Problemi di attribuzione e di proprietà nell`Inno a Ermes

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Problemi di attribuzione e di proprietà nell`Inno a Ermes
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Vol. 2 (2010) 1/17
SILVIA ROMANI
Di chi sono questi buoi?
Problemi di attribuzione e di proprietà nell’Inno a Ermes
Fra le prime avventure del giovane Ermes uno spazio cruciale è occupato dal celebre furto dei
buoi al quale generalmente la critica assegna un valore fondamentale1, non solo come punto di
svolta della narrazione, ma anche per il significato simbolico che riveste.
Ecco i versi dell’Inno ad Ermes dedicati all’episodio:
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! (vv. 64-74)
Mosso da un appetito vivace, e inconsueto per un futuro dio (
)4, il piccolo
Ermes balza fuori dalla grotta odorosa sul monte Cillene, dove vive la madre Maia e dove è appena
venuto alla luce; pochi passi ed è già fuori, di vedetta, con l’atteggiamento astuto di chi medita,
come fanno i ladri (
)5, un inganno non da poco (
). Ermes è quindi già
un astuto ingannatore, un ladro per giunta: abile a individuare anche il momento più propizio della
giornata, la notte appunto, per portare avanti il suo progetto. Quest’attitudine del dio è stata
esplorata nel dettaglio dalla critica6: non ha senso quindi tornarvi nuovamente; mi limito a
sottolineare come l’impresa del dio fanciullo sia descritta nell’Inno come l’azione solitaria di un
ladro, che si muove avvolto dalle tenebre.
1
Da Kuiper in poi (KUIPER [1910, 25]) «Boum raptus insigne et praecipuum tamen esse voluti hymni argumentum».
Per la connessione di quest’epiteto, di cui i poemi omerici mostrano un uso estensivo, con il tema del furto dei buoi, si
veda CHITTENDEN (1948, 24-33); GREENE (2005, 343-9: 348); i passi iliadici, in particolare, mostrano un chiaro nesso
fra il verbo
e l’epiteto
, Il. V 390; XXIV 24, 109; contra, la tragedia non registra la presenza
dell’epiteto: SIEBERT (2005, 263-9).
3
Il testo adottato è quello proposto recentemente da Richardson per Cambridge University Press, che riproduce, con
lievi modifiche, l’edizione di Càssola: RICHARDSON (2010).
4
Curiosa immagine del dio, mosso da un appetito animale (nella stessa sede metrica del v. 64, in riferimento a un leone,
in Il. XI 551 e XVII 660); lo stesso emistichio ricorre al v. 287, ma un concetto analogo viene espresso anche ai vv.
130-2 e 296; si veda STRAUSS CLAY (1989, 111) per alcune riflessioni sul motivo del “ventre” collegato tanto ad Ermes
quanto ad Odisseo; il tema, in relazione in particolare a Odisseo, è discusso da PUCCI (1977, 157-87).
5
Per l’uso di questo termine in connessione a Ermes, si veda BROWN (1969, 10 n. 15).
6
Si veda in particolare BROWN (1969); KAHN (1978); sul tema, anche se non specificamente dedicato alla metis di
Ermes, DETIENNE – VERNANT (1974).
2
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Due sono gli aspetti più significativi del racconto: il primo è lo scenario della narrazione;
Ermes è diretto alle montagne ombrose della Pieria7, dove gli dèi tengono le stalle dei loro armenti.
Le varianti che riportano il mito sono su questo punto piuttosto discordi: la sede scelta dal poeta è in
competizione per lo meno con la Tessaglia e la zona occidentale del Peloponneso, ma su questo
argomento tornerò più avanti.
La questione della collocazione geografica deve essere considerata in parallelo al problema
della proprietà dei buoi rubati da Ermes; nei versi dedicati specificamente al furto non un cenno
viene fatto all’appartenenza degli armenti: né al v. 71 né al v. 74, quando il poeta esplicita il numero
di vacche rubate da Ermes, cinquanta:
8
La
notizia è omessa anche al v. 193, quando Apollo, in cerca delle sue mandrie, si imbatte nell’uomo di
Onchesto e gli racconta con maggiori dettagli l’episodio del furto: i buoi rubati in Pieria erano tutti
femmine, il toro nero non era stato toccato così come il cane: un fatto veramente incredibile, come
commenta il dio (
, v. 196)9. Qui Apollo non sente il bisogno di esplicitare il possesso e parla
genericamente di un furto
, «dalla mandria». Certamente noi sappiamo che si tratta dei
buoi di Apollo: il poeta ne sancisce il possesso già al v. 18, in quel breve passo in cui vengono
preannunciate le imprese di Ermes, e ancora, per esempio, al v. 21; ciò non di meno, come
vedremo, l’appartenenza delle mandrie rubate è un nodo ambiguo, che necessita di un chiarimento.
Illustri paragoni
Una delle ipotesi di lettura più condivise di questo passo colloca l’impresa di Ermes
all’interno di un contenitore culturale e sociale più ampio: quello dei miti di abigeato che furono
probabilmente un tratto peculiare dell’area centro-occidentale del Peloponneso10. La Pieria non fa
parte naturalmente di questo contesto geografico, ma la sottrazione dei buoi costituisce uno degli
antefatti (l’altro è l’invenzione della lira) di una vicenda mitica che ha nella Pilo trifilica11 il suo
punto di arrivo12.
7
Nell’Inno ad Apollo, il dio tocca terra a Pieria nel suo viaggio dall’Olimpo (v. 216); le Muse, nate a Pieria, da lì si
muovono per arrivare sull’Olimpo (Hes. Th. 53-62).
8
Antonino Liberale (Met. 23 = H. fr. 256 M.-W.) fornisce maggiori dettagli sul bestiame rubato: Ermes per prima cosa
incanta i cani e li fa addormentare; ruba poi dodici giovenche, cento buoi che ancora non hanno conosciuto il giogo e il
toro. Il tema dell’incantamento è invece assente nel testo dell’inno; cf. HOLLAND (1926, 156-83: 156).
Sull’identificazione delle vacche rubate con le anime dei defunti in cerca della loro sede nell’Aldilà, con Ermes nel
ruolo di psicopompo, si veda KUIPER (1910, 35s.); BROWN (1969, 12 n. 17); Ermes come incantatore, in grado di
addormentare con la sua verga, è già presente nell’Iliade (XXIV 343s.); cf. anche Hippon. fr. 2 Degani.
9
Alcune interessanti osservazioni sulle ragioni di questa selezione di animali (l’esclusione del toro e dei cani) in LEDUC
(2005, 141-65: 163s.); si confronti anche LEDUC (2006, 15-32).
10
Sull’ipotesi che il mito del furto dei buoi di Ermes possa essere il riflesso di una tradizione arcade di cattle-raiding si
veda HAFT (1996, 27-49).
11
Il tragitto di Ermes nella variante riportata da Antonino Liberale è descritto con ben più dovizia di particolari e non
coincide con quello riportato dall’autore dell’inno già il punto di partenza, il luogo del furto, differisce: è la Magnesia,
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Particolarmente interessante in questo quadro sembra essere l’analisi del cosiddetto “epos
pilio”: quel segmento dell’XI canto dell’Iliade (vv. 670-762) dedicato all’
!
di Nestore, che
Massimo Vetta descrive efficacemente come una «saga regionale», organizzata attraverso un
«reticolo di toponimi»13. Il tema di questo racconto piuttosto esteso è, appunto, un mito di abigeato
in cui si rivela il valore del giovane Nestore, quando questi, ancora non uso alla guerra, partecipa a
un’incursione pilia nel territorio degli Epei, allo scopo di recuperare le mandrie rubate in
precedenza dai vicini. Il passo è stato giustamente valorizzato dalla critica come l’exemplum
principe attraverso cui leggere il ritratto più completo e complesso dell’abigeato in età arcaica: vi
compaiono, infatti, alcuni elementi fondamentali come il motivo dell’iniziazione eroica, il rapporto
con la comunità di guerrieri a cui appartiene il giovane Nestore, la funzione di legittimazione che il
cattle-raiding riveste in casi di questo genere14.
Il parallelo è ulteriormente suggerito anche dal contesto geografico utilizzato come scenario
di questo tipo di racconti: il Peloponneso occidentale, e la zona di Pilo in particolare; la Pilo di
Nestore, per lo meno nell’XI dell’Iliade, pare essere infatti quella trifilica così come trifilica
abbiamo visto essere la Pilo a cui allude l’autore dell’inno15.
Ciò non di meno, a una più attenta analisi, i tratti di discontinuità fra i due modelli narrativi
appaiono non trascurabili16: la discrepanza più significativa risiede nel contesto sociale in cui
l’azione mitica è collocata; nel caso di Nestore parliamo, infatti, della comunità nel suo insieme.
Ben diversa appare la situazione di Ermes, che compie la sua impresa in totale solitudine senza un
contesto comunitario a cui direttamente rapportarsi. Il tema antropologico e letterario del cattleraiding in Omero è al contrario, di fatto, una public enterprise, come la chiama Norman Brown17.
dove anche Admeto aveva al pascolo le sue mandrie; Ermes conduce poi i buoi rubati attraverso l’Acaia Ftiotide, la
Locride, la Beozia, la Megaride, nel Peloponneso, attraverso il golfo di Corinto, fino a Larissa (Argo); e ancora tocca
Tegea, in Arcadia, e giunge alle "
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, vicino a Menalo; il punto di approdo è la Pilo messenica, al
Corifasio, dove le mandrie rubate vengono custodite.
12
Sulla possibile sovrapposizione fra la Pilo in Elide e la Pilo messenica all’interno dell’inno omerico, ALONI (2006,
32s.); già Kuiper, del resto, propendeva per la “fusione” delle due Pilo in un unico luogo che aveva le caratteristiche di
Pilo messenica e le coordinate di Pilo in Elide (KUIPER [1910, 32]). Per la “fortuna” dell’epos pilio (e la sua
ricollocazione) si veda VETTA (2003, 13-33). Per una ricostruzione della geografia dell’inno, con particolare interesse
per la zona di Pilo e il suo rapporto con i territori vicini, LEDUC (2005, 141-65: 150-3); si veda anche BRILLANTE (1993,
267-78); di area trifilica è anche la Pilo citata nell’Inno ad Apollo 421-6.
13
Si veda VETTA (2003, 15).
14
Sul tema dell’abigeato e sulle possibili influenze che i miti indoeuropei di cattle-raiding possono aver esercitato
sull’inno, si veda in particolare WALCOT (1979, 326-51); ILES JOHNSTON (2002, 109-32: 112s.); LARSON (2005, 1-16:
5); per una prospettiva più ampia sul tema, anche nel contesto indoeuropeo, LINCOLN (1976, 42-65); LINCOLN (1981);
da ultimo, BADER (1980, 9-83).
15
VETTA (2003); BRILLANTE (1993, 276s.).
16
Sull’importanza di focalizzare con attenzione le caratteristiche di questo mito di cattle-raiding nell’inno, ILES
JOHNSTON (2003, 155-80: 161).
17
BROWN (1969, 5).
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L’accostamento più pertinente è quindi forse quello con imprese eroiche come il furto dei
buoi di Gerione da parte di Eracle18 o l’attitudine di «razziatore di armenti» di Achille, resa
esemplare dalla celebre affermazione «i buoi, i montoni si possono rubare, i tripodi e i cavalli
acquistare, ma la vita umana non la puoi rapire, né afferrare, quando abbia varcato il recinto dei
denti» (Il. IX 406-9)19. In questi casi il furto del bestiame, come giustamente sottolineava già
West20, non getta alcun discredito su chi ne è responsabile, anzi ne accentua il prestigio.
Contrariamente a quel che accade con il famoso avatar di Ermes: Autolico, nonno di Odisseo e,
secondo alcune tradizioni, addirittura figlio del dio21. Dotato di magici poteri, abile nelle fughe e
negli incantamenti, deve la sua notorietà soprattutto al fatto di aver rubato, indisturbato e a più
riprese, le mandrie di un altro celebre ingannatore, Sisifo22.
Un passo in avanti
Nel XII libro dell’Odissea23, Odisseo e i suoi compagni sbarcano sull’isola del Sole;
nonostante gli avvertimenti di Circe e Tiresia, in un momento in cui Odisseo è fuori gioco perché
immerso nel sonno inviato dagli dèi, i compagni catturano alcune vacche che fanno parte delle sacre
mandrie del Sole, le sacrificano e, in preda a una fame incontrollabile, se ne cibano, per poi
incorrere nella tremenda ira divina.
Jean Pierre Vernant ha per primo evidenziato alcune affinità fra il racconto odissiaco e il testo
dell’inno, e Susan Chadwick Shelmerdine si è spinta fino a postulare un’influenza diretta
dell’Odissea sulla composizione dell’Inno a Ermes24. Il terreno di raffronto principale è
18
L’episodio è già tratteggiato nei suoi elementi fondamentali in Esiodo (Th. 287-94); si veda in particolare Apollod. II
5, 10, dove il racconto di Gerione e delle sue mandrie offre il pretesto per una sintetica digressione dedicata al viaggio
di Eracle in Occidente e in Italia; maggiori dettagli sul tragitto di Eracle con il bestiame rubato si trovano in Diodoro
Siculo (IV 17).
19
Si veda anche, per Achille razziatore, Il. VI 424; XX 91s.; lo stesso Achille dichiarava ad Agamennone di non avere
motivi di contrasto con i Troiani perché questi non gli avevano mai rubato del bestiame o dei cavalli (I 152-6); cf.
WALCOT (1979, 330ss.), per un’analisi di questi e altri passi analoghi.
20
West ad 290: «cattle-stealing was common in the Greek heroic age, and reflected no discredit on the hero who did it,
but on the contrary testified to his prowess»; in termini simili si pronunciava Tucidide a proposito della pirateria a cui
erano usi i Greci nell’epoca più antica (I 5).
21
Per Igino (fab. 201); secondo Omero, invece, era solo il suo prediletto (Od. XIX 396-8).
22
Ig. fab. 201; si confrontino anche i frammenti dei due drammi che Euripide dedicò ad Autolico, intitolati Autolico
appunto (frr. 282-284 Kannickt), da cui Igino ha probabilmente attinto. Autolico aveva fra l’altro rubato anche le
mandrie di Eurito (Apollod. II 6, 2) e l’elmo con le zanne di cinghiale che Odisseo utilizzava nelle sue scorrerie
notturne (Il. X 266s.).
23
Od. XII 260-9: Odisseo e i suoi arrivano all’isola del Sole; l’eroe ode subito il muggire e il belare degli animali e
ricorda l’avvertimento di Tiresia che gli aveva ingiunto di evitare l’isola; vv. 270-323: Odisseo ammonisce a più riprese
i compagni a non cibarsi delle vacche del Sole, impegnandoli in un giuramento solenne; vv. 335-8: Odisseo cade preda
di un sonno profondo inviato dagli dèi; vv. 340-65: i marinai decidono ugualmente di sacrificare alcuni capi delle
mandrie del Sole e di cibarsene; vv. 394-419: si manifesta la vendetta divina, prima sotto forma di prodigi, poi con una
tempesta sul mare.
24
DETIENNE – VERNANT (1979, 239-49), dove si enfatizzano in particolare le caratteristiche del sacrificio distorto
messo in atto dai compagni di Odisseo e le ragioni della vendetta divina; CHADWICK SHELMERDINE (1986, 49-63: 57-8).
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naturalmente il sacrificio delle mandrie del Sole (di cui sono state da tempo evidenziate assonanze e
divergenze rispetto al racconto dell’Inno), ma ancor più importante, in questo contesto, è ricordare
come nel passo odissiaco il tema del furto dei buoi sia connesso direttamente con quello del
sacrificio e come un gesto serva a chiarire e a determinare l’altro. Un ruolo analogo viene assolto
dal binomio furto-sacrificio nell’economia dell’Inno; solo quando le mandrie rapite in Pieria si
fermeranno presso le rive dell’Alfeo, infatti, si sveleranno, anche se solo parzialmente, le intenzioni
di Ermes.
La prassi sacrificale scelta da Ermes è, come ogni gesto compiuto dal dio nel primo giorno di
vita, originale e bizzarra; non è possibile citare davvero nessun gesto rituale che le corrisponda
perfettamente25.
Il momento simbolicamente più efficace è, senza dubbio, quello della spartizione delle parti:
dopo aver inventato un modo originale di accendere il fuoco (vv. 109s.), Ermes sgozza due vacche
«dal cupo muggito» e «dalle corna ritorte»26 (vv. 119), ne taglia le carni, le arrostisce e ne appende
le pelli sulla roccia (vv. 120-6)27. A questo punto procede a una precisa distribuzione delle porzioni
che non pare corrispondere a nessun codice sacrificale riconosciuto, ma piuttosto mescolare
destinatari e funzioni: dodici porzioni vengono collocate sulla pietra levigata (
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, v. 128)28, distribuite secondo il criterio democratico del sorteggio
, v. 129); ciascuna porzione è un dono perfetto (
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, v. 129), e nessun
pezzo di carne viene assaggiato dal dio, nonostante il ferino desiderio di cibo che l’aveva mosso fin
dal principio ad agire (vv. 130-3)29. Il tratto simbolico di questa divisione viene accentuato da
Vernant (DETIENNE – VERNANT [1979, 239]), opportunamente richiama il passo erodoteo (Hdt. III 17-26) in cui
Cambise invia alcuni ittiofagi nel paese degli Etiopi, dove si trovava la mensa del Sole; il luogo in cui il Sole cala o si
leva è visto nell’epica arcaica come punto di incontro fra la terra e il cielo, il luogo in cui gli dèi e gli uomini si
riunivano a banchetto (Il. I 423s.; XXIII 205; Od. I 22-5).
25
Secondo Kahn la componente simbolica qui è fondamentale (KAHN [1978, 41-79]); Burkert pensa invece a un preciso
legame con il sacrificio olimpico ai dodici dèi (BURKERT [1988, 163-75]); per Jennifer Strauss Clay l’episodio
costituisce un’eco di un’antica dais omerica (STRAUSS CLAY [1987, 221-34; 1989, 95-151]); si veda anche LEDUC
(2005); JOHNSTON – MULROY (2009, 3-16).
26
Cf. Vernant (DETIENNE – VERNANT [1979, 239-49]) e CHADWICK SHELMERDINE (1986, 58) per l’uso di epiteti simili
a indicare le vacche del Sole e quelle rubate da Ermes.
27
Antonio Aloni, riprendendo un contributo di MÜLLER (1852, 310-6), ricorda il particolare delle pelli appese alla
roccia come una prova della parziale confusione fra la Pilo in Elide e quella al Corifasio; proprio nei pressi della Pilo
messenica sarebbe infatti possibile collocare la grotta dove Nestore ricoverava le sue mandrie ricordata anche da
Pausania (IV 36, 2): ALONI (2006, 31-3).
28
Sull’ipotesi che la distribuzione di dodici parti richiami il rito del sacrificio ai dodici dèi di Olimpia e che proprio
questa connessione possa servire da criterio di datazione e collocazione dell’inno BURKERT (1988); GEORGOUDI (1996,
43-80). Per BROWN (1969, 107-37), il riferimento alla divisione delle parti può essere impiegato come un terminus post
quem per la composizione dell’inno; sarebbe cioè successivo all’istituzione, nel 522-521 a.C., del culto dei dodici dèi ad
Atene. Concordo con JANKO (1982, 142) sulla labilità di questo criterio di datazione; per un’ottima presentazione delle
diverse ipotesi di datazione dell’inno si veda ancora JANKO (1982, 140-3): Janko propende per una collocazione alla
fine del VI secolo; cf. ancora JOHNSTON – MULROY (2009) e RICHARDSON (2010).
29
Sulle ragioni che impediscono a Ermes di cibarsi della carne appena porzionata si vedano in particolare le
osservazioni di DETIENNE – VERNANT (1979, 239-49), di STRAUSS CLAY (1987, 122), di BURKERT (1972), di DURAND
(1988, 193-202).
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quell’espressione: «segno del recente furto», !
(v. 136), con la quale il cantore
designa i resti del banchetto sacrificale.
Il poeta utilizza per descrivere il sacrificio di Ermes entrambi i meccanismi distributivi: quello
legato al sorteggio e quello che si fonda invece sull’idea aristocratica che prevede l’assegnazione ai
migliori delle parti migliori; le sue porzioni sono quindi perfette e, nel contempo, tutte di identico
pregio, da distribuirsi all’interno di un consesso di eguali30. La condizione di eguaglianza
nell’assegnazione delle parti è anche, parallelamente, garanzia dell’esistenza di un modello
“isonomico” di gruppo sociale31; poiché ogni parte è implicitamente assegnata a una divinità, il
mondo degli dèi, nella ricostruzione di Ermes, dev’essere giocoforza un universo in cui non
esistono disuguaglianze, in cui cioè la divisione delle parti del sacrificio, così come delle terre, delle
v e dei bottini sia perfettamente uguale. E se Kahn giustamente sottolinea come il
, la
parte “migliore”, la porzione esclusiva e il sorteggio mescolati creino una sorta di proficua
)32, destrutturando le consuete procedure
confusione a livello simbolico (un déplacement del
del sacrificio e mescolando metodi aristocratici con procedure democratiche33, Ermes vi si pone
astutamente al centro, come signore del sorteggio34.
Ricominciare da capo
L’uso che del sorteggio fa Ermes non può, tuttavia, essere inteso semplicemente in senso
letterale: lo scopo del dio appena nato non è soltanto quello di assegnare le parti di un bue
sacrificale, ma quello di rappresentare, attraverso l’ordinata distribuzione del
un’altra e ben più complessa divisione: quella spartizione originaria di
,
, di porzioni d’eredità
grazie alla quale Zeus e gli altri dèi si erano divisi il mondo (sulla scorta di un celebre passo
iliadico)35.
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Sempre DETIENNE (1988, 177-87), ricorda le affinità e talvolta le sovrapposizioni fra la divisione del bottino e la
divisione della porzioni sacrificali.
31
Cf. VERNANT (1962); KAHN (1978, 64s.).
32
Cf. KAHN (1978, 62ss.).
33
Sempre KAHN (1978, 64) ricorda come il sorteggio sia utilizzato soltanto per spartire le parti che spettano,
genericamente, ai mortali, agli spettatori comuni di un sacrificio.
34
Phot. s.v . *0
e
*0
; schol. ad Ar. Pax 364b; Poll. 6, 55 ed. Bekker.
35
Il. XV vv. 180-99; il passo è assai complesso e sembra alludere a un sistema di spartizione ereditaria che privilegia
l’uso del sorteggio, ma che non esclude il diritto di primogenitura. Sorteggio, eredità e distribuzione del potere
rappresentano un nodo difficile da sciogliere; la bibliografia è piuttosto ampia, si vedano, in particolare sui temi oggetto
della mia indagine, GUIDORIZZI (2001, 41-54); DEMONT (2000, 299-325); utile è anche la lettura di BROADBENT (1968);
CARLIER (1984).
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(vv. 187-93)
In quella comunità di eletti, uscita vincitrice dal terribile scontro con i Titani, il mondo viene
letteralmente tirato a sorte, e ciascuno ottiene una parte del tutto: una parte di universo, di
potere, di prerogative divine. Vi sono però degli assenti e
, di
non assegnati: l’Olimpo non
rientra fra i lotti distribuiti in sorte e, come vedremo, quest’eccezione potrebbe non essere
ininfluente.
Chi ha mancato a quell’appuntamento fondamentale, per altro non privo di turbolenze, ha
perso l’attimo: non ha potuto ottenere la propria porzione di universo. Fra i ritardatari bisogna
ovviamente annoverare anche Ermes e quindi lo scopo del dio pare essere proprio questo: riportare
il mondo e, soprattutto, la comunità divina, a quella condizione iniziale, al grado zero in cui tutto
era ancora da dividere e da spartire.
Strauss Clay e Kahn hanno giustamente ricordato il tentativo di Ermes di ricostruire le
condizioni ideali per una spartizione perfetta e le sue possibili ragioni36, ma forse occorre insistere
maggiormente su questo punto: il dio vuole la sua eredità, vuole quanto gli spetta e per farlo
distribuisce di nuovo il
e si autoelegge membro di quella comunità divina a cui spettano le
parti del banchetto sacrificale.
Questa strategia, per quanto originale, trova un’eco significativa in una procedura non
dissimile utilizzata da Zeus, nell’Olimpica VII di Pindaro (vv. 55ss.). Quando – racconta Pindaro –
gli dèi si divisero l’universo alle origini dei tempi, Elios era assente: non aveva quindi ottenuto la
sua parte (
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, v. 59), nessun lotto per esattezza (&
, v. 60). Zeus aveva così pensato di rifare il sorteggio (, $
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, v.
61), ma, proprio in quel momento, Elios aveva visto nascere dagli abissi del mare un nuovo lembo
di terra, la futura Rodi, che era da quel giorno divenuta l’esclusivo possesso del Sole (
%!! !
!
, v. 68).
La posizione di Elios, nel carme pindarico, non è dissimile da quella di Ermes all’interno
dell’Inno: il Sole non c’è quando il mondo viene tirato a sorte (così com’è assente quando Ermes
ruba i buoi!) e arriva tardi; l’idea del padre degli dèi è dunque quella di mettere tutto di nuovo in
gioco, proprio quello che Ermes ha intenzione di fare con il suo banchetto-sacrificio, ma
36
STRAUSS CLAY (1987, 122): «his division of the portions reflects his claim to equality within the community and
denies any valid distinction in geras, and hence in time, among his guests»; KAHN (1978, 65): «Ce que Hermès cherche
à acquérir ne relève pas en principe de l’attribution mais du klèros»; si veda anche LEDUC (2005, 144); HAFT (1996, 2748).
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l’improvviso comparire di un
non assegnato, di un
a cui manca un padrone, l’isola di
Rodi, permette di uscire elegantemente dalla crisi.
Si potrebbe quindi ipotizzare che Ermes sia alla ricerca di una soluzione altrettanto elegante e
che questa consista nel furto e nell’appropriazione di un lotto non ancora diviso e nella sua parziale
distribuzione.
Prima di esplicitare con più chiarezza quest’ipotesi, è opportuno ridefinire con maggior
chiarezza il ruolo di Ermes rispetto alla famiglia divina alla quale sente di appartenere, ma a cui,
solo in ultimo, potrà dirsi seriamente aggregato.
La genealogia del dio, così come viene descritta nell’Inno, è chiaramente quella di un
illegittimo37. Per ricostruire le circostanze del concepimento, il poeta fa ricorso a un modello topico
per i conviti amorosi fra Zeus e le sue occasionali amanti: gli incontri fra Zeus e Maia avvengono di
nascosto, in un antro del monte Cillene, lontano dal consesso degli dèi beati (
$
, v. 9); i due si congiungono di notte ( !
$
!
$
, v.
7) mentre Era dorme (v. 8) e nulla della loro relazione traspare finché Ermes, dopo dieci mesi, non
viene alla luce ( %
%
(
!
%
, v. 12). Ermes non tollera di
vivere «lontano» dal consesso divino, come vuole sua madre (vv. 5s.); vorrebbe abitare
, con gli «immortali», come ripete a più riprese (vv. 168, 170), e lì, in compagnia, godere
di quei privilegi di cui si sente privato, costretto com’è a vivere in un antro scuro ( %
, v. 172). La sua è quindi, prima di tutto, un’estraneità geografica: è nato in un altro luogo,
lontano dall’Olimpo, ma non vuole restarvi, nonostante la grotta di Maia rappresenti un rifugio
sicuro.
Ermes è anche per eccellenza il figlio nato dopo: l’inno è percorso da frequenti allusioni alla
giovane età del dio; è un
ieri»: & $
(vv. 208, 240s.),
(v. 273), uno !
, «appena nato» (vv. 271), un «nato
, come lo chiama Apollo: uno «ancora in fasce»
(v. 301).
Entrambe le forme di lontananza: dal luogo e dal tempo in cui il potere si gestisce ed è stato
diviso, rendono la posizione del giovane dio molto simile a quella del Sole nell’Olimpica VII e
necessitano quindi di una soluzione simile, se non identica. In tal quadro, il furto delle mandrie
prima e il sacrificio sulle rive dell’Alfeo dopo rappresentano il punto focale di una narrazione in cui
si può leggere un tentativo assai complesso e raffinato di riscrittura del materiale teogonico
originale al fine di ricostruire le genealogie divine secondo un copione più favorevole ad Ermes e
alle sue pretese “dinastiche”.
37
Si veda, sul rapporto fra gli epiteti di Ermes nell’inno e le caratteristiche della sua nascita, GREENE (2005).
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S. Romani
Questa lettura è sostenuta anche dal confronto con le due brevi teogonie improvvisate da
Ermes per saggiare l’incanto musicale della lira appena inventata. La prima si colloca all’inizio
dell’Inno e coincide, di fatto, con una rapida celebrazione dell’unione di Zeus e Maia ed è quindi
funzionale a nobilitare la stirpe di Ermes; di più al dio non è dato di cantare, poiché egli conosce
solo l’antro del monte Cillene, la casa della ninfa, dov’è nato e dove il padre degli dèi si unisce alla
madre (vv. 54-61). Prima di mettersi in cammino, affamato di carne, Ermes possiede solo il
micromondo della grotta materna, ma le cose cambiano, e decisamente, quando il piccolo dio canta
la sua seconda teogonia, questa volta di fronte al fratello Apollo, ammirato per la furbizia, l’abilità,
la forza di Ermes e il suono meraviglioso del nuovo strumento musicale. Ermes è ora l’«uccisore di
Argo» (
, v. 414), e la sua teogonia ha il sapore di un riscatto:
#
38
$
(
$
$
#
)
!
$
)
,
# )
-
(
$
$
.
$
! (vv. 425-33)
Il testo greco è assai preciso: le generazioni divine si susseguono, organizzate
sulla base del ritmo genealogico ( *
!
sorte: *
.
!
&
$
, v. 428;
$
$
,
!
!
$
*
, v. 431)39 che comunque dà conto anche della parte che ciascuno ha avuto in
.
!
(v. 428). Proprio in questo contesto, ecco finalmente comparire il
figlio di Maia, curiosamente presentato come la “parte” toccata per sorteggio a Mnemosine, alla
quale spetta, in quanto madre delle Muse, la posizione incipitaria del canto teogonico: *
3
*
$
&
(v. 430). E se pure, con Càssola, possiamo leggere in quest’espressione la
definizione del diritto di possesso che Mnemosine può esercitare sui poeti (e quindi su Ermes)40, è
38
Il potere tassonomico di quest’inno e il carattere innovatore della teogonia finale cantata da Ermes non sono sfuggiti a
Strauss Clay (STRAUSS CLAY [1987, 138s.]). Sulle due teogonie di Ermes si veda PÒRTULAS (2006, 19-32); per la
connessione fra i due componimenti e la tematica del sacrificio, si veda ora anche ROMANI (in corso di stampa, 117-35).
39
Il diritto di primogenitura è per altro richiamato anche da Ermes qualche verso più oltre, quando il dio ricorda ad
Apollo gli onori che a quest’ultimo furono assegnati perché “nato prima” e “più forte”:
$ 4 $
* $
!
!!
/ 5
/
!
, $ /
!
*! ( %
$
, vv. 468-70. I due diversi meccanismi di distribuzione dei lotti ereditari (primogenitura e sorteggio) convivono nel
passo iliadico (XV 180-99) in cui si narra del mondo diviso a sorte fra gli dèi, lì dove Iride ricorda a Posidone che Zeus
non solo è più forte di lui (
$
, v. 181), ma è anche maggiore per nascita (
, v. 182).
40
Càssola ad 430; secondo A. Ludwich (ad 430) & è impossibile da interpretare correttamente; per THALMANN
(1984, 154) il legame fra l’attribuzione dei privilegi divini e il tema dell’investitura poetica è qui evidente. Efficace è
l’accostamento con il passo iliadico che descrive il sogno di Achille: qui è la Chera odiosa a essere data in sorte (
$ $
/
&
!
( .
&
, XXIII 78s.; si veda anche Il. IV 49: $
$
&
*
(è Zeus a parlare); XXIV 70 (il contesto è molto simile al precedente); XXIII 353-7; e, infine, Il.
XXIV 400: qui
&
è messo in esplicita relazione al tema dell’eredità e dell’estrazione a sorte.
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impossibile nello stesso tempo non intendere il v. 430 come una chiara eco del v. 428 e quindi non
considerare come particolarmente rilevante l’insistenza sul tema del sorteggio e dell’assegnazione
delle parti; Ermes, assegnato in sorte a Mnemosine, diviene un tassello del mosaico che compone,
fin dalle origini dell’universo, il pantheon divino.
La Pieria vista da Pilo
Se il trucco di Ermes è stato svelato e, soprattutto, se è stato individuato il suo obiettivo finale,
resta ancora da chiarire cosa in realtà Ermes voglia tirare a sorte e quale sia il lotto indiviso di cui va
in cerca sulle rive sabbiose di Pilo: sono le
divine, il suo posto al sole in cima all’Olimpo?
Oppure Ermes pensa a qualcosa di molto più concreto? E se fossero proprio i buoi il
di cui
va in cerca?
I buoi di Pieria sono, però, una parte già assegnata: appartengono ad Apollo, come il poeta
sottolinea già al principio dell’Inno (vv. 18, 22) e poi ancora in occasione del confronto fra Apollo e
Zeus (v. 340); eppure quest’attribuzione non pare indiscussa e definitiva. Ho già ricordato come
nella descrizione del furto dei buoi non un cenno venga fatto alla proprietà degli armenti e anzi si
privilegi il generico
(v. 71) in luogo di un possessivo più specifico. Altrove,
quando Ermes si troverà a giurare di non aver rubato i buoi del fratello, ambiguamente dirà di non
aver visto il ladro
(v. 276) né di sapere
*
.
*
! (v. 277), ma di
averne solo sentito parlare.
Le parole, si sa, in un giuramento solenne41 hanno il loro peso, soprattutto se si giura sulla
testa del padre (
$
$
$
42
.
, v. 274), e vengono, infatti,
riproposte solo con una leggera variatio ai vv. 310s. Cosa esattamente significhino non è facile da
dire: secondo Susan Chadwick Shelmerdine, l’uso della seconda persona plurale per il possessivo in
Omero può essere impiegato per sostituire la seconda persona singolare: Ermes parlerebbe cioè di
“vostre vacche”, ma vorrebbe indicare solo gli armenti di Apollo; gli exempla citati in appoggio a
quest’osservazione non mi paiono tuttavia particolarmente convincenti43. Secondo Allen, Halliday,
Sikes, la scelta del plurale farebbe parte di una generica opacità nell’attribuzione della proprietà
41
CALLAWAY (1993, 15-25), che giustamente accosta i giuramenti pronunciati da Ermes al celebre passo iliadico in cui
si racconta del presunto spergiuro di Era (Il. XV 36-44); DARBO-PESCHANSKI (1994, 125-37); LEDUC (2001, 19-36);
FLETCHER (2008, 19-46); BENVENISTE (1948, 35-41). Sul lessico ambiguo utilizzato da Ermes per i suoi giuramenti
interviene STRAUSS CLAY (1987, 134]), segnalando il fatto che Ermes dichiara di non aver mai fatto passare i buoi dalla
porta, azione che egli effettivamente non ha compiuto; sulla stessa linea BAUMEISTER (1860, 229) e GEMOLL (1886,
236).
42
L’uso di giurare sulla
è ben descritto, con la citazione dei loci paralleli, da Isabelle Torrance (TORRANCE
[2009, 1-7]); con particolare riferimento all’inno FLETCHER (2008, 19-46).
43
CHADWICK SHELMERDINE ad 71; Chadwick Shelmerdine cita Il. XXIII 84 che testimonia un uso normale
dell’aggettivo possessivo plurale; CHANTRAINE (1958, 271) non ricorda alcun uso particolare dell’aggettivo *
6.
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delle mandrie di cui sarebbero prova anche il v. 71 e quell’allusione, in apparenza poco
comprensibile, al Sole e al suo tramonto nel mare, a segnare l’esatto momento del giorno in cui il
furto è stato perpetrato (vv. 68s.), interpretata come il segnale di una confusione fra Apollo e il Sole
e dunque di un’originaria appartenenza delle vacche rubate da Ermes alle mandrie del Sole di
odissiaca memoria44. Quest’ultima opzione pare in realtà poco fondata45, anche se Dionisio Trace
conserva una variante, non altrimenti attestata, in cui lo scenario della narrazione è la Tracia e le
mandrie rubate sono proprio quelle del Sole46. L’indeterminatezza è acuita anche da
quell’enigmatico emistichio:
.
*
! , con il quale Ermes vuole suggerire la sua totale
estraneità ai fatti. Càssola traduce con «qualunque cosa siano queste vacche», West con «whatever
cows they are» e Humbert con «quelles que soient d’ailleurs ces vaches»47. Ermes cioè vuole
chiamarsi fuori e ribadire la propria estraneità ai fatti, anche di fronte all’evidenza. Forse però non
c’è solo questo nelle intenzioni del piccolo dio: il lessico impiegato per il suo giuramento solenne è,
infatti, ambiguo e non solo indeterminato. Ambigua è la proprietà del bestiame sottratto, come si
evince dall’uso del pronome possessivo al plurale, ma ambigua è anche la catalogazione delle
vacche: che animali sono? Ma anche: di chi sono? A chi vanno attribuiti?
L’uso di un lessico bifronte, sfumato, che può prestarsi a più di un’interpretazione è, del resto,
strumentale al pronunciamento di un giuramento solenne, che non ammette, per sua natura, deroghe
ed effrazioni. 3
.
è anche, per esempio, il celebre giuramento di Zeus, con il quale Era lo
inganna nell’Iliade persuadendolo, grazie a un uso sapiente del lessico pronominale, a promettere
inconsapevolmente, ma di fronte agli dèi riuniti, di donare la corona di re a chi fra i suoi discendenti
fosse nato quel giorno. Zeus sta pensando ad Eracle, che Alcmena è sul punto di partorire (ma il cui
parto verrà bloccato dalla magia di Era), Era ha in mente invece Euristeo, un parente di Zeus ben
più alla lontana, ma che diviene re grazie proprio a un giuramento impreciso in cui i pronomi
indefiniti e quelli possessivi vengono montati e rimontati fino a trarre in inganno il padre degli
dèi48.
Ci troviamo quindi di fronte a un’incertezza, volontaria o involontaria, nell’attribuzione delle
mandrie rubate da Ermes. Del resto, la tradizione sull’episodio mostra numerose discordanze
rispetto al modello rappresentato dal racconto dell’Inno. Vario è, prima di tutto, lo scenario: il poeta
dell’Inno pensa a una collocazione alta, in Macedonia, e propone quindi un itinerario assai
articolato per condurre Ermes e le vacche in Elide; nel solco di questa tradizione si pongono
44
ALLEN – HALLIDAY – SIKES ad 71 e BAUMEISTER (1860, 198).
CHADWICK SHELMERDINE (1986, 58s.) pensa che in questa allusione a Elios debba essere colto un preciso richiamo al
passo odissiaco delle mandrie del Sole, ma non ritiene possibile, a questo livello della tradizione, una fusione seppur
parziale fra Apollo e la divinità solare.
46
An. bekk. II 752, 10.
47
Càssola ad 277; West ad 277; Humbert ad 277.
48
Il. XIX 101-13; il passo è stato interpretato correttamente in tal senso da Maurizio Bettini (BETTINI [1998, 3-42]).
45
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certamente Apollodoro49 che riflette parzialmente la versione dell’Inno, ma fa di Apollo un
semplice pastore, e Filostrato, nelle Imagines50, che fa riferimento alle pendici dell’Olimpo come
luogo del furto e lascia indeterminato il possesso dei capi sottratti. Diversamente, Antonino
Liberale51 colloca l’evento in Tessaglia, a Pereia52, e mette le mandrie di Apollo a fianco di quelle
di Admeto. Ora, come si sa, Apollo compare nel mito di Admeto (re di Fere, in Tessaglia appunto)
nel ruolo di mandriano e non di proprietario di mandrie; non è quindi peregrino pensare che qui
Antonino, o forse già Esiodo che Antonino Liberale riflette per lo meno in parte, avesse in mente
una versione della storia in cui le vacche non erano di Apollo, ma di Admeto53. Nell’ipotesi alle
Pitiche pindariche, alla nascita di Apollo segue la descrizione del suo ruolo di mandriano presso
Delfi, ma non sembra che le bestie siano di sua proprietà54; secondo Ovidio55, Apollo non ha alcun
diritto di proprietà sulle mandrie che porta al pascolo nelle piane dell’Elide e della Messenia: nel
Peloponneso quindi, e in una zona, come abbiamo visto, incline a ospitare miti di abigeato; in
Callimaco56, Apollo sorveglia le cavalle di Admeto presso Anfrisso (in Tessaglia, così come
Pereia)57.
L’impressione ricavata dalla lettura dell’Inno è quindi confortata da una tradizione tutt’altro
che omogenea nell’assegnare contesti (del racconto) e proprietari (delle vacche). Norman Brown
pensa addirittura all’esistenza di due tradizioni distinte ma a tratti confuse: l’una, tessala,
rispecchiata in particolare da Antonino Liberale, farebbe di Apollo un semplice mandriano; l’altra,
adombrata nell’Inno, collocherebbe in Macedonia l’episodio del furto e trasformerebbe Apollo nel
padrone del bestiame58. In realtà, è probabile che sia Antonino sia il poeta dell’Inno riflettano uno
stadio confuso di elaborazione del mito: una fase in cui le mandrie rubate ancora non avevano un
padrone certo59.
49
Apollod. III 10, 2.
Philostr. Im. 26.
51
Ant. Lib. 23 accoglie in apparenza la variante testimoniata da Esiodo (fr. 256 M.-W.) e tramanda quindi una versione
più antica dell’episodio.
52
Nell’Iliade (II 766), Apollo dall’arco d’argento alleva le cavalle di Admeto a 7
; Allen – Halliday – Sikes
pensano a una confusione fra i due toponimi 7
e 7
, ma quest’ipotesi non pare molto convincente; si
confronti comunque ALLEN – HALLIDAY – SIKES (1936, 270-6) e NISBET – HUBBARD (1970, 125-8), per le varianti
dell’episodio con particolare interesse per la contestualizzazione del racconto.
53
KUIPER (1910, 35s.); BAUMEISTER (1860, 198). Sull’originale collocazione della storia narrata da Antonino
all’interno dell’Eoia di Alcmena, si veda BROWN (1969, 143-7).
54
Drachmann II, p. 1.
55
Met. II 689-707.
56
Call. Ap. 49ss.
57
Per Pausania (7, 20, 4, 1), Alceo, nel suo inno, ora perduto, dedicato ad Ermes, assegnava la proprietà delle vacche ad
Apollo, ma, prima di Alceo, Omero aveva parlato di Apollo come di un mandriano delle mandrie di Laomedonte (Il.
XXI 446); la decima ode oraziana del I libro sembra ricalcasse fedelmente il modello di Alceo: dell’originale
sopravvive solo un frammento (fr. 308 Voigt); si veda NISBET – HUBBARD (1970, 125s.) per il rapporto della lirica
oraziana con l’inno del poeta di Lesbo.
58
BROWN (1969, 142-7).
59
BAUMEISTER (1860, 198).
50
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Questa serie di considerazioni ci riporta ai prati di Pieria e al rapporto che intrattengono con le
rive sabbiose dell’Alfeo: è probabile che quel generico
del v. 71 non sia una
semplice variatio, ma testimoni l’idea di un furto indistinto fra le mandrie di tutti gli dèi beati; sotto
l’Olimpo, il bestiame delle divinità, che indubitabilmente costituisce una parte del loro
,
pascola libero, senza recinti a separare le diverse proprietà; lì Ermes giunge e, se anche, com’è
desumibile dalla lettura dello stesso Inno, ha in mente di rubare le vacche del fratello, arrivato nei
pressi di quel mondo da cui lamenta l’esclusione, si limita a sottrarre un numero preciso di vacche,
che non hanno in apparenza un proprietario assegnato.
La scelta del luogo del furto non può essere, anch’essa, casuale: l’Olimpo, come ci insegna il
passo iliadico del XV libro, all’inizio dei tempi non è stato attribuito a nessuno; è lotto comune di
tutti gli dèi, insieme alla terra:
%
$
$
$ 12
(v. 193). È quindi il
punto di partenza ideale per il viaggio di Ermes alla ricerca della propria identità, ma anche del
, del
che gli mancano: da ultimo della sua eredità; l’Olimpo su cui, secondo la
variante del mito testimoniata da Filostrato, egli nasce e da cui, come racconta l’Odissea60, scende
giù in picchiata volando e toccando, nel suo volo, proprio la Pieria.
Se l’Olimpo è di tutti e gli animali rubati anche, ecco che il gesto di Ermes appare subito un
po’ meno grave e, soprattutto, acquista di significato, ha uno scopo: le sue ragioni, tuttavia, si
svelano con chiarezza solo a Pilo, dove il bizzarro sacrificio, seguito dal sorteggio delle parti, serve
proprio a ricongiungere Ermes con il mondo divino da cui sente di provenire e ad assegnare
nuovamente i
: in ultima istanza simbolicamente rappresentati dalle cinquanta vacche che
pascolano placide nei prati di Pieria. In tal quadro, il furto, unito al sorteggio del bottino sottratto e
sacrificato, riallinea l’asse delle pertinenze divine, permettendo al dio appena nato di collocarsi,
anche geograficamente, nel posto che gli spetta di diritto, quell’Olimpo a cui è giunto tardi, ma che
non di meno alla fine lo accoglie. Le vacche equivalgono perciò all’isola di Rodi, sono per Ermes
ciò che l’isola neonata era per il Sole nell’Olimpica VII: la sua porzione di mondo, la garanzia di
ottenere, al pari degli altri dèi arrivati per primi, il giusto posto nella gerarchia divina.
Silvia Romani
Università degli Studi di Torino
Dipartimento di filologia linguistica e tradizione classica A. Rostagni
Via S. Ottavio, 20
I – 10124 Torino
[email protected]
60
Od. V 50.
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