Guantanamo
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gennaIO 2013 - N. 1 Guantanamo per sempre? €4 Nonostante le promesse di Obama, la prigione più famosa del mondo è ancora aperta. Ecco perché reportage Grecia, caccia allo straniero inchiesta Poligami d’Italia ecumenismo L’anno degli addii editoriale Victor Assouad SJ Superiore dei gesuiti del Medio Oriente Cristiani in Medio Oriente A fine novembre la Compagnia di Gesù ha diffuso una dichiarazione ufficiale del Superiore dei gesuiti del Medio Oriente. Riportiamo di seguito il testo poiché ci sembra denso di spunti su temi di drammatica attualità: la guerra civile in Siria, le tensioni in Egitto, l’autenticità delle «primavere arabe», il futuro dei cristiani nella regione. Le rivolte che interessano la maggior parte dei nostri Paesi arabi, nonostante tutte le manipolazioni o interpretazioni possibili, almeno in alcuni casi, sono state ovunque ispirate anche da persone, in particolare giovani, che aspirano a una vera libertà, pluralismo e democrazia. La loro azione va contro la repressione, la corruzione, i privilegi esorbitanti, le evidenti ineguaglianze sociali, la disoccupazione e la povertà generate o favorite da regimi dittatoriali diventati ereditari, che usurpano il potere da oltre trenta, quarant’anni o addirittura mezzo secolo. I moderni mezzi di comunicazione sociale, utilizzati in questi Paesi per avviare e sostenere le rivolte popolari, costituiscono un fatto senza precedenti che ci fa pensare che non potranno essere spenti o soffocati. Ormai, se vogliamo, è aperta una strada per la denuncia continua, nonostante tutti i tentativi per reprimerla o cancellarla. In quanto cristiani, i nostri In quanto cristiani, i nostri principi d’azione principi d’azione non possono non possono essere guidati dalla paura o essere regolati o guidati dalla negazione dell’altro. Tuttavia, abbiamo il diritto paura o dalla negazione di essere considerati cittadini a pieno titolo dell’altro, chiunque esso sia, anche quando questa paura o negazione sia giustificata o realistica. Al contrario, è in uno spirito di apertura, di accoglienza e di rispetto dell’altro che ci dobbiamo porre e agire. La chiusura su se stessi, il rigetto o il rifiuto dell’altro costituiscono una posizione antievangelica che non dobbiamo affatto assumere. Tuttavia, i cristiani hanno il diritto e il dovere di esigere garanzie per la loro presenza e la loro azione all’interno del mondo musulmano. Essi devono, in quanto cittadini a pieno titolo, richiedere la garanzia di vivere e praticare la loro fede, avere i propri luoghi di culto, così come il riconoscimento della libertà di coscienza. Per raggiungere questo obiettivo, i cristiani hanno il dovere di impegnarsi con i loro concittadini per chiedere il rispetto della dignità di ogni persona umana, l’affermazione delle libertà fondamentali, il rifiuto dei privilegi e la condanna della corruzione, così come una Costituzione che riconosca a tutti i cittadini gli stessi diritti e doveri, nel quadro dell’unità nazionale e del pluralismo. Oggi, nonostante l’aumento della violenza e nonostante le numerose delusioni riguardo alle aspettative di libertà, democrazia e dignità umana, vogliamo ribadire il nostro impegno di solidarietà verso le vittime e le persone che soffrono, per contribuire ad alleviare il loro dolore e offrire loro la possibilità di rialzarsi. Riaffermiamo il nostro desiderio di impegnarci nel dialogo, la riconciliazione e l’unità, ove questo sia possibile. Rifiutiamo le reazioni di paura e i tentativi d’isolamento, come anche ogni ricorso alla violenza e alle armi, anche se a volte ciò sembri giustificato o legittimo. Riteniamo che, quali che siano le tragedie e le prove che stiamo vivendo, ci sia sempre una via di pace e di vita che può essere intrapresa. GENNAIO 2013 Popoli 1 Cristiani in Medio Oriente V. Assouad SJ PICS CAMMINI DI GIUSTIZIA Fame nera foto di R. Gangale sommario n. 1 - gennaio 2013 01EDITORIALE 24 Reportage Grecia, caccia allo straniero G. Bondi 20Israele L’arte della pace E. Gatto 24Stati Uniti Guantánamo per sempre? L. Hansen SJ 29Il fatto, il commento La Palestina dopo il voto all’Onu D. Christiansen SJ IDENTITÀ - DIFFERENZA Inchiesta Poligami d’Italia E. Casale, S. Cucchetti 35Melanesia Nuova Caledonia o Kanaky? M. L. Lucchesi 40Idee La città e lo straniero P. Bovati SJ 16 reportage 42La foto Etiopia, Epifania copta In copertina: un’immagine scattata dall’esterno della base navale Usa di Guantánamo (foto: M. Shepard - Toronto Star). 49 PICS 10 DIALOGO E ANNUNCIO 44Concilio/2 Uno sguardo indiano M. Amaladoss SJ 46Ecumenismo L’anno degli addii G. Dotti 49Libri Guarire le ferite delle divisioni Frère Alois 51Il profilo Justin Welby G. Dotti 35 RUBRICHE 06Lettere e idee 07Contromano G. Ferrario 08Multitalia I concorsi pubblici e quella norma anacronistica M. Ambrosini 08Ogni giorno a Gerusalemme Il tram colore argento S. Bittasi SJ 09La sete di Ismaele Halabja P. Dall’Oglio SJ 09Scusate il disagio Il ritorno del cavaliere (maya) G. Poretti 52Jsn/Magis/Lms/Jrs/Amo 78Postcard 80L’ultima Parola La prima contestazione nella Chiesa S. Fausti SJ E tra inchiesta 30 CRISTIANESIMO, EBRAISMO, ISLAM. L’INCONTRO QUOTIDIANO TRA LE RELIGIONI. Popoli, il Monastero di Bose e Jesus presentano: I GIORNI DEL DIALOGO CALENDARIO INTERRELIGIOSO “ Il calendario, nello scandire il tempo e dare a ogni giorno la sua peculiarità, quotidianamente ci racconta la biografia di qualcuno come noi: un comune essere umano il quale non solo è mortale, ma soprattutto è entrato nella beatitudine eterna. ” Enzo Bianchi, Stefano Femminis, Antonio Tarzia I Giorni del Dialogo è il calendario dedicato alla convivenza quotidiana tra Cristianesimo, Ebraismo e Islam. Uno straordinario viaggio per immagini fra tre grandi religioni che “danno il tempo” a milioni di credenti: uno strumento per conoscere le festività dei tre monoteismi, accompagnate da una guida alla lettura per facilitarne la comprensione. Per tutti coloro che vogliono vivere con maggiore consapevolezza la propria fede, senza ignorare quella del proprio vicino. In omaggio ai nuovi abbonati a Popoli, a chi regala un abbonamento, agli abbonati sostenitori. A soli 2 euro per gli altri abbonati Aggiungi i 2 euro all’atto del rinnovo dell’abbonamento. Se il tuo abbonamento non è in scadenza, richiedi il calendario al numero 0286352424 oppure via mail ad [email protected] - Info tariffe 2013 in quarta di copertina lettere e idee LIBERTÀ RELIGIOSA E FERITE DELLA STORIA Ho letto sul vostro sito l’articolo sulla tormentata vicenda di un cristiano iraniano che, fuggito per motivi religiosi in Thailandia, ha subito anche lì vessazioni. Ma non sarà che in molte parti del mondo i cristiani sono perseguitati perché per millenni gli stessi cristiani hanno perseguitato altri? Penso alle crociate, all’Inquisizione, ecc. C’è sempre un motivo per le persecuzioni, nessuno se la prende con qualcuno senza un motivo. Saluti da un buddhista. Andrea Panataro Sordevolo (Bi) SCRIVETECI Indirizzate le vostre lettere a: [email protected] Redazione Popoli Piazza San Fedele 4 20121 Milano 02.86352802 (fax) www.popoli.info Sono un nuovo abbonato a Popoli, che trovo a me consonante per la chiave di lettura dei fatti religiosi della Chiesa cattolica. Chiedo lumi sulla celebrazione già iniziata a Milano dell’anniversario dell’Editto di Costantino, interpretato come l’inizio della libertà religiosa nell’impero romano. Non vi sembra, questa, una lettura fuorviante e di parte? Storicamente, proprio da allora iniziarono le persecuzioni contro i non cattolici, ovvero ebrei, eretici e pagani. Spero che Popoli sia in grado di fornire letture meno clericali e più costruttive, per un civile riconoscimento di meriti e demeriti dei cristiani, ieri e oggi. Andrea Dato [email protected] Libertà religiosa, rapporto Chiesa-Stato, persecuzioni ricevute e compiute: sono questioni di cui ci occupiamo spesso e lo facciamo anche in questo numero, in particolare nella rubrica di Silvano Fausti. Con Un concorso per gli abbonati a Popoli. Un giro del mondo in 10 splendide immagini. Un’occasione per viaggiare con una guida d’eccezione. Tutto questo è Postcard, in ogni numero a pp. 78-79 Il meccanismo è semplice: 1. Trova la risposta esatta alla domanda in base agli «indizi». 2. Invia la risposta entro la fine del mese in corso a [email protected] indicando nome e cognome. 3. Alla quinta risposta esatta vinci una guida Polaris a tua scelta (vedi il catalogo su www.polaris-ed.it) Le cinque risposte devono essere date entro il 2013 e può partecipare anche chi ha già vinto negli anni precedenti. Tutti i dettagli su www.popoli.info riferimento alle obiezioni sollevate dal primo lettore, è certamente vero che in molte parti del mondo i cristiani vengono collegati all’Occidente e alla sua storia fatta anche di colonialismo, imperialismo e prevaricazione. Ciò non toglie che la libertà di coscienza sia da salvaguardare, così come altre forme di libertà. Le quali spesso si intrec- ciano. Infatti, nell’articolo citato si accenna sia al fatto che la persona era perseguitata in Iran per la sua conversione dall’islam al cristianesimo, sia al fatto che la Thailandia spesso e volentieri manda dietro le sbarre i richiedenti asilo come fossero criminali. E qui purtroppo sono in discussione le scelte politiche di un Paese a maggioranza Anno di fondazione: 1915 Direttore responsabile Stefano Femminis Redazione Enrico Casale, Davide Magni SJ, Francesco Pistocchini Segreteria di Redazione Cinzia Giovari (02.86352415) Sede Piazza San Fedele 4 - 20121 Milano Contatti tel 02863521 - fax 0286352802 [email protected] - www.popoli.info Editore e proprietario Fondazione Culturale San Fedele - Milano Registrazione del Tribunale di Milano n. 265 del 17/05/1986 Stampa àncora arti grafiche - Milano Progetto grafico Donatello Occhibianco Realizzazione editoriale LuanaCanedoli.it Promozione e marketing Marco Giorgetti [email protected] Ufficio stampa Maria Cristina Cannistrà [email protected] Abbonamenti 2013 (10 numeri) Ordinario € 32, Web € 25 (solo rivista on line), Ridotto € 25 (per giovani con meno di 25 anni), Cumulativo € 59, Sostenitore € 60, Estero € 45 (un numero € 4) Servizio abbonamenti tel. 02.86352424 [email protected] Gruppo di consulenza editoriale Marco Aime, Stefano Allievi, Maurizio Ambrosini, Stefano Bittasi SJ, Guido Dotti, Opportunità per gli abbonati Miriam Giovanzana, Luca Moscatelli, - «I giorni del dialogo»: calendario interreligioso in omaggio ai nuovi abbonati, a chi regala Gianni Vaggi Issn 0394-4247 un abbonamento, agli abbonati Sostenitori; a € 2 per gli altri abbonati. Nel rispetto del D.Lgs. n. 196/2003, Popoli garantisce - Chiavetta Usb (1Gb) con i pdf dell’annata che i dati personali relativi agli abbonati sono custoditi 2012 di Popoli e Aggiornamenti Sociali: in nel proprio archivio elettronico con le opportune misure regalo agli abbonati Cumulativi; a € 6 per gli di sicurezza. Tali dati sono trattati conformemente alla normativa vigente, non possono essere ceduti ad altri altri abbonati. soggetti senza espresso consenso dell’interessato e sono utilizzati esclusivamente per l’invio della Rivista e - Abbonamento ad Aggiornamenti Sociali iniziative connesse. € 27 anziché 35 (totale Cumulativo € 59) Come abbonarsi - in posta: CCP 52520798, intestato a: Popoli, Piazza San Fedele 4, 20121 Milano - on line con carta di credito o con bonifico bancario: www.popoli.info La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250. buddhista verso un iraniano, rappresentante di un popolo che non ha mai invaso o colonizzato il Siam. Le situazioni sono complesse, cerchiamo nel nostro piccolo di darne conto. STORIA DI JULIA, NIGERIANA IN ITALIA La scorsa settimana ho accompagnato due volte Julia, residente a Castel Volturno (Caserta), all’ufficio immigrati per una questione legata al permesso di soggiorno scaduto e di cui ha bisogno per cure mediche ed eventualmente per rientrare in Nigeria. Julia ha 47 anni e si trova in Italia da 17 anni. Attualmente vive a Castel Volturno e dorme per terra presso una famiglia di connazionali. Qualche anno fa è morto il marito in patria: questa perdita l’ha sconvolta e non sapeva a chi rivolgersi perché - mi ripete diverse volte - non ha trovato aiuto da nessuna parte, fossero enti religiosi o della società civile. fondo amici Sono numerosi quanti gradirebbero ricevere Popoli, ma devono rinunciarvi per motivi economici. Chi volesse aiutarci a soddisfare queste richieste può inviare un’offerta sul nostro conto corrente postale o con carta di credito, dal sito, indicando come causale: «Fondo amici Popoli». È possibile aggiungere l’offerta al momento della sottoscrizione del proprio abbonamento. CONTROMANO di Giuseppe Ferrario Alcuni mesi fa è morta anche sua madre, che si prendeva cura dei suoi figli, e quindi pensava di tornare in patria. Ora ha bisogno del rinnovo del permesso di soggiorno anche per il riconoscimento di invalidità civile per le malattie di cui soffre. Quindici anni fa aveva fatto domanda di rinnovo del permesso ma non ha mai ricevuto risposta. All’Ufficio immigrati l’addetto fa presente che non c’è bisogno del permesso di soggiorno per rientrare in Nigeria via aerea, anzi non le conviene richiederlo altrimenti rischia di essere subito espulsa. Dunque, per il riconoscimento di invalidità civile, niente da fare. Julia incomincia a piangere dicendo che non ha casa né lavoro, è malata e ha bisogno di cure, che è da 17 anni in Italia... Che vita è mai questa! Due riflessioni: la prima riguarda l’indifferenza che questa donna ha sperimen- tato in questi anni, anche da parte dei connazionali. In sociologia si parla di «indifferenza civile» per denotare atteggiamenti di indifferenza nei confronti di estranei per strada o in un treno. Nel caso di Julia e di tanti immigrati io parlerei di indifferenza incivile o inumana. Non basta il soccorso caritatevole personale, ma servono risposte organizzate, riconoscimento di diritti e opportunità da parte della comunità ospitante. La seconda riguarda l’opportunità di scrivere al ministro della Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi (o al suo successore) per fare presente questi casi e chiedere chiarimenti sulla strategia di inclusione sociale di senza dimora, rom, rifugiati politici, ecc. O forse sarebbe meglio una lettera indirizzata, come nell’Apocalisse, alle comunità cristiane sul territorio italiano per denunciare questa indifferenza incivi- le che riguarda anche molti cristiani. Domenico Pizzuti SJ Napoli FABRIZIO VALLETTI CONTINUA SUL WEB Come sempre, il nuovo anno porta diverse novità su Popoli. Dopo sei anni di preziosa collaborazione, Fabrizio Valletti, gesuita di Scampia (Napoli), «cede» il suo spazio a una nuova rubrica. Ma padre Valletti continua a collaborare con Popoli, nel blog sul nostro sito, dove ci offrirà riflessioni da una città quanto mai sulla «frontiera». Da questo mese prende avvio la rubrica di Stefano Bittasi, gesuita che da Gerusalemme ci racconterà frammenti di vita quotidiana, a volte più significativi di mille trattati di geopolitica. Cambiano anche gli articoli che «chiudono» le tre sezioni principali della rivista: ma questa e altre novità le lasciamo scoprire a ciascun lettore. gennaio 2013 Popoli 7 lettere e idee I concorsi pubblici e quella norma anacronistica A Multitalia Maurizio Ambrosini Università di Milano, direttore della rivista Mondi migranti nche i bambini di origine immigrata crescono... Un numero sempre più grande di loro frequenta le nostre scuole superiori e le università. Qualcuno ha già terminato gli studi e si sta inserendo nel mercato del lavoro. Qui è destinato a incontrare una sorpresa: gli stranieri non possono partecipare ai concorsi per l’impiego pubblico. A meno che non siano riusciti a ottenere la cittadinanza, se sono nati e sempre vissuti in Italia. È una vecchia norma, risalente al periodo fascista, che non è mai stata abrogata, pur avendo perso il suo significato originario. Oggi serve soprattutto a proteggere una riserva, pur calante, di posti di lavoro stabili e dignitosi a vantaggio dei cittadini italiani. Quelli che possono votare. In tutti i Paesi di immigrazione, la funzione pubblica svolge un ruolo cruciale nel favorire la promozione sociale degli immigrati e dei loro figli, come del resto avviene per le donne. Più egualitaria del mondo del lavoro privato, grazie ai concorsi offre opportunità di accesso e di carriera anche ai gruppi che normalmente faticano a vedere riconosciuto il valore dei propri titoli di studio. In alcuni ambiti, poi, le persone di origine immigrata possono svolgere funzioni socialmente rilevanti. Il primo esempio è quello dei servizi infermieristici, dove già sono ben presenti nella sanità privata e anche in quella pubblica, grazie alla mediazione di cooperative e quindi con trattamenti salariali e normativi diversi da quelli dei funzionari pubblici. Ma in futuro serviranno educatori, assistenti sociali, insegnanti, agenti delle forze dell’ordine capaci di comunicare e mediare con le minoranze immigrate. All’estero sono spesso scelti tra le loro file, quando hanno titoli idonei. È vero che, grazie all’impegno di legali come i volontari dell’associazione Avvocati per niente, i candidati stranieri possono ricorrere in giudizio e fare annullare gli effetti della norma discriminatoria. Ma devono avviare lunghe e complesse battaglie su ogni singolo caso. Bene farebbe il governo a lasciare un segno, a fine legislatura, limitando drasticamente a pochi ambiti circoscritti una norma così palesemente discriminatoria. Il tram colore argento D OGNI GIORNO A GERUSALEMME Stefano Bittasi SJ Gesuita, direttore dei programmi di formazione della Compagnia di Gesù a Gerusalemme a qualche mese vivo in una regione del mondo in cui la separazione dei popoli è oggetto di discussione continua. Ogni tanto ci si spara e si fanno esplodere bombe e missili. Ma ci sono anche piccole cose che vanno in un’altra direzione. Per esempio il tram! Da poco più di un anno è infatti operativo a Gerusalemme un tram che taglia la città più o meno in diagonale, da sudovest a nordest. Cosa c’è di straordinario, direte voi... Se pensate che ci sono a Gerusalemme due reti di autobus, una ebraica (verde) e una palestinese (blu) e che, a eccezione degli stranieri che usano di volta in volta il mezzo a loro più comodo, nessuno sale se non sui «propri» autobus, si può capire come questo tram colore argento rappresenti un fatto di enorme importanza. È l’unico mezzo di locomozione della città sul quale capita di vedere tutti gli abitanti di Gerusalemme mescolati, anche se per brevi tratti. La linea tranviaria, infatti, attraversa praticamente tutti i territori della città (compresi quelli che Israele ha conquistato ai palestinesi con la guerra del 1967, così che la costruzione della linea tranviaria è stata persino oggetto di una risoluzione dell’Onu nel 2010) ed è senz’altro il mezzo più veloce per raggiungere 8 Popoli gennaio 2013 sia il centro di Gerusalemme Est (palestinese), sia quello di Gerusalemme Ovest (israeliano). Così, in un Paese in cui si discute se separare uomini e donne sugli autobus per il pericolo di un possibile contatto fisico, si trova questo moderno mezzo in cui, negli orari di punta, si trovano appiccicati (nel senso letterale del termine!) l’anziano palestinese con kefiah e baffoni bianchi e l’ultraortodosso ashkenazita con pantalone a mezza gamba e pastrano nero, la studentessa in minigonna e la donna araba velata, il turista con lo zaino ingombrante (neppure qui se lo tolgono mai, neppure con la ressa delle 8 del mattino...) e la mamma con carrozzina e quattro allegri e rumorosi marmocchi. Si rimane senza parole. Ma certamente con gli occhi sgranati nell’osservare le espressioni non sempre gradevoli che i visi mostrano a causa di questa vicinanza obbligata. Eppure... risparmiare 25 minuti di cammino o di attesa di autobus che non arrivano mai (tutto il mondo è Paese!) pare motivazione sufficiente per superare ogni fastidio religioso o etnico. Chissà che la possibilità di convivere in questa città non passi anche attraverso un tram! Halabja T re monaci vanno pellegrini alla città martire curda, vittima del bombardamento chimico di Saddam nel 1988. In settembre avevo visitato Monte Sole, dove Dossetti è sepolto nel piccolo cimitero delle famiglie contadine trucidate dai nazifascisti. Alla stazione di Bologna mi pare di sognare: un gruppo di curdi in costume nazionale! Mi avvicino e mi presento: infatti, dopo Deir Mar Musa, stiamo fondando una comunità a Sulaymaniya, nel Kurdistan iracheno. È una delegazione in visita a Marzabotto e vengono da Halabja, la città decimata dalle bombe al nervino e al gas mostarda del dittatore di Baghdad. Da anni si è sviluppata un’empatia tra le due contrade, teatro della violenza più indiscriminata. Foto, abbracci, scambi di indirizzi… Comincio al telefono in inglese per correttezza, poi passiamo all’arabo (il curdo ancora niente): «Sig. Nizar? Ci siamo visti in Italia…». «Allora domani andiamo insieme; è a un’ora di macchina». Il quadro naturale è maestoso: magnifiche montagne, già innevate il primo di dicembre, fanno da confine con l’Iran. Era iraniano il fotoreporter che è arrivato sul luogo mentre i gasati, tutti civili, ancora rantolano… C’è anche una molto degna ricostruzione plastica delle scene e tu passi lì in mezzo, stralunato. Pensi a Pompei, alle trincee della Grande Guerra, all’aggressione italiana all’Etiopia del ’36, alle camere a gas dei lager. Grandi orridi scenari… Ma qui è una cittadina di provincia con tanti alberi di melograno e le casette dei contadini con gli animali in cortile. Il bimbo è morto accanto al gatto e alla capretta. Gli uomini al fronte; sono stati soprattutto i piccoli, le mamme e i nonni a essere puniti in massa: cinquemila vittime e una marea di ammalati (come chiamare gli invalidi permanenti provocati dalle armi chimiche?). Questo luogo trascende la ben giusta rivendicazione nazionale curda. La gente degnissima di qui rappresenta con semplicità sorridente una pietà ferita universale. Ne parliamo con un signore alla mano, direttore del museo. È andato anche in Giappone per dire no alle armi di distruzione di massa. Intanto in Siria la comunità onusiana ha accumulato tutti gli errori, permettendo la distruzione dal cielo di mezzo Paese… L’ambito del confronto militare è spazio per progetti estremisti armati; i democratici sono marginalizzati. Il regime cadrà, ma prima è possibile che non resista alla tentazione d’usare le armi chimiche. Forse il mondo, terrorizzato dall’alternativa islamista e dall’effetto domino regionale, si volterà ancora dall’altra parte. La sete di ismaele Paolo Dall’Oglio SJ Gesuita del Monastero di Deir Mar Musa (Siria) Il ritorno del cavaliere (maya) I l 21 dicembre è passato senza i cataclismi apocalittici che si temevano, ma con rivelazioni molto interessanti. Siamo infatti in grado di rivelare le vere previsioni dei maya che soltanto nelle ultime ore, grazie all’approssimarsi dell’allineamento dei pianeti, alcuni studiosi sono riusciti a decriptare e interpretare. Le sconvolgenti previsioni dell’antico popolo dell’America centrale indicavano nel ritorno di un misterioso cavaliere il possibile inizio della fine. Questo criptico cavaliere veniva descritto piuttosto basso di statura, con i capelli trapiantati da un peluche, continuamente intento a cospargersi il volto di polvere colorata fino a sembrare un vaso di terracotta. Pare che nell’epoca precolombiana l’innominato cavaliere abbia regnato per circa un ventennio, abolendo i disegni di legge e sostituendoli con due barzellette al giorno, perché la festa e l’allegria nel suo regno non dovevano mai mancare. Così, ogni sera, nella sua reggia venivano offerte feste e cene per povere ragazze sole, orfane e senza lavoro. Il concetto della festa contagiò tutti i suoi funzionari e amministratori, i quali in ogni angolo dell’impero si prodigarono nell’istituire giornate dedicate al «Maiale birbone», alla «Volpe birichina» e alla «Mucca golosona» - tutte divinità del pantheon maya, secondo le ricostruzioni degli antropologi -, facendo così aumentare la spesa pubblica a dismisura e sperperando tutte le enormi riserve in oro (quelle poi rapinate dai colonizzatori spagnoli erano solo le ultime briciole). Alla luce di queste nuove rivelazioni gli studiosi sono così riusciti anche a capire il reale motivo dell’estinzione dei maya: la grande siccità di cui si parlava da secoli non fu altro che il risultato di un ventennio di depredazione da parte del misterioso cavaliere di terracotta e dei suoi accoliti. Grazie a Dio non viviamo più in tempi di ignoranza e superstizione come quelli dei maya, la scienza ci viene in soccorso e ci aiuta a prevenire gli eventuali capricci della natura. E soprattutto la moderna storiografia ci insegna che i cavalieri misteriosi vivevano solo nell’antichità e oggi al massimo possono essere protagonisti nelle fiabe per i bambini. Forse. scusate il disagio Giacomo Poretti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo gennaio 2013 Popoli 9 Fame nera Foto Riccardo Gangale Donne e bambini somali, sfollati a causa dei conflitti e dal 2011 vittime anche della carestia, sopravvivono grazie alle distribuzioni di aiuti alimentari. Il cibo - o la sua privazione - restano il segno più evidente delle sperequazioni del nostro Pianeta. Come raccontano le immagini di Riccardo Gangale gennaio 2013 Popoli 11 Amina Mohamed ha 25 anni, quattro figli e viene da Afmadow, nel sud della Somalia. È riparata nel campo per sfollati di Dhobey per la fame, la mancanza di cure mediche e per fuggire alle vessazioni delle milizie estremiste islamiche al-Shabaab che imperversano nella sua zona. Ha abbandonato la casa di fango che stava costruendo, ma dopo un mese di permanenza nel campo non è ancora pronta a tornare al suo villaggio. Amina e i suoi figli rappresentano la parte più vulnerabile della popolazione somala, donne e bambini sfollati, vittime di vent’anni di conflitto cui si è aggiunta, dal luglio 2011, la carestia più grave degli ultimi anni. In numerosi campi per sfollati, come Dhobey e Khansahley raffigurati in queste immagini, le persone sopravvivono grazie alle distribuzioni di alimenti. Ricevere un pacco che contiene datteri, zucchero, riso, tè, olio, farina e fagioli è la condizione per restare in vita. Per il Pam (Programma alimentare mondiale), carestia e guerra rendono la Somalia la regione al mondo più impegnativa dal punto di vista del soccorso umanitario. Dalla metà del 2011 a oggi l’agenzia dell’Onu che si occupa delle emergenze alimentari ha raggiunto oltre un milione e mezzo di somali. Ma la situazione resta precaria anche per altri due milioni e mezzo, perché nel periodo delle piogge tra aprile e giugno 2012 le precipitazioni sono state ancora sparse e inferiori alla media. Fame e malnutrizione restano il dramma di ogni giorno. Tutte le immagini del servizio sono state scattate per l’Ong canadese Global Enrichment Foundation (www.globalenrichmentfoundation.org), tranne quella a pag. 15, in alto, per l’Unhcr: raffigura una madre con i figli e i pochi averi, riparati in un campo vicino a Bosaso (Puntland). 12 Popoli gennaio 2013 “ “ Da un solitario muro di una prigione, ho sentito una giovane ragazza chiamare: “Michael, ti hanno portato via, Perché hai rubato il granoturco di Trevelyan Perché il bimbo potesse vedere l’alba Adesso una nave prigione attende nella baia” U PIANETA CIBO Nel corso del 2013 i Pics sono dedicati al tema del cibo nelle sue molteplici declinazioni: come fondamentale (e spesso carente) sostegno per la vita, come occasione per promuovere o negare i diritti dei lavoratori e dell’ambiente, come espressione di identità culturali, elemento di feste e di riti. «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» è anche il tema della prossima Esposizione Universale di Milano del 2015. “ “ Sono lontani i campi di Athenry Dove una volta guardammo gli uccellini volare Il nostro amore era in volo Avevamo sogni e canzoni da cantare Sono così desolati i campi di Athenry gennaio 2013 Popoli 13 14 Popoli gennaio 2013 “ “ Da un solitario muro di una prigione, ho sentito un giovane uomo chiamare: “Non ti importa di nulla, Mary, quando sei libero Contro la carestia e la corona / Mi sono ribellato, mi hanno fermato. Adesso devi crescere nostro figlio con dignità” IL FOTOGRAFO Nato a Roma nel 1975, dopo studi scientifici e dopo avere frequentato una scuola di fotografia, nel 2002 Riccardo Gangale (www. riccardogangale.com) parte per l’Etiopia per il programma «Food for the cities» della Fao, iniziando una serie di viaggi e spostamenti nel continente africano come reporter free lance. Alla fine dello stesso anno è a Johannesburg e Soweto, per il summit sullo sviluppo sostenibile, poi in Ruanda e Congo. Nel 2003, in Algeria, inizia la collaborazione con l’agenzia Galbe.com e, successivamente, con Associated Press, come fotografo free lance nella regione dei Grandi laghi, con base a Kigali in Ruanda dal 2003 al 2008. Dal 2008 è a Nairobi (Kenya) e lavora per agenzie Onu come Unicef, Unhcr, Wfp, Unep, oltre a varie Ong e organizzazioni internazionali in oltre una ventina di Paesi africani. Negli anni i suoi lavori sono stati pubblicati anche da New York Times, Time Magazine, The Times, Washington Post, Guardian, Libération, Der Spiegel, Le Monde. www.facebook.com/ RiccardoGangalePhotography “ “ Da un solitario muro di un porto, lei guardava l’ultima stella cadere / Quando la nave prigione partì verso il cielo / Così visse sperando e pregando per il suo amore a Botany Bay Sono così desolati i campi di Athenry. (The Fields of Athenry [I campi di Athenry], canzone popolare irlandese sulla Grande carestia del 1845-52) gennaio 2013 Popoli 15 reportage Grecia caccia allo straniero Nella crisi gli immigrati non sono solo bersaglio della destra neonazista, ma di un generale clima xenofobo. Tra le vittime, ci sono anche i rifugiati che arrivano dall’Asia e tentano l’ingresso lungo il confine con la Turchia. Dove è sorto un altro muro europeo Testo e foto: Giulia Bondi Atene «N ell’operazione di polizia Xenios Zeus (Zeus degli stranieri, ndr) sono stati arrestati moltissimi migranti regolari. Ci è stato riferito di percosse da parte degli agenti e casi di violenza razzista nelle strade. Una delle storie più tragiche è quella di un uomo che aveva ottenuto la protezione umanitaria e il permes- 16 Popoli gennaio 2013 so di risiedere in Grecia ed è stato ugualmente rastrellato con altri stranieri. Nel centro di detenzione di Xanti si sono accorti che i suoi documenti erano a posto e lo hanno rilasciato. Non aveva denaro e si è messo a fare l’autostop fino ad Atene, ma un gruppo di fascisti lo ha malmenato brutalmente. Un’altra auto si è fermata a soccorrerlo. È riuscito a tornare ad Atene grazie a una colletta dei medici dell’ospedale». A raccontare è Eleni Velivasaki, giovane avvocato del Greek Council for Refugees (Gcr), che si occupa di diritti dei rifugiati nei centri di detenzione della Grecia orientale. Xenios Zeus è il nome dato ai rastrellamenti di polizia che, dallo scorso agosto, hanno portato migliaia di stranieri dalle strade delle principali città greche ai centri di detenzione. Nel primo mese dell’operazione, la polizia ha fermato più di 16mila migranti, di cui solo 2.144 sono risultati privi di permesso. «Le persone sono state prelevate su base etnica e nei centri di detenzione sono finiti molti stranieri che erano in regola», conferma Eleni Velivasaki. Secondo Human Rights Watch, ad Atene nei primi sei mesi del 2012 una sessantina di migranti, tra i quali due donne incinte, hanno denunciato attacchi razzisti, «da parte di gruppi vicini a Chrusí avgí», Alba Dorata, il partito di estrema cammini di giustizia Filakio, centro di detenzione per immigrati presso il confine turco. Sotto, pattugliamenti lungo il confine. destra che ha il 6% dei seggi in Parlamento. Le denunce di attacchi ai migranti sono quasi quotidiane sui siti web e sui blog antifascisti, ma i principali media tendono a enfatizzare gli episodi di violenza commessi da stranieri. «La televisione ha detto che un pakistano ha stuprato e ridotto in fin di vita una ragazzina - racconta Tolis, 27 anni, poliziotto a Nea Orestiada, città di confine tra la Grecia e la Turchia -. Se succedesse a mia figlia vorrei che il colpevole fosse evirato». Il suo voto, alle ultime elezioni, è andato al partito neonazista. «Exo oi xénoi» («Fuori gli stranieri»), recitano le scritte sotto i cavalcavia dell’autostrada. «Non stiamo parlando di rivalutare Hitler, quello era un criminale. Però dobbiamo difendere la nostra terra da questa invasione», afferma convinto Nikos, berretto da baseball in testa e tra le dita un komboloi, una sorta di rosario-scacciapensieri. Guardiano al Partenone, Nikos a giugno ha votato Alba Dorata. «Ormai siamo al razzismo aperto - commenta Georgia, 30 anni, attivista di Amnesty International -, un razzismo fomentato dalla politica, per non far vedere i veri problemi». Azioni violente, distribuzioni di cibo riservate ai soli greci, attacchi agli avversari politici: sono gli ingre- dienti dell’azione di Alba Dorata. Ma perfino il primo ministro Antonis Samaras, in un comizio del suo partito Nea Democratia, ha definito gli immigrati «invasori» e «nuovi tiranni». «Ogni fascismo è una rivoluzione persa - spiega il giornalista e regista Aris Chatzistefanou -: Alba Dorata ha capito come raggiungere la gente comune, certamente meglio di Syriza (la Coalizione della sinistra radicale, ndr). Nei quartieri poveri e nelle strade di Atene il problema della convivenza tra culture diverse esiste. Alba Dorata - prosegue Chatzistefanou - non è mai stata un movimento di massa. Era una gang illegale formata da persone conosciute, gente che lavorava come buttafuori nei night club e aveva buone connessioni con i servizi segreti. Lo Stato li ha tenuti buoni per usarli in tempo di crisi». BARRICATE IN TRACIA Così, la Grecia che arranca sotto il peso del debito pubblico è la stessa che investe circa 5 milioni di euro per costruire una barricata di acciaio e filo spinato a difesa del confine con la Turchia, un tratto di terra di circa 12 chilometri, tra i villaggi di Nea Vissa e Kastanies. Tutto il resto del confine, fino all’Egeo, è segnato dal fiume Evros. Dai campi o dal fiume, negli ultimi anni decine di migliaia di migranti sono entrati in Europa: nel 2010 circa 36mila, nel 2011 28mila, provenienti soprattutto da Afghanistan, Pakistan e Bangladesh. Un fiume umano che spaventa i governi, anche se la maggior parte degli stranieri extracomunitari entra nell’Unione dagli aeroporti, con visti turistici. Nea Orestiada è la città più «giovane» della Grecia. Negli anni Venti il trattato di Losanna, ridisegnando i confini dopo la prima guerra mondiale e la guerra greco-turca, Ad Atene nei primi costrinse i suoi sei mesi del 2012 abitanti a lacirca 60 migranti sciare le proprie hanno denunciato case, rimaste attacchi razzisti, nell’attuale Turda parte di gruppi chia. Dalla nuovicini ad Alba va città, negli Dorata, il partito anni Cinquanta di estrema destra e Sessanta, molche ha il 6% dei ti emigrarono parlamentari in Germania, in cerca di qualcosa di più di vigneti e pannocchie. Oggi, l’economia locale ruota attorno al respingimento di altri migranti. A dicembre, il «muro» è quasi ultimato. Ma già a fine agosto, quando ne esisteva soltanto un frammento, il numero di migranti entrati dal confine dell’Evros era calato drasticamente, di pari passo con l’enorme dispiegamento di polizia (quasi 2mila agenti), e di tecnologie come le telecamere con sensori di calore, che individuano un essere vivente a 18 km di distanza. Se nella prima metà del 2012 entravano anche 300 stranieri al giorno, da settembre la media non supera i 40 ingressi a settimana. «Stiamo assistendo a uno spostamento dei migranti sul confine turco-bulgaro e, soprattutto, sulle isole di fronte alla Turchia, con picchi di 200 a settimana a Samos e Lesvos», spiega Ewa Moncure, portavoce di Frontex, l’agenzia nata otto anni fa per proteggere i confini gennaio 2013 Popoli 17 reportage dell’Unione europea e dotata di un budget crescente (per il 2012, 115 milioni di euro). «I muri non servono - ammette Moncure -. Bisogna agire sulle cause che spingono le persone a partire». Parte del budget di Frontex è destinata a studiare i movimenti migratori, ma il grosso è speso in operazioni come Poseidon Land, grazie alle quali agenti di mezza Europa affollano gli alberghi e i ristoranti di Nea Orestiada. «Respingere i migranti irregolari è il nostro lavoro - dice FILONAZISTI Dalla Grecia all’Italia N ato nel 1993 dall’omonima rivista greca dell’estremismo di destra, il partito neonazista Alba Dorata ha conquistato prima 21 e poi 18 seggi su 300 nelle due elezioni parlamentari che si sono svolte in Grecia nel 2012, in cui ha raccolto il 7% dei voti. Il suo leader, Nikólaos Michaloliakos, è noto per le posizioni negazioniste rispetto all’Olocausto, cavalca le tensioni populiste antieuropee e xenofobe, esasperate dalla crisi economica. Anche se il partito è all’opposizione, alcune sue iniziative fanno breccia ad Atene. A partire da Trieste, frange dell’estrema destra italiana stanno costituendo una formazione di Alba Dorata nel nostro Paese, raccogliendo adesioni attraverso i social gennaio 2013di presentarsi network18ePopoli con l’intenzione alle elezioni regionali lombarde di febbraio. f.p. Sofia Rapti, 29 anni, ispettore di po- razioni vengano sospese», chiarisce lizia - e in Grecia ce ne sono troppi. ancora la portavoce Moncure. Poi - ammette - davanti alle famiglie «Servirebbero centri di identificacon bambini siamo commossi». zione umani, per distinguere chi è Il problema, osservano organizza- in cerca di lavoro da chi ha diritto zioni come il Gcr, è che in questo a ottenere protezione», commenta modo si vieta l’accesso non soltanto Panagiotis Samouridis, 38 anni, aniai migranti economici («una scelta le- matore del piccolo gruppo Stop Evros gittima per un Paese sovrano», chia- Wall, formato da cittadini di Orestiarisce ancora l’avvocato Velivasaki), da che si sono opposti al muro. Panama anche ai potenziali giotis srotola un poster richiedenti asilo. È dei Xenios Zeus che al principio sembra primi giorni di dicem- (Zeus degli una normale carta turibre la testimonianza, stranieri) è il stica. Raffigura alcune raccolta dalla giornali- nome dato ai bellezze della Grecia, sta Rebecca Omonira- rastrellamenti di dalle Meteore al Teatro Oyekanmi e pubblica- polizia che hanno di Epidauro. Al posto ta dal Guardian, di un portato migliaia della sua cittadina, un gruppo di rifugiati siria- di stranieri dalle riquadro col filo spinato ni che sono stati respinti strade delle città di Auschwitz. «La nostra dalle guardie di fron- greche ai centri battaglia - spiega - è tiera e riaccompagnati di detenzione contro un modello di sosul lato turco del fiume. cietà che si ammanta di Segnalazioni come queretorica di diritti umani, sta, di violazioni dei diquando in realtà alcuni ritti umani fondamentali di persone sono più uguali degli altri». che si dichiarano provenienti dalla Siria sono giunte anche al quartier STORIE DI CONFINE generale di Frontex. «In caso di gravi Una volta entrati in Grecia, quasi e ripetute violazioni, il regolamento tutti i migranti fanno domanda di dell’agenzia prevede che le sue ope- asilo per guadagnare tempo. «Chi è Da sinistra: documento di soggiorno temporaneo; Mohammed Sharif, muftì di Sidirò; veduta di Kastanjes al confine turco. detenuto avrebbe diritto a una rispo- trafficanti, sono arrivati al confine sta entro tre mesi - chiarisce Eleni greco. Il viaggio per tutta la famiglia Velivasaki -: poi, in caso di decisione è costato 16mila dollari. Nell’attesa negativa, si può fare ricorso. A quel che la «carta rosa» greca si trasformi punto, si aspettano anni per vedere in un documento valido, vivono in riesaminato il proprio caso». Le re- un centro d’accoglienza. Prima di gole europee di «Dublino II» impon- arrivare a Salonicco, Eskandar e gono che a esaminare le domande di famiglia hanno passato un mese nel protezione umanitaria sia il primo centro di detenzione di Filakio, poco Paese nel quale lo straniero viene lontano da Orestiada. identificato. Suil e Johe, 18 e 20 Per anni sovraffollato e fatiscente anni, dal Bangladesh hanno attra- («erano gli stessi migranti a dannegversato otto confini. Non sognavano giarlo sperando di essere rilasciati di vendere sigarette di contrabbando prima», riferisce il capo della polizia a Exarchia, il quartiere anarchico di Orestiada, Giorgios Salamagas), di Atene, «ma come si può tornare Filakio è stato ristrutturato con un indietro - spiegano - quando la tua investimento di 860mila euro. La famiglia ha speso tutto per mandarti polizia non lascia entrare i giornalisti a fare fortuna?». Sognano ancora la e i migranti tentano di comunicare Germania o la Svezia, ma la Grecia attraverso le sbarre delle finestre. non ha frontiere terrestri con altri «Sono iraniano, scrivevo canzoni a Paesi dello spazio Schengen. A Sa- tema politico e per questo sono dovulonicco, Eksandar e la moglie Kauka to scappare - grida Hussein -. Possiapassano la serata su una mo uscire cinque minuti panchina di Platia Dika- «Sono iraniano, al giorno e telefonare stirion. Assieme al figlio scrivevo canzoni una volta a settimana», 14enne sono fuggiti da a tema politico e esclama in inglese. Il Homs, in Siria. Fino a per questo sono dialogo è spezzato, preIstanbul hanno viaggia- dovuto scappare sto sarà interrotto dato in pullman poi, per - grida Hussein, gli agenti. Da un’altra più di dieci giorni con i iraniano rinchiuso inferriata spuntano due in un Cie -. Possiamo uscire di cella cinque minuti al giorno» polsi incrociati, a simboleggiare la gabbia. Poi due dita formano una V di vittoria: la gabbia è in Europa e prima o poi se ne uscirà. Sidirò, un villaggio a una cinquantina di chilometri a sud di Orestiada, è abitato da musulmani di lingua turca. Poche case, una moschea, Eksandar, Kauka una pompa di e il figlio 14enne benzina gestisono fuggiti da ta dal muftì Homs, in Siria. Mohammed Da Istanbul hanno Sharif. È lui, viaggiato con i assieme alla trafficanti fino al moglie Fatme, confine greco. Il a occuparsi viaggio per tutta la delle sepolture famiglia è costato dei migranti 16mila dollari che nella traversata dell’Evros trovano la morte. Il cimitero è una collina con decine di cumuli di terra, alcuni coperti di sterpaglie. Non ci sono nomi né cartelli, solo un cancello che un ragazzino del villaggio apre e chiude. Fatme lava i cadaveri delle donne secondo il rituale islamico. «Anche bambine», precisa con lo sguardo fermo, le sopracciglia corrucciate sul volto da contadina. gennaio 2013 Popoli 19 israele L’arte della pace Tra le mille anime di Gerusalemme, dove la vita è normalmente fatta di tensione e separazione - ancora più dopo l’ultima crisi con Gaza di fine novembre -, nascono esperienze artistiche che sono percorsi di incontro e linguaggi di riconciliazione Elisabetta Gatto Gerusalemme È l’ora del tramonto: una folla disordinata e al tempo stesso composta accorre al Muro del Pianto per la preghiera del venerdì sera, vigilia di shabbat. Con 20 Popoli gennaio 2013 addosso gli abiti della festa, uomini e donne, rigorosamente divisi in due sezioni separate, recitano preghiere, dondolando avanti e indietro sui talloni, cantano e danzano, appoggiano la fronte al muro, lo baciano, lo bagnano di lacrime. Osservata con un po’ di distacco, sem- bra una rappresentazione teatrale: gli chassidim, i devoti ortodossi, con i lunghi cappotti e i cappelli a larghe tese neri, la barba folta e i peyot, i riccioli ai lati del capo; i fedeli con la kippah, il tradizionale copricapo, e le frange dello scialle della preghiera sotto la giacca; le donne, eleganti nella loro sobrietà, con i capelli raccolti in un foulard; bambini e bambine che gironzolano, ma con una discrezione rara. Una visione in bianco e nero, quasi la proiezione di un film d’epoca sullo sfondo del muro illuminato dalla luce calda del crepuscolo. Se si accetta di farsene contagiare, l’aura spirituale che avvolge quello spazio non lascia indifferenti. Per gli ebrei ortodossi il muro non viene mai abbandonato dalla Shechinà, la presenza divina. È commovente appoggiarvi la fronte, chiudere gli occhi e sentire di quante sofferen- Cisgiordania: il muro che separa Israele e i territori occupati. Sotto, un’immagine della mostra Gestures in Time (Gerusalemme, novembre 2012). ze, speranze, intenzioni è intrisa la sua pietra. Ed è struggente voltare le spalle - un ebreo ortodosso non lo farebbe mai, tutti per rispetto procedono all’indietro allontanandosi dal muro - e pensare che dove oggi si apre la piazza un tempo sorgeva il quartiere arabo, raso al suolo dai reparti israeliani nel 1967 per assicurarsi il controllo della Città Vecchia. Sono passati 45 anni da allora e il 16 novembre 2012 una sirena d’allerta riaccende le vibrazioni di un terrore che si voleva cancellare. Come formiche impazzite, ci sparpagliamo confusi in cerca di indicazioni. Un gruppo di militari in servizio ci suggerisce di cercare riparo sotto un porticato. In breve tempo la piazza è sgombra e noi siamo sempre più stipati, sempre più smarriti. Non è chiaro cosa stia accadendo, ma è poco rassicurante. Ci chiediamo se siamo in pericolo, senza volere davvero avere una risposta. Il giorno prima due missili di Hamas - i primi dopo la guerra del Golfo - avevano raggiunto Tel Aviv, fortunatamente senza causare danni. Leah, una ragazza graziosa che gestisce un ristorante kosher nel centro di Gerusalemme, mi aveva sollevata: «Qui sei al sicuro: Gerusalemme è una città di pace. Vedrai, tra poco si riverseranno tutti qui da ogni parte di Israele». Invece, contro ogni previsione, un razzo si è schiantato in un’area disabitata fuori dalla città, anche questa volta senza provocare vittime, né feriti. Probabilmente è stata un’azione dimostrativa di grande valore simbolico. Certamente una risposta forte all’intollerabile spirale di violenza sulla Striscia di Gaza, che avrebbe potuto aprire la strada a quello che la maggior parte della popolazione, israeliani e palestinesi senza distinzione, voleva scongiurare: un attacco di terra dell’esercito israeliano a Gaza e la conseguente ripresa di una nuova intifada, con attentati terroristici alle fermate de- gli autobus o nei caffè. Il cessate il fuoco, dopo otto giorni e troppe vittime, è arrivato grazie alla mediazione del neopresidente egiziano Mohammed Morsi, salutato come un nuovo e strategico attore sulla scena mediorientale (a distanza di pochi giorni, i media e il suo popolo ne avrebbero denunciato le aspirazioni faraoniche, in piena contraddizione con le promesse della Primavera araba). LA SCENA ARTISTICA Non di pace si tratta, ma di una Gerusalemme è tregua economiuna città vibrante ca, perché nel e plurale, dove Paese non si inebrei, musulmani, terrompano trafcristiani, fici commerciali ultraortodossi e e flussi turistici laici, vivono vite che interessaparallele, ma no a entrambe spesso la cultura le parti. La paè un terreno ce presuppone il d’incontro riconoscimento dell’umano che risiede nell’Altro, come suggeriva Mahmud Darwish, forse il più grande poeta palestinese: «La Storia non può ridursi a un risarcimento per la geografia perduta. È anche un punto di osservazione delle ombre, di sé e dell’Altro, colte entro un’evoluzione umana più complessa. [...] Questa terra è mia, con le sue molteplici culture. Voglio viverle tutte. È mio diritto identificarmi con tutte le voci che sono risuonate su questa terra. Perché, qui, io non sono né un intruso, né un passante» (Oltre l’ultimo cielo. La Palestina come metafora, 2007). Ciò che da decenni i governi inseguono, senza cercarlo davvero, nell’arte è una conquista assai più facile: laddove le politiche hanno fallito, con i linguaggi artistici si sono gettati i semi per la riconciliazione. Nel patio dell’albergo dove soggiorniamo, che ha sede nel palazzo del Jerusalem International Ymca, cuore della vita sociagennaio 2013 Popoli 21 israele Una scena di Plonter, della regista Yael Ronen. le e intellettuale di Gerusalemme, campeggia l’insegna: «Questo è un luogo dove le gelosie politiche e religiose possono essere dimenticate e l’unità internazionale incoraggiata e sviluppata». La sua ridondanza ci aveva incuriositi, così abbiamo domandato chiarimenti al direttore, Forsan Hussein. «Il nostro è un centro internazionale per la riconciliazione - ci spiega -. Vogliamo portare le nuove generazioni a considerare il valore di una società e di una cittadinanza condivise. Io sono palestinese, lo dico con orgoglio. Ma sento anche di essere un ponte tra Israele e il mondo arabo, così come possono esserlo 1,5 milioni di palestinesi che vivono in questo Paese». Gerusalemme è una città vibrante e plurale, dove ebrei, musulmani, cristiani, ultraortodossi e laici, costretti a vivere uno accanA Gaza e a Hebron to all’altro, si usa il teatro hanno impacome mezzo di rato a rispetcomunicazione. tarsi. Di fatto Al Teatro nazionale conducono palestinese di vite paralleRamallah, giovani e donne sono coinvolti le, ma spesso la cultura in un progetto è un terreno che è cammino d’i ncont r o. di giustizia Sfogliando le pagine del Jerusalem Post l’offerta culturale è ricchissima. La Confederation House, dove si mescolano le radici di un centinaio di gruppi etnici, ogni anno in novembre ospita il Jerusalem International Oud Festival: grazie al suono dell’oud, strumento che unisce la musica classica araba e persiana con il piyyut, la poesia liturgica ebraica, si intrecciano diverse tradizioni mediorientali. Attraverso la musica, infatti, si rompono barriere e si tessono relazioni. È quello che ha scelto di fare la cantante israeliana Noa, impegnata nella promozione di una cultura di pace per mezzo 22 Popoli gennaio 2013 delle sue canzoni: la sua voce si è rivolto ai giovani israeliani e palelegata a quella di vari artisti, tra cui stinesi per costruire contaminazioni la cantante palestinese Mira Awad, positive attraverso il cinema». con cui ha duettato in There must be another way. CHECK POINT A TEATRO In una libreria di Gerusalemme Est E lo stesso vale per il teatro. Su controviamo un album dei Dam Rap, siglio di un amico ci ripromettiaun gruppo di arabi israeliani di mo di vedere Plonter, della regista Lod, che condensano nel loro rap israeliana Yael Ronen: sullo sfonelementi arabi, ebraici e inglesi. do drammatico dell’occupazione e Il gestore ci suggerisce un cd di dell’intifada, un cast di giovani proSmadar Levi, israeliana di origine fessionisti israeliani, arabi ed ebrei, marocchina, portavoce dello spi- affronta la complessità del conflitto rito della convivencia, ispirata alla e della realtà umana di entrambi i tolleranza religiosa nella Spagna fronti e nell’intreccio delle vite di moresca, ovvero la coesistenza pa- una famiglia israeliana e di una pacifica delle culture ebraica e islami- lestinese cerca di far comprendere ca. «Canta in ebraico, arabo, greco, che «gli altri» sono anche persone. spagnolo e ladino - ci dice -. La Un particolare curioso: per un assua band è composta da musicisti saggio simbolico della vita palestidi diverse aree del Medio Oriente, nese, gli spettatori in arrivo devono senza badare ai confini religiosi o presentare la loro carta d’identità a nazionali». Pochi mesi fa a Roma due attori in uniforme nei panni di abbiamo assistito a un concerto soldati israeliani. dell’orchestra West-Eastern Divan, Leah, quando non lavora in un fondata nel 1999 da Daniel Baren- ristorante, recita nella compagnia boim, cosmopolita di origine ebrea teatrale Al-Jawwal, una delle più e cittadino israeliano, insieme a popolari e graffianti nel trattare Edward Said, scrittore palestinese, la questione palestinese. Cita West per favorire il dialogo fra giovani Bank Story, che fa il verso a West musicisti provenienti da Paesi e Side Story, in cui David, soldato culture storicamente nemiche. Lo israeliano, si innamora di Fatima, racconto al simpatico cassiera palestinese di libraio, che aggiunge: Una Ong un fast food e la loro «Nello stesso anno, al- israeliana per storia, ostacolata dalla cineteca di Gerusa- la difesa della le rispettive famiglie, lemme, fu avviato allo libertà dei diventa il pretesto per stesso scopo il progetto palestinesi ha resistere a una guerra “I am you are”, un la- ideato un gioco senza fine. «Partecipare boratorio sull’identità online che insieme a un gruppo mostra quanto sia difficile spostarsi nei territori Il gruppo rap Dam, tra le band palestinesi più popolari. Sotto, una suonatrice di oud. teatrale - racconta - può diven- Oggi, in una casa tradizionale tare uno straordinario strumento araba nel centro di Gerusalemme, di gestione del conflitto, perché l’associazione culturale Al- Hoash richiede lavoro di squadra, sponta- vuole mettere in contatto i moneità, creatività, apertura a nuove vimenti artistici presenti in citidee. Mia sorella Miriam studia tà con altri centri palestinesi e all’Istituto di Studi amdel mondo arabo. Alla bientali dell’Università Molti hanno Fondazione Al-Ma’mal Ben Gurion del Negev, disegnato sul per l’Arte contemporadove al motto di Nature muro Handala, nea, che spesso ospita knows no borders quelli la «firma» del artisti e intellettuali di che saranno i futuri vignettista Gaza e della Cisgiordamanager palestinesi e palestinese Naji nia, visitiamo la mostra israeliani collaborano al-Ali: un bambino Gestures in Time, che alla risoluzione delle raffigurato di offre una prospettiva sfide ambientali della spalle perché non nuova per reinterpretaregione e al contempo è d’accordo con la re e ricostruire il prealla promozione della situazione attuale sente della Palestina. pace. Siamo la generaPresente e quotidianità zione che può portare il che, per le comunità cambiamento». palestinesi, quando A Gaza e a Hebron si usa il teatro non sono segnati dalla violenza, socome mezzo di comunicazione. Al no costellati di complicazioni e pasTeatro nazionale palestinese di Ra- saggi sbarrati. Per darne un’idea, la mallah, anche grazie alla Coopera- Ong israeliana Gisha, impegnata in zione italiana, giovani e donne so- difesa della libertà di movimento no coinvolti in un progetto teatrale dei palestinesi, ha ideato il gioco che è al tempo stesso un cammino online Safe Passage, ambientato verso la giustizia e la comprensione a Gaza: si può scegliere di essere reciproca. Nei Territori occupati le un gelataio, una studentessa o una espressioni artistiche tradizionali, famiglia che vuole riunirsi con i come teatro, danza e feste popolari, parenti in Cisgiordania. In tutti subiscono pesanti restrizioni a cau- e tre i casi ci si deve confrontare sa del coprifuoco: per preservarle, con i disagi, gli inconvenienti e i alcune compagnie (tra cui quella divieti di una vita ordinariamente del Teatro itinerante Qafilah, «Ca- a ostacoli. rovana») scelgono di portare i loro A partire dal 2002 Israele ha cospettacoli tra gli abitanti dei villag- struito 725 chilometri di muro in gi e dei campi di rifugiati che di- Cisgiordania per impedire l’accesso versamente non avrebbero accesso. dei palestinesi al territorio nazio- nale: muro della vergogna o dell’apartheid per chi lo considera una barriera ingiusta, di separazione razziale per i media palestinesi, ufficialmente misura di sicurezza e antiterrorismo per i suoi sostenitori. Lungo il suo tracciato molti artisti hanno lasciato un segno. Il musicista Roger Waters, leader dei Pink Floyd, vi scrisse We don’t need no thought control (Non abbiamo bisogno di essere sorvegliati), alludendo al testo di Another brick in the wall. L’artista inglese Bansky vi ha raffigurato soggetti provocatori da guerrilla art; da alcuni anni, poi, grazie a un’iniziativa dell’Ong Icco per finanziare attività sociali in Cisgiordania, chiunque può inviare via internet un messaggio e alcuni incaricati palestinesi lo scriveranno con la vernice spray sul muro e invieranno una foto. Molti vi hanno disegnato Handala, la «firma» del vignettista palestinese Naji al-Ali: un bambino raffigurato sempre di spalle perché non è d’accordo con la situazione attuale. Solo quando le cose cambieranno tornerà a mostrare il suo volto. Quanto dovrà aspettare ancora? gennaio 2013 Popoli 23 stati uniti AFP Parigi, protesta contro la prigione di Guantánamo: la riproduzione della Statua della libertà è coperta con un drappo arancione, come la divisa dei prigionieri. 24 Popoli gennaio 2013 Guantánamo per sempre? Chiudere il penitenziario in cui sono detenuti i sospetti terroristi catturati dagli Usa: fu la prima promessa del neoeletto Obama. Nei giorni in cui inizia il secondo mandato, vi spieghiamo come mai la prigione più famosa del mondo è ancora aperta e perché rischia di diventare un simbolo permanente dell’America I l 20 gennaio 2009 Barack Obama iniziò la sua presidenza in modo coraggioso. Nel suo discorso di insediamento dichiarò: «Noi rifiutiamo in quanto falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali». Nel secondo giorno del suo mandato, diede seguito all’impegno firmando un decreto per chiudere Guantánamo entro un anno. L’amministrazione di George W. Bush aveva avuto un approccio diverso alla lotta al terrorismo. In un’intervista rilasciata cinque giorni dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, il vicepresidente Dick Cheney disse che gli Stati Uniti avrebbero dovuto usare «il lato oscuro» nell’impegno contro il terrorismo. «Sta diventanto vitale per noi - spiegò - utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione per raggiungere l’obiettivo». Questi «mezzi» non includevano solo la tortura, ma anche l’arresto e la detenzione di persone sospettate di terrorismo in una località «offshore», fuori dalla giurisdizione dei tribunali civili statunitensi o di qualunque altro Stato. Soprattutto tra il 2002 e il 2004, gli Usa trasferirono quasi 800 uomini, tutti musulmani, nella base navale di Guantánamo, a Cuba, per deten- zioni illimitate, senza la formalizzazione di alcuna accusa e senza processi. Barack Obama decise di cambiare linea. Nel tentativo di svuotare la prigione, Greg Craig, consulente giuridico della Casa Bianca, elaborò un primo programma per trasferire alcuni detenuti uiguri (etnia turcofona e minoranza islamica che vive nel nord-ovest della Cina), da tempo sollevati dalle accuse, sul territorio Usa. Craig presentò il programma il 17 aprile 2009 durante una riunione sulla sicurezza nazionale. Erano presenti L. HANSEN Luke Hansen SJ il Segretario alla Difesa, Robert Gates, e il Segretario di Stato Hillary Clinton. «Sembrava sarebbe stata una questione di giorni, non settimane», perché si realizzasse il trasferimento, spiegò in seguito Time magazine. L’amministrazione sperava che, se fosse andato tutto bene, i Paesi terzi sarebbero stati più disponibili ad aiutare a ricollocare altri detenuti. Nel giro di un mese il programma andò a monte. Quattro anni dopo, Guantánamo resta aperta, continua la carcerazione preventiva a tempo indeIl progetto di terminato e chiusura andò a i prigionieri monte nel giro di vengono proun mese. Quattro cessati da anni dopo continua com m i ssion i la carcerazione militari, non preventiva a tempo da tribunali indeterminato federali civie i prigionieri li. Ora non è vengono processati chiaro se il da tribunali militari carcere sarà mai chiuso, almeno finché l’ultimo dei detenuti non sarà diventato vecchio e morirà. Che cosa ha determinato una tale inversione di rotta? gennaio 2013 Popoli 25 stati uniti Guantánamo: familiari di alcune vittime dell’11 settembre 2001, arrivati per assistere al processo contro cinque imputati. L. HANSEN OPPOSIZIONE CRESCENTE Proprio il giorno prima che Craig presentasse il suo programma alla squadra per la sicurezza nazionale, il presidente Obama aveva reso pubbliche una serie di informative riservate della Cia che elencavano nel dettaglio le «intense tecniche di interrogatorio» (cioè Dal 2010 solo torture) auquattro uomini torizzate dalhanno lasciato l’amministraGuantánamo: due sono stati trasferiti zione Bush. M i c h a e l in El Salvador, un Hayden, ex terzo, arrestato a direttore del15 anni, ora è in la Cia, aveva Canada. Il quarto or ga n i zzato ha lasciato la base u n’opp o s iin una bara zione interna alla pubblicazione di questi documenti, ma Obama - coerente con la sua promessa di una maggiore trasparenza e di una via diversa, maggiormente guidata da criteri etici, nella lotta contro il terrorismo - li aveva pubblicati lo stesso. Nel frattempo fu reso noto anche il piano di Craig per il rilascio degli uiguri sul territorio statunitense e i leader repubblicani scatenarono uno spietato attacco, durato tre settimane, contro le prime decisioni del presidente Obama in politica 26 Popoli gennaio 2013 estera. Affermavano che, diffon- fonte interna all’amministrazione. dendo le note della Cia, Obama Due settimane dopo, il presidente aveva incoraggiato i nemici dell’A- cercò di affrontare il crescente malmerica e che ora avrebbe messo contento generale con un grande in pericolo i cittadini portando i discorso sulla sicurezza nazionaprigionieri negli Stati Uniti, non le. Non solo annunciò che avrebimporta se per liberarli, tenerli in be lavorato con il Congresso per carcere o processarli. rinnovare le commissioni militari Improvvisamente stava diventando dell’era Bush, ma abbracciò anche troppo costoso, politicamente, in- l’uso della detenzione a tempo intraprendere la via «etica» nella lotta determinato e senza imputazione o al terrorismo. Come scrisse ancora processo per un gruppo di detenuti il Time alla fine di aprile 2009, «i «che non possono essere perseguiti sondaggi dei democratici indicava- e che tuttavia pongono un chiaro no una tendenza preoccupante: una pericolo per il popolo americano». caduta nel sostegno a Obama tra gli indipendenti, condizionati in parte SINTOMO proprio dalle questioni di sicurezza DI UN PROBLEMA NAZIONALE nazionale». All’interno della Ca- Ci sono dunque molti fattori che sa Bianca lo slancio e l’ottimismo spiegano perché il presidente Obainiziali svanirono. L’amministra- ma non è riuscito a chiudere la zione cominciò anche prigione durante il suo a temere che il «caso Chiudere primo mandato: non ha Guantánamo» potesse Guantánamo esercitato una pressiodistrarre da priorità in- trasferendo negli ne abbastanza forte, terne come la sanità e Usa i prigionieri i repubblicani hanno il rafforzamento dell’e- rimasti, ma strumentalizzato le conomia. paure degli americaprocessandoli All’inizio di maggio, secondo le leggi ni, il governo non era Obama decise di non di guerra, preparato - o disposto trasferire i detenuti ui- non affronta - a rispondere agli atguri negli Stati Uniti. il problema tacchi dei repubblicani. «È stata una decisione dei diritti umani Va anche aggiunto che politica», disse espliciil Congresso, in pertamente al Time una fetto stile bipartisan, ha stabilito restrizioni sul trasferimento di prigionieri da Guantánamo. Anche gli americani, collettivamente, ne sono responsabili: se per Obama fosse stato politicamente popolare portare fino in fondo la sua promessa di chiudere Guantánamo, lo avrebbe fatto. Ma c’è di più. Se si guarda un po’ più in profondità, diventa chiaro che Guantánamo è soltanto un sintomo di un problema più ampio, che riguarda il sistema carcerario negli Usa. Molti americani credono che Guantánamo sia una deviazione dalla norma, che sia una macchia isolata e senza precedenti sulla reputazione degli Stati Uniti come GUANTÁNAMO OGGI Uno dei motivi per cui Obama è riuscito a trasferire solo pochi prigionieri è il fatto che il Congresso ha ridotto i fondi destinati a queste operazioni. Così, negli ultimi due anni, solo quattro uomini hanno lasciato Guantánamo: due uiguri sono stati sistemati in El Salvador; Omar Khadr, detenuto da quando aveva quindici anni, è stato trasferito in Canada per scontare la sua pena; Adnan Latif, yemenita, ha lasciato la prigione in una bara, deceduto per una overdose di psicofarmaci. Restano 166 detenuti a Guantánamo. La maggioranza, precisamente 132, non sarà processata: per 86 prigionieri è stato approvato il trasferimento o il rilascio, mentre 46 verranno trattenuti indefinitamente, soggetti a revisione periodica. Sette detenuti sono attualmente sotto processo davanti a commissioni M. SHEPARD - TORONTO STAR leader morali del mondo. In realtà, Guantánamo è coerente con il triste record di carcerazione che possono «vantare» gli Stati Uniti. Attualmente, infatti, nel Paese sono detenuti circa due milioni di uomini, donne e minori, la più alta percentuale al mondo rispetto alla popolazione residente. Molti stanno scontando pene per reati non violenti, come quelli legati alla droga. In alcuni Stati sono in vigore leggi che prevedono il carcere a vita per reati contro terzi. In alcuni centri di detenzione per minori, i ragazzi vengono puniti con l’isolamento in cella per 23 ore al giorno. La pena di morte è ancora in vigore in 33 Stati su 50. A causa del sovraffollamento e dei budget limitati, molti Stati hanno affidato la gestione delle prigioni a organizzazioni private che mantengono bassi i costi e fanno profitto tenendo pieni i «posti letto». Se gli americani approvano pratiche così crudeli in casa propria, non sorprende che ci siano indifferenza o totale sostegno a mantenere aperta Guantánamo. Perché gli americani dovrebbero interessarsi ai diritti umani di poche centinaia di persone accusate di terrorismo e ritratte (spesso erroneamente) come tuttora pericolose per la sicurezza nazionale? Gli americani preferiscono concentrarsi sui problemi dell’economia o della sanità, e l’amministrazione Obama li accontenta. LA SCHEDA I l campo di prigionia di Guantánamo è una struttura detentiva statunitense di massima sicurezza interna alla base navale sull’isola di Cuba. Il campo è stato aperto l’11 gennaio 2002 per decisione del presidente George W. Bush, con l’obiettivo di farvi confluire i prigionieri catturati in Afghanistan e ritenuti collegati ad attività terroristiche, a partire dall’organizzazione degli attentati dell’11 settembre 2001. Subito dopo l’apertura si sono levate critiche circa le condizioni di reclusione e l’effettivo status giuridico dei detenuti, i quali non vengono considerati prigionieri di guerra né imputati per reati ordinari, dunque sono privi di varie tutele legali. Questi dubbi furono del resto rafforzati dalle dichiarazioni dell’allora Segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, secondo cui questi prigionieri erano da considerarsi «combattenti irregolari, ai quali non si applicano i diritti della Convenzione di Ginevra». Tra le proteste più autorevoli e immediate contro le condizioni di detenzione dei prigionieri, ci fu anche quella dell’Alto commissario per i diritti dell’uomo dell’ONU, Mary Robinson. Secondo Amnesty International, nel 2005 un imprecisato numero di reclusi attuò uno sciopero della fame per protestare contro la perdurante mancanza di accesso a una corte indipendente e contro le dure condizioni di detenzione, che sarebbero state caratterizzate anche da violenze e pestaggi. Durante la campagna elettorale del 2008, Barack Obama affermò più volte di voler chiudere la prigione di Guantánamo, promessa che non è poi stata mantenuta. gennaio 2013 Popoli 27 stati uniti M. SHEPARD - TORONTO STAR numeri e persone 166 Detenuti a Guantánamo a inizio dicembre 2012. di cui militari e per altri 24 è previsto l’inizio di un analogo processo. Solo tre detenuti su 166 sono a Guantánamo per scontare effettivamente una pena, dopo essere stati sottoposti a un processo. Poco prima di essere rieletto, Obama ha di nuovo dichiarato di voler chiudere Guantánamo. Se ha seriamente intenzione di mantenere la promessa, dovrà agire su due livelli. Anzitutto, deve porre fine alla detenzione di coloro per cui è sta- L’AUTORE L uke Hansen, gesuita, è un collaboratore fisso di America, settimanale cattolico pubblicato negli Stati Uniti. Nel 2010, alle Bermuda, ha incontrato ex prigionieri di Guantánamo e più recentemente ha visitato la base per seguire il processo per crimini di guerra contro cinque detenuti accusati di aver organizzato gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. 28 Popoli gennaio 2013 86 Verranno trasferiti in altre carceri o rilasciati, ma non si sa quando. 46 Saranno trattenuti a tempo indeterminato, senza essere stati processati. 7 Attualmente sotto processo davanti a commissioni militari. 24 Verranno processati prossimamente da commissioni militari. 3 Detenuti reclusi a Guantánamo dopo avere effettivamente subito un processo e una condanna. to approvato il trasferimento. Per to il metodo di lotta al terrorismo fare questo, il presidente dovrebbe dell’era Bush, un metodo sbagliato. porre il veto su qualunque bilancio I sospettati di terrorismo dovrebper la difesa che includa restrizio- bero essere processati nei tribunali ni alla sua possibilità di trasferire federali secondo la Costituzione, detenuti da Guantánamo. Già in non in sistemi extralegali e senza le garanzie di un passato Obama ha annunciato di volere agi- La posta in gioco giusto processo. Purre così. Ora dovrebbe è alta. La «guerra troppo sia il Congresso sia la Corte suprema farlo davvero. al terrore» appoggiano il sistema In secondo luogo, il e l’utilizzo della attuale. Guantánamo presidente deve chiude- prigionia senza non chiuderà e si conre la cosiddetta «guerra tutele legali tinuerà a fare uso della al terrore». Il percor- diventeranno detenzione a tempo inso convenzionale per componenti chiudere Guantánamo permanenti della determinato finché la «guerra al terrore» non prevede di trasferire politica estera sarà finita. negli Stati Uniti i pri- americana? La posta in gioco nel gionieri rimasti, perché secondo mandato di siano processati o deObama è altissima. Tra tenuti secondo le leggi di guerra. È una strada sbagliata. quattro anni, quali tra i fallimenti Limitandosi a trasferire le persone di Bush saranno ancora presenti? Se in un posto diverso, non si affronta la «guerra al terrore» continuerà e il vero problema di diritti umani la prigione di Guantánamo rimarrà legato a Guantánamo: la detenzio- aperta, è probabile che la guerra e la ne illimitata senza imputazione o prigione diventeranno componenti permanenti della politica estera processo. In questo senso Obama ha ricalca- americana. il fatto, il commento La Palestina dopo il voto all’Onu L’ Drew Christiansen SJ Gesuita, già direttore del settimanale America dal 2005 al 2012, è stato a lungo consigliere per gli affari internazionali della Conferenza episcopale Usa, occupandosi in particolare della Terra Santa. Attualmente è visiting scholar al Boston College. Assemblea generale delle Nazioni Unite il 29 novembre scorso ha votato a larga maggioranza (138 voti a favore, 9 contrari e 41 astenuti) per dare alla Palestina lo status di Paese osservatore. Tra i 9 «no» si contano Micronesia, Isole Marshall, Nauru e Palau, tutte isole del Pacifico perlopiù ex dipendenze degli Stati Uniti. Insieme a Israele e agli Usa, gli altri contrari sono stati Canada, Repubblica Ceca e Panama. Il consenso internazionale è andato in grande maggioranza al riconoscimento della Palestina. Il voto arriva 65 anni dopo l’approvazione da parte dell’Onu della divisione della Palestina in uno Stato ebraico e in uno arabo e la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte di Israele. Indifferente al simbolismo della data, Israele ha rifiutato in modo categorico di unirsi alla maggioranza. Con il sostegno degli Usa, insiste nel ritenere che uno Stato palestinese può essere ottenuto solo attraverso negoziati bilaterali senza precondizioni. E un’assenza di precondizioni implica il rifiuto di riconoscere qualsiasi termine stabilito dal diritto internazionale: la fine dell’occupazione della Cisgiordania, un ritorno ai confini del 1967, un reinsediamento dei rifugiati e una qualche soluzione di «condominio» su Gerusalemme. In un recente tentativo per indurre gli israeliani a trattare sulla definizione di uno status definitivo, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha of- ferto di lasciare da parte le rivendicazioni dei rifugiati. Questi rappresentano una questione seria, perché sono quattro milioni i palestinesi della diaspora, ma sono un problema che entrambe le parti non riescono ad affrontare, né per proprio conto, né insieme. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha immediatamente respinto l’offerta e Abbas l’ha ritirata. Anche se reso meno amaro dal voto all’Onu, questo rifiuto ha confermato la posizione di base del governo di Gerusalemme: i termini dell’autonomia palestinese saranno dettati da Israele. Il rifiuto di accettare per la Palestina un riconoscimento internazionale come semi-Stato è una negazione del diritto palestinese a partecipare ai negoziati su un piano di parità. Sia la preparazione sia le condizioni di attuazione degli Accordi di Oslo hanno dato a Israele il Il rifiuto israeliano di accettare per la Palestina un riconoscimento internazionale come semi-Stato è una negazione del diritto palestinese a partecipare ai negoziati su un piano di parità controllo su interessi vitali per gli abitanti dei territori, come l’acqua, le entrate fiscali, i porti e una parte delle terre. Dopo la seconda intifada scoppiata nel 2000, la rioccupazione della West Bank ha consentito a Israele di controllare la vita dei palestinesi. Con il passare degli anni, Israele si è progressivamente impadronito delle loro terre e, così, i palestinesi sono stati lasciati senza concessioni nei negoziati per un accordo. Israele ha un forte vantaggio e, senza un intervento internazionale, detterà le condizioni. Lo status di osservatore offre almeno ai palestinesi un’uguaglianza morale quando siederanno al tavolo dei negoziati. Subito dopo il voto, Netanyahu ha chiarito le intenzioni del suo governo, autorizzando la costruzione di insediamenti nell’ultimo corridoio di collegamento rimasto tra il nord e il sud della Cisgiordania, rendendo così impossibile la creazione di uno Stato palestinese territorialmente continuo e funzionante. Dato che per gli israeliani intransigenti è impensabile la formazione di un singolo Stato ebraico-palestinese integrato, sembra che Israele sia destinato a essere l’occupante. Solo un ulteriore intervento internazionale aprirà la strada alla pace. inchiesta Enrico Casale «L o rifarei? No, non credo. Forse la poligamia ha un senso in una società rurale, come quella africana, dove all’aspetto affettivo si aggiunge quello economico: più mogli e più figli sono anche braccia utili alla coltivazione nei campi. Nella società postmoderna italiana avere due o più mogli non ha alcun senso». Edoardo M., italiano, una vita avventurosa trascorsa in Africa e oggi di nuovo residente in Italia, è un bigamo pentito. Pentito non tanto degli affetti che ha costruito con le sue due mogli africane, ma di una struttura familiare complessa, proveniente da mondi estranei alla nostra cultura. FENOMENO SFUGGENTE Se fino a una trentina di anni fa la poligamia era un fenomeno ridotto a qualche caso isolato, oggi, con la crescita della presenza di immigrati nel nostro Paese, sta assumendo una certa rilevanza. E casi come quello di Edoardo non sono più unici, frutto di vicende personali particolari, ma una presenza effettiva, anche se spesso nascosta. Il codice penale italiano infatti punisce chi si sposa più volte. È per questo motivo che chi contrae matrimoni multipli «Il Centro Averroè all’estero non ha calcolato ne fa menche nel nostro zione quando Paese sarebbero arriva in Itapresenti lia. Così come 14.500 famiglie poligamiche stabili. chi nel nostro Paese si sposa A queste bisogna due volte, lo aggiungere fa utilizzando i matrimoni esca motage a tempo» che sfruttano i varchi lasciati aperti dalla legge (cfr p. 33). Per questo motivo non esistono statistiche ufficiali sulle famiglie poligamiche in Italia, ma solo stime. «Il Centro Averroè - spiega Souad Sbai, origini marocchine, giornali30 Popoli gennaio 2013 Poligami d’Italia Quasi sconosciuta fino a una trentina di anni fa, la poligamia si sta diffondendo nel nostro Paese sull’onda dei flussi migratori. È un fenomeno illegale e perciò sommerso, caratterizzato da un corollario di violenze sulle donne e diritti negati sta, deputata del Pdl al Parlamento italiano - ha calcolato che nel nostro Paese sono presenti almeno 14.500 famiglie poligamiche stabili. A queste bisogna aggiungere i matrimoni a tempo (orfi). È un istituto previsto dalla legge islamica: un’unione suggellata da un patto segreto tra marito e moglie, alla presenza del notaio e di due testimoni. I mariti arabi sposati in Italia tornano al loro Paese di origine per contrarre matrimoni a tempo con donne locali. La seconda moglie spesso non sa che il marito è già sposato. Non solo, ma non ha alcun diritto perché il marito può strappare in qualsiasi momento il certificato di matrimonio. Oltre alla negazione, di fatto, dei diritti della donna, anche gli eventuali figli non godono di alcuna garanzia». Ma c’è chi contesta queste statistiche. «Le cifre che circolano sui giornali e in internet non sono fondate - af- identità - differenza Kuala Lumpur (Malaysia), Mohammed Ikramullah Ashaari a passeggio con tre delle sue mogli e undici dei suoi figli. AFFETTI E RISORSE «Con le mie due mogli non ho mai avuto problemi - osserva Edoardo -. Sono entrambe africane ed entrambe provengono da famiglie di cultura animista. La prima è sudafricana e l’ho sposata nel 1976 a Dakar (Senegal) con un rito civile. Abbiamo cercato di avere figli, ma invano. Proprio lei mi ha invitato a prendere una seconda moglie per diventare padre. Così mi sono sposato la seconda volta nel 1981 con una donna senegalese dalla quale ho avuto tre figli». Edoardo vive in Africa per 26 anni. A metà degli anni Novanta torna in Italia e la poligamia diventa un problema. Le mogli chiedono di avere due abitazioni separate. Lui si indebita per acquistare una cascina formata da due edifici divisi da un cortile. «Ai problemi logistici - ricorda - si sono aggiunti quelli burocratici. La prima moglie ha ottenuto la cittadinanza in quanto mia consorte ufficiale. Lo stesso è capitato ai miei figli. La seconda moglie invece è dovuta entrare in Italia con un visto turistico e poi, per anni, ha dovuto rinnovare il permesso di soggiorno». Edoardo dà una lettura critica della poligamia: «Un uomo che ha due mogli deve sottostare a regole precise. L’uomo deve dividersi equamente tra le diverse mogli. Non è solo una questione di “ripartizione di affetti”, ma anche di “ripartizione di risorse”. Il marito deve garantire alle mogli lo stesso tenore di vita. In breve, la vita per un marito diventa impossibile perché gestire due mogli non è cune comunità straniere praticano la semplice anche se le mogli, come le poligamia e non sono le comunità più mie, vanno d’accordo. Figuriamoci numerose in Italia. La poligamia ri- quando litigano». guarda un numero limitato di coppie A quella di Edoardo si affiancano esperienze caratterizall’interno delle quali la zate da violenze psicopresenza di più mogli «Se fossero logiche e fisiche sulle non crea alcun problema vere le cifre donne. «Nelle famiglie perché è normale nella che circolano poligamiche - sottolinea cultura di appartenenza - ribatte il Sbai - la maggior paro perché accettata dalle sociologo Allievi te delle donne subisce donne italiane che spo- - vorrebbe dire abusi. I mariti picchiano sano uno straniero». che in Italia ci ferma Stefano Allievi, professore di Sociologia all’Università di Padova -. Se davvero le famiglie poligamiche fossero 14.500 ciò significherebbe che in Italia il 15% delle coppie con entrambi i coniugi stranieri e il 6% di quelle con almeno un coniuge straniero sono poligame. E questo non è possibile. Anzitutto perché vorrebbe dire che in Italia, in proporzione, ci sono più famiglie poligamiche che in Marocco o in Algeria, Paesi di tradizione musulmana nei quali la percentuale si ferma però al 3%. In secondo luogo, perché solo al- sono più famiglie poligamiche che in Marocco e in Algeria» le mogli che non vogliono accettare la nuova sposa o, dopo qualche anno, abbandonano la seconda moglie e la donna si ritrova senza alimenti né garanzie perché non può chiedere il divorzio, dato che il suo matrimonio non ha effetti civili». FORZATE ALLA BIGAMIA Alcuni mariti sposano una seconda donna all’insaputa della prima. È il caso di Luisa B., italiana. Nel corso di una vacanza in Egitto ha conosciuto un uomo egiziano e si è innamorata di lui. Dopo due anni di fidanzamento a distanza, i due decidono di sposarsi civilmente presso l’ambasciata italiana al Cairo, poi nella sede del ministero degli Esteri egiziano. Un atto quindi legale in Italia e in Egitto. «Il matrimo«I mariti spesso nio - ricorda - è picchiano le mogli durato cinque che non accettano anni. I primi la nuova sposa tre sono andati o abbandonano abbastanza bela seconda. ne. Gli ultimi La donna si due sono staritrova così senza ti un inferno. garanzie perché Ho notato che non può chiedere lui, una volil divorzio» ta in Italia, ha subito una sorta di “regressione”. Inizialmente frequentava la Grande moschea di Roma. Poi ha iniziato a recarsi in altri centri di preghiera in periferia. Qui ha fatto gruppo con alcuni connazionali estremisti. Ogni volta che tornava a casa era sempre più sprezzante nei miei confronti. Diceva: “Se non ti converti all’islam, Allah mi manderà all’inferno”». In Italia, il marito ottiene un permesso di soggiorno per ricongiungimento famigliare e poi fa domanda per ottenere la cittadinanza italiana. Dopo cinque anni, torna in Egitto. Arrivato nel suo Paese sposa una ragazza egiziana che rimane incinta. Decide così di portarla in Italia. Poco tempo prima che il permesso di soggiorno scada, si rivolge a Luisa gennaio 2013 Popoli 31 inchiesta PAESI ISLAMICI Per il Corano è lecita, per la legge non sempre I l diritto musulmano prevede che la poligamia sia lecita e ammissibile fino al limite di quattro mogli. Secondo ricostruzioni storiche, nell’Arabia prima di Maometto la poligamia era praticata senza limitazioni. L’islam è intervenuto prescrivendo un limite quantitativo di quattro mogli e l’obbligo di pari trattamento delle mogli. L’islam avrebbe quindi ristretto e regolato un tipo di organizzazione familiare che esisteva precedentemente. Ma cosa si intende per «pari trattamento»? Il diritto islamico prevede che ogni moglie abbia spazi propri uguali a quelli dell’altra o delle altre mogli, il marito riservi lo stesso tempo a ognuna di esse e il trattamento economico deve essere pari per tutte le consorti. Nell’interpretazione contemporanea, alcuni teologi musulmani hanno collegato il versetto tradizionale, che imponeva la giustizia tra le consorti, a quello che sosteneva che, anche volendolo, gli uomini non possono essere «giusti» con tutte le mogli cioè non possono amare tutte le mogli con lo stesso amore. Ciò corrisponderebbe a una sorta di bocciatura della poligamia. In effetti non tutti i Paesi a maggioranza islamica ammettono la poligamia. In Turchia, per esempio, già nel 1923 è stato abolito il vecchio codice civile ottomano, molto influenzato dal diritto musulmano, ed è stato sostituito da un codice ispirato alle legislazioni europee. Questo nuovo codice ha recepito il modello di famiglia monogamica. Lo stesso è avvenuto in Tunisia nel 1956. Qui Habib Bourguiba, leader della lotta per l’indipendenza e fondatore della Tunisia moderna, ha introdotto la monogamia sostenendo che questo modello familiare monogamico portava a termine la rivoluzione che era stata avviata dall’islam. La rivelazione islamica era infatti diretta a un popolo che non era ancora in grado di passare da un regime di poligamia illimitata alla monogamia. Ed è per questo che il diritto islamico aveva indicato una strada vincolando la poligamia preislamica, ma il punto finale era in realtà la monogamia. Marocco e Algeria pur non abolendo la poligamia hanno introdotto disposizioni che tendono a limitarla. In Marocco, per esempio, il codice di famiglia prevede che il marito debba chiedere alla moglie l’autorizzazione per poter contrarre un altro matrimonio e debba farlo di fronte a un notaio. La poligamia è invece ancora ampiamente praticata in Egitto e nei Paesi del Golfo, dove la sharia è ancora la fonte principale del diritto. Nantes (Francia), un immigrato musulmano con le sue due mogli. 32 Popoli gennaio 2013 chiedendole aiuto per concludere la pratica per la cittadinanza. «Siccome ero ancora innamorata e ignara del fatto che si fosse sposato, ho deciso di dargli una mano - ricorda -. Sono andata all’Ufficio cittadinanza dove gli è stata rilasciata la Carta di soggiorno. Dopo un po’ di giorni mi ha detto dell’altra moglie e della figlia. Nell’annunciarmelo mi ha insultato e mi ha picchiato, dicendomi che, in quanto musulmano, voleva sposarsi quattro volte». Di fronte a questa situazione, Luisa denuncia l’uomo per bigamia. A dicembre è iniziato un processo per revocare la cittadinanza all’ex marito perché, in quanto bigamo, avrebbe violato i valori della nostra Carta costituzionale. IN FUGA DAL MARITO Anche la storia di Najet è esemplare. Lei, marocchina, sposa un egiziano e con lui ha quattro figli. Ma al marito non basta una sola moglie così torna in Egitto e si risposa. A malincuore, lei accetta il nuovo matrimonio. Quando però il consorte fa venire in Italia la seconda moglie, Najet non vuole convivere con un’altra donna e denuncia il marito. Lui scappa in Egitto insieme alla seconda moglie, ai due figli di questa e ai due figli più piccoli di Najet. Nonostante le denunce (per bigamia e violenze), gli esposti alla magistratura, gli appelli all’ambasciata egiziana, Najet non riesce a farsi affidare i figli. Dopo sei anni di sofferenze, organizza un colpo di mano. Va in Egitto li prende davanti alla scuola e fugge in Libia da dove poi si trasferisce in Marocco. «Ho raccolto le testimonianze di donne costrette a vivere con le altre mogli, il marito e i figli in 45 mq racconta Sbai -. E le mogli dormivano una sera in salotto e l’altra nella stanza da letto insieme al marito. Per molte donne sentire il marito a letto con l’altra moglie è causa di gravi sofferenze psicologiche. Perché non denunciano alla polizia o alla magistratura questa situazio- ne? Queste donne hanno un livello basso di istruzione e non parlano italiano. Non conoscono i loro diritti e credono che quella condizione sia un qualcosa di ineluttabile». Spesso poi vengono picchiate. «Ciò che più colpisce è l’assenza delle istituzioni conclude Souad Sbai -. In Parlamento non esistono progetti di legge per limitare il fenomeno. Ho presentato numerose interpellanze per chiedere un intervento governativo, ma non ho ricevuto risposte». Ma lavorare sul fronte legislativo è sufficiente? «La poligamia è inaccettabile e la legge giustamente la punisce - spiega Khaled Chaouki, responsabile “Nuovi italiani” del Pd -. Però, più che sotto il profilo legislativo, credo si debba intervenire sul fronte culturale e sociale. È indispensabile un lavoro di sensibilizzazione sui temi dei diritti della donna e della parità dei sessi. Un lavoro che va fatto insieme alla società civile e alle comunità islamiche. Qualche risultato è già stato raggiunto. Per esempio, alcune associazioni e comunità islamiche (a partire dalla Grande moschea di Roma), prima di celebrare un matrimonio religioso, chiedono alla coppia di sposarsi civilmente. In questo modo prevengono la poligamia e, allo stesso tempo, non giustificano dal punto di vista religioso una pratica che è illegale». In Europa la famiglia è monogamica, però... P erché le legislazioni europee proibiscono la poligamia? In Europa - spiega Roberta Aluffi, docente di Diritto privato comparato all’Università degli Studi di Torino -, la scelta, da parte degli ordinamenti, del modello di famiglia monogamica è antica e affonda le radici nella tradizione giudeo-cristiana. Il diritto di famiglia ha fatto proprio il modello della coppia monogamica affermato nei codici canonici. La nascita degli Stati laici non ha modificato questa impostazione. Tanto è vero che anche i matrimoni civili sono sempre stati pensati come unioni monogamiche. Come si comportano i Paesi europei di fronte a matrimoni poligamici contratti fuori dal territorio europeo? Garantire i diritti fondamentali alle mogli che hanno contratto un matrimonio poligamico in un Paese in cui è permesso è un problema. È possibile fare entrare nell’asse ereditario tutte le mogli? Se il marito muore in un incidente, le mogli hanno lo stesso diritto di ottenere il risarcimento dei danni? Finora i giudici europei IL CODICE PENALE ITALIANO La poligamia è reato N el nostro Paese la legislazione vieta la poligamia. L’articolo n. 556 del codice penale italiano è molto chiaro e recita: «Chiunque, essendo legato da matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro, pure avente effetti civili, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi, non essendo coniugato, contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili. La pena è aumentata se il colpevole ha indotto in errore la persona, con la quale ha contratto matrimonio, sulla libertà dello stato proprio o di lei». Il nostro ordinamento quindi punisce chi contrae più matrimoni aventi effetti civili riconosciuti dalla legge italiana. Secondo la norma, il reato si estingue solo se il precedente matrimonio è dichiarato nullo. Non è invece causa di estinzione il divorzio o la morte del primo coniuge. Alcune recenti sentenze della Corte di cassazione hanno però segnato aperture nei confronti della poligamia. Tra esse, vanno segnalati due pronunciamenti del 1999 che hanno riconosciuto la possibilità per un padre poligamo di riconoscere come «figlio naturale» il figlio nato dal secondo matrimonio. hanno risposto cercando di estendere i diritti a tutte le mogli. Anche se ci sono eccezioni. Una di queste è la pensione di reversibilità. In Inghilterra, per esempio, non viene concessa a nessuna moglie; in Francia e in Italia, solo alla moglie sposata con una cerimonia avente effetti civili; in Germania, è garantita a tutte le mogli. Com’è possibile che in Italia, nonostante il codice vieti la bigamia, vivano numerose famiglie poligame? Nel nostro Paese non è possibile contrarre due matrimoni con effetti civili e non è neppure possibile per uno straniero chiedere il ricongiungimento famigliare per le mogli non sposate con matrimoni aventi effetti civili. Uno straniero residente in Italia e sposato con due donne può però chiedere un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare per una moglie e per l’altra (o le altre) chiedere un visto per altri motivi (turismo, lavoro, ecc.). Ma è anche possibile crearsi una famiglia poligamica vivendo nel nostro Paese. La prima moglie può essere sposata con una cerimonia civile. La seconda con un matrimonio religioso, come quello islamico, che non produce effetti civili e quindi non è riconosciuto dallo Stato. Quale trattamento riserva la legge italiana ai figli di un unico padre, ma di madri diverse? I figli di un’eventuale seconda moglie sposata all’estero o in Italia con il rito religioso sono riconosciuti come figli naturali. Grazie alla legge approvata il 29 novembre, tra figli naturali e legittimi non esiste più alcuna differenza di fronte alla legge. gennaio 2013 Popoli 33 inchiesta Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello Sanzio, conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano. Alle radici della monogamia, tra Bibbia e diritto romano Stefano Cucchetti * T re ordini di idee si raccolgono attorno al prioritario riferimento monogamico nella cultura occidentale di matrice giudaico-cristiana. Il legame tra queste tre correnti può aiutarci a comprendere meglio la radice di questa proclamazione valoriale e a entrare in dialogo con prospettive culturali differenti. Troviamo un primo riferimento nello sviluppo storico-teologico descritto dalle fonti scritturistiche dell’Antico e Nuovo Testamento. L’Antico Testamento mostra una fluidità della situazione istituzionale del matrimonio in consonanza con le culture circostanti il popolo di Israele. Due fattori hanno condotto verso un progressivo affermarsi della monogamia assoluta: da un parte l’esigenza pratica di provvedere concretamente al mantenimento di più famiglie e di evitare inutili contese e frazionamenti del patrimonio familiare; dall’altra la rilettura teologica, sviluppatasi in ambito profetico, che istituisce un legame tra l’amore dell’uomo e della donna e l’alleanza di Dio con il popolo. Si ritrova il compimento di questa linea nell’insegnamento cristiano che evidenzia come all’origine del legame che unisce uomo e donna stia l’esclusività dell’amore di Cristo per la sua Chiesa. Un secondo riferimento spiega l’affermarsi della pratica monogamica: la traduzione del vincolo matrimoniale all’interno dell’ordinamento giuridico occidentale, di matrice romana. Il modello contrattuale per dire il patto coniugale nel contesto romano assume la 34 Popoli gennaio 2013 fiducia nella libera responsabilità dei soggetti in vista del bene comune tipica di quella cultura giuridica. Concretamente l’esigenza di custodia del vincolo patrimoniale e sociale si traduce nell’esclusività del vincolo affidato alla libertà dei coniugi. UNA SCELTA DI LIBERTÀ Dalla considerazione delle due principali radici della cultura occidentale viene una terza riflessione più antropologica ed etica. Entrambe le correnti appoggiano l’affermazione progressiva della monogamia alla considerazione della consistenza reale della libertà. Nel primo caso si evidenzia la profonda radice teologica: il decidersi dell’uomo e della donna ha sempre a che fare con la salvezza, con il compimento che rimanda alla sua figura assoluta in Dio. Nel secondo caso si sottolinea invece la dimensione intrinsecamente sociale della libertà: la decisione verso l’altro coniuge è decisione per gli altri che mi circondano, scelta che si traduce nella costruzione di vincoli sociali precisi. A queste due considerazioni, l’antropologia contemporanea ne aggiunge una terza: la consistenza corporea della libertà. Non si dà scelta che non sia incarnata in un corpo. Per questo la decisione di consegna di sé all’altro deve fare i conti con l’unicità della carne. La mia libertà di donarmi all’amato/a si confronta con la consistenza dell’uno e dell’intero che io sono nel mio corpo: non posso donare una parte di me. Perché il legame che affermo sia vero, il dono deve essere totale e quindi non lasciare più nulla per altri. Queste tre piste di riflessione indicano una direzione di cammino utile sia all’approfondimento teorico, sia alla pratica nella nostra società plurale: cartina di tornasole per misurare la tenuta di forme istituzionali anche diverse e per condurre un dialogo serio è la considerazione della libertà nelle sue dimensioni oggettive, concrete e profonde. Il dialogo deve concentrarsi attorno alla figura e al modello di libertà incarnato in pratiche familiari anche differenti. Ciò consentirebbe di poter meglio comprendere le prassi a noi più comuni e includere le diverse visioni in una seria pratica di (auto) critica. * Docente di Teologia morale presso il Seminario di Milano e l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano melanesia Nuova Caledonia o Kanaky? Testo: Maria Luisa Lucchesi Foto: Marc Le Chelard/ Afp Nouméa (Nuova Caledonia) I Nell’arcipelago del Pacifico dominato dalla Francia, il percorso a ostacoli verso l’indipendenza rispecchia ideali e interessi, ma soprattutto le fragilità del popolo autoctono l 1º agosto 2012 il ministro francese dei Territori d’Oltremare, «Kanaky», il nome che dovrebbe asVictorin Lurel, dopo l’incontro sumere il più grande possedimento di Parigi con Paul Néaoutyine, pre- francese nel Pacifico se diventasse sidente di una delle province della davvero indipendente. Non prima, Nuova Caledonia e fautore dell’in- però, del 2014. L’accordo di Nouméa, dipendenza del Paese, ha detto alla siglato nel 1998, prevede infatti che stampa che «il nuovo governo di tra il 2014 e il 2018 (ma tutto fa Parigi si interessa al futuro della pensare che il referendum si possa Nuova Caledonia-Kanaky». La fra- tenere già l’anno prossimo), il popolo caledoniano si possa se dall’altra parte del esprimere sull’indipenmondo ha suscitato forti L’attività denza del proprio Paee contrastanti reazioni politica se, scegliere una propria perché, per la prima è legata bandiera - forse quella volta, un ministro della al referendum indipendentista che già Repubblica ha utilizza- che si potrebbe dal 2010 affianca il trito, in una dichiarazio- tenere già colore francese - e un ne pubblica, il termine nel 2014 e che vedrebbe contrapposti gli indipendentisti e i caldoches nuovo nome, Kanaky, appunto. Ogni attività politica nell’arcipelago, grande come il Veneto, è sempre più finalizzata a questo obiettivo, con una divisione molto netta tra due schieramenti contrapposti. Da una parte, il Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista (Flnks), che raggruppa i diversi partiti e movimenti favorevoli all’indipendenza, dall’altra i caldoches, i caledoniani di origine europea giunti nel corso di un secolo e mezzo di colonizzazione, che vogliono, invece, mantenere ben saldi i rapporti con la métropole, come chiamano la Francia da queste parti. gennaio 2013 Popoli 35 melanesia Una guida kanak nelle Isole della Lealtà. Sotto, uno slum di Nouméa. Nella pagina precedente, una donna sventola le bandiere francese e locale. CRONOLOGIA Isole della Lealtà Grande Terre Oceano Pacifico NUOVA CALEDONIA Nouméa >1774 Gli europei (James Cook) giungono per la prima volta nell’isola di Grande Terre, cui viene dato il nome di New Caledonia (dal nome latino della Scozia). >1841 Arrivo dei primi missionari, anglica- ni (London Missionary Society) e cattolici francesi (fratelli maristi). >1853 Occupazione militare francese, proclamazione della colonia e fondazione di Nouméa. >1864-1897 Istituzione della colonia penale che accoglie circa 40mila detenuti. Scoperta dei giacimenti di nichel. >1878 Prima grande rivolta kanak (1.200 indigeni vengono uccisi). Altre seguono nel 1913 e 1917. >1931 Un gruppo di kanak sono messi in mostra come cannibali all’Esposizione coloniale di Parigi. >1946 Istituzione del Territorio d’Oltremare e concessione della nazionalità francese a tutti gli indigeni. >1975 Prime rivendicazioni indipendentiste. >1984 Nascita del Flnks. Escalation delle violenze. >1988 Accordo di Matignon e promessa di un referendum entro il 2018. >1989 Il leader indipendentista Jean-Marie Tjibaou è assassinato da un estremista kanak. >1998 Accordo di Nouméa che amplia l’autonomia del Paese e le tutele dell’identità kanak. 36 Popoli gennaio 2013 Il clima politico nell’isola durante le hanno investito nel Paese. «Non so elezioni del 2012 per i due rappresen- che cosa succederà tra due anni», tanti locali al parlamento francese è dice Stephanie, seduta al tavolino stato estremamente teso e i risultati di una gelateria dell’affollata Baie hanno confermato la spaccatura in des Citrons, dal nome e dall’atmodue fronti. Alla fine hanno prevalso sfera fintamente italiana. Stephanie i candidati di Calédonie Ensemble, è arrivata in Nuova Caledonia da partito della destra sociale favore- Nizza con la famiglia: «Mio marito vole al mantenimento ha aperto una piccola dei legami con la Fran- I blancs azienda di informatica cia. L’affermazione del temono, con e per adesso tutto va a partito indipendentista l’indipendenza, gonfie vele. Ma noi non (secondo, con il 27% di perdere tutto avremo la possibilità di dei voti) è stata consi- ciò che hanno esprimere la nostra voderevole, ha raggiun- investito nel lontà sulla questione into il 36% nella Grande Paese. Per alcuni dipendenza, perché siaTerre (se si esclude la è scontato mo qui da meno di dieci capitale). Sconfitti sono considerarlo anni e non potremo risultati i partiti mo- di proprietà votare. Spero solo che derati che sembrano francese non ci saranno violenze non rappresentare più come trent’anni fa». un elettorato stanco di Non è un caso che tanti compromessi. Si percefrancesi in cerca di lavopisce, anche parlando con la gente in ro arrivino sempre più numerosi: anstrada, come non sia più il momento che questa potrebbe risultare, infatti, delle «vie di mezzo». una forma di colonizzazione, meno cruenta e più moderna, ma altrettanLE PAURE DI UNA SEPARAZIONE to efficace. Alcuni di loro, soprattutto I blancs temono che, se la Nuova i più giovani, non sembrano pensare Caledonia diventerà Kanaky, ci sarà che un giorno non molto lontano il rischio di perdere tutto quello che la Nuova Caledonia possa diventare indipendente. Forse per qualcuno è scontato considerare la Nuova Caledonia di proprietà francese. Nessuno lo dice, ma si comportano come se fossero a casa propria. Ma anche tra i caldoches qualcuno pensa che la Nuova Caledonia debba essere indipendente. «I francesi che arrivano credono di poter fare come in Francia», si sfoga Marie, francese, insegnante in un piccolo villaggio kanak nel nord-est della Grande Terre. È arrivata trent’anni fa e non ha nessuna voglia di tornarsene a Nouméa né, tantomeno, in Francia. «Spadroneggiano, ma non hanno capito che qui non siamo a casa nostra. La maggior parte si ferma a Nouméa dove possono fingere di essere in Europa. Chi va tra i kanak e non ha una predisposizione a cambiare vita, appena può scappa in città. Non condividono, non vogliono conoscere». Fra le tribù Dall’altra parte, i kanak, subito dopo le elezioni, hanno avviato una capillare azione di sensibilizzazione delle genti delle tribù, perché comprendano l’importanza della loro partecipazione attiva alla vita politica. Un limite all’affermazione elettorale dei partiti indipendentisti è proprio il fatto che molti autoctoni non sono iscritti alle liste elettorali né sentono come propria un’azione politica che si svolge soprattutto nella capitale. Ma sarebbero loro a fare la differenza in un referendum. Manca ancora un’unità di vedute. «Non siamo capaci di gestire un Paese - osserva Charline, guida turistica kanak di Farino, nel centro dell’isola -: vedi queste terre? Qui c’erano i coloni e tutto era coltivato e rigoglioso, poi i kanak ne hanno rivendicato la proprietà e i francesi per non avere troppi problemi se ne sono andati. Risultato? Ora tutto è lasciato a se stesso!» Secondo Charline, se i kanak non riescono a gestire un piccolo territorio, come potranno gestire il Paese? «Meglio restare con la Francia», conclude. Charline vive in piena brousse, dove i caldoches sono presenti da lungo tempo, sulla costa occidentale. È nella costa orientale, nel Nord e isole minori che la situazione è ben diversa: tutti i villaggi soLa consapevolezza no molto più della identità legati alla traaborigena non è dizione e alla scomparsa sotto cultura aborila pressione gena e la vofrancese, anche lontà di essere grazie al contributo indipendenti è di Jean-Marie più forte. C’è la Tjibaou, fondatore consapevolezdel Flnks, ucciso za che la terra nel 1989 è dei kanak e devono essere loro a gestirne le ricchezze. La consapevolezza della propria identità non è scomparsa sotto la pressione francese e a questo ha contribuito Jean-Marie Tjibaou, il fondatore del Flnks negli anni Settanta, ucciso nel 1989. Ciò che sembra mancare è la fiducia nelle politigennaio 2013 Popoli 37 melanesia che attuate oggi dal partito. Di tribù in tribù, da Tiendanite, nel nord della Grande Terre, a Montfaoué, agglomerato kanak nelle montagne del centro, fino alle Isole della Lealtà, ci si sente ripetere che la questione dell’indipendenza oggi non è più decisa dal popolo, come ai tempi di tata (papà) Tjibaou, ma da pochi uomini chiusi nelle stanze del potere. Ma senza l’elettorato kanak, anche i leader politici iniziano a comprendere che non andranno lontano. LA VISIONE DI TJIBAOU Durante il nostro soggiorno a Tiendanite, luogo simbolo per gli indipendentisti, dove Jean-Marie Tjibaou è nato ed è sepolto, abbiamo l’opportunità di assistere a una riunione del consiglio della tribù, indetta per organizzare un incontro tra i dirigenti del Flnks e i capi tribù di tutto il Paese. Scopo dell’incontro nazionale, spiega Viané Tjibaou, fratello del leader indipendentista e attuale 38 Popoli gennaio 2013 capo di Tiendanite, sarà fare il pun- tolico convinto, ma per sua stessa to della situazione dopo le elezioni indole. Nel 1984 il Paese era sull’ornazionali francesi e rendere note lo della guerra civile, con scontri le strategie per il referendum del violenti e tensioni continue: «La 2014, perché ogni capo tribù possa gendarmerie era ovunque - ricorda convincere la propria gente a votare. Felix -. Quella notte [il 5 dicembre Incontriamo anche Felix Tjibaou, 1984, ndr], morirono in dieci, tutti cugino dell’ex leader e memoria di Tiendanite, uccisi dai caldoches in storica della tribù. «Un giorno Jean- un’imboscata». Tra di essi anche due Marie arrivò ci disse che voleva fratelli di Jean-Marie. «Sono sepolti lasciare l’abito talare perché come là - aggiunge Felix, mentre indica prete non poteva più aiutare il suo la fila di tombe accanto alla chiesa popolo. Per noi fu uno choc. Suo della tribù -. I caldoches erano stati fratello Louis, che allora era chef armati da chi voleva destabilizzadella tribù, gli disse che spettava re la Nuova Caledonia e favorire solo a lui decidere. Jean-Marie ri- un intervento armato della Francia. spose: «Se continuo a portare la ve- Jean-Marie sapeva che per noi l’uste, è come se voi foste davanti alla nico modo per non essere sopraffatti montagna e io dietro: era riportare la calma e non posso difender- «Era un uomo di riprendere il dialogo». vi». Era il 1971 e Jean- pace - racconta Bernard è tra i sopravMarie Tjibaou andava un cugino di vissuti dell’imboscata, incontro al suo destino. Tjibaou -, non di cui porta ancora i Felix lo descrive come solo perché era segni. La sera, durante un uomo di pace e non un cattolico una cena nella veransolo perché era un cat- convinto. Si da ci racconta di come rifaceva al concetto di interdipendenza dei kanak» Tjibaou fosse un visionario, uno che sapeva andare oltre il contingente. «La sua idea di indipendenza - osserva - si rifaceva al concetto di interdipendenza tipico del modello relazionale kanak, per cui l’individuo è inserito in un contesto fatto di rapporti reciproci in continua evoluzione, tra gli individui stessi, i clan, le chefferies». Con la sua azione Tjibaou ha tentato di riformulare questo concetto in un contesto moderno e in un ambito di relazioni mondiali della Nuova Caledonia, partendo dal presupposto che l’indipendenza assoluta non esiste. Nel termine “popolo” egli includeva anche le altre comunità caledoniane (asiatici, caldoches, melanesiani), non solo i kanak, a condizione che esse cominciassero a sentirsi tali. Voleva che, una volta composte le differenze tra le etnie, il popolo sovrano e indipendente avrebbe potuto avere una serie di “interdipendenze” con il resto del mondo, ma scelte in modo autonomo e non imposte». Fuori da Nouméa, l’unica città intesa in senso occidentale, esistono solo piccoli e piccolissimi villaggi che si reggono sulle attività agricole, la pesca, l’estrazione del nichel (di cui la Nuova Caledonia è il terzo esportatore al mondo) e il turismo. Felix Tjibaou di fronte a un ritratto del leader kanak Jean-Marie Tjibaou. Sotto, riunione in una casa tradizionale. Qui le tante tribù kanak conducono una vita in cui il tempo si dilata fino a scomparire quasi del tutto. Vivere in tribù vuol dire lasciarsi guidare dalla natura e dalle sue cadenze: ci si occupa quasi esclusivamente di coltivare e raccogliere ciò che serve a mangiare, andare a caccia e, da qualche anno a questa parte, accogliere i turisti in spartane strutture che seguono le regole della vita locale. Poche sono le case in muratura, affiancate da capanne che vengono preferite per trascorrere i mesi più caldi. L’impatto della modernità porta con sé un carico di contraddizioni e, soprattutto, il fatto che a molti - i più giovani, soprattutto - la vita in tribù non basta più. Tv, telefoni M.L. LUCCHESI Nouméa, il Centro Tjibaou, progettato nel 1998 da Renzo Piano e dedicato alla cultura aborigena. cellulari, internet, automobili, abiti hanno un costo, la ricerca di denaro e di un lavoro fuori dalla tribù si fanno più pressanti. Molti uomini se ne vanno per lavorare nelle miniere di nichel, fonte di reddito sicuro, e si riducono le braccia per coltivare igname e taro. Numerosi giovani scelgono di studiare, partono per la capitale, talvolta per la Francia, e non tornano più. Alcuni, una volta in città, faticano ad adattarsi alle regole Fuori dalla capitale della moderNouméa, i villaggi nità che non sono legati alla appartengono tradizione e alla alla cultura di cultura aborigena. origine. Così, La consapevolezza finiscono per dell’identità è trovarsi in un rimasta forte, limbo in cui nonché il desiderio non sanno più di gestire le risorse chi sono e, in locali come il nichel questa incertezza, possono diventare facili vittime di alcol e droghe. Gli atti di violenza che li vedono protagonisti sono frequenti e preoccupanti, soprattutto perché è proprio su questa loro «inadeguatezza» che una delinquenza decisamente più organizzata fa leva per aprirsi un nuovo mercato. A conferma delle fragilità e dei condizionamenti che i kanak vivono nel loro percorso verso l’indipendenza. gennaio 2013 Popoli 39 idee Pietro Bovati SJ S in dalle prime pagine, la Bibbia parla della città, della fondazione della città, cioè del suo costituirsi come entità specifica e istituzionale. La prima sorpresa è vedere che l’iniziativa di costruire la città è attribuita ai figli di Caino, anzi la prima città prende il nome dal primo figlio di Caino, Enoch. Quasi un rimedio contro la condanna dell’uomo al vagare nomadico per costituirsi in entità collettiva. Essere figli di Caino significa essere portatori di una tradizione di violenza, che si manifesta nel fatto che il primo costruttore della città è il padre di Lamech, l’uomo della ritorsione, della vendetta, che salva la propria vita mediante la minaccia. E i figli di Caino sono coloro che hanno promosso la tecnologia: sono infatti gli inventori della fusione, i primi fonditori del bronzo e Abramo è un del ferro, cioè immigrato, non solo un migrante. i creatori degli strumenti del È uno straniero lavoro agricolo che attraversa perfezionato e le frontiere, si stabilisce in un degli strumenti della guerra, altro territorio, ma anche coloro domanda che applicano la a questa terra tecnica all’arte: di essere accolto sono poeti, suonatori di cetra e di flauto. La tecnologia e la città vanno assieme e hanno in se stesse, per loro natura, un’intrinseca propensione alla violenza, quella di sopraffare coloro che non sono della città, di conquistare nuovi territori, di coalizzarsi per dominare mediante la minaccia. IL PROGETTO DI BABELE Questa visione critica della città nella sua prima costituzione è emblematicamente tematizzata nella Scrittura dal racconto della città simbolo, che è Babele. 40 Popoli gennaio 2013 La città e lo straniero Il progetto di costruzione della prima «metropoli», Babele, si incrocia nel racconto biblico con la figura dello straniero impersonata da Abramo, personaggio che cerca e offre accoglienza. Un noto biblista offre uno spunto di riflessione in vista della Giornata mondiale delle migrazioni, il 13 gennaio Babele nasce perché gli uomini percepiscono che la divisione e la dispersione sono un male, perché la divisione tra i popoli stabilisce quasi necessariamente un confronto e conseguentemente una rivalità, e d’altra parte si intuisce che la collaborazione, cioè il lavoro fatto insieme, può portare a un migliore risultato. Nasce quindi il progetto, la città come progetto di unificazione, basato sulle risorse di una qualche lingua comune, di una qualche convergenza nei valori e soprattutto di una terra, di un contenitore nel quale introdurre la molteplicità. E il progetto della città prende la forma di una costruzione, dove la tecnica è una funzione essenziale, perché bisogna creare artificialmente qualcosa che serva e che costituisca il legame tra i cittadini: si creano strade, piazze, luoghi di incontro, si dà concretezza e forma al progetto. Grande Torre di Babele di Pieter Bruegel il Vecchio (Kunsthistorisches Museum di Vienna): una delle più celebri opere d’arte che hanno messo a tema il racconto biblico. Ma questa città materiale deve es- re tutti a un unico modello. L’idea sere collegata con forme di costru- del diverso sembra essere negata zione di tipo spirituale, si devono dal principio di totalitarismo di cui creare vincoli di natura giuridica, Babele è la prima manifestazione assieme a legami di interesse, so- nella storia e che sarà seguita da prattutto economico, e a strumenti tutte le altre città-Stato, da tutte le di difesa dei propri diritti. forme imperialiste che imporranno In questa città, Babele, dove alcu- la stessa lingua, la stessa religione, ni uomini decidono di unificare la stessa cultura, lo stesso diritto, il mondo, si costruisce anche una lo stesso modo di vestire, lo stesso torre che va fino al cielo, proba- modo di pensare a tutti gli uomini. bilmente un edificio templare, un grande santuario provvisto di gra- ABRAMO, STRANIERO dini, che porti simbolicamente ver- CHE ACCOGLIE so il cielo, cioè verso Dio. Ma anche L’intervento di Dio contro questo un edificio che costituisca un punto progetto di uniformizzazione, cioè il di raduno di tutti gli uomini della tentativo di obbligare tutti a essere terra, i quali, vedendo questa alta uguali, con la stessa forma, è quello torre, possano avere un principio di disperdere gli uomini, di confondi orientamento e di convergenza dere le lingue in modo che il pronell’unità. getto non abbia efficacia. Tuttavia, Tutto questo nella Scrittura è pre- questa modalità è parziale, poiché sentato come una grande metafo- sarebbe esclusivamente punitiva nei ra, quella del progetto confronti di un’umaniumano che cerca la co- Il progetto di tà che desidera andare munione tra gli uomini. Babele è visto verso un’unità. Allora la E la sorpresa narrativa negativamente Scrittura introduce l’eè che questo progetto da Dio perché lemento dello straniero così ambizioso, potrem- il tentativo è di come guarigione del tomo dire così intriso di ricondurre tutti talitarismo della città. religiosità, viene criti- a unico modello. La figura dello stracato da Dio, che vi vede L’idea del diverso niero, nella tradizione il principio di un’azio- è negata biblica, è impersonata ne negativa, distruttiva dal principio anzitutto dal personagdell’umanità stessa. gio di Abramo. Abramo di totalitarismo È difficile comprendeè uno che attraversa le re per quali ragioni il frontiere, che non fa del progetto della città sia territorio, del possesso visto così negativamente da Dio. di una terra, la fonte della sua diCi sono varie interpretazioni. Ad gnità, che osa entrare in zone dove esempio quella del Midrash ebraico si parla un’altra lingua, che osa indice che tutti erano così interes- contrare persone che non sono della sati al progetto che dimenticava- sua genealogia, cioè della sua etnia. no la vita, si preoccupavano solo Questo straniero, che attraversa le di costruire anziché accogliere i frontiere e si stabilisce in un altro bambini e seppellire gli anziani. territorio, diventa un immigrato. C’è l’interpretazione che vede nella Non è solo un migrante, è uno che torre di Babele un progetto tita- entra in una terra e domanda a quenico, blasfemo, di sfida al divino. sta terra di essere accolto. Ma quello che soprattutto è chiaro La condizione dell’immigrato è una è che la città sembra essere un condizione sfavorevole, di debolezprogetto di uniformizzazione degli za. L’immigrato è solo desideroso uomini, che cerca cioè di ricondur- di essere accolto, non può accam- pare in maniera precisa nessuno dei diritti che vengono di solito riconosciuti al cittadino. Tuttavia, secondo la Bibbia, Abramo è la benedizione della città. È colui che, proprio per la sua diversità, toglie alla città la sua valenza totalitaria, chiede alla città di aprirsi a una meraviglia, a un’attesa, a un Per la Bibbia volto che non lo straniero è la veniva prima benedizione della riconosciuto. città. È colui Si dice inoltre che, proprio per nella Bibbia che la sua diversità, Abramo è lui toglie alla città stesso benedetla sua valenza to. Benedetto totalitaria. Poi perché accetta lui sarà il primo questa condiad accogliere zione per essere portatore di benedizione. Non solo: Abramo, essendo un immigrato, capisce cosa vuole dire l’accoglienza. E così, al capitolo 18 della Genesi leggiamo che lui, immigrato, è il primo che accoglie gli stranieri che passano. E questa accoglienza dello straniero nella sua tenda è il principio della sua propria fecondità. Poi incontrerà la città di Sodoma, che vuole condurre tutti a un’unica forma, che vuole sfruttare i suoi ospiti, renderli strumenti della sua propria vita. Tuttavia lui non agisce contro questa città combattendola, ma diventa l’intercessore, cioè rimane sempre figura di benedizione. L’EVENTO E L’AUTORE I l testo è la trascrizione (rivista dall’Autore) dell’intervento tenuto il 6 ottobre scorso in occasione di «Milano al plurale», rassegna organizzata da Popoli e Fondazione Culturale San Fedele sui temi della pluralità culturale e religiosa nella città contemporanea. Pietro Bovati, biblista gesuita, professore emerito di Esegesi al Pontificio istituto biblico di Roma, è intervenuto insieme a Marc Augé, Maria Grazia Guida, Amara Lakhous, Roberto Benaglia e Maurizio Ambrosini, alla tavola rotonda «La città plurale: da emergenza a risorsa». Altri testi e alcuni video di «Milano al plurale» sono disponibili su www.popoli.info e sul nostro canale gennaio YouTube.2013 Popoli 41 la foto Etiopia, Epifania copta Lalibela (Etiopia), la Chiesa copto ortodossa festeggia l’Epifania (Timkat) il 18 e il 19 gennaio. Le celebrazioni terminano con una benedizione collettiva dei fedeli. (Foto: E. Casale) 42 Popoli gennaio 2013 gennaio 2013 Popoli 43 concilio/2 Pondicherry: la cattedrale cattolica risalente alla colonizzazione francese della città indiana. Uno sguardo indiano In che modo le tre grandi intuizioni conciliari sono state fatte proprie dalla Chiesa in India e dalle Chiese locali? Secondo uno dei più noti teologi del subcontinente molto resta ancora da fare. Il secondo articolo della nostra serie Michael Amaladoss SJ Chennai (India) G uardando indietro al Concilio Vaticano II, mi sembra che si possano individuare in tre aree le sue maggiori spinte in avanti: la Chiesa universale come comunione di Chiese locali; la Chiesa intesa innanzitutto come il popolo di Dio, al cui servizio ci sono i ministri; la Chiesa in dialogo con il mondo, con le altre religioni e le altre Chiese. COMUNIONE DI CHIESE LOCALI Il primissimo documento del Concilio, incentrato sulla liturgia, ha posto le basi per una visione della 44 Popoli gennaio 2013 struttura alla Chiesa come comunione di Chiese locali. L’organizzazione della Chiesa, tuttavia, rimane fortemente centralizzata. Ma, mentre la liturgia ufficiale è protetta con attenzione, sono visibili alcuni fenomeni nell’ambito della religiosità, della spiritualità e della teologia popolari. I cristiani si pongono in dialogo con la società intorno a loro, come testimoniano le teologie legate ai dalit, ai tribali, al femminismo ed all’ecologismo che affondano le radici nelle culture locali. In un’epoca postcoloniale le persone non possono essere completamente sottomesse. Una sfida ci è stata lanciata quando Giovanni Paolo II scrisse nella Fides et ratio: «Un grande slancio spirituale porta il pensiero indiano alla ricerca di un’esperienza che, liberando lo spirito dai condizionamenti del tempo e dello spazio, abbia valore di assoluto. [...] Spetta ai cristiani di oggi, innanzitutto a quelli dell’India, il compito di estrarre da questo ricco patrimonio gli elementi compatibili con la loro fede» (72). Ma quanto siamo davvero liberi? Quando i gruppi estremisti hindu definiscono il cristianesimo una religione straniera noi non possiamo davvero ribattere che siamo indiani, che ci finanziamo, ci diffondiamo e ci governiamo da soli. Abbiamo ancora molta strada da fare per diventare una Chiesa propriamente indiana. È un nostro compito, non qualcosa che ci sarà donato da altri. Chiesa universale come comunione di Chiese locali. Esso parla della necessità di inculturare la liturgia e attribuisce la responsabilità alle conferenze episcopali locali (Sacrosanctum Concilium, 37-40). L’uso delle lingue e delle musiche locali POPOLO DI DIO rende visibile la varietà delle Chiese La seconda grande acquisizione del locali. La Gaudium et Spes (53-62), Concilio è il comprendersi della parlando del dialogo tra il Vangelo Chiesa innanzitutto come popolo di e le culture, indica coDio (Lumen Gentium, me nasce davvero una Scopo della 9-17). Il Concilio, priChiesa locale. La vi- missione è allora ma di parlare della sua sione della collegialità il Regno di Dio struttura gerarchica, dei vescovi e istituzioni e la Chiesa presenta la Chiesa come come il sinodo dei ve- come suo il popolo di Dio. È il poscovi e le conferenze simbolo e serva. polo della nuova alleepiscopali danno una Tutte le religioni anza con la legge di Dio sono viste come compagne nel pellegrinaggio verso il Regno scritta nel cuore (cfr Geremia 31, 31-34). San Pietro la definisce «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa… voi che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio» (1 Pietro 2, 9-10). Il popolo è formato da sacerdoti che partecipano al sacerdozio di Cristo, che offrono in sacrificio non solo il corpo di Cristo, ma anche se stessi. I presbiteri hanno solo un ruolo ministeriale o di servizio. Anche il popolo di Dio partecipa dell’ufficio profetico di Cristo. Il Concilio afferma che «la totalità dei fedeli [...] non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale» (Lumen Gentium, 12). C’è qui un sottile equilibrio tra il «senso soprannaturale della fede» e l’insegnamento ufficiale del Papa e dei vescovi. Lo Spirito Santo distribuisce doni speciali alle persone non a loro personale beneficio, ma perché siano di servizio al popolo (1 Corinzi 12, 7-11). Purtroppo la Chiesa rimane ampiamente e fortemente guidata dal clero. Invece che essere una democrazia consensuale, non maggioritaria, la Chiesa è vista essenzialmente come gerarchica e autocratica, con leader che rivendicano una autorità assoluta. CHIESA IN DIALOGO La terza spinta in avanti è la più importante nel sospingere la Chiesa a guardare al di fuori di sé. Una sezione della Gaudium et Spes riguarda il dialogo tra la Chiesa e il mondo (n. 40-44). In vero stile dialogico, essa è pronta non solo a offrire, ma anche a ricevere dal mondo. Non presenta una mera visione negativa del mondo moderno, con la sua secolarizzazione o addirittura con l’ateismo, ma cerca di dialogare con esso, focalizzando l’attenzione in particolare sulla famiglia, la cultura, lo sviluppo socio-economico, la vita politica e la pace. Di fatto il documento è indirizzato all’umanità intera. Nella Dignitatis Humanae la Chiesa dialoga con le strutture politiche chiedendo libertà, non solo per se stessa ma per tutte le religioni. Possiamo dire che indirettamente essa dialoga anche con le altre comunità religiose riconoscendole come legittime detentrici di diritti umani e politici. Il desiderio di dialogo interreligioso è più esplicito nella Nostra Aetate, in particolare riguardo al dialogo con islam ed ebraismo. Si apre infine ad altre comunità cristiane non cattoliche nella Unitatis Redintegratio. Altri documenti più dogmatici (Lumen Gentium, Dei Verbum e Ad Gentes) forniscono le basi teologiche di tale dialogo. CHI È MICHAEL AMALADOSS G esuita indiano, 76 anni, originario dello Stato meridionale del Tamil Nadu, Michael Amaladoss è teologo impegnato nel dialogo interreligioso. Formatosi a Parigi in Teologia sacramentale, negli anni Settanta ha insegnato a New Dehli, dove ha anche diretto la rivista di Teologia Vidyajyoti. Nel 1983 è nominato assistente del Padre generale dei gesuiti, Peter-Hans Kolvenbach, e fino al 1995 resta a Roma incaricato di seguire i temi dell’inculturazione e del dialogo ecumenico e interreligioso. Rientrato in India, riprende l’insegnamento e dal 1999 dirige l’Istituto per il dialogo con le culture e le religioni di Chennai (www.idcrdialogue.com). Tra le sue opere, Life in Freedom: Liberation Theologies from Asia (1997) e The Asian Jesus (2005). Considerando tutti questi documenti insieme, possiamo vedere dispiegarsi una duplice visione della missione. Da una parte c’è la necessità di proclamare Gesù Cristo come salvatore e la Chiesa come tramite di salvezza. È la missione come proclamazione. Dall’altra parte c’è la visione della «missione di Dio». La missione della Chiesa trae la sua origine «dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo. [...] Questo piano scaturisce dall’amore nella sua fonte, cioè dalla carità di Dio Padre. [...] Egli per pura generosità ha Quando gli effuso e contiestremisti hindu nua ad effondedefiniscono il re la sua divina cristianesimo una bontà, in modo religione straniera che, come di non possiamo tutti è il Crearibattere che tore, così possa ci finanziamo, essere anche ci diffondiamo “tutto in tutti” e ci governiamo (1 Cor 15, 28)» da soli (Ad gentes, n. 2). La Parola e lo Spirito sono attivi sempre e ovunque, offrendo a ogni uomo una partecipazione al mistero pasquale nei modi che Dio solo conosce (cfr Gaudium et Spes, n. 22). Sulla base di questi testi, i teologi asiatici sottolineano che primaria è la «missione di Dio», e la «missione della Chiesa» è al suo servizio. Scopo della missione è allora il Regno di Dio e la Chiesa come suo simbolo e serva. Tutte le religioni sono viste come compagne nel pellegrinaggio verso il Regno, dove i nostri veri nemici sono Satana e Mammona. Un dialogo che diventa la via della missione. Oggi la tendenza nella Chiesa sembra quella di serrare le fila e proclamare il suo Vangelo senza nessun serio tentativo di dialogo. Non dialogando, la Chiesa sta perdendo l’opportunità di essere uno strumento di pace e armonia in un mondo diviso da tanti conflitti. @ Gli articoli della serie dedicata al Concilio Vaticano II sono su www.popoli.info gennaio 2013 Popoli 45 ecumenismo L’anno tino, alla definizione dei programmi per il 500° anniversario della Riforma protestante, che verrà celebrato nel 2017, con una sensibilità e un coinvolgimento ecumenico francamente inimmaginabili fino a pochi decenni orsono. Né il focalizzarsi sulla scomparsa di questi patriarchi e sulle dimissioni dell’arcivescovo di CanterbuIl 2012 è stato segnato dalla morte di quattro ry significa che si possa cogliere il patriarchi e dalle dimissioni del primate anglicano. Una perdita significativa che però può polso della situazione ecumenica ignorando quanto avviene quotiaprire una nuova stagione di dialogo. L’analisi dianamente nel vissuto delle vadell’«Osservatorio ecumenico» di Popoli che, per il terzo anno, traccia un bilancio dello stato delle rie Chiese. Anzi, paradossalmente, una consapevolezza che si sta farelazioni tra le Chiese cendo strada con sempre maggior chiarezza è che il movimento Guido Dotti * siano stati eventi significativi a ecumenico non può più ignorare el mondo ecumenico il 2012 livello di dialogo tra le Chiese, l’enorme diffusione a livello monsarà ricordato come un an- anche se l’attenzione è caduta più diale del pentecostalismo e delle no segnato dalla scomparsa sulla preparazione di eventi futuri: Chiese evangelicali: realtà eccledi quattro patriarchi - «papa» She- dalla prossima Assemblea generale siali con una struttura gerarchica minima o inesistente nouda III della Chiesa copta, Abu- del Consiglio ecumee per le quali solo rena Paulos della Chiesa ortodossa nico delle Chiese (che Il patriarca centemente le Chiese etiopica, i patriarchi Maxim di si svolgerà a Busan, in Ignazio IV Hazim «storiche» hanno preBulgaria e Ignazio IV di Antiochia Corea del Sud, a no- è stato uno dei - e dal ritiro di Rowan Williams, vembre), alle celebra- principali artefici disposto strutture e organismi di dialogo l’arcivescovo di Canterbury, pri- zioni per i 1.700 anni del dialogo. mate della Comunione anglicana. dell’Editto di Milano Il patriarca Paulos e di ascolto. Come ha giustamente osservato Questo non significa che non vi promulgato da Costan- era uno degli degli addii N 46 Popoli gennaio 2013 otto presidenti del Consiglio ecumenico delle Chiese La fase finale del sorteggio che ha portato all’elezione di Tawadros a Patriarca della Chiesa copta. Aram I, catholicos (primate) della questi patriarchi erano alla guida Chiesa apostolica armena, durante delle rispettive Chiese dagli anni la consultazione su «l’ecumenismo Settanta e il loro ministero aveva conciliare» convocata a Beirut dal quindi attraversato una stagione Consiglio ecumenico delle Chiese estremamente complessa, ricca di (5-11 febbraio 2012), nel cristiane- fermenti e di dialoghi ecumenici e simo contemporaneo assistiamo al- di relazioni con contesti sociali in lo spostamento da un ecumenismo profonda mutazione. istituzionale a uno di base, da un ecumenismo multiconfessionale a TRA PRIMATO E SINODALITÀ uno confessionale, da un ecumeni- La rilevanza ecumenica di questi smo globale a uno regionale, locale. cambiamenti al vertice di Chiese Perché allora focalizzare l’atten- così diverse va però al di là delle zione sulla scomparsa di alcuni singole persone: sono le diverse capi di Chiese ortodosse e orientali modalità di scelta dei loro succese sull’avvicendamento alla catte- sori a suscitare riflessioni di estredra di Canterbury? Innanzitutto mo interesse. A parte le implicazioperché almeno due dei patriar- ni sociali e politiche di scelte ecclesiali così importanti chi scomparsi sono prese o da prendersi state figure altamente La diversità in Paesi come Egitto e significative nel mo- delle procedure Siria nell’attuale convimento ecumenico. di elezione testo mediorientale, o Il patriarca greco-or- o nomina dei come la Bulgaria, dove todosso di Antiochia, patriarchi offre tale elezione avviene Ignazio IV Hazim, è l’opportunità per la prima volta dopo stato per decenni uno per riflettere la caduta del regime dei principali artefici sulla dialettica comunista, è la diverdel dialogo ecumeni- tra sinodalità sità delle procedure di co: tra i fondatori della ed esercizio elezione o nomina a «Gioventù ortodossa» del primato offrire all’insieme delle in Libano e Siria nel Chiese cristiane l’op1942, resta memorabile portunità per riflettere un suo discorso all’Assemblea ecumenica di Uppsala nel sul fondamentale equilibrio neces1968 sullo Spirito che fa nuove sario tra «l’uno, i pochi, i molti». tutte le cose. Non a caso la Chie- Cioè sulla dialettica tra sinodalità sa greco-ortodossa di Antiochia ed esercizio del primato, sulla difè stata una delle pochissime ad ferenza tra democrazie e conciliaaver risposto con un memoran- rità, sugli strumenti umani di cui dum teologico all’invito espresso lo Spirito si serve per far sentire il da papa Giovanni Paolo II nella suo soffio vitale nella Chiesa. sua enciclica Ut unum sint (1995) a In particolare, vale la pena eviripensare insieme nuove forme di denziare la procedura seguita dalla esercizio del ministero primaziale Chiesa copta in Egitto: da tutte le del vescovo di Roma. Dal canto diocesi sono stati presentati all’apsuo, il patriarca Paulos della Chie- posita commissione, presieduta dal sa ortodossa etiopica era uno degli locum tenens, 17 candidati, monaci otto presidenti del Consiglio ecu- e vescovi; questi nominativi sono menico delle Chiese eletti all’As- stati esaminati e la rosa è stata semblea generale di Porto Alegre ridotta a cinque persone (due venel 2006, dopo esser stato membro scovi e tre monaci). A questo punto della Commissione teologica di Fe- l’intero corpo elettorale - composto de e Costituzione. Inoltre tre di da circa 2.500 persone: vescovi, Ignazio IV di Antiochia Abuna Paulos Shenouda III Maxim di Bulgaria gennaio 2013 Popoli 47 ecumenismo India, Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, di fronte a un tempio giainista. monaci, preti e laici rappresentanti tutte le diocesi e le istituzioni copte in Egitto e nella diaspora - ha votato tre nominativi tra i quali il 18 novembre è stato poi eletto per sorteggio (come Mattia negli Atti degli apostoli) il nuovo patriarca. Tutte le fasi di discernimento sono state precedute e accompagnate da giorni di digiuno e di preghiera vissuti intensamente dall’intera Chiesa: atteggiamento e disposizioni, queste, che troppo spesso dimentichiamo quando ragioniamo di nomine e successioni. Certo, nessuno strumento può garantire a priori che una scelta umana sia conforme alla volontà di Dio, ma quando le nostre Chiese si mostrano capaci di fare spazio allo Spirito perché agisca e restano in ascolto della Parola di Dio, allora anche le strutture ecclesiali ritrovano la loro autentica qualità di strumenti a servizio della comunione tra di noi e con Dio. * Monaco della Comunità di Bose @ Gli articoli 2011 e 2012 dell’«Osservatorio ecumenico» su www.popoli.info CALENDARIO ECUMENICO R iportiamo alcune iniziative significative a livello di dialogo ecumenico che si terranno nel 2013. Alcune di esse sono il seguito di eventi organizzati nel 2012. >Il 2012 si è aperto con una riunione del Comitato permanente sull’ecumenismo nel XXI secolo (un organismo costituito in seno al Consiglio ecumenico delle Chiese - Cec - e nel quale sono rappresentate anche la Chiesa cattolica e le Chiese pentecostali, che non sono invece membri del Cec) che ha stilato un rapporto sull’incidenza dei grandi mutamenti globali sul movimento ecumenico e più in generale sulla testimonianza dei cristiani nel mondo contemporaneo. Il documento sarà presentato alla X Assemblea del Cec che si svolgerà a Busan a inizio novembre 2013. >Tra gli eventi più significativi del 2012 a livello di dialogo ecumenico va ricordata la conclusione del lavoro della Commissione Fede e Costituzione del Cec che ha approvato un accordo teologico dal titolo: La Chiesa: verso una visione comune. Un testo di «convergenza» - il secondo dopo quello su battesimo, eucaristia, ministero (Lima, 1982) - che ora verrà 48 Popoli gennaio 2013 offerto a tutte le Chiese che fanno parte della Comunione per una ricezione che mostrerà come le diverse Chiese cristiane siano in grado di «convergere» sul significato dell’essere un’unica Chiesa di Gesù Cristo. >Mentre la commissione di dialogo tra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse conosce una fase di ripensamento, proseguono altri dialoghi bilaterali, come quello tra Chiesa cattolica e Comunione anglicana (Arcic) e quello tra luterani e anglicani, in vista di una sempre più approfondita conoscenza reciproca e del conseguente pieno riconoscimento dell’altro come condiscepolo dell’unico Signore. >Le diocesi cattoliche di Terrasanta di rito orientale e di rito latino hanno deciso di adottare per le festività pasquali il calendario giuliano, in uso agli ortodossi, così da poter celebrare Pasqua nello stesso giorno, dando un significativo segno di convergenza e facilitando la vita liturgica e la testimonianza di fede delle numerose famiglie cristiane costituite da matrimoni misti. Per questioni legate alla delicata gestione dei luoghi santi, tale adeguamento non varrà per il Santo Sepolcro a Gerusalemme e la Basilica della Natività a Betlemme. libri Guarire le ferite delle divisioni Frère Alois N Arriva in questi giorni in libreria un nuovo libro di frère Alois, successore di Roger Schutz alla guida della Comunità di Taizé. In vista della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), anticipiamo un brano dedicato all’ecumenismo el suo ultimo libro, apparso alcune settimane prima della morte, frère Roger scriveva: «Il Cristo è comunione... Egli non è venuto sulla terra per creare una religione in più ma per offrire a tutti una comunione in Dio... “Comunione” è uno dei nomi più belli della Chiesa» (Avverti una felicità?, Elledici 2005). Al centro della vita di frère Roger e della nostra comunità si trovano queste parole di Cristo: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Giovanni 17,21). Spesso queste parole vengono interpretate come un’esigenza da mettere in pratica, mentre esprimono innanzitutto il dono che il Cristo fa all’umanità: egli ci porta in sé, ci fa entrare con lui nella comunione della Santa Trinità, ci rende «partecipi della natura divina» (2 Pietro 1,4). Non prega soltanto perché tutti siano una sola cosa, ma perché Maria è per sempre la garante che siano una sola cosa «in noi». questo scambio è reale: ella sostiene Questa comunione in Dio è uno la nostra speranza che esso termiscambio. Incarnandosi, Dio sceglie di nerà con la vita dell’umanità in Dio. rivestire la fragilità umana. Egli vie- Possiamo essere infinitamente rine ad abitare le nostre lacerazioni e le conoscenti alla teologia ortodossa nostre sofferenze. Cristo ci raggiunge per aver evidenziato tutto questo in là dove noi siamo più in modo così profondo. basso, si fa uno di noi La riconciliazione Quando scopriamo che per meglio tenderci la non è una la comunione con Dio mano. In lui Dio acco- dimensione è uno scambio, allora glie la nostra umanità e, del Vangelo tra comprendiamo meglio in cambio, ci comunica le altre, ma ne che la riconciliazione lo Spirito Santo, la sua è il cuore stesso. non è una dimensione stessa vita. La Vergine Essa coincide del Vangelo tra le altre, con ciò che sta al centro della nostra vita di battezzati ma ne è il cuore stesso. Essa coincide con ciò che sta al centro della nostra vita di battezzati: è il ristabilimento per opera del Cristo della fiducia reciproca tra Dio e l’uomo, inizio di una nuova creazione. E ciò trasforma le relazioni tra gli uomini. Gesù chiede che «tutti» siano una sola cosa: questo dono non è riservato ad alcuni, ma è offerto a tutti coloro che portano il nome del Cristo ed è destinato a tutti gli esseri umani. Cristo fa di tutti i battezzati degli ambasciatori di riconciliazione nel gennaio 2013 Popoli 49 libri Maggio 2012, frère Alois insieme ad alcuni bambini nella chiesa dei gesuiti di Lubiana (Slovenia). mondo. Noi siamo il Corpo di Cristo, non per stare bene tra noi e ripiegarci su noi stessi, ma per andare verso gli altri. Il corpo umano ha per vocazione lo scopo di esprimere la persona verso l’esterno. Allo stesso modo, il Corpo di Cristo ha la vocazione di esprimere che Cristo vuole riconciliare tutta l’umanità. La redenzione contiene il dono L’ecumenismo dell’unità: unità suppone una purificazione dell’uomo con Dio, unità intedel nostro riore come guarimodo gione di ciascuna di credere, una persona, unità di «conversione» tutta la famiglia continua in una umana e di tutta Chiesa sempre la creazione. Non bisognosa possiamo ricevedi riforma re l’unità con Dio senza ricevere l’unità tra tutti gli uomini. La ragion d’essere della Chiesa è di esserne il segno visibile, il sacramento. Il Concilio Vaticano II lo ha espresso con grande chiarezza, dicendo: «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». LA RICONCILIAZIONE TRA CRISTIANI, UN SEGNO CREDIBILE I giovani del mondo presente, con la loro grande sete di autenticità, ci portano a questa constatazione: perché l’impegno dei cristiani a sostenere la riconciliazione nel possiamo diffondere attorno a noi il mondo sia credibile è essenziale la messaggio di Cristo se non insieme. ricerca interna di un’unità visibile. Osiamo allora andare verso l’unità Siamo coscienti che, come cristia- visibile! Avrà ogni Chiesa il coragni, abbiamo il dono specifico di gio di non agire più senza tener preparare cammini di pace e di conto delle altre? fiducia sulla terra? Siamo il Corpo Se la comunione è un dono di Dio, di Cristo; una profonda comunione allora l’ecumenismo non può essere fra chi segue il Cristo può diventa- solo uno sforzo umano per armore un fermento unico di pace nella nizzare tradizioni diverse. Esso ci famiglia umana. Tutti insieme, con deve porre nella verità della rela nostra unità, possiamo essere un denzione del Cristo che ha pregato: segno di riconciliazione credibile «Voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono tra gli uomini. Anche con i nostri limiti, anche in io» (Giovanni 17,24). circostanze avverse, Dio ci rende cre- Il primo sforzo ecumenico è quello di atori di riconciliazione insieme a lui. cercare di vivere la comunione con Dio, nel Cristo, per mezCristo ci manda a guarizo dello Spirito Santo. re le ferite di divisioni e Non possiamo È vero che le Chiese e violenza intorno a noi. diffondere le comunità ecclesiali a I nostri tempi hanno bi- attorno a noi volte mostrano cammisogno di donne e uomi- il messaggio ni diversi per realizzani coraggiosi che espri- di Cristo re questa comunione. E mano con la vita la se non insieme. chiamata del Vangelo Avrà ogni Chiesa tuttavia, più è profonda alla riconciliazione. Ta- il coraggio di non l’appartenenza di ciascuno a Cristo, più è corretto li donne e uomini non agire più senza lo sguardo rivolto agli devono essere necessa- tener conto altri, visti come sorelle riamente moltitudini. Il delle altre? e fratelli. Bisogna anVangelo non paragona dare ancora più avanti: forse il Regno di Dio a riconoscere negli altri un pizzico di lievito che delle sorelle e dei fratelli è il segno fa lievitare tutta la pasta? Si sono verificati dei periodi nella di un’autentica appartenenza a Cristo. storia in cui, in nome della verità Ciò suppone una purificazione del del Vangelo, i cristiani si sono se- nostro modo di credere, una «conparati. Oggi, in nome della verità versione» sempre ripresa in una Ecdel Vangelo, vorremmo cercare di clesia semper reformanda, una Chiefare tutto per riconciliarci. Non sa sempre bisognosa di riforma. L a Comunità di Taizé (Francia) è una comunità cristiana monastica ecumenica fondata nel 1940 da Roger Schutz, meglio conosciuto come frère Roger. La tensione verso l’unità dei cristiani, una spiritualità legata ai modelli del monachesimo occidentale, l’accoglienza dei giovani sono tratti distintivi della Comunità. Questa ha assunto negli anni una dimensione internazionale, poiché piccole fraternità si sono stabilite in quartieri poveri del Sud del mondo. Sono numerosi anche gli incontri organizzati in varie città del mondo; fra tutti spicca il «Pellegrinaggio di fiducia sulla terra», che si svolge alla fine di ogni anno in una metropoli europea (il più recente a Roma, dal 28 dicembre al 2 gennaio). Il volume da cui è tratto questo testo - Pellegrini di fiducia (Emi, pp. 128, euro 10) - è una raccolta di testi di frère Alois, successore di Roger Schutz, ucciso2013 da una squilibrata il 16 agosto 2005. 50 Popoli gennaio WWW.TAIZE.FR LA COMUNITà E IL LIBRO il profilo Justin Welby N Ex dirigente di due multinazionali petrolifere, vescovo di Durham, il 9 novembre 2012 Justin Welby è stato nominato arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana. Succede al dimissionario Rowan Williams. on era un compito facile quello della commissione incaricata di designare il nuovo arcivescovo di Canterbury, chiamato a succedere al dimissionario Rowan Williams quale primate della Comunione anglicana. Era molto difficile trovare un vescovo con competenze bibliche, patristiche e teologiche analoghe a quelle del predecessore, quasi impossibile individuare una persona che potesse a priori corrispondere alle attese delle varie sensibilità presenti nella Comunione anglicana, divenute sempre più contrapposte e di problematica conciliazione. Di conseguenza non era percorribile né una soluzione di compromesso, né la forzatura a favore di una delle prospettive propugnate dall’uno o dall’altro orientamento ecclesiale. La saggezza e il discernimento spirituale di vescovi, preti e laici chiamati a questa scelta li hanno portati a scegliere spostandosi su un altro piano, evitando così non solo di scontentare tutti ma, soprattutto, di accrescere le tensioni e di paralizzare la faticosa ricerca di una comunione nella diversità. Così è stato indicato al premier e alla regina - cui spettava la ratifica formale della nomina - il nome di Justin Welby, vescovo di Durham. Nato a Londra nel 1956, educato a Eton, il college dell’aristocrazia inglese, con studi in storia e legge, Welby è stato per undici anni dirigente in due grossi gruppi petroliferi, lavorando a lungo in Nigeria e poi occupandosi del settore finanziario di uno di essi. La svolta, per un laico molto impegnato anche ecclesialmente come Welby, avviene nel 1983, quando la figlia di sette mesi avuta dalla moglie Caroline muore in un incidente d’auto. Nel giro di pochi anni, Welby lascia il lavoro nell’industria e intraprende la preparazione al sacerdozio. Il suo ministero pastorale (dapprima nella diocesi di Coventry, poi a Liverpool e, infine, come vescovo, a Durham dove aveva iniziato i suoi studi teologici) ha saputo unire una profonda conoscenza e una sollecita cura delle realtà locali - da quelle più tradizionali alle nuove forme di aggregazione ecclesiale - con l’attenzione ai risvolti etici dell’economia e della finanza, e con l’impegno concreto sia per categorie a rischio come i richiedenti asilo sia per il dialogo e la Il neoprimate anglicano possiede una profonda conoscenza delle realtà locali, un’attenzione ai risvolti etici dell’economia e un’esperienza di mediatore nei conflitti con implicazioni religiose composizione di conflitti sociali aventi implicazioni anche religiose (Nigeria, Iraq e Medio Oriente). La sua visione dei problemi politici ed economici trova affinità con la dottrina sociale cattolica, mentre la sua precedente esperienza lavorativa ha fatto sì che godesse di grande stima anche negli ambienti politici, al punto da essere nominato membro della commissione parlamentare per gli standard bancari. Ora queste sue competenze, unite a una profonda dimensione spirituale e al suo radicamento nella parola di Dio, gli saranno di grande aiuto nel difficile ministero di presiedere all’unità nella carità, in una perdurante stagione di contrasti e di incomprensioni reciproche tra Chiese della stessa Comunione anglicana. Si tratta di saper custodire e rafforzare quei «vincoli di affetto» che uniscono le varie province del mondo anglicano, facendole crescere nel rispetto e nell’accoglienza, nel riconoscimento dell’altro come animato dallo stesso desiderio di sequela del Signore Gesù, nell’obbedienza alla volontà di Dio. Obbedienza che a volte passa dalla rinuncia ai propri punti di vista per ascoltare ciò che brucia nel cuore del fratello, nel costante discernimento di «ciò che lo Spirito dice alle Chiese». Guido Dotti GENNAIO 2013 Popoli 51 www.jsn.it Fuori dal coro, impostare una voce comune P romuovere una riflessione formare le persone al servizio, dispocondivisa su come comuni- nibili a cambiare se stessi nelle relacare ai mass media e alla zioni con chi soffre; impegnarsi per società esperienze e storie quotidiane cambiare la cultura dominante della di quegli «ultimi» che «non entrano deresponsabilizzazione; perseguire il nei dibattiti se non nella cronaca, bene comune come impegno politico quando i disperati intercettano la cu- contro le «strutture di peccato». riosità morbosa della gente»: questo Sei racconti di sei minuti a partire da sei parole chiave l’obiettivo dell’assemblea hanno «costruito» una dei soci del Jesuit social Come fotografia di quello che network (Jsn) che si è comunicare in è oggi, nel quotidiano, svolta a Roma dal 30 modo efficace il disagio sociale nel nonovembre al 2 dicembre esperienze e e che ha riunito le realtà storie quotidiane stro Paese. Sicurezza. Il binomio legate alla Compagnia di di quegli «ultimi» sicurezza-immigrazione Gesù che in Italia opera- che non fanno in questi anni ha avuno nel sociale. «Voglia- notizia? È to un rilevante impatto mo stare fuori dal coro stato il tema negativo, con un’Europa per la responsabilità di dell’assemblea che si presenta sempre rappresentare una cor- annuale del Jsn più come fortezza. «È ora sia preferenziale, quella di abbattere il muro che di voci che non hanno separa l’Europa da un’uvoce». Così il gesuita Alberto Remondini, presidente del Jsn, manità in viaggio», è stato detto. ha spiegato il titolo dell’incontro: Fiducia. Come avere noi stessi fiducia «Fuori dal coro. Impostare una voce nella realtà in cui operiamo, e come ispirare fiducia? Tema quanto mai comune». Punto di partenza dei lavori è stata critico, ad esempio, in una regione una rilettura del Preambolo dello come la Sicilia vissuta per decenni Statuto del Jsn - che otto anni fa ne dentro una politica di distribuzione ha fondato ispirazione e identità - di favori. Si crea fiducia allargando compiuta da padre Fabrizio Valletti, sempre più la capacità di contatti in che vive a Scampia, quartiere di rete, attraverso un coinvolgimento, Napoli tristemente famoso. Valori per trovare risorse nella cittadinane principi radicati nell’esempio di za. In questo senso il Sud è portatore Gesù e racchiusi in pochi punti fo- di risorse importanti da valorizzare. cali: liberare l’uomo «per ristabilire Formazione - cultura. Il bivio a cui relazioni di giustizia» e donare spe- ci troviamo è il seguente: per tanti ranza; preferire i poveri in linea con o per pochi? L’esperienza di Scampia il «binomio indissociabile del servizio mostra come sia necessario ricodella fede e della promozione della struire una consapevolezza e una giustizia», vivendo a fianco della sof- progettualità di vita, prima ancora ferenza alla ricerca di soluzioni con- dei contenuti. divise; avere un approccio educativo, Precarietà e welfare. In questo mo52 Popoli gennaio 2013 mento è sempre più forte il rischio di trasformare il welfare in qualcosa di rigido, a compartimenti stagni, calato dall’alto, evitando invece di approntare strumenti di prevenzione e accompagnamento. Partecipazione. Reggio Non Tace è stato il primo movimento che ha detto «basta» alle logiche conniventi e omertose di una terra devastata dalla ‘ndrangheta, spronando i cittadini a proporre e pretendere regole trasparenti per la partecipazione politica e l’amministrazione pubblica. «Pensare a quello che comunichiamo o che vogliamo comunicare significa comprendere quale percezione di noi intendiamo trasmettere»: questa la premessa su cui Flavio Bottaro, responsabile della comunicazione dei gesuiti italiani, ha impostato la sua relazione su come una realtà quale il Jsn oggi dovrebbe comunicare. Indicazioni preziose che sono poi state collocate in un orizzonte di riferimento più ampio da padre Carlo Casalone, Provinciale d’Italia dei gesuiti, nel suo intervento conclusivo. Giacomo D’Alessandro e Pietro Barabino uN NUOVO VOLTO ONLINE R accontare, denunciare, sollecitare, informare: sono alcune delle parole chiave (o forse sarebbe il caso di chiamarle tag, nel gergo 2.0) che potrebbero essere associate al nuovo sito del Jesuit social network www.jsn.it. Costruito come strumento per dare voce alle persone e alle situazioni che le realtà della federazione incontrano ogni giorno è organizzato per settori in cui opera il Jsn, espressione della sua ricchezza e complessità. Notizie, commenti, attività di formazione, eventi, racconti provenienti da ciascun settore saranno strumenti per aggiornare e fotografare la realtà sociale del nostro Paese, da Nord a Sud, attraverso un obiettivo particolare, quello di chi opera a stretto contatto con le persone. È possibile seguire le notizie del Jsn anche sulla pagina Facebook. www.magisitalia.org Web, varato il nuovo sito Intenzioni di preghiera I contenuti sono stati arricchiti per far conoscere i progetti dell’Ong e rafforzare la rete di rapporti con la Compagnia di Gesù e i gruppi aderenti I l Magis ha un nuovo sito web. L’indirizzo resta lo stesso (www. magisitalia.org), la grafica e i contenuti cambiano, a cominciare dal logo. «Non è un’operazione di marketing, ce ne guardiamo bene - spiega Renato Colizzi, gesuita, responsabile per l’animazione missiologica -, ma è un modo nuovo e più efficace di esistere nella Rete. Con la nostra specificità. Con i nostri progetti e campagne. Con il nostro stile». La navigazione ruota essenzialmente intorno a tre sezioni principali: «Chi siamo», «Cosa facciamo» e «Come partecipare». La scoperta delle attività può avvenire attraverso due percorsi: per Paese o per programma di sviluppo. Il visitatore può, infatti, conoscere i progetti navigando nella mappa del mondo fino a raggiungere il Paese di interesse, oppure ricercare le iniziative per settore di intervento (istruzione, formazione, idrico, adozioni, agricolo, sanitario e sociale). In «Come partecipare», sono presentati i diversi modi per unirsi al Magis, dalla donazione in denaro, anche online, a quella di tempo, diventando un volontario in Italia o all’estero. Il nuovo sito è un punto di parten- Le intenzioni sono proposte ogni mese dall’Apostolato della preghiera (www.adp. it), associazione della Compagnia di Gesù diffusa in tutto il mondo. gennaio Generale - Perché in questo «Anno della fede» i cristiani possano approfondire la conoscenza del mistero di Cristo e testimoniare con gioia il dono della fede in lui. Missionaria - Perché le comunità cristiane del Medio Oriente, spesso discriminate, ricevano dallo Spirito Santo la forza della fedeltà e della perseveranza. za, non di arrivo. Il Magis non è solo a rafforzare il suo cammino. La collaborazione con i suoi gruppi aderenti è sempre più partecipata, a cominciare proprio dalla rivista Popoli . Ogni gruppo ha una propria pagina Web per promuovere i propri progetti o eventi. E in home page, a fianco del nuovo logo, è presente anche quello della Provincia d’Italia dei gesuiti con la dicitura «Missioni». Non è un semplice scambio di link , ma rappresenta la volontà del Magis di proporsi come punto di riferimento per le missioni e la cooperazione internazionale dei gesuiti italiani. È inoltre testimonianza di una collaborazione che si è instaurata con l’Ufficio comunicazione dei gesuiti (www.gesuitinews.it). Tutto questo in una nuova veste, che, grazie all’imprescindibile accompagnamento e impegno di padre Flavio Bottaro (il gesuita che cura il sito della Provincia d’Italia), il Magis può oggi presentare. Maurizio Debanne gennaio 2013 Popoli 53 Lega Missionaria Studenti Un ponte con la Cina, sulle orme di Matteo Ricci comunione. Un piccolo seme che si è poi ripetuto nell’anno successivo e ha aperto la strada a visite d’istruzione dei ragazzi di maturità delle scuole dei gesuiti italiani. La Lms ha fatto dunque da apripiTra i vari Paesi in cui la Lega missionaria studenti realizza esperienze di volontariato c’è, dal 2009, anche la Cina. Una sta per gruppi più numerosi, dando avvio a un progetto che, grazie «missione» sulla scia di grandi maestri che ha coinvolto anche al favorevole accompagnaanche duecento ragazzi delle scuole dei gesuiti italiani mento delle autorità diplomatiche utto iniziò nel 2007 con di volontari. Ci si mise a servi- italiane, ha consentito a diverse l’invio in missione del gio- zio dell’associazione Little flowers, centinaia di ragazzi, prima nel vane gesuita italiano Emi- che si occupa di disabili neonati, 2010 e poi nel 2012, di aprirsi a questo Nuovo Mondo, lio Zanetti. Brillante e divertente, abbandonati per strada offrendo nello stesso generoso e creativo, aveva con- e raccolti dai servizi Non cerchiamo tempo alla Chiesa loquistato il cuore dei ragazzi della sociali caritativi della tanto di fare cale una testimonianza Lega missionaria studenti (Lms) di Chiesa locale. cose, quanto di comunione sempliRoma. Con loro, o con altri gruppi È stata una grande no- di essere ce, ma efficace, perdi ragazzi, in Italia avrebbe senza vità per noi e per la presenti, ché offerta appunto da dubbio lavorato magnificamente, stessa Chiesa cinese. Si di farci presenti, giovani. ma altri erano i progetti della è resa possibile perché di stimolare nei Per la Lms e per le Provvidenza su di lui. Dopo anni non si è dato troppo nostri giovani scuole dei gesuiti di ascolto della voce della co- nell’occhio, collabo- un interesse italiani, dove essa è scienza e di confronto con le guide rando con una realtà strategico verso inserita come movispirituali e i superiori religiosi, si che si appoggia all’as- questo Paese mento di animazione è compreso che il Signore chiede- sociazione cattolica alla mondialità e al va a Emilio di lasciare davvero patriottica con la quale servizio, la Cina retutto, il suo Paese, la gente cui fin la Santa Sede dal 2007, a quel momento aveva voluto bene con decreto di Benedetto XVI, ha sta un obbiettivo prioritario. Non e per la quale è diventato prete, stabilito contatto ufficiale e offerto si cercherà tanto di fare cose, per partire verso la Cina: la sfida il riconoscimento di pienezza di quanto di essere presenti, di farsi forse più impegnativa che hanno oggi la Chiesa e la Compagnia di Gesù. Con non poca commozione salutammo Emilio e immediatamente venne a qualcuno l’idea di promettergli che non solo avremmo pregato e sostenuto «a distanza» le sue opere di missionario, ma che ci saremmo dati da fare per accompagnarlo e andarlo a trovare, magari organizzando un «campo», così come avvenuto in Romania, Cuba, Perù e, più precedentemente, in Albania e Bosnia. Un anno di rodaggio e nell’estate 2009 nacque il primo campo Lms a Pechino, con una quindicina T 54 Popoli gennaio 2013 www.legamissionaria.it QUEL GIGANTE CHE ORA FA MENO PAURA I ntraprendenza, spirito d’iniziativa e coraggio sono doti che hanno sempre accompagnato i gesuiti nell’evangelizzazione attraverso cinque secoli di storia e altrettanti continenti, dalle missioni in Sudamerica all’opera di Matteo Ricci in Cina. Alla tradizionale intraprendenza gesuitica devono aver fatto appello anche i direttori delle scuole dei padri gesuiti italiani, i quali, affiancati da alcuni membri del corpo docente, hanno accompagnatoben 240 ragazzi a cavallo dei diciott’anni in una città di quindici milioni di abitanti, a circa 9mila chilometri da casa: Pechino. È un’iniziativa che ha visto gli alunni delle ultime classi liceali degli istituti gesuitici di Roma, Milano, Torino e Palermo riuniti per un viaggio che, tra il 2 e l’8 novembre, li ha condotti alla scoperta di un mondo affascinante, troppo a lungo isolato e certamente differente dal contesto occidentale in cui viviamo. Uno sguardo ravvicinato e più umano sul Paese di cui molti, tra noi studenti, avevano sentito parlare solo come di un gigante in procinto di fagocitare l’economia di Europa e Stati Uniti. L’«uomo nero» dell’economia mondiale, quella massa minacciosa rappresentata da una stella gialla in campo rosso che sovrasta il continente asiatico, si è dunque rivelata nella sua complessità e nella pluralità di tante storie individuali e collettive, che ci hanno permesso di intuire la ricchezza e il dinamismo dell’evoluzione socioeconomica e culturale di cui la Cina è oggi protagonista. L’entità astratta, lontana, irraggiungibile che allunga i suoi tentacoli contraffatti verso l’Occidente, grazie a questo viaggio ha ricevuto un volto, anzi, un miliardo e mezzo di volti umani. L’itinerario si è sviluppato a cavallo tra antichità e modernità: gli echi dei fasti della Città proibita, la pace del Palaz- zo d’Estate e l’imperturbabilità della Muraglia cinese hanno trovato una controparte nelle caotiche vie commerciali del centro città e nell’innovazione dell’Astrophisical Center. Tanti tasselli che vanno a comporre l’incredibile mosaico della cultura cinese: una civiltà antica di millenni che cerca di conciliare progresso e produttività con il rispetto della tradizione. Il viaggio ha avuto anche un profondo M. COSTA presenti, di stimolare nei nostri giovani un interesse strategico verso questo Paese che, a detta di tutti, governerà le trasformazioni economiche e sociali dei prossimi trent’anni. Un interesse che peraltro trova già alcune forme di espressione nei programmi delle scuole dei gesuiti italiani: presso l’Istituto Sociale di Torino, per esempio, è stato introdotto da un anno un corso opzionale di lingua cinese e qualcosa di analogo si sta pensando di sperimentare anche nelle altre sedi. Siamo ormai in movimento. È difficile prevedere dove ci condurrà questo percorso che la partenza di Emilio ha avviato. Ci sentiamo in cammino verso qualcosa che appare immenso, un’opportunità epocale. Ci piace allora iniziare con il racconto dell’ultimo viaggio vissuto ai primi di novembre con circa 240 studenti delle scuole dei gesuiti italiani. Questo primo contributo inaugura la nuova rubrica di Popoli dedicata alla Lega missionaria studenti, alle sue iniziative e prospettive educative. In oltre ottant’anni di storia quest’associazione, promossa dai gesuiti italiani, ha espresso in svariate forme la vivacità dello slancio missionario alla portata dei giovani e degli adolescenti. Si sa che i ragazzi costituiscono il futuro di una società. Aprire a tanti di loro la possibilità d’incontro con la Cina s’inquadra in un sogno antico, quello di Marco Polo e di Matteo Ricci: costruire ponti, legami non solo commerciali ma di comunione profonda tra l’Occidente e l’Oriente più lontano e più emergente. È una grande ambizione alla quale vogliamo aprirci con coraggio e umiltà. Massimo Nevola SJ significato religioso. I ragazzi italiani e le loro guide hanno infatti avuto la possibilità, più unica che rara, di partecipare alla celebrazione della messa nelle cattedrali Nord e Sud di Pechino. La cura pastorale di queste due chiese è affidata sin dall’epoca di Mao all’Associazione patriottica dei cattolici cinesi. È stata un’occasione straordinaria di confronto con realtà della Chiesa cinese, che conta nel suo insieme (considerando anche i cosiddetti «fratelli separati») diversi milioni di membri e che cerca faticosamente di superare tensioni e divisioni del passato. Si tratta certo di una «cugina» per certi aspetti ancora fragile rispetto alle storiche Chiese d’Occidente, una comunità in passato perseguitata, alla ricerca di un difficile compromesso con l’autorità statale, ma dotata di una energia e di una forza vitale che fra le nuove generazioni in Occidente appare sempre più rara. Guglielmo Rezza gennaio 2013 Popoli 55 www.centroastalli.it Patente per l’autonomia I l Centro Astalli, in collabora- tendo a disposizione i manuali della zione con l’associazione Prime teoria e installando sui personal Italia, il Centro salesiano del computer un software interattivo, Sacro Cuore, e l’Automobile Club che, grazie a filmati, foto e simuladi Roma dal 2010 ha avviato un zioni, facilita l’apprendimento. Una sala dotata di videoproprogetto: l’organizzaiettore è stata messa a zione di un percorso Frequentare disposizione dai saledi scuola di guida, con la scuola di siani, proprio vicino all’obiettivo di preparare guida è un la stazione Termini, faalcuni ragazzi titola- percorso utile cilmente raggiungibile. ri di protezione inter- per l’integrazione Ormai sono numerosi i nazionale a sostenere dei rifugiati. Un ragazzi che frequental’esame teorico della progetto romano no il corso. patente. Il tutto è na- accompagna Due sono i livelli del to da una unione di alcune decine di pre-corso: il primo (basforzi per risolvere un giovani tra quiz se) ha come obiettivo bisogno oggettivo: al- e prove pratiche l’assimilazione del lescuni ragazzi rifugiati sico tecnico presente desideravano ottenere nel codice stradale. È la patente per avere più opportunità nel mondo lavorativo, un primo modo di avvicinarsi alla in quanto diverse offerte avevano materia, incominciando ad avere come requisito l’essere automuniti confidenza con la simbologia della o, almeno, poter guidare. Spedizio- segnaletica stradale, le norme di niere, baby-sitter o assistente domi- comportamento presso gli incroci, ciliare, a Roma è quasi impossibile le regole delle precedenze, ecc. muoversi senza auto in una serie di Il secondo livello prepara lo studente a sostenere l’esame teorico: come professioni. Dall’esigenza di pochi ragazzi alla affrontare i quiz, cercando di capicreazione di una vera e propria re quali sono le astuzie contenute struttura organizzata il passo è sta- all’interno delle domande, stando to breve; e così i volontari hanno attenti a rimanere all’interno del ripassato il codice stradale, l’Aci ha tempo massimo a disposizione per fornito un sostegno tecnico, met- eseguire il test. Sempre all’interno dell’orario del corso (due volte a settimana per ciascun livello) è possibile esercitarsi su alcune postazioni pc per fare le simulazioni d’esame, perché spesso l’emozione o la fretta fanno brutti scherzi. Quando lo studente in maniera continuativa fa pochi errori per ogni scheda, si procede all’iscrizione alla vera scuola di guida che lo porterà a sostenere l’esame. Successivamente, superato il test di teoria, insieme alla scuola di guida imparerà a guidare sulle trafficate strade romane per sostenere finalmente l’esame di pratica. «Sono scappato dall’Eritrea senza poter conoscere l’esito degli esami che avevo sostenuto per la licenza superiore - racconta Mikias, un giovane rifugiato che è stato il primo a conseguire la patente seguendo il corso -. Avevo studiato tanto ed era un traguardo a cui ambivo da tempo. Poi la guerra ha vanificato ogni sforzo e tutto ciò che era normale, d’improvviso non lo era più. Oggi la patente di guida, oltre a darmi una possibilità in più nel lavoro in Italia, è un riconoscimento al mio impegno e, per chi come me è scappato dalla guerra poco più che bambino, è il simbolo di una dignità acquisita dopo tanto dolore». L’iter non è semplice per molti rifugiati, ci vuole costanza, pazienza, ma le statistiche mostrano che i ragazzi che riescono a ottenere la patente sono in costante aumento. Fondazione Astalli I numeri del progetto A 56 Popoli gennaio 2013 d iscriversi al corso sono prevalentemente uomini, con un’età media di 31 anni, provenienti soprattutto dall’Eritrea (48%) e dall’Afghanistan (25%), La maggior parte di loro è titolare di protezione sussidiaria (52%), mentre il 35% ha lo status di rifugiato. A un anno dall’avvio del progetto, 25 persone sono iscritte all’Automobile Club di Roma per sostenere l’esame teorico e successivamente seguire le lezioni pratiche. Di queste, dodici hanno conseguito la patente B, mentre cinque hanno superato l’esame teorico e si stanno preparando per la prova pratica. www.amo-fme.org Un cappuccino nella terra del çay Paolo Raffaele, 34 anni, è uno dei giovani volti della Chiesa latina in Turchia. Da tre anni fa parte della comunità che custodisce Meryemana, la casa di Maria nei pressi di Efeso F ra Paolo, se dico «turco» a cosa pensi? Rispondo con un aneddoto. Qualche tempo fa una delle due suore che vivono accanto a noi frati stava male, perciò mi recai in farmacia. Tempo di comprare la medicina e trovai una Tofaş parcheggiata davanti alla mia auto. Da buon romano, la cosa non mi stupì più di tanto. Il fatto interessante è che tutti i negozianti intorno uscirono e iniziarono a cercare il maldestro parcheggiatore. In cinque minuti trovarono il «colpevole» che, dopo essere stato debitamente redarguito, liberò il passaggio. Ecco, a me «turco» evoca genuina disponibilità e sana fierezza. E se dico «Turchia»? Beh, ci sono tante «Turchie». Ce n’è una che mi ha condotto qui e la descriverei unendola alla parola «Scritture». Una terra ricca di storia e attraversata da vari popoli e civiltà. Terra profondamente segnata anche dalle prime comunità cristiane e dal monachesimo. Poi c’è la Turchia che mi sorprende continuamente con la sua natura maestosa e variegata. I paesaggi turchi dilatano il cuore e stupiscono per la bellezza del creato, così vario e ambivalente. Povero e ricchissimo, colorato e monocromo, deserto e affollato: insomma una sinfonia potente dal Mar Nero alla costa egea, dalla Cappadocia ai monti Tauri. Poi c’è la Turchia della gente, anche questa estremamente varia per lingua, mentalità, usi e costumi. Normalmente dove vivi? Vicino all’antica Efeso c’è una collinetta conosciuta come il monte dell’Usignolo. Lì, quasi in cima, si venera la casa di una donna ebrea, approdata qui nella prima metà del I secolo dopo Cristo. Il fatto insolito è che la casa della donna ebrea è particolarmente venerata da cristiani e musulmani. Donna ebrea, cristiani, musulmani… Spiegaci meglio. Il nome della donna renderà la faccenda più semplice: Meryem in turco è Maria in italiano. Il piccolo edificio dove viviamo è una chiesa bizantina del XII secolo, con costruzioni sottostanti risalenti al I secolo. La chiesa è venerata come la casa dove la madre di Gesù sarebbe vissuta dopo la morte del figlio. Noi cappuccini custodiamo il luogo - ma forse sarebbe meglio dire che noi siamo custoditi da questo luogo - e accogliamo chiunque arrivi qui. Incontriamo le persone più disparate, ma in maggioranza sono cristiani di diverse confessioni, musulmani turchi (sunniti e aleviti) e sufi, che vengono a Meryemana per pregare da varie parti del mondo. A volte mi trovo a celebrare la Messa davanti a fedeli che non sono cristiani. Spesso si tratta di turchi venuti a pregare, che volentieri assistono in silenzio e raccoglimento. Dio chiama tutti, senza esclusioni. Perché Dio è Dio e fa come gli pare a Lui! Quindi il dialogo interreligioso è di casa a Meryemana? Dialogo è «parola tra». A volte questa parola è tra i pellegrini e noi frati, dunque tra persone per lo più di fedi diverse, normalmente tra musulmani e cristiani. Più spesso la parola si fa grido o bisbiglio a Dio. Qui il Cielo inizia rasoterra… È il mistero dell’Assunzione, che forse è avvenuta proprio qui. Monica Borsari Çay, il tè che si beve nel bicchierino L a Turchia è tra i maggiori produttori e consumatori di tè al mondo. Secondo i dati Fao, il consumo pro capite (2,5 kg all’anno) supera addirittura quello nel Regno Unito. Prodotto sulla costa orientale del Mar Nero, il tè turco, chiamato çay, è un tè nero, preparato usando due tipici bollitori sovrapposti (çaydanlık). L’acqua è portata a bollire nel bollitore inferiore, più largo. Un po’ d’acqua viene utilizzata per riempire quello superiore, più piccolo, in cui vengono versati alcuni cucchiai di foglie sfuse di tè, producendo così un tè molto forte e deciso. L’acqua restante è poi usata per diluire il tè a proprio piacere, dando la possibilità di scegliere tra «tè forte» (in turco koyu, «scuro») o «tè debole» (açık, «chiaro»). Il çay è gustato in un bicchierino di vetro, dalla forma di tulipano - fiore simbolo della Turchia - accompagnato da due micro zollette di zucchero. Intorno al bicchierino di çay ruota tutta la cultura della Turchia: è il primo gesto di benvenuto, un modo per accogliere e socializzare. I turchi lo bevono a tutte2013 le ore. gennaio Popoli 57 Promosso da Caritas Ambrosiana, Centro Documentazione Mondialità, Ufficio Diocesano Pastorale Migranti, Ufficio Diocesano Pastorale Missionaria in collaborazione con la rivista «Popoli» Convegno Auditorium San Fedele 2 febbraio 2013 – ore 9.30-17.00 ore 9.30 Lanterna e dragone: due simboli che evocano bene, prima e più che la Cina, gli stereotipi ai quali molto spesso viene ridotto nell’immaginario collettivo questo immenso e complesso Paese: da una parte l’esotismo della sua cultura, dall’altra l’aggressività della sua economia. Obiettivo del convegno è quello di superare queste semplificazioni andando alla scoperta delle vicende e delle sfide complesse che attraversano la storia della Cina contemporanea: dalla vastità e varietà dei suoi territori ai costi sociali e ambientali della crescita, dai movimenti migratori alle risposte alla globalizzazione, dall’emergere della società civile al problema del governo politico di una realtà in profonda trasformazione, dall’istanza complessiva di un ‘sistema dei diritti’ a quella specifica della libertà religiosa. Cina: il riscatto del passato, le ambizioni del presente, i problemi del futuro Guido Samarani, Università Ca’ Foscari, Venezia Sostenibilità dello sviluppo e armonia sociale: un bilancio degli ultimi dieci anni di riforme Valeria Zanier, Università Ca’ Foscari, Venezia ore 11.00 Dreamwork China Documentario-reportage sui giovani lavoratori cinesi Il “modello cinese” alla prova della crisi: le linee di faglia del cambiamento e gli scenari futuri per le relazioni italo-cinesi Daniele Cologna, Università Milano-Bicocca Francesco Wu, Associna ore 14.30-17.00 Tre focus in contemporanea La società civile cinese: un’esperienza sul campo Laura Battistin, Istituto sindacale per la cooperazione e lo sviluppo Migranti cinesi in Italia e la comunità di Milano Daniele Cologna, Università degli studi di Milano-Bicocca Angelo Ou, Comunità cinese di Milano Il “revival delle religioni” nella Cina d’oggi Ester Bianchi, Università di Perugia Enti aderenti ACLI Provinciali di Milano, Monza e Brianza – Associazione Giulio Aleni onlus – Associazione L’avete fatto a me Cooperazione e Sviluppo per la salute nei P.V.S. – Associna – Cappellania dei fedeli cattolici di lingua cinese di Milano – Cappellania generale dei migranti di Milano CeLIM Milano – CEM Mondialità – Centro Pime Milano – CESPI Centro Studi Problemi Internazionali – COE Centro Orientamento Educativo Fondazione Casa della carità A. Abriani – Fondazione Culturale San Fedele IPSIA Milano – ISCOS Istituto Sindacale per la Cooperazione e lo Sviluppo Parrocchia Santissima Trinità Milano – Pax Christi Milano – Scarp de’ tenis Terre di mezzo – VISPE Volontari Italiani Solidarietà Paesi Emergenti Luogo Auditorium San Fedele, via Hoepli 3/b – 20121 Milano Informazioni Centro Documentazione Mondialità 02.58391395 – [email protected] Iscrizioni Mediapartner www.chiesadimilano.it/cdm A cura della Redazione e di Anna Casanova Per segnalazioni scrivi a [email protected] 63 Babel Jorge Canifa Alves 65 Cinema 63 67 65 68 68 Rengaine Musica Musica baltica, rock e saghe pagane 73 Sorseggi Pito 73 67 Teatro La nave fantasma 70 Un altro stile Bici e metropoli, connubio perfetto 74 74 Inter@gire 70 76 Imparare dal diavolo? 76 Mediterraneo a fumetti Le sette porte di Damasco 60 60 61 Leggere Segnalazioni Novità in libreria La libreria Trame (Bologna) Sul comodino di... Beniamino Saibene Carta canta Babel Jorge Canifa Alves Tre domande a... Siddartha Deb Guardare Cinema Rengaine Antenne globali Televisa Osservatorio Campagna Usa 2012, trionfa la pubblicità Documentari Israele-Palestina: due popoli, una terra Invito a teatro La nave fantasma Ascoltare Musica Musica baltica, rock e saghe pagane Strumenti Cuatro Eventi A Lugano suoni in mostra Benvivere Unaltrostile Bici e metropoli, connubio perfetto Il colore dei soldi Habitat Se il vecchio container diventa un mattone Solidee Accoglienza e assistenza, premiati i camilliani Gustare Sapori&saperi L’anima orientale del basilico Sorseggi Pito Retrogusto Kuriya (Roma) Inter@gire Imparare dal diavolo? Decode La moneta non tintinna più, squilla Mediterraneo a fumetti Le sette porte di Damasco 62 65 66 69 70 73 63 65 68 71 73 64 66 70 72 67 68 71 74 76 74 Leggere novità in libreria Marco Aime African Graffiti. Taxi Brousse e altri racconti dalle strade d’Africa Il fascino dell’Africa non è solo nei paesaggi mozzafiato, nella natura rigogliosa, nelle tradizioni secolari, ma anche e soprattutto nella sua gente. Eppure il turismo di massa non si interessa agli africani, le vacanze si consumano in resort lontani dai centri nevralgici della vita pubblica. La chiave del libro sta proprio nel mettere al centro gli africani: non è un racconto dell’Africa, ma di alcune persone incontrate da Aime - antropologo, autore di vari saggi, collaboratore di Popoli - nel corso di quasi trent’anni di viaggi. Sono le storie di donne, uomini, bambini incontrati nei villaggi all’ombra di un mango, nelle locande male illuminate a bere birra, per le vie caotiche e inquinate delle città, tra le bancarelle colorate dei mercati, nel silenzio dei deserti. Senza la pretesa di capire fino in fondo culture, tradizioni con le quali è possibile familiarizzare solo dopo una lunga convivenza. [Stampa alternativa, Viterbo 2012, pp. 158, euro 15] Paolo Branca Barbara De Poli Islam Quale ruolo hanno i musulmani nelle trasformazioni della realtà globale? Quale la loro visione del 60 Popoli gennaio 2013 mondo, che va oltre la semplice dimensione religiosa? Questo piccolo saggio della collana «Fattore R - Religioni fra tradizione e globalità», curata da Brunetto Salvarani, risponde con chiarezza alle domande, fotografando la religione islamica che oggi - insieme al cristianesimo - è la più diffusa al mondo, nei suoi rapporti con il diritto, l’informazione e i nuovi media, le relazioni con l’Occidente, l’estremismo politico, le sfide della modernità. All’importanza e all’attualità dei temi gli AA. sanno aggiungere una visione d’insieme dei fenomeni che aiuta a leggere le complessità del presente. [Emi, Bologna 2012, pp. 159, euro 12] il «pensiero unico» sul genocidio imposto dal potere politico. [Emi, Bologna 2012, pp. 192, euro 13] Riccardo Cristiano Il giorno dopo la primavera «Il problema arabo non è l’islam, ma le dittature che da metà Novecento hanno annichilito le nostre la libreria Valentina Codeluppi Le cicatrici del Ruanda 6 aprile-15 luglio 1994: tra queste due date è racchiuso l’ultimo genocidio del XX secolo, quello avvenuto in Ruanda. In poco più di due mesi, 800mila persone vennero sterminate nel nome della più bieca contrapposizione etnica. Perché? Qual è stata la scintilla che ha acceso una tale esplosione di odio? Nel 1995 ai Tribunali ordinari si è affiancato un Tribunale penale internazionale e nel 2002 si sono tenuti anche numerosi processi di villaggio (gacaca). Nel 2012, infine, il presidente ruandese Paul Kagame ha dichiarato conclusa questa esperienza. Questa imponente macchina giudiziaria è riuscita a individuare le vere ragioni del genocidio? E, soprattutto, è riuscita a favorire la riconciliazione nazionale? La risposta offerta da questo studio è in chiaroscuro e mette sotto accusa, in particolare, L o scorso dicembre ha spento sette candeline. Ancora giovane, ma radicata ormai nel territorio e punto di riferimento per chi vuole respirare cultura, la libreria Trame, di Bologna, gestita da tre lettrici «forti»: Nicoletta Maldini, Orsola Mattioli e Anna Vezzoli. Oltre a ospitare un gruppo di lettura chiamato «Lettura sul sofà» e a proporre corsi di scrittura, Trame ha lanciato la singolare iniziativa «La libreria incontra la scuola» in cui gli studenti, partendo da un libro, elaborano una pièce teatrale, un musical, un poema e a fine anno lo presentano all’autore di quel volume. Nei 50 mq della libreria si possono trovare oltre 7.000 titoli con una sezione dedicata ai ragazzi, e con la possibilità di ordinare libri in lingua originale nonché di fare la «lista nozze libri». Tra gli ultimi scrittori ospitati, il maliano Moussa Konatè. TRAME Via Goito 3/c - Bologna www.libreriatrame.com società». Parte di qui Samir Frangieh, uno dei più autorevoli intellettuali arabi, ideologo dell’intifada che allontanò i siriani dal Libano dopo l’assassinio di Rafiq Hariri, per dire che la primavera araba è un cambiamento irreversibile delle società arabe che rende già attuale la riconciliazione mediterranea. Infatti, con la probabile, imminente caduta di Assad si porrà anche termine alla guerra fredda mediorientale, nella quale Teheran svolge il ruolo che fu di Mosca. Cristiano maronita schierato con le sinistre libanesi durante la guerra civile, fondatore del primo centro per il dialogo islamo cristiano, Samir Frangieh ricostruisce in questo libro-intervista curato da Riccardo Cristiano giornalista Rai, esperto di Medio Oriente - i grandi bivi della politi- laboratore del Corriere della Sera e psicologo, parte da questa domanda per scandire le tappe principali del cammino martiniano e delle sue relazioni: con la Parola, le crisi sociali, la violenza, con papa Wojtyla e l’istituzione ecclesiastica, con i non credenti, la politica, la comunicazione, e in particolare con le città di Milano e Gerusalemme. Garzonio ci offre una biografia ricca e sfaccettata di un uomo che ha saputo vivere la «tradizione orale» con il suo popolo: nell’essere ascoltato suscitando interesse, nell’insegnare senza far pesare il suo sapere, nello stupire e affascinare con la profondità essenziale della fonte biblica. In questo modo, da una parte Martini ha recuperato la dimensione profetica dell’essere cristiani, perché «si faceva portavoce di un’epoca recente della Chiesa e la rinverdiva»; ca araba dalla fine dell’impero ottomano, ma soprattutto definisce il modello di democrazia consensuale con cui uscire dall’epoca dei totalitarismi e costruire lo Stato civile, unica soluzione per garantire tutte le comunità etniche e religiose. La prefazione è di Andrea Riccardi. [Mesogea, Messina 2012, euro 15] Marco Garzonio Il Profeta. Vita di Carlo Maria Martini Come si spiega lo straordinario affetto della gente verso il cardinale gesuita appena scomparso? L’A, col- Sul comodino di... Beniamino Saibene Quando la cooperazione tradisce T Nato nel 1974, Beniamino Saibene è tra i fondatori di Esterni (www. esterni.org), impresa culturale che dal 1995 progetta spazi pubblici, promuove e realizza eventi di aggregazione, sviluppa campagne di comunicazione partecipata. Dal 1995 al 2010 è stato anche direttore del Milano Film Festival. rovo che L’industria della solidarietà. Aiuti umanitari nelle zone di guerra, libro di Linda Polman uscito nel 2009 (Bruno Mondadori, euro 16), sia un viaggio indimenticabile. Uno di quelli che ti cambiano la vita. Soprattutto se sei una persona che si interessa di cooperazione e di tanto in tanto si interroga sulle sorti del mondo. L’agenzia di viaggi che organizza questo itinerario immaginario è Linda Polman e la meta che ti viene proposta è quella dei campi per rifugiati. Il mondo della cooperazione internazionale che scopriamo è agghiacciante. E non sono le condizioni di sopravvivenza dei rifugiati a gelare il sangue nelle vene, quelle le diamo tutti per scontate (!). La sorpresa è nel sistema economico e nei paradossi etici che stanno dietro a molti campi per rifugiati, a molte campagne di «intervento umanitario». Rileggiamo con Polman la storia degli ultimi sessant’anni analizzando, oltre alle politiche governative e alle strategie militari, anche le scelte e i comportamenti di un attore della contemporaneità finora rimasto ai margini della storia ufficiale: le organizzazioni umanitarie. Il «mercato della misericordia», che potrebbe rappresentare per entità economica una delle principali potenze mondiali, è un sistema in crisi, soprattutto in crisi di identità. L’aura di neutralità che da sempre distingue le organizzazioni umanitarie non regge agli occhi di chi, come Polman, ha avuto il coraggio e l’intelligenza di andare oltre i comunicati stampa e gli slogan di grandi e piccole organizzazioni umanitarie. Così, per esempio, ci viene raccontata la «crisi ruandese», quando l’eccesso di aiuti e la brama delle Ong consentì agli estremisti hutu di portare avanti, dai campi per i rifugiati dell’Unhcr a Goma, una campagna di sterminio contro i tutsi. Ogni intervento umanitario è una scelta politica (consapevole o meno) e ogni missione umanitaria ha conseguenze politiche (azzeccate o meno). Leggendo il libro, viene il forte sospetto che i valori su cui si basa ancora oggi la solidarietà internazionale siano spesso pretesti o invenzioni mediatiche per giustificare una politica globale che mira a sfruttare gli aiuti umanitari per fini disumani. Devo scrivere a Linda Polman per ringraziarla del viaggio. Leggere CARTA CANTA L’«altro» nella stampa periodica italiana C osa sappiamo realmente delle «guerre lontane? Quanto spazio trovano nei mezzi d’informazione? E, soprattutto, cosa può fare ciascuno di noi?». Apriamo il 2013 di Carta Canta con gli interrogativi posti da Famiglia Cristiana (18 novembre 2012) nell’editoriale Nelle nostre case solo guerre da «prima pagina»: qui il settimanale cattolico sintetizza i contenuti dell’ampio capitolo dedicato all’informazione nel volume Mercati di guerra, IV Rapporto di ricerca su finanza e povertà, ambiente e conflitti dimenticati (Il Mulino). Si tratta di una ricerca annuale realizzata proprio da Famiglia Cristiana in collaborazione con Caritas Italiana e Il Regno. Tre i punti salienti della sintesi. Anzitutto la constatazione che la grandissima parte dei conflitti viene ignorata dai mezzi di informazione: «In queste settimane tocca alla Siria. In Tv, nei giornali, nel web (...) L’anno scorso era la volta della Libia. E prima l’Afghanistan, il Darfur, la Somalia. Alcuni conflitti entrano nelle nostre case, ma sono solo quelli “da prima pagina”. Nel mondo, però, si combatte e si muore in almeno una trentina di altri luoghi: Palestina, Sudan, Congo, Yemen, Nigeria, Ciad, tanto per fare i primi nomi [...] Sono i cosiddetti “conflitti a bassa tensione”, ignorati da tutti». La seconda annotazione consiste nel riscontrare che, nonostante sia un conflitto «da prima pagina», «la stessa guerra siriana viene ricordata solo dal 10% degli italiani. Quelle africane sono presenti nella coscienza solo di una esigua minoranza degli intervistati, fatta eccezione per il conflitto libico dello scorso anno (26% del campione). Appena otto su cento ricordano il Darfur. E, addirittura, uno su cento il Congo. Per non parlare di Pakistan, Libano o Cecenia, menzionati solo dal 2% degli intervistati». Infine, un segnale di speranza: nonostante quanto detto al punto precedente, «la conoscenza dei singoli conflitti appare in aumento. Ed è altissima, ormai, la percentuale (quasi otto su dieci) di coloro che considerano la guerra “evitabile”, non “ineluttabile”. C’è, poi, maggiore consapevolezza sulle cause delle guerre: dalle questioni energetiche all’aumento del prezzo del cibo, alle speculazioni economico-finanziarie». Nel rispondere alla domanda di apertura - «Cosa può fare ciascuno di noi?» - Famiglia Cristiana in questo editoriale lascia in secondo piano l’idea di un possibile impegno collettivo di denuncia e richiamo delle istituzioni e dei vari attori protagonisti del contesto globale, pur essendo questo un fatto richiamato in Mercati di guerra. Privilegia invece il livello della responsabilità personale, soprattutto per chi si occupa di informazione, invocando «una maggiore solidarietà dell’opinione pubblica nei confronti delle vittime delle guerre. Per questo, siamo tutti chiamati a raccontare, al meglio delle nostre possibilità, quelle aree del mondo troppo spesso oscurate dai media. E a porgere il microfono e dare voce ai popoli che non hanno voce tra le nazioni». Elvio Schiocchet e Maria Grazia Tanara 62 Popoli gennaio 2013 dall’altra si è mosso agli occhi della gente «come un antico Padre della Chiesa»: un uomo che «è stato quel che ha detto» con il patrimonio di parole che ha consegnato. Pellegrino per il mondo, incontro a tutte le genti. [Mondadori, Milano 2012, pp. 471, euro 19] Ryszard Kapuściński Se tutta l’Africa A sei anni dalla morte di Ryszard Kapuściński, vengono ripubblicati dieci suoi reportage apparsi sul settimanale Polityka tra il 1962 e il 1966. Sono articoli, scritti con un taglio narrativo, nei quali il grande reporter polacco descrive il periodo della decolonizzazione degli Stati africani: la nascita di nuovi Paesi, i profili dei capi che li guidano, la crisi dei primi sistemi politici e storie di persone comuni. Storico per formazione e per passione, l’A. ha osservato ogni cosa sul posto, rischiando talvolta la vita. A distanza di più di quarant’anni, questi articoli mantengono tutta la loro attualità e continuano a essere cruciali per andare alle radici dei problemi africani. [Feltrinelli, Milano 2012, pp. 288, euro 13,60] Opal Affari di armi. Percorsi di pace Come hanno fatto armi italiane a finire nelle mani di terroristi di Al Qaeda? E chi ha armato per anni Gheddafi prima di trovare più opportuno fargli la guerra? Queste e altre domande strettamente legate all’attualità occupano il primo capitolo del quinto Annuario di Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa), Onlus promossa da diverse realtà dell’associazionismo bresciano impegnate nel campo della nonviolenza e della pace. Un approfondimento che da solo giustificherebbe la lettura. Ma il cuore del volume è, come ogni anno, la ricerca sulle dinamiche del commercio internazionale di armi, Italia compresa, con una messe di dati aggiornati. Completa il libro un capitolo intitolato «La memoria», dedicato alla rievocazione di buone pratiche nonviolente e antimilitariste del passato, ancora oggi dense di significati. [Emi, Bologna 2012, pp. 271, euro 17] Martha C. Nussbaum La nuova intolleranza. Superare la paura dell’islam e vivere in una società più libera Una difesa vigorosa della libertà religiosa delle minoranze dinanzi alla dilagante islamofobia che ha interessato (con forme in parte diverse) sia l’Europa sia gli Usa dopo l’11 settembre 2001. L’ultimo saggio della filosofa Martha Nussbaum, docente di Diritto ed Etica nell’Università di Chicago, si concentra sulle questioni calde legate alla presenza delle minoranze musulmane in Occidente. Ma le tesi che avanza hanno una valenza universale e non sono disgiunte dall’esperienza dell’A. che, sposando un ebreo e convertendosi, ha vissuto personalmente l’oppo- sizione antisemita della famiglia protestante di origine. Nussbaum rimette in discussione i nostri atteggiamenti legati alla paura e analizza le dimensioni psicologiche e sociali di attitudini che condizionano fortemente gli orientamenti politici, attraverso una serie di casi concreti: dal divieto svizzero di costruire minareti, alle varie proibizioni di portare il foulard in luoghi pubblici, all’incoerenza di alcune campagne contro il burqa. L’Europa, per la sua storia e la costruzione degli Stati sul concetto romantico di nazione, è meno attrezzata degli Stati Uniti di fronte all’intolleranza verso le minoranze religiose. L’identità degli Usa, costruita invece intorno a principi politici, li dovrebbe favorire nell’uguale rispetto per tutti i cittadini. Oltre a indicare questo presupposto, Nussbaum illustra l’importanza di essere capaci di un pensiero religioso critico e di sviluppare un’immaginazione che consenta di vedere il mondo anche nella prospettiva degli altri. Pre- supposti per costruire un futuro aperto e inclusivo. [Il Saggiatore, Milano 2012, pp. 260, euro 17] Alessandro Pellegatta Agim. Alla scoperta dell’Albania Albania, ultima frontiera d’Europa: questa immagine ha spinto l’A. a viaggiare per il Paese delle aquile, attraversarne i luoghi della natura, le città, cercando i segni di una storia di povertà e isolamento (dalla lunga dominazione ottomana allo stalinismo interpretato in chiave locale). Nel racconto vivo del reportage emergono mille aspetti di una terra orgogliosa e consapevole, geograficamente vicina, ma sempre troppo poco conosciuta in Occidente e anche in Italia (dove vivono circa mezzo milione di albanesi). Con la passione del viaggiatore che BABEL Radici straniere, parole italiane È appena uscita in formato eBook la raccolta Kronos ’90. Poesie in bianco, nero e grigio (della neonata casa editrice digitale Freccia D’oro), di Jorge Canifa Alves. Si tratta di una selezione di poesie - la maggior parte scritte negli anni ’90 -, divise in base a tre «colori», appunto il bianco, il grigio e il nero. «ll grigio - scrive in una nota il poeta - continuerà ad avere una parte molto importante in me e nelle mie opere perché sono Jorge Canifa Alves convinto che il mondo di domani avrà quest’anima: Kronos ’90. grigia, creola, meticcia, perché rappresenta la libertà Poesie in bianco, di aver in sé due colture al prezzo di una, due culture nero e grigio che puoi coltivare insieme». Freccia D’oro 2012 Questa la dichiarazione d’intenti del poeta capoverdiaeBook euro 5,50 no Jorge Canifa Alves, nato nel 1972 sull’isola di São Vicente. Appassionato di letteratura (ha pubblicato già diversi racconti in antologie edite da Fara Editore, Mangrovie, Cadmos, Edizioni Dell’Arco) e di teatro, ha fondato nel 2006 il gruppo teatrale Raiz Longe, portando in scena diversi spettacoli, tra cui Gli affamati. Dopo alcuni anni trascorsi in Spagna, è tornato a Roma dove gennaio 2013 Popoli 63 si occupa di migrazioni, teatro e scrittura. Leggere chiesa oggiSiddhartha e domani Deb Chi vince e chi perde nella nuova India I l giornalista e scrittore Siddhartha Deb ha appena pubblicato il suo primo saggio Belli e dannati. Ritratto della nuova India (Neri Pozza 2012, pp. 351, euro 18), un lungo reportage frutto di quattro anni di viaggi, incontri, interviste nell’India contemporanea. Siddhartha ci racconta l’India attraverso le storie di cinque personaggi rappresentativi: dal ricco «smanioso e impaziente, con abitudini di consumo esasperate», all’ingegnere solitario ritenuto «l’emblema della nuova India», alla cameriera con turni di lavoro alienanti che desidera fare la maestra. Uno dei protagonisti del libro è il super ricco Arindam Chaudhuri, fautore del management in stile indiano. Ci può spiegare che cosa caratterizza il capitalismo indiano? Il capitalismo indiano degli ultimi vent’anni è molto particolare. Non è cresciuto intorno alla produzione industriale, come è successo per il vecchio capitalismo o negli anni Ottanta, quando in India si produceva abbigliamento. Il nuovo capitalismo indiano gira intorno al mondo dei software, dell’IT (information technology), dell’economia della conoscenza. E sicuramente Chaudhuri, un businessman che viene dal mondo della pubblicità, fa parte di questo capitalismo: ha creato molte scuole di management, appoggiate dal governo, ma anche mass media, riviste e una casa di produzione cinematografica che ha prodotto film di successo in stile Bollywood. Tutto gira intorno al marketing, all’immagine, ai simboli. Durante il suo reportage ha anche visitato le Zes (Zone economiche speciali) che stanno avendo un impatto notevole sul paesaggio indiano... Per le Zes è stato preso come modello la Cina, dove si sono costruite zone in cui esistono facilitazioni fiscali che permettono la creazione di nuove fabbriche e industrie. Seguendo questo modello, si voleva trasformare l’India in una potenza manifatturiera, ma questo non è avvenuto. La grande differenza tra Cina e India oggi è che la ricchezza indiana è basata sull’economia della conoscenza. Io ho visitato due Zes dove non sono state costruite industrie, ma enormi ville per ricchi, hotel a 5 stelle... Insomma le detrazioni fiscali erano sussidi al consumo per classi sociali elevate e ciò ha creato problemi. Il territorio è cambiato profondamente. In questi Zes sembra di essere a Dubai: enormi shopping mall, centri commerciali con centri benessere, zone uniformi e anonime, insomma un paesaggio scollegato dalla vera India. E per far questo si sono distrutti interi villaggi. In questo inesorabile sviluppo indiano, infatti, i contadini sono i grandi assenti. Che cosa sta succedendo all’agricoltura? Il mondo dell’agricoltura sta conoscendo un periodo di enorme difficoltà dovuta alla crisi generale. In India ci sono oltre 400 milioni di agricoltori sottoposti a forti pressioni dal mercato, obbligati a coltivare colture ad alto reddito, come gli Ogm, che sappiamo essere costosi, richiedere molti investimenti ed essere insostenibili perché richiedono enormi quantità di acqua. E la situazione della falda in India è molto problematica. Dal 1997 al 2005 sono stati più di 200mila i suicidi tra agricoltori dovuti a problemi di debiti. Quando mi sono trovato a parlare con loro, quasi tutti hanno espresso il desiderio che i loro figli non diventassero agricoltori, un lavoro troppo duro e poco redditizio, ma che lavorassero nel mondo dell’IT. 64 Popoli gennaio 2013 vuole abbattere stereotipi e pregiudizi xenofobi, il libro percorre gli itinerari di alcuni grandi autori come Byron o Rigoni Stern, che già in passato hanno messo in luce il fascino dei contrasti schipetari. [Besa Editrice, Nardò (Le) 2012, pp. 164, euro 16] Filippo Rizzi Quelli che fecero il Concilio. Interviste e testimonianze Filippo Rizzi, giornalista di Avvenire, raggiunge in questo libro lo scopo dichiarato di dare vita al Concilio Vaticano II attraverso il ricordo appassionato di sedici testimoni. Alcune testimonianze, come quella del cardinale Carlo Maria Martini sono brevissime, altre più estese. Tutte, però, sono accomunate dall’intensità della vita di fede di questi uomini che, presenti o meno alle sedute dell’assise conciliare, nel mezzo secolo successivo hanno cercato di mettere in pratica ciò che lo Spirito ha suggerito alla Chiesa. Ecco i nomi dei protagonisti intervistati: Loris Capovilla, Georges-Marie Cottier, Roger-Marie Etchegaray, Paul Poupard, Achille Silvestrini, Roberto Tucci, Carlo Maria Martini, Albert Vanhoye, Battista Mondin, Luigi Bettazzi, Giovanni Canestri, Raniero La Valle, Ettore Masina, Benny Lai, Giovanni Coppa e Paolo Molinari. La prefazione è affidata al direttore emerito della Civiltà Cattolica, Gian Paolo Salvini. [Edizioni Dehoniane, Bologna 2012, pp. 121, euro 9,90] Guardare Rengaine Lei araba, lui nero, una relazione che infrange molti tabù, anche nella periferia parigina in cui vivono. Un film di grande potenza che merita di uscire dai confini francesi T eso, sincero e «puro» cinema, come un film di Cassavetes aggiornato al cinema digitale, Rengaine di Rachid Djaïdani racconta una sorta di Romeo e Giulietta suburbano e contemporaneo. Mosaico di volti, persone, storie, racconti periferici che s’intrecciano nella banlieue, la periferia parigina, inattesa culla di razzismi tra poveri e di non integrazione tra non integrati. Il nero, anzi «negro», africano, cristiano e pacifico Antenn li loba eg Dorcy vuole sposare - ricambiato - Sabrina, ragazza musulmana di origine algerina, sorella di Slimane, il più vecchio di una quarantina di fratelli. Slimane cerca Dorcy per le strade per pestarlo, forse ucciderlo. Slimane, razzista e violento, che ha anche allontanato dalla famiglia un fratello omosessuale, tuttavia nasconde a tutti una relazione con una ragazza ebrea. Il film antirazzista più potente e libero - nel cuore, nel pensiero e nel modo in cui usa il linguaggio cinematografico - degli ultimi Televisa Il più grande network televisivo in lingua spagnola al mondo è la rete messicana Televisa, fondata negli anni Cinquanta e oggi guidata da Emilio Azcárraga Jean, erede di una delle più ricche famiglie messicane. Con quasi duecento serie trasmesse dal 1958 a oggi, è stata la rete incontrastata delle telenovelas, seguite dalla California fino alla Terra del Fuoco. Oltre a trasmettere in Messico, il gruppo raggiunge il pubblico ispanofono di tutta l’America latina e degli Usa. Inoltre dal 2012, con la nuova Televisa Usa, con sede a Los Angeles, si sta lanciando nel mercato televisivo in lingua inglese. Televisa controlla il 70% degli ascolti in Messico. Nel 2012 è stata accusata dal quotidiano britannico The Guardian di avere formato un’unità segreta (equipo Handcock) in appoggio al candidato presidenziale del Partito repubblicano, Enrique Peña Nieto, poi risultato vincitore. Il gruppo Televisa è anche proprietario del celebre stadio Azteca di Città del Messico. anni: Rengaine (cantilena, nenia) è stato accolto da un applauso di venti minuti all’ultima Quinzaine a Cannes. È uscito a metà novembre nelle sale francesi, non ha ancora una distribuzione italiana, ma ci auguriamo che qualcuno se ne (pre)occupi al più presto. L’autore, di padre algerino e madre sudanese, è cresciuto in una famiglia di undici fratelli e sorelle. Ex campione di boxe, ex muratore, ex attore, ha realizzato Rengaine quasi a costo zero, in nove anni di lavorazione e 400 ore di girato, per un montaggio finale di quasi settantacinque minuti potenti. Mostra i volti dei suoi attori dai colori diversi, visi scuri nel buio notturno, sguardi arrabbiati, sguardi gentili, amori, ma soprattutto odio. Odio che - come la povertà rispetto alla ricchezza - nella banlieue è spesso più diffuso dell’amore. Non è un caso che Djaïdani, qui al suo primo lungometraggio da regista, abbia cominciato a lavorare nel cinema (era addetto alla sicurezza) proprio sul set di La haine (L’odio) di Mathieu Kassovitz, capolavoro sulle strade violente e la rabbia degli emarginati, degli esclusi dal festino del potere e delle pance piene. La periferia è il luogo dove può ancora esplodere la violenza più cieca, la logica delle «tribù» che non si sono mai integrate fra loro e ancora meno con il Centro. Nell’ideologia concentrazionaria, che da sempre muove il Potere, bisogna concedere una valvola di sfogo alla rabbia. Che cosa di meglio può esservi della guerra fra poveri, fra i «ghettizzati» e le minoranze schiacciate da altre minoranze? Rengaine racconta magnificamente come questo avvenga attraverso i razzismi tra «neri», chi più nero di pelle chi meno. Cattolici, musulmani, ebrei, omosessuali, neri: tutti siamo minoranze e feccia per qualcuno. Puro cinema destabilizzante, disturbante e diretto, già ribattezzato «cinéma-guérrilla» dalla rivista Les Inrockuptibles, Rengaine scorre veloce e diretto come un rap di strada, poetico, arrabbiato, violento e sincero. Luca Barnabé gennaio 2013 Popoli 65 Guardare A cura dell’Osservatorio Media Research di Pavia Campagna Usa 2012, trionfa la pubblicità La propaganda elettorale delle presidenziali è stata segnata da livelli record di spesa pubblicitaria e numero di spot aggressivi S e un osservatore volesse esplorare le dinamiche e le logiche che hanno caratterizzato la campagna elettorale nonché il ruolo dei media nelle elezioni Usa del 2012, dovrebbe dedicarsi alla visione delle dieci puntate della serie tv The Newsroom, ambientata in una non troppo immaginaria redazione di una Tv via cavo. Il potere dei media nella definizione dell’immagine pubblica dei candidati, la competizione esasperata che plasma tutto il processo elettorale, gli scandali, i rumors e la personalizzazione della politica, la crescente polarizzazione tra conservatori e progressisti, il primato della pubblicità elettorale, il ruolo di internet: questi sono i nodi di una campagna elettorale che ha visto crescere in maniera esponenziale le spese elettorali e che ha testimoniato una progressiva radicalizzazione del clima politico. In sintesi, due sono le caratteristiche principali emerse: il volume della pubblicità elettorale e dei fondi spesi per la campagna e la crescente polarizzazione della sfera politica e, conseguentemente, della sfera mediatica, sia tradizionale sia legata ai new media. Gli investimenti in pubblicità elettorale sono stati senza precedenti: negli Usa non esistono limiti ai fondi che candidati, partiti o gruppi di pressione possono spendere in propaganda politica. Tale prerogativa riguarda anche i cosiddetti super Pacs, i «Comita- ti di spese indipendenti». Tali gruppi non possono finanziare direttamente i candidati, ma possono impegnarsi in attività di campagna a favore o contro un candidato, senza tetti di spesa. Inoltre, possono raccogliere fondi da corporations, sindacati e altri gruppi senza alcuna restrizione (dopo una sentenza del 2010 della Corte suprema). Da giugno a ottobre 2012, si è generato un circolo di investimenti pubblicitari da parte di questi gruppi «esterni» superiore al miliardo di dollari. Secondo il Wesleyan Media Project (Wmp), il numero di spot trasmessi da candidati, Documentari a cura di BiblioLavoro - Cisl Lombardia Israele-Palestina: due popoli, una terra HOW FAR I CAN GO Regia di Ulrike Ramlow, Rimonda Mansour, Steffen Ramlow. Germania-Palestina 2009, 72’ (sott. inglese) Ritratto di tre donne, tra ideologia e vita reale nei loro Paesi: Palestina e Israele. Maha Nassar, palestinese di Ramallah, Nitza Aminov, israeliana di Gerusalemme, Afnann Eghbaria, palestinese di Haifa. Apertamente parlano delle loro convinzioni politiche e delle esperienze personali, riflettendo su questioni chiave come identità, frontiere, famiglia, vita e morte. LA PACE COME l’ACQUA Regia di Myrice Tansini. Italia 2000, 23’ Nel conflitto continuo tra Israele e Autorità Palestinese, mentre due popoli condividono lo stesso territorio, il problema dell’acqua sembra essere irrisolvibile. Il documentario, oltre allo scorrere delle acque insegue un altro percorso possibile e sempre più necessario, quello della pace. La relazione tra la pace e acqua cambia i punti di vista e rimette tutto in discussione, racchiudendo la possibilità di un futuro vivibile. THE LAST ENEMY Regia di Nitzan Gilady. Israele 2000, 58’ (sott. inglese) Nel 1998 si forma un gruppo teatrale molto particolare nella sua composizione: lavorano insieme attori provenienti da Israele, Palestina e Giordania, per portare in scena un testo americano incentrato sul conflitto israeliano-palestinese. Tra perplessità e speranze di una convivenza sostenibile. Per il prestito dei video: BiblioLavoro (librigennaio - video 2013 - archivi storici), tel. 02.24426244 - [email protected] 66 Popoli 17-23 gennaio Trieste XXIV edizione del Trieste Film Festival, dedicato alla cinematografia dell’Europa centro-orientale. www.triestefilmfestival.it 21-27 gennaio Milano Al Teatro Piccolo, La Rosa Bianca, di Lillian Groag, in memoria della resistenza al nazismo. www.piccoloteatro.org Fino al 3 febbraio Roma Mostra Akbar. Il grande imperatore dell’India. www. fondazioneromamuseo.com partiti e gruppi di pressione da giugno 2012 ha superato il milione, con un aumento del 39% circa rispetto al 2008. Inoltre, i gruppi esterni hanno investito in pubblicità elettorale in misura nettamente superiore rispetto ai candidati e ai partiti stessi, con evidenti implicazioni rispetto al ruolo esercitato da facoltosi gruppi di interesse nel processo elettorale. Secondo il codirettore del Wmp, Erika Franklin Fowler, «è senza dubbio il livello più alto di investimento pubblicitario mai visto sinora». I mercati mediatici dei cosiddetti «swing States», gli Stati in cui la vittoria di uno dei due candidati non era data per certa, sono stati i principali beneficiari della campagna pubblicitaria. La propaganda elettorale è stata inoltre caratterizzata da alti livelli di «negativi- tà»: i dati del Wmp mostrano che la maggior parte dei messaggi si è concentrata sull’attacco o sulla critica dell’avversario politico e solo un’esigua parte degli spot si è focalizzata sulla reale proposta politica. La negatività non ha solo improntato la pubblicità elettorale. Sia i dati Pej (Pew Center’s Project), sia quelli della missione di osservazione elettorale dell’Osce, hanno evidenziato come in alcuni canali via cavo - in particolare Msnbc (di stampo liberale) e Fox News (a vocazione conservatrice) -, la rappresentazione dei due candidati sia stata caratterizzata da alti livelli di criticità e di attacco esplicito. Msnbc contro Mitt Romney (toni negativi nell’80% dei casi), Fox News contro Obama (70% dei casi). Internet, in continuità con le tendenze osservate nel 2008, si è ormai affermato come una delle principali fonti d’informazione elettorale, anche se la Tv, in particolare quella locale, riveste ancora un ruolo cruciale nella «dieta mediatica» degli statunitensi. In questo contesto, i social media hanno ricoperto un ruolo rilevante nella definizione di temi e toni della campagna. Secondo uno studio del Pej, le conversazioni pubblicate su Twitter, Facebook e una serie di blog nell’ultima settimana di campagna sono state estremamente negative verso i due principali candidati, in particolare verso Mitt Romney. Giovanna Maiola Invito a teatro La nave fantasma S i parla sempre poco in Italia di richiedenti asilo, forse per la crisi economica che impone altre priorità, forse per l’indifferenza di molti politici. Le domande d’asilo sono in netto calo, non perché vi siano soluzioni alle crisi umanitarie, ma per le carenze nell’accoglienza o, peggio, per l’estrema difficoltà nel raggiungere il nostro Paese da Corno d’Africa, Afghanistan, ecc. Per questo uno spettacolo come La nave fantasma, di Giovanni Maria Bellu, Bebo Storti e Renato Sarti, da anni sui palcoscenici dei teatri italiani e, n e l 2005, vincitore del Premio Gassman, è uno spettacolo ancora tremendamente attuale. Racconta di un fatto di cronaca avvenuto il 25 dicembre 1996 quando, al largo delle coste siciliane, affondò un battello carico di migranti provenienti da Sri Lanka, Pakistan e India. Ben 283 persone morirono nella più grave tragedia navale nel Mediterraneo dopo la seconda guerra mondiale. Della nave fantasma non parlarono né i media né le istituzioni. Furono i pescatori della zona a far trapelare notizie della tragedia, perché recuperarono decine di cadaveri con le loro reti a strascico. Nel 2001 il reportage di Giovanni Maria Bellu e le immagini della nave affondata rivelarono la vicenda che però non è stato ancora indagata del tutto, né il relitto è mai stato recuperato. Lo spettacolo - in scena dal 22 al 27 gennaio al Teatro Cooperativa di Milano - è un racconto forte che invita a non dimenticare questa tragedia né il fatto che il fenomeno migratorio continua a seminare morti in mare, così come nel Sahara e nei centri di detenzione-lager della Libia. gennaio 2013 Popoli 67 Ascoltare Musica baltica, rock e saghe pagane Le nuove produzioni pop in Estonia, Lettonia e Lituania riprendono leggende antichissime della tradizione musicale artica T erre di leggende pagane antichissime, dove il mare e i boschi sono abitati da divinità capricciose da ingraziare con riti di fuoco, i Paesi baltici nascondono una tradizione musicale antica che oggi si mescola con una musica pop dalle atmosfere eteree e impalpabili. Lituania, Lettonia ed Estonia sono spesso associate tra loro - e non si può negare che siano molti i punti di contatto fra i tre Paesi -, ma pro- prio la musica può essere un’interessante via per scoprire le peculiarità di ciascuno di questi popoli. Probabilmente la più famosa tradizione musicale è quella dei daina lettoni: canti popolari in rima, carattere distintivo della cultura nazionale, che rappresentano una forma di arte orale che ha sopperito nei secoli alla mancanza di manifestazioni letterarie più tangibili e che ha svolto un importante ruolo anche negli anni della la band, Ilga ha girato lotta per la liberazione per anni nei villaggi della dall’Urss che, non a caso, Lettonia raccogliendo le viene ricordata come «la daina direttamente dalla rivoluzione cantata». In voce degli anziani, per estate i numerosi festival riarrangiarle e farne ogcanori animano le città e getto di proprie canzoni. i villaggi più piccoli con Il cd Tur saulīte pērties gāja (2011) ricori, danze in esce a mescocostume tradilare le antiche zionale e gransonorità a medi bevute di lodie attuali birra. Lunghe suonate con sere miti in cui strumenti trai canti popodizionali e molari riechegderni, creando giano in tutto Iļģi u n’at mosfe r a il paese come Tur saulīte struggente e nei secoli pas- pērties gāja nostalgica. sati. Interpre- 2011 Ma la musica te attuale dei daina è la folk band Iļģi, della Lettonia non è sofondata da Ilga Reizniece, lo daina. La band Brainviolinista dell’Accademia storm raggiunse la popomusicale lettone. Insieme larità internazionale clasagli altri componenti del- sificandosi terza all’Eu- STRUMENTI Cuatro C uatro sta per quattro corde: questo è il nome di una chitarra di dimensioni ridotte tipica del folclore latino dell’America centrale e del Sudamerica. Questo strumento è presente nel panorama musicale di Colombia, Giamaica, Messico e anche di Suriname e Trinidad e Tobago, come accompagnamento di danze e canti. A Porto Rico e in Venezuela viene impiegato nella musica popolare e in quella religiosa. A prima vista è abbastanza simile all’ukulele polinesiano, solo un po’ più grande, ma il suono è più ricco, a metà strada tra quello della chitarra e del banjo, qualcuno dice persino del mandolino. Il cuatro è uno dei lasciti della colonizzazione spagnola: gli iberici, infatti, portarono con loro anche la tradizione musicale e, tra gli strumenti, la chitarra. A Porto Rico il cuatro ha vissuto numerose trasformazioni e adattamenti. Inizialmente (quello che ora viene definito cuatro antiguo) era a forma di buco della serratura con 4 corde ricavate da viscere di animali, poi sono nati nuovi modelli, portati da contaminazioni 68 Popoli gennaio 2013 esterne. Nel primo ventennio del Novecento, gli artigiani abbandonarono la storica forma per adottare quella a violino, e rimpiazzarono le corde con altri materiali, dando un tocco più raffinato. Viene solitamente ricavato da un blocco di legno di alloro, apprezzato per la sua capacità di risonanza, poi lucidato e non verniciato per non sacrificarne il suono. Generalmente il cuatro accompagna altri strumenti simili e viene utilizzato durante le processioni religiose legate al culto popolare della Vergine e dei santi. Sempre nell’isola caraibica, è identificato storicamente come lo strumento tipico dei jibaros, ovvero i contadini delle montagne. Il cuatro viene inoltre utilizzato per accompagnare gli aguinaldos, le tradizionali canzoni natalizie dell’isola, eseguite casa per casa. Per averne un esempio in una versione pulita e classica, niente di meglio delle canzoni del grande compositore portoricano Pedro Flores (scomparso nel 1979), autore di ballate e bolero, come Perdón o Obsesión. Alessandra Abbona rovision song contest nel degli Skamp, che fondono XXI secolo, come fanno 2000. Il singolo in inglese un pop europeo con in- le Vanilla Ninja, tre bionMy star ha scalato le clas- cursioni hip-hop, anche dissime ragazze che cansifiche facendo conoscere grazie alla frontwoman tano in estone e inglese la produzione musicale del gruppo, l’irlandese un pop-rock aggressivo pop baltica al resto del Erica Jennings, come nel- che strizza l’occhio alle mondo. Brainstorm, all’a- la hit You got style. E può girl-band d’Oltreoceano. pice del successo, fu la essere interessante anche Ma è singolare come proprio il più fin15 gennaio band di supporto ai Rol- ascoltare i Fojė, nico dei Paesi Venezia ling Stones nel loro con- storica band di baltici abbia Andrius Ma All’isola certo di Praga del 2003. prodotto i della Giudecca, La Lituania condivide con montovas, che Metsatöll, una concerto di tango la Lettonia l’amore per ha accompa band che suoto con le di Miranda Cortes, i culti pagani che pre- gna na un folkfisarmonicista cedettero la cristianizza- proprie canzoni metal pagano franco-spagnola. zione del Paese. Durante le giovani geJurga Šeduikytė (come loro di Aukso www.mirandacortes.it i Rasos dienos (i giorni nerazioni pieva stessi amadella rugiada) si salta at- vent’anni fa at- 2007 no definire traverso il fuoco e ci si traverso la lotta 25 gennaio cosparge il viso con la per l’indipendenza. Nieko la propria musica), con Cervignano (Ud) rugiada ritenuta magica, Panašaus è il brano culto, una profusione di batte Al Teatro Pasolini, mentre nei fitti boschi anche in versione cover ria e chitarre elettriche insieme a flauti e corni. Il «Carmen. The land of spiriti e folletti diventano proprio degli Skamp. dances», concerto reali, anche se solo sotto Tutti gli esponenti del- loro ultimo album, Tuska di jazz con forma di strambe sculture la musica folk baltica si (2011), raccoglie il meglio contaminazioni di legno. Jurga Šeduikytė riuniscono ogni estate a del gruppo registrato li di musica etnica. ha fatto propri i suoni e Tallin, in Estonia, per il ve durante un concerto a www.teatropasolini.it le allegorie mitiche delle Baltic folk festival, ma è Helsinki, in Finlandia. feste pagane per produrre ogni cinque anni che ha Danilo Elia una musica pop melodica luogo un evento da guine onirica, soprattutto gra- ness, il festival della caneventi zie alla sua voce velluta- zone estone, che culmina ta. Vera e propria pop star con il coro più grande del A Lugano suoni in mostra mondo, formain Lituania, to da 30mila Jurga ha vinto ifficile raccontare la mostra «Tü ta too. L’orecchio in viaggio» elementi che nel 2007 l’Mtv (Lugano, fino al 10 marzo) perché è un’iniziativa tutta da intonano canti Music Awards ascoltare: un viaggio nel patrimonio sonoro che ha come guida il popolari. come miglior nostro orecchio nell’esplorazione del tema dell’identità individuaAnche in Estoartista baltile e collettiva. nia non manca. Nel suo cd Attraverso una selezione di registrazioni provenienti dagli archivi cano ensemble Aukso pieva ci della Fonoteca nazionale svizzera si ragiona su suoni, voci, brani che raccolgono porta con domusicali che definiscono e contraddistinguono ciascun cantone: Metsatöll inni religiosi, sigle televisive, cori dei lavoratori, canti popolari. nella propria dici canzoni Tuska Un’attenzione particolare è rivolta alla qualità dell’ascolto: in un produzione da ascoltare 2011 mondo tempestato da rumori, senza che quasi ce ne accorgiamo, i musicale le antutte d’un fiato suoni della società influiscono sulla nostra capacità di ascoltare: direttamente sulle vento- tiche tradizioni con l’uso una cosa è apprezzare il jazz nel proprio salotto, un’altra sentirlo se coste del Mar Baltico. di strumenti del passato nelle cuffie in mezzo al traffico. Il percorso interattivo ce ne dà un Anche la Lituania non come Kiri-uu, il duo a saggio e ci coinvolge nel gioco di associare delle voci ad altrettanti è però impermeabile alla cappella dei fratelli Olev e volti e di combinare insieme suoni d’atmosfera, rumori d’azione, modernità, e dal punto di Arno Muska; oppure che spezzoni musicali e dialoghi per comporre una storia. Seduti su vista musicale lo si capi- si ispirano al folk per riuna panchina ci si può immergere nel mondo sonoro svizzero. sce ascoltando le canzoni volgersi alle orecchie del «Suona» curioso che quello che per molti è il cuore della finanza, D nell’immaginario dei suoi abitanti sia una terra dove prevalgono ancora il cinguettio degli uccelli e i campanacci delle mucche. gennaio 2013 Elisabetta Popoli 69 Gatto Benvivere Bici e metropoli, connubio perfetto Il manifesto del movimento #salvaiciclisti chiede che in città sia ridotta la velocità dei mezzi a motore e siano create più piste ciclabili. E intanto lancia una petizione... A metà dicembre erano oltre 7.500 i sostenitori della petizione «30elode» che chiede di aumentare la sicurezza delle strade italiane per chi va in bicicletta, in particolare di imporre un limite di velocità di 30 km/h per auto e camion nelle zone residenziali. La pet i zione inizia così: «Secondo i dati Inail, ogni giorno 57 pedoni sono coinvolti in incidenti stradali, due dei quali perdono la vita; di questi il 35% viene investito sulle strisce pedonali. In totale fanno 730 pedoni morti all’anno (…) ridurre la velocità media di 20 km/h significa dimezzare i decessi sulla strada». Negli ultimi dieci anni 2.556 ciclisti hanno perso la vita, mentre nei primi dieci mesi del 2012, 217 ciclisti sono stati investiti mortalmente. La petizione è stata lanciata dal mov imento #salvaciclisti (www. salvaiciclisti. it) che, in generale, intende promuovere scelte politiche per una «città a misura di bicicletta». Il movimento #salvaciclisti sostiene che la bicicletta nella città sia il vero mezzo sostenibile da promuovere e diffondere. Ha fatto suo e rilanciato il manifesto in otto punti «City fit for cyclist» del Times, un manifesto in cui si chiede, per esempio, oltre a piste ciclabili e a zone con traffico rallentato a 30 km/h, anche la promozione di iniziative di trasporto quali il bike sharing, l’utilizzo del 2% del budget dell’Anas per nuove piste, la realizzazione di un Piano Bici. A questo manifesto e all’ap- pello che il movimento ha rivolto ai diversi sindaci italiani hanno aderito personalità quali Margherita Hack, Jovanotti, Marc Augè e quotidiani quali La Gazzetta dello Sport e Il Fatto quotidiano. L’ultima iniziativa lanciata dal movimento è appunto la petizione «30elode». Per aderire è sufficiente visitare il sito www.change.org, mentre per diffondere la petizione su Twitter si può utilizzare l’hastag #30elode. IL COLORE DEI SOLDI I numeri dell’inclusione finanziaria degli immigrati 1. 782. 400 S ono 1.782.400 i conti correnti intestati a cittadini migranti presso le banche italiane e BancoPosta. Tradotto in termini percentuali, significa che il 61% dei migranti adulti, regolarmente residenti, ha un conto corrente. Un dato che emerge dall’indagine dell’Osservatorio nazionale sull’inclusione finanziaria dei migranti del CeSPI (Centro studi politica internazionale) su tutto il sistema finanziario nazionale. Inclusione finanziaria e integrazione sociale sono due aspetti che si intrecciano e che vedono nel rapporto con una banca il punto di accesso fondamentale. Daniele Frigeri Direttore scientifico Osservatorio CeSPI (www.cespi.it) 70 Popoli gennaio 2013 25-26 gennaio Bolzano Convegno «Casa clima» sulle tecniche di costruzione edile orientate al risparmio energetico www.fierabolzano.it 31 gennaio Venezia Termine ultimo per presentare gli elaborati del concorso «Affido la terra anche a te». Iniziativa ambientale del Patriarcato, dedicata ai bambini delle materne. www.veneziastilidivita.it Se il vecchio container diventa un mattone P arlare di vita nei container porta subito alla mente spiacevoli immagini legate a situazioni di emergenza e di precarietà. Eppure il container, o più precisamente l’«Unità di trasporto intermodale» (Uti), che in pratica è un grosso scatolone metallico impiegato per la spedizione di merci, sta assumendo un ruolo di rilievo nel settore della green economy. L’accresciuto fabbisogno abitativo della società moderna ha portato a scelte e soluzioni mai sperimentate recuperando vecchi container e dotandoli di allestimenti standardizzati. Sono abitazioni destinate a utenze poco esigenti e a basso reddito. Il più grande agglomerato di unità abitative basate sul «modulo-container» è a Ketwonen, una sorta di città per un migliaio di studenti, a mezz’ora di bicicletta da Amsterdam. L’aspetto dell’insieme è molto ordinato, piacevole e dipinto con colori vivaci. Ogni sistemazione è costituita da due container uniti sul lato corto per un totale di 25 metri quadrati di superficie, con bagno, cucina e ampie vetrate. Grazie alle semplici modalità di concessione degli alloggi e alle sovvenzioni statali, il posto è molto ambito. Anche in Inghilterra, Container City nei pressi di Londra si presenta con lo stesse caratteristiche: colori accesi, affitti esigui, servizi centralizzati. E l’Università di Le Havre ha creduto in queste potenzialità creando per gli studenti la Citè U, impilando una moltitudine di abitazioni con un ottimo effetto estetico. L’affitto è di a 280 euro al mese. Ma nel mondo le soluzioni di questo tipo sono moltissime e variegate. A Zurigo il Freitag Shop si è aggiudicato il primato di costruzione con container più alta del mondo: 30 metri, con 17 vecchi container affiancati, sovrapposti e collegati tra loro. A Berlino, invece, sulla Schönhauser Allee sono 34 container che ospitano il Platoon Kunsthalle, un luogo deputato alle arti. Grazie alla trasportabilità e flessibilità di utilizzo queste abitazioni low cost sono ottimali per il social housing, come succede a Yokoama (Giappone), o in Danimarca con l’HomeLessHome realizzato a Copenaghen. Roberto Desiderati SOLIDEE Accoglienza e assistenza, premiati i camilliani L’ Onlus torinese Madian Orizzonti dei padri camilliani ha ricevuto, lo scorso novembre, il Premio «torinese dell’anno» consegnato dalla Camera di commercio. Si è distinta sia per una preziosa attività di accoglienza sul territorio italiano verso persone sofferenti, ammalati e famiglie e minori stranieri, sia per i progetti sanitari in zone critiche come Armenia, Georgia e Haiti. Proprio ad Haiti, l’Onlus gioca un ruolo cruciale in quanto gestisce l’ospedale Foyer Saint Camille (costruito nel 2001) una delle pochissime strutture sanitarie rimaste operative a Port-au-Prince anche dopo il terremoto del 2010. Per far fronte alle nuove richieste post-terremoto si stanno costruendo un nuovo blocco operatorio per ortopedia e chirurgia generale e un nuo- vo edificio con 40 stanze a due letti. I camilliani proporranno corsi di formazione per il personale infermieristico e compreranno nuove strumentazioni mediche. Inoltre ogni mese, grazie a un accordo con il Centro traumatologico di Torino, medici e paramedici si recano nell’isola per effettuare interventi chirurgici. gennaio 2013 Popoli 71 Gustare L’anima orientale del basilico La pianta aromatica conosciuta, ma non sempre apprezzata appieno in Europa, è invece valorizzata nella cucina del Sud-Est asiatico a cucina, a volere guardare, è attività pericolosa. Perché maneggia il fuoco, ma soprattutto perché vorrebbe rendere inoffensive e commestibili erbe che, di per sé, avrebbero altra vocazione. Erbe che paiono innocenti e che, invece, sono più a loro agio nel mortaio del mago piuttosto che nella casseruola della cuoca. Prendiamo, ad esempio, il basilico. Pianta reale, il cui nome verrebbe, appunto, da basileus (cioè re), sembra creata apposta, con il suo aroma di gelsomino, liquirizia, chio di di garofano, per susci tare l’appetito e profumare i piatti di tante tradizioni. Ma, al contrario del mondo asiatico nel quale è nato e nel quale è associato alle divinità, cui piace inebriarsi del suo profumo, o del voudou haitiano che lo pensa legato alla passione amorosa (I. Allende, Afrodita, Racconti, ricette e altri afrodisiaci, Feltrinelli, Milano 1997), nel Mediterraneo il basilico è sempre stata una pianta da maneggiare con cura. Il sospetto sulle sue qualità portò Plinio il Vecchio a dichiarare che poteva generare stati di torpore e di pazzia, Crisippo a ritenerlo dannoso per il fegato, Giovan Battista della Porta a sostenere che dalle foglie essiccate potessero addirittura nascere scorpioni. Il basilico, dunque, associato più all’arte magica che alla IL VOLUME «S apori & saperi - Cibi, ricette e culture del mondo» non è il solito libro di ricette. È piuttosto un viaggio nelle culture culinarie. Un itinerario che mette in evidenza come il cibo non sia solo un alimento, ma lo specchio delle identità e delle tradizioni di ogni popolo. L’A., antropologa, che in questo libro ha raccolto gli articoli di etnogastronomia pubblicati su Popoli, racconta tradizioni, usanze, storie, miti e leggende legate a singoli piatti, dei quali offre anche ingredienti e sistemi di preparazione. Anna Casella Paltrinieri Sapori & Saperi - Cibi, ricette e culture del mondo Ed.it, Firenze 2012, pp. 236. euro 16 72 Popoli gennaio 2013 cucina, utilizzato, al massimo, per tenere lontani insetti, zanzare e cattivi odori. Si dovette attendere il genio dei genovesi per trasformarlo, insieme a pinoli e olio d’oliva, nel pesto, condimento apprezzato in tutto il mondo. I thailandesi conoscono un basilico (ocimum tenui florum), definito «sacro», dalle foglie piccole e con fiori viola. Lo chiamano horapa (nelle varietà bai, kaprow e maglak). Ne fanno un elemento fondamentale della cucina: ne apprez zano la fragranza (del resto il termine ocimum significa «profumo») e per questo lo aggiungono a fine cottura. Scrivendo nel 1923 delle città asiatiche, Somerset Maugham affermava che queste, nascondendo l’anima indigena dietro una facciata di modernità, erano un enigma per l’europeo. E aggiungeva: «ma, quando la vivi, hai la sensazione di aver perso qualcosa e non si può evitare di pensare che ha qualche segreto che essa ha osservato da te». Come il basilico, del quale gli asiatici hanno saputo cogliere il segreto e le qualità migliori. Anna Casella Paltrinieri La ricetta L POLLO AL BASILICO Battere due spicchi di aglio e da uno a tre peperoncini finché avranno consistenza omogenea. Riscaldare due cucchiai di olio vegetale nel wok, a fuoco medioalto, gettarvi il battuto mescolando e facendo cuocere per qualche minuto. Aggiungere 350 g. di pollo tagliato a listarelle (sufficiente per due persone) e far cuocere. Poi aggiungere mezza cipolla tagliata ad anelli, mezza tazza di fagiolini sminuzzati e continuare la cottura con acqua quanto basta. Insaporire con un cucchiaio di salsa di soia, un cucchiaio di salsa di soia dolce, due cucchiai di salsa di ostriche e spezie a piacere. Mettere alla fine il basilico e rimuovere dal fuoco. Servire con riso jasmine cotto a vapore. SORSEGGI RETROGUSTO Locali etnici con una storia dietro Pito C hi ha l’occasione di andare in Ghana per lavoro o per turismo non può non assaggiare il pito. Di basso grado alcolico (2-3%), di sapore lievemente acido e di colore giallo-marrone chiaro, appartiene alla grande famiglia delle bevande fermentate. In Ghana sono le donne di casa a preparare il pito (che non deve mai mancare in famiglia). La ricetta prevede che granaglie di miglio o di sorgo vengano lasciate in ammollo in un recipiente pieno di acqua per due giorni. Poi vengono scolate e lasciate per altri cinque giorni in un cesto avvolte in foglie di banano. In questo modo i grani germogliano. Una volta germogliati li si mette in una pentola con un po’ di acqua e si fa bollire il tutto per due ore. Infine si scola e si lascia raffreddare e fermentare per una notte. Esistono quattro tipi di pito (nandom, kokmba, togo e dagarti) che si distinguono a seconda del tipo di granaglie utilizzate e del grado di fermentazione della bevanda. Fino al 6 gennaio 16-17gennaio Rimini Bologna Marca Freshlab, Equamente, mostra-mercato del commercio equo e solidale con la possibilità di sostenere progetti solidali. http://riviera-dirimini.info rassegna dedicata ai prodotti alimentari freschi e a chilometro zero www.italiafruit.net Kuriya A due passi dal Ghetto di Roma, non lontano dal Tevere e dall’isola Tiberina, il 25 maggio 2012 ha aperto Kuriya, un ristorante che offre piatti della cucina di Hong Kong. «Nella capitale - spiega Angela Li, la titolare - non esisteva un locale che offrisse agli italiani un menù della tradizione honkonese. Abbiamo così deciso di investire in questo settore e i primi riscontri sono buoni». La cucina di Hong Kong si inserisce nel solco della cultura culinaria e gastronomica cinese, ma con piatti propri che si differenziano da quelli della Cina continentale. «In realtà - continua Angela Li -, quella honkonese è una cucina nata sì nel seno della cucina cinese, ma che mescola diversi stili, generando menù ricchi. La nostra specialità sono i dim sum al vapore. Li prepariamo ogni giorno freschi. E sono molto apprezzati dai nostri clienti». Il ristorante però offre anche un menù giapponese con piatti noti quali il sushi, il sashimi, la tempura. «Sono nata ad Hong Kong - osserva la titolare - e anche la mia famiglia è originaria della città. Da anni però abitiamo a Roma. Quando abbiamo deciso di aprire questo locale siamo tornati a Hong Kong e lì non solo abbiamo contattato un cuoco esperto, che poi è venuto a lavorare da noi, ma abbiamo anche approfondito le ricette e la tradizione culinaria locale. Il nostro personale, fatta eccezione per un cameriere italiano, è tutto asiatico. Un modo per sottolineare la natura asiatica del nostro ristorante. La nostra clientela invece è composta al 90% da italiani, incuriositi della nostra cucina particolare». KURIYA Via Arenula 48/49, Roma >SEGNALACI UN LOCALE Conosci un ristorante etnico «con una storia dietro»? Presentacelo con un testo di circa 2.500 caratteri o segnalalo all’indirizzo mail: [email protected] La redazione sceglierà i locali e le storie più interessanti. Se pubblicheremo la tua «recensione» ti regaleremo un abbonamento a Popoli. Se invece dalla tua segnalazione nascerà un articolo gennaio 2013 Popoli 73 fatto da noi ti invieremo la chiavetta Usb di Popoli. Inter@gire Imparare dal «diavolo»? Nel mondo del non profit il marchio CocaCola è visto con sospetto o aperta antipatia, identificato con un approccio smaccatamente commerciale. In realtà può insegnare qualcosa anche a chi lavora per una buona causa I l marketing nel sociale spesso è visto se non come un nemico quantomeno come un virus da super corporation. L’unico antidoto è ignorarlo. Figurarsi parlare di Coca-Cola, un brand globale che grazie alle sue tecniche promozionali raffinate e rodate vende 1,5 miliardi di prodotti al giorno. Non solo: lo fa praticamente ovunque nel mondo, anche nei luoghi più poveri. Come fa? È questo il bello, per il mondo della cooperazione ovviamente. Due anni fa Ted, un set globale di conferenze dedicate a idee che meritano una platea, ha pubblicato sul suo sito ted.com un intervento di Melinda Gates, co-chair della Bill & Melinda Gates Foundation. Il tema era il seguente: che cosa possono imparare dalla Coca-Cola le organizzazioni no profit? Il focus era concentrato su tre tecniche. Prima tecnica, l’uso dei dati. Chi, dove, con quanti e quali punti di interazione con i beneficiari si opera, con quale e quanta DECODE La moneta non tintinna più, squilla S aut d’Eau è una cittadina haitiana che prende il nome dalla grande cascata che ogni anno in luglio attira migliaia di pellegrini per la festa della Madonna del Carmine: qualche piccolo negozio concentrato su due vie a un’ora di distanza da Mirebalais, la città più vicina. E il minibus con un biglietto a più di 2 euro non è certo a buon mercato per un Paese dove il 55% della popolazione vive con un dollaro al giorno. La situazione non è certo migliorata con il terremoto del gennaio 2010, che ha decimato la popolazione di Haiti: solo la capitale Port-au-Prince ha registrato più di 230mila vittime. La sfida qui non era solo quella di far fronte all’emergenza, ma di iniziare un lavoro a lungo termine di costruzione di un’economia più forte e autosufficiente. In questo contesto, Mercy Corps ha identificato 100 beneficiari che hanno ricevuto sui telefoni cellulari a loro distribuiti una somma pari a 225 dollari, oltre a otto negozianti che hanno dato la loro disponibilità ad accettare questa particolare forma di moneta elettronica. 74 Popoli gennaio 2013 In Italia, un emendamento al recente decreto sviluppo poneva il pagamento con il cellulare dei biglietti del bus come frontiera da raggiungere nel 2014. La cosa fa un po’ sorridere se leggiamo i risultati di un’indagine sulle abitudini finanziarie globali svolta da Fondazione Gates, Banca Mondiale e Gallup World Poll: sono stati individuati 20 Paesi in cui più del 10% degli adulti dichiarano di aver utilizzato denaro «mobile» nel 2011, e 15 di questi sono africani: in Kenya, Sudan e Gabon metà o più degli adulti fanno uso di mobile money. È una tecnologia relativamente semplice, che può cambiare davvero la vita collegando i telefoni cellulari a un conto virtuale per trasferire facilmente denaro dal proprio conto ad altri. Può essere un sostituto del denaro contante ed è strategico in Paesi in cui i collegamenti sono difficili e risulta problematico, oltre che estremamente costoso, inviare soldi alle famiglie nelle zone rurali. Antonio Sonzini [email protected] comunicazione che funziona? Con quali risultati giorno per giorno? Se si hanno dati in ogni momento e un risultato è al di sotto delle aspettative, si può intervenire e correggere; questo non è possibile se la valutazione si fa alla fine del progetto: i dati serve renderli utili subito sul campo. Seconda tecnica, attivare risorse locali capaci di assumere un ruolo guida. Un esempio è Cesvi (cesvi. org), che al St. Albert Hospital in Zimbabwe salva neonati dall’Aids e offre cure e prevenzione anche con formazione e coinvolgimento dei caregiver locali, praticamente uno per famiglia. Sono loro che sanno che cosa vogliono le famiglie, come pensano, quali motivazioni stimolano le giuste leve per promuovere la salute. Terza tecnica, marketing. La gente vuole una Coca-Cola perché associa il prodotto alla vita che vorrebbe vivere: lo si chiami - in generale aspirazione alla felicità, ma lo si declini a livello locale. Così, negli Usa si deve associare il brand alla vita familiare, in Sudafrica al rispetto da parte della comunità, ecc. Tradotto per il no profit, nei casi in cui l’obiettivo è la riduzione di un male, la leva non è l’aspirazione ma l’assenza, il fatto di evitare qualcosa. Usa il preservativo, non sarai contagiato dall’Aids; lava le mani, non rischi la vita per una diarrea. Ma è un errore pensare che se un uomo ha bisogno di qualcosa, allora lo desidera: bisogna renderlo un’aspirazione (di assenza). Oggi Coca-Cola è andata ancora più avanti. In uno scenario mondiale in cui Facebook ha 1,2 miliardi di utenti, il social sharing sta conquistando il mobile, una persona su due possiede uno smartphone, mezzo miliardo di persone usa YouTube ogni mese, ogni minuto vengono caricate 3.000 foto su Flickr, ogni giorno vengono inviati 190 milioni di tweet, Coca-Cola ha capito il messaggio di Seth Godin - i mercati sono conversazioni - e lo ha applicato a partire dal sito corporate (coca-colacompany.com), trasformato di recente in un progetto editoriale. Digitale ovviamente. La cooperazione prenda nota. In un mondo in cui per esempio l’Africa vede una penetrazione di telefoni cellulari pari all’80% della popolazione, parole come condividere, pubblicare, post, tweet, like sono all’ordine del giorno. Trasformare il proprio patrimonio di valori e progetti in una relazione, anche digitale, aprire questo patrimonio alla condivisione in rete, sono passi fondamentali e, in certa misura, urgenti. Giovanni Vannini [email protected] gennaio 2013 Popoli 75 Mediterraneo a fumetti In collaborazione con le a ze be a itic ien Ba afi ipol sc olapaosza Mlont uoroo Sucroacdienunae ia ici itica A e e’lE ns mitic og tol ol co sm o l l g tta raliNliAon dddi icg cpoo eo cat e p e Sp ibe sig neIn ieoneliceort enti ion ale L osn ezciool icaBzuCbbyb vim az en ria Ca i l n p o li Jon Oeba mu o p iMao rm to dit Acans alniai Co ebit igl Fo iritpren ua Dlem q a ve H iotva ro Dia m a m ità ta i a I I c o ’ o i g G l t v c u d o Fb oi ac o c gn ati ità Laenol npueboBnirndLbaa ifufigsi rm reASiaplia inistr UanensimrEacztiiicoalmm annieri nRe a le gia soc mm d E o i e g r c C o i e o et nc tedi eT pneNor slitrtaiaiclistaàinaalnePManlitichoenni a ioamno p sEavbziormeni za Po tziio ù BaioovernaaIn re a e a n ee b z ale s uG in F AcqveSrenmatntoculiInctaReliieisnpttoieteuarrsznaioleGnnBddeeinlsolceienzeaduiacEdieGae ni iv o li m o Go ne CcaonmaenpzioaonCelioutsnic rbgioei BneirCvoaeruerpagrnopessi a o o s r S s Be liFci i tinaz roeEfoue ro d no PCoemu rof tic D t er ia i ili on e dioa deza LibanzUior ncbil en ar e o nnnibilisthipSdBcienefsugiao VaticUneTngraoizndsateuttcMminaoi lteroztmiopSnaiCeenogeondnrbi eadne izaiozaVzatiticsapoanbtaan e à uo se t Coanionia cha giBniaio i dei tel Lmib ion no ei G b C iu ito P omstiz soS Is C a p iaM vorabr M e rit leA ripa niet C lam Is o S e llu à Pmcecoagrais à A ittà Cittlam à E oc dia le Irneolit nrtdi titverR lluvio F u ie zion Nstuaoditcreibidcaamrditi aBParoeifugi ni RAiflluvio e m P am ro tà C u n v iu Pà s m a O ro i zo cTiev apre aine svtiiUigrriamileaio ti Prem giat i L li vin glia nVa cilne lonaMaval nC lvurpabpatoarivaerNoInbPerima io Noi a s So eadmp ce Coan lori olog le aSi eggeedlrii donuim R c n i Bri ni z el zza Caoraeldiamvera bel s 11 09 -10 07 -0 8 ano e II a l re Ii n o eb ne T i t e i e n c I a l r n cn g Sc sed iliIo Ei urUnsaim elt iam Va opionsoumaologia g a n t e p i ref enti ican a e Euresimo or ag ere sp o ope nz on II a g iale ta n io agg pe nei am ri r ennam iornaggi poveri o t i s en ame rnam oc ti s nt en i al oci i soc ti so cia i al ial i li i 63 o no gn 2 an iu 201 g 06 63 à no gio i: ilit an ag 01li2tic dib m 2o e no re 63 : sa no il1e2 en li r ire an ap2r0 12rip ocia 63 ip c an ap no o a 0r s fiailyain2pe he rtit nza un os r c an manrniz 2 se am pe no Pa rge na: nad ma alint tic t’a 2ii01 s ato 63 io ra a F pitu oli u an no le ta ecc ia a no ag dig ell mias le p stud sov p qu icare n p scan raio2 a d nom in S i de febbiti 01ic o o o ito cin aat ga u a eco 63 d es con no Un deb r: a io Vp on è cen ca te gesu oa2log sua p a: an s ti n i ecp lla nonnaio il il ull’e ie cil tic egge tro poli de riEsui ro ss on de s re 2012 o e L’ poli p C c a i ll D al ion a più ci in un im ck: di de d ce ”vista di To iss te all è li di li to o F m o tt ndi rnan ale Ca cconti mariaPim la fron uneti contr gove on rg rietà , ’in i ile rnazi o ra ll di n is su euro ssidia ll’ ciab inte van o r i de retà e su nun za ceie Gio“terz bas turoarar L’irrila finan a: le il fuel clid il del nid rmatrad so o a erio rifo ergi ibilità Val r una en sten pe e so ri ativi anita rrog inte i aiuti um sugl 05 04 03 i al ci o s ti i en cial am so rn nti i o gi e ial agnami soc r io nt i ggame cial a u i s m p o o e o M um ne e p ol n r c s e li e Catta dDBeallretoulob r l p r i eb R io el Etic bitoCparitcàificUi tonica dlici in gio ent ibailcinr amenEivtitaàlitm toitato rca De stenS ag m ali a qu erat C co rice c So ceInre ffi n o i n a CarnnGeZeone aatredella gior nti s ticn ilità ag me Do graEzio i Intesponsabne rna cial Re stituzio gio i so Co ag ament iorn agg De 12 AN Il g NOVE NO 6 MB 3 la fi overn RE nan 2o0 M za 12 onti Pri p ubb e eco ncipi lica log di ia c una Va rist dis ticano ian cern II a ere ieri i se e og sne agni: g N itdt n an obeol t eemi bteo 63 ato atllo rmp mia ’U brE e- i M pe arc A 2d01i 2ue, r u ug np na é: re Va d dis tican città inam mio ce o plu ic rne II rale he re ieri i s e oan eg g n I 5niadleuggi:o 6 lio 3 e lo 0 ago i te n s mtra spir20n1itdo pi it 2 e i “ Ch va ie o di l Co lori sa C nc e no e p arlo ilio qu cono n oli m ali m n eg tica . m me ia e arti oz , tod fe iab ni Bi p licit ili” tra acker u à: s n l’e glob tag nu e o de ur ale o vo li l o e mp PIL Do ras sul lo ic ? oio fi no nn ca o, lo n e le so al lo la pa vor rit o: à pi AN DIC NO EM 63 BR 20 E 12 diritti & giustizia ECONOMIA internazionali POLITICA etica & bioetica società chiesa ambiente aggiornamenti sociali orientarsi in un mondo che cambia 02 01 Da oltre 60 anni offre ai suoi abbonati analisi AUTOREVOLI E approfondite sugli argomenti di maggiore attualità aggiornamenti sociali è una rivista dei gesuiti Abbonamenti 2013: Ordinario € 35 Giovani, Web, Regalo € 28 Tutte le informazioni su www.aggiornamentisociali.it seguici anche su Su quale città si affaccia la piscina? 1. Dà il suo nome a una razza di gatti 2. Ha un inno nazionale 3. Combatte la pirateria Invia la risposta entro la fine del mese in corso a [email protected]. Alla quinta risposta esatta vinci una Guida per viaggiare Polaris (www.polaris-ed.it) a tua scelta (regolamento su www.popoli.info) La risposta di novembre: Kaliningrad (Federazione russa) Silvano Fausti S.I. Biblista e scrittore La prima contestazione nella Chiesa Leggi Atti 6, 1-7 L a comunità non è mai perfetta. Dopo la menzogna di Anania e Saffira (cfr articolo di dicembre 2012) c’è un’ingiustizia: gli apostoli favoriscono le vedove della loro terra, trascurando le altre. La discriminazione etno-culturale suscita contestazione. Se le persecuzioni esterne fanno crescere la Chiesa, questa crisi interna potrebbe disgregarla. Difficoltà e mancanze ci sono sempre. La norma è ignorarle e lavorare per soffocare le voci critiche: «Troncare, sopire!». Ma il rimedio è peggiore del male: uccide la fraternità e la parola profetica che vorrebbe ricostruirla. Negare il male produce cancri mortali! Gli apostoli ci danno buon esempio: riconoscono la loro inadempienza. Solo in questo modo capiscono la propria identità. Non tutto spetta a loro. La comunità scelga chi serve alle mense, mentre loro si daranno alla preghiera e al servizio della Parola. Questo è il compito degli apostoli, e dei loro successori! Così costruiscono la Chiesa. Senza questa base, essa crolla e va in rovina. È l’anno della fede. Il pericolo di tutti i giubilei è celebrare belle liturgie pur di non affrontare i dovuti cambiamenti (cfr Is 1,10-17!). In questo racconto degli Atti si dice cos’è la fede che gli apostoli dovranno trasmettere a ogni uomo. La fede non sta nel credere a proprie idee o sapere a memoria il catechismo: «Anche i demoni credono, ma tremano!» (Gc 1,19). La fede è perseverare nella preghiera e nel servizio della Parola. Sono i due mezzi con cui i dodici patriarchi della Chiesa «fondano» la comunità di uomini nuovi. Il patrimonio genetico che ci offrono sono la preghiera e la Parola. La prima ci mette in comunione con il Padre e la seconda con tutti i fratelli, ai quali siamo debitori del Vangelo (cfr Rm 1,14s). Altri servizi, pure utili o addirittura necessari, spettano ad altri. Ci sono doni diversi. Ognuno è responsabile di mettere il proprio a disposizione altrui. I nostri limiti sono il bisogno che abbiamo dell’altro: creano comunione nella diversità. E questa è la nostra somiglianza 80 Popoli gennaio 2013 con Dio, Trini-unità d’amore. Preghiera e servizio della Parola sono l’essenza della fede cristiana. Questo binomio è fecondo. Genera ogni dono e si fa carne nel servizio ai poveri. Diversamente la nostra fede è vuota (cfr Gc 2,26; Mt 25,40). Non amiamo a parole, ma con i fatti e nella verità (1Gv 4,17). Quest’anno si «celebra» anche il 17° centenario dell’Editto di Costantino. La libertà religiosa è cosa buona. È da rispettare, soprattutto quella altrui. Tutte le religioni la esigono, ma ben poche la concedono. Forse nessuna. La libertà cristiana nessuno ce la può togliere, neppure la persecuzione. Ce la toglie però il tradimento del Vangelo, quando diventiamo supporto dei potenti. Il cristianesimo, quando diventa «religione di Stato», impone il Vangelo con leggi ed eventuali roghi, crociate, dittature e giochi vari per avere esenzioni e privilegi. Che abominio: da perseguitati a persecutori. Per difendere indebiti privilegi non riconosciamo più il Signore nei poveri! Spero che il 313 si celebri «con vergogna e rossore» per la libertà pretesa per sé e negata agli altri. Unica è la fonte delle cinque piaghe della Chiesa: l’oblio della Parola che annuncia un Dio crocifisso. La Chiesa deve costantemente ripulire il suo volto di sposa se vuol essere come lo Sposo. È un volto molto offuscato: a livello pratico da pretese di dominio e a livello più profondo dalla dimenticanza del Vangelo. Al suo posto troviamo tanti documenti dottrinali e normativi. Di essi il grande Tommaso d’Aquino ripeterebbe: «Palea, palea!», paglia che brucia. Per l’evangelizzazione non servono testi o linguaggi nuovi. Il Vangelo da tempo è scritto con inchiostro sulla carta. Attende di essere scritto dallo Spirito nella mia carne, unico linguaggio comprensibile da tutti. Altre parole sono trappole per accalappiare proseliti. Per riflettere e condividere > Accolgo le critiche? > Propongo la fede in Gesù con la preghiera e la Parola? > Impongo il cristianesimo con la legge e il potere?