcosa di alternativo al marketing tradizionale basato storicamente quasi esclusivamente su una comunicazione monodirezionale.
Ecco anche la necessità di estendere i parametri con i quali normalmente si stilano i business plan
sotituendo o perlomeno affiancando alle assumption tipiche di “marketing costs”, “market
redemption”, “sales costs”, anche quella di “coefficiente di propagazione” e se ne vedono di belle!.
Esistono vari esempi di iniziative che hanno raggiunto un grande successo proprio grazie al “viral
marketing” tra questi i servizi di free mail, le cartoline elettroniche gratuite, le mailing list umoristiche con i loro “segnala ad un amico”, i software peer to peer per lo condivisione di musica e video,
gli SMS, i servizi di pagamento person to person, ecc.
Proprio tra i servizi di pagamento person to person è doveroso citare l’americana PayPall
(www.paypal.com) nata per semplificare i pagamenti sicuri tra gli utilizzatori di aste on line. Il
servizio consente a chiunque di inviare e ricevere somme di denaro notificando il pagamento,
anche ad un utente sconosciuto al sistema e quindi non registrato al servizio, semplicemente
conoscendone l’indirizzo di posta elettronica. La mail ricevuta riportata nell’esempio iniziale, magari inattesa, notifica l’intenzione di trasferire denaro a favore del ricevente che non dovrà fare altro
che accettare cliccando sul link di registrazione al servizio incapsulato direttamente nella mail
ricevuta. E’ facile intuire che gli utilizzatori fungano da sneezer di questo servizio.
Per fornire qualche dato esplicativo basti pensare che l’azienda Paypall, Inc. nata solo alla fine del
1998 ad oggi è operante in 38 nazioni, nel primo semestre 2002 gestito transazioni tra i propri clienti
per oltre $3 billion, ha raggiunto i 17 milioni di utenti registrati di cui oltre 3 milioni sono business
account con 28.000 nuovi sottoscrittori al giorno, con una chiusura stimata per il 2002 di $230
million revenues derivante da transaction fees.
A questo punto poniamoci due domande: “quanto costa normalmente ad un’azienda acquisire 28.000
nuovi clienti al giorno?” se, come probabile, per incassare i 45 Euro della mail nell’esempio decido di
registrarmi al servizio il costo di acquisizione per Paypal inc. del sottoscritto è prossimo allo zero (ignoriamo per semplicità l’ulteriore ciliegina di $5 di promozione temporanea), il costo è stato solo qualche
minuto di tempo a carico del mio amico per attivare la transazione!. Seconda domanda “come migliora
lo scenario in esempio se si prova ad immaginare un’estensione del servizio non solo alla notifica via
mail ma magari all’utilizzo di SMS, agli MMS, agli IVR su telefonia mobile e fissa, ecc.?”.
Per approfondimenti sul marketing virale suggerisco di leggere il libro manifesto dell’idea “Unleashing
the Ideavirus” di Seth Godin scaricabile anche gratuitamente in formato elettronico dal sito
www.ideavirus.com.
Proprio nello spririto del marketing virale nel sito si legge:
RUBA QUESTA IDEA
scarica il libro gratuitamente
spediscilo ad un amico
discutine
sottoscrivi le news
Curioso apprendere che sia stato il libro in formato elettronico più letto della storia e nonostante
solo nei primi 30 giorni di pubblicazione online abbia avuto 400.000 lettori che lo hanno scaricato
gratuitamente, la versione cartacea è stata ed è tutt’ora un successo di vendite in libreria e nei siti
di vendita di libri online.
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Beltel
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informatica tra convergenza e divergenza compatibile
Massimo Messina
Direttore Sistemi Informativi Albacom
C’era una volta l’informatica vista come una penna che aiutava a scrivere, come una calcolatrice
che aiutava a fare conti, come un artefatto che aveva lo scopo di rafforzare la biologia dell’uomo,
una sorta di protesi a quelli che Popitz chiama gli elementi del circuito di regolazione tecnicoorganica dell’uomo: la mano, l’occhio e il cervello. Incontrando la rete, l’informatica ha tuttavia
consentito un’altra angolazione: il computer offre sia nuovi modelli mentali sia un nuovo medium
sul quale proiettare idee e fantasie. Ci si rivolge all’informatica non solo per scrivere un testo, fare
calcoli, generare prospetti, ma anche per comunicare, sentire gente nuova, viaggiare nelle culture
di paesi lontani, fare solidarietà sociale. In altre parole l’informatica si concretizza in un computer
soggettivo, ed è un soggetto estremamente carismatico che ci prende e che può indurre profondi
cambiamenti nel modo in cui noi vediamo il nostro sé, spostando l’attenzione da quello che i
computer fanno per noi a quello che i computer fanno a noi, al modo con il quale il computer sta
amplificando certi fenomeni relazionali o alla rappresentazione di “ambiente protetto”, detto anche
Cyberspace, in cui sperimentare nuove identità.
In altre parole, gli elaboratori stanno cercando sempre più di sostituirsi al genere umano, non solo
nelle loro capacità di calcolo ma anche come elementi d’intimità e di relazione. Ma proprio invadendo la nostra sfera più intima li utilizziamo per combattere la solitudine e sensi di insicurezza desiderandoli sempre più vicini a noi nella loro funzionalità soggettiva creando la domanda per il
pervasive computing che diventa anche wearable computing ma che deve essere rigorosamente
always on, always connected.
Vedremo più avanti che l’utilizzo di questi apparecchi non sarà comunque per tutti, almeno all’inizio, incrementando se vogliamo la digital divide; la forbice tra gli individui che hanno
un’alfabetizzazione informatica avanzata e chi non ce l’ha si allarga. Sarà un percorso complesso
che non lascerà la nostra quotidianità inalterata, così come non l’ha lasciata il telefono cellulare. Ad
esempio, nel mondo del terziario avanzato è sempre più ricercato un tipo di lavoro “mobile”, in cui
l’attività prevalente viene svolta in completa libertà dalla sede di lavoro facendo affermare, non
solo nelle aziende più all’avanguardia, un fenomeno di groupware e di cooperazione online che
sembra spostare il concetto di telelavoro al di là delle definizioni che trovavamo in letteratura fino
a qualche anno fa.
E’ facile realizzare che questo settore non si basa sulla fabbricazione ma sulla trasformazione di
beni esistenti; la produzione che si viene a creare è di per se una produzione intangibile, immateriale. Sotto il profilo dei fattori di produzione, mentre prima l’energia naturale e l’energia creata
erano parte fondamentale del sistema di trasformazione delle risorse, oggi, nel terziario, abbiamo
soprattutto la trasformazione attraverso il computer, la macchina fondamentale del sistema postindustriale; così come le risorse strategiche per il periodo pre-industriale erano le materie prime e
di quello industriale il capitale, per quello post-industriale esse si concretizzano nella conoscenza.
La conoscenza manipolata dal computer diventa quindi una risorsa strategica fondamentale dell’economia stessa e di qui la necessità di una pervasività sempre più spinta. Si tende a lasciare alle
macchine il lavoro ripetitivo o banale, per lasciare agli esseri umani il lavoro creativo.
Le persone riprendono il loro posto al centro del processo produttivo, anche se questa volta il
lavoro non viene associato alla fatica e ai ritmi lenti della natura, ma viene associato a qualcosa di
novembre 2002
Beltel
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immateriale: l’informazione. A crearla non servono braccia, ma menti creative. E queste menti
devono comunicare; essere in relazione tra di loro. Spostando il fuoco dal luogo nel quale il lavoro
si svolge al contenuto del lavoro stesso e alla disposizione dei gruppi che concorrono alla produzione, diventa immediatamente chiaro che l’utilizzo intensivo di tecniche di groupware consente di
sviluppare organizzazioni aziendali che superano le barriere tradizionali delle infrastrutture industriali e introducono strutture nuove, basate su più di una dimensione funzionale, le quali interagiscono
tramite relazioni che molte volte prescindono dai confini aziendali e nazionali. Telelavorare non
sarà considerato più per certe professioni una condizione speciale. Il telelavoro sarà embedded
nell’azienda virtuale che a sua volta farà parte del Cyberspace come entità integrata, tanto integrata che la possibilità del mix della vita lavorativa, personale e di intrattenimento è diventata praticamente realtà. La demotica è poi un’altra prospettiva della medesima necessità, partendo dalla
sfera privata, sulla quale varrà la pena di approfondire in altro momento.
E’ in questo contesto che la parola convergenza si sviluppa ed è sempre più utilizzata, talvolta
scambiando il termine convergenza con il termine “digitale” o “connesso”. Ciò dipende dalla forte
relazione che la digitalizzazione ha con l’avvio del processo di convergenza. Gartner indica con il
termine “digital convergence” il convergere di informazioni, media, networks, storage intorno alla
rappresentazione digitale. Quindi convergenza di contenuti e non di apparecchi e, se per
digitalizzazione intendiamo la trasformazione di informazioni analogiche come audio, video, testi,
in un formato digitale che può essere memorizzato e trasmesso elettronicamente, il fatto di avere
disponibile informazioni di questo tipo uguali su apparecchiature diverse, non necessariamente
implica che esse siano “convergibili”.
Complice di questa confusione è la disponibilità di software sempre più sofisticati di compressione
e processori sempre più veloci per l’esecuzione degli algoritmi, che hanno consentito di poter
comprimere queste informazioni in spazi sempre più ridotti. Aggiungete a questo, del software che
può essere eseguito su piattaforme diverse senza modifiche, tecnologie di memorizzazione di
massa sempre più spinte, ed il gioco è fatto. Avrete in mano dei gioielli tecnologici sulla linea del
confine con il futuro; apparecchi multifunzionali che offuscano i confini di responsabilità tra le varie
soluzioni costringendoci ad avere informazioni duplicate e quasi sempre da sincronizzare.
Ma se nella convergenza digitale dei contenuti oramai gli standard sembrano essere abbastanza
chiari, nel caso dei device la questione è tutt’altro che definita. La telefonia ha avuto modo di
ottimizzarsi per decine di anni intorno alla voce ed alla sua applicazione, sino a raggiungere
un’interoperabilità a livello planetario; invece sulla parte dati ci sono almeno tre momenti di
frattura: il device, il protocollo di comunicazione e le applicazioni. Su di essi prosperano le
differenziazioni degli standard e delle tecnologie, che poche volte sono causate da difficoltà tecniche, ma quasi sempre dalle solite lotte tra fazioni industriali e vendors che cercano di competere
imponendo soluzioni proprietarie ed elementi di differenziazione nelle soluzioni proposte. Ma perché stupirsi quando abbiamo sul nostro tavolo in salone almeno 4 telecomandi (uno per il videoregistratore, uno per il dvd, uno per il televisore, uno per lo stereo)?.
Allo stesso modo, negli ultimi anni si è assistito a un proliferare di apparecchiature che sono
derivate da un bacino di consumatori molto individualistici che hanno spinto in direzioni diverse,
richiedendo l’accesso alle stesse informazioni attraverso canali diversi. L’industria, pressata da
margini sempre più bassi, si è attrezzata sviluppando soluzioni software che tramite rendering
trasformano lo stesso contenuto per device diversi. Ma di nuovo si lavora sul contenuto; le modalità applicative sono tante e tanti gli usi che variano nel tempo (anche a distanza di qualche ora)
che avere un unico apparecchio che inglobi tutte le peculiarità d’utilizzo o avere dei best-of-breed
è praticamente impossibile. Il problema dovrebbe quindi essere visto in un modo diverso; invece di
forzare la convergenza tecnologica occorrerebbe forzare la compatibilità tra la divergenza creando
una divergenza compatibile.
novembre 2002
Beltel
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L’informatica è sicuramente fattore di unificazione in questo processo sia dal punto di vista della
tecnologia sia da quello delle interazioni tra il device e la persona come abbiamo visto in precedenza. Un esempio di tecnologia abilitante è sicuramente Java che, con la sua versione Java 2 Micro
Edition (J2ME), potrebbe rappresentare un fattore unificante dal PC verso la telefonia mobile e
PDA. Sempre nella stessa direzione di convergenza troviamo Microsoft che non sta e non starà a
guardare con la sua piattaforma .net Compact Framework sulla quale sono stati fatti enormi investimenti; il gigante di Seattle da sempre professa l’integrazione PC-Home-Phone-Car attraverso
Windows CE e non ha nessuna intenzione di perdere questa guerra. Nell’altra direzione (telefono
convergente verso PC/PDA) troviamo il Symbian OS utilizzato da diversi brand. Symbian OS è stato
studiato per telefoni 2G, 2.5G e 3G.
Sia che si vada in una direzione piuttosto che in un’altra, la ricchezza funzionale è notevole e, con
varie differenze tra una soluzione ed un’altra, può essere così riassunta:
applicazioni come contacts, schedule, messaging, browsing, office, utility e system control;
modalità per inter-scambiare oggetti come appuntamenti e biglietti da visita; supporto del
browser consentito sia in modalità full che WAP; gestione multimedia messaging tramite
MMS, picture messaging con EMS e text messaging con SMS; Internet email utilizzando POP3,
IMAP4, SMTP, MHTML; standard attachments; fax ; audio recording e playback, funzionalità di
gestione immagine (supporto per tutti I formati più comuni di audio e video), includendo API
accellerazioni grafiche, streaming e direct screen access; wide-area networking stacks che
includono TCP, IP version 4, IP version 6 and WAP, e personal area networking stacks con
infrared (IrDA), Bluetooth, USB; International locale support; Data synchronization; Security,
encryption, certificate management, secure communications protocols (including HTTPS, WTLS
and SSL), WIM framework e installazione di applicazioni certificate-based.
Altre soluzioni tipizzate sulle applicazioni utilizzano software e device specializzati, mantenendo
però la possibilità di interscambiare le informazioni nei formati più comuni, curando particolarmente la facilità di utilizzo e la rapidità di accesso alle informazioni pertinenti all’uso previsto. Un
esempio è l’applicazione Blackberry di Research in Motion, un palmare con un display di dimensioni al giusto compromesso e di una tastiera. Può funzionare sia come telefono cellulare sia accedere
molto semplicemente a funzionalità e-mail in mobilità su rete GPRS.
Parlando della difficoltà di utilizzo di questi apparecchi è bene sottolineare che il bacino di consumatori è molto differenziato. In una recente ricerca, l’Università Bocconi nell’analizzare la domanda
di multimedialità evidenzia quattro segmenti di utenti distinti in base all’età: Spregiudicati (1518 anni), Esperti (19-24 anni), Pavidi (25-39 anni) e Convertiti (40-55 anni). Le prime due
categorie sono i consumatori più disinvolti che, caratterizzati da un approccio precoce, pratico ed
esplorativo al mondo telematico, imparano per tentativi ed errori. Con forte interesse e curiosità
per le tecnologie la categoria sopra i 40 anni (Convertiti). Chi ha tra i 25 e i 39 anni (Pavidi) mostra
un marcato senso di saturazione, utilizza le tecnologie quotidianamente per lavoro e non nutre
aspettative particolarmente elevate sulla loro utilità al di fuori di contesti prestabiliti, utilizzando gli
strumenti tecnologici in spazi e tempi confinati e stabiliti.
Va considerato che ai primi due segmenti appartengono giovani esposti sin dall’infanzia alle
potenzialità dell’informatica rendendoli cittadini di diritto di un mondo cibernetico di cui noi al
massimo saremo cittadini naturalizzati. La valutazione del consumo dei device non potrà prescindere da queste segmentazioni che polarizzeranno la domanda da una parte verso apparecchi
semplici da utilizzare e soprattutto da configurare e, dall’altra, verso soluzioni avanzate che consentiranno un accesso mobile mai avuto prima.
Per concludere, alcune riflessioni. Prima fra tutte quella sui costi; a parte il pagare il giusto per la
banda usata (oggi GPRS e domani UMTS) occorrerà avere l’insieme dei device abilitati alle nuove
novembre 2002
Beltel
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tecnologie e questo potrebbe essere meno accettabile in ambiti non aziendali. Anche il business
model di alcune offerte dai contenuti convergenti non è ancora ben definito, aprendo interrogativi
sulle modalità di fatturazione dei servizi. Per le applicazioni, tutti alla ricerca delle killer application,
anche se Messaging e l’email oramai sono evidenti. Molto probabilmente un buon impulso sarà
dato dagli MMS (se i costi saranno paragonabili agli SMS). Altre applicazioni emergenti: PIM,
Servizi di localizzazione/InfoMobility, chat, photo management, work force automation, web-tv.
La richiesta di multifunzionalità crescerà, specializzandosi intorno a queste applicazioni ma occorre
ricordare una lezione imparata nel passato: questi consumatori sono fortemente individualistici ed
è molto difficile prevedere il loro comportamento. Così come è successo per l’SMS, saranno i
consumatori che eleggeranno le killer applications e queste potranno essere molto diverse a secondo del segmento di consumo.
Per i device continuerà a essere fondamentale la compatibilità dei contenuti e quindi dei formati
dati la cui condivisione potrebbe avvenire presto attraverso una sorta di Personal Data Wallet; un
dispositivo bluetooth che metterà a disposizione di PDA, Notebook, e cellulare le informazioni di
uso personale come contatti, appuntamenti documenti da tenere sempre a portata di mano. Il
Personal Data Wallet è oggi sostituibile dalle Compact Flash Cards e dalle Secure Digital Cards che
hanno però l’inconveniente di dover essere fisicamente spostate da un apparecchio all’altro. La
connettività potrà essere semplificata dall’utilizzo di Wireless Virtual Intranet (WVI) che determineranno automaticamente il tipo di accesso tramite un profilo e maschereranno la rete che si
utilizza (GSM, GPRS, Wi-Fi, UMTS).
Insomma tante novità tecniche e tante nuove metafore di utilizzo, tanto da portare qualcuno a
paragonare la svolta del percorso verso la “persona connessa” a quello dalla radio verso la televisione; dal suono alle immagini più suono.
Può darsi....., speriamo solo che il bottone di power-off sui device sia sempre facilmente accessibile
e che qualche volta ci si ricordi di premerlo.
Le opinioni espresse dall’autore sono personali e possono non coincidere con quelle della società.
novembre 2002