materiale didattico gratuito di letteratura italiana moderna e

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materiale didattico gratuito di letteratura italiana moderna e
MATERIALE DIDATTICO GRATUITO
DI LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA (L11-LM37)
AD ESCLUSIVO USO DEGLI STUDENTI FREQUENTANTI
IL CORSO 2016-2017
Tempesta
1.
Nei paesaggi di Moravia incombono tempesta e temporale. Dal punto di vista meteorologico, ovviamente,
la tempesta non è il temporale, ma il narratore non differenzia i due fenomeni. La tempesta, perturbazione
atmosferica con venti di forte intensità, pioggia, talvolta grandine e scariche elettriche, antitesi dell’idillio
naturale, è una catastrofe che sconvolge l’equilibrio climatico; è sempre “imminente”, improvvisa,
temporanea e locale. La tempesta non provoca danni irreparabili ed è anche in sintonia con il carattere, il
temperamento e gli stati d’animo dei personaggi. Si forma, dunque, la costellazione vento, pioggia, fulmine
e tuono, che si manifesta anche in similitudini. Con il passar del tempo, però, la tempesta diventa soltanto
metafora e cornice paesaggistica.
Anche l’idillio, come la tempesta, nell’universo immaginario di Moravia è un dato reale, da intendere quale
serenità, tranquillità, accordo, intesa, concordia, armonia. In L’amore coniugale l’ambientazione della vicenda
in Toscana, nella villa di proprietà familiare di Silvio Baldeschi, favorisce l’intreccio, solidificando una
moderna pastorale, ma svilita e degradata. Nel “romanzo breve” l’idillio è illusione, come nel rapporto
iniziale di Agostino con la madre. Generalmente è solo un vago e puro sogno ad occhi aperti, come nella
relazione di Adriana con Gino in La romana. In La ciociara, invece, non lo è per la natura ingenua e
spontanea degli occhi di Cesira. La quale, all’inizio della vita di sfollata, in un sogno sembrava quasi essere
tornata alle radici, ritrovandosi, in effetti, nel suo elemento, la montagna. Anche Cesira, comunque, deve
fare i conti con la degradazione dell’idillio. La fuga dal mondo storico e l’immedesimazione nella natura
(anche notturna, segnatamente), la si ritrova in alcuni momenti della sua vita di sfollata. Nella notte
silenziosa e tranquilla, assorta con la figlia Rosetta a contemplare il paesaggio, si immedesima nella natura
benigna, nella notte vasta senza tenebre paurose. L’idillio notturno assume anche un risvolto religioso.
Madre e figlia pregano. Al ritorno del bel tempo, nel capitolo sesto (III 1293), prima che faccia giorno le
due donne vedono l’alba, le montagne, il cielo che si fa rosa, la striscia azzurra e scintillante della marina, il
cromatismo della natura, gli alberi, gli uccelli. Silenzio e nostalgia dell’infanzia.
Nei primi testi di Moravia, domina la pioggia, quindi, e il paesaggio, sempre invernale, si presenta tetro e
tempestoso. L’ambientazione è della stessa tonalità in città, in provincia e in campagna. Già in uno dei
primi racconti, La noia, del 1930, fin dall’incipit il protagonista si accorge del “tetro cielo temporalesco” (I
422). Poi, “del temporale che doveva essersi nel frattempo ancor più addensato”, avverte “un lampo
violento, accecante”, che “percosse l’aria, e, per un istante corridoio, bimbo, pavimento, usci, ogni cosa,
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apparve agli occhi di Mario con una intensità quasi dolorosa” (I 426). Il paesaggio si presenta al modo
seguente:
Nella strada cadevano in fretta le prime gocce pesanti, il cielo era scuro, un vento selvaggio e freddo
sbatteva le imposte, faceva volare le tegole e cigolare le banderuole dei tetti, scrollare il fogliame livido
degli alberi primaverili. (I 426-427)
In Gli indifferenti “l’onda della pioggia” cola “dalla vasta notte torrenziale sui vetri quadrati” (I 44). Sono
sottolineati i “lampi delle tempeste” (I 111), la “ventata impetuosa” (I 152), la “notte tempestosa” (I 156),
il “rumore torrenziale del diluvio” (I 155), “il rumore monotono del diluvio” (I 159), “quella violenza fatta
di nulla che ruggiva, gemeva, scricchiolava, e lacrimava sulla soglia vuota” (I 153), i “lampi di una tempesta
notturna” (I 258). Ed ancora:
un gran fruscìo torrenziale empiva l’oscurità; /…/ la grossa pioggia vecchia di due settimane di tempo
grigio sfogava da ogni parte il suo fiotto impuro fermentato a lungo nei fianchi delle nubi; sotto il diluvio
le case stavano dritte e nere; i fanali affogavano; i marciapiedi inondati assumevano l’aspetto anfibio delle
banchine per metà sommerse, nei porti di mare. (I 290)
Non manca nella narrazione la metafora del temporale (I 6) per evidenziare l’irritazione di Mariagrazia. Il
figlio Michele, allorché la madre si rasserena, dice che il “temporale” era passato e ritornava il sereno (I
19).
Nel capitolo III della “Parte seconda” del romanzo Le ambizioni sbagliate sono da segnalare, in un sogno
di Carlino, le immagini, tra l’altro, di una “giornata tempestosa” (I 683) e dell’“aria tempestosa” (I 754),
con “la pioggia torbida e silenziosa” che cade
con violenza sui vetri dei finestroni. Balena un lampo accecante, il tuono cupo e lontano che lo segue
scuote l’aria, fa tintinnare i vetri e muore con certi suoi distratti e pensosi brontolii, mettendo nel suo cuore
un’angoscia inesprimibile. (I 684-685)
In altro segmento narrativo è da rilevare, nei pensieri di Andreina, la metafora del “vento furioso” e della
“distruzione completa e definitiva” (I 778). La protagonista osserva un’altra tempesta (“alzò gli occhi verso
il cielo e vide che era basso e scurissimo”) e avverte che è sul punto di scoppiare un temporale, “che fin dal
mattino si andava addensando sulla città” (I 932), un “ottenebramento temporalesco del giorno” (I 932),
una “luce bassa della giornata procellosa” (I 937), il cielo “scuro e rannuvolato”, “la tetra nuvolaglia
temporalesca” (I 937). “Non pioveva ma la tempesta era per l’aria densa e oscura” (I 944); “Nella strada
tirava un vento contrario e tempestoso, mischiato, le parve, a rade gocce di pioggia (I 963):
Infatti certi silenziosi lampeggiamenti del temporale ancora lontano lasciavano ogni tanto intravedere le
cortine minacciose della nuvolaglia immobilmente sospese sopra gli alberi dei giardini e sopra i tetti delle
case. (I 991)
Nella narrazione le immagini e le similitudini incalzano (“come se un fulmine scaturendo da un cielo
tempestoso avesse attraversato i tre piani della casa e si fosse schiantato tra di loro”; “come avviene
talvolta in seno alle tempeste, quando si vedono gli alberi, le piante e le erbe piegarsi ad un tratto dalla
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parte opposta a quella verso cui si erano fino allora inclinate”). Si susseguono azioni e litigi tra due
personaggi. L’explicit romanzesco è una descrizione del temporale:
Ora lampeggiava più spesso, ma sempre senza rumore dietro i colli che dominavano la sponda opposta.
Ogni lampo svelava un momento case, cupole, campanili e alti boschi impigliati nelle nubi in fuga. (I 1009)
Risulta evidente, all’altezza storica degli anni Trenta, nell’universo immaginario di Moravia, una visione del
mondo connessa alla tempesta. L’analisi critica ne delinea il significato e documenta quando, accoppiata ad
altri fenomeni, come mancanza di sole, presenza di nuvole, vento, nebbia, pioggia, la tempesta si manifesta
nelle diverse ore del giorno e della notte e contribuisce a valutare l’atteggiamento del narratore verso il
clima, che rappresenta in modo ossessivo anche lo stato d’animo dei personaggi.
La tempesta è persistente1. Anche due racconti, La tempesta, del 1935, e Tempesta imminente, dell’anno
successivo, recano già nel titolo indizi significativi. Il primo testo presenta una “catastrofe incombente” (I
1269):
Turbini di polvere estiva si levavano col vento nell’alone dei fanali, si vedevano tutte le foglie di quegli
alberi fronzuti rivoltarsi con impeto mostrando la parte di sotto, più chiara, quasi livida, ad un tratto le
prime rade, grosse gocce di pioggia incominciarono a colare con violenza sui vetri dell’automobile. (I 1277)
La tempesta è un elemento caratteristico del paesaggio: “un nuovo scoppio di tuono fortissimo e
violentissimo questa volta, quale accompagna di solito la caduta di un fulmine” (I 1285); “La pioggia
continuava a cadere con un vasto rumore torrenziale” (I 1288); un lampo simile ad un “albero ramificato e
terribile” illumina la “nera campagna sui cui si apriva la finestra, illuminando sotto di sé profili di foreste e
di monti e orli gonfi e minacciosi di nubi viaggianti” (I 1290). In risposta, “il tuono con un brontolio cupo
e prolungato che dava intero il senso della vastità e dell’altezza del gran nembo diluviale attraverso il quale
rimbombava” (I 1308). Molta pioggia, fulmini e tuoni. Termina la tempesta e appare una “fresca notte
estiva”: “L’aria purificata dal diluvio era tersa e senza vento”, “nel silenzio e nella frescura della notte” (I
1315).
In Tempesta imminente, sorta di esercitazione descrittiva, invece, è segnalata una “catastrofe imminente” al
mare. Siamo a Viareggio. Il personaggio ripensa visionariamente al paesaggio: “lontananza smorta e
tempestosa” (I 1459); il “tuono rimbomba di lontano rotolando sulla superficie immobile del mare come la
prima cannonata di una remota battaglia” (I 1459). In L’imbroglio è da registrare una “domenica
rannuvolata, fredda e ventosa” (I 1241), una “giornata rigida e nubilosa” (I 1243) e “nubi temporalesche”.
In Fosco aprile si rileva un “cielo temporalesco” (II 1501). Nel racconto Il ladro curioso, invece, è
rappresentata una notturna “tempesta estiva” (I 1549) e la “vastità del temporale” (I 1561), un “cielo
tempestoso” (I 1554), “basso e tempestoso” (I 1561) che “lampeggiava a intervalli” (I 1559) e il “tuono
corrucciato che brontolò rauco nella lontananza”. In Le donne fanno dormire sono da segnalare “due
settimane di piogge ininterrotte”, un “movimentato cielo temporalesco” (I 1567) e un “cielo nubiloso”,
mentre in La casa nuova è trasparente un “lampeggiare senza tuono in fondo alla buia e calda notte” (I
1623), con replica: “Lampeggiava sempre, ma nell’aria non c’era più la stessa immobilità” (I 1626); “Un
lampo più forte illuminò gran parte dell’orizzonte; vibrando e persistendo come se avesse dovuto durare
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per sempre” (I 1627). In Il mare, racconto del volume L’epidemia, è descritta una “mareggiata” (II 455),
mentre La finestra aperta presenta, in una sera della fine d’autunno, una “tempesta di vento” con il mare “in
burrasca” (II 524) e con il vento che “urlava con tanta malinconica furia” (II 521). In Lungo il mare, in una
giornata di giugno, il mare è “tempestoso” (II 1761).
Il lettore ha avvertito, dalle insistenti citazioni, la presenza del temporale-tempesta e la ripetitività e
l’ossessività delle immagini, in accordo con i tumulti interni dei personaggi, in una costellazione
ampiamente strutturata e consolidata.
2.
L’intera fenomenologia climatica, nei testi di Moravia, sorretta inizialmente dalla tempesta e non
dall’idillio, dunque, si modifica in Agostino, ove lampi, tuoni e pioggia scompaiono. Domina la calma al
mare e l’angoscia assume le caratteristiche di una tempesta soltanto interna alla coscienza dell’adolescente.
L’assottigliamento del motivo è progressivo e si manifesta anche in La romana e in La disubbidienza, dove
peraltro si rileva soltanto la metafora della “tempesta” (“come i rottami di un battello naufragato nella
bonaccia che segue la tempesta”; II 1147), con la replica del “volto” di Luca, che, “affinato dalla malattia,
pareva emergere purificato come un paesaggio a lungo frustrato e sconvolto fuori dalle nebbie di un
violento temporale” (II 1170). In Il conformista, del 1951, è da registrare appena “un’aria tempestosa e mite”
(III 39), una giornata “tempestosa e rannuvolata, percorsa da un vento caldo che pareva ricco di spoglie
rapinate un po’ dappertutto al suo turbolento passaggio: foglie morte, cartacce, piume, lanugini, fuscelli,
polvere” (III 60). Il paesaggio di campagna presenta “uno scuro cielo temporalesco” (III 65). Anche in Il
disprezzo il paesaggio caprese è senza tempesta, ma si manifesta con il sole e una tipologia della natura
sempre idillica. Si rileva soltanto una “pioggia sottile e fitta” a Roma, dei “mille fili luccicanti della pioggia”
(III 936).
In La ciociara il bello e il cattivo tempo s’incrociano. Nei mesi invernali è dominante il vento di
tramontana e di neve. Non c’è mai tempesta, però, rappresentata dalla guerra (“tempesta della guerra”; III
1409), metaforizzata anche dal tuono (“non era il cannone che ormai si sentiva da lontano, come il tuono
di un temporale”; III 1380), replicato in seguito: “Quelle esplosioni mi parevano non di cannoni ma di
qualche forza naturale come il tuono o la valanga” (III 1395).
L’angoscia dei personaggi e la tetraggine paesaggistica si sono volatilizzati, ormai. Non smette di
piovere nell’universo moraviano, ma il clima è cambiato e non condiziona più, non agisce terribilmente sui
comportamenti. Negli ultimi testi i temporali e le tempeste non scompaiono del tutto, ma l’angoscia,
sostituita dall’alienazione, si è volatilizzata. Non vi sono più, nei paesaggi moraviani, temporali che
sconvolgono gli equilibri climatici, ma soltanto cieli rannuvolati. Scomparsa la paesaggistica precedente si è
assottigliata anche l’angoscia, diventata un corredo superfluo. Tutti constatano un dato di fatto, senza ansia
e preoccupazioni, però.
Nel racconto Non ti senti meglio?, della raccolta L’automa, un personaggio riferisce di una “giornata
addirittura funebre” perché pioveva, di un cielo “pieno di nuvole basse e scure”, di “una giornata di
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maltempo, con vento, pioggia, nuvole base, scarsa visibilità” (IV 743). In Il poeta e il medico, dello stesso
volume, in una zona di Roma:
nuvole di ovatta grigia orlate di viola scorrevano, gonfie e pesanti, sospinte dal vento impetuoso; /…/.
Faceva un caldo bruciante, quasi con il presagio di un altro temporale e lui si sentiva felice, con il sangue
che gli ronzava dal benessere. (IV 787)
In L’uomo che guarda un “cane vivace ma oltremodo pauroso” si spaventa per un “colpo di tuono, secco
e cupo” partito dal “cielo rannuvolato, al di sopra delle colline” (IV 655). In La recensione si rintraccia la
metafora biblica del “diluvio”: “si è portato via i giganti che un tempo popolavano la terra; oggi non sono
rimasti che i pigmei” (IV 1561). In La regressione, del volume Una cosa è una cosa, del 1967, un personaggio
descrive il paesaggio: “Due terzi del cielo erano ingombrati da una nuvolaglia nera, grigia e bianca, gonfia e
temporalesca, che pareva salire su, su dalla terra come il fumo turbinoso e oscuro di un incendio” (IV
1325). Nel racconto L’albero di Giuda, nello stesso volume, è descritto un “cielo temporalesco quasi” (IV
1369). In Litigi sotto la pioggia della raccolta Un’altra vita, una donna va in campagna, guarda i “campi” “gonfi
e verdi sotto il cielo gonfio e nero”, dice alla figlia che si annuncia un temporale e ritiene che sono “belli i
temporali di primavera. Mi mettono addosso un sentimento di ebbrezza, di felicità, di primavera,
insomma” (PAVB 231). Altrove sono da registrare un mare in tempesta, di un “verde torbido, con
cavalloni vitrei e ricciuti dai quali il libeccio fa volar via brandelli di schiuma” (PAVB 4). In Temporale e
fulmine la protagonista ha accumulato già a diciotto anni un odio minaccioso, incombente come un
temporale, per il padre. Ora lo manifesta anche per il marito. Il litigio scoppia come il fulmine. L’intero
racconto è sulla falsariga di una metafora significativa:
Ogni tanto mi vengono quelli che io, nel mio gergo privato, chiamo temporali. Cos’è, per me, un
temporale? È un lento accumularsi, dentro di me, attraverso mesi e anni, dell’odio per qualche cosa che,
però, non so cosa sia. Quest’odio si fa sempre più minaccioso e più incombente, proprio come un
temporale che si addensa all’orizzonte in una bella giornata d’estate. (PAVB 345)
La donna confessa di aver avuto un “temporale” a diciotto anni, di aver fatto una drastica scelta e di
aver sposato il “primo venuto”, e con il quale sente che si avvicina un altro “temporale”. Il testo si
conclude allorché lei confessa metaforicamente il “fulmine” dal quale dichiara di essere stata “colpita in
pieno, Incenerita!”.
Un temporale estivo è anche in Romildo, al termine delle vacanze, ad agosto:
un cielo basso, gonfio di oscura nuvolaglia e sotto questo cielo un mare verde livido, trasformato da un
vento impetuoso in un caos di ondate schiumose, disordinate. (R 3)
Per Romildo è uno “spettacolo insolito”, ma, a suo parere, molto più adatto alla partenza e al rientro in
città della moglie con i figli. Il “vento impetuoso” ma “caldo” e “furioso” scuote e sconvolge gli alberi del
giardino (R 10) non dà fastidio, ma provoca “l’illusione che qualche cosa di drammatico e di decisivo stava
per succedergli” (R 6).
Anche in La noia la fenomenologia climatica è ormai cambiata: “il cielo non si era ancora pulito: nuvole
nere, che parevano incapaci di sollevarsi per il peso della pioggia che portavano nei fianchi, stavano
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sospese in strati immobili sopra questa verdura ancora primaverile” (IV 298). Alcune particolarità
affiorano spesso e si depositano sulla pagina inavvertitamente, ad esempio la “nuvolaglia” “bassa e gonfia,
simile ad un ventre gravido” (IV 253). L’immagine è replicata in seguito, con il prolungamento dell’identità
corpo-donna e paesaggio che meriterebbe una micrologica attenzione critica. Dino, ossessivamente
perseguitato dalla somiglianza del paesaggio con la figura di Cecilia, si tuffa in considerazioni e
fantasticherie, le quali, per la loro densità, meritano di essere citate per esteso:
Così, certe brevi pianure in parte tosate e in parte erbose mi facevano pensare al suo ventre, certi poggi
rotondi al suo seno, certi accidenti del terreno al profilo del suo volto e dei suoi capelli. Oppure vedevo la
strada insinuarsi tra due lunghe colline tondeggianti, e allora mi pareva che fossero le gambe aperte di
Cecilia distesa supina, e che tra le due colline ci fosse la fenditura del suo sesso e che la macchina corresse
verso quella fessura. (IV 256-257)
.
Nelle immagini confluiscono, non inavvertitamente, le ossessioni moraviane dello stupro2. La
sessualizzazione paesaggistica, confortata dai meccanismi oltranzistici futuristi, rinvia all’immagine dello
stupro, con la coscienza, non presente però in Marinetti, di un “delirio di furore ottuso e impotente”,
particolarmente nell’immagine della violenza e dello stupro: “immergermi, macchina e tutto, dentro la
gigantesca Cecilia fatta di terra” (IV 257). La tempesta è violenza naturale e non idillio, dunque, quasi
sempre violenza sessuale, esplicata in diversi modi (“somiglianza tra il dolore del taglio e quello dello
stupro”; 1934 208), un nesso che si distende e si amplifica spesso sovrapponendosi. Un amplesso violento
è una “specie di stupro” (VR 62). L’immagine è adoperata anche a proposito della guerra e delle invasioni
della Cecoslovacchia e del Guatemala (IC 125). La sessualità è violenza carnale, atto sessuale imposto con
la forza. La donna, considerata bestia, è stuprata. Quasi sempre gli esseri umani maschili intendono fare
sesso animalesco con le donne. Andreina, ad esempio era stata stuprata nell’adolescenza; Adriana aveva
avuto con la violenza un figlio dal Sonzogno; è conosciuto lo stupro di gruppo di Rosetta in La ciociara; in
Il disprezzo si rintraccia perfino l’immagine metaforica di “stupro dell’ingegno” (III 866). Beatrice Cenci
non fu stuprata, ma nell’adolescenza con l’atto sessuale perse l’innocenza. In La vita interiore da vergine
Desideria è “stuprata” da Quinto (VI 388), anche se la situazione nella vicenda è grottesca poiché lo
stupro avviene con il consenso della donna. In La cintura Vittoria Malaspina, moglie del critico musicale, ha
paura che il marito non sia “l’intellettuale pacifico e pacifista che pensa alla bomba e alle sorti
dell’umanità”, ma “un comunissimo bruto che intravede la possibilità di uno stupro secondo i suoi gusti”
(T 662), e ritiene che il marito diventi una “bestia” e la tratti allo stesso modo facendo sesso “con violenza,
con crudeltà, io bocconi e tu sopra, alla maniera degli animali, dei cavalli, dei cani” (T 664). Pupa,
personaggio ventiduenne del dramma Il mondo è quello che è, a 13 anni era stata “sedotta” dal “patrigno” (T
333); in 1934 una donna confessa di essere stata “sodomizzata” (1934 133).
3.
La tempesta assume diverse amplificazioni. In Luna di miele, sole di fiele, racconto interamente dedicato a
coniugi in viaggio di nozze, il temporale assume un risalto notevole. La vicenda si svolge ad Anacapri ad
6
agosto, con un “cielo nubiloso, per aria morta” (III 363), un “cielo minaccioso”, un “cielo scuro”, un
“cielo, metà temporalesco e metà sereno” (III 380). Scoppia il temporale Marito e moglie fanno sesso per
la prima volta (III 378). Si presenta in questo testo, ed in modo esemplare, dunque, la connessione – una
struttura profonda, sottolineata da Dominique Fernandez, ormai decenni or sono a proposito del racconto
Il mare – che la “tempesta” e il rapporto sessuale, “nettamente separati nella vita logica, non lo sono
sempre nella vita intima e soggettiva. Il surrealismo ha dato occasione al romanziere realista tipo che è
Moravia, di associare liberamente situazioni che non hanno alcun rapporto visibile tra di loro, nessun
rapporto ufficiale e conosciuto, ma hanno un rapporto reale nella zona privata delle coscienze (o
subcoscienze)”3. Il nesso è anche da ricondurre a paure ataviche del bambino, all’angoscia e al panico e alla
fantasmatizzazione di una scena.
Tempesta e “temporale imminente” scoppiano con frequenza in città, in campagna e lungo il mare. Più
spesso in un’isola, come accade nel romanzo 1934, ambientato a Capri, paesaggio privilegiato dallo
scrittore.
Anche nei viaggi Moravia avverte “l’uragano perenne” (V 1770), descrive la pioggia, soffre l’angoscia e il
“panico claustrofobico della foresta” (V 1777). Nel viaggio del 1990 in Irlanda registra l’atmosfera sospesa
del temporale e dell’uragano, ma particolarmente in Africa i fenomeni naturali sono più ossessivi e sono
tutti rilevati. In Lettere dal Sahara un “un temporale che sta sospeso”, un “temporale” imminente, è
annunciato da “lampi silenziosi” e da “un vento disordinato annunziatore di tempesta” (LS 193). Tutte le
sfumature cromatiche degli alberi e la presenza degli animali sono descritte, ma soprattutto le paure di
fronte al “temporale imminente”. E altrove, ma sempre in Africa, le nuvole – che ricordano al viaggiatore
una lirica di Baudelaire, come accade anche in T 703 – “fanno immaginare minacciose deambulazioni di
dinosauri, orrende zuffe tra giganteschi erbivori e carnivori antidiluviani” (PA 4), i fenomeni naturali e il
“cielo rannuvolato, minaccioso” (PA 110), il “cielo da apocalisse, nero di temporali sovrapposti, aggrottato
e tetro come una fronte oppressa da cupi pensieri” (PA 121), il cielo “tutto un caos d’aggrovigliate nubi
tenebrose, ci si prepara non senza qualche apprensione all’imminente scatenamento dei cosiddetti
elementi” (PA 122), “cielo tenebrosamente minaccioso, con tante nubi nere gonfie e ritorte, le une dietro
le altre, fino all’incendio del tramonto che cova rosso tra le nebbie scure dell’orizzonte” (PA 127), un
“tetro e minaccioso cielo delle grandi piogge” (PA 140), un “lontano brontolio di tuono” (PA 144). Dalle
cascate Victoria è provocata l’angoscia, perché “oltre che un mostro” sono “una naturale metafora di ciò
che va sotto il nome di catastrofe” (PA 146).
4.
La tempesta e il temporale, dunque, nelle associazioni assumono diverse amplificazioni e diventano
metafore di tanti altri elementi. In un’annotazione del Diario europeo, per indicare l’Europa e la sua storia,
alla data 21 gennaio 1988 Moravia utilizzava una “prima metafora”, che però non interessa per il nostro
discorso. Desta attenzione e curiosità, nel lettore anche smaliziato, una seconda “metafora”, “attinta al
clima sempre eccessivo dei tropici” (DE 160). Con riferimento ai “due eccessi” climatici nei quali “l’Africa
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vive drammaticamente la sua vita”, ossia “una stagione delle piogge e una stagione della siccità”, il
viaggiatore osserva che per conoscere in tempo reale il clima è necessario essere in Africa:
Il temporale si annunzia all’alba con una nuvolaglia scura simile ad una fronte aggrottata da cupi
pensieri. Poi, i lampi cominciano a zigzagare fuori di questa minacciosa cortina, accecanti, seguiti sempre
più rapidamente dai brontolii e dagli schianti dei tuoni. Viene poi un vento freddo e furioso che prende a
scuotere tutto ciò che cresce sulla terra, dal filo d’erba al baobab. Infine, ecco la pioggia: il cielo
letteralmente si apre, e torrenti d’acqua cadono sulla terra. (DE 161)
La tempesta e il “cielo temporalesco” invadono gli intrecci, quindi, incombono sui personaggi, incidono
sul loro stato psichico e sulle loro azioni risvegliando angoscia atavica e storica. La quale, provocata dai
tuoni e dai fulmini, e connessa a tanti altri elementi, si ripresenta rinnovata e modificata di spessore, si
dilata e si riversa sull’angoscia atomica, sul pericolo nucleare e sulla catastrofe ecologica. Per il protagonista
del romanzo L’uomo che guarda, assillato dall’”inverno nucleare”, ogni minaccia di temporale
nell’immaginazione diventa il fungo atomico e segnala un “temporale imminente” (UG 127). Egli osserva
che “qualche volta, quando il tempo è tempestoso e nel cielo grandi squarci di azzurro si alternano a
nuvole temporalesche” appare “che dietro la cupola spunti, cresca, si innalzi, si gonfi e al fine torreggi la
nota nuvola in forma di fungo dell’esplosione atomica” (UG 29). E non causalmente, nella narrazione,
dietro la cupola di san Pietro, si replica un’immagine, sempre nello stesso luogo (UG 122), mentre
all’improvviso scoppia “un lampo silenzioso”, quindi un tuono, un “vento fresco e umido” (UG 123),
infine la pioggia (“Poi scoppia a un tratto, con schianto tremendo, un fulmine molto vicino, forse è caduto
nel Tevere”; UG 128). Il protagonista sente che una “camera” dell’appartamento di famiglia “ispira un
senso di sicurezza quasi fosse una specie di ventre materno”6 nel quale può sempre rifugiarsi “al riparo
dalle tempeste della vita” (UG 25).
Nel racconto Tuono rivelatore un genitore si reca a Roma presso il figlio per dormire al sicuro. In
macchina per la città guarda le “grandi nuvole temporalesche, nere e minacciose” con il presagio di un
“uragano, con vento, tuoni, lampi, pioggia”. Contrariamente al figlio che decanta la tranquillità e intende
organizzare “una vita serena e sicura”, il padre confessa di aver “paura”. Non ha appetito. Vuole dormire.
Dorme, ma nella notte sente “il tuono rotolare cupo e fragoroso e poi, negli intervalli di questo rotolare,
propagarsi il fruscio della pioggia” (C 230). I meccanismi tipici del sogno sono evidenti. Il personaggio
ricorda che lo stesso tuono e lo scroscio della pioggia li aveva sentiti “mezzo secolo” prima nella “casa
paterna”:
mi svegliavo di soprassalto nel buio, sentivo lo scoscio della pioggia e il fracasso del tuono, allora mi
levavo dal letto e correvo a rifugiarmi nella camera accanto, tra le calde sicure braccia di mia madre. (C
230)
Ma sono passati cinquant’anni. La madre, sostituita dalla “donna somala”, evidente figura materna, non
c’è più, ora. Il ricordo, che si ripresenta con minimi dettagli diversificati anche altrove, è dello stesso
Moravia bambino, e assume, nelle differenti circostanze, aspetti variegati. Si ripresenta con maggiore
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densità rappresentativa in un testo del 1972, nel quale sono rievocate le vacanze viareggine e lo scoppio di
una tempesta in un giorno estivo. Il ricordo è ben vivo e il narratore scrive:
Sto giocando col mio secchiello e intanto osservo la spiaggia, con le sue file di cabine, le sue barche tirate
in secco, i suoi pattini accoppiati. /…/ il lungomare, con i caffè dalle insegne in stile floreale; /…/ la fila
di ville e villette liberty. Dentro le ville e le villette, so che ci sono le stanze con i mobili di giunco, i
pavimenti a fiorami, la carta da parati con le roselline, le porcellane igieniche dalle rubinetterie complicate e
scintillanti. Osservo di sottecchi questo paesaggio: melenso e borghese, per la prima volta pare avere
un’aria minacciosa, misteriosa, tragica. Ciò che lo rende tragico, come mi rendo conto, è l’imminenza di
una tempesta. Un enorme nembo nero sbarra obliquamente il cielo, non lasciando, all’orizzonte che una
stretta striscia chiara dalla quale piove sul mare calmo e tetro un fascio di raggi sulfurei. In quest’aria buia,
sotto questo cielo nero, i colori delle cabine, delle barche, dei pattini, i verdi, i rosa, gli azzurri stonano,
stridulmente intensi, chimici elettrici. Questi colori mi stupiscono, mi domando perché sono così chiari e
comprendo che lo sono perché il cielo è così nero Poi, in quella striscia di sereno all’orizzonte ecco, dal
nembo sporge come a cercare il mare il dito grigio e affumato di una tromba marina. I colori, adesso,
stonano più che mai; il cielo è più che mai nero. Mentre osservo questo contrasto, mia madre mi prende
per mano e mi porta via, su per la spiaggia, trascinandomi attraverso la sabbia fredda che già le prime
gocce di pioggia vanno bucherellando4.
Alla vista dei quadri di Leonardo Cremonini – è il commento del biografo – emergono “i giochi
infantili, le prime emozioni sessuali, /…/, la fine dell’infanzia”. La tempesta e gli altri elementi vengono
rimossi e annullati nella narrazione. Sarebbe utile delegare i dettagli ad un freudiano per comprendere il
meccanismo che presiede al ricordo, al significato della “tempesta” nel bambino, e che viene ipotizzato
allorché il biografo scrive che con il ricordo Moravia prese coscienza della “fine dell’infanzia”5. Leggendo
l’autobiografia di Goethe, a proposito di un ricordo d’infanzia, in Un ricordo d’infanzia da “Poesia e verità” di
Goethe, redatto nel 1917, Freud ricostruiva il meccanismo in generale dei ricordi infantili, che solo con la
“coscienza analitica” assunsero o meno un significato, sia per la stessa persona padrona del ricordo e
meritavano per valutarne l’importanza una interpretazione, anche se spesso il loro contenuto era sostituito
da quelli che egli chiamava “ricordi di copertura”. Si badi al senso generale: “Quando si destano le
passioni, i bambini non sviluppano mai tali reazioni violente contro i fratelli e le sorelle che trovano già in
vita, ma dirigono la loro ostilità contro i nuovi venuti”, “la amarezza che i bambini provano per la
comparsa attesa o effettiva di un rivale”6.
Il paesaggio temporalesco attraversato dalle nubi e dalla pioggia, è costante in Moravia. Temporale e
tempesta sono sempre in contrasto con la natura solare e idillica. La tempesta non è lontana ed esterna,
piuttosto incombe ed è “imminente”, è sempre una costellazione connessa ai fulmini, ai tuoni, alla pioggia,
al vento furioso e al mare agitato. Attraverso la tempesta emergono altri elementi, alcuni in connessione
con i fulmini e il tuono. Il terremoto, ad esempio, nel ricordo è associato alla tempesta, ma anche ad
elementi punitivi insorti nel soggetto per colpe e peccati presunti, e sempre collegati all’infanzia e all’inizio
dell’adolescenza. Non è un caso che tali elementi coincidano storicamente con la guerra, ogni guerra, dalla
quale Moravia fugge, ma nella quale poi si trova invischiato, e che assocerà alla guerra atomica e all’incubo
nucleare.
Tempesta guerra e terremoto. Nel racconto Le parole e la notte (pubblicato sul “Corriere della sera” il 30
ottobre 1960; ora in IV 678-682) un personaggio si desta da un sogno d’angoscia:
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Aprì gli occhi e vide che stava al buio e che quel frastuono del terremoto e dei crolli non era che il fracasso
dei tuoni di un temporale che, ora, lampeggiava alla finestra, illuminando ogni tanto, incertamente, la
camera. Il tuono accennava un primo brontolio lontano, quindi, dopo una pausa, brontolava più vicino e
più forte e alla fine scoppiava con violenza facendo tremare i vetri. Subito dopo seguiva il silenzio e allora
si udiva il fruscio vasto e impetuoso della pioggia che cadeva con abbondanza fuori della finestra. (IV 678679).
Il “panico” e lo “sconforto” per l’interpretazione data al sogno colgono il personaggio: “Giovanni si
accorse che provava un’angoscia profonda come se, con le fantastiche case del sogno, fossero crollate
anche le sue ragioni del vivere” (IV 679). Egli associa le case della città che crollano alle “ragioni del
vivere” e collega il tutto ad un ricordo d’angoscia, di quando “bambino, durante un temporale simile, era
disceso in gran fretta giù dal suo letto ed era corso da sua madre che dormiva nella stanza accanto e l’aveva
cercata al buio” (IV 679). Era stato investito, quindi, da un’angoscia di morte e da un cupo orrore per la
vita.
Durante il terremoto del 1976 in Friuli riemerse il ricordo del terremoto in Lunigiana, nel 1916 o 1917.
Moravia aveva otto-nove anni, era in vacanza a Viareggio, malato e chiuso in casa, leggeva Alexandre
Dumas. Il terremoto, “presente e incombente”, fu interpretato quale collera divina, catastrofe e punizione
(R 389). Il motivo, con tutte le correlazioni, era in relazione con l’ossessione della guerra, la prima guerra
mondiale, che non era stata combattuta a Roma (e neppure a Viareggio), ma ebbe comunque un impatto
su di lui e ne determinò i successivi comportamenti. Allorché scoppiò la guerra d’Etiopia7, infatti, egli la
rifiutò con la fuga all’estero e la metabolizzò8, ma l’angoscia riemerse fragorosamente con la seconda
guerra mondiale e successivamente con l’incubo atomico e con la concezione della storia come
oppressione e angoscia9.
Note
1
L’imminenza del temporale è anche nel racconto La caduta (II 196-211), analizzato in altro capitolo
(infra). Alcune metafore della tempesta sono replicate: “queste rapide idee erano come luci di lampi nella
tempesta della sua libidine” (I 8); “D’improvviso, qualche cosa si lacera dentro di me, dall’alto in basso,
come, durante una rappresentazione all’aperto, il telone di fondo del teatro se viene percosso dalla ventata
di un temporale” (IL 91). Per l’immagine della vita come tempesta rinvio alla lettera dell’ottobre-novembre
1934 a Lélo Fiaux: “Ma vie sans toi est bien ennuyeuse, avec toi c’était una tempe^te continuelle”. Cfr.
Alberto Moravia, Se è questa la giovinezza vorrei che passasse presto cit., p. 226.
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Si aggiunga anche questa immagine che Moravia sottolineava già nel 1946: “La bellezza, la bontà,
l’intelligenza, l’entusiasmo, la volontà, il senso d’abnegazione e, insomma, tutte le migliori qualità umane
sono soggette ad uno stupro continuo e flagrante” (UF 135). Per violenza e stupro cfr. anche IL 389. In
Sanctuary, del 1931, Temple è violentata con una pannocchia di granoturco da Popeye. Uno stupro è anche
in Luce d’agosto. Sullo “stupro” alcune osservazioni penetranti sono in Camille Paglia, Sexual Personae. Arte e
decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson, trad. it. di Daniele Morante, Torino, Einaudi, 1993, pp. 32-33, 37 e
passim.
3
Dominique Fernandez, Il romanzo italiano e la crisi della coscienza moderna, cit.
4
René De Ceccatty, Alberto Moravia, cit., p. 62. Un’attenzione critica al testo è stata dedicata anche da
Alessandra Grandelis, “Preferisco la pittura alla letteratura”. Alberto Moravia e gli scritti d’arte, in …., n. 2, lugliodicembre 2013, pp. 75-76 (con rinvio in nota a p. 82), senza tutte le implicazioni, purtroppo.
5
René De Ceccatty, Alberto Moravia, cit., p. 62.
10
Sebastiano in La mascherata cammina sicuro al buio nell’abitazione; l’atteggiamento “gli veniva
dall’infanzia, quando, per provare alla madre che non aveva paura del buio, si era abituato a percorrere
l’intera casa senza aprire luci” (II 39-40).
6
Sigmund Freud, Un ricordo d’infanzia da “Poesia e verità” di Goethe, in Opere, cit., vol. IX
Si ricordi che Moravia nacque il 28 novembre 1907, che le due sorelle Adriana ed Elena era già nate e
che Gastone nato nel 1914, morì in guerra nel 1941 a Tobruck.
7
Per la refrattarietà alla guerra d’Etiopia cfr. Alberto Moravia, Se è questa la giovinezza vorrei che passasse
presto cit., p. 302 e passim.
8
Ha osservato Franco Fornari (Psicanalisi della situazione atomica, Milano, Rizzoli, 1970) che la guerra
incoraggia le tendenze crudeli e disoneste nell’individuo (p. 87), fa emergere il barbarico, il cannibalismo e
il sadismo ed è lo sbocco verso il padre odiato (p. 100) che diventa il nemico in guerra.
9
In un testo diaristico del 3 marzo 1988 Moravia annotava che “la storia assolve perché è lenta”, e che
“Il tempo della storia non è il tempo dell’individuo” (DE 170). Perciò la storia, essendo un incubo, spinse
il romanziere romano a rifugiarsi nella “preistoria”, da intendere “in maniera non scientifica, semmai
culturale, letteraria. Per me la preistoria è tutto ciò che si trova ancora allo stadio orale. È una storia non
scritta” (Alberto Moravia, Intervista sullo scrittore scomodo, cit., p. 81).
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