La Giostra - Libertà Edizioni

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La Giostra - Libertà Edizioni
Libertà Edizioni
In fondo la morte non è che l’inizio di un viaggio e la vita è il
tempo che ci è stato concesso per preparare i bagagli.
C’è chi ha bisogno di pochissimo tempo per farlo e c’è chi invece
non ha mai abbastanza tempo, perché ha aspettato l’ultimo
minuto o perché è sempre stato indeciso su cosa fosse importante
portare e quando è giunto il momento di iniziare il viaggio
ormai non ha più tempo.
Non è una questione di quantità e non abbiamo bisogno di
borsoni o zaini, tutto quello che ci serve per il viaggio sta nel
nostro cuore, di conseguenza più siamo riusciti ad allargare il
cuore e più bagaglio riusciamo a portare con noi.
Certo se avessi saputo da subito tutto questo…
Alessandro Rindi
La Giostra
RACCONTI
Libertà Edizioni
La Giostra
La Giostra
Prefazione
Dopo l’opera d’esordio, L’ombra dei burattinai, pubblicata
da Libertà Edizioni nel 2009, Alessandro Rindi torna a
pubblicare una sua opera con lo stesso editore.
Stavolta sono racconti brevi, graffianti, dove lo stile
onirico si fonde al naif col risultato di un’opera
intellettualmente convincente, onesta, che ancora una
volta, come nell’opera d’esordio, ruota attorno alle
domande fondamentali circa il senso della vita, il destino
dell’uomo.
L’opera è tormentata, la vita è una stazione, il vero viaggio
è il prossimo, dopo la morte, quali bagagli portare nel
viaggio vero, quello che verrà dopo la vita presente?
Il percorso pare accidentato, la via piena di trappole che
sembrano avere l’infernale scopo di indirizzare altrove
rispetto alle risposte giuste, a confondere.
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La società, le convenzioni, nasciamo su un binario da
noi non scelto e viviamo una vita preconfezionata che
ci porta… dove?
L’autore non è un rivoluzionario, ma avverte l’esigenza
di ripartire da una tabula rasa, di rifare consapevolmente
ogni scelta volendo dire un sì o un no alla luce della
propria volontà e della propria libertà.
Ricordi graffianti affiorano dal passato, la vita difficile
di tempi ormai lontani sembra avere con sé la crudezza
di una verità che il benessere sembra adesso oscurare,
addormentando le coscienze, le volontà, le libertà.
Affiorano anche le risposte positive. Il bagaglio che
conta sta nella valigia del cuore, è questa che va resa
grande e riempita di amore. Il cuore e l’amore, i bagagli
che davvero contano nel viaggio ultimo, che ci porterà
alla nostra vera casa, alla nostra vera vita.
Marco Battista
I libri di Alessandro Rindi possono essere acquistati
sul sito di Libertà Edizioni
www.libertaedizioni.net/autori/rindi
oppure prenotati scrivendo a
[email protected]
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Adesso comincio a capire, è solo un sogno, e io ci
sono quasi cascato. Però sembra così vero, riesco a
sentire perfino i profumi delle donne sedute di fronte
a me che adesso mi fissano facendomi intravedere le
loro gambe con movimenti lenti e sensuali. Se è un
sogno anch’io le fisso guardandole negli occhi e tra le
gambe, se è un sogno non rischio niente. Stranamente
non mi vergogno e non provo nessun imbarazzo, anzi
tutto questo mi eccita.
Sono bellissime.
Che strano posto, non ci sono pareti ma prati infiniti
che allontanano l’orizzonte fino a far perdere la misura
dello spazio. Fieno alto e giallo carico del calore di fine
estate.
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Loro sono sempre lì, ridono e bisbigliano, ammiccano.
Ma se tanto è un sogno mi avvicino e provo a dire
qualcosa alle splendide donne che ora miracolosamente
sono sdraiate tra l’erba alta.
Stranamente non riesco a parlare, posso solo
ammiccare, come stanno facendo loro con me.
Il loro profumo è inebriante, e mi sembra di sentire nel
mio intimo una materica sensazione tattile della loro
pelle liscia e morbida, delle loro cosce calde e vellutate,
del leggero appiccichio che c’è tra le loro gambe
accavallate vicino all’inguine, come un bacio leggero e
umido di saliva.
Si è alzato il vento. Ora le loro vesti candide e sottili
volteggiano nell’aria, lentamente, scoprendo sempre
più i loro corpi. S’intravedono i seni e a seconda delle
leggere folate si percepisce perfino la loro morbida ed
elegante peluria.
Con l’aumentare del vento le loro bianche vesti si
slacciano e iniziano a volare nel cielo, lasciando i corpi
scoperti. Si alzano lentamente, spinte lontano dal vento
perdendosi poi nell’orizzonte. Io rimango immobile a
guardare i loro corpi ormai rimasti nudi.
Sento il calore del sole e la brezza di fine estate. Una
splendida fotografia di un agosto sulla costa. Dopo il
fieno, in lontananza, s’inerpicano sulle colline i vigneti
a perdita d’occhio, come verso l’infinito. Filari di foglie
verdi e uva matura, tutti in fila, disegnati, precisi, ritmati.
Le donne ora corrono tra le viti cariche di grappoli
rossi. Io resto sempre immobile a guardare rimanendo
comunque abbastanza vicino a loro.
Si mescolano i profumi di donna ai profumi della
vite e della campagna, il sudore si fonde con la terra
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e l’odore di pelle e di sensualità femminile si lega al
profumo dell’uva, uva rossa dai grappoli rigonfi e
carichi di acini ricchi di succo, come quelle donne,
rigonfie e cariche di traboccante erotismo.
Mi volto e dietro le mie spalle vedo una grande giostra
coi cavalli di legno colorati con alti pennacchi bianchi
sulle teste, che gira lentamente. Non c’è nessuno
a manovrarla, sembra magicamente viva. Ci stava
aspettando.
Ad un tratto tutte le donne corrono assieme,
fortissimo, come una gara, corrono verso la giostra
per cercare di scegliere il loro cavallo. Dodici donne
e dodici cavalli.
La giostra ora è ferma. Sono tutte sul proprio destriero,
nude e con i capelli al vento. Capelli lunghissimi come
le criniere dei cavalli della giostra.
La giostra aspetta il via da me.
Tutte le donne mi guardano, e aspettano che faccia
qualcosa. Non so cosa fare, non trovo la martinicca,
non so come far girare la giostra. Così inizio a
spingerla, a mano, con tutte le mie forze, e la giostra
lentamente inizia a muoversi. Ora la giostra gira da
sola, come spinta da una energia superiore, invisibile,
potente.
Mi fermo a guardare il girare dei cavalli, e lo sventolare
dei capelli e delle criniere che vanno ad appoggiarsi sui
capezzoli dei perfetti seni delle volteggianti amazzoni.
La giostra gira veloce e l’aria spostata fa muovere
l’erba alta attorno. In contemporanea tutte le dodici
donne mi mandano un bacio, che sento fisicamente,
potente e morbido pieno di lussuriosa passione, che
mi fa quasi godere.
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La giostra gira sempre più forte, così forte che ad un
tratto inizia ad alzarsi. Vengo invaso da una profonda
tristezza. Ma è un sogno, è impossibile tutto questo.
Mi rendo conto che sto sognando ma sono comunque
triste.
La giostra ora gira velocissimo, e la forza centrifuga la
fa alzare in alto.
Alzo gli occhi al cielo e la vedo allontanarsi, e con “lei”
le dodici donne. Io rimango immobile a guardare.
La giostra è ormai un puntino alto nel cielo.
Ma io sono nudo, mi hanno visto nudo! Non me n’ero
reso conto.
Ma è un sogno, è impossibile tutto questo. Mi
vergogno comunque.
Devo andare in bagno, ho un bisogno urgente di
andare in bagno.
Ma ci sono solo campi e vigneti. Bene la farò qui tra
questi due filari d’uva, speriamo che non arrivi nessuno.
Sono in ansia, e mi cola un po’ del mio prodotto lungo
una coscia. Stacco una foglia d’uva e cerco di pulirmi
guardandomi intorno con circospezione per vedere se
arriva qualcuno.
Si è alzato i vento, un vento forte che mi fa cadere
all’indietro facendomi sedere sul risultato del mio
mal di pancia. Il vento sta aumentando sempre più.
Alzo gli occhi al cielo e vedo altissima la giostra con i
cavalli. Evviva !!! stanno tornando.
Devo pulirmi bene, stanno tornando le bellissime
donne, e non voglio farmi trovare sporco e puzzolente.
Sono felice, le donne stanno tornando. Ma il vento
ora è fortissimo, e mi schiaccia al suolo facendomi
rotolare.
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Adesso sono sporco dappertutto, e il puzzo è
insopportabile anche per me.
Ma è lo stesso, le donne stanno tornando. Mi devo
pulire velocemente, ormai sono vicine, sempre
più vicine, troppo vicine. Mi schiacceranno.
AAAAIIIIUUUTTTOOOOO!!!!!!!!!!
È uno spettacolo bellissimo, dodici donne che girano
nude su una giostra di cavalli bianchi dai pennacchi
lunghissimi, in un campo di fieno alto.
L’orizzonte è disegnato dai filari d’uva matura col
vento che muove delicatamente le foglie. È caldo, il
caldo di fine agosto, tutto intorno, a perdita d’occhio,
non c’è nessuno.
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Una grande voglia di luce
Io intanto guardo fuori e cerco oltre la mia verità.
Ho aspettato a lungo qualcosa che non c’era, senza
accorgermi del sole che sorgeva di fronte a me.
A volte penso che non la troverò mai, così mi perdo
nell’assurdità delle cose, e il vortice del tempo
m’ingloba e con forza mi proietta nell’irreale.
Su quali basi valuto cosa sia reale e cosa sia irreale?
Specialmente da qui, nell’infinito della mia anima.
Tutto viene mosso dalle emozioni, dai sentimenti,
dall’amore e dalla disperazione. Tutto si mescola,
passato, presente, eternità. Sembra di sognare.
Anche da qui cerco sempre qualcosa che si elevi oltre
al banale, all’ovvio, quel qualcosa in più che renda
imprevedibile e magica la vita e l’eternità, altrimenti
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tutto sarebbe scontato e noioso e sarebbe difficile
trovare l’energia per adeguarsi anche allo stallo del
tempo. Il concetto stesso di eternità mi faceva paura,
non riuscivo nemmeno ad immaginarlo, come se fossi
risucchiato da una grande voragine nera che spingeva
con forza il tutto verso il nulla. E invece è stato così
semplice, tanto semplice che era quasi impossibile da
immaginare.
Non so se essere deluso o felice, immaginavo un
grande spettacolo pirotecnico, suoni di trombe
per poi finalmente trovare l’estasi. Alla fine è come
ricominciare da una nuova dimensione, con una nuova
consapevolezza, con una grande presa di coscienza,
ma non è ancora la fine.
Avevo un sogno, quello di riuscire a volare.
Immaginavo sempre di alzarmi in volo, spinto da
un’energia sprigionata dalla mia mente e controllata
dal mio pensiero. Pensavo che se mi fossi allenato
moltissimo nel controllo del potere della mia mente,
sarei riuscito a sviluppare la capacità di far levitare
le cose, magari partendo con oggetti piccoli, e con
l’esercizio e la costanza sarei riuscito io stesso ad
alzarmi da terra e a far volare il mio corpo e la mia
anima.
Così provavo e far muovere tutti gli oggetti, cucchiaini
da caffè, fogli di carta, matite. Ma niente. Sudavo
perfino dallo sforzo che facevo per concentrarmi. Ore
e ore, giorni e giorni.
Provavo, provavo, provavo, ma niente.
Quando un giorno, il miracolo, la mia tenacia e i miei
allenamenti avevano dato il loro primo frutto.
Si mosse, sì la matita si mosse, e non di poco.
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Continuai, senza interrompere la magia, i miei
faticosissimi allenamenti.
Dalla matita passai ai libri, dai libri ad oggetti più
grandi come vasi da fiori e pentole.
Avevo vinto. Adesso dovevo riuscire ad alzarmi in
volo io stesso.
Continuai ad esercitarmi per molti mesi fino ad
arrivare ad essere bravissimo. Riuscivo a far muovere
e ad alzare di tutto, avevo il controllo, il controllo
totale su qualsiasi tipo d’oggetto.
Non l’avevo detto a nessuno, avevo paura di essere
giudicato, di essere preso per pazzo. Esercitavo il mio
potere solo di nascosto in camera mia. Ero eccitato e
mi sentivo potentissimo.
Un giorno fui invaso da un profondo senso di paura.
Mi sentivo isolato e non capivo dove stavo andando.
La realtà era diventata più rarefatta e vedevo la vita
dall’esterno, come guardare un film, era come se
fossi diventato uno spettatore della mia esistenza.
Continuai con tenacia ad esercitarmi e finalmente
riuscii ad alzarmi.
Mi sollevai da terra quasi di un centimetro. Anche
se per pochissimo tempo, per un solo istante, c’ero
riuscito.
Aumentai ancora di più l’intensità dei miei
allenamenti, sempre di nascosto e senza dire niente
a nessuno, giorno e notte. Non vedevo più nessuno,
non mangiavo più. Più mi allenavo e più riuscivo ad
alzarmi, ma più mi alzavo più diventavo trasparente.
Imparai finalmente a volare.
Più mi alzavo e più la mia figura sbiadiva, fino ad
arrivare ad essere invisibile.
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Ero diventato un invisibile uomo volante.
Mi esercitavo a volare solo la notte, sorvolando la
città in un raggio abbastanza ristretto. Mi piaceva
andare alto nel cielo, nel nero dell’infinito, fino a
quando ero in grado di sopportare il freddo. Nessuno
poteva vedermi, così spesso scendevo in picchiata
velocissimo. Volteggiavo libero nell’infinito delle
cose. Riuscivo a sentire tutta l’esistenza insieme, come
un’unica energia vitale sprigionata dalla stessa fonte
eterna. Solo e nello stesso tempo parte di un tutto.
Come scendevo di quota però riprendevo i miei
colori e tornavo ad essere completamente visibile
appena toccavo terra. Praticamente ero diventato
un supereroe. Volavo sempre più alto e sempre più
veloce. Era bellissimo. A volte mentre sorvolavo il
mondo mi capitava di piangere dalla commozione.
Mi mettevo ad osservare la città, le strade e i tetti delle
case sembravano un grande plastico, vedevo le teste
delle persone piccole come bottoni, il loro muoversi
freneticamente con le loro auto che sfrecciavano
all’impazzata, come se non avessero una vera meta,
solo correre per correre. Sembrava che il mondo si
muovesse ad un ritmo innaturale.
Avrei voluto vedere in faccia quelle persone, ma non
potevo perdere quota altrimenti tornavo visibile e avrei
dovuto dare troppe spiegazioni. Riuscivo a sentire le
loro sensazioni, i loro pensieri, la loro energia vitale.
Quanta potenza, quanto amore e quanta disperazione
trabocca dai cuori della gente. Da terra non l’avevo
mai percepito, ma da lassù, in volo, alto nell’infinito,
riuscivo a sentire tutte le anime che urlavano disperate
ed impaurite.
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Vedevo i loro corpi rincorrere il tempo come se
fossero immortali, in un’angoscia continua e senza
mai essere nel presente.
In breve tempo cominciai a volare con maggior
sicurezza e trovai alcuni punti strategici dove atterrare
senza essere visto da nessuno, ma sempre e solo di
notte.
Dopo quasi un anno che facevo le mie consuete
escursioni notturne ebbi una bellissima sorpresa.
Non ero il solo a saper volare.
Una notte, mentre sorvolavo dall’alto la spiaggia,
sentii una voce che mi disse:
“Anche tu qua?”
Poi un sibilo, ed ancora:
“Da dove vieni?”
Ma non vedevo nessuno. Allora, tremante, domandai:
“Ma chi sei?”
E sentii di nuovo la stessa voce che mi rispose:
“Ma non mi vedi?”
Sbalordito domandai di nuovo:
“Dove devo guardare?”
E la stessa voce rispose:
“Di fronte a te.”
Ma io non vedevo nessuno e così rimasi in silenzio.
Con calma la voce mi disse:
“Non hai ancora imparato a vedere bene. Ho capito.
Ascoltami attentamente e fai esattamente quello che ti
sto per dire. Chiudi gli occhi e tappati le orecchie, poi
soffia più forte che puoi fino a quando i timpani non
ti fanno un male insopportabile. A quel punto riapri
gli occhi.”
Feci esattamente quello che mi aveva ordinato la voce.
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Chiusi gli occhi e, dopo essermi tappato le orecchie,
iniziai a soffiare più forte che potevo fino a provare un
dolore fortissimo, così riaprii gli occhi e vidi di fronte
a me fluttuante nell’aria un ragazzo che mi guardava
sorridente.
“Finalmente mi vedi! Meglio fare le presentazioni, io
mi chiamo Nico e tu?”
“Io Alessandro. Credevo di essere l’unico a saper
volare, non pensavo che ci potesse essere un’altra
persona in grado di farlo.”
“Un’altra persona? Siamo in tantissimi. Vieni con me.”
Iniziammo a volare velocissimo lungo la spiaggia,
seguendo la linea della costa. Vedevamo la scia delle
barche come righe sottili fatte con gessetti bianchi su
una enorme lavagna scura.
Ad un certo punto iniziai a sentire altre voci in
lontananza.
Continuammo a volare seguendo la linea della spiaggia
e più andavamo avanti più le voci diventavano chiare.
Iniziai a vedere molte altre persone che volteggiavano
nel cielo. Parlavano, giocavano, s’inseguivano. Non
avrei mai creduto possibile tutto questo.
Iniziarono le infinite presentazioni. Nico mi fece
conoscere tutti, come ad una festa, ragazzi e ragazze,
bambini e bambine, donne e uomini, vecchi e giovani,
tutti lì nel cielo, altissimi nell’infinito della notte,
illuminati solo dalla luce tremante delle stelle.
Era come se fossero tutti pronti a partire, per andare
chissà dove.
Ad un certo punto decisi che era meglio tornare a casa.
Chiamai Nico per salutarlo, anche lui doveva partire, e
gli dissi che sarei andato via, che sarei tornato a casa.
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Nico diventò serio e, in silenzio, iniziò a guardarmi in
modo quasi imbarazzato. Con voce calma ma decisa
mi disse:
“Non puoi più tornare a casa.”
Iniziai a tremare, una paura glaciale e tagliente di colpo
invase tutta la mia anima. Risposi urlando:
“Ma come? Stai scherzando? Non può essere così! Io
devo tornare a casa!”
Guardandomi freddamente negli occhi, Nico mi disse
in modo diretto che più chiaro non avrebbe potuto:
“Alessandro, tu sei morto.”
Di colpo mi sentii come immerso con violenza nel
ghiaccio, ma durò solo un attimo.
Mi resi subito conto che il cuore non mi batteva forte
nella gola come avrebbe dovuto fare in casi come
questo. Tutto il trambusto della vita terrena era sparito,
mi sentivo come abbracciato da una quiete materna
che mi poneva in totale pienezza con l’universo.
Capii che ero morto veramente.
Nonostante l’inaspettata notizia mi sentivo bene, anzi
ero per la prima volta veramente sereno e finalmente
in armonia con tutto il creato.
Così, in pace e con serenità, mi preparai anch’io come
gli altri alla partenza, anzi non vedevo l’ora, perché
mi ero proprio rotto di volare sempre e solo nel buio
della notte. In quel momento avevo una grande voglia
di luce.
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Alquanto strana la mia paura del buio
Alquanto strana la mia paura del buio, comunque cerco
di vederci i suoi occhi o almeno le cose più emozionanti
del viaggio. Sono arrivato così vicino al mostro da
sentirmi clandestino del niente, strisciando sull’asfalto
ancora caldo di questa strada obbligata.
Non m’importa più di fulminarmi all’insegna del nulla,
vorrei vivere solo d’aria e d’energia.
Di fronte, precisi in fila per terra, fogli di carta bianchi e in
lontananza luci dai mille colori. Abbraccio la solitudine e
seguo quei fogli stando attento a non scivolare, cercando
di andare in fretta per paura che si alzi il vento e li faccia
volare via. Hanno detto che erano venuti a cercarmi, ma
ho cambiato il mio volto sbeffeggiandoli e nel dubbio
ho gettato tutto nelle ortiche.
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Voglio stare ad aspettare, mi sento malato e vorrei che
tu venissi ad asciugarmi le ferite. Mi sento alle corde
ma domani ti cercherò anche se ormai le rose hanno
iniziato ad appassire.
Ho troppi nemici e troppi fantasmi e non riesco più ad
avere voglia delle mie idee, adesso il tutto si confonde
ma forse se entro questa notte avrò attraversato la
valle riuscirò a rapire le nuvole e a portarle con me e
in un momento avrò coperto tutte le distanze.
Io amo te, amo come t’immagino, amo i tuoi sogni,
amo la forza dei tuoi sguardi.
Ormai non dormo più. L’intensità del ricordo del
ritorno illumina l’orizzonte. Sono pazzo? Forse, ma
solo così posso restare vivo.
Cerco pareti bianche dove le ombre riflesse siano
nitide, per poter leggere con estrema facilità il mio
futuro, però vedo solo rotaie, infinite rotaie, che
spariscono nella nebbia.
Portato avanti da strisce di vento gelido affondo le
unghie sul muro lasciando linee rosse di angoscia e
brandelli di pelle. Il dolore è talmente forte che quasi
non lo sento più, ma la visione delle ossa scoperte e
consumate mi turba e mi toglie lucidità.
Vago a tentoni tra alberi e rocce inoltrandomi passo
passo nell’ovatta gelida e silenziosa lasciando scie
rosse sul sentiero e questo mi dà sicurezza per l’ipotesi
di un eventuale ritorno.
Il tanfo della paura è fortissimo e io a questo punto
sono rotto dentro. Adesso non lascio nemmeno più
segni lungo la via.
Ormai sono niente, sono solo respiro. Vorrei sentire
ancora la materia. Ho un corpo.
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Devo trovare la chiave per materializzarlo anche fuori
dalla mia mente, ma cedo al ricordo di te e della tua
pelle cullandomi nella perduta virilità.
Un giorno mi chiederai dove ti avevo amato, ed io
non saprò risponderti perché le salive hanno fermato
il tempo e l’immaginario si è confuso con la vita vera
grazie alla mia infinita solitudine. Vorrei raccontarti di
tutte le volte che mi sono addormentato al tuo fianco,
inebriato dal profumo del tuo collo, e di tutte quelle
volte che ci siamo seduti in quel piccolissimo caffè. Il
vero amore forse può essere anche a senso unico, l’ho
letto moltissime volte negli occhi della gente.
In questo muco scivoloso finalmente nella mente
materializzo te, così trovo l’energia per farmi materia
in questo gelo fatto di attimi infiniti, annaspando nella
confusione della tua presenza. Finirò per liquefarmi
anch’io in questa melma gelida e viscida. Vorrei che ci
fosse la tua mano a tirarmi fuori per potermi stendere
su un lenzuolo bianco e profumato, senza tenere più
sotto controllo tutte le mie frustrazioni. Vorrei poter
volare per arrivare prima alla fine delle rotaie.
Ora mi riposo solo per qualche ora, ormai credo che
il cammino sia breve e al mio risveglio non mi sentirò
più perso perché inizierò ad intravedere il tuo sguardo.
Finalmente sento di nuovo il mio corpo, ora mi sento
quasi un uomo e mi pare di aver ritrovato la forza di
correre.
Ho chiaro ogni singolo giorno che non ho vissuto con
te. Sembrava comunque vivere e sentivo comunque
il peso delle scelte anche se non dipendeva da me,
credevo di muovermi per amore anche se inseguivo
solo le ombre.
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Ormai manca davvero poco, sento già le grida in
lontananza.
Mi lancio in una corsa affannosa come se stessi
fuggendo invece di arrivare.
Mi manca il fiato e il battito del cuore mi sta soffocando
la gola dandomi martellate sul petto.
Ormai corro ad occhi chiusi guidato dall’istinto e non
dalla vista, corro nell’ombra e tra la nebbia ricoperto
di sangue seccato e di schiuma. Ho la certezza di poter
vivere ancora e di poter essere di nuovo un uomo. Il
viaggio mi ha cambiato e ha tagliato via tutti i ricordi
latenti e tutte le emozioni inutili. Mi sveglio, mi lavo.
Sono tornato.
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Domani se è bello vado al mare
Un grande falco dalle piume di un nero lucente e con
occhi profondi mi dice di accomodarmi. Rimango
perplesso, ma non ci trovo niente di strano, è solo un
falco.
Chi non ha mai visto un falco? Ma un falco cameriere?
Boh, si vede che in questo locale hanno assunto falchi
come camerieri, per velocizzare il servizio, ti servono
al volo.
Dopo pochi istanti arriva una bellissima ragazza con
un vassoio e un taccuino, si ferma accanto a me e mi
chiede cosa voglio ordinare.
- Il solito. Rispondo io.
Anche se non ricordo più quanti “soliti” ho bevuto
questa notte, ma fa lo stesso.
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Sto bene e mi sento alla grande, anche se mi sembra di
aver visto l’ombra di Topolino.
Grande la musica questa sera, avrei voglia di ballare
ma le gambe non mi reggono.
Meglio cercare di tornare a casa in qualche modo.
Questa sera tu non c’eri, lei era fuori con i suoi amici,
e l’altra non mi vuol più vedere.
Me ne torno solo soletto a casa.
Meglio a piedi, primo perché non sarei in grado
di guidare e poi perché non ricordo più dove ho
appoggiato la macchina.
Un cassonetto mi chiede di accendere. Rimango
perplesso ma non ci trovo niente di strano, solo
che non ho fiammiferi e non ho nemmeno voglia di
rispondergli, quindi continuo a camminare dritto e a
testa bassa.
Poi alzo lo sguardo per guardare la luna. Bellissima,
rotonda, sembra vicinissima e con due occhioni
grandi e sorridenti. Mi guarda e mi chiede cosa faccio.
Rimango perplesso ma non ci trovo niente di strano,
chi non ha mai parlato alla luna? Ma adesso è la luna
che parla a me? In fondo questo è solo un piccolissimo
particolare trascurabile. Non ho voglia di rispondergli,
gli mando un bacio con la mano con un gesto teatrale
e romantico e proseguo per la mia strada.
Adesso ho la consapevolezza che la vita ha troppe
sfumature, ed è un peccato che la maggior parte io le
perda per colpa della fretta. Anche ora avrei potuto
scambiare qualche parola con la luna invece di tornare
subito a casa.
Meglio affrettarmi perché mi sembra di barcollare
pericolosamente.
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Mi manchi troppo. Una volta facevamo l’amore e ora
non mi vuoi più. Che tristezza. Almeno se ci fossi
stata un’ultima volta. Ma proprio questa sera dovevi
uscire con i tuoi amici?
Il passato non c’è più, credo proprio che ci sia un
errore. E questa sera tu non ci sei.
Mi viene da vomitare, meglio muovermi. Avrei voglia
di te, questa sera che è una sera bellissima, devo stare
solo. C’è sicuramente un errore.
Forse arriva qualcuno. Un’ombra si avvicina
lentamente. Se ha voglia di guai mi trova, questa sera
sono imbattibile, c’è anche la luna piena, se si avvicina
gli spacco la faccia. Meno male che ha girato, meglio
per lui, questa sera sono spietato.
Vomito.
Perché non mi vuoi più?
Vomito ancora.
Sono quasi arrivato, manca poco, meglio comunque
se mi siedo un attimo a recuperare un pochino.
Domani se è bello vado al mare.
Le donne che conosco non mi piacciono, non ne
conosco nessuna come te.
Ce la posso fare adesso, manca poco e anche se è
veramente difficile rimanere in piedi, va bene, ce la
posso fare.
Cavolo un cane mi ha pisciato sul piede, porca troia
anche questa.
Che ore saranno? Non ho idea, e con questo buio non
riesco nemmeno a leggere l’orologio.
Che bello c’è una fontana, ora mi do una rinfrescata,
magari mi sciacquo la faccia e bevo un sorso d’acqua.
Meglio mettere tutta la testa sotto l’acqua.
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La Giostra
Caspita è freddissima. Vomito.
Meglio cercare di pulirsi un po’, anche il piede piscioso.
Praticamente mi sono fatto il bagno.
Però bello, ora sto benissimo, fresco e quasi lucido, e
con una nuova energia per tornare a casa.
Non capisco perché non mi vuoi più. Noi, che una
volta facevamo l’amore.
Sono arrivato.
Il falco che prima faceva il cameriere nel locale adesso
mi apre la porta. Rimango perplesso, ma non ci trovo
niente di strano, è solo un falco. Chi non ha mai visto
un falco?
Ringrazio e saluto cordialmente, ma sono convinto
che ci sia qualcosa che non va, io non ho mai avuto
un falco come portiere.
Conviene spogliarmi nel bagno e mettere i vestiti in
lavatrice, poi subito a letto.
Ma che profonda tristezza, ho capito che tu non ci
sarai più.
In culo alla sveglia, qualunque ora sia e qualunque
giorno sia, io domani vado al mare.
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La Giostra
Sono qui
Sono qui, in casa mia. Con l’esattezza sono seduto
nella mia cucina è sto guardando la mia sala che si
apre imponente al di là del mio ingresso, con le
tende colorate delle varie tonalità dell’arancio e i due
grandi divani blu. Bevo il mio vino buono e ho soldi
in cassaforte. Rimango seduto, appoggiando i gomiti
sul mio tavolo da pranzo, un tavolo freddo, di vetro
verde, e guardo con distacco le foto appese alla parete.
Non ho ancora capito.
Domani mattina, come tutte le mattine, mi alzerò
senza un vero obiettivo, ma solo per istinto di
sopravvivenza, compiendo i soliti gesti come una
macchina automatizzata, il solito schema quotidiano
mi toglie l’entusiasmo e la voglia di andare oltre.
31
La Giostra
La mia personale rabbia interiore sta scavando
voragini nel mio stomaco concentrandosi poi nella
mia testa come una tanaglia che stringe costantemente
le mie tempie.
Forse sono vicino ad un traguardo, ad una svolta, e
poi sarà la consapevolezza.
Cosa voglio?
Quando saprò rispondere a questa domanda in
maniera sincera e profonda, avrò trovato la felicità,
almeno credo che sia così.
Per adesso vado a letto, nel mio letto, sperando di
addormentarmi in fretta, cosa ormai alquanto rara.
Ho paura di morire.
Dovrei accettare la vita che mi è stata regalata con
più leggerezza, ma la mia ansia mi costringe ad avere
un orizzonte troppo corto e soffocante, e la notte il
soffitto della mia camera si abbassa sempre di più,
credo che un giorno arriverà a schiacciarmi.
32
La Giostra
Ricordi I
È bellissimo sentire sulla pelle il fresco delle lenzuola
quando dopo la doccia mi abbandono ancora umido
sul letto.
Mi sembra di riuscire a fermare il tempo, di tornare
a quando lo facevo da bambino, in quella stanza di
passaggio dove era impossibile trovare l’intimità. Una
camera che veniva attraversata da tutti per andare al
piano superiore o per andare in bagno.
Non c’era il riscaldamento, e molte volte d’inverno
andavo a letto con il berretto di lana per non farmi
gelare le orecchie. Ma quando arrivava la primavera
tutto era diverso, e potevo sdraiarmi sul letto dopo la
doccia.
L’inverno era lungo, più lungo di adesso.
33
La Giostra
Era difficile inventare giochi per far passare le
interminabili giornate grigie e piovose. Sempre in una
stanza, tutti in una stanza, l’unica che aveva una stufa
a legna.
Dall’ingresso si arrivava in cucina, lì si mangiava si
giocava si ascoltava il giradischi e passavamo quasi
tutto il tempo aspettando le belle giornate per poter
andare fuori in corte a giocare.
Ricordo il freddo, e ricordo il caos. Eravamo in sette.
Mia nonna, mia zia e mio cugino, mia madre, mio
padre, mio fratello ed io.
Il caos.
Mio padre non c’era quasi mai, lui lavorava di notte,
alla Cantoni, una fabbrica di filati. Il giorno dormiva, e
quando si alzava andava al bar. D’estate prima curava
l’orto, poi andava al bar.
Ma io riuscivo comunque a sognare.
Da bambino dormivo nella stessa stanza di mia madre
e mio padre, assieme a mio fratello. Tenevamo il vaso
sotto il letto, perché il bagno era all’ultimo piano, e per
andarci dovevamo attraversare la stanza di mia nonna,
ormai malata e vecchia di una vita faticosa.
Ricordo l’umidità e la sensazione gelida delle guance
sul cuscino freddo.
Non avevamo l’acqua calda e il lavarsi la mattina era
veramente avventuroso.
Avevamo uno scaldabagno solo per fare la doccia,
anche se per molto tempo mi sono lavato nella tinozza
al caldo in cucina. D’estate c’era la sistola.
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La Giostra
Ricordi II
Oggi fa veramente caldo, un caldo afoso e appiccicoso.
La mia camicia bianca di cotone si appiccica quasi alla
pelle sulla pancia gonfia del dopo pranzo, facendo
trasparire l’ombelico e i capezzoli adolescenziali.
È veramente un caldo tremendo, saranno 40 gradi e
non c’è un alito di vento.
Penso proprio che andrò a sdraiarmi sotto il fico,
all’ombra, circondato del profumo dolce dell’estate.
La pelle sudata che prima mi sdegnava ad ogni pensiero
di dinamismo, ora all’ombra mi dà giovamento, è quasi
piacevole, come dopo aver fatto la doccia.
Mi siedo su una vecchia sedia a sdraio messa lì proprio
per riposarsi all’ombra delle due del pomeriggio.
Qua dietro casa posso stare per un po’ solo.
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La Giostra
Ho fatto molta attenzione a non farmi vedere,
sgattaiolando fulmineamente dietro la corte.
Mio fratello e mio cugino sono sempre in cucina
impegnati a trangugiare il cocomero. Sono solo.
Guardo le vecchie capanne ormai in disuso, sento
il rumore che fanno le galline chiuse nei vari pollai.
Tutto questo mi è familiare, il puzzo delle bestie lo
starnazzare, l’abbaiare, è come una ninna nanna. Mi
addormento cullato da una natura rimpianta.
A volte dopo pranzo andavamo al bar, il bar del
paese. Sì perché Sant’Anna allora era solo un paese
di campagna. I vecchi seduti davanti, in canottiera e
ciabatte, ci scrutavano chiamandoci con il nome dei
nostri padri. Noi giovani di dodici anni dovevamo
portare rispetto sia agli adulti che ai ragazzi più grandi.
Una sorta di nonnismo di paese.
Molte volte mi ribellavo e tornavo spesso a casa con
qualche livido.
Ero, come adesso d’altronde, molto orgoglioso e
permaloso, e poi non capivo.
Perché dovevo fare e non fare, dire e non dire,
obbedire agli ordini di ragazzi poco più grandi di me?
Non capivo. Così spesso appariva un nuovo livido.
Mi sono sempre ribellato fino ad aver ragione, fino
ad essere lasciato libero, fino ad arrivare ad essere
rispettato.
Bastò un pugno, partito a caso, dato e guidato dalla
rabbia, però inferto alla persona giusta.
Da lì il rispetto.
Bastò un pugno per farmi prendere coscienza di me e
della mia forza.
Una sensazione bellissima.
36
La Giostra
Ricordo molte di quelle scazzottate, io colpivo sempre
per primo, poche chiacchiere, sferravo subito un
pugno o una testata, e in genere era sufficiente.
Una volta fui massacrato.
In cinque o sei, ora non ricordo bene. Arrivato a casa
immersi la faccia in acqua e ghiaccio. Ero gonfio come
i pugili dopo un incontro. Avevo perfino una frattura
alla mascella.
Ricordo ancora bene la sorpresa e lo sgomento di mia
madre quando mi vide.
Spiegai l’accaduto e lei capì che dovevo fare così, che
non avevo avuto scelta, non sarei mai potuto fuggire,
anche se gli avversari erano tanti, anche se tutti i miei
amici erano fuggiti terrorizzati lasciandomi solo. Il mio
orgoglio e il mio carattere me lo avevano impedito.
Lottare sempre e comunque.
Da quel primo vero pugno, fu sempre così.
Gli zingari che mi avevano massacrato, dopo mi
rispettavano e mi temevano, avevano capito la mia
forza, avevano capito che singolarmente, testa a testa,
non avrebbero avuto speranza.
I ragazzi più grandi, i bulli, che facevano sempre i
furbi e i gradassi, erano scappati tutti dalla paura, dalla
paura degli zingari, perché tutti avevano paura degli
zingari. Ma io no.
Ne avevo prese tante, ma non ero fuggito, e molte
comunque le avevo date anch’io, prima che mi
afferrassero e mi bloccassero riempiendomi di calci.
Nei giorni seguenti io ero ammaccato e dolorante,
ma orgoglioso e fiero, mentre gli altri ragazzi,
quelli che erano presenti, quelli che erano fuggiti, si
vergognavano a farsi vedere.
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La Giostra
Dove erano finiti tutti i loro discorsi da eroi? Li avevo
smascherati. Erano solamente dei cacasotto, mentre
io ero un eroe, anche se le avevo prese.
Adesso a ripensare a quella giornata, mi viene in
mente l’espressione di mia madre nel vedermi come
mi avevano ridotto. La rabbia e la disperazione. Lei
però capì. Ricordo il silenzio della cena e del dopo
cena. Nessun rimprovero, nessuna romanzina, solo
sguardi bassi e silenzio.
Il giorno dopo andammo al pronto soccorso.
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La Giostra
Ricordi III
Mio nonno ha fatto la guerra. Mia nonna è rimasta ad
aspettarlo. Per molto tempo ha aspettato.
Mio padre ha otto fratelli, anzi con esattezza quattro
fratelli e quattro sorelle. Alcuni non si somigliano per
niente sia fisicamente che nei modi di fare. Mia nonna
ha aspettato per molto tempo.
Un giorno poi sono anche venuti gli americani.
Mio nonno aveva i baffi, anche mio padre porta i
baffi e anche altri due miei zii portavano i baffi e forse
anche qualche mia zia.
Anche io porto i baffi, anzi con esattezza il pizzo.
Non so perché ho cominciato a tenere il pizzo.
Ho iniziato a lasciarlo definitivamente da militare.
Chissà perché?
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La Giostra
Credo che sia come avere una sorta di tatuaggio.
Fondamentalmente credo di stare meglio con il pizzo
che senza.
Avrei voluto conoscere i miei nonni, io li ho solo
immaginati. Sia mio padre che mia madre non mi
hanno mai raccontato molto su di loro, anzi quasi
niente.
Mia nonna Amelia, la mamma di mio padre, l’ho
conosciuta, è morta quando io ero in seconda media.
Mia nonna ha aspettato per molto tempo mio nonno,
e vennero anche gli americani.
Mio nonno, da parte di mio padre, faceva lo spazzino,
uno di quelli spazzini di una volta con il carrettino
a pedali, che prendeva la spazzatura con le mani e
pedalava per tutto il quartiere. Una volta si produceva
meno spazzatura, allora bastava un carrettino.
Mio nonno doveva sfamare nove figli. Era dura.
Mio padre, in una delle sue poche confessioni, mi ha
raccontato che le quattro sue sorelle dormivano tutte
in una stanza e in un unico letto matrimoniale, e i
cinque maschi tutti in un’altra stanza, e anche loro in
un unico lettone.
C’era poco da mangiare, e quasi tutti lavoravano
dodici ore nei campi, anche quelli più piccoli, in campi
di altri, e a volte lavoravano una giornata intera solo
per mangiare. Mio padre portava in tasca un pugnetto
di sale sperando di trovare nei campi, mentre lavorava,
una rapa o un pomodoro.
Erano in nove fratelli. Non c’era la televisione, e
comunque una volta era diverso.
Io conosco poco anche i miei zii.
Avere troppi zii è come non averne nessuno.
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La Giostra
Non so niente della loro infanzia, della loro giovinezza,
dei loro sogni. In verità conosco poco anche di mio
padre.
Dai pochi racconti ho capito che erano tempi duri,
all’inseguimento delle stagioni, e stavano sempre
fuori di casa sia in estate che in inverno. Giocavano a
pallone scalzi e le emozioni erano vere e potenti come
quando ammazzavano il maiale.
La famiglia allora si riuniva tutta, e venivano invitati
anche i parenti lontani, erano giorni di festa.
Le parti del maiale che non si potevano conservare nel
tempo venivano cucinate e divise con tutti.
Immagino un’umanità in stampatello, cruda e vera,
fatta di fatica fisica e di paura, ma di grandi emozioni.
Poi è arrivata la televisione.
41
La Giostra
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La Giostra
Un’ultima volta
Basta non ho più voglia di starti ad ascoltare, non
m’interessa niente, non ti dirò brava. Basta. Guardami
e basta. Al di là dei miei capelli, al di là dei miei vestiti,
al di là delle mie parole. Guardami dentro, e io farò la
stessa cosa. Senza dire niente, in totale silenzio.
Se non ti riesce allora è meglio smettere ora.
Quanti anni, quante storie, quanti ricordi, qualche
volta ha perfino piovuto, ma dopo ci siamo sempre
asciugati. Ed ora siamo qui, e non riusciamo a vederci
per quello che siamo. Ci ha distratto l’apparenza, ci
ha confuso la forma, ci ha anestetizzato il benessere.
Ma ora guardami e basta. Non guardare quello che
ho fatto, non guardare quello che ho detto, non
guardare quello che ti ho comprato. Guardami dentro.
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La Giostra
Attraversa i miei occhi e visita la mia anima, osserva
la mia essenza. Senti se ha un profumo, un aroma,
senti se è liscia o ruvida, dimmi quanti colori vedi, e
se i profili sono affilati e taglienti o rotondi e morbidi.
Toccala, coccolala, rassicurala. Piano senza parlare,
senza fretta, senza pensare.
Lo stesso io farò con te, e così capiremo finalmente
che ci siamo sbagliati, e piangendo ci ringrazieremo e
ci baceremo un’ultima volta.
44
La Giostra
Il cuoco
Chi l’avrebbe detto? Nessuno forse avrebbe
scommesso un soldo. E invece ho fatto tutto questo.
Con rabbia, con a fianco la fortuna, con fatica.
L’evoluzione dell’uomo, la ricerca dell’uomo, la
tecnologia e la fisica al servizio dell’uomo.
Per cosa? Voglia di conoscenza? O semplicemente
voglia di non fare più niente?
Non so, però ora riesco a far materializzare una
patata dal mio computer, o un pomodoro o perfino
un minestrone già cotto. Tutto riesce a materializzarsi
attraverso il mio computer.
Non hanno proprio lo stesso sapore, ma è formidabile!
Chi l’avrebbe detto?
Risolverò il problema della fame nel mondo.
45
La Giostra
Con adeguate modifiche, e perfezionando il sistema,
non importerà più andare a fare la spesa. Mangiare
non costerà più niente. Non importerà più saper
cucinare. Con i dovuti aggiornamenti ogni tipo di cibo
uscirà già cotto e pronto per essere mangiato.
Che bello! Avremo a disposizione molto più tempo
per fare altre cose.
Scaricando i dovuti aggiornamenti e le varie espansioni
di menù, potremo arrivare ad essere grandi cuochi
semplicemente premendo un tasto. Piatti pronti, con
il cibo ben disposto, impiattato alla perfezione e alla
temperatura giusta.
Tutto gratis.
Il latte e le pappine per far crescere sani e forti i nostri
figli, basterà schiacciare un tasto e subito come per
magia si materializzeranno dal nostro computer.
Che grande invenzione, diventerò l’uomo più famoso
al mondo.
Domani presenterò alla stampa la mia invenzione.
46
La Giostra
Semafori
Molte volte m’immedesimo nelle sofferenze altrui, e
soffro, soffro veramente, come se si materializzasse
una calda palla di piombo nello stomaco.
Una sensazione d’impotenza m’invade e inizio a
marcire dentro.
Come quando mi fermo ai semafori e percepisco
l’infinito mondo che c’è dietro ad ogni persona che
sta lì a chiedere l’elemosina.
Nei loro occhi vedo la rassegnazione e la profonda
delusione nei confronti di qualsiasi Dio.
Giovani e vecchi, donne e bambine, chissà da quale
parte della terra provengono, albanesi, romeni,
senegalesi, marocchini. Penso ai loro sogni, alle loro
speranze. Vite, come la mia.
47
La Giostra
Vorrei fare qualcosa ma non so da dove cominciare,
accelero e vado avanti, e questa sensazione mi lascia, e
riesco pian piano a rientrare nella mia ovattata realtà.
Ma domani passerò nuovamente di lì.
Intanto il mondo ride e va velocissimo.
48
La Giostra
Piccole storie davanti a un bicchiere di vino
Oggi mi sento così
Oggi mi sento così, invaso da sensazioni in bilico e
alla ricerca di una risposta.
Anche se sono contento della mia vita, assurdi bilanci
mi catapultano in un tempo orizzontale, ma dove sia il
limite tra la realtà e l’immaginazione resta un mistero,
tra quello che avrei voluto, quello che ho vissuto e
quello che sto vivendo.
Mi perdo di nuovo, così scrivo piccole storie davanti a
un bicchiere di vino.
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La Giostra
Trasposizione
L’anima lieta si rasserenava nell’attesa d’intraprendere
il predestinato viaggio nell’umanità. Non aveva avuto
ancora le specifiche della vita da vivere, non era
importante il sesso e nemmeno la nazionalità o la
religione, era importante il fatto che toccava proprio
a lei. Dall’eterno presente si preparava ad una vita in
bilico tra passato e futuro, fatta di ricordi e obiettivi,
di rimpianti e paure, di cose da dimenticare e vita da
costruire, senza mai vivere nel presente. Energia pura
che si preparava a diventare materia, questa era la sola
cosa che sapeva.
Dall’altoparlante si udì finalmente il suo nome. Veniva
invitata a presentarsi presso l’ufficio umanizzazioni
per adempiere a tutte le procedure di rito prima
della trasposizione (spostamento o inversione di due
elementi collocati in un ordine preciso). Proprio in
quest’ufficio veniva deciso il tempo, il luogo e il sesso,
con assoluta precisione. Era giunto il momento, e in
un infinitamente piccolo spazio temporale tutto si
realizzava.
Dall’altra parte, sulla terra, una giovane donna si stava
preparando a partorire, e in contemporanea, dall’altra
parte del globo, un anziano signore era alla fine del
suo viaggio.
La donna soffriva e urlava per i dolori del parto,
mentre il vecchio ormai non si lamentava quasi più,
era in attesa di udire il suo nome dall’altoparlante,
aspettava solo di essere chiamato.
La giovane donna si lamentava sempre più, ormai
mancava pochissimo.
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La Giostra
Accanto a lei c’era suo marito, eccitato e spaventato
che le teneva la mano.
Nella stanza accanto il medico di guardia stava
compilando alcuni referti, quando entrò nel suo
ambulatorio la sua ragazza. Lei subito chiuse la porta
e andò verso di lui traboccante di voglia di fare sesso.
Gli slacciò i pantaloni, e subito gli si accavallò sopra, e
cominciarono a fare l’amore.
L’anima era ormai sulla linea di umanizzazione in
attesa della materializzazione, mentre una testolina
pelosa faceva capolino tra le gambe della giovane
donna.
Il vecchio ormai respirava a fatica e le sue ultime prese
vitali si facevano sempre più viscide e inafferrabili.
In contemporanea la passione stava riempiendo i corpi
del medico e della sua ragazza e stava raggiungendo il
suo culmine.
Nell’universo si crea un istante infinito dove si
realizzano, sovrapponendosi, tre eventi soprannaturali.
I due protagonisti s’incontrano in uno spazio
temporale di collegamento, il vecchio e l’anima
s’incrociano, uno va e l’altro torna.
Il medico raggiunge l’orgasmo e feconda la sua
ragazza, concretizzando l’umanizzazione dell’anima.
Il vecchio muore, un bimbo in contemporanea nasce,
e l’anima si materializza nel grembo della ragazza del
medico, iniziando così il suo viaggio.
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La Giostra
Attimo
Ti guardo. Vorrei guardarti così, per tutto il tempo
e con tutta l’intensità possibile. Vorrei scolpire nella
memoria ogni dettaglio e ogni sfumatura della tua
pelle, perché so che prima o poi ti perderò, e soffro
per non riuscire a fermare questo momento, queste
sensazioni, questa energia. È pericoloso ingabbiare
l’energia e la passione, può portarmi alla pazzia e così
ti perderei ancor prima.
Tutto questo mi fa sentire ancora più forte il passare
del tempo, veleno che si materializza nella gola,
lo sento, vuole uscire assieme a tutta la rabbia di
precarietà.
Ma lo contengo stringendo più forte la bocca e anche
un attimo così bello diventa insopportabile.
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La Giostra
Il gregge
La mente dell’essere umano non è stata programmata
per elaborare concetti superiori, quindi non bisogna
nemmeno provarci. Tutto è troppo più grande.
La logica mi porta a dedurre che ogni forma di
religione sia falsa e frutto della fervida immaginazione
di qualche pseudo illuminato, con lo scopo di
uniformare le masse per facilitarne il controllo, solo
per evitare il panico dovuto al caos.
Si materializza così un potere provvisorio su tutta
l’umanità.
In pratica è come l’immagine del pastore e del gregge
di pecore. Il padrone dà gli ordini e il gregge li esegue,
e tutto apparentemente per il bene del gregge stesso.
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La Giostra
Emozione
Abbiamo avuto la presunzione di cercare di chiudere in
una singola e fredda parola l’essenza di un sentimento,
di una emozione.
Già, la parola ‘emozione’ non riesce a trasmettere la
potenza e il vento della sensazione provata.
Non possiamo fondere pensiero e corpo in uno statico
vocabolo senza rischiare di standardizzare l’anima.
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La Giostra
Un vecchissimo sogno
Da quando ho imparato a sognare a volte mi confondo,
e anche la realtà diventa più rarefatta e si mescola ai
ricordi onirici.
Ricordo un sogno, un vecchissimo sogno. Mio padre e
mia madre che cadevano in una vasca d’acqua.
Era come una grande fontana, e lentamente sparivano
affondando nel nero delle profondità dell’acqua.
Un sogno scuro, avvolto di notte.
Ero piccolissimo e non ricordo altri sogni prima di
questo.
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La Giostra
Illusione
Ti vedo arrivare, due stivali bianchi e una maglietta che
si apre sotto la linea del collo, lasciando intravedere
seni di una morbidezza ovattata. Potrei innamorarmi
di te e fuggire con te ora, in questo preciso istante.
Ma acceleri e passi oltre. Il sogno svanisce e si annienta
l’illusione di un amore.
56
La Giostra
È Domenica
Tutti ben vestiti e profumati processioniamo verso
il luogo chiamato la Casa del Signore. È Domenica.
Con sguardi commossi e pugni sul petto guardiamo
genuflessi l’immagine del Cristo, recitando a memoria
preghiere senza più nemmeno ascoltarci o cercare di
capirne il messaggio, non sappiamo nemmeno più se
c’è un messaggio. Alla fine rimangono solo panche
calde e libretti della messa caduti per terra.
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La Giostra
Coccole
Non so niente, ma m’illudo di riuscire ad ingannare
me stesso e gli altri parlando di emozioni, di amore,
di fede e di precarietà. Io ho paura di morire, ma avrei
anche paura di vivere per sempre.
Vorrei addormentarmi sopra il bianco ovattato di
una nuvola di primavera, accarezzato da un vento
caldo e disintossicante, per poi risvegliarmi privo di
pregiudizi e condizionamenti e traboccante di una
energia ritrovata.
Così, grazie alla memoria del tempo, avrei dentro di
me saggezza e serenità, e un amore infinito per le
persone e per la vita.
58
La Giostra
Ora
Abbiamo bisogno delle novelle, delle leggende,
dell’eternità per sentire che c’è qualcosa di
soprannaturale, per illuderci di essere immortali.
Sono felice, formalmente felice. L’importante è
non scavare troppo a fondo, l’apparenza diventa
quasi realtà e il soprannaturale diventa stranamente
comprensibile.
Molte lotte sono spinte dalla gelosia. Siamo gelosi
l’uno dell’altro, con l’affanno di arrivare primi verso
chissà quale traguardo, e soffriamo per tutto questo,
ma continuiamo ugualmente, dando così più forza a
miti e leggende che, pur facendoci paura, ci riempiono
una vita che altrimenti rischierebbe di essere veramente
priva di futuro.
Io aspetto, è una vita che aspetto.
Anche i miei genitori mi aspettavano, poi sono
arrivato e ho iniziato anch’io ad aspettare, aspettavo
di crescere, di diventare grande, aspettavo la prima
bicicletta, aspettavo la moto, aspettavo la mia prima
ragazza, aspettavo la macchina, aspettavo di finire di
studiare, aspettavo di iniziare a lavorare, aspettavo
di sposarmi, aspettavo di avere una figlia, aspettavo
l’altra figlia, aspettavo di diventare adulto. E adesso
cosa aspetto?
Adesso non aspetto, adesso finalmente vivo, qui, ora,
nel presente, respiro e mi sento vivo.
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Stampato in Italia
nel Luglio 2011
per conto di Libertà Edizioni