Scarica - Liceo Classico Eugenio Montale

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Scarica - Liceo Classico Eugenio Montale
Seconda edizione
SAN DONÁ DI PIAVE, GIUGNO 2015
Anno XXI
L’editoriale
Cari lettori,
siamo giunti al termine anche di quest’anno che ci ha
visti tutti uniti durante le manifestazioni organizzate a
sostegno della nostra scuola. Due dei caporedattori,
Emma Boccato e Rossana Grementieri della classe 5 C,
ormai hanno concluso la loro esperienza qui al Montale, ma anche grazie al loro sostegno dobbiamo continuare a sperare nel futuro della nostra scuola e a sensibilizzare anche i nuovi studenti in merito alla problematica incombente delle sedi. Nonostante ciò, possiamo essere fieri di tutte le iniziative che questa scuola
propone per ampliare le conoscenze e sviluppare i talenti degli allievi, non focalizzandosi solo sulle lezioni
mattutine. Tra queste il nostro Giornalino, sempre più
ricco dei vostri pensieri, delle vostre esperienze e dei
vostri interessi: pensate che anche ex studenti e allievi
che attualmente sono all’estero con l’Erasmus ci hanno
inviato i loro articoli! Ci piacerebbe che questa diventasse per tutti voi una opportunità per esprimervi e farvi conoscere, partecipando sempre più numerosi. Auguriamo a tutti buone vacanze ed un enorme “in bocca al lupo” a tutti i maturandi!
Emma Boccato, Rossana Grementieri, Andrea Trevisiol
EXPO
di Rossana Grementieri
“Nutrire il pianeta, Energia per la vita.”
Questo è lo slogan che ha aperto l’Esposizione Universale
dell’Expo Milano 2015.
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IL TABU’ DEL FEMMINISMO
di Andrea Trevisiol
Qualche settimana fa in tutto il mondo si è parlato del discorso di Emma Watson per le Nazioni Unite.
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ATTUALITA’
Expo, di Rossana Grementieri
Il razzismo colpisce ancora, di Emma Boccato
Il tabù del femminismo, di Andrea Trevisiol
Mangia più che puoi finché c’è cibo, di Tobia Sgnaolin
È guerra, di Luca Nucera
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ARTE E CULTURA
S.O.S. Cultura, di Jennifer Oliver
Musica e poesia, sinfonie dell’anima, di Federica Lazzaro
L’arte del raccontare attraverso le foto, di Valeria Conte
Film di oggi e del passato, di Nicola Vanzetto
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S
O
M
M
A
R
I
O
ALTRO
Verso l’infinito e oltre, di Matilde De Nobili
Giorno 230 di soggiorno studio all’estero, di Silvia Lo Castro
Vajont, di Agata Lucchetta
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POESIA
Odi anarchiche, #3 dell’amara felicità, di Nicolò Gastaldi
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GIOCHI
Giochi vari, a cura della redazione
Cruciverba, di Luigi Salvioni
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Ultimo Banco” è il giornale studentesco del Liceo Ginnasio “E. Montale” e la redazione fa parte della
scuola. L’attività è autogestita dagli studenti. La divulgazione di questo giornale è ad uso interno degli
istituti scolastici.
Direttore responsabile: Beatrice Giai Gischia
Caporedattori: Emma Boccato, Rossana Grementieri e Andrea Trevisiol
Collaboratori: Matilde De Nobili; Agata Lucchetta; Silvia Lo Castro; Federica Lazzaro; Tobia Sgnaolin; Nicola Vanzetto; Valeria Conte; Jennifer Oliver; Nicolò Gastaldi; Luca Nucera;
Christian Plamenac; Cristea Nicoletta; Cecilia Vianello; Alessia Lovisetto; Shenu Eglantina;
La redazione
Sede legale
Stampa
Liceo Ginnasio “E. Montale”
con sezione linguistica
Viale Libertà, 28
30027 San Donà di Piave (VE)
Cooperativa Sociale “Il Bozzolo Verde”
Via Guidi, 1
Cà Turcata di Eraclea (VE)
CHIUSO IN REDAZIONE IL GIORNO 04 MAGGIO 2015
Per informazioni: [email protected] ; oppure contattare [email protected]
Per le eventuali e involontarie violazioni della proprietà letteraria ed artistica siamo sin da ora disponibili ad una
equa transazione (legge 662/96)
ATTUALITÀ
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BANCO
Secondo
numero
Giugno
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Rossana Grementieri, classe 5CC
“Nutrire il pianeta, Energia per la vita.”
Questo è lo slogan che ha aperto l’Esposizione Universale
dell’Expo Milano 2015. E’ il
più grande ed importante evento mai realizzato fino a questo
momento relativo alla nutrizione ed all’ alimentazione. Vi
prendono parte ben 140 Paesi
ed Organizzazioni internazionali, per non parlare del numero di visitatori attesi. Milano si
presenta come la sede unica
della piattaforma organizzata,
dove ogni Paese ha la possibilità di mostrare le proprie tecnologie relative ad un obiettivo
comune a tutto il pianeta: garantire a tutti cibo sano e nutriente, salvaguardando l’ambiente da cui esso deriva. L’organizzazione di un tale evento
offre senz’altro la possibilità di
partecipare ad un dibattito di
idee e pensieri, basato su un
futuro eco-sostenibile, oltre
che l’ occasione di conoscere e
degustare quelle che sono le
tradizioni culinarie di ogni Paese. Il mondo in cui viviamo è
variegato: vi è chi soffre ancor
oggi la fame, chi muore per
disturbi di salute legati alla
malnutrizione, ma paradossalmente ogni anno vengono
sprecate quantità impressionanti di cibo. Queste sono le
motivazioni principali che hanno portato a condurre scelte
politiche ben consapevoli attraverso anche l’uso di tecnologie all’ avanguardia. Concretamente il sito ospita quattro
aree tematiche, partendo dal
racconto del rapporto iniziale
dell’uomo con il cibo, giungendo poi al concetto di “Food District” che spiega come la tecnologia influenzerà e cambierà
il modo di conservare, preservare, distribuire e consumare il
cibo. Non mancano certamente
aree dedicate ai più piccoli dove, attraverso mostre e spettacoli, si tenterà di far apprendere
loro i temi dell’Expo Milano. Gli Itinerari Tematici sono
percorsi fisici ma anche ideali,
creati per catturare l’interesse
del visitatore e portarlo soprattutto al raggiungimento di una
autoconsapevolezza interiore in
merito all’alimentazione. La
mascotte
di Expo
Milano racchiude i temi fondanti
della manifestazione proponendoli in una chiave positiva, originale, empatica. Foody è sincero, saggio, rispettoso e amante
della sana e buona cucina. Rappresenta insieme la comunità,
la diversità e il cibo inteso nella
sua accezione più estesa, fonte
di vita ed energia. Per questo è
costituito da una famiglia
di undici elementi, ognuno con
caratteristiche e personalità diverse, che agiscono come veri e
propri personaggi. Riuniti in
un Volto Unico, essi rappresentano l’ideale sinergia tra i Paesi
del mondo chiamati a rispondere con positività alle sfide del
nostro Pianeta sull’alimentazione, presentandosi come una vera famiglia, unica, simpatica e
dinamica. E’ palese il tentativo
di evidenziare le contraddizioni
nella distribuzione del cibo nel
mondo: una parte della popolazione vive in condizioni di sot-
to-nutrizione e mancato accesso all’acqua potabile; un’altra
parte presenta malattie fisiche
e psicologiche legate alla cattiva/eccessiva nutrizione ed allo
spreco. Possono scienza, educazione, prevenzione, cooperazione internazionale, ingegneria sociale e politica ambire al
superamento di questo doloroso paradosso? Il nutrimento è
un bisogno primario e un atto
necessario, ma può essere anche uno dei più gioiosi per
l’uomo. Il piacere del palato
può divenire strumento di conoscenza: da sempre i sapori e
gli odori delle cucine internazionali raccontano la storia e le
culture delle società del Pianeta. In conclusione i veri protagonisti di questo grande evento
siamo Noi, l’intera popolazione che deve maturare una
grande consapevolezza di ciò
che avviene nelle varie parti
del nostro pianeta: è per questo
che bisogna cercare di essere
parsimoniosi e critici verso noi
stessi e i nostri comportamenti
che talvolta potrebbero anche
nuocere al prossimo. Impariamo ad amare ciò che ci viene
offerto, impariamo a rispettare
il posto che ci ospita, impariamo soprattutto a vivere il nostro Pianeta.
r.g.
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Il razzismo colpisce ancora
Emma Boccato, classe 5CC
La sera di Pasquetta, il giorno 6 aprile 2015, si è verificato l’ennesimo atto di violenza ingiustificata nei confronti di un ragazzo extracomunitario.
Il fatto, accaduto nei pressi
di Piazza Ferretto a Mestre,
rappresenta uno dei numerosi fenomeni di bullismo e
razzismo che si verificano
oramai ogni giorno e che
spesso vengono taciuti.
La vittima, probabilmente
non intenzionata a denunciare la violenza subita, è
stata trovata dalle Forze dell’Ordine mentre camminava
per strada dopo essere stata
insultata e malmenata, fortunatamente senza gravi conseguenze.
Ciò che invece è grave, rimane la motivazione che ha
spinto un gruppo di babybulli ad aggredire un uomo
solo a causa di differenti
origini.
Un giovane, spinto ad abbandonare la propria terra
d’origine, spesso non lo fa a
cuor leggero, indifferente al
distacco da famiglia e affetti. Invece di aggredirlo, bisognerebbe interrogarsi sulla sua condizione e chiedersi
cosa lo abbia spinto a giungere fino in Italia.
Il ragazzo in questione proviene dal Bangladesh, una
zona in cui regnano la povertà e la violenza.
Nel 1993 l’India ha cominciato a costruire un muro di
4000 km che divide i due
territori, con il pretesto di
voler bloccare traffici illegali di sostanze e uomini ed
evitare il più possibile il
passaggio di terroristi.
Le conseguenze di questo
provvedimento furono immani: se prima i bengalesi
avevano alcuni parenti o un
lavoro dall’altra parte della
barriera, da quel momento
in poi persero ogni possibilità di collegamento e, se oggi
provano a spostarsi, vengono uccisi o comunque divengono vittime di violenza
per mano di guardie e soldati. Il territorio è isolato, privo di risorse utili per lo sviluppo, anzi in regressione
assoluta. Non c’è cibo né
lavoro per tutti, quindi gli
abitanti muoiono di fame
perché non ci sono altre terre in cui espandersi.
Allora di fronte ad un uomo
che tenta di sfuggire a tutto
questo e prova a creare un
futuro per sé e la sua famiglia senza tuttavia avere la
certezza di poterlo costruire
all’estero, un uomo che
compie un viaggio lungo
senza garanzie e rischia la
vita per poter aspirare ad
una condizione migliore, c’è
ancora qualcuno che ha il
coraggio di compiere atti di
violenza per motivi razzisti?
Probabilmente la causa principale di questo è l’ignoranza in merito alle diverse realtà vissute dai migranti;
sicuramente, però, ciò che
manca è il rispetto per l’uomo.
Questa virtù, al giorno d’oggi estranea a molti, si fonda
sulla civiltà e sull’intelligenza, caratteristiche distintive
dell’uomo rispetto al mondo
animale: noi, infatti, abbiamo la possibilità di usare il
dialogo invece della violenza fisica! Ma soprattutto
dobbiamo saper dare importanza alla vita umana, speciale e insostituibile e all’individuo, necessario al mondo proprio per la sua unicità.
È la storia stessa ad insegnarcelo, ricordandoci il
cruento imperialismo del
‘600 e dell’800 e più recentemente l’esperienza del nazismo.
In una parola il sentimento
che va riscoperto è l’umanità, un modus vivendi di cui
il popolo italiano può andare
fiero, visto che siamo noi in
prima linea a salvare migliaia di migranti che in
questo periodo sbarcano,
disperati, sulle zone costiere
dell’Italia meridionale.
e.b.
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BANCO
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Il tabù del femminismo
Andrea Trevisiol, classe 4BC
Qualche settimana fa in tutto il
mondo si è parlato del discorso
di Emma Watson per le Nazioni Unite. L’attrice famosa per
il ruolo di Hermione nella saga
di Harry Potter è stata nominata “Ambasciatrice di buona
volontà” dell’ONU. La Watson
si è sempre mostrata interessata alla difesa dei diritti delle
donne e dei bambini e per l’occasione ha realizzato un discorso promuovendo la campagna He for She (“lui per lei”)
all’insegna della parità dei sessi e del femminismo. Il termine
stesso “femminismo” ormai è
sempre meno utilizzato ed è
quasi considerato un tabù, una
parola impopolare. La gente ha
paura di parlarne e neppure le
donne si considerano più femministe. Ma cos’è il femminismo? Per definizione indica la
posizione o l'atteggiamento di
chi sostiene la parità politica,
sociale ed economica tra i sessi
e non è quindi da identificare
nell’opposto del maschilismo,
come è ormai credenza comune. Oggi sempre più persone,
infatti, confondono il femminismo con quella fascia estremista del movimento che vede
l’unica causa dell’oppressione
delle donne negli uomini. Le
stesse femministe non appoggiano quest’ideologia di
“potere alle donne”, in quanto
va contro il principio (ed obiettivo) di uguaglianza, raggiungibile solo con il sostegno maschile. Per gli uomini, però, è
sempre delicato trattare argomenti come questo; la motivazione principale è da cercare
nei numerosi stereotipi: essi si
impadroniscono della mente
delle persone, non permettendo
loro di formulare giudizi che
vadano al di là del sesso e dell’aspetto. Il problema degli
stereotipi colpisce tanto gli
uomini quanto le donne e influenza tutta la nostra società.
Il ruolo del padre nella crescita
dei figli, per esempio, non è di
importanza minore di quello
della madre ed una donna al
potere non è meno efficiente
della sua controparte maschile.
La
stessa
parola
“femminismo” è soggetta a
stereotipi: il pensiero comune
si delinea nel movimento radicale di ambito statunitense della prima metà del ‘900 e nell’iconico manifesto “We Can Do
It”, ispirato a Rosie The Riveter. E, come ho detto prima, si
finisce col confondere il femminismo con questa sua parte
estremista, totalmente estrapolata dal contesto storico. Quindi finché non abbattiamo l’idea
di stereotipo come rappresentazione della realtà a cui bisogna attenersi, sarà impossibile
ottenere la parità dei diritti.
Esistono ad ogni modo numerosi femministi involontari e
sono coloro che, forse senza
saperlo, aiutano in questa lotta
per la parità dei sessi. Sono
quei professori che non fanno
distinzione tra gli allievi maschi e le allieve femmina, sono
quelle persone che non dividono i lavori o i poteri tra strettamente maschili o femminili e
sono anche quelle persone che
nel quotidiano trattano donne e
uomini allo stesso modo, perché credono sia giusto così e
che magari reputano ciò semplicemente normale, stupendosi che vi sia stato fatto addirittura un discorso di dieci minuti
all’ONU. Nel mondo c’è bisogno di più gente così, c’è bisogno di più gente dalle mentalità aperte, capace di giudicare
senza discriminare. Formulare
un’opinione è lecito, elaborarla
in base a pregiudizi è ignoranza, avere la maturità per cambiarla è evoluzione.
Uomini e donne non possiedono le stesse caratteristiche fisiche e mentali: hanno capacità
ed interessi diversi e da questo
derivano alcuni stereotipi tipici
riguardanti gli ambiti lavorativi e di studio, con una marcata
prevalenza di un solo sesso.
Uomini e donne non devono
perciò essere uguali, perché
non lo sono e mai lo saranno,
ma devono essere trattati alla
stessa maniera.
Forse può sembrare strano che
un articolo del genere sia stato
scritto da un ragazzo, però bisogna riuscire ad abbattere il
tabù che impedisce di trattare
particolari argomenti ed ognuno può cominciare nel suo piccolo, nel quotidiano. Questo
tema inoltre interessa donne e
uomini in egual misura, in
quanto nessuno credo voglia
vedere la propria moglie, la
propria figlia o la propria sorella avere meno opportunità
lavorative solo perché donna o
venire licenziata quando è in
maternità. E se è la parola
“femminismo” ad essere scomoda, non è importante, la si
può cambiare o non usarla
proprio: quello che conta è il
pensiero che sta dietro.
a.t.
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Mangia più che puoi finché c’è cibo
Tobia Sgnaolin, classe 2AC
“Nutrire il pianeta: energia per
la vita”. È lo slogan che negli
ultimi mesi si sente ripetere
più spesso alla televisione. Expo Milano 2015, destinato a
riscuotere un successo internazionale, è stato finalmente inaugurato il primo maggio,
dopo una lunga attesa. Milioni
di visitatori ora si aggirano tra
gli enormi padiglioni, assaggiando delizie culinarie da tutto il mondo. Noi italiani ne
parliamo quasi con un pizzico
di orgoglio, riconoscendoci
nello stereotipo di buongustai,
amanti della cucina raffinata e
della sana dieta mediterranea.
Il tema è di fondamentale importanza, ma spesso lo sottovalutiamo, ignorando la situazione attuale e le prospettive poco
felici. Sì, perché mai come
adesso le questioni aperte legate al cibo richiedono tanta urgenza e assumono tristi connotati. Il cibo è una foresta insidiosa, dove si concentrano le
peggiori speculazioni. Uno dei
problemi più banali è rappresentato dalla scorretta alimentazione dei giovani, che è paradossalmente in contrasto con
lo straordinario successo della
cucina “made in Italy”: infatti
ci gustiamo con gli occhi cibi
raffinati, ma non ci facciamo
problemi a mangiare schifezze.
Alimenti preconfezionati, grassi, salatissimi e pieni di conservanti che, oltre ad aver rimpiazzato i piatti fatti in casa,
hanno seri impatti sulla nostra
salute.
Ma questa non è la cosa più
grave. Infatti la crescita demografica, che raggiungerà tra
mezzo secolo livelli esponenziali, non è compatibile con le
risorse del pianeta. Nel 2040 la
fragile Terra sarà calpestata da
nove miliardi di individui e le
città si ingrandiranno. Le risorse del pianeta non reggono i
ritmi dell’agricoltura intensiva.
I suoli destinati alle coltivazioni rischiano di diventare inutilizzabili a causa dell’eccessivo
sfruttamento. E per ottenerne
altri non ci sono tante alternative: o deforestare i polmoni
verdi o rinunciare ai pascoli.
Sempre più difficile sarà anche
trovare l’acqua per l’ irrigazione. Fiumi e laghi sono ormai
inquinati, le calotte polari si
sciolgono, l’acqua dolce a breve diventerà un bene talmente
raro da meritare la definizione
di “oro blu”.
E che dire della caccia e della
pesca intensive, che stanno
portando all’estinzione intere
specie e alterando gli ecosistemi? Forse è per questo che
ultimamente si diffonde la moda di essere vegetariani o vegani. Più che diete, sembrano
forme di protesta nei confronti
di un’economia che fa strage
di animali e spopola i mari
della loro ricchezza faunistica.
La FAO di Roma, all’inizio del
secolo, si è imposta di ridurre
la fame del mondo, un flagello
che, parallelamente agli enormi sprechi di cibo della civiltà
occidentale, miete ancora vittime nell’Africa Nera. Tuttavia
anche per un ente di tale rilievo non è facile contrastare le
carestie se scarseggiano gli
aiuti economici e i governi non
intervengono in modo abbastanza risoluto.
E forse la gran parte della responsabilità di tutto questo è
da attribuire alle multinaziona-
li. Infatti secondo uno studio
recente il pieno controllo su
tutto quello che mangiamo non
ce l’abbiamo noi, ma un gruppo di venti multinazionali, che
stabilisce cosa immettere sul
mercato e cosa farci porre nel
carrello della spesa. Gli industriali dovrebbero forse preoccuparsi di più del benessere
della gente piuttosto che del
proprio profitto. Perché per
esempio non finanziare programmi di alimentazione biologica invece di continuare a
vendere cibo spazzatura? Perché tutto il cibo che non riescono a vendere lo buttano via,
invece di distribuirlo gratuitamente a chi non ne ha?
Così l’Expo Milano 2015, oltre
al groviglio di squisitezze che
fa gola a tanti, diventa anche
uno spunto per riflettere, criticare e proporre soluzioni. Perché in fondo il cibo è tutto.
Non solo ci permette di sopravvivere, ma è anche un elemento unificante - non è forse
la tavola il luogo dove più si
socializza, noi classicisti ricordiamoci del simposio - influenza il nostro umore e il nostro
modo di essere, stimola creatività e fantasia quando trasformiamo il piatto in un opera
d’arte. Una curiosità: la parola
stessa “felicità” deriva da una
radice indoeuropea che indica
il piacere che prova il neonato
a succhiare il latte della madre.
Un’immagine che ci comunica
tenerezza e contemporaneamente ci insegna che il piacere
è prima di tutto gastronomico.
t.s.
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È guerra
Luca Nucera, ex caporedattore
Sono mesi ormai che i telegiornali ci bombardano di
notizie sull’avanzata dello
Stato Islamico in Medio Oriente e in Africa, sulla distruzione che arreca e sulle
stragi che compie. L’ISIS si
è diffuso a macchia d’olio in
buona parte dell’Iraq e della
Siria, a stento è tenuto fuori
dall’Arabia Saudita, dal Libano, dalla Giordania e dallo Yemen e trova invece
gruppi affiliati anche in Egitto, Nigeria, Algeria, Libia
e Tunisia: cioè a circa 500
km dai nostri confini, ad un
passo dalle porte di casa nostra.
Le
cosiddette
"Primavere Arabe" non hanno portato nessuno dei risultati sperati: anzi hanno agevolato la diffusione di gruppi terroristici, legati all'allora nascente Stato Islamico.
Come in Medio Oriente,
anche in Africa queste organizzazione terroristiche hanno affondato le loro radici in
quei corpi in putrefazione
(gli Stati) totalmente incapaci di difendere i propri territori e le proprie popolazioni.
L'Occidente, tra l'altro, ha
ben contribuito a creare questo clima di caos, sostenendo le folli Primavere Arabe.
Ad appoggiare queste rivolte, questa volta, non erano
gli Stati Uniti, ma la Francia
prima di Sarkozy e poi di
Hollande: proponendo più
volte il dispiegamento di
forze armate sul territorio
(idiozia che, per la Libia, il
governo Berlusconi ha cercato giustamente, ma inutilmente, di fermare e che poi,
per la Siria, è tramontata
grazie ad uno dei migliori
Ministri degli Esteri che l'Italia abbia mai avuto, Emma
Bonino) e sostenendo il rovesciamento dei regimi dittatoriali, le sfere più alte
dell'intelligence
francese
hanno dimostrato la loro
totale inettitudine. Quei dittatori che reggevano gli Stati con pugni lordi di sangue
riuscivano a garantire la stabilità e la difesa dagli estremismi grazie a un tradizionale e intricatissimo sistema
di favori e di scambi con i
clan locali: il Capo dello
Stato (dittatore) dispensava
favori ai leader delle varie
tribù in cambio della stabilità e della fedeltà. Le modalità con cui le varie tribù garantivano la stabilità non
escludeva l'uso indiscriminato della violenza contro la
popolazione e contro chiunque si opponesse al regime:
le carceri erano piene di prigionieri politici, liberati ogni tanto da qualche amnistia come premio della vittoria nelle elezioni, palesemente pilotate.
Da quando i francesi hanno
creduto di essere i nuovi
"poliziotti del mondo" e di
poter sostituire gli Stati Uniti in questo ruolo, la situazione in quei Paesi è degenerata: la Libia è spaccata in
tre parti, una controllata dal-
l'ISIS, mentre le altre due
sono rette da differenti governi che, anziché allearsi
per respingere l'avanzata dei
fondamentalisti
islamici,
pensano bene di combattersi
tra loro; la Tunisia, l'unica
che sembrava aver intrapreso un percorso di democrazia, ha dimostrato di essere
ancora un Paese profondamente corrotto, in preda al
terrorismo e incapace di reagire; in Egitto, invece, dopo
aver rovesciato Mubarak, si
sono susseguiti una serie di
governi instabili fino a
quando il generale Al-Sisi,
con un golpe, ha preso il
potere, legittimando quest'azione tramite successive elezioni, la cui regolarità non è
del tutto certa. In Siria, invece, a voler intervenire erano gli americani: in preda
agli interessi che li spingono
in Medio Oriente, avevano
paventato un intervento di
terra a sostegno delle milizie
di resistenza. Peccato però
che esse si siano rivelate
strettamente legate allo Stato Islamico: un dettaglio che
stava per sfuggire ai generali statunitensi.
C’è un nodo cruciale in questa guerra: non mentire più
sulla natura dei terroristi. Il
fondamentalismo islamico
fa parte dell'Islam: l’Islam è
il Corano e al Corano si rifanno i miliziani dell’ISIS,
applicando alla lettera le
Sacre Scritture.
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Un esempio? Parigi, 7 gennaio 2015: attentato alla sede del giornale Charlie Hebdo. I terroristi “non hanno
agito a caso, ma eseguendo
un preciso comandamento
religioso: chi offende il Profeta deve essere punito” dice
Hamed Abdel-Samad, politologo egiziano figlio di un
imam sunnita, in un’intervista a L’Espresso. Ma precisa
anche che “non ogni musulmano è un Corano su due
gambe e ancor meno un
killer”.
Ma la mia domanda è: esiste
l’Islam moderato? E se sì,
dov’è? E cosa significa essere un musulmano moderato? Domenico Quirico, giornalista inviato de La Stam-
pa, risponde a questa domanda senza mezzi termini:
“L’Islam è una religione
totalizzante e guerriera.
Dobbiamo dirlo chiaro: è
nata con le guerre di Maometto e ha nella lotta e nella
conversione uno dei principi
fondamentali del suo esistere. Anche quando diventasse
una religione moderata e
illuminista non sarebbe più
Islam, ma un’altra cosa”.
L’ISIS non è altro che la
punta di un iceberg: dopo
l’11 Settembre mandarono
in onda delle riprese di manifestazioni arabe in favore
dei martiri e cioè dei terroristi. Quando il giornalista
chiese ai manifestanti cosa
rappresentasse Bin Laden,
risposero “il nostro eroe”.
Allora il giornalista continuò: “e se muore?” e la risposta fu “ne troviamo un
altro”. Cosa vuol dire? Significa che il leader non è
altro che la punta, ma non il
protagonista della guerra. La
protagonista è la Montagna.
E dopo la morte di Bin Laden, questa Montagna ha
trovato una nuova guida: il
califfo Al Baghdadi.
l.n.
ARIETE
Deciso, caparbio, schietto, leale, sincero, fedele e simpatico
Pietra: Corallo rosso
TORO
Affabile, presente, capace di grande amore, stabile, romantico, generoso
Pietra: Smeraldo
GEMELLI
Dinamico, attivo, intraprendente, comunicativo, curioso
Pietra: Topazio
CANCRO
Tenero, amorevole, ama aiutare il prossimo e proteggerlo
Pietra: Perla
LEONE
Combattivo, determinato, caloroso, ama sentirsi apprezzato
Pietra: Diamante
VERGINE
Ordinato, preciso, sincero, logico
Pietra: Zaffiro
ARTE E CULTURA
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S.O.S. Cultura
Jennifer Oliver, classe 1AC
La cultura è tutto ciò che
abbiamo ed è quella parte di
noi che ci permette di acquisire delle abitudini e di trasmetterle ai nostri eredi.
“Siamo nani sulle spalle di
giganti” diceva Bernardo di
Chartres, e io ho intenzione
di commentare quest’ espressione dal mio punto di
vista, sperando che possiate
condividere le mie riflessioni. Quest’ espressione, innanzitutto, intende dire che
noi uomini siamo appoggiati
sulle spalle della cultura e
della storia, punti di partenza irrinunciabili per tutti gli
esseri umani. Molte volte
tendiamo a dimenticarci cosa sia la cultura e non la teniamo in considerazione:
quello che sta avvenendo in
Medio Oriente, cioè la distruzione di musei e siti archeologici, già di per sé preoccupante, lo sarà ancora di
più per le future generazioni. Infatti esse non troveranno alcuna testimonianza del
passato (sculture, affreschi,
aree archeologiche …) e
non avranno la possibilità di
assaporare i traguardi che la
cultura ha raggiunto, così
non avranno modo di arricchire la loro tradizione e di
crearne delle altre. Distruggere questi reperti significa
distruggere una parte della
nostra cultura , una parte del
nostro sapere, che è perso
per sempre. Una situazione
simile alla distruzione della
antica biblioteca di Alessandria d’Egitto, fondata dai
Tolomei nel III secolo a.C.,
la ricordate ? Intere generazioni che vivono oggi e
che vivranno nel futuro
hanno perso la possibilità di
comprendere questo sapere,
accumulato dall’ inizio della
storia dell’ Uomo. Secondo
me si può paragonare l’umanità a un edificio e la cultura alle sue fondamenta: se
si abbattono completamente
le fondamenta, l’edificio
crollerà, ma anche se le fondamenta sono instabili e si
costruiscono altri piani, tutto
diventerà polvere che si disperde nell’aria, rimanendo
solo un ricordo vago. Gli
uomini disprezzano un’opera d’arte perché non la comprendono , e spaventandosi
per non averla compresa, di
conseguenza non vogliono
che esista , così la distruggono per non vederla mai
più. Questi uomini non hanno cuore, non conoscono le
proprie origini e non vogliono saperne del loro futuro,
eliminando in pochi minuti
ciò che è stato fondato ed
amato per anni. Vi consiglio
di non prendere esempio dai
pazzi che distruggono reperti, perché anche solo un muro porta con sé una storia,
come la sabbia, che di per sé
non vale nulla, ma è stata
calpestata da generazioni.
Come un albero sradicato
lascia un segno profondo nel
terreno e non trae più nutrimento dalla terra, così, se
una parte della cultura viene
estirpata , il vuoto che lascia
non potrà più essere colmato
e le generazioni future non
potranno godere delle conoscenze ormai perdute.
Se distruggiamo i segni del
passato, distruggiamo noi
stessi e la nostra storia.
j.o.
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numero
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Musica e poesia, sinfonie dell’anima
Storia di due veicoli del sentimento, dal mondo greco fino ai nostri giorni
Federica Lazzaro, classe 1AC
“La musica è una legge morale: essa dà un'anima all'universo, le ali al pensiero,
uno slancio all'immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla
gaiezza e la vita a tutte le
cose” pensava Platone nel
IV secolo a.C. E, parecchi
secoli dopo, il celebre poeta
latino Ovidio inveiva nel
suo carme “Ibis” contro un
anonimo romano che da suo
amico era divenuto suo accusatore. Insomma, fin dai
primordi della nostra civiltà,
l’espressione sia dei sentimenti del singolo individuo
che degli ideali di un popolo
è stata manifestata attraverso due principali mezzi di
comunicazione, la musica e
la poesia, spesso uniti da
una tradizione di oralità discendente da Omero e dagli
aedi, i poeti-cantori che allietavano gli abitanti delle
poleis antiche con i versi
dell’Iliade o dell’Odissea.
Ma perché vi sto parlando di
tutto questo? In realtà questo profondo legame tra versi e note è andato evolvendosi attraverso i secoli,
proiettando dietro di sé la
scia di un’origine antica e
spesso poco conosciuta. Dal
melodramma seicentesco
fino alla cura con cui il poeta ottocentesco Mallarmé
rende la rima portavoce di
un senso poetico e semantico profondo nei suoi malinconici componimenti, musi-
ca e poesia sono diventate
due elementi inscindibili di
un genere che oggi è noto
alle nuove generazioni con il
nome di RAP, letteralmente
“rythm and poetry”. Un genere musicale che dà sfogo
alle frustrazioni, alle critiche, ai rancori dei giovani
che si trovano in una realtà
che spesso non riescono a
capire, che non fa nulla per
essere capita e che spesso ci
costringe a desistere dai nostri tentativi di comprenderla
e migliorarla, lasciando che
la società continui a giudicarci per quello che indossiamo, per ciò in cui crediamo o per come ci comportiamo. E’ il ritmo concitato,
incalzante, di una musica,
arricchita di parole, metafore
e battute sarcastiche che, di
certo, non conservano la forma colta e ricercata della
poesia di un tempo, ma mantengono la funzione espressiva e comunicativa tradizionali: raccontano questi decenni movimentati, le crisi,
le guerre, il razzismo, l’indifferenza di coloro che
stanno al potere e che proprio non vogliono farsi da
parte per lasciare a noi la
gestione del nostro Paese.
Ma in effetti c’è una differenza tra il significato profondo del rap e il valore ideologico delle poesie: il rap
rispecchia la dilagante globalizzazione dei nostri tempi, dell’essere costantemente
in contatto da un capo all’altro del pianeta, di capirci
non tanto grazie alla lingua
ma grazie ad un sentimento
di indignazione comune che,
pur avendo origine da contesti differenti, non ha bisogno di spiegazioni. E così
Nicky Minaj rappa “Fuck
the skinny bitches, fuck the
skinny bitches in the club”,
Rocco Hunt ricorda “Erano
un paio di scarpe all’anno il
mio regalo di Natale” e
Mezzosangue esplode “Mi
chiedi perché fumo, coloro
il mio respiro/è solo un modo per vederlo e sapere che
ancora vivo. (…) Lotto giorno dopo giorno in eterno,/un
uomo giusto in questo mondo è un pompiere all'inferno”. Il rap è diventato la voce di quasi tutta una generazione, la nostra, ma già a
partire dagli anni ’70 del
secolo scorso divenne molto
amato dai giovanissimi di
tutto il mondo, erede della
tradizione jazz degli U.S.A;
non a caso rappers quali
Clark Kent, Snoop Dogg,
Puff Daddy, Jay-Z, Missy
Elliot, 50 Cent ed Eminem
rimangono tuttora veri mostri sacri del rap delle
“origini”. Il rap è diventato
infatti un fenomeno culturale tanto dilagante che sempre più spesso viene utilizzato come sottofondo di
pubblicità destinate ai giovani, come già accadeva
negli ultimi decenni del se-
Secondo
numero
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colo scorso con la pubblicità
della bevanda Sprite.
Ma ha anche un lato oscuro:
infatti alcuni di coloro che
oggi militano nell’Isis qualche anno fa non erano che
giovani rappers francesi di
periferia, che urlavano il
loro disagio di figli di immigrati dietro parole cariche di
rancore,anziché nascondendosi dietro i passamontagna
neri dei tagliagole dell’ estremismo islamico. Un po’
come i poeti maledetti, si
perdevano in nubi di oppio
rincorrendo versi peccaminosi e decadenti dall’ eco
immortale. Insomma, musica e poesia non sono che
l’essenza della nostra memoria di esseri umani, un
dono antico che immortala
ogni istante della nostra evoluzione, millennio dopo millennio e strumento che, se
maneggiato da dita esperte,
può far risuonare la nostra
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anima di sinfonie vecchie
quanto il tempo.
f.l.
L’arte del raccontare attraverso le foto
Valeria Conte, classe 4BC
La nostra vita quotidiana è
fatta di storie, emozioni,
persone e luoghi, istanti che
rimangono fissati eternamente e che ricordiamo, più
o meno volentieri, a seconda
delle sensazioni che ci hanno suscitato e che trascinano
dietro con sé.
Talvolta abbiamo bisogno di
raccontarli, necessitiamo di
dar voce a tali emozioni e
dialoghi del passato che
bussano prepotentemente
alla porta del presente e
continuano a riaffiorare, nostalgici. E noi non possiamo
far altro che esprimerli. Come? Li narriamo a voce, li
mettiamo per iscritto sulla
carta o li fermiamo, imprimendoli in uno scatto, nella
memoria di una macchina
fotografica. Così ogniqualvolta vogliamo riportare alla
mente un determinato momento, possiamo estrarlo
dalla cassaforte dei ricordi e
visualizzarlo in un’immagine, in una foto. Una foto emoziona, richiama sentimenti inespressi e coinvolge
occhi, cuore e mente. In alcuni casi è in grado di andare oltre le parole, poiché è
diretta, precisa e usa un linguaggio universale, quello
visivo. Quante volte andiamo a ripescare vecchie foto
che ci ritraggono da piccoli
oppure foto dei nostri fratelli, genitori o nonni, quasi a
voler tornare indietro nel
tempo e fermarlo? Tante
volte. E ogni occasione suscita in noi sensazioni diffe-
renti:ci divertiamo, ridiamo,
proviamo tristezza o malinconia. Tutto ciò osservando
una semplice immagine 10 x
15 cm. Questo ci fa capire
quanto le fotografie siano
uno strumento di coinvolgimento potente ed efficace:
appassionano, commuovono
e, soprattutto, colpiscono
nell’immediato, andando a
fare breccia nella parte più
riservata e intima di noi.
Ci sono scatti che hanno
fatto la storia e cambiato il
mondo, perché hanno saputo
generare nell’osservatore le
più svariate emozioni, impressionandolo e stupendolo; ai giorni nostri alcune
foto hanno la capacità di
diffondersi nel web in
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maniera planetaria, facendo
in breve tempo il giro del
globo: basti pensare a quella
di qualche settimana fa della
fotoreporter Nadia Abu Shaban, scattata ad una bambina siriana che, davanti alla
macchina fotografica, si arrende, pensando sia un’ arma. Con i pugni uniti sulla
testa e le labbra serrate ci
mostra il retroscena della
sua storia, piena di dolore e
sofferenza.
E’ inutile dire che le foto
catturano l’attenzione: l’hanno ben capito i brand, i
giornali, gli editori e coloro
che operano in rete. Le immagini servono a vendere
più facilmente un prodotto,
inducono una persona a leggere un articolo piuttosto
che un altro, incuriosiscono.
E le fotografie fanno da
sfondo anche nel mondo dei
social network, che noi giovani tanto apprezziamo e
seguiamo. I nostri profili
sono costellati di scatti fotografici, di post e album che
ci ritraggono, da soli o in
compagnia di amici. Essi ci
descrivono, presentano la
nostra quotidianità, le nostre
abitudini e ciò che ci piace.
Sono come il nastro della
pellicola di un film che ci
racconta e che possiamo mostrare a chi vogliamo, condividendolo on-line. Postandone” uno facciamo conoscere
una parte di noi, legata ad
eventi particolari: un viaggio, un’uscita o una gita scolastica, un pomeriggio monotono o, al contrario, entusiasmante; “taggando” gli
“amici” o i “seguiti” coinvolgiamo anche altre persone, rendendole partecipi dei
flash della nostra piccola
“mostra fotografica personale”. Tutto ciò in tempo reale,
grazie alla velocità dei nostri
smartphone. Un click e la
foto è fatta: con i giusti filtri
ed hashtag la possiamo caricare su Instagram o Facebook, ricevere apprezzamenti e
commenti sul paesaggio,
piuttosto che sul disegno o
sull’autoscatto che abbiamo
condiviso.
Le fotografie stanno acquisendo sempre più importan-
za nella società moderna:
scattarle, scorrerle e metterle in rete ci appassiona; i
messaggi che vogliono trasmettere traspaiono chiaramente attraverso i pixel.
Siamo noi a scegliere quale
storia raccontare: con una
smorfia sul viso o una posa
strana possiamo divertire,
con una scritta o un’ immagine ad effetto possiamo far
riflettere, attraverso un sorriso esprimere serenità.
Le foto insomma parlano di
noi, oltre che costituire un’enorme fonte di ricordi e, a
seconda del soggetto che
rappresentano, riescono ad
esternare e a riflettere molteplici sensazioni, molto
spesso anche meglio delle
parole.
v.c.
BILANCIA
Ama la bellezza, l’eleganza, la sobrietà, l’armonia e la dolcezza
Pietra: Opale
SCORPIONE
Attratto dal mistero, dalle stelle e dall’universo, vive in un mondo suo
Pietra: Rubino
SAGITTARIO
Imprevedibile, ama cambiare, i viaggi e la conoscenza
Pietra: Turchese
CAPRICORNO
Stabile, silenzioso, pensieroso, meditativo
Pietra: Onice
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Film di oggi e del passato
Nicola Vanzetto, classe 3BC
Abissale e palese è il divario
tra la cinematografia del Novecento e quella del nuovo
millennio, non solo in termini
di costi e spettacolarità, ma
soprattutto sotto l'aspetto qualitativo: infatti in età moderna
stiamo assistendo ad un peggioramento progressivo e inesorabile del settore, dovuto a
mezzi e tecniche all'avanguardia che mettono sempre più a
repentaglio la qualità di un'opera cinematografica, favorendo invece i grandi incassi e il
trash commerciale.
Sorge dunque una domanda:
quali sono i motivi che hanno
reso possibile tale mutamento?
Trovare la risposta purtroppo
non è così automatico.
Si possono a tale scopo prendere in considerazione tre
film: "Ben Hur", "Il Gladiatore" e "Pompei".
Il primo è un film del 1959
diretto da William Wyler e
interpretato da Charlton Heston ed è considerato ad oggi
uno dei maggiori kolossal del
cinema mondiale.
La regia e l'interpretazione
sono una pietra miliare dell'arte di tutti i tempi e la complessità della trama è così profonda che rende quest'opera un
capolavoro e non una banalità.
In esso infatti la storia dell'omonimo principe giudeo viene
narrata con innumerevoli sfaccettature psicologiche e storiche che si vanno a fondere con
la complessa vicenda di Gesù,
senza tralasciare alcun minimo
dettaglio e curando ogni sfumatura.
La complessità architettonica
degli edifici nelle scene del
film non è ostentata, anche se
a volte appare irreale a causa
della penuria di effetti speciali
dell'epoca, anzi è modesta e
allo stesso tempo impressionante e non lascia all'osservatore l'amaro in bocca per un
“pessimo effetto speciale”.
La stessa cosa si può dire per
"Il Gladiatore". Film del 2000,
con regia di Ridley Scott e interpretato da Russel Crowe, si
può a tutti gli effetti indicare
come punto di passaggio tra la
cinematografia anni 50 e l'abuso moderno di effetti speciali e
sceneggiature scadenti.
Questo film di genere storico
delinea in modo molto accurato
gli ideali romani e li innalza a
modello universale attraverso
l'icona del protagonista Massimo Decimo Meridio.
Al contrario non si può valutarlo così positivamente per l'attinenza storica a causa di alcune
imprecisioni. Ma siamo sicuri
che questa sia veramente una
nota di demerito? A mio parere
gran parte di tali errori sono
voluti dal regista per marcare
maggiormente un aspetto della
trama o del contesto; ma, in
ogni caso, l'imponenza e la
maestosità degli edifici è assolutamente da notare e chiunque
abbia la fortuna di guardare
questo film, si sentirà completamente immerso nel mondo e
nella cultura romani e nelle
loro virtus millenarie che sembrano in questa pellicola giungere a noi da tanto tanto lontano.
Totalmente agli antipodi si può
porre
invece
"Pompei",
“opera” cinematografica del
2014, firmata da un mediocre
Paul Anderson, che racconta
gli ultimi giorni della tragedia
di Pompei del 79 d.C..
Questo film è a tutti gli effetti
una
delle
famigerate
“americanate” che si trovano
in commercio da ormai troppo
tempo. La trama ci delizia sin
da subito con una storia d'amore che è consistente tanto
quanto la solidità della trama
intera: quasi inesistente.
Questa pellicola fonde la storia
assieme ad una vicenda d'amore che alla fine, assieme ad un
abuso di effetti speciali ridondanti e spesso inutili, lascia a
chi guarda l'amaro in bocca.
In conclusione allora, siamo
veramente sicuri che la spettacolarità debba annullare la cosa più importante, ossia la sceneggiatura? In un mondo in cui
ormai l'osservatore medio è
abituato a film dalla trama veloce e immediata, sorge naturale poi trovare noioso ed estemporaneo un film come
"Ben Hur". Sarebbe dunque
opportuno, secondo me, che le
persone fossero meno influenzate dal prodotto etichettato e
consigliato dalle multinazionali e tornassero ad apprezzare la
lentezza di un film fatto bene,
che lascia spazio all'attesa e
alla meditazione.
n.v.
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ALTRO
Verso l’infinito e oltre
Matilde De Nobili, classe 2AC
Ogni dizionario della lingua
italiana sotto il termine
“viaggiare” riporta questa definizione: spostarsi da un luogo ad un altro compiendo un
percorso. Dieci parole che
non si avvicinano nemmeno
lontanamente all’inebriante
esperienza del viaggio in tutte
le sue mille sfaccettature.
Chiunque ami viaggiare sarà
d’accordo con me sul fatto che
dopo ogni viaggio, dal più breve a quello più duraturo, oltre
alla valigia stracolma di souvenir, il bagaglio culturale che
ne deriva è impareggiabile; un
mix di profumi, sapori ed emozioni che spingono il viaggiatore - badate bene, non turista, ma viaggiatore, sono due
cose molto diverse, secondo il
mio punto di vista - a cominciare la ricerca di una nuova
d e s t i n a z i o n e .
Oggi viaggiare, oltre che un
piacere, è diventato anche una
sorta di necessità, o meglio,
una convenienza. Per i giovani come noi, inguaribili sognatori per quanto riguarda l’avvenire e pieni zeppi fino all’orlo di aspettative e progetti,
comporre il proprio puzzle
culturale, aggiungendo un tassello nuovo ad ogni esperienza
vissuta, è davvero importante;
poi, per essere più pratici, bisogna dire che una lingua in
più nel proprio curriculum o
possibilità di studio all’estero
fanno decisamente comodo per
il nostro futuro. Certamente
c’è chi ha sempre le valigie
pronte per ogni evenienza e chi
invece piuttosto che viaggiare
preferisce la compagnia di un
bel libro o dell’ultima novità in
fatto di videogiochi: in quest'ultimo caso a spingere un po’
di più i giovani - per così dire meno avventurosi a scoprire il
piacere del viaggio, ci dovrebbero pensare i familiari, gli
amici e le scuole. Parlando di
scuole, tutti i montalini mi
daranno ragione se affermo che
la nostra scuola cerca di incoraggiare in moltissimi modi
l’interesse degli studenti verso
l’interculturalità; per fare alcuni esempi: il progetto di scambio interculturale con l’Olanda,
la possibilità di provare l’esperienza dell’Erasmus che molti
studenti hanno già colto al volo, i progetti che le insegnanti
di lingua straniera offrono ai
propri scolari. Perciò, avendo
così tante possibilità, non rimane che sperimentare quante più
esperienze possibili, raccogliere un numero infinito di storie
e avventure da raccontare in
seguito. Anche un viaggio di
tipo virtuale è un'esperienza a
mio avviso molto istruttiva e
interessante: senza bisogno di
spostarsi da casa, rimanendo in
contatto con ragazzi e ragazze
provenienti da differenti paesi,
è bello farsi raccontare e raccontare a propria volta, il mondo attraverso gli occhi di una
persona con una cultura, una
lingua, uno stile di vita differenti dai propri. Il viaggio e il
vivere quante più esperienze
possibili sono temi che nel corso della storia sono stati largamente affrontati; Agostino
d’Ippona, un filosofo dell’antica Roma, in una delle su opere
scrisse: "Il mondo è un libro e
quelli che non viaggiano ne
leggono solo una pagina" ; io
sono pienamente d’accordo
con questa affermazione e,
nella mia vita, spero di leggere
quanti più capitoli possibili
perché, arrivati a fine pagina,
resta sempre la suspence e la
voglia di leggere il seguito: del
resto un libro, se non ha il finale, non vale neanche la pena di
leggerlo. D’altronde chi non si
è mai sentito affascinato dalla
frase del celebre cartone Disney Pixar: “Verso l’infinito e
oltre”?!
m.d.n.
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Giorno 230 di soggiorno studio all’estero
Silvia Lo Castro, classe 4CC
18.04.15
Tunbridge Wells, Kent, Inghilterra
Arrivi ad un momento in cui ti accorgi che tutto cambia.
Si stravolge. La considerazione che hai di te stesso, quella che ti sei trascinato e costruito da quando
hai imparato a pensare. Cambia. Si alleggerisce. Prende forma, o ne assume una.
La considerazione verso gli altri. La percezione delle COSE, che non sai più definire nonostante vantassi di saperlo fare. Il rapporto verso ciò che non conosci. Il valore che davi a te stesso.
I principi. Le parole. Le colonne su cui sei cresciuto, la nuova prospettiva da cui le osservi ora.
Tutto. Cambia.
Quella che riconoscevi come realtà non era che la tua normalità, era abitudine… e ti dava sicurezza,
era l’unica serratura da cui spiavi il mondo, e da cui tentavi di interpretarlo, quasi fiero dei risultati.
E c’era tanta ingenuità in questo, ma anche l’orgoglio ad aiutarti a guardare comunque più in là, a non
accettare i limiti che non potevi dissolvere, superare, a convivere con i confronti che non potevi avere.
Ma poi arrivi ad un momento in cui apri la porta.
Esci dalla bolla.
Ti approcci a una realtà esterna con la stessa convinzione con cui la spiavi e ne scassinavi la serratura,
e ne sei entusiasta, eccitato.
La respiri a pieni polmoni per esserne completamente influenzato.
E non pensavi che la mattina potesse profumare tanto intensamente, non sapevi ci fosse un ritmo a cui
camminavi. Avvicini sensazioni ad ambiti che parevano inaccostabili, intuisci nuove angolature, dimentichi i nomi degli stereotipi, distruggi i miti, disperdi i criteri, cambi la voce, interpreti i comportamenti, dai e perdi e conquisti fiducia, apri il cuore ad emozioni che non sai gestire, controllare, riconoscere, spiegare.
Scatta un click. Tutto. Cambia.
Fingi di capire quando in realtà sei consapevole di non sapere NIENTE.
Perdi la strada. Ti volti indietro, cerchi la sicurezza da cui ti sei allontanato, e non la trovi.
Pare tutto sfuocato, laggiù.
E poi rifletti, ma questo già lo sapevo, ti dici.
E poi lì, sull’incrinatura di un’esperienza, l’angolo su cui questa va a posarsi per addormentarsi e terminare, è lì che ti siedi, solo un attimo, e te ne accorgi.
Tutto. Cambia.
La percezione del luogo da dove sei partito. Quella di questo in cui sei arrivato.
Le persone, le parole, i pensieri, i gesti.
La perdita e l’acquisizione di tutto, la consapevolezza di niente.
Le sensazioni, il sapore delle COSE, il loro profumo.
L’emozione intensa con cui tenti di scrivere quello che SENTI, ma che non puoi davvero trasmettere.
Perché non è scolastica, né teorica o nata tra la formalità dei pensieri e la razionalità dell’immaginazione.
L’hai creata camminando, e non fai che respirarla e non riuscire ancora a definirla, tanto da non poterti
permettere di fermarti e lasciarla sbiadire.
Allora ti alzi da lì. Avverti di non poter restare.
Vorresti proseguire ma devi tornare indietro.
La porta è la stessa, cambia la maniera con cui la vuoi aprire.
Rientri nella bolla ma la rompi dall’interno.
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Vajont: tra disastro e umanità
Agata Lucchetta, classe 3AC
Forse l'uomo non ha ancora
preso coscienza di quanto le
innovazioni tecnologiche siano per la popolazione non solo
una fonte di benessere, ma
talvolta causa di distruzione e
morte. Ne è un esempio la tragedia avvenuta il 9 ottobre
1963 alla diga del Vajont, che
rappresenta una conseguenza
della cupidigia umana e, in
particolare, della ricerca del
profitto delle multinazionali.
Nel disastro persero la vita
migliaia di persone che abitavano a Longarone e nei paesi
limitrofi. La diga del Vajont
avrebbe dovuto produrre energia attraverso un impianto idroelettrico, fornendo nuove
risorse allo Stato in un periodo
di sviluppo economico e sociale, con un cospicuo guadagno anche per l’azienda produttrice, la SADE. Quest’ultima - Società Adriatica di Elettricità - era interessata alla
costruzione di un manufatto
che, oltre a fornire energia,
fosse anche un prestigioso esempio di ingegneria delle
costruzioni. Quest'anno attraverso lo scambio culturale
“Erasmus Plus” abbiamo accompagnato una classe di studenti olandesi, nostri ospiti, a
visitare la diga del Vajont e i
luoghi che hanno segnato la
nostra storia locale e colpito
l'opinione internazionale. Questa catastrofe è stata provocata
dalla frana del monte Toc, riversatosi in buona parte sull’invaso della diga con la conseguente onda devastante caduta sui paesi di Erto e Casso
e la sottostante Longarone.
Forze dell'ordine e molti volontari si sono subito mobilitati per portare soccorso alle
popolazioni tremendamente
colpite, tra i quali il corpo degli
Alpini. La vicenda inizia quando la ditta SADE decise di costruire la famosa diga, che allora doveva essere una delle più
grandi del mondo. I lavori iniziarono il 31 gennaio 1957 e,
nonostante mancassero le necessarie relazioni geologiche
definitive relative alla sicurezza del territorio, l'azienda elettrica decise di procedere con i
lavori di costruzione. I responsabili della SADE non valutarono seriamente la fragilità del
monte Toc. Il termine deriva
infatti dal dialetto locale: significa “pezzo”, “parte” e indica
le caratteristiche della roccia,
ben nota per sua porosità. Tra
il 1959 e il 1960 alcuni fatti
avrebbero dovuto allarmare i
costruttori, tra cui la frana della
montagna contigua alla diga di
Pontesei e quella di un pezzo
del Toc proprio sul Vajont,
avvenuta il 4 ottobre 1960: in
particolare la frana provocò
l'allagamento di alcune case
che erano state fatte evacuare
precedentemente. Ciò produsse
un ampio dibattito tra la gente
e diede avvio a proteste, che
avevano l’obiettivo di ottenere
le rassicurazioni e le certezze
sulla sicurezza dei luoghi vicino alla diga. Il dibattito sollecitò i geologi Muller e Semenza
ad ulteriori indagini che portarono a scoprire una pericolosa
frattura a forma di “M” sul versante del Toc sovrastante la
diga. La scoperta indusse Muller a proporre la sospensione
dei lavori con urgenza. La sua
relazione venne però occultata
agli organismi di controllo. Per
evitare la frana prevista dai
geologi, la SADE collegò i due
versanti del monte tramite una
conduttura, così da coprire il
bacino creato dalla diga minore, al fine di ridurre gli eventuali danni che avrebbe prodotto la frana. Tuttavia ciò non
portò nessun miglioramento,
infatti il rapido abbassamento
del livello dell'acqua del lago
costrinse la società, che nello
stesso anno era passata sotto
l'ENEL, a ordinare al sindaco
di far “sgomberare” i paesi
vicini alla diga a causa di un
“accelerato movimento franoso
nella zona sinistra del Toc,
serbatoio Vajont”. Il traffico
alle 17.00 del 9 ottobre 1963
fu deviato, alle 22.00 la diga
fece le prime vittime. Alle 22.39 una massa rocciosa di 260
milioni di metri cubi si staccò
dalla montagna e precipitò nel
lago artificiale. L'urto con l'acqua provocò ondate in tre direzioni: una frontale, che si abbatté su Casso, la seconda su
Erto e la terza arrivò fino a
Longarone e alla valle del Piave; tutto ciò in quattro minuti.
La frana del Vajont ha avuto
delle conseguenze enormi. Le
frazioni di Erto persero 158
persone, quelle del comune di
Longarone persero 1458 persone travolte dalla potenza dell'ondata. Nel Vajont morirono
111 persone e 183 abitanti che
vivevano in altri comuni e gli
addetti al cantiere della diga. Il
ricordo di questo disastro è
ancora vivo e tristemente attuale, sebbene siano passati
circa cinquant'anni, ed è un
monito per le generazioni future, ma sopratutto per noi giovani che dovremo affrontare le
sfide del progresso tecnologico.
a.l.
ULTIMO
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POESIA
Odi anarchiche
Nicolò Gastaldi, ex alunno
Sai di boccone amaro
che erode la parte del giorno,
a me tanto caro.
Ti diverte vedermi languire,
in questo modo ti vuoi nutrire.
Mi volto e sei sempre con me,
anche quando cade la foglia
dell'ultimo albero d'autunno.
A volte mi spogli e mi lasci nudo,
ma è strano, perché nessuno
mi porge una coperta.
Altre volte sei un'onda
irrefrenabile dentro
che non puoi cavalcare,
ma solo sperare che non ti travolga,
sei l'occhio del ciclone
che preannuncia la rivolta.
E io la sera ti parlo in silenzio,
tiri fuori il non me;
ma neanche sotto le coperte
ho un riparo.
Ti insinui tra le pieghe
e mi sussurri il male.
Nemmeno il mio cuore
riesce a smettere di ascoltare.
Prigioniero della mia stanza
mi arrampico sul muro dei miei pensieri
su cui ci muori, per giorni interi.
Quando esco, mi metto una maschera,
di ottima foggia, sembro quasi me;
E nessuno, tranne me, sa che c'è.
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Cicerone e dintorni
di Luigi Salvioni
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Definizioni
Orizzontali
1 Vi fu proconsole Cicerone nel 51
3 La fine di un grande congiurato
4 Famoso parente della madre di Cicerone
7 Domina in Roma quando Cicerone esordisce
8 Amante di Clodia, difeso da Cicerone
9 Nome della madre di Cicerone
12 Vi si accordarono a sorpresa i triumviri nel
56, deludendo Cicerone
14 Così finisce il dativo della quarta declinazione
16 Iniziali di Attico, grande amico di Cicerone
18 Sigla per "consul"
19 Senatori, in latino
20 Vi trvò la morte Catilina
22 A tal punto, in latino
23 Il praenomen del fratello di Cicerone
26 Iniziali di Bruto
28 Senatus populusque Romanus
29 Discorso di accusa, in latino
30 Vi fu Questore Cicerone nel 75
31 Madre di Ottaviano
32 Contro (+ acc.)
33 Suffisso latino che vuol dire "fra due"
35 Il cognomen di Ortensio
38 Iniziali di Catilina
41 Cosa vuol dire, probabilmente, "Cicero"?
42 La fine di Cesare
43 Cicerone ne scoprì la tomba a Siracusa
46 Maestro di legge di Cicerone
50 Così, in latino
53 Triumviro e famoso banchiere
56 Avvocato difensore, in latino
58 Il nomen di Bruto
60 Operetta che completa il "De natura deorum"
61 Bruto era figlio adottivo di Cesare?
62 Gli inizi del re Deiòtaro
63 Autore di brogli elettorali, difeso da Cicerone
64 Un cesariano, marito della figlia di Cicerone
66 Filosofo di Ascalona, maestro di Cicerone
67 Nome di nascita di Ottaviano
68 Vi morì Catone nel 46
Verticali
1 La Lesbia di Catullo, sorella di un avversario di Cicerone
2 Viaggio, in latino
3 Il 13 in aprile, il 15 in marzo
5 La via dello scontro fra Clodio e Milone
6 Il numero delle Filippiche, in sigla romana
7 Passione, in latino
8 Posposta al genitivo fa un complemento di fine
10 Il numero sei
11 Padre della Chiesa, si convertì alla filosofia leggendo l'Hortensius
13 A favore di (+abl.)
15 Cicerone vi spedì il figlio, sperando che studiasse
17 Scoprì le lettere "Ad Familiares"
19 La gens cui apparteneva Catone
20 Seconda moglie di Cicerone
21 La legge che incaricò Pompeo di perseguire i pirati
23 Poiché, in latino
24 Il numero delle Catilinarie, in sigla romana
25 Segretario di Cicerone, inventò la stenografia
27 La guerra in latino
28 Catullo dedicò poesie a Cicerone?
30 Grande amico di Scipione Emiliano. Cicerone gli
dedicò il de amicitia
34 Onnipotente liberto di Silla
36 Vi studiò retorica Marco Tullio
37 Iniziali di Silla
39 La prima orazione di Cicerone
40 Le Calende di chi non paga mai (detto di Augusto)
44 La rivoluzione, in latino
45 Benché, in latino
47 Le elezioni, in latino
48 L'orazione "de signis" è una
49 Triumviro insieme a Ottaviano e Antonio
51 Altra denominazione dei membri della nobilitas
52 L'ultima località in cui Cicerone dormì
54 Traduzione ciceroniana di un poema didascalico di
Arato
55 Congiunzione finale, con i comparativi
57 Filosofo stoico, maestro di Cicerone
59 Uomo politico severo ed implacabile
63 Il Cardinale che scoprì il testo del "De Republica"
65 Finale dei nomi di adozione
20
Giugno
2015
Secondo
numero
ULTIMO
BANCO
GIOCHI
ACQUARIO
Ribelle, inventore e amico di tutti
Pietra: Quarzo
PESCI
Sensibile, cerca emozioni ed attenzioni, gran lavoratore
Pietra: Ametista
Rebus… in latino
A cura della redazione
Soluzione: pera S pera A das TRA = per aspera ad astra
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