LIBRI Nuova Umanità XXV (2003/1) 145, pp. 119-124

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LIBRI
Nuova Umanità
XXV (2003/1) 145, pp. 119-124
VINCENZO VITIELLO
E LA PREGHIERA AL DIO POSSIBILE
1. ERMENEUTICA E TOPOLOGIA DELLA STORIA,
PENSIERO TRAGICO E CRISTIANESIMO
Principale esponente di un’ideale scuola filosofica campana,
risalente non solo a Croce e a Vico e a Bruno, ma direttamente a
Parmenide (e Plotino), attualmente il maggiore pensatore dell’Europa meridionale, Vincenzo Vitiello (Napoli, 26.9.1935) sin
dai suoi esordi ha posto la sua attenzione sulla storia, in particolare sulla storicità del singolo individuo, tuttavia sempre attraverso
un suo approfondimento interrogativo, nell’ascolto in essa di
un’ulteriorità costitutiva eppure inoggettivabile, secondo un’istanza quindi ermeneuticamente metafisica. Su questa linea ha
condotto indagini fondamentali sugli esponenti principali dell’idealismo tedesco, Hegel in particolare, del neoidealismo italiano
e dell’ermeneutica filosofica otto-novecentesca (cf. Storiografia e
storia nel pensiero di Benedetto Croce, LSE, Napoli 1968; Heidegger: il nulla e la fondazione della storicità, Argalìa, Urbino 1976;
Dialettica ed ermeneutica: Hegel e Heidegger, Guida, Napoli 1979;
Utopia del nichilismo. Tra Nietzsche e Heidegger, Guida, Napoli
1983; Ethos ed eros in Hegel e Kant, ESI, Napoli 1984; Bertrando
Spaventa e il problema del cominciamento, Guida, Napoli 1990).
Il suo scavo teoretico – non principalmente o esclusivamente storiografico – della storicità si è quindi precisato nell’elaborazione di un’originale «topologia della storia», capace di mettere
in relazione interrogativa differenti filosofi e pensieri del passato,
secondo una penetrazione stereoscopica, spaziale anziché cronologica delle vicende umane e ideali (cf. Storia della filosofia, Jaca
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Book, Milano 1992; Topologia del moderno, Marietti, Genova
1992; Elogio dello spazio. Ermeneutica e topologia, Bompiani, Milano 1994; Filosofia teoretica. Le domande fondamentali della filosofia, Bruno Mondadori, Milano 1997; La favola di Cadmo. La
storia tra scienza e mito da Blumenberg a Vico, Laterza, Roma-Bari
1998; Genealogía de la modernidad, Losada, Buenos Aires 1998;
Vico e la Topologia, Cronopio, Napoli 2000; con S. Otto, Vico Hegel. La memoria e il sacro, La Città del Sole, Napoli 2001).
Tale impostazione ermeneutica nel leggere la storicità ha condotto Vitiello a formulare secondo ulteriori approfondimenti un
«pensiero tragico», sia nel confronto con i vertici speculativi della
filosofia greca e tedesca (Platone, Aristotele, Plotino; Kant, Hegel,
Schelling), sia con il pensiero nihilistico contemporaneo (Dostoevskij, Nietzsche, Heidegger, Jünger, Celan...), sia infine attraverso un
rinnovato confronto con il cristianesimo: con il senso tragico della
sua fede e la profonda e pensante antinomicità della sua teologia
trinitaria (cf. La palabra hendida, Del Serbal, Barcelona 1990; La
voce riflessa. Logica ed etica della contraddizione, Lanfranchi, Milano 1994; Cristianesimo senza redenzione, Laterza, Roma-Bari 1995;
Non dividere il sì dal no. Tra filosofia e letteratura, Laterza, RomaBari 1996; con M. Cacciari e B. Forte, Filosofia e Cristianesimo.
Dialogo sull’inizio e la fine della storia, Parresía, Napoli 1997; Secularización y Nihilismo, Losada, Buenos Aires 1999; con B. Forte, La
vita e il suo oltre. Dialogo sulla morte, Città Nuova, Roma 2001). È
dunque in questa ricerca poliedrica e pluristratificata, eppure unitaria, profonda, severa e rigorosa, che è possibile collocare le nuove
direzioni di pensiero di Vitiello, tentando di accostarne l’originalità
vertiginosa.
2. LA FINITA TEO-LOGIA DEL «TU SEI»
L’ultimo lavoro di Vitiello affronta direttamente l’interrogativo
che lo accompagna da tempo nel suo cammino filosofico ed esistenziale: problema teo-logico, in ogni accezione della cosa (Il Dio possi-
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bile. Esperienze di cristianesimo, Città Nuova, Roma 2002), come
sottolineato nella penetrante Presentazione da Piero Coda. Nella
profonda e lucidissima Prefazione al volume Vitiello si richiama alla
doppia, paradossale formulazione teologica di sant’Anselmo d’Aosta (Proslogion, XV), per approfondirne in maniera inaudita la portata: «Signore, tu sei non solo ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore, ma sei ciò che è maggiore di quanto si possa pensare».
Vitiello dichiara innanzitutto l’incapacità di parlare del Dio
possibile, cioè quello cristiano da lui così interpretato, non soltanto
attraverso una tradizionale teologia affermativa, guidata dalla logica
occidentale e dalla sua rigida ontologia, ma persino indirettamente,
per mezzo di una teologia negativa, che ne ridurrebbe comunque la
portata, riconducendolo sempre da ultimo, seppur indirettamente,
a proiezione del finito. Ma come parlare di o con un Dio indipendente dall’essere, libero anche dalla stessa identità di sé con sé?
Anselmo d’Aosta prega Dio, interloquisce con il Signore, gli
si rivolge confidenzialmente eppure assieme riverentemente con il
tu, la seconda persona singolare, dialogica e inidentificante: «tu
sei». Il Dio cristiano è dicibile soltanto a partire dall’uomo, dall’io
finito, che umilmente riconosca tale condizione di distanza da Dio
con il quale desidera interloquire, con cui costitutivamente è colloquio, rapporto, interrogazione, preghiera. Nel «tu sei» di Anselmo
suona la finitezza della parola umana, che tuttavia proprio nell’assumere radicalmente la propria mortalità parla di Dio con Dio nelle contraddicenti parole esistenziali. La finita teo-logia del «tu sei»
dice – disdicendosi quale parola ultimativamente veritativa – proprio perché predicato di un soggetto più grande, maggiore di ogni
umano pensiero o parola, misterioso innanzitutto a se stesso e solo
per tale autotrascendenza universalmente veritativo, veramente
possibile, immediabile mediazione.
3. LA POSSIBILITÀ POSSIBILE DEL SIGNORE
La logica della seconda persona singolare attesta come il pensiero finito sia capace di dire dell’altro da sé senza ricondurlo a sé.
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Ma il Dio possibile è tale non soltanto in quanto reale prima di ogni
pensiero possibile su di lui da parte dell’uomo, ma innanzitutto perché possibile anche rispetto a se stesso. Il Dio possibile è così altro
da essere anche altro dall’altro, cusanianamente non-altro, così possibile quale soltanto può essere il Signore, cioè colui che è-possibile,
possest, è Signore anche della propria signoria, sino al punto da esserla potendosene spogliare, nel possibilissimo atto stesso di deporla. La peculiarità della proposta filosofica di Vitiello sta nel comprendere come la possibilità stessa del Dio possibile è-possibile,
quindi non necessaria, sino alla possibile impossibilizzazione.
Secondo Vitiello il Dio possibile è così puramente, liberamente, realmente possibile da esser-possibile anche in quanto impossibile, da restare cioè sempre possibile, eternamente possibile
anche nel decreare e persino nell’impossibilità implosiva del suo
esser-possibile, quella annullante con sé ogni realtà possibile. Il
Dio possibile è l’Unico, tutto include perché nulla esclude, sino
all’impossibile: la morte di Dio come possibilità dell’impossibilità
di ogni altra possibilità.
Possibilità e attualità, necessità e libertà, impossibilità e realtà sono categorie avvicinabili nella loro abissale profondità solo
nella comprensione del Dio possibile, cristianamente inteso come
Deus-Trinitas, Trinità. L’onnipotenza realissima e libera, possibile
e necessaria del Dio cristiano deve intendersi come quella signorilità capace della propria stessa signorilità, sino all’autodeposizione, come quella possibilità così pura e puramente possibile, da esser trascendente possibilità nella reale impossibilizzazione e finita
morte o realizzazione pur nell’eterna possibilizzazione.
4. MYSTERIUM TRINITATIS E POSSIBILE IMPLOSIONE DI DIO
Identità e differenza del Dio-Padre e del Dio-Figlio nella vicenda storica dell’uomo mortale, sino alla morte di Dio sulla croce nell’abbandono di Dio da parte di Dio, costituiscono l’homooúsios trinitario, il nucleo incandescente del mysterium Trinita-
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tis: mistero per le nostre parole finite, secondo Vitiello, perché innanzitutto mistero che a se stesso è Dio. Il pensiero trinitario è
quindi akmé di ogni riflessione filosofica o teologica possibile. Il
suo mistero non è costituito dal superare i limiti dell’umana comprensione, ma dalla possibile possibilità appunto propria al Dio
possibile cristiano, Deus-Trinitas.
Lo Spirito, imperscrutabile possibilità di ogni mediazione
possibile, in quanto agostinianamente relazione fra le due relazioni è la Trinità impersonificata, il possest di entrambe le relazionali
identità: Padre-Figlio, Figlio-Padre. Nell’infinitamente misteriosa
possibilità del Dio-Trinità è lo spazio di mediazione fra umano e
divino, eternità e tempo, sofferenza e sovrasostanziale comunione. Nell’identità stessa trinitaria vi è la differenza, la morte, la misteriosa possibilità unente ogni separazione, sino all’autokenotica
sospensione.
Il venerdì santo, akmé del mysterium Trinitatis rivelato, sulla
croce vi è veramente la morte di Dio. Il Figlio di Dio che muore
volontariamente sulla croce è per Vitiello la seconda kénosis di
Dio, l’autosacrificio redentivo – dopo la prima kénosis creativa di
Dio, il quale fa spazio in sé per dar luogo alla creazione del mondo. Ma secondo Vitiello la salvezza incarnata e rivelata dal Figlio
è conservazione, custodia, serbazione, non definitiva redenzione:
la morte di Dio sussiste anche dopo la croce. È la possibilità dell’impossibilità di ogni altra possibilità – in Dio. La morte di Dio
dopo la croce quale kénosis del Figlio di Dio è la possibilità impossibile, eppure realissimamente possibile, dell’implosione del
Deus-Trinitas cristiano, il Dio possibile: la possibile impossibilità,
quella della terza e radicale kénosis di Dio, non solo decreativa,
ma originariamente autokenotica addirittura.
5. KÉNOSIS DEL LÓGOS, VERITÀ, PREGHIERA
Comprendere la triplice kénosis del Dio possibile è allora
forse possibile solo alla parola che si sappia finita, che chieda sen-
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za volere, ascolti ringraziando una mancanza, sussista nel tempo
ma restando possibile, al di là delle storie mortali, pregando priva
quasi di voce. La filosofia si fa dunque preghiera per essere coerentemente finita teo-logia?
La preghiera è vichianamente – secondo Vitiello – geroglifico, segno sacro. Mostra il mistero di cui è emergente parola nell’atto stesso del suo contraddicentesi disdirsi. Proprio per questo
è l’unica parola umana vera, che dice assieme la verità trascendente, la possibile possibilità di Dio, e il suo incarnarsi immanentemente nella storia mortale: condizione trascendentale di ogni
male, eppure anche frammentazione riscattabile all’oscura luce rivelativa del Dio possibile, che resta possibile proprio nel custodire, lasciandoci battezzare ogni nostro frammento mortale, salvandolo nel suo esser possibile.
In Vitiello il possibile esito teologico-apofatico della linea nihilistica dell’ermeneutica contemporanea si apre dunque, finitamente, alla filosofia positiva (ermeneutica, non puramente catafatica) del Dio possibile, cioè al farsi possibile ascoltante preghiera
da parte di ogni finita parola singolare che non inospitalmente si
disponga, sino alla kenotica parola veritativa rivolta umilmente al
Dio possibile – il quale cristianamente ri-chiede: «e voi chi dite
che io sia?» (Mt 16, 15). In tale esser-possibile interrogazione della
verità stessa si dà il kenotico spazio possibile di vero dialogo – non
metodicamente formale e relativisticamente assolutizzante – fra
tutti coloro che, nelle proprie differenti e coscientemente finite religioni o umili parole, preghino il proprio Dio (possibile) senza fagocitarne nel tempo la trascendenza veritativa della parola.
FRANCESCO TOMATIS