Scarica - Liceo Classico Eugenio Montale
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Seconda edizione SAN DONÁ DI PIAVE, GIUGNO 2015 Anno XXI L’editoriale Cari lettori, siamo giunti al termine anche di quest’anno che ci ha visti tutti uniti durante le manifestazioni organizzate a sostegno della nostra scuola. Due dei caporedattori, Emma Boccato e Rossana Grementieri della classe 5 C, ormai hanno concluso la loro esperienza qui al Montale, ma anche grazie al loro sostegno dobbiamo continuare a sperare nel futuro della nostra scuola e a sensibilizzare anche i nuovi studenti in merito alla problematica incombente delle sedi. Nonostante ciò, possiamo essere fieri di tutte le iniziative che questa scuola propone per ampliare le conoscenze e sviluppare i talenti degli allievi, non focalizzandosi solo sulle lezioni mattutine. Tra queste il nostro Giornalino, sempre più ricco dei vostri pensieri, delle vostre esperienze e dei vostri interessi: pensate che anche ex studenti e allievi che attualmente sono all’estero con l’Erasmus ci hanno inviato i loro articoli! Ci piacerebbe che questa diventasse per tutti voi una opportunità per esprimervi e farvi conoscere, partecipando sempre più numerosi. Auguriamo a tutti buone vacanze ed un enorme “in bocca al lupo” a tutti i maturandi! Emma Boccato, Rossana Grementieri, Andrea Trevisiol EXPO di Rossana Grementieri “Nutrire il pianeta, Energia per la vita.” Questo è lo slogan che ha aperto l’Esposizione Universale dell’Expo Milano 2015. Continua a pagina 3 IL TABU’ DEL FEMMINISMO di Andrea Trevisiol Qualche settimana fa in tutto il mondo si è parlato del discorso di Emma Watson per le Nazioni Unite. Continua a pagina 5 ATTUALITA’ Expo, di Rossana Grementieri Il razzismo colpisce ancora, di Emma Boccato Il tabù del femminismo, di Andrea Trevisiol Mangia più che puoi finché c’è cibo, di Tobia Sgnaolin È guerra, di Luca Nucera pagina 3 pagina 4 pagina 5 pagina 6 pagina 7 ARTE E CULTURA S.O.S. Cultura, di Jennifer Oliver Musica e poesia, sinfonie dell’anima, di Federica Lazzaro L’arte del raccontare attraverso le foto, di Valeria Conte Film di oggi e del passato, di Nicola Vanzetto pagina 9 pagina 10 pagina 11 pagina 13 S O M M A R I O ALTRO Verso l’infinito e oltre, di Matilde De Nobili Giorno 230 di soggiorno studio all’estero, di Silvia Lo Castro Vajont, di Agata Lucchetta pagina 14 pagina 15 pagina 16 POESIA Odi anarchiche, #3 dell’amara felicità, di Nicolò Gastaldi pagina 17 GIOCHI Giochi vari, a cura della redazione Cruciverba, di Luigi Salvioni pagina 18 pagina 19 Ultimo Banco” è il giornale studentesco del Liceo Ginnasio “E. Montale” e la redazione fa parte della scuola. L’attività è autogestita dagli studenti. La divulgazione di questo giornale è ad uso interno degli istituti scolastici. Direttore responsabile: Beatrice Giai Gischia Caporedattori: Emma Boccato, Rossana Grementieri e Andrea Trevisiol Collaboratori: Matilde De Nobili; Agata Lucchetta; Silvia Lo Castro; Federica Lazzaro; Tobia Sgnaolin; Nicola Vanzetto; Valeria Conte; Jennifer Oliver; Nicolò Gastaldi; Luca Nucera; Christian Plamenac; Cristea Nicoletta; Cecilia Vianello; Alessia Lovisetto; Shenu Eglantina; La redazione Sede legale Stampa Liceo Ginnasio “E. Montale” con sezione linguistica Viale Libertà, 28 30027 San Donà di Piave (VE) Cooperativa Sociale “Il Bozzolo Verde” Via Guidi, 1 Cà Turcata di Eraclea (VE) CHIUSO IN REDAZIONE IL GIORNO 04 MAGGIO 2015 Per informazioni: [email protected] ; oppure contattare [email protected] Per le eventuali e involontarie violazioni della proprietà letteraria ed artistica siamo sin da ora disponibili ad una equa transazione (legge 662/96) ATTUALITÀ ULTIMO BANCO Secondo numero Giugno 2015 Pagina 3 Rossana Grementieri, classe 5CC “Nutrire il pianeta, Energia per la vita.” Questo è lo slogan che ha aperto l’Esposizione Universale dell’Expo Milano 2015. E’ il più grande ed importante evento mai realizzato fino a questo momento relativo alla nutrizione ed all’ alimentazione. Vi prendono parte ben 140 Paesi ed Organizzazioni internazionali, per non parlare del numero di visitatori attesi. Milano si presenta come la sede unica della piattaforma organizzata, dove ogni Paese ha la possibilità di mostrare le proprie tecnologie relative ad un obiettivo comune a tutto il pianeta: garantire a tutti cibo sano e nutriente, salvaguardando l’ambiente da cui esso deriva. L’organizzazione di un tale evento offre senz’altro la possibilità di partecipare ad un dibattito di idee e pensieri, basato su un futuro eco-sostenibile, oltre che l’ occasione di conoscere e degustare quelle che sono le tradizioni culinarie di ogni Paese. Il mondo in cui viviamo è variegato: vi è chi soffre ancor oggi la fame, chi muore per disturbi di salute legati alla malnutrizione, ma paradossalmente ogni anno vengono sprecate quantità impressionanti di cibo. Queste sono le motivazioni principali che hanno portato a condurre scelte politiche ben consapevoli attraverso anche l’uso di tecnologie all’ avanguardia. Concretamente il sito ospita quattro aree tematiche, partendo dal racconto del rapporto iniziale dell’uomo con il cibo, giungendo poi al concetto di “Food District” che spiega come la tecnologia influenzerà e cambierà il modo di conservare, preservare, distribuire e consumare il cibo. Non mancano certamente aree dedicate ai più piccoli dove, attraverso mostre e spettacoli, si tenterà di far apprendere loro i temi dell’Expo Milano. Gli Itinerari Tematici sono percorsi fisici ma anche ideali, creati per catturare l’interesse del visitatore e portarlo soprattutto al raggiungimento di una autoconsapevolezza interiore in merito all’alimentazione. La mascotte di Expo Milano racchiude i temi fondanti della manifestazione proponendoli in una chiave positiva, originale, empatica. Foody è sincero, saggio, rispettoso e amante della sana e buona cucina. Rappresenta insieme la comunità, la diversità e il cibo inteso nella sua accezione più estesa, fonte di vita ed energia. Per questo è costituito da una famiglia di undici elementi, ognuno con caratteristiche e personalità diverse, che agiscono come veri e propri personaggi. Riuniti in un Volto Unico, essi rappresentano l’ideale sinergia tra i Paesi del mondo chiamati a rispondere con positività alle sfide del nostro Pianeta sull’alimentazione, presentandosi come una vera famiglia, unica, simpatica e dinamica. E’ palese il tentativo di evidenziare le contraddizioni nella distribuzione del cibo nel mondo: una parte della popolazione vive in condizioni di sot- to-nutrizione e mancato accesso all’acqua potabile; un’altra parte presenta malattie fisiche e psicologiche legate alla cattiva/eccessiva nutrizione ed allo spreco. Possono scienza, educazione, prevenzione, cooperazione internazionale, ingegneria sociale e politica ambire al superamento di questo doloroso paradosso? Il nutrimento è un bisogno primario e un atto necessario, ma può essere anche uno dei più gioiosi per l’uomo. Il piacere del palato può divenire strumento di conoscenza: da sempre i sapori e gli odori delle cucine internazionali raccontano la storia e le culture delle società del Pianeta. In conclusione i veri protagonisti di questo grande evento siamo Noi, l’intera popolazione che deve maturare una grande consapevolezza di ciò che avviene nelle varie parti del nostro pianeta: è per questo che bisogna cercare di essere parsimoniosi e critici verso noi stessi e i nostri comportamenti che talvolta potrebbero anche nuocere al prossimo. Impariamo ad amare ciò che ci viene offerto, impariamo a rispettare il posto che ci ospita, impariamo soprattutto a vivere il nostro Pianeta. r.g. Pagina 4 Giugno 2015 Secondo numero ULTIMO BANCO Il razzismo colpisce ancora Emma Boccato, classe 5CC La sera di Pasquetta, il giorno 6 aprile 2015, si è verificato l’ennesimo atto di violenza ingiustificata nei confronti di un ragazzo extracomunitario. Il fatto, accaduto nei pressi di Piazza Ferretto a Mestre, rappresenta uno dei numerosi fenomeni di bullismo e razzismo che si verificano oramai ogni giorno e che spesso vengono taciuti. La vittima, probabilmente non intenzionata a denunciare la violenza subita, è stata trovata dalle Forze dell’Ordine mentre camminava per strada dopo essere stata insultata e malmenata, fortunatamente senza gravi conseguenze. Ciò che invece è grave, rimane la motivazione che ha spinto un gruppo di babybulli ad aggredire un uomo solo a causa di differenti origini. Un giovane, spinto ad abbandonare la propria terra d’origine, spesso non lo fa a cuor leggero, indifferente al distacco da famiglia e affetti. Invece di aggredirlo, bisognerebbe interrogarsi sulla sua condizione e chiedersi cosa lo abbia spinto a giungere fino in Italia. Il ragazzo in questione proviene dal Bangladesh, una zona in cui regnano la povertà e la violenza. Nel 1993 l’India ha cominciato a costruire un muro di 4000 km che divide i due territori, con il pretesto di voler bloccare traffici illegali di sostanze e uomini ed evitare il più possibile il passaggio di terroristi. Le conseguenze di questo provvedimento furono immani: se prima i bengalesi avevano alcuni parenti o un lavoro dall’altra parte della barriera, da quel momento in poi persero ogni possibilità di collegamento e, se oggi provano a spostarsi, vengono uccisi o comunque divengono vittime di violenza per mano di guardie e soldati. Il territorio è isolato, privo di risorse utili per lo sviluppo, anzi in regressione assoluta. Non c’è cibo né lavoro per tutti, quindi gli abitanti muoiono di fame perché non ci sono altre terre in cui espandersi. Allora di fronte ad un uomo che tenta di sfuggire a tutto questo e prova a creare un futuro per sé e la sua famiglia senza tuttavia avere la certezza di poterlo costruire all’estero, un uomo che compie un viaggio lungo senza garanzie e rischia la vita per poter aspirare ad una condizione migliore, c’è ancora qualcuno che ha il coraggio di compiere atti di violenza per motivi razzisti? Probabilmente la causa principale di questo è l’ignoranza in merito alle diverse realtà vissute dai migranti; sicuramente, però, ciò che manca è il rispetto per l’uomo. Questa virtù, al giorno d’oggi estranea a molti, si fonda sulla civiltà e sull’intelligenza, caratteristiche distintive dell’uomo rispetto al mondo animale: noi, infatti, abbiamo la possibilità di usare il dialogo invece della violenza fisica! Ma soprattutto dobbiamo saper dare importanza alla vita umana, speciale e insostituibile e all’individuo, necessario al mondo proprio per la sua unicità. È la storia stessa ad insegnarcelo, ricordandoci il cruento imperialismo del ‘600 e dell’800 e più recentemente l’esperienza del nazismo. In una parola il sentimento che va riscoperto è l’umanità, un modus vivendi di cui il popolo italiano può andare fiero, visto che siamo noi in prima linea a salvare migliaia di migranti che in questo periodo sbarcano, disperati, sulle zone costiere dell’Italia meridionale. e.b. ULTIMO BANCO Secondo numero Giugno 2015 Pagina 5 Il tabù del femminismo Andrea Trevisiol, classe 4BC Qualche settimana fa in tutto il mondo si è parlato del discorso di Emma Watson per le Nazioni Unite. L’attrice famosa per il ruolo di Hermione nella saga di Harry Potter è stata nominata “Ambasciatrice di buona volontà” dell’ONU. La Watson si è sempre mostrata interessata alla difesa dei diritti delle donne e dei bambini e per l’occasione ha realizzato un discorso promuovendo la campagna He for She (“lui per lei”) all’insegna della parità dei sessi e del femminismo. Il termine stesso “femminismo” ormai è sempre meno utilizzato ed è quasi considerato un tabù, una parola impopolare. La gente ha paura di parlarne e neppure le donne si considerano più femministe. Ma cos’è il femminismo? Per definizione indica la posizione o l'atteggiamento di chi sostiene la parità politica, sociale ed economica tra i sessi e non è quindi da identificare nell’opposto del maschilismo, come è ormai credenza comune. Oggi sempre più persone, infatti, confondono il femminismo con quella fascia estremista del movimento che vede l’unica causa dell’oppressione delle donne negli uomini. Le stesse femministe non appoggiano quest’ideologia di “potere alle donne”, in quanto va contro il principio (ed obiettivo) di uguaglianza, raggiungibile solo con il sostegno maschile. Per gli uomini, però, è sempre delicato trattare argomenti come questo; la motivazione principale è da cercare nei numerosi stereotipi: essi si impadroniscono della mente delle persone, non permettendo loro di formulare giudizi che vadano al di là del sesso e dell’aspetto. Il problema degli stereotipi colpisce tanto gli uomini quanto le donne e influenza tutta la nostra società. Il ruolo del padre nella crescita dei figli, per esempio, non è di importanza minore di quello della madre ed una donna al potere non è meno efficiente della sua controparte maschile. La stessa parola “femminismo” è soggetta a stereotipi: il pensiero comune si delinea nel movimento radicale di ambito statunitense della prima metà del ‘900 e nell’iconico manifesto “We Can Do It”, ispirato a Rosie The Riveter. E, come ho detto prima, si finisce col confondere il femminismo con questa sua parte estremista, totalmente estrapolata dal contesto storico. Quindi finché non abbattiamo l’idea di stereotipo come rappresentazione della realtà a cui bisogna attenersi, sarà impossibile ottenere la parità dei diritti. Esistono ad ogni modo numerosi femministi involontari e sono coloro che, forse senza saperlo, aiutano in questa lotta per la parità dei sessi. Sono quei professori che non fanno distinzione tra gli allievi maschi e le allieve femmina, sono quelle persone che non dividono i lavori o i poteri tra strettamente maschili o femminili e sono anche quelle persone che nel quotidiano trattano donne e uomini allo stesso modo, perché credono sia giusto così e che magari reputano ciò semplicemente normale, stupendosi che vi sia stato fatto addirittura un discorso di dieci minuti all’ONU. Nel mondo c’è bisogno di più gente così, c’è bisogno di più gente dalle mentalità aperte, capace di giudicare senza discriminare. Formulare un’opinione è lecito, elaborarla in base a pregiudizi è ignoranza, avere la maturità per cambiarla è evoluzione. Uomini e donne non possiedono le stesse caratteristiche fisiche e mentali: hanno capacità ed interessi diversi e da questo derivano alcuni stereotipi tipici riguardanti gli ambiti lavorativi e di studio, con una marcata prevalenza di un solo sesso. Uomini e donne non devono perciò essere uguali, perché non lo sono e mai lo saranno, ma devono essere trattati alla stessa maniera. Forse può sembrare strano che un articolo del genere sia stato scritto da un ragazzo, però bisogna riuscire ad abbattere il tabù che impedisce di trattare particolari argomenti ed ognuno può cominciare nel suo piccolo, nel quotidiano. Questo tema inoltre interessa donne e uomini in egual misura, in quanto nessuno credo voglia vedere la propria moglie, la propria figlia o la propria sorella avere meno opportunità lavorative solo perché donna o venire licenziata quando è in maternità. E se è la parola “femminismo” ad essere scomoda, non è importante, la si può cambiare o non usarla proprio: quello che conta è il pensiero che sta dietro. a.t. Pagina 6 Giugno 2015 Secondo numero ULTIMO BANCO Mangia più che puoi finché c’è cibo Tobia Sgnaolin, classe 2AC “Nutrire il pianeta: energia per la vita”. È lo slogan che negli ultimi mesi si sente ripetere più spesso alla televisione. Expo Milano 2015, destinato a riscuotere un successo internazionale, è stato finalmente inaugurato il primo maggio, dopo una lunga attesa. Milioni di visitatori ora si aggirano tra gli enormi padiglioni, assaggiando delizie culinarie da tutto il mondo. Noi italiani ne parliamo quasi con un pizzico di orgoglio, riconoscendoci nello stereotipo di buongustai, amanti della cucina raffinata e della sana dieta mediterranea. Il tema è di fondamentale importanza, ma spesso lo sottovalutiamo, ignorando la situazione attuale e le prospettive poco felici. Sì, perché mai come adesso le questioni aperte legate al cibo richiedono tanta urgenza e assumono tristi connotati. Il cibo è una foresta insidiosa, dove si concentrano le peggiori speculazioni. Uno dei problemi più banali è rappresentato dalla scorretta alimentazione dei giovani, che è paradossalmente in contrasto con lo straordinario successo della cucina “made in Italy”: infatti ci gustiamo con gli occhi cibi raffinati, ma non ci facciamo problemi a mangiare schifezze. Alimenti preconfezionati, grassi, salatissimi e pieni di conservanti che, oltre ad aver rimpiazzato i piatti fatti in casa, hanno seri impatti sulla nostra salute. Ma questa non è la cosa più grave. Infatti la crescita demografica, che raggiungerà tra mezzo secolo livelli esponenziali, non è compatibile con le risorse del pianeta. Nel 2040 la fragile Terra sarà calpestata da nove miliardi di individui e le città si ingrandiranno. Le risorse del pianeta non reggono i ritmi dell’agricoltura intensiva. I suoli destinati alle coltivazioni rischiano di diventare inutilizzabili a causa dell’eccessivo sfruttamento. E per ottenerne altri non ci sono tante alternative: o deforestare i polmoni verdi o rinunciare ai pascoli. Sempre più difficile sarà anche trovare l’acqua per l’ irrigazione. Fiumi e laghi sono ormai inquinati, le calotte polari si sciolgono, l’acqua dolce a breve diventerà un bene talmente raro da meritare la definizione di “oro blu”. E che dire della caccia e della pesca intensive, che stanno portando all’estinzione intere specie e alterando gli ecosistemi? Forse è per questo che ultimamente si diffonde la moda di essere vegetariani o vegani. Più che diete, sembrano forme di protesta nei confronti di un’economia che fa strage di animali e spopola i mari della loro ricchezza faunistica. La FAO di Roma, all’inizio del secolo, si è imposta di ridurre la fame del mondo, un flagello che, parallelamente agli enormi sprechi di cibo della civiltà occidentale, miete ancora vittime nell’Africa Nera. Tuttavia anche per un ente di tale rilievo non è facile contrastare le carestie se scarseggiano gli aiuti economici e i governi non intervengono in modo abbastanza risoluto. E forse la gran parte della responsabilità di tutto questo è da attribuire alle multinaziona- li. Infatti secondo uno studio recente il pieno controllo su tutto quello che mangiamo non ce l’abbiamo noi, ma un gruppo di venti multinazionali, che stabilisce cosa immettere sul mercato e cosa farci porre nel carrello della spesa. Gli industriali dovrebbero forse preoccuparsi di più del benessere della gente piuttosto che del proprio profitto. Perché per esempio non finanziare programmi di alimentazione biologica invece di continuare a vendere cibo spazzatura? Perché tutto il cibo che non riescono a vendere lo buttano via, invece di distribuirlo gratuitamente a chi non ne ha? Così l’Expo Milano 2015, oltre al groviglio di squisitezze che fa gola a tanti, diventa anche uno spunto per riflettere, criticare e proporre soluzioni. Perché in fondo il cibo è tutto. Non solo ci permette di sopravvivere, ma è anche un elemento unificante - non è forse la tavola il luogo dove più si socializza, noi classicisti ricordiamoci del simposio - influenza il nostro umore e il nostro modo di essere, stimola creatività e fantasia quando trasformiamo il piatto in un opera d’arte. Una curiosità: la parola stessa “felicità” deriva da una radice indoeuropea che indica il piacere che prova il neonato a succhiare il latte della madre. Un’immagine che ci comunica tenerezza e contemporaneamente ci insegna che il piacere è prima di tutto gastronomico. t.s. ULTIMO BANCO Secondo numero Giugno 2015 Pagina 7 È guerra Luca Nucera, ex caporedattore Sono mesi ormai che i telegiornali ci bombardano di notizie sull’avanzata dello Stato Islamico in Medio Oriente e in Africa, sulla distruzione che arreca e sulle stragi che compie. L’ISIS si è diffuso a macchia d’olio in buona parte dell’Iraq e della Siria, a stento è tenuto fuori dall’Arabia Saudita, dal Libano, dalla Giordania e dallo Yemen e trova invece gruppi affiliati anche in Egitto, Nigeria, Algeria, Libia e Tunisia: cioè a circa 500 km dai nostri confini, ad un passo dalle porte di casa nostra. Le cosiddette "Primavere Arabe" non hanno portato nessuno dei risultati sperati: anzi hanno agevolato la diffusione di gruppi terroristici, legati all'allora nascente Stato Islamico. Come in Medio Oriente, anche in Africa queste organizzazione terroristiche hanno affondato le loro radici in quei corpi in putrefazione (gli Stati) totalmente incapaci di difendere i propri territori e le proprie popolazioni. L'Occidente, tra l'altro, ha ben contribuito a creare questo clima di caos, sostenendo le folli Primavere Arabe. Ad appoggiare queste rivolte, questa volta, non erano gli Stati Uniti, ma la Francia prima di Sarkozy e poi di Hollande: proponendo più volte il dispiegamento di forze armate sul territorio (idiozia che, per la Libia, il governo Berlusconi ha cercato giustamente, ma inutilmente, di fermare e che poi, per la Siria, è tramontata grazie ad uno dei migliori Ministri degli Esteri che l'Italia abbia mai avuto, Emma Bonino) e sostenendo il rovesciamento dei regimi dittatoriali, le sfere più alte dell'intelligence francese hanno dimostrato la loro totale inettitudine. Quei dittatori che reggevano gli Stati con pugni lordi di sangue riuscivano a garantire la stabilità e la difesa dagli estremismi grazie a un tradizionale e intricatissimo sistema di favori e di scambi con i clan locali: il Capo dello Stato (dittatore) dispensava favori ai leader delle varie tribù in cambio della stabilità e della fedeltà. Le modalità con cui le varie tribù garantivano la stabilità non escludeva l'uso indiscriminato della violenza contro la popolazione e contro chiunque si opponesse al regime: le carceri erano piene di prigionieri politici, liberati ogni tanto da qualche amnistia come premio della vittoria nelle elezioni, palesemente pilotate. Da quando i francesi hanno creduto di essere i nuovi "poliziotti del mondo" e di poter sostituire gli Stati Uniti in questo ruolo, la situazione in quei Paesi è degenerata: la Libia è spaccata in tre parti, una controllata dal- l'ISIS, mentre le altre due sono rette da differenti governi che, anziché allearsi per respingere l'avanzata dei fondamentalisti islamici, pensano bene di combattersi tra loro; la Tunisia, l'unica che sembrava aver intrapreso un percorso di democrazia, ha dimostrato di essere ancora un Paese profondamente corrotto, in preda al terrorismo e incapace di reagire; in Egitto, invece, dopo aver rovesciato Mubarak, si sono susseguiti una serie di governi instabili fino a quando il generale Al-Sisi, con un golpe, ha preso il potere, legittimando quest'azione tramite successive elezioni, la cui regolarità non è del tutto certa. In Siria, invece, a voler intervenire erano gli americani: in preda agli interessi che li spingono in Medio Oriente, avevano paventato un intervento di terra a sostegno delle milizie di resistenza. Peccato però che esse si siano rivelate strettamente legate allo Stato Islamico: un dettaglio che stava per sfuggire ai generali statunitensi. C’è un nodo cruciale in questa guerra: non mentire più sulla natura dei terroristi. Il fondamentalismo islamico fa parte dell'Islam: l’Islam è il Corano e al Corano si rifanno i miliziani dell’ISIS, applicando alla lettera le Sacre Scritture. Pagina 8 Giugno 2015 Secondo numero ULTIMO BANCO Un esempio? Parigi, 7 gennaio 2015: attentato alla sede del giornale Charlie Hebdo. I terroristi “non hanno agito a caso, ma eseguendo un preciso comandamento religioso: chi offende il Profeta deve essere punito” dice Hamed Abdel-Samad, politologo egiziano figlio di un imam sunnita, in un’intervista a L’Espresso. Ma precisa anche che “non ogni musulmano è un Corano su due gambe e ancor meno un killer”. Ma la mia domanda è: esiste l’Islam moderato? E se sì, dov’è? E cosa significa essere un musulmano moderato? Domenico Quirico, giornalista inviato de La Stam- pa, risponde a questa domanda senza mezzi termini: “L’Islam è una religione totalizzante e guerriera. Dobbiamo dirlo chiaro: è nata con le guerre di Maometto e ha nella lotta e nella conversione uno dei principi fondamentali del suo esistere. Anche quando diventasse una religione moderata e illuminista non sarebbe più Islam, ma un’altra cosa”. L’ISIS non è altro che la punta di un iceberg: dopo l’11 Settembre mandarono in onda delle riprese di manifestazioni arabe in favore dei martiri e cioè dei terroristi. Quando il giornalista chiese ai manifestanti cosa rappresentasse Bin Laden, risposero “il nostro eroe”. Allora il giornalista continuò: “e se muore?” e la risposta fu “ne troviamo un altro”. Cosa vuol dire? Significa che il leader non è altro che la punta, ma non il protagonista della guerra. La protagonista è la Montagna. E dopo la morte di Bin Laden, questa Montagna ha trovato una nuova guida: il califfo Al Baghdadi. l.n. ARIETE Deciso, caparbio, schietto, leale, sincero, fedele e simpatico Pietra: Corallo rosso TORO Affabile, presente, capace di grande amore, stabile, romantico, generoso Pietra: Smeraldo GEMELLI Dinamico, attivo, intraprendente, comunicativo, curioso Pietra: Topazio CANCRO Tenero, amorevole, ama aiutare il prossimo e proteggerlo Pietra: Perla LEONE Combattivo, determinato, caloroso, ama sentirsi apprezzato Pietra: Diamante VERGINE Ordinato, preciso, sincero, logico Pietra: Zaffiro ARTE E CULTURA ULTIMO BANCO Secondo numero Giugno 2015 Pagina 9 S.O.S. Cultura Jennifer Oliver, classe 1AC La cultura è tutto ciò che abbiamo ed è quella parte di noi che ci permette di acquisire delle abitudini e di trasmetterle ai nostri eredi. “Siamo nani sulle spalle di giganti” diceva Bernardo di Chartres, e io ho intenzione di commentare quest’ espressione dal mio punto di vista, sperando che possiate condividere le mie riflessioni. Quest’ espressione, innanzitutto, intende dire che noi uomini siamo appoggiati sulle spalle della cultura e della storia, punti di partenza irrinunciabili per tutti gli esseri umani. Molte volte tendiamo a dimenticarci cosa sia la cultura e non la teniamo in considerazione: quello che sta avvenendo in Medio Oriente, cioè la distruzione di musei e siti archeologici, già di per sé preoccupante, lo sarà ancora di più per le future generazioni. Infatti esse non troveranno alcuna testimonianza del passato (sculture, affreschi, aree archeologiche …) e non avranno la possibilità di assaporare i traguardi che la cultura ha raggiunto, così non avranno modo di arricchire la loro tradizione e di crearne delle altre. Distruggere questi reperti significa distruggere una parte della nostra cultura , una parte del nostro sapere, che è perso per sempre. Una situazione simile alla distruzione della antica biblioteca di Alessandria d’Egitto, fondata dai Tolomei nel III secolo a.C., la ricordate ? Intere generazioni che vivono oggi e che vivranno nel futuro hanno perso la possibilità di comprendere questo sapere, accumulato dall’ inizio della storia dell’ Uomo. Secondo me si può paragonare l’umanità a un edificio e la cultura alle sue fondamenta: se si abbattono completamente le fondamenta, l’edificio crollerà, ma anche se le fondamenta sono instabili e si costruiscono altri piani, tutto diventerà polvere che si disperde nell’aria, rimanendo solo un ricordo vago. Gli uomini disprezzano un’opera d’arte perché non la comprendono , e spaventandosi per non averla compresa, di conseguenza non vogliono che esista , così la distruggono per non vederla mai più. Questi uomini non hanno cuore, non conoscono le proprie origini e non vogliono saperne del loro futuro, eliminando in pochi minuti ciò che è stato fondato ed amato per anni. Vi consiglio di non prendere esempio dai pazzi che distruggono reperti, perché anche solo un muro porta con sé una storia, come la sabbia, che di per sé non vale nulla, ma è stata calpestata da generazioni. Come un albero sradicato lascia un segno profondo nel terreno e non trae più nutrimento dalla terra, così, se una parte della cultura viene estirpata , il vuoto che lascia non potrà più essere colmato e le generazioni future non potranno godere delle conoscenze ormai perdute. Se distruggiamo i segni del passato, distruggiamo noi stessi e la nostra storia. j.o. Pagina 10 Giugno 2015 Secondo numero ULTIMO BANCO Musica e poesia, sinfonie dell’anima Storia di due veicoli del sentimento, dal mondo greco fino ai nostri giorni Federica Lazzaro, classe 1AC “La musica è una legge morale: essa dà un'anima all'universo, le ali al pensiero, uno slancio all'immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza e la vita a tutte le cose” pensava Platone nel IV secolo a.C. E, parecchi secoli dopo, il celebre poeta latino Ovidio inveiva nel suo carme “Ibis” contro un anonimo romano che da suo amico era divenuto suo accusatore. Insomma, fin dai primordi della nostra civiltà, l’espressione sia dei sentimenti del singolo individuo che degli ideali di un popolo è stata manifestata attraverso due principali mezzi di comunicazione, la musica e la poesia, spesso uniti da una tradizione di oralità discendente da Omero e dagli aedi, i poeti-cantori che allietavano gli abitanti delle poleis antiche con i versi dell’Iliade o dell’Odissea. Ma perché vi sto parlando di tutto questo? In realtà questo profondo legame tra versi e note è andato evolvendosi attraverso i secoli, proiettando dietro di sé la scia di un’origine antica e spesso poco conosciuta. Dal melodramma seicentesco fino alla cura con cui il poeta ottocentesco Mallarmé rende la rima portavoce di un senso poetico e semantico profondo nei suoi malinconici componimenti, musi- ca e poesia sono diventate due elementi inscindibili di un genere che oggi è noto alle nuove generazioni con il nome di RAP, letteralmente “rythm and poetry”. Un genere musicale che dà sfogo alle frustrazioni, alle critiche, ai rancori dei giovani che si trovano in una realtà che spesso non riescono a capire, che non fa nulla per essere capita e che spesso ci costringe a desistere dai nostri tentativi di comprenderla e migliorarla, lasciando che la società continui a giudicarci per quello che indossiamo, per ciò in cui crediamo o per come ci comportiamo. E’ il ritmo concitato, incalzante, di una musica, arricchita di parole, metafore e battute sarcastiche che, di certo, non conservano la forma colta e ricercata della poesia di un tempo, ma mantengono la funzione espressiva e comunicativa tradizionali: raccontano questi decenni movimentati, le crisi, le guerre, il razzismo, l’indifferenza di coloro che stanno al potere e che proprio non vogliono farsi da parte per lasciare a noi la gestione del nostro Paese. Ma in effetti c’è una differenza tra il significato profondo del rap e il valore ideologico delle poesie: il rap rispecchia la dilagante globalizzazione dei nostri tempi, dell’essere costantemente in contatto da un capo all’altro del pianeta, di capirci non tanto grazie alla lingua ma grazie ad un sentimento di indignazione comune che, pur avendo origine da contesti differenti, non ha bisogno di spiegazioni. E così Nicky Minaj rappa “Fuck the skinny bitches, fuck the skinny bitches in the club”, Rocco Hunt ricorda “Erano un paio di scarpe all’anno il mio regalo di Natale” e Mezzosangue esplode “Mi chiedi perché fumo, coloro il mio respiro/è solo un modo per vederlo e sapere che ancora vivo. (…) Lotto giorno dopo giorno in eterno,/un uomo giusto in questo mondo è un pompiere all'inferno”. Il rap è diventato la voce di quasi tutta una generazione, la nostra, ma già a partire dagli anni ’70 del secolo scorso divenne molto amato dai giovanissimi di tutto il mondo, erede della tradizione jazz degli U.S.A; non a caso rappers quali Clark Kent, Snoop Dogg, Puff Daddy, Jay-Z, Missy Elliot, 50 Cent ed Eminem rimangono tuttora veri mostri sacri del rap delle “origini”. Il rap è diventato infatti un fenomeno culturale tanto dilagante che sempre più spesso viene utilizzato come sottofondo di pubblicità destinate ai giovani, come già accadeva negli ultimi decenni del se- Secondo numero ULTIMO BANCO colo scorso con la pubblicità della bevanda Sprite. Ma ha anche un lato oscuro: infatti alcuni di coloro che oggi militano nell’Isis qualche anno fa non erano che giovani rappers francesi di periferia, che urlavano il loro disagio di figli di immigrati dietro parole cariche di rancore,anziché nascondendosi dietro i passamontagna neri dei tagliagole dell’ estremismo islamico. Un po’ come i poeti maledetti, si perdevano in nubi di oppio rincorrendo versi peccaminosi e decadenti dall’ eco immortale. Insomma, musica e poesia non sono che l’essenza della nostra memoria di esseri umani, un dono antico che immortala ogni istante della nostra evoluzione, millennio dopo millennio e strumento che, se maneggiato da dita esperte, può far risuonare la nostra Giugno 2015 Pagina 11 anima di sinfonie vecchie quanto il tempo. f.l. L’arte del raccontare attraverso le foto Valeria Conte, classe 4BC La nostra vita quotidiana è fatta di storie, emozioni, persone e luoghi, istanti che rimangono fissati eternamente e che ricordiamo, più o meno volentieri, a seconda delle sensazioni che ci hanno suscitato e che trascinano dietro con sé. Talvolta abbiamo bisogno di raccontarli, necessitiamo di dar voce a tali emozioni e dialoghi del passato che bussano prepotentemente alla porta del presente e continuano a riaffiorare, nostalgici. E noi non possiamo far altro che esprimerli. Come? Li narriamo a voce, li mettiamo per iscritto sulla carta o li fermiamo, imprimendoli in uno scatto, nella memoria di una macchina fotografica. Così ogniqualvolta vogliamo riportare alla mente un determinato momento, possiamo estrarlo dalla cassaforte dei ricordi e visualizzarlo in un’immagine, in una foto. Una foto emoziona, richiama sentimenti inespressi e coinvolge occhi, cuore e mente. In alcuni casi è in grado di andare oltre le parole, poiché è diretta, precisa e usa un linguaggio universale, quello visivo. Quante volte andiamo a ripescare vecchie foto che ci ritraggono da piccoli oppure foto dei nostri fratelli, genitori o nonni, quasi a voler tornare indietro nel tempo e fermarlo? Tante volte. E ogni occasione suscita in noi sensazioni diffe- renti:ci divertiamo, ridiamo, proviamo tristezza o malinconia. Tutto ciò osservando una semplice immagine 10 x 15 cm. Questo ci fa capire quanto le fotografie siano uno strumento di coinvolgimento potente ed efficace: appassionano, commuovono e, soprattutto, colpiscono nell’immediato, andando a fare breccia nella parte più riservata e intima di noi. Ci sono scatti che hanno fatto la storia e cambiato il mondo, perché hanno saputo generare nell’osservatore le più svariate emozioni, impressionandolo e stupendolo; ai giorni nostri alcune foto hanno la capacità di diffondersi nel web in Pagina 12 Giugno 2015 Secondo numero ULTIMO BANCO maniera planetaria, facendo in breve tempo il giro del globo: basti pensare a quella di qualche settimana fa della fotoreporter Nadia Abu Shaban, scattata ad una bambina siriana che, davanti alla macchina fotografica, si arrende, pensando sia un’ arma. Con i pugni uniti sulla testa e le labbra serrate ci mostra il retroscena della sua storia, piena di dolore e sofferenza. E’ inutile dire che le foto catturano l’attenzione: l’hanno ben capito i brand, i giornali, gli editori e coloro che operano in rete. Le immagini servono a vendere più facilmente un prodotto, inducono una persona a leggere un articolo piuttosto che un altro, incuriosiscono. E le fotografie fanno da sfondo anche nel mondo dei social network, che noi giovani tanto apprezziamo e seguiamo. I nostri profili sono costellati di scatti fotografici, di post e album che ci ritraggono, da soli o in compagnia di amici. Essi ci descrivono, presentano la nostra quotidianità, le nostre abitudini e ciò che ci piace. Sono come il nastro della pellicola di un film che ci racconta e che possiamo mostrare a chi vogliamo, condividendolo on-line. Postandone” uno facciamo conoscere una parte di noi, legata ad eventi particolari: un viaggio, un’uscita o una gita scolastica, un pomeriggio monotono o, al contrario, entusiasmante; “taggando” gli “amici” o i “seguiti” coinvolgiamo anche altre persone, rendendole partecipi dei flash della nostra piccola “mostra fotografica personale”. Tutto ciò in tempo reale, grazie alla velocità dei nostri smartphone. Un click e la foto è fatta: con i giusti filtri ed hashtag la possiamo caricare su Instagram o Facebook, ricevere apprezzamenti e commenti sul paesaggio, piuttosto che sul disegno o sull’autoscatto che abbiamo condiviso. Le fotografie stanno acquisendo sempre più importan- za nella società moderna: scattarle, scorrerle e metterle in rete ci appassiona; i messaggi che vogliono trasmettere traspaiono chiaramente attraverso i pixel. Siamo noi a scegliere quale storia raccontare: con una smorfia sul viso o una posa strana possiamo divertire, con una scritta o un’ immagine ad effetto possiamo far riflettere, attraverso un sorriso esprimere serenità. Le foto insomma parlano di noi, oltre che costituire un’enorme fonte di ricordi e, a seconda del soggetto che rappresentano, riescono ad esternare e a riflettere molteplici sensazioni, molto spesso anche meglio delle parole. v.c. BILANCIA Ama la bellezza, l’eleganza, la sobrietà, l’armonia e la dolcezza Pietra: Opale SCORPIONE Attratto dal mistero, dalle stelle e dall’universo, vive in un mondo suo Pietra: Rubino SAGITTARIO Imprevedibile, ama cambiare, i viaggi e la conoscenza Pietra: Turchese CAPRICORNO Stabile, silenzioso, pensieroso, meditativo Pietra: Onice ULTIMO BANCO Secondo numero Giugno 2015 Pagina 13 Film di oggi e del passato Nicola Vanzetto, classe 3BC Abissale e palese è il divario tra la cinematografia del Novecento e quella del nuovo millennio, non solo in termini di costi e spettacolarità, ma soprattutto sotto l'aspetto qualitativo: infatti in età moderna stiamo assistendo ad un peggioramento progressivo e inesorabile del settore, dovuto a mezzi e tecniche all'avanguardia che mettono sempre più a repentaglio la qualità di un'opera cinematografica, favorendo invece i grandi incassi e il trash commerciale. Sorge dunque una domanda: quali sono i motivi che hanno reso possibile tale mutamento? Trovare la risposta purtroppo non è così automatico. Si possono a tale scopo prendere in considerazione tre film: "Ben Hur", "Il Gladiatore" e "Pompei". Il primo è un film del 1959 diretto da William Wyler e interpretato da Charlton Heston ed è considerato ad oggi uno dei maggiori kolossal del cinema mondiale. La regia e l'interpretazione sono una pietra miliare dell'arte di tutti i tempi e la complessità della trama è così profonda che rende quest'opera un capolavoro e non una banalità. In esso infatti la storia dell'omonimo principe giudeo viene narrata con innumerevoli sfaccettature psicologiche e storiche che si vanno a fondere con la complessa vicenda di Gesù, senza tralasciare alcun minimo dettaglio e curando ogni sfumatura. La complessità architettonica degli edifici nelle scene del film non è ostentata, anche se a volte appare irreale a causa della penuria di effetti speciali dell'epoca, anzi è modesta e allo stesso tempo impressionante e non lascia all'osservatore l'amaro in bocca per un “pessimo effetto speciale”. La stessa cosa si può dire per "Il Gladiatore". Film del 2000, con regia di Ridley Scott e interpretato da Russel Crowe, si può a tutti gli effetti indicare come punto di passaggio tra la cinematografia anni 50 e l'abuso moderno di effetti speciali e sceneggiature scadenti. Questo film di genere storico delinea in modo molto accurato gli ideali romani e li innalza a modello universale attraverso l'icona del protagonista Massimo Decimo Meridio. Al contrario non si può valutarlo così positivamente per l'attinenza storica a causa di alcune imprecisioni. Ma siamo sicuri che questa sia veramente una nota di demerito? A mio parere gran parte di tali errori sono voluti dal regista per marcare maggiormente un aspetto della trama o del contesto; ma, in ogni caso, l'imponenza e la maestosità degli edifici è assolutamente da notare e chiunque abbia la fortuna di guardare questo film, si sentirà completamente immerso nel mondo e nella cultura romani e nelle loro virtus millenarie che sembrano in questa pellicola giungere a noi da tanto tanto lontano. Totalmente agli antipodi si può porre invece "Pompei", “opera” cinematografica del 2014, firmata da un mediocre Paul Anderson, che racconta gli ultimi giorni della tragedia di Pompei del 79 d.C.. Questo film è a tutti gli effetti una delle famigerate “americanate” che si trovano in commercio da ormai troppo tempo. La trama ci delizia sin da subito con una storia d'amore che è consistente tanto quanto la solidità della trama intera: quasi inesistente. Questa pellicola fonde la storia assieme ad una vicenda d'amore che alla fine, assieme ad un abuso di effetti speciali ridondanti e spesso inutili, lascia a chi guarda l'amaro in bocca. In conclusione allora, siamo veramente sicuri che la spettacolarità debba annullare la cosa più importante, ossia la sceneggiatura? In un mondo in cui ormai l'osservatore medio è abituato a film dalla trama veloce e immediata, sorge naturale poi trovare noioso ed estemporaneo un film come "Ben Hur". Sarebbe dunque opportuno, secondo me, che le persone fossero meno influenzate dal prodotto etichettato e consigliato dalle multinazionali e tornassero ad apprezzare la lentezza di un film fatto bene, che lascia spazio all'attesa e alla meditazione. n.v. Pagina 14 Giugno 2015 Secondo numero ULTIMO BANCO ALTRO Verso l’infinito e oltre Matilde De Nobili, classe 2AC Ogni dizionario della lingua italiana sotto il termine “viaggiare” riporta questa definizione: spostarsi da un luogo ad un altro compiendo un percorso. Dieci parole che non si avvicinano nemmeno lontanamente all’inebriante esperienza del viaggio in tutte le sue mille sfaccettature. Chiunque ami viaggiare sarà d’accordo con me sul fatto che dopo ogni viaggio, dal più breve a quello più duraturo, oltre alla valigia stracolma di souvenir, il bagaglio culturale che ne deriva è impareggiabile; un mix di profumi, sapori ed emozioni che spingono il viaggiatore - badate bene, non turista, ma viaggiatore, sono due cose molto diverse, secondo il mio punto di vista - a cominciare la ricerca di una nuova d e s t i n a z i o n e . Oggi viaggiare, oltre che un piacere, è diventato anche una sorta di necessità, o meglio, una convenienza. Per i giovani come noi, inguaribili sognatori per quanto riguarda l’avvenire e pieni zeppi fino all’orlo di aspettative e progetti, comporre il proprio puzzle culturale, aggiungendo un tassello nuovo ad ogni esperienza vissuta, è davvero importante; poi, per essere più pratici, bisogna dire che una lingua in più nel proprio curriculum o possibilità di studio all’estero fanno decisamente comodo per il nostro futuro. Certamente c’è chi ha sempre le valigie pronte per ogni evenienza e chi invece piuttosto che viaggiare preferisce la compagnia di un bel libro o dell’ultima novità in fatto di videogiochi: in quest'ultimo caso a spingere un po’ di più i giovani - per così dire meno avventurosi a scoprire il piacere del viaggio, ci dovrebbero pensare i familiari, gli amici e le scuole. Parlando di scuole, tutti i montalini mi daranno ragione se affermo che la nostra scuola cerca di incoraggiare in moltissimi modi l’interesse degli studenti verso l’interculturalità; per fare alcuni esempi: il progetto di scambio interculturale con l’Olanda, la possibilità di provare l’esperienza dell’Erasmus che molti studenti hanno già colto al volo, i progetti che le insegnanti di lingua straniera offrono ai propri scolari. Perciò, avendo così tante possibilità, non rimane che sperimentare quante più esperienze possibili, raccogliere un numero infinito di storie e avventure da raccontare in seguito. Anche un viaggio di tipo virtuale è un'esperienza a mio avviso molto istruttiva e interessante: senza bisogno di spostarsi da casa, rimanendo in contatto con ragazzi e ragazze provenienti da differenti paesi, è bello farsi raccontare e raccontare a propria volta, il mondo attraverso gli occhi di una persona con una cultura, una lingua, uno stile di vita differenti dai propri. Il viaggio e il vivere quante più esperienze possibili sono temi che nel corso della storia sono stati largamente affrontati; Agostino d’Ippona, un filosofo dell’antica Roma, in una delle su opere scrisse: "Il mondo è un libro e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina" ; io sono pienamente d’accordo con questa affermazione e, nella mia vita, spero di leggere quanti più capitoli possibili perché, arrivati a fine pagina, resta sempre la suspence e la voglia di leggere il seguito: del resto un libro, se non ha il finale, non vale neanche la pena di leggerlo. D’altronde chi non si è mai sentito affascinato dalla frase del celebre cartone Disney Pixar: “Verso l’infinito e oltre”?! m.d.n. ULTIMO BANCO Secondo numero Giugno 2015 Pagina 15 Giorno 230 di soggiorno studio all’estero Silvia Lo Castro, classe 4CC 18.04.15 Tunbridge Wells, Kent, Inghilterra Arrivi ad un momento in cui ti accorgi che tutto cambia. Si stravolge. La considerazione che hai di te stesso, quella che ti sei trascinato e costruito da quando hai imparato a pensare. Cambia. Si alleggerisce. Prende forma, o ne assume una. La considerazione verso gli altri. La percezione delle COSE, che non sai più definire nonostante vantassi di saperlo fare. Il rapporto verso ciò che non conosci. Il valore che davi a te stesso. I principi. Le parole. Le colonne su cui sei cresciuto, la nuova prospettiva da cui le osservi ora. Tutto. Cambia. Quella che riconoscevi come realtà non era che la tua normalità, era abitudine… e ti dava sicurezza, era l’unica serratura da cui spiavi il mondo, e da cui tentavi di interpretarlo, quasi fiero dei risultati. E c’era tanta ingenuità in questo, ma anche l’orgoglio ad aiutarti a guardare comunque più in là, a non accettare i limiti che non potevi dissolvere, superare, a convivere con i confronti che non potevi avere. Ma poi arrivi ad un momento in cui apri la porta. Esci dalla bolla. Ti approcci a una realtà esterna con la stessa convinzione con cui la spiavi e ne scassinavi la serratura, e ne sei entusiasta, eccitato. La respiri a pieni polmoni per esserne completamente influenzato. E non pensavi che la mattina potesse profumare tanto intensamente, non sapevi ci fosse un ritmo a cui camminavi. Avvicini sensazioni ad ambiti che parevano inaccostabili, intuisci nuove angolature, dimentichi i nomi degli stereotipi, distruggi i miti, disperdi i criteri, cambi la voce, interpreti i comportamenti, dai e perdi e conquisti fiducia, apri il cuore ad emozioni che non sai gestire, controllare, riconoscere, spiegare. Scatta un click. Tutto. Cambia. Fingi di capire quando in realtà sei consapevole di non sapere NIENTE. Perdi la strada. Ti volti indietro, cerchi la sicurezza da cui ti sei allontanato, e non la trovi. Pare tutto sfuocato, laggiù. E poi rifletti, ma questo già lo sapevo, ti dici. E poi lì, sull’incrinatura di un’esperienza, l’angolo su cui questa va a posarsi per addormentarsi e terminare, è lì che ti siedi, solo un attimo, e te ne accorgi. Tutto. Cambia. La percezione del luogo da dove sei partito. Quella di questo in cui sei arrivato. Le persone, le parole, i pensieri, i gesti. La perdita e l’acquisizione di tutto, la consapevolezza di niente. Le sensazioni, il sapore delle COSE, il loro profumo. L’emozione intensa con cui tenti di scrivere quello che SENTI, ma che non puoi davvero trasmettere. Perché non è scolastica, né teorica o nata tra la formalità dei pensieri e la razionalità dell’immaginazione. L’hai creata camminando, e non fai che respirarla e non riuscire ancora a definirla, tanto da non poterti permettere di fermarti e lasciarla sbiadire. Allora ti alzi da lì. Avverti di non poter restare. Vorresti proseguire ma devi tornare indietro. La porta è la stessa, cambia la maniera con cui la vuoi aprire. Rientri nella bolla ma la rompi dall’interno. Pagina 16 Giugno 2015 Secondo numero ULTIMO BANCO Vajont: tra disastro e umanità Agata Lucchetta, classe 3AC Forse l'uomo non ha ancora preso coscienza di quanto le innovazioni tecnologiche siano per la popolazione non solo una fonte di benessere, ma talvolta causa di distruzione e morte. Ne è un esempio la tragedia avvenuta il 9 ottobre 1963 alla diga del Vajont, che rappresenta una conseguenza della cupidigia umana e, in particolare, della ricerca del profitto delle multinazionali. Nel disastro persero la vita migliaia di persone che abitavano a Longarone e nei paesi limitrofi. La diga del Vajont avrebbe dovuto produrre energia attraverso un impianto idroelettrico, fornendo nuove risorse allo Stato in un periodo di sviluppo economico e sociale, con un cospicuo guadagno anche per l’azienda produttrice, la SADE. Quest’ultima - Società Adriatica di Elettricità - era interessata alla costruzione di un manufatto che, oltre a fornire energia, fosse anche un prestigioso esempio di ingegneria delle costruzioni. Quest'anno attraverso lo scambio culturale “Erasmus Plus” abbiamo accompagnato una classe di studenti olandesi, nostri ospiti, a visitare la diga del Vajont e i luoghi che hanno segnato la nostra storia locale e colpito l'opinione internazionale. Questa catastrofe è stata provocata dalla frana del monte Toc, riversatosi in buona parte sull’invaso della diga con la conseguente onda devastante caduta sui paesi di Erto e Casso e la sottostante Longarone. Forze dell'ordine e molti volontari si sono subito mobilitati per portare soccorso alle popolazioni tremendamente colpite, tra i quali il corpo degli Alpini. La vicenda inizia quando la ditta SADE decise di costruire la famosa diga, che allora doveva essere una delle più grandi del mondo. I lavori iniziarono il 31 gennaio 1957 e, nonostante mancassero le necessarie relazioni geologiche definitive relative alla sicurezza del territorio, l'azienda elettrica decise di procedere con i lavori di costruzione. I responsabili della SADE non valutarono seriamente la fragilità del monte Toc. Il termine deriva infatti dal dialetto locale: significa “pezzo”, “parte” e indica le caratteristiche della roccia, ben nota per sua porosità. Tra il 1959 e il 1960 alcuni fatti avrebbero dovuto allarmare i costruttori, tra cui la frana della montagna contigua alla diga di Pontesei e quella di un pezzo del Toc proprio sul Vajont, avvenuta il 4 ottobre 1960: in particolare la frana provocò l'allagamento di alcune case che erano state fatte evacuare precedentemente. Ciò produsse un ampio dibattito tra la gente e diede avvio a proteste, che avevano l’obiettivo di ottenere le rassicurazioni e le certezze sulla sicurezza dei luoghi vicino alla diga. Il dibattito sollecitò i geologi Muller e Semenza ad ulteriori indagini che portarono a scoprire una pericolosa frattura a forma di “M” sul versante del Toc sovrastante la diga. La scoperta indusse Muller a proporre la sospensione dei lavori con urgenza. La sua relazione venne però occultata agli organismi di controllo. Per evitare la frana prevista dai geologi, la SADE collegò i due versanti del monte tramite una conduttura, così da coprire il bacino creato dalla diga minore, al fine di ridurre gli eventuali danni che avrebbe prodotto la frana. Tuttavia ciò non portò nessun miglioramento, infatti il rapido abbassamento del livello dell'acqua del lago costrinse la società, che nello stesso anno era passata sotto l'ENEL, a ordinare al sindaco di far “sgomberare” i paesi vicini alla diga a causa di un “accelerato movimento franoso nella zona sinistra del Toc, serbatoio Vajont”. Il traffico alle 17.00 del 9 ottobre 1963 fu deviato, alle 22.00 la diga fece le prime vittime. Alle 22.39 una massa rocciosa di 260 milioni di metri cubi si staccò dalla montagna e precipitò nel lago artificiale. L'urto con l'acqua provocò ondate in tre direzioni: una frontale, che si abbatté su Casso, la seconda su Erto e la terza arrivò fino a Longarone e alla valle del Piave; tutto ciò in quattro minuti. La frana del Vajont ha avuto delle conseguenze enormi. Le frazioni di Erto persero 158 persone, quelle del comune di Longarone persero 1458 persone travolte dalla potenza dell'ondata. Nel Vajont morirono 111 persone e 183 abitanti che vivevano in altri comuni e gli addetti al cantiere della diga. Il ricordo di questo disastro è ancora vivo e tristemente attuale, sebbene siano passati circa cinquant'anni, ed è un monito per le generazioni future, ma sopratutto per noi giovani che dovremo affrontare le sfide del progresso tecnologico. a.l. ULTIMO BANCO POESIA Odi anarchiche Nicolò Gastaldi, ex alunno Sai di boccone amaro che erode la parte del giorno, a me tanto caro. Ti diverte vedermi languire, in questo modo ti vuoi nutrire. Mi volto e sei sempre con me, anche quando cade la foglia dell'ultimo albero d'autunno. A volte mi spogli e mi lasci nudo, ma è strano, perché nessuno mi porge una coperta. Altre volte sei un'onda irrefrenabile dentro che non puoi cavalcare, ma solo sperare che non ti travolga, sei l'occhio del ciclone che preannuncia la rivolta. E io la sera ti parlo in silenzio, tiri fuori il non me; ma neanche sotto le coperte ho un riparo. Ti insinui tra le pieghe e mi sussurri il male. Nemmeno il mio cuore riesce a smettere di ascoltare. Prigioniero della mia stanza mi arrampico sul muro dei miei pensieri su cui ci muori, per giorni interi. Quando esco, mi metto una maschera, di ottima foggia, sembro quasi me; E nessuno, tranne me, sa che c'è. Secondo numero Giugno 2015 Pagina 17 Giugno 2015 Pagina 18 Secondo numero ULTIMO BANCO Cicerone e dintorni di Luigi Salvioni 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 16 17 18 14 15 19 20 21 22 23 24 25 28 26 29 31 30 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 53 27 54 55 51 52 56 57 58 60 61 63 64 59 62 65 67 66 68 ULTIMO BANCO Secondo numero Giugno 2015 Pagina 19 Definizioni Orizzontali 1 Vi fu proconsole Cicerone nel 51 3 La fine di un grande congiurato 4 Famoso parente della madre di Cicerone 7 Domina in Roma quando Cicerone esordisce 8 Amante di Clodia, difeso da Cicerone 9 Nome della madre di Cicerone 12 Vi si accordarono a sorpresa i triumviri nel 56, deludendo Cicerone 14 Così finisce il dativo della quarta declinazione 16 Iniziali di Attico, grande amico di Cicerone 18 Sigla per "consul" 19 Senatori, in latino 20 Vi trvò la morte Catilina 22 A tal punto, in latino 23 Il praenomen del fratello di Cicerone 26 Iniziali di Bruto 28 Senatus populusque Romanus 29 Discorso di accusa, in latino 30 Vi fu Questore Cicerone nel 75 31 Madre di Ottaviano 32 Contro (+ acc.) 33 Suffisso latino che vuol dire "fra due" 35 Il cognomen di Ortensio 38 Iniziali di Catilina 41 Cosa vuol dire, probabilmente, "Cicero"? 42 La fine di Cesare 43 Cicerone ne scoprì la tomba a Siracusa 46 Maestro di legge di Cicerone 50 Così, in latino 53 Triumviro e famoso banchiere 56 Avvocato difensore, in latino 58 Il nomen di Bruto 60 Operetta che completa il "De natura deorum" 61 Bruto era figlio adottivo di Cesare? 62 Gli inizi del re Deiòtaro 63 Autore di brogli elettorali, difeso da Cicerone 64 Un cesariano, marito della figlia di Cicerone 66 Filosofo di Ascalona, maestro di Cicerone 67 Nome di nascita di Ottaviano 68 Vi morì Catone nel 46 Verticali 1 La Lesbia di Catullo, sorella di un avversario di Cicerone 2 Viaggio, in latino 3 Il 13 in aprile, il 15 in marzo 5 La via dello scontro fra Clodio e Milone 6 Il numero delle Filippiche, in sigla romana 7 Passione, in latino 8 Posposta al genitivo fa un complemento di fine 10 Il numero sei 11 Padre della Chiesa, si convertì alla filosofia leggendo l'Hortensius 13 A favore di (+abl.) 15 Cicerone vi spedì il figlio, sperando che studiasse 17 Scoprì le lettere "Ad Familiares" 19 La gens cui apparteneva Catone 20 Seconda moglie di Cicerone 21 La legge che incaricò Pompeo di perseguire i pirati 23 Poiché, in latino 24 Il numero delle Catilinarie, in sigla romana 25 Segretario di Cicerone, inventò la stenografia 27 La guerra in latino 28 Catullo dedicò poesie a Cicerone? 30 Grande amico di Scipione Emiliano. Cicerone gli dedicò il de amicitia 34 Onnipotente liberto di Silla 36 Vi studiò retorica Marco Tullio 37 Iniziali di Silla 39 La prima orazione di Cicerone 40 Le Calende di chi non paga mai (detto di Augusto) 44 La rivoluzione, in latino 45 Benché, in latino 47 Le elezioni, in latino 48 L'orazione "de signis" è una 49 Triumviro insieme a Ottaviano e Antonio 51 Altra denominazione dei membri della nobilitas 52 L'ultima località in cui Cicerone dormì 54 Traduzione ciceroniana di un poema didascalico di Arato 55 Congiunzione finale, con i comparativi 57 Filosofo stoico, maestro di Cicerone 59 Uomo politico severo ed implacabile 63 Il Cardinale che scoprì il testo del "De Republica" 65 Finale dei nomi di adozione 20 Giugno 2015 Secondo numero ULTIMO BANCO GIOCHI ACQUARIO Ribelle, inventore e amico di tutti Pietra: Quarzo PESCI Sensibile, cerca emozioni ed attenzioni, gran lavoratore Pietra: Ametista Rebus… in latino A cura della redazione Soluzione: pera S pera A das TRA = per aspera ad astra Pagina