Guantanamo

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Guantanamo
gennaIO 2013 - N. 1
Guantanamo
per sempre?
€4
Nonostante le promesse di Obama, la prigione
più famosa del mondo è ancora aperta. Ecco perché
reportage
Grecia, caccia
allo straniero
inchiesta
Poligami
d’Italia
ecumenismo
L’anno
degli addii
editoriale
Victor Assouad SJ
Superiore dei gesuiti del Medio Oriente
Cristiani
in Medio Oriente
A fine novembre la Compagnia di Gesù ha diffuso una dichiarazione ufficiale
del Superiore dei gesuiti del Medio Oriente. Riportiamo di seguito il testo
poiché ci sembra denso di spunti su temi di drammatica attualità: la guerra
civile in Siria, le tensioni in Egitto, l’autenticità delle «primavere arabe», il
futuro dei cristiani nella regione.
Le rivolte che interessano la maggior parte dei nostri Paesi arabi, nonostante
tutte le manipolazioni o interpretazioni possibili, almeno in alcuni casi, sono
state ovunque ispirate anche da persone, in particolare giovani, che aspirano
a una vera libertà, pluralismo e democrazia. La loro azione va contro la
repressione, la corruzione, i privilegi esorbitanti, le evidenti ineguaglianze
sociali, la disoccupazione e la povertà generate o favorite da regimi dittatoriali
diventati ereditari, che usurpano il potere da oltre trenta, quarant’anni o
addirittura mezzo secolo.
I moderni mezzi di comunicazione sociale, utilizzati in questi Paesi per avviare
e sostenere le rivolte popolari, costituiscono un fatto senza precedenti che ci
fa pensare che non potranno essere spenti o soffocati. Ormai, se vogliamo, è
aperta una strada per la denuncia continua, nonostante tutti i tentativi per
reprimerla o cancellarla.
In quanto cristiani, i nostri
In quanto cristiani, i nostri principi d’azione
principi d’azione non possono
non possono essere guidati dalla paura o
essere regolati o guidati dalla
negazione dell’altro. Tuttavia, abbiamo il diritto
paura o dalla negazione
di essere considerati cittadini a pieno titolo
dell’altro, chiunque esso sia,
anche quando questa paura o negazione sia giustificata o realistica. Al
contrario, è in uno spirito di apertura, di accoglienza e di rispetto dell’altro
che ci dobbiamo porre e agire. La chiusura su se stessi, il rigetto o il rifiuto
dell’altro costituiscono una posizione antievangelica che non dobbiamo affatto
assumere. Tuttavia, i cristiani hanno il diritto e il dovere di esigere garanzie
per la loro presenza e la loro azione all’interno del mondo musulmano. Essi
devono, in quanto cittadini a pieno titolo, richiedere la garanzia di vivere e
praticare la loro fede, avere i propri luoghi di culto, così come il riconoscimento
della libertà di coscienza.
Per raggiungere questo obiettivo, i cristiani hanno il dovere di impegnarsi con
i loro concittadini per chiedere il rispetto della dignità di ogni persona umana,
l’affermazione delle libertà fondamentali, il rifiuto dei privilegi e la condanna
della corruzione, così come una Costituzione che riconosca a tutti i cittadini gli
stessi diritti e doveri, nel quadro dell’unità nazionale e del pluralismo.
Oggi, nonostante l’aumento della violenza e nonostante le numerose delusioni
riguardo alle aspettative di libertà, democrazia e dignità umana, vogliamo
ribadire il nostro impegno di solidarietà verso le vittime e le persone che
soffrono, per contribuire ad alleviare il loro dolore e offrire loro la possibilità
di rialzarsi. Riaffermiamo il nostro desiderio di impegnarci nel dialogo, la
riconciliazione e l’unità, ove questo sia possibile. Rifiutiamo le reazioni di paura
e i tentativi d’isolamento, come anche ogni ricorso alla violenza e alle armi,
anche se a volte ciò sembri giustificato o legittimo.
Riteniamo che, quali che siano le tragedie e le prove che stiamo vivendo, ci sia
sempre una via di pace e di vita che può essere intrapresa.
GENNAIO 2013 Popoli 1
Cristiani in Medio Oriente
V. Assouad SJ
PICS
CAMMINI DI GIUSTIZIA
Fame nera
foto di R. Gangale
sommario
n. 1 - gennaio 2013
01EDITORIALE
24
Reportage
Grecia, caccia allo straniero
G. Bondi
20Israele
L’arte della pace
E. Gatto
24Stati Uniti
Guantánamo per sempre?
L. Hansen SJ
29Il fatto, il commento
La Palestina dopo il voto all’Onu
D. Christiansen SJ
IDENTITÀ - DIFFERENZA
Inchiesta
Poligami d’Italia
E. Casale, S. Cucchetti
35Melanesia
Nuova Caledonia o Kanaky?
M. L. Lucchesi
40Idee
La città e lo straniero
P. Bovati SJ
16
reportage
42La foto
Etiopia, Epifania copta
In copertina: un’immagine scattata dall’esterno della base
navale Usa di Guantánamo (foto: M. Shepard - Toronto Star).
49
PICS
10
DIALOGO E ANNUNCIO
44Concilio/2
Uno sguardo indiano
M. Amaladoss SJ
46Ecumenismo
L’anno degli addii
G. Dotti
49Libri
Guarire le ferite delle divisioni
Frère Alois
51Il profilo
Justin Welby
G. Dotti
35
RUBRICHE
06Lettere e idee
07Contromano
G. Ferrario
08Multitalia
I concorsi pubblici
e quella norma anacronistica
M. Ambrosini
08Ogni giorno a Gerusalemme
Il tram colore argento
S. Bittasi SJ
09La sete di Ismaele
Halabja
P. Dall’Oglio SJ
09Scusate il disagio
Il ritorno del cavaliere (maya)
G. Poretti
52Jsn/Magis/Lms/Jrs/Amo
78Postcard
80L’ultima Parola
La prima contestazione
nella Chiesa
S. Fausti SJ
E tra
inchiesta
30
CRISTIANESIMO, EBRAISMO, ISLAM.
L’INCONTRO QUOTIDIANO TRA LE RELIGIONI.
Popoli, il Monastero di Bose e Jesus presentano:
I GIORNI DEL DIALOGO
CALENDARIO INTERRELIGIOSO
“
Il calendario, nello scandire il tempo e dare a ogni giorno la sua peculiarità,
quotidianamente ci racconta la biografia di qualcuno come noi:
un comune essere umano il quale non solo è mortale, ma soprattutto
è entrato nella beatitudine eterna.
”
Enzo Bianchi, Stefano Femminis, Antonio Tarzia
I Giorni del Dialogo è il calendario dedicato alla
convivenza quotidiana tra Cristianesimo, Ebraismo e Islam. Uno straordinario viaggio per immagini fra tre grandi religioni che “danno il tempo” a
milioni di credenti: uno strumento per conoscere
le festività dei tre monoteismi, accompagnate da
una guida alla lettura per facilitarne la comprensione. Per tutti coloro che vogliono vivere con
maggiore consapevolezza la propria fede, senza
ignorare quella del proprio vicino.
In omaggio ai nuovi abbonati a Popoli, a chi regala un abbonamento,
agli abbonati sostenitori. A soli 2 euro per gli altri abbonati
Aggiungi i 2 euro all’atto del rinnovo dell’abbonamento. Se il tuo abbonamento non è in scadenza, richiedi il calendario
al numero 0286352424 oppure via mail ad [email protected] - Info tariffe 2013 in quarta di copertina
lettere e idee
LIBERTÀ RELIGIOSA
E FERITE DELLA STORIA
Ho letto sul vostro sito
l’articolo sulla tormentata vicenda di un cristiano
iraniano che, fuggito per
motivi religiosi in Thailandia, ha subito anche lì vessazioni. Ma non sarà che
in molte parti del mondo i
cristiani sono perseguitati
perché per millenni gli
stessi cristiani hanno perseguitato altri? Penso alle
crociate, all’Inquisizione,
ecc. C’è sempre un motivo per le persecuzioni,
nessuno se la prende con
qualcuno senza un motivo.
Saluti da un buddhista.
Andrea Panataro Sordevolo (Bi)
SCRIVETECI
Indirizzate le
vostre lettere a:
[email protected]
Redazione Popoli
Piazza San Fedele 4
20121 Milano
02.86352802 (fax)
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Sono un nuovo abbonato
a Popoli, che trovo a me
consonante per la chiave di lettura dei fatti religiosi della Chiesa cattolica. Chiedo lumi sulla
celebrazione già iniziata
a Milano dell’anniversario
dell’Editto di Costantino,
interpretato come l’inizio della libertà religiosa
nell’impero romano. Non
vi sembra, questa, una lettura fuorviante e di parte?
Storicamente, proprio da
allora iniziarono le persecuzioni contro i non cattolici, ovvero ebrei, eretici
e pagani. Spero che Popoli
sia in grado di fornire letture meno clericali e più
costruttive, per un civile
riconoscimento di meriti e
demeriti dei cristiani, ieri
e oggi.
Andrea Dato
[email protected]
Libertà religiosa, rapporto
Chiesa-Stato, persecuzioni
ricevute e compiute: sono
questioni di cui ci occupiamo spesso e lo facciamo
anche in questo numero,
in particolare nella rubrica di Silvano Fausti. Con
Un concorso per gli abbonati a Popoli.
Un giro del mondo in 10 splendide immagini.
Un’occasione per viaggiare con una guida d’eccezione.
Tutto questo è Postcard, in ogni numero a pp. 78-79
Il meccanismo è semplice:
1. Trova la risposta esatta alla domanda in base agli «indizi».
2. Invia la risposta entro la fine del mese in corso a
[email protected] indicando nome e cognome.
3. Alla quinta risposta esatta vinci una guida Polaris
a tua scelta (vedi il catalogo su www.polaris-ed.it)
Le cinque risposte devono essere date entro il 2013 e può
partecipare anche chi ha già vinto negli anni precedenti.
Tutti i dettagli su www.popoli.info
riferimento alle obiezioni
sollevate dal primo lettore,
è certamente vero che in
molte parti del mondo i
cristiani vengono collegati
all’Occidente e alla sua storia fatta anche di colonialismo, imperialismo e prevaricazione. Ciò non toglie
che la libertà di coscienza
sia da salvaguardare, così
come altre forme di libertà.
Le quali spesso si intrec-
ciano. Infatti, nell’articolo
citato si accenna sia al
fatto che la persona era
perseguitata in Iran per la
sua conversione dall’islam
al cristianesimo, sia al fatto che la Thailandia spesso
e volentieri manda dietro
le sbarre i richiedenti asilo
come fossero criminali. E
qui purtroppo sono in discussione le scelte politiche
di un Paese a maggioranza
Anno di fondazione: 1915
Direttore responsabile
Stefano Femminis
Redazione Enrico Casale, Davide Magni SJ,
Francesco Pistocchini
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legge 7 agosto 1990, n. 250.
buddhista verso un iraniano, rappresentante di un
popolo che non ha mai invaso o colonizzato il Siam.
Le situazioni sono complesse, cerchiamo nel nostro piccolo di darne conto.
STORIA DI JULIA,
NIGERIANA IN ITALIA
La scorsa settimana ho accompagnato due volte Julia, residente a Castel Volturno (Caserta), all’ufficio
immigrati per una questione legata al permesso
di soggiorno scaduto e di
cui ha bisogno per cure
mediche ed eventualmente
per rientrare in Nigeria.
Julia ha 47 anni e si trova in Italia da 17 anni.
Attualmente vive a Castel
Volturno e dorme per terra presso una famiglia di
connazionali. Qualche anno fa è morto il marito in
patria: questa perdita l’ha
sconvolta e non sapeva a
chi rivolgersi perché - mi
ripete diverse volte - non
ha trovato aiuto da nessuna parte, fossero enti religiosi o della società civile.
fondo amici
Sono numerosi quanti
gradirebbero ricevere Popoli, ma devono rinunciarvi per motivi economici.
Chi volesse aiutarci a
soddisfare queste richieste può inviare un’offerta
sul nostro conto corrente postale o con carta
di credito, dal sito, indicando come causale:
«Fondo amici Popoli». È
possibile aggiungere l’offerta al momento della
sottoscrizione del proprio
abbonamento.
CONTROMANO
di Giuseppe Ferrario
Alcuni mesi fa è morta anche sua madre, che si prendeva cura dei suoi figli, e
quindi pensava di tornare
in patria. Ora ha bisogno
del rinnovo del permesso
di soggiorno anche per il
riconoscimento di invalidità civile per le malattie
di cui soffre. Quindici anni
fa aveva fatto domanda
di rinnovo del permesso
ma non ha mai ricevuto
risposta.
All’Ufficio immigrati l’addetto fa presente che non
c’è bisogno del permesso
di soggiorno per rientrare
in Nigeria via aerea, anzi
non le conviene richiederlo
altrimenti rischia di essere subito espulsa. Dunque,
per il riconoscimento di
invalidità civile, niente da
fare. Julia incomincia a
piangere dicendo che non
ha casa né lavoro, è malata
e ha bisogno di cure, che è
da 17 anni in Italia... Che
vita è mai questa!
Due riflessioni: la prima
riguarda l’indifferenza che
questa donna ha sperimen-
tato in questi anni, anche
da parte dei connazionali.
In sociologia si parla di
«indifferenza civile» per
denotare atteggiamenti di
indifferenza nei confronti
di estranei per strada o
in un treno. Nel caso di
Julia e di tanti immigrati
io parlerei di indifferenza
incivile o inumana. Non
basta il soccorso caritatevole personale, ma servono risposte organizzate,
riconoscimento di diritti e
opportunità da parte della
comunità ospitante.
La seconda riguarda l’opportunità di scrivere al
ministro della Cooperazione internazionale, Andrea
Riccardi (o al suo successore) per fare presente questi
casi e chiedere chiarimenti
sulla strategia di inclusione
sociale di senza dimora,
rom, rifugiati politici, ecc.
O forse sarebbe meglio una
lettera indirizzata, come
nell’Apocalisse, alle comunità cristiane sul territorio italiano per denunciare
questa indifferenza incivi-
le che riguarda anche molti
cristiani.
Domenico Pizzuti SJ
Napoli
FABRIZIO VALLETTI
CONTINUA SUL WEB
Come sempre, il nuovo
anno porta diverse novità
su Popoli. Dopo sei anni
di preziosa collaborazione,
Fabrizio Valletti, gesuita di
Scampia (Napoli), «cede»
il suo spazio a una nuova
rubrica. Ma padre Valletti
continua a collaborare con
Popoli, nel blog sul nostro
sito, dove ci offrirà riflessioni da una città quanto
mai sulla «frontiera». Da
questo mese prende avvio
la rubrica di Stefano Bittasi, gesuita che da Gerusalemme ci racconterà frammenti di vita quotidiana,
a volte più significativi di
mille trattati di geopolitica.
Cambiano anche gli articoli
che «chiudono» le tre sezioni principali della rivista:
ma questa e altre novità
le lasciamo scoprire a ciascun lettore.
gennaio 2013 Popoli 7
lettere e idee
I concorsi pubblici e quella norma anacronistica
A
Multitalia
Maurizio Ambrosini
Università di Milano,
direttore della rivista
Mondi migranti
nche i bambini di origine immigrata crescono... Un numero sempre più grande di loro
frequenta le nostre scuole superiori e le università. Qualcuno ha già terminato gli studi
e si sta inserendo nel mercato del lavoro. Qui è destinato a incontrare una sorpresa: gli
stranieri non possono partecipare ai concorsi per l’impiego pubblico. A meno che non siano
riusciti a ottenere la cittadinanza, se sono nati e sempre vissuti in Italia.
È una vecchia norma, risalente al periodo fascista, che non è mai stata abrogata, pur
avendo perso il suo significato originario. Oggi serve soprattutto a proteggere una riserva,
pur calante, di posti di lavoro stabili e dignitosi a vantaggio dei cittadini italiani. Quelli che
possono votare.
In tutti i Paesi di immigrazione, la funzione pubblica svolge un ruolo cruciale nel favorire la
promozione sociale degli immigrati e dei loro figli, come del resto avviene per le donne. Più
egualitaria del mondo del lavoro privato, grazie ai concorsi offre opportunità di accesso e di
carriera anche ai gruppi che normalmente faticano a vedere riconosciuto il valore dei propri
titoli di studio.
In alcuni ambiti, poi, le persone di origine immigrata possono svolgere funzioni socialmente
rilevanti. Il primo esempio è quello dei servizi infermieristici, dove già sono ben presenti
nella sanità privata e anche in quella pubblica, grazie alla mediazione di cooperative e quindi con trattamenti salariali e normativi diversi da quelli dei funzionari pubblici. Ma in futuro
serviranno educatori, assistenti sociali, insegnanti, agenti delle forze dell’ordine capaci di
comunicare e mediare con le minoranze immigrate. All’estero sono spesso scelti tra le loro
file, quando hanno titoli idonei.
È vero che, grazie all’impegno di legali come i volontari dell’associazione Avvocati per niente,
i candidati stranieri possono ricorrere in giudizio e fare annullare gli effetti della norma discriminatoria. Ma devono avviare lunghe e complesse battaglie su ogni singolo caso.
Bene farebbe il governo a lasciare un segno, a fine legislatura, limitando drasticamente a
pochi ambiti circoscritti una norma così palesemente discriminatoria.
Il tram colore argento
D
OGNI GIORNO
A GERUSALEMME
Stefano Bittasi SJ
Gesuita, direttore dei
programmi di formazione
della Compagnia di Gesù
a Gerusalemme
a qualche mese vivo in una regione del mondo
in cui la separazione dei popoli è oggetto di
discussione continua. Ogni tanto ci si spara e si
fanno esplodere bombe e missili. Ma ci sono anche piccole cose che vanno in un’altra direzione.
Per esempio il tram!
Da poco più di un anno è infatti operativo a Gerusalemme un tram che taglia la città più o meno
in diagonale, da sudovest a nordest. Cosa c’è di
straordinario, direte voi... Se pensate che ci sono
a Gerusalemme due reti di autobus, una ebraica
(verde) e una palestinese (blu) e che, a eccezione
degli stranieri che usano di volta in volta il mezzo a
loro più comodo, nessuno sale se non sui «propri»
autobus, si può capire come questo tram colore
argento rappresenti un fatto di enorme importanza.
È l’unico mezzo di locomozione della città sul quale
capita di vedere tutti gli abitanti di Gerusalemme
mescolati, anche se per brevi tratti. La linea tranviaria, infatti, attraversa praticamente tutti i territori
della città (compresi quelli che Israele ha conquistato ai palestinesi con la guerra del 1967, così
che la costruzione della linea tranviaria è stata persino oggetto di una risoluzione dell’Onu nel 2010)
ed è senz’altro il mezzo più veloce per raggiungere
8 Popoli gennaio 2013
sia il centro di Gerusalemme Est (palestinese), sia
quello di Gerusalemme Ovest (israeliano).
Così, in un Paese in cui si discute se separare
uomini e donne sugli autobus per il pericolo di
un possibile contatto fisico, si trova questo moderno mezzo in cui, negli orari di punta, si trovano appiccicati (nel senso letterale del termine!)
l’anziano palestinese con kefiah e baffoni bianchi
e l’ultraortodosso ashkenazita con pantalone a
mezza gamba e pastrano nero, la studentessa in
minigonna e la donna araba velata, il turista con lo
zaino ingombrante (neppure qui se lo tolgono mai,
neppure con la ressa delle 8 del mattino...) e la
mamma con carrozzina e quattro allegri e rumorosi
marmocchi.
Si rimane senza parole. Ma certamente con gli
occhi sgranati nell’osservare le espressioni non
sempre gradevoli che i visi mostrano a causa di
questa vicinanza obbligata. Eppure... risparmiare
25 minuti di cammino o di attesa di autobus che
non arrivano mai (tutto il mondo è Paese!) pare
motivazione sufficiente per superare ogni fastidio
religioso o etnico. Chissà che la possibilità di convivere in questa città non passi anche attraverso
un tram!
Halabja
T
re monaci vanno pellegrini alla città martire
curda, vittima del bombardamento chimico di
Saddam nel 1988.
In settembre avevo visitato Monte Sole, dove Dossetti è sepolto nel piccolo cimitero delle famiglie
contadine trucidate dai nazifascisti. Alla stazione
di Bologna mi pare di sognare: un gruppo di curdi
in costume nazionale! Mi avvicino e mi presento:
infatti, dopo Deir Mar Musa, stiamo fondando una
comunità a Sulaymaniya, nel Kurdistan iracheno.
È una delegazione in visita a Marzabotto e vengono
da Halabja, la città decimata dalle bombe al nervino
e al gas mostarda del dittatore di Baghdad. Da anni
si è sviluppata un’empatia tra le due contrade, teatro della violenza più indiscriminata. Foto, abbracci,
scambi di indirizzi…
Comincio al telefono in inglese per correttezza, poi
passiamo all’arabo (il curdo ancora niente): «Sig.
Nizar? Ci siamo visti in Italia…». «Allora domani
andiamo insieme; è a un’ora di macchina».
Il quadro naturale è maestoso: magnifiche montagne, già innevate il primo di dicembre, fanno da
confine con l’Iran. Era iraniano il fotoreporter che è
arrivato sul luogo mentre i gasati, tutti civili, ancora
rantolano… C’è anche una molto degna ricostruzione plastica delle scene e tu passi lì in mezzo,
stralunato. Pensi a Pompei, alle trincee della Grande
Guerra, all’aggressione italiana all’Etiopia del ’36,
alle camere a gas dei lager. Grandi orridi scenari…
Ma qui è una cittadina di provincia con tanti alberi di
melograno e le casette dei contadini con gli animali
in cortile. Il bimbo è morto accanto al gatto e alla
capretta. Gli uomini al fronte; sono stati soprattutto
i piccoli, le mamme e i nonni a essere puniti in
massa: cinquemila vittime e una marea di ammalati
(come chiamare gli invalidi permanenti provocati
dalle armi chimiche?).
Questo luogo trascende la ben giusta rivendicazione
nazionale curda. La gente degnissima di qui rappresenta con semplicità sorridente una pietà ferita
universale. Ne parliamo con un signore alla mano,
direttore del museo. È andato anche in Giappone
per dire no alle armi di distruzione di massa.
Intanto in Siria la comunità onusiana ha accumulato
tutti gli errori, permettendo la distruzione dal cielo
di mezzo Paese… L’ambito del confronto militare è
spazio per progetti estremisti armati; i democratici
sono marginalizzati. Il regime cadrà, ma prima è
possibile che non resista alla tentazione d’usare le
armi chimiche. Forse il mondo, terrorizzato dall’alternativa islamista e dall’effetto domino regionale, si
volterà ancora dall’altra parte.
La sete di ismaele
Paolo Dall’Oglio SJ
Gesuita del Monastero
di Deir Mar Musa (Siria)
Il ritorno del cavaliere (maya)
I
l 21 dicembre è passato senza i cataclismi apocalittici che si temevano, ma con rivelazioni
molto interessanti. Siamo infatti in grado di rivelare le vere previsioni dei maya che soltanto
nelle ultime ore, grazie all’approssimarsi dell’allineamento dei pianeti, alcuni studiosi sono
riusciti a decriptare e interpretare.
Le sconvolgenti previsioni dell’antico popolo dell’America centrale indicavano nel ritorno di
un misterioso cavaliere il possibile inizio della fine. Questo criptico cavaliere veniva descritto
piuttosto basso di statura, con i capelli trapiantati da un peluche, continuamente intento a
cospargersi il volto di polvere colorata fino a sembrare un vaso di terracotta.
Pare che nell’epoca precolombiana l’innominato cavaliere abbia regnato per circa un ventennio, abolendo i disegni di legge e sostituendoli con due barzellette al giorno, perché la festa e
l’allegria nel suo regno non dovevano mai mancare. Così, ogni sera, nella sua reggia venivano
offerte feste e cene per povere ragazze sole, orfane e senza lavoro.
Il concetto della festa contagiò tutti i suoi funzionari e amministratori, i quali in ogni angolo
dell’impero si prodigarono nell’istituire giornate dedicate al «Maiale birbone», alla «Volpe birichina» e alla «Mucca golosona» - tutte divinità del pantheon maya, secondo le ricostruzioni
degli antropologi -, facendo così aumentare la spesa pubblica a dismisura e sperperando tutte
le enormi riserve in oro (quelle poi rapinate dai colonizzatori spagnoli erano solo le ultime
briciole).
Alla luce di queste nuove rivelazioni gli studiosi sono così riusciti anche a capire il reale motivo dell’estinzione dei maya: la grande siccità di cui si parlava da secoli non fu altro che il
risultato di un ventennio di depredazione da parte del misterioso cavaliere di terracotta e dei
suoi accoliti.
Grazie a Dio non viviamo più in tempi di ignoranza e superstizione come quelli dei maya, la
scienza ci viene in soccorso e ci aiuta a prevenire gli eventuali capricci della natura. E soprattutto la moderna storiografia ci insegna che i cavalieri misteriosi vivevano solo nell’antichità e
oggi al massimo possono essere protagonisti nelle fiabe per i bambini. Forse.
scusate il disagio
Giacomo Poretti
del trio Aldo, Giovanni
e Giacomo
gennaio 2013 Popoli 9
Fame
nera
Foto
Riccardo Gangale
Donne e bambini somali, sfollati a causa dei
conflitti e dal 2011 vittime anche della carestia,
sopravvivono grazie alle distribuzioni di aiuti
alimentari. Il cibo - o la sua privazione - restano
il segno più evidente delle sperequazioni del
nostro Pianeta. Come raccontano le immagini
di Riccardo Gangale
gennaio 2013 Popoli 11
Amina Mohamed ha 25 anni, quattro figli e viene da Afmadow, nel sud della Somalia. È
riparata nel campo per sfollati di Dhobey per la fame, la mancanza di cure mediche e per
fuggire alle vessazioni delle milizie estremiste islamiche al-Shabaab che imperversano nella sua
zona. Ha abbandonato la casa di fango che stava costruendo, ma dopo un mese di permanenza
nel campo non è ancora pronta a tornare al suo villaggio. Amina e i suoi figli rappresentano la
parte più vulnerabile della popolazione somala, donne e bambini sfollati, vittime di vent’anni di
conflitto cui si è aggiunta, dal luglio 2011, la carestia più grave degli ultimi anni. In numerosi
campi per sfollati, come Dhobey e Khansahley raffigurati in queste immagini, le persone
sopravvivono grazie alle distribuzioni di alimenti. Ricevere un pacco che contiene datteri,
zucchero, riso, tè, olio, farina e fagioli è la condizione per restare in vita.
Per il Pam (Programma alimentare mondiale), carestia e guerra rendono la Somalia la regione
al mondo più impegnativa dal punto di vista del soccorso umanitario. Dalla metà del 2011 a
oggi l’agenzia dell’Onu che si occupa delle emergenze alimentari ha raggiunto oltre un milione
e mezzo di somali. Ma la situazione resta precaria anche per altri due milioni e mezzo, perché
nel periodo delle piogge tra aprile e giugno 2012 le precipitazioni sono state ancora sparse e
inferiori alla media. Fame e malnutrizione restano il dramma di ogni giorno.
Tutte le immagini del servizio sono state scattate per l’Ong canadese Global Enrichment
Foundation (www.globalenrichmentfoundation.org), tranne quella a pag. 15, in alto, per l’Unhcr:
raffigura una madre con i figli e i pochi averi, riparati in un campo vicino a Bosaso (Puntland).
12 Popoli gennaio 2013
“
“
Da un solitario muro di una
prigione, ho sentito una
giovane ragazza chiamare:
“Michael, ti hanno portato via,
Perché hai rubato
il granoturco di Trevelyan
Perché il bimbo potesse
vedere l’alba
Adesso una nave prigione
attende nella baia”
U
PIANETA CIBO
Nel corso del 2013 i Pics sono dedicati
al tema del cibo nelle sue molteplici
declinazioni: come fondamentale (e
spesso carente) sostegno per la vita, come
occasione per promuovere o negare i
diritti dei lavoratori e dell’ambiente, come
espressione di identità culturali, elemento
di feste e di riti. «Nutrire il Pianeta. Energia
per la vita» è anche il tema della prossima
Esposizione Universale di Milano del 2015.
“
“
Sono lontani i campi
di Athenry
Dove una volta
guardammo gli uccellini
volare
Il nostro amore era in volo
Avevamo sogni e
canzoni da cantare
Sono così desolati
i campi di Athenry
gennaio 2013 Popoli 13
14 Popoli gennaio 2013
“
“
Da un solitario muro di una
prigione, ho sentito
un giovane uomo chiamare:
“Non ti importa di nulla,
Mary, quando sei libero
Contro la carestia e la
corona / Mi sono ribellato,
mi hanno fermato.
Adesso devi crescere nostro
figlio con dignità”
IL FOTOGRAFO
Nato a Roma nel 1975, dopo studi scientifici
e dopo avere frequentato una scuola di
fotografia, nel 2002 Riccardo Gangale (www.
riccardogangale.com) parte per l’Etiopia per
il programma «Food for the cities» della Fao,
iniziando una serie di viaggi e spostamenti nel
continente africano come reporter free lance.
Alla fine dello stesso anno è a Johannesburg e
Soweto, per il summit sullo sviluppo sostenibile,
poi in Ruanda e Congo. Nel 2003, in Algeria,
inizia la collaborazione con l’agenzia Galbe.com
e, successivamente, con Associated Press, come
fotografo free lance nella regione dei Grandi
laghi, con base a Kigali in Ruanda dal 2003 al
2008.
Dal 2008 è a Nairobi (Kenya) e lavora per
agenzie Onu come Unicef, Unhcr, Wfp, Unep,
oltre a varie Ong e organizzazioni internazionali
in oltre una ventina di Paesi africani. Negli
anni i suoi lavori sono stati pubblicati anche
da New York Times, Time Magazine, The
Times, Washington Post, Guardian, Libération,
Der Spiegel, Le Monde. www.facebook.com/
RiccardoGangalePhotography
“
“
Da un solitario muro di un
porto, lei guardava l’ultima
stella cadere / Quando la
nave prigione partì verso il
cielo / Così visse sperando
e pregando per il suo amore
a Botany Bay
Sono così desolati i campi
di Athenry.
(The Fields of Athenry [I campi di Athenry],
canzone popolare irlandese sulla Grande carestia
del 1845-52)
gennaio 2013 Popoli 15
reportage
Grecia
caccia allo straniero
Nella crisi gli immigrati non sono solo bersaglio
della destra neonazista, ma di un generale clima
xenofobo. Tra le vittime, ci sono anche i rifugiati
che arrivano dall’Asia e tentano l’ingresso lungo
il confine con la Turchia. Dove è sorto un altro
muro europeo
Testo e foto: Giulia Bondi
Atene
«N
ell’operazione di polizia
Xenios Zeus (Zeus degli stranieri, ndr) sono
stati arrestati moltissimi migranti
regolari. Ci è stato riferito di percosse da parte degli agenti e casi di
violenza razzista nelle strade. Una
delle storie più tragiche è quella
di un uomo che aveva ottenuto la
protezione umanitaria e il permes-
16 Popoli gennaio 2013
so di risiedere in Grecia ed è stato ugualmente rastrellato con altri
stranieri. Nel centro di detenzione
di Xanti si sono accorti che i suoi
documenti erano a posto e lo hanno rilasciato. Non aveva denaro e
si è messo a fare l’autostop fino ad
Atene, ma un gruppo di fascisti lo
ha malmenato brutalmente. Un’altra
auto si è fermata a soccorrerlo. È
riuscito a tornare ad Atene grazie a
una colletta dei medici dell’ospedale». A raccontare è Eleni Velivasaki,
giovane avvocato del Greek Council
for Refugees (Gcr), che si occupa di
diritti dei rifugiati nei centri di detenzione della Grecia orientale.
Xenios Zeus è il nome dato ai rastrellamenti di polizia che, dallo
scorso agosto, hanno portato migliaia di stranieri dalle strade delle
principali città greche ai centri di
detenzione. Nel primo mese dell’operazione, la polizia ha fermato più
di 16mila migranti, di cui solo 2.144
sono risultati privi di permesso.
«Le persone sono state prelevate su
base etnica e nei centri di detenzione sono finiti molti stranieri che
erano in regola», conferma Eleni
Velivasaki. Secondo Human Rights
Watch, ad Atene nei primi sei mesi
del 2012 una sessantina di migranti,
tra i quali due donne incinte, hanno denunciato attacchi razzisti, «da
parte di gruppi vicini a Chrusí avgí»,
Alba Dorata, il partito di estrema
cammini di giustizia
Filakio, centro di detenzione per immigrati
presso il confine turco.
Sotto, pattugliamenti lungo il confine.
destra che ha il 6% dei seggi in
Parlamento. Le denunce di attacchi
ai migranti sono quasi quotidiane
sui siti web e sui blog antifascisti,
ma i principali media tendono a
enfatizzare gli episodi di violenza
commessi da stranieri.
«La televisione ha detto che un pakistano ha stuprato e ridotto in fin di
vita una ragazzina - racconta Tolis,
27 anni, poliziotto a Nea Orestiada,
città di confine tra la Grecia e la
Turchia -. Se succedesse a mia figlia
vorrei che il colpevole fosse evirato».
Il suo voto, alle ultime elezioni, è
andato al partito neonazista. «Exo
oi xénoi» («Fuori gli stranieri»), recitano le scritte sotto i cavalcavia
dell’autostrada. «Non stiamo parlando di rivalutare Hitler, quello era un
criminale. Però dobbiamo difendere
la nostra terra da questa invasione»,
afferma convinto Nikos, berretto
da baseball in testa e tra le dita un
komboloi, una sorta di rosario-scacciapensieri. Guardiano al Partenone,
Nikos a giugno ha votato Alba Dorata. «Ormai siamo al razzismo aperto
- commenta Georgia, 30 anni, attivista di Amnesty International -, un
razzismo fomentato dalla politica,
per non far vedere i veri problemi».
Azioni violente, distribuzioni di cibo
riservate ai soli greci, attacchi agli
avversari politici: sono gli ingre-
dienti dell’azione di Alba Dorata. Ma
perfino il primo ministro Antonis
Samaras, in un comizio del suo
partito Nea Democratia, ha definito
gli immigrati «invasori» e «nuovi
tiranni». «Ogni fascismo è una rivoluzione persa - spiega il giornalista e
regista Aris Chatzistefanou -: Alba
Dorata ha capito come raggiungere
la gente comune, certamente meglio
di Syriza (la Coalizione della sinistra
radicale, ndr). Nei quartieri poveri
e nelle strade di Atene il problema
della convivenza tra culture diverse esiste. Alba Dorata - prosegue
Chatzistefanou - non è mai stata un
movimento di massa. Era una gang
illegale formata da persone conosciute, gente che lavorava come buttafuori nei night club e aveva buone
connessioni con i servizi segreti. Lo
Stato li ha tenuti buoni per usarli in
tempo di crisi».
BARRICATE IN TRACIA
Così, la Grecia che arranca sotto il
peso del debito pubblico è la stessa
che investe circa 5 milioni di euro
per costruire una barricata di acciaio
e filo spinato a difesa del confine
con la Turchia, un tratto di terra di
circa 12 chilometri, tra i villaggi di
Nea Vissa e Kastanies. Tutto il resto
del confine, fino all’Egeo, è segnato
dal fiume Evros. Dai campi o dal
fiume, negli ultimi anni decine di
migliaia di migranti sono entrati in
Europa: nel 2010 circa 36mila, nel
2011 28mila, provenienti soprattutto
da Afghanistan, Pakistan e Bangladesh. Un fiume umano che spaventa
i governi, anche se la maggior parte
degli stranieri extracomunitari entra
nell’Unione dagli aeroporti, con visti
turistici.
Nea Orestiada è la città più «giovane» della Grecia. Negli anni Venti il
trattato di Losanna, ridisegnando i
confini dopo la prima guerra mondiale e la guerra greco-turca,
Ad Atene nei primi
costrinse i suoi
sei mesi del 2012
abitanti a lacirca 60 migranti
sciare le proprie
hanno denunciato
case, rimaste
attacchi razzisti,
nell’attuale Turda parte di gruppi
chia. Dalla nuovicini ad Alba
va città, negli
Dorata, il partito
anni Cinquanta
di estrema destra
e Sessanta, molche ha il 6% dei
ti emigrarono
parlamentari
in Germania, in
cerca di qualcosa di più di vigneti e
pannocchie. Oggi, l’economia locale
ruota attorno al respingimento di
altri migranti.
A dicembre, il «muro» è quasi ultimato. Ma già a fine agosto, quando
ne esisteva soltanto un frammento,
il numero di migranti entrati dal
confine dell’Evros era calato drasticamente, di pari passo con l’enorme dispiegamento di polizia (quasi
2mila agenti), e di tecnologie come
le telecamere con sensori di calore,
che individuano un essere vivente
a 18 km di distanza. Se nella prima metà del 2012 entravano anche
300 stranieri al giorno, da settembre
la media non supera i 40 ingressi
a settimana. «Stiamo assistendo a
uno spostamento dei migranti sul
confine turco-bulgaro e, soprattutto, sulle isole di fronte alla Turchia,
con picchi di 200 a settimana a Samos e Lesvos», spiega Ewa Moncure,
portavoce di Frontex, l’agenzia nata
otto anni fa per proteggere i confini
gennaio 2013 Popoli 17
reportage
dell’Unione europea e dotata di un
budget crescente (per il 2012, 115
milioni di euro). «I muri non servono
- ammette Moncure -. Bisogna agire
sulle cause che spingono le persone a
partire». Parte del budget di Frontex
è destinata a studiare i movimenti
migratori, ma il grosso è speso in
operazioni come Poseidon Land, grazie alle quali agenti di mezza Europa
affollano gli alberghi e i ristoranti di
Nea Orestiada. «Respingere i migranti
irregolari è il nostro lavoro - dice
FILONAZISTI
Dalla Grecia all’Italia
N
ato nel 1993 dall’omonima rivista greca
dell’estremismo di destra, il partito neonazista Alba Dorata ha conquistato prima
21 e poi 18 seggi su 300 nelle due elezioni
parlamentari che si sono svolte in Grecia nel
2012, in cui ha raccolto il 7% dei voti. Il suo
leader, Nikólaos Michaloliakos, è noto per le
posizioni negazioniste rispetto all’Olocausto,
cavalca le tensioni populiste antieuropee e
xenofobe, esasperate dalla crisi economica.
Anche se il partito è all’opposizione, alcune
sue iniziative fanno breccia ad Atene.
A partire da Trieste, frange dell’estrema
destra italiana stanno costituendo una formazione di Alba Dorata nel nostro Paese,
raccogliendo adesioni attraverso i social
gennaio 2013di presentarsi
network18ePopoli
con l’intenzione
alle elezioni regionali lombarde di febbraio.
f.p.
Sofia Rapti, 29 anni, ispettore di po- razioni vengano sospese», chiarisce
lizia - e in Grecia ce ne sono troppi. ancora la portavoce Moncure.
Poi - ammette - davanti alle famiglie «Servirebbero centri di identificacon bambini siamo commossi».
zione umani, per distinguere chi è
Il problema, osservano organizza- in cerca di lavoro da chi ha diritto
zioni come il Gcr, è che in questo a ottenere protezione», commenta
modo si vieta l’accesso non soltanto Panagiotis Samouridis, 38 anni, aniai migranti economici («una scelta le- matore del piccolo gruppo Stop Evros
gittima per un Paese sovrano», chia- Wall, formato da cittadini di Orestiarisce ancora l’avvocato Velivasaki), da che si sono opposti al muro. Panama anche ai potenziali
giotis srotola un poster
richiedenti asilo. È dei Xenios Zeus
che al principio sembra
primi giorni di dicem- (Zeus degli
una normale carta turibre la testimonianza, stranieri) è il
stica. Raffigura alcune
raccolta dalla giornali- nome dato ai
bellezze della Grecia,
sta Rebecca Omonira- rastrellamenti di
dalle Meteore al Teatro
Oyekanmi e pubblica- polizia che hanno di Epidauro. Al posto
ta dal Guardian, di un portato migliaia
della sua cittadina, un
gruppo di rifugiati siria- di stranieri dalle
riquadro col filo spinato
ni che sono stati respinti strade delle città di Auschwitz. «La nostra
dalle guardie di fron- greche ai centri
battaglia - spiega - è
tiera e riaccompagnati di detenzione
contro un modello di sosul lato turco del fiume.
cietà che si ammanta di
Segnalazioni come queretorica di diritti umani,
sta, di violazioni dei diquando in realtà alcuni
ritti umani fondamentali di persone sono più uguali degli altri».
che si dichiarano provenienti dalla
Siria sono giunte anche al quartier STORIE DI CONFINE
generale di Frontex. «In caso di gravi Una volta entrati in Grecia, quasi
e ripetute violazioni, il regolamento tutti i migranti fanno domanda di
dell’agenzia prevede che le sue ope- asilo per guadagnare tempo. «Chi è
Da sinistra: documento di soggiorno
temporaneo; Mohammed Sharif, muftì di
Sidirò; veduta di Kastanjes al confine turco.
detenuto avrebbe diritto a una rispo- trafficanti, sono arrivati al confine
sta entro tre mesi - chiarisce Eleni greco. Il viaggio per tutta la famiglia
Velivasaki -: poi, in caso di decisione è costato 16mila dollari. Nell’attesa
negativa, si può fare ricorso. A quel che la «carta rosa» greca si trasformi
punto, si aspettano anni per vedere in un documento valido, vivono in
riesaminato il proprio caso». Le re- un centro d’accoglienza. Prima di
gole europee di «Dublino II» impon- arrivare a Salonicco, Eskandar e
gono che a esaminare le domande di famiglia hanno passato un mese nel
protezione umanitaria sia il primo centro di detenzione di Filakio, poco
Paese nel quale lo straniero viene lontano da Orestiada.
identificato. Suil e Johe, 18 e 20 Per anni sovraffollato e fatiscente
anni, dal Bangladesh hanno attra- («erano gli stessi migranti a dannegversato otto confini. Non sognavano giarlo sperando di essere rilasciati
di vendere sigarette di contrabbando prima», riferisce il capo della polizia
a Exarchia, il quartiere anarchico di Orestiada, Giorgios Salamagas),
di Atene, «ma come si può tornare Filakio è stato ristrutturato con un
indietro - spiegano - quando la tua investimento di 860mila euro. La
famiglia ha speso tutto per mandarti polizia non lascia entrare i giornalisti
a fare fortuna?». Sognano ancora la e i migranti tentano di comunicare
Germania o la Svezia, ma la Grecia attraverso le sbarre delle finestre.
non ha frontiere terrestri con altri «Sono iraniano, scrivevo canzoni a
Paesi dello spazio Schengen. A Sa- tema politico e per questo sono dovulonicco, Eksandar e la moglie Kauka to scappare - grida Hussein -. Possiapassano la serata su una
mo uscire cinque minuti
panchina di Platia Dika- «Sono iraniano,
al giorno e telefonare
stirion. Assieme al figlio scrivevo canzoni
una volta a settimana»,
14enne sono fuggiti da a tema politico e esclama in inglese. Il
Homs, in Siria. Fino a per questo sono
dialogo è spezzato, preIstanbul hanno viaggia- dovuto scappare
sto sarà interrotto dato in pullman poi, per - grida Hussein,
gli agenti. Da un’altra
più di dieci giorni con i iraniano rinchiuso inferriata spuntano due
in un Cie -.
Possiamo uscire
di cella cinque
minuti al giorno»
polsi incrociati, a simboleggiare la
gabbia. Poi due dita formano una V
di vittoria: la gabbia è in Europa e
prima o poi se ne uscirà.
Sidirò, un villaggio a una cinquantina di chilometri a sud di Orestiada, è
abitato da musulmani di lingua turca. Poche case,
una moschea,
Eksandar, Kauka
una pompa di
e il figlio 14enne
benzina gestisono fuggiti da
ta dal muftì
Homs, in Siria.
Mohammed
Da Istanbul hanno
Sharif. È lui,
viaggiato con i
assieme alla
trafficanti fino al
moglie Fatme,
confine greco. Il
a
occuparsi
viaggio per tutta la
delle sepolture
famiglia è costato
dei migranti
16mila dollari
che nella traversata dell’Evros trovano la morte.
Il cimitero è una collina con decine
di cumuli di terra, alcuni coperti
di sterpaglie. Non ci sono nomi né
cartelli, solo un cancello che un ragazzino del villaggio apre e chiude.
Fatme lava i cadaveri delle donne
secondo il rituale islamico. «Anche
bambine», precisa con lo sguardo
fermo, le sopracciglia corrucciate sul
volto da contadina.
gennaio 2013 Popoli 19
israele
L’arte
della pace
Tra le mille anime di Gerusalemme, dove la vita
è normalmente fatta di tensione e separazione
- ancora più dopo l’ultima crisi con Gaza di fine
novembre -, nascono esperienze artistiche che sono
percorsi di incontro e linguaggi di riconciliazione
Elisabetta Gatto
Gerusalemme
È
l’ora del tramonto: una folla
disordinata e al tempo stesso
composta accorre al Muro
del Pianto per la preghiera del venerdì sera, vigilia di shabbat. Con
20 Popoli gennaio 2013
addosso gli abiti della festa, uomini
e donne, rigorosamente divisi in
due sezioni separate, recitano preghiere, dondolando avanti e indietro sui talloni, cantano e danzano,
appoggiano la fronte al muro, lo
baciano, lo bagnano di lacrime. Osservata con un po’ di distacco, sem-
bra una rappresentazione teatrale:
gli chassidim, i devoti ortodossi,
con i lunghi cappotti e i cappelli
a larghe tese neri, la barba folta e
i peyot, i riccioli ai lati del capo; i
fedeli con la kippah, il tradizionale
copricapo, e le frange dello scialle
della preghiera sotto la giacca; le
donne, eleganti nella loro sobrietà,
con i capelli raccolti in un foulard;
bambini e bambine che gironzolano, ma con una discrezione rara.
Una visione in bianco e nero, quasi
la proiezione di un film d’epoca sullo sfondo del muro illuminato dalla
luce calda del crepuscolo.
Se si accetta di farsene contagiare,
l’aura spirituale che avvolge quello
spazio non lascia indifferenti. Per
gli ebrei ortodossi il muro non viene
mai abbandonato dalla Shechinà, la
presenza divina. È commovente
appoggiarvi la fronte, chiudere gli
occhi e sentire di quante sofferen-
Cisgiordania: il muro che separa Israele e i
territori occupati. Sotto, un’immagine della
mostra Gestures in Time (Gerusalemme,
novembre 2012).
ze, speranze, intenzioni è intrisa la
sua pietra. Ed è struggente voltare
le spalle - un ebreo ortodosso non
lo farebbe mai, tutti per rispetto
procedono all’indietro allontanandosi dal muro - e pensare che dove
oggi si apre la piazza un tempo
sorgeva il quartiere arabo, raso al
suolo dai reparti israeliani nel 1967
per assicurarsi il controllo della
Città Vecchia.
Sono passati 45 anni da allora e il 16
novembre 2012 una sirena d’allerta
riaccende le vibrazioni di un terrore
che si voleva cancellare. Come formiche impazzite, ci sparpagliamo
confusi in cerca di indicazioni. Un
gruppo di militari in servizio ci
suggerisce di cercare riparo sotto un
porticato. In breve tempo la piazza
è sgombra e noi siamo sempre più
stipati, sempre più smarriti. Non è
chiaro cosa stia accadendo, ma è
poco rassicurante. Ci chiediamo se
siamo in pericolo, senza volere davvero avere una risposta. Il giorno
prima due missili di Hamas - i primi
dopo la guerra del Golfo - avevano raggiunto Tel Aviv, fortunatamente senza causare danni. Leah,
una ragazza graziosa che gestisce
un ristorante kosher nel centro di
Gerusalemme, mi aveva sollevata:
«Qui sei al sicuro: Gerusalemme è
una città di pace. Vedrai, tra poco si
riverseranno tutti qui da ogni parte
di Israele».
Invece, contro ogni previsione, un
razzo si è schiantato in un’area
disabitata fuori dalla città, anche
questa volta senza provocare vittime, né feriti. Probabilmente è stata
un’azione dimostrativa di grande
valore simbolico. Certamente una
risposta forte all’intollerabile spirale
di violenza sulla Striscia di Gaza,
che avrebbe potuto aprire la strada
a quello che la maggior parte della
popolazione, israeliani e palestinesi
senza distinzione, voleva scongiurare: un attacco di terra dell’esercito
israeliano a Gaza e la conseguente
ripresa di una nuova intifada, con
attentati terroristici alle fermate de-
gli autobus o nei caffè.
Il cessate il fuoco, dopo otto giorni
e troppe vittime, è arrivato grazie
alla mediazione del neopresidente
egiziano Mohammed Morsi, salutato come un nuovo e strategico
attore sulla scena mediorientale (a
distanza di pochi giorni, i media e
il suo popolo ne avrebbero denunciato le aspirazioni faraoniche, in
piena contraddizione con le promesse della Primavera araba).
LA SCENA ARTISTICA
Non di pace si
tratta, ma di una
Gerusalemme è
tregua economiuna città vibrante
ca, perché nel
e plurale, dove
Paese non si inebrei, musulmani,
terrompano trafcristiani,
fici commerciali
ultraortodossi e
e flussi turistici
laici, vivono vite
che interessaparallele, ma
no a entrambe
spesso la cultura
le parti. La paè un terreno
ce presuppone il
d’incontro
riconoscimento
dell’umano che risiede nell’Altro,
come suggeriva Mahmud Darwish,
forse il più grande poeta palestinese: «La Storia non può ridursi a un
risarcimento per la geografia perduta. È anche un punto di osservazione delle ombre, di sé e dell’Altro,
colte entro un’evoluzione umana
più complessa. [...] Questa terra è
mia, con le sue molteplici culture.
Voglio viverle tutte. È mio diritto
identificarmi con tutte le voci che
sono risuonate su questa terra. Perché, qui, io non sono né un intruso,
né un passante» (Oltre l’ultimo cielo.
La Palestina come metafora, 2007).
Ciò che da decenni i governi inseguono, senza cercarlo davvero,
nell’arte è una conquista assai più
facile: laddove le politiche hanno
fallito, con i linguaggi artistici si
sono gettati i semi per la riconciliazione. Nel patio dell’albergo
dove soggiorniamo, che ha sede nel
palazzo del Jerusalem International Ymca, cuore della vita sociagennaio 2013 Popoli 21
israele
Una scena di Plonter,
della regista Yael Ronen.
le e intellettuale di Gerusalemme,
campeggia l’insegna: «Questo è un
luogo dove le gelosie politiche e religiose possono essere dimenticate e
l’unità internazionale incoraggiata
e sviluppata». La sua ridondanza
ci aveva incuriositi, così abbiamo
domandato chiarimenti al direttore, Forsan Hussein. «Il nostro è un
centro internazionale per la riconciliazione - ci spiega -. Vogliamo
portare le nuove generazioni a considerare il valore di una società e di
una cittadinanza condivise. Io sono
palestinese, lo dico con orgoglio.
Ma sento anche di essere un ponte
tra Israele e il mondo arabo, così
come possono esserlo 1,5 milioni
di palestinesi che vivono in questo
Paese».
Gerusalemme è una città vibrante
e plurale, dove ebrei, musulmani,
cristiani, ultraortodossi e laici, costretti a vivere uno accanA Gaza e a Hebron
to all’altro,
si usa il teatro
hanno impacome mezzo di
rato a rispetcomunicazione.
tarsi. Di fatto
Al Teatro nazionale
conducono
palestinese di
vite paralleRamallah, giovani e
donne sono coinvolti le, ma spesso la cultura
in un progetto
è un terreno
che è cammino
d’i ncont r o.
di giustizia
Sfogliando le
pagine del Jerusalem Post l’offerta
culturale è ricchissima. La Confederation House, dove si mescolano
le radici di un centinaio di gruppi
etnici, ogni anno in novembre ospita il Jerusalem International Oud
Festival: grazie al suono dell’oud,
strumento che unisce la musica
classica araba e persiana con il
piyyut, la poesia liturgica ebraica, si
intrecciano diverse tradizioni mediorientali. Attraverso la musica,
infatti, si rompono barriere e si
tessono relazioni. È quello che ha
scelto di fare la cantante israeliana
Noa, impegnata nella promozione
di una cultura di pace per mezzo
22 Popoli gennaio 2013
delle sue canzoni: la sua voce si è rivolto ai giovani israeliani e palelegata a quella di vari artisti, tra cui stinesi per costruire contaminazioni
la cantante palestinese Mira Awad, positive attraverso il cinema».
con cui ha duettato in There must be
another way.
CHECK POINT A TEATRO
In una libreria di Gerusalemme Est E lo stesso vale per il teatro. Su controviamo un album dei Dam Rap, siglio di un amico ci ripromettiaun gruppo di arabi israeliani di mo di vedere Plonter, della regista
Lod, che condensano nel loro rap israeliana Yael Ronen: sullo sfonelementi arabi, ebraici e inglesi. do drammatico dell’occupazione e
Il gestore ci suggerisce un cd di dell’intifada, un cast di giovani proSmadar Levi, israeliana di origine fessionisti israeliani, arabi ed ebrei,
marocchina, portavoce dello spi- affronta la complessità del conflitto
rito della convivencia, ispirata alla e della realtà umana di entrambi i
tolleranza religiosa nella Spagna fronti e nell’intreccio delle vite di
moresca, ovvero la coesistenza pa- una famiglia israeliana e di una pacifica delle culture ebraica e islami- lestinese cerca di far comprendere
ca. «Canta in ebraico, arabo, greco, che «gli altri» sono anche persone.
spagnolo e ladino - ci dice -. La Un particolare curioso: per un assua band è composta da musicisti saggio simbolico della vita palestidi diverse aree del Medio Oriente, nese, gli spettatori in arrivo devono
senza badare ai confini religiosi o presentare la loro carta d’identità a
nazionali». Pochi mesi fa a Roma due attori in uniforme nei panni di
abbiamo assistito a un concerto soldati israeliani.
dell’orchestra West-Eastern Divan, Leah, quando non lavora in un
fondata nel 1999 da Daniel Baren- ristorante, recita nella compagnia
boim, cosmopolita di origine ebrea teatrale Al-Jawwal, una delle più
e cittadino israeliano, insieme a popolari e graffianti nel trattare
Edward Said, scrittore palestinese, la questione palestinese. Cita West
per favorire il dialogo fra giovani Bank Story, che fa il verso a West
musicisti provenienti da Paesi e Side Story, in cui David, soldato
culture storicamente nemiche. Lo israeliano, si innamora di Fatima,
racconto al simpatico
cassiera palestinese di
libraio, che aggiunge: Una Ong
un fast food e la loro
«Nello stesso anno, al- israeliana per
storia, ostacolata dalla cineteca di Gerusa- la difesa della
le rispettive famiglie,
lemme, fu avviato allo libertà dei
diventa il pretesto per
stesso scopo il progetto palestinesi ha
resistere a una guerra
“I am you are”, un la- ideato un gioco
senza fine. «Partecipare
boratorio sull’identità online che
insieme a un gruppo
mostra quanto
sia difficile
spostarsi
nei territori
Il gruppo rap Dam, tra le band
palestinesi più popolari. Sotto,
una suonatrice di oud.
teatrale - racconta - può diven- Oggi, in una casa tradizionale
tare uno straordinario strumento araba nel centro di Gerusalemme,
di gestione del conflitto, perché l’associazione culturale Al- Hoash
richiede lavoro di squadra, sponta- vuole mettere in contatto i moneità, creatività, apertura a nuove vimenti artistici presenti in citidee. Mia sorella Miriam studia tà con altri centri palestinesi e
all’Istituto di Studi amdel mondo arabo. Alla
bientali dell’Università Molti hanno
Fondazione Al-Ma’mal
Ben Gurion del Negev, disegnato sul
per l’Arte contemporadove al motto di Nature muro Handala,
nea, che spesso ospita
knows no borders quelli la «firma» del
artisti e intellettuali di
che saranno i futuri vignettista
Gaza e della Cisgiordamanager palestinesi e palestinese Naji
nia, visitiamo la mostra
israeliani collaborano al-Ali: un bambino Gestures in Time, che
alla risoluzione delle raffigurato di
offre una prospettiva
sfide ambientali della spalle perché non nuova per reinterpretaregione e al contempo è d’accordo con la re e ricostruire il prealla promozione della situazione attuale sente della Palestina.
pace. Siamo la generaPresente e quotidianità
zione che può portare il
che, per le comunità
cambiamento».
palestinesi,
quando
A Gaza e a Hebron si usa il teatro non sono segnati dalla violenza, socome mezzo di comunicazione. Al no costellati di complicazioni e pasTeatro nazionale palestinese di Ra- saggi sbarrati. Per darne un’idea, la
mallah, anche grazie alla Coopera- Ong israeliana Gisha, impegnata in
zione italiana, giovani e donne so- difesa della libertà di movimento
no coinvolti in un progetto teatrale dei palestinesi, ha ideato il gioco
che è al tempo stesso un cammino online Safe Passage, ambientato
verso la giustizia e la comprensione a Gaza: si può scegliere di essere
reciproca. Nei Territori occupati le un gelataio, una studentessa o una
espressioni artistiche tradizionali, famiglia che vuole riunirsi con i
come teatro, danza e feste popolari, parenti in Cisgiordania. In tutti
subiscono pesanti restrizioni a cau- e tre i casi ci si deve confrontare
sa del coprifuoco: per preservarle, con i disagi, gli inconvenienti e i
alcune compagnie (tra cui quella divieti di una vita ordinariamente
del Teatro itinerante Qafilah, «Ca- a ostacoli.
rovana») scelgono di portare i loro A partire dal 2002 Israele ha cospettacoli tra gli abitanti dei villag- struito 725 chilometri di muro in
gi e dei campi di rifugiati che di- Cisgiordania per impedire l’accesso
versamente non avrebbero accesso. dei palestinesi al territorio nazio-
nale: muro della vergogna o dell’apartheid per chi lo considera una
barriera ingiusta, di separazione
razziale per i media palestinesi,
ufficialmente misura di sicurezza
e antiterrorismo per i suoi sostenitori. Lungo il suo tracciato molti
artisti hanno lasciato un segno. Il
musicista Roger Waters, leader dei
Pink Floyd, vi scrisse We don’t need
no thought control (Non abbiamo
bisogno di essere sorvegliati), alludendo al testo di Another brick in
the wall. L’artista inglese Bansky vi
ha raffigurato soggetti provocatori
da guerrilla art; da alcuni anni, poi,
grazie a un’iniziativa dell’Ong Icco
per finanziare attività sociali in
Cisgiordania, chiunque può inviare
via internet un messaggio e alcuni
incaricati palestinesi lo scriveranno
con la vernice spray sul muro e invieranno una foto. Molti vi hanno
disegnato Handala, la «firma» del
vignettista palestinese Naji al-Ali:
un bambino raffigurato sempre di
spalle perché non è d’accordo con
la situazione attuale. Solo quando
le cose cambieranno tornerà a mostrare il suo volto. Quanto dovrà
aspettare ancora?
gennaio 2013 Popoli 23
stati uniti
AFP
Parigi, protesta contro la prigione di
Guantánamo: la riproduzione della Statua
della libertà è coperta con un drappo
arancione, come la divisa dei prigionieri.
24 Popoli gennaio 2013
Guantánamo
per sempre?
Chiudere il penitenziario in cui sono detenuti
i sospetti terroristi catturati dagli Usa: fu la
prima promessa del neoeletto Obama. Nei giorni
in cui inizia il secondo mandato, vi spieghiamo
come mai la prigione più famosa del mondo
è ancora aperta e perché rischia di diventare
un simbolo permanente dell’America
I
l 20 gennaio 2009 Barack Obama iniziò la sua presidenza in
modo coraggioso. Nel suo discorso di insediamento dichiarò:
«Noi rifiutiamo in quanto falsa la
scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali». Nel secondo giorno del
suo mandato, diede seguito all’impegno firmando un decreto per chiudere Guantánamo entro un anno.
L’amministrazione di George W.
Bush aveva avuto un approccio
diverso alla lotta al terrorismo.
In un’intervista rilasciata cinque
giorni dopo gli attacchi dell’11
settembre 2001, il vicepresidente
Dick Cheney disse che gli Stati
Uniti avrebbero dovuto usare «il
lato oscuro» nell’impegno contro il
terrorismo. «Sta diventanto vitale
per noi - spiegò - utilizzare tutti
i mezzi a nostra disposizione per
raggiungere l’obiettivo».
Questi «mezzi» non includevano
solo la tortura, ma anche l’arresto
e la detenzione di persone sospettate di terrorismo in una località
«offshore», fuori dalla giurisdizione dei tribunali civili statunitensi
o di qualunque altro Stato. Soprattutto tra il 2002 e il 2004, gli
Usa trasferirono quasi 800 uomini,
tutti musulmani, nella base navale
di Guantánamo, a Cuba, per deten-
zioni illimitate, senza la formalizzazione di alcuna accusa e senza
processi. Barack Obama decise di
cambiare linea.
Nel tentativo di svuotare la prigione, Greg Craig, consulente giuridico della Casa Bianca, elaborò un
primo programma per trasferire
alcuni detenuti uiguri (etnia turcofona e minoranza islamica che
vive nel nord-ovest della Cina),
da tempo sollevati dalle accuse,
sul territorio Usa. Craig presentò
il programma il 17 aprile 2009
durante una riunione sulla sicurezza nazionale. Erano presenti
L. HANSEN
Luke Hansen SJ
il Segretario alla Difesa, Robert
Gates, e il Segretario di Stato Hillary Clinton. «Sembrava sarebbe
stata una questione di giorni, non
settimane», perché si realizzasse
il trasferimento, spiegò in seguito
Time magazine. L’amministrazione sperava che, se fosse andato
tutto bene, i Paesi terzi sarebbero
stati più disponibili ad aiutare a
ricollocare altri detenuti. Nel giro
di un mese il programma andò a
monte.
Quattro anni dopo, Guantánamo
resta aperta, continua la carcerazione
preventiva a
tempo indeIl progetto di
terminato e
chiusura andò a
i prigionieri
monte nel giro di
vengono proun mese. Quattro
cessati
da
anni dopo continua
com m i ssion i
la carcerazione
militari, non
preventiva a tempo
da tribunali
indeterminato
federali civie i prigionieri
li. Ora non è
vengono processati
chiaro se il
da tribunali militari
carcere sarà
mai chiuso, almeno finché l’ultimo dei detenuti non sarà diventato
vecchio e morirà. Che cosa ha
determinato una tale inversione
di rotta?
gennaio 2013 Popoli 25
stati uniti
Guantánamo: familiari di alcune vittime dell’11
settembre 2001, arrivati per assistere al
processo contro cinque imputati.
L. HANSEN
OPPOSIZIONE CRESCENTE
Proprio il giorno prima che Craig
presentasse il suo programma alla
squadra per la sicurezza nazionale, il presidente Obama aveva reso
pubbliche una serie di informative
riservate della Cia che elencavano
nel dettaglio le «intense tecniche
di interrogatorio» (cioè
Dal 2010 solo
torture) auquattro uomini
torizzate dalhanno lasciato
l’amministraGuantánamo: due
sono stati trasferiti zione Bush.
M i c h a e l
in El Salvador, un
Hayden, ex
terzo, arrestato a
direttore del15 anni, ora è in
la Cia, aveva
Canada. Il quarto
or ga n i zzato
ha lasciato la base
u n’opp o s iin una bara
zione interna
alla pubblicazione di questi documenti, ma Obama - coerente con
la sua promessa di una maggiore
trasparenza e di una via diversa,
maggiormente guidata da criteri
etici, nella lotta contro il terrorismo - li aveva pubblicati lo stesso.
Nel frattempo fu reso noto anche il
piano di Craig per il rilascio degli
uiguri sul territorio statunitense e
i leader repubblicani scatenarono
uno spietato attacco, durato tre
settimane, contro le prime decisioni del presidente Obama in politica
26 Popoli gennaio 2013
estera. Affermavano che, diffon- fonte interna all’amministrazione.
dendo le note della Cia, Obama Due settimane dopo, il presidente
aveva incoraggiato i nemici dell’A- cercò di affrontare il crescente malmerica e che ora avrebbe messo contento generale con un grande
in pericolo i cittadini portando i discorso sulla sicurezza nazionaprigionieri negli Stati Uniti, non le. Non solo annunciò che avrebimporta se per liberarli, tenerli in be lavorato con il Congresso per
carcere o processarli.
rinnovare le commissioni militari
Improvvisamente stava diventando dell’era Bush, ma abbracciò anche
troppo costoso, politicamente, in- l’uso della detenzione a tempo intraprendere la via «etica» nella lotta determinato e senza imputazione o
al terrorismo. Come scrisse ancora processo per un gruppo di detenuti
il Time alla fine di aprile 2009, «i «che non possono essere perseguiti
sondaggi dei democratici indicava- e che tuttavia pongono un chiaro
no una tendenza preoccupante: una pericolo per il popolo americano».
caduta nel sostegno a Obama tra gli
indipendenti, condizionati in parte SINTOMO
proprio dalle questioni di sicurezza DI UN PROBLEMA NAZIONALE
nazionale». All’interno della Ca- Ci sono dunque molti fattori che
sa Bianca lo slancio e l’ottimismo spiegano perché il presidente Obainiziali svanirono. L’amministra- ma non è riuscito a chiudere la
zione cominciò anche
prigione durante il suo
a temere che il «caso Chiudere
primo mandato: non ha
Guantánamo» potesse Guantánamo
esercitato una pressiodistrarre da priorità in- trasferendo negli ne abbastanza forte,
terne come la sanità e Usa i prigionieri
i repubblicani hanno
il rafforzamento dell’e- rimasti, ma
strumentalizzato
le
conomia.
paure degli americaprocessandoli
All’inizio di maggio, secondo le leggi
ni, il governo non era
Obama decise di non di guerra,
preparato - o disposto
trasferire i detenuti ui- non affronta
- a rispondere agli atguri negli Stati Uniti. il problema
tacchi dei repubblicani.
«È stata una decisione dei diritti umani
Va anche aggiunto che
politica», disse espliciil Congresso, in pertamente al Time una
fetto stile bipartisan,
ha stabilito restrizioni
sul trasferimento di prigionieri da
Guantánamo. Anche gli americani,
collettivamente, ne sono responsabili: se per Obama fosse stato politicamente popolare portare fino in
fondo la sua promessa di chiudere
Guantánamo, lo avrebbe fatto.
Ma c’è di più. Se si guarda un po’
più in profondità, diventa chiaro
che Guantánamo è soltanto un sintomo di un problema più ampio, che
riguarda il sistema carcerario negli
Usa. Molti americani credono che
Guantánamo sia una deviazione
dalla norma, che sia una macchia
isolata e senza precedenti sulla
reputazione degli Stati Uniti come
GUANTÁNAMO OGGI
Uno dei motivi per cui Obama è
riuscito a trasferire solo pochi prigionieri è il fatto che il Congresso
ha ridotto i fondi destinati a queste
operazioni. Così, negli ultimi due
anni, solo quattro uomini hanno
lasciato Guantánamo: due uiguri
sono stati sistemati in El Salvador;
Omar Khadr, detenuto da quando
aveva quindici anni, è stato trasferito in Canada per scontare la
sua pena; Adnan Latif, yemenita,
ha lasciato la prigione in una bara,
deceduto per una overdose di psicofarmaci.
Restano 166 detenuti a Guantánamo. La maggioranza, precisamente
132, non sarà processata: per 86
prigionieri è stato approvato il trasferimento o il rilascio, mentre 46
verranno trattenuti indefinitamente, soggetti a revisione periodica.
Sette detenuti sono attualmente sotto processo davanti a commissioni
M. SHEPARD - TORONTO STAR
leader morali del mondo. In realtà, Guantánamo è coerente con il
triste record di carcerazione che
possono «vantare» gli Stati Uniti. Attualmente, infatti, nel Paese
sono detenuti circa due milioni di
uomini, donne e minori, la più alta
percentuale al mondo rispetto alla
popolazione residente.
Molti stanno scontando pene per
reati non violenti, come quelli legati alla droga. In alcuni Stati sono
in vigore leggi che prevedono il
carcere a vita per reati contro terzi.
In alcuni centri di detenzione per
minori, i ragazzi vengono puniti
con l’isolamento in cella per 23
ore al giorno. La pena di morte è
ancora in vigore in 33 Stati su 50.
A causa del sovraffollamento e dei
budget limitati, molti Stati hanno
affidato la gestione delle prigioni a
organizzazioni private che mantengono bassi i costi e fanno profitto
tenendo pieni i «posti letto».
Se gli americani approvano pratiche così crudeli in casa propria,
non sorprende che ci siano indifferenza o totale sostegno a mantenere aperta Guantánamo. Perché gli
americani dovrebbero interessarsi
ai diritti umani di poche centinaia
di persone accusate di terrorismo e
ritratte (spesso erroneamente) come
tuttora pericolose per la sicurezza
nazionale? Gli americani preferiscono concentrarsi sui problemi
dell’economia o della sanità, e l’amministrazione Obama li accontenta.
LA SCHEDA
I
l campo di prigionia di Guantánamo è una struttura detentiva statunitense di
massima sicurezza interna alla base navale sull’isola di Cuba. Il campo è stato
aperto l’11 gennaio 2002 per decisione del presidente George W. Bush, con l’obiettivo di farvi confluire i prigionieri catturati in Afghanistan e ritenuti collegati ad attività
terroristiche, a partire dall’organizzazione degli attentati dell’11 settembre 2001.
Subito dopo l’apertura si sono levate critiche circa le condizioni di reclusione e l’effettivo status giuridico dei detenuti, i quali non vengono considerati prigionieri di guerra
né imputati per reati ordinari, dunque sono privi di varie tutele legali. Questi dubbi
furono del resto rafforzati dalle dichiarazioni dell’allora Segretario alla Difesa, Donald
Rumsfeld, secondo cui questi prigionieri erano da considerarsi «combattenti irregolari, ai quali non si applicano i diritti della Convenzione di Ginevra». Tra le proteste più
autorevoli e immediate contro le condizioni di detenzione dei prigionieri, ci fu anche
quella dell’Alto commissario per i diritti dell’uomo dell’ONU, Mary Robinson.
Secondo Amnesty International, nel 2005 un imprecisato numero di reclusi attuò
uno sciopero della fame per protestare contro la perdurante mancanza di accesso
a una corte indipendente e contro le dure condizioni di detenzione, che sarebbero
state caratterizzate anche da violenze e pestaggi.
Durante la campagna elettorale del 2008, Barack Obama affermò più volte di voler
chiudere la prigione di Guantánamo, promessa che non è poi stata mantenuta.
gennaio 2013 Popoli 27
stati uniti
M. SHEPARD - TORONTO STAR
numeri e persone
166
Detenuti a Guantánamo a inizio dicembre
2012.
di cui
militari e per altri 24 è previsto
l’inizio di un analogo processo.
Solo tre detenuti su 166 sono a
Guantánamo per scontare effettivamente una pena, dopo essere stati
sottoposti a un processo.
Poco prima di essere rieletto, Obama
ha di nuovo dichiarato di voler chiudere Guantánamo. Se ha seriamente
intenzione di mantenere la promessa, dovrà agire su due livelli.
Anzitutto, deve porre fine alla
detenzione di coloro per cui è sta-
L’AUTORE
L
uke Hansen, gesuita, è un collaboratore fisso di America,
settimanale cattolico
pubblicato negli Stati
Uniti. Nel 2010, alle
Bermuda, ha incontrato ex prigionieri di
Guantánamo e più recentemente ha visitato
la base per seguire il processo per crimini
di guerra contro cinque detenuti accusati
di aver organizzato gli attacchi terroristici
dell’11 settembre 2001.
28 Popoli gennaio 2013
86
Verranno trasferiti in altre carceri o rilasciati,
ma non si sa quando.
46
Saranno trattenuti a
tempo indeterminato,
senza essere stati processati.
7
Attualmente sotto processo davanti a commissioni militari.
24
Verranno processati prossimamente da
commissioni militari.
3
Detenuti reclusi a
Guantánamo dopo avere effettivamente subito un processo e una
condanna.
to approvato il trasferimento. Per to il metodo di lotta al terrorismo
fare questo, il presidente dovrebbe dell’era Bush, un metodo sbagliato.
porre il veto su qualunque bilancio I sospettati di terrorismo dovrebper la difesa che includa restrizio- bero essere processati nei tribunali
ni alla sua possibilità di trasferire federali secondo la Costituzione,
detenuti da Guantánamo. Già in non in sistemi extralegali e senza le garanzie di un
passato Obama ha annunciato di volere agi- La posta in gioco giusto processo. Purre così. Ora dovrebbe è alta. La «guerra troppo sia il Congresso
sia la Corte suprema
farlo davvero.
al terrore»
appoggiano il sistema
In secondo luogo, il e l’utilizzo della
attuale. Guantánamo
presidente deve chiude- prigionia senza
non chiuderà e si conre la cosiddetta «guerra tutele legali
tinuerà a fare uso della
al terrore». Il percor- diventeranno
detenzione a tempo inso convenzionale per componenti
chiudere Guantánamo permanenti della determinato finché la
«guerra al terrore» non
prevede di trasferire politica estera
sarà finita.
negli Stati Uniti i pri- americana?
La posta in gioco nel
gionieri rimasti, perché
secondo mandato di
siano processati o deObama è altissima. Tra
tenuti secondo le leggi
di guerra. È una strada sbagliata. quattro anni, quali tra i fallimenti
Limitandosi a trasferire le persone di Bush saranno ancora presenti? Se
in un posto diverso, non si affronta la «guerra al terrore» continuerà e
il vero problema di diritti umani la prigione di Guantánamo rimarrà
legato a Guantánamo: la detenzio- aperta, è probabile che la guerra e la
ne illimitata senza imputazione o prigione diventeranno componenti permanenti della politica estera
processo.
In questo senso Obama ha ricalca- americana.
il fatto, il commento
La Palestina
dopo il voto all’Onu
L’
Drew Christiansen SJ
Gesuita, già direttore
del settimanale
America dal 2005 al
2012, è stato a lungo
consigliere per gli affari
internazionali della
Conferenza episcopale
Usa, occupandosi in
particolare della Terra
Santa. Attualmente
è visiting scholar al
Boston College.
Assemblea generale
delle Nazioni Unite il
29 novembre scorso
ha votato a larga maggioranza
(138 voti a favore, 9 contrari e
41 astenuti) per dare alla Palestina lo status di Paese osservatore. Tra i 9 «no» si contano Micronesia, Isole Marshall, Nauru
e Palau, tutte isole del Pacifico
perlopiù ex dipendenze degli
Stati Uniti. Insieme a Israele e
agli Usa, gli altri contrari sono
stati Canada, Repubblica Ceca
e Panama. Il consenso internazionale è andato in grande
maggioranza al riconoscimento
della Palestina.
Il voto arriva 65 anni dopo
l’approvazione da parte dell’Onu della divisione della Palestina in uno Stato ebraico e in
uno arabo e la dichiarazione
unilaterale di indipendenza da
parte di Israele.
Indifferente al simbolismo della data, Israele ha rifiutato in
modo categorico di unirsi alla
maggioranza. Con il sostegno
degli Usa, insiste nel ritenere
che uno Stato palestinese può
essere ottenuto solo attraverso negoziati bilaterali senza
precondizioni. E un’assenza di
precondizioni implica il rifiuto
di riconoscere qualsiasi termine stabilito dal diritto internazionale: la fine dell’occupazione della Cisgiordania, un
ritorno ai confini del 1967, un
reinsediamento dei rifugiati e
una qualche soluzione di «condominio» su Gerusalemme.
In un recente tentativo per indurre gli israeliani a trattare
sulla definizione di uno status
definitivo, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha of-
ferto di lasciare da parte le rivendicazioni dei rifugiati.
Questi rappresentano una questione seria, perché sono
quattro milioni i palestinesi della diaspora, ma sono
un problema che entrambe le parti non riescono ad
affrontare, né per proprio conto, né insieme. Il primo
ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha immediatamente respinto l’offerta e Abbas l’ha ritirata. Anche
se reso meno amaro dal voto all’Onu, questo rifiuto ha
confermato la posizione di base del governo di Gerusalemme: i termini dell’autonomia palestinese saranno
dettati da Israele.
Il rifiuto di accettare per la Palestina un riconoscimento internazionale come semi-Stato è una negazione
del diritto palestinese a partecipare ai negoziati su un
piano di parità. Sia la preparazione sia le condizioni di
attuazione degli Accordi di Oslo hanno dato a Israele il
Il rifiuto israeliano di accettare per
la Palestina un riconoscimento internazionale
come semi-Stato è una negazione del diritto
palestinese a partecipare ai negoziati
su un piano di parità
controllo su interessi vitali per gli abitanti dei territori,
come l’acqua, le entrate fiscali, i porti e una parte delle
terre. Dopo la seconda intifada scoppiata nel 2000, la
rioccupazione della West Bank ha consentito a Israele
di controllare la vita dei palestinesi. Con il passare
degli anni, Israele si è progressivamente impadronito
delle loro terre e, così, i palestinesi sono stati lasciati
senza concessioni nei negoziati per un accordo. Israele
ha un forte vantaggio e, senza un intervento internazionale, detterà le condizioni. Lo status di osservatore
offre almeno ai palestinesi un’uguaglianza morale
quando siederanno al tavolo dei negoziati.
Subito dopo il voto, Netanyahu ha chiarito le intenzioni del suo governo, autorizzando la costruzione
di insediamenti nell’ultimo corridoio di collegamento
rimasto tra il nord e il sud della Cisgiordania, rendendo
così impossibile la creazione di uno Stato palestinese
territorialmente continuo e funzionante. Dato che per
gli israeliani intransigenti è impensabile la formazione
di un singolo Stato ebraico-palestinese integrato, sembra che Israele sia destinato a
essere l’occupante. Solo un
ulteriore intervento internazionale aprirà la
strada alla pace.
inchiesta
Enrico Casale
«L
o rifarei? No, non credo. Forse la poligamia ha
un senso in una società
rurale, come quella africana, dove all’aspetto affettivo si aggiunge
quello economico: più mogli e più
figli sono anche braccia utili alla
coltivazione nei campi. Nella società
postmoderna italiana avere due o più
mogli non ha alcun senso». Edoardo
M., italiano, una vita avventurosa
trascorsa in Africa e oggi di nuovo residente in Italia, è un bigamo
pentito. Pentito non tanto degli affetti che ha costruito con le sue due
mogli africane, ma di una struttura
familiare complessa, proveniente da
mondi estranei alla nostra cultura.
FENOMENO SFUGGENTE
Se fino a una trentina di anni fa la
poligamia era un fenomeno ridotto
a qualche caso isolato, oggi, con la
crescita della presenza di immigrati
nel nostro Paese, sta assumendo una
certa rilevanza. E casi come quello
di Edoardo non sono più unici, frutto di vicende personali particolari,
ma una presenza effettiva, anche se
spesso nascosta. Il codice penale italiano infatti punisce chi si sposa più
volte. È per questo motivo che chi
contrae matrimoni multipli
«Il Centro Averroè
all’estero non
ha calcolato
ne fa menche nel nostro
zione quando
Paese sarebbero
arriva in Itapresenti
lia. Così come
14.500 famiglie
poligamiche stabili. chi nel nostro
Paese si sposa
A queste bisogna
due volte, lo
aggiungere
fa utilizzando
i matrimoni
esca motage
a tempo»
che sfruttano i
varchi lasciati aperti dalla legge (cfr
p. 33). Per questo motivo non esistono statistiche ufficiali sulle famiglie
poligamiche in Italia, ma solo stime.
«Il Centro Averroè - spiega Souad
Sbai, origini marocchine, giornali30 Popoli gennaio 2013
Poligami
d’Italia
Quasi sconosciuta fino a una trentina di anni fa,
la poligamia si sta diffondendo nel nostro Paese
sull’onda dei flussi migratori. È un fenomeno
illegale e perciò sommerso, caratterizzato da un
corollario di violenze sulle donne e diritti negati
sta, deputata del Pdl al Parlamento
italiano - ha calcolato che nel nostro
Paese sono presenti almeno 14.500
famiglie poligamiche stabili. A queste bisogna aggiungere i matrimoni
a tempo (orfi). È un istituto previsto
dalla legge islamica: un’unione suggellata da un patto segreto tra marito
e moglie, alla presenza del notaio e
di due testimoni. I mariti arabi sposati in Italia tornano al loro Paese di
origine per contrarre matrimoni a
tempo con donne locali. La seconda
moglie spesso non sa che il marito
è già sposato. Non solo, ma non ha
alcun diritto perché il marito può
strappare in qualsiasi momento il
certificato di matrimonio. Oltre alla
negazione, di fatto, dei diritti della
donna, anche gli eventuali figli non
godono di alcuna garanzia».
Ma c’è chi contesta queste statistiche.
«Le cifre che circolano sui giornali
e in internet non sono fondate - af-
identità - differenza
Kuala Lumpur (Malaysia), Mohammed
Ikramullah Ashaari a passeggio con tre
delle sue mogli e undici dei suoi figli.
AFFETTI E RISORSE
«Con le mie due mogli non ho mai
avuto problemi - osserva Edoardo -.
Sono entrambe africane ed entrambe
provengono da famiglie di cultura
animista. La prima è sudafricana e
l’ho sposata nel 1976 a Dakar (Senegal) con un rito civile. Abbiamo
cercato di avere figli, ma invano.
Proprio lei mi ha invitato a prendere
una seconda moglie per diventare
padre. Così mi sono sposato la seconda volta nel 1981 con una donna
senegalese dalla quale ho avuto tre
figli». Edoardo vive in Africa per
26 anni. A metà degli anni Novanta
torna in Italia e la poligamia diventa
un problema. Le mogli chiedono di
avere due abitazioni separate. Lui si
indebita per acquistare una cascina
formata da due edifici divisi da un
cortile. «Ai problemi logistici - ricorda - si sono aggiunti quelli burocratici. La prima moglie ha ottenuto la
cittadinanza in quanto mia consorte
ufficiale. Lo stesso è capitato ai miei
figli. La seconda moglie invece è
dovuta entrare in Italia con un visto
turistico e poi, per anni, ha dovuto
rinnovare il permesso di soggiorno».
Edoardo dà una lettura critica della
poligamia: «Un uomo che ha due
mogli deve sottostare a regole precise. L’uomo deve dividersi equamente
tra le diverse mogli. Non è solo una
questione di “ripartizione di affetti”,
ma anche di “ripartizione di risorse”.
Il marito deve garantire alle mogli
lo stesso tenore di vita. In breve, la
vita per un marito diventa impossibile perché gestire due mogli non è
cune comunità straniere praticano la semplice anche se le mogli, come le
poligamia e non sono le comunità più mie, vanno d’accordo. Figuriamoci
numerose in Italia. La poligamia ri- quando litigano».
guarda un numero limitato di coppie A quella di Edoardo si affiancano
esperienze caratterizall’interno delle quali la
zate da violenze psicopresenza di più mogli «Se fossero
logiche e fisiche sulle
non crea alcun problema vere le cifre
donne. «Nelle famiglie
perché è normale nella che circolano
poligamiche - sottolinea
cultura di appartenenza - ribatte il
Sbai - la maggior paro perché accettata dalle sociologo Allievi
te delle donne subisce
donne italiane che spo- - vorrebbe dire
abusi. I mariti picchiano
sano uno straniero».
che in Italia ci
ferma Stefano Allievi, professore di
Sociologia all’Università di Padova -.
Se davvero le famiglie poligamiche
fossero 14.500 ciò significherebbe
che in Italia il 15% delle coppie con
entrambi i coniugi stranieri e il 6%
di quelle con almeno un coniuge
straniero sono poligame. E questo
non è possibile. Anzitutto perché
vorrebbe dire che in Italia, in proporzione, ci sono più famiglie poligamiche che in Marocco o in Algeria,
Paesi di tradizione musulmana nei
quali la percentuale si ferma però al
3%. In secondo luogo, perché solo al-
sono più famiglie
poligamiche
che in Marocco
e in Algeria»
le mogli che non vogliono accettare
la nuova sposa o, dopo qualche anno, abbandonano la seconda moglie
e la donna si ritrova senza alimenti
né garanzie perché non può chiedere
il divorzio, dato che il suo matrimonio non ha effetti civili».
FORZATE ALLA BIGAMIA
Alcuni mariti sposano una seconda donna all’insaputa della prima.
È il caso di Luisa B., italiana. Nel
corso di una vacanza in Egitto ha
conosciuto un uomo egiziano e si è
innamorata di lui. Dopo due anni di
fidanzamento a distanza, i due decidono di sposarsi civilmente presso
l’ambasciata italiana al Cairo, poi
nella sede del ministero degli Esteri
egiziano. Un atto quindi legale in
Italia e in Egitto. «Il matrimo«I mariti spesso
nio - ricorda - è
picchiano le mogli
durato cinque
che non accettano
anni. I primi
la nuova sposa
tre sono andati
o abbandonano
abbastan­za bela seconda.
ne. Gli ultimi
La donna si
due sono staritrova così senza
ti un inferno.
garanzie perché
Ho notato che
non può chiedere
lui, una volil divorzio»
ta in Italia, ha
subito una sorta di “regressione”.
Inizialmente frequentava la Grande
moschea di Roma. Poi ha iniziato a
recarsi in altri centri di preghiera in
periferia. Qui ha fatto gruppo con
alcuni connazionali estremisti. Ogni
volta che tornava a casa era sempre
più sprezzante nei miei confronti.
Diceva: “Se non ti converti all’islam,
Allah mi manderà all’inferno”».
In Italia, il marito ottiene un permesso di soggiorno per ricongiungimento famigliare e poi fa domanda
per ottenere la cittadinanza italiana.
Dopo cinque anni, torna in Egitto.
Arrivato nel suo Paese sposa una
ragazza egiziana che rimane incinta. Decide così di portarla in Italia.
Poco tempo prima che il permesso
di soggiorno scada, si rivolge a Luisa
gennaio 2013 Popoli 31
inchiesta
PAESI ISLAMICI
Per il Corano è lecita, per la legge non sempre
I
l diritto musulmano prevede che la poligamia sia lecita e ammissibile fino al limite di
quattro mogli. Secondo ricostruzioni storiche, nell’Arabia prima di Maometto la poligamia era praticata senza limitazioni. L’islam è intervenuto prescrivendo un limite quantitativo di quattro mogli e l’obbligo di pari trattamento delle mogli. L’islam avrebbe quindi
ristretto e regolato un tipo di organizzazione familiare che esisteva precedentemente.
Ma cosa si intende per «pari trattamento»? Il diritto islamico prevede che ogni moglie abbia spazi propri uguali a quelli dell’altra o delle altre mogli, il marito riservi
lo stesso tempo a ognuna di esse e il trattamento economico deve essere pari
per tutte le consorti. Nell’interpretazione contemporanea, alcuni teologi musulmani
hanno collegato il versetto tradizionale, che imponeva la giustizia tra le consorti, a
quello che sosteneva che, anche volendolo, gli uomini non possono essere «giusti»
con tutte le mogli cioè non possono amare tutte le mogli con lo stesso amore. Ciò
corrisponderebbe a una sorta di bocciatura della poligamia.
In effetti non tutti i Paesi a maggioranza islamica ammettono la poligamia. In Turchia,
per esempio, già nel 1923 è stato abolito il vecchio codice civile ottomano, molto
influenzato dal diritto musulmano, ed è stato sostituito da un codice ispirato alle
legislazioni europee. Questo nuovo codice ha recepito il modello di famiglia monogamica. Lo stesso è avvenuto in Tunisia nel 1956. Qui Habib Bourguiba, leader della
lotta per l’indipendenza e fondatore della Tunisia moderna, ha introdotto la monogamia sostenendo che questo modello familiare monogamico portava a termine la
rivoluzione che era stata avviata dall’islam. La rivelazione islamica era infatti diretta a
un popolo che non era ancora in grado di passare da un regime di poligamia illimitata
alla monogamia. Ed è per questo che il diritto islamico aveva indicato una strada
vincolando la poligamia preislamica, ma il punto finale era in realtà la monogamia.
Marocco e Algeria pur non abolendo la poligamia hanno introdotto disposizioni che
tendono a limitarla. In Marocco, per esempio, il codice di famiglia prevede che il
marito debba chiedere alla moglie l’autorizzazione per poter contrarre un altro matrimonio e debba farlo di fronte a un notaio.
La poligamia è invece ancora ampiamente praticata in Egitto e nei Paesi del Golfo,
dove la sharia è ancora la fonte principale del diritto.
Nantes (Francia), un immigrato
musulmano con le sue due mogli.
32 Popoli gennaio 2013
chiedendole aiuto per concludere la
pratica per la cittadinanza. «Siccome
ero ancora innamorata e ignara del
fatto che si fosse sposato, ho deciso
di dargli una mano - ricorda -. Sono
andata all’Ufficio cittadinanza dove
gli è stata rilasciata la Carta di soggiorno. Dopo un po’ di giorni mi ha
detto dell’altra moglie e della figlia.
Nell’annunciarmelo mi ha insultato
e mi ha picchiato, dicendomi che, in
quanto musulmano, voleva sposarsi
quattro volte». Di fronte a questa situazione, Luisa denuncia l’uomo per
bigamia. A dicembre è iniziato un
processo per revocare la cittadinanza all’ex marito perché, in quanto
bigamo, avrebbe violato i valori della
nostra Carta costituzionale.
IN FUGA DAL MARITO
Anche la storia di Najet è esemplare.
Lei, marocchina, sposa un egiziano e
con lui ha quattro figli. Ma al marito
non basta una sola moglie così torna
in Egitto e si risposa. A malincuore, lei accetta il nuovo matrimonio.
Quando però il consorte fa venire in
Italia la seconda moglie, Najet non
vuole convivere con un’altra donna
e denuncia il marito. Lui scappa in
Egitto insieme alla seconda moglie,
ai due figli di questa e ai due figli
più piccoli di Najet. Nonostante le
denunce (per bigamia e violenze), gli
esposti alla magistratura, gli appelli
all’ambasciata egiziana, Najet non
riesce a farsi affidare i figli. Dopo
sei anni di sofferenze, organizza un
colpo di mano. Va in Egitto li prende
davanti alla scuola e fugge in Libia
da dove poi si trasferisce in Marocco.
«Ho raccolto le testimonianze di donne costrette a vivere con le altre
mogli, il marito e i figli in 45 mq racconta Sbai -. E le mogli dormivano una sera in salotto e l’altra nella
stanza da letto insieme al marito.
Per molte donne sentire il marito a
letto con l’altra moglie è causa di
gravi sofferenze psicologiche. Perché non denunciano alla polizia o
alla magistratura questa situazio-
ne? Queste donne hanno un livello
basso di istruzione e non parlano
italiano. Non conoscono i loro diritti
e credono che quella condizione sia
un qualcosa di ineluttabile». Spesso
poi vengono picchiate. «Ciò che più
colpisce è l’assenza delle istituzioni conclude Souad Sbai -. In Parlamento non esistono progetti di legge per
limitare il fenomeno. Ho presentato
numerose interpellanze per chiedere
un intervento governativo, ma non
ho ricevuto risposte».
Ma lavorare sul fronte legislativo è
sufficiente? «La poligamia è inaccettabile e la legge giustamente la
punisce - spiega Khaled Chaouki,
responsabile “Nuovi italiani” del Pd
-. Però, più che sotto il profilo legislativo, credo si debba intervenire sul
fronte culturale e sociale. È indispensabile un lavoro di sensibilizzazione
sui temi dei diritti della donna e
della parità dei sessi. Un lavoro che
va fatto insieme alla società civile
e alle comunità islamiche. Qualche
risultato è già stato raggiunto. Per
esempio, alcune associazioni e comunità islamiche (a partire dalla Grande
moschea di Roma), prima di celebrare
un matrimonio religioso, chiedono
alla coppia di sposarsi civilmente. In
questo modo prevengono la poligamia e, allo stesso tempo, non giustificano dal punto di vista religioso una
pratica che è illegale».
In Europa la famiglia
è monogamica, però...
P
erché le legislazioni europee
proibiscono la poligamia?
In Europa - spiega Roberta Aluffi,
docente di Diritto privato comparato
all’Università degli Studi di Torino -,
la scelta, da parte degli ordinamenti,
del modello di famiglia monogamica
è antica e affonda le radici nella tradizione giudeo-cristiana. Il diritto di
famiglia ha fatto proprio il modello
della coppia monogamica affermato
nei codici canonici. La nascita degli
Stati laici non ha modificato questa
impostazione. Tanto è vero che anche
i matrimoni civili sono sempre stati
pensati come unioni monogamiche.
Come si comportano i Paesi europei
di fronte a matrimoni poligamici
contratti fuori dal territorio europeo?
Garantire i diritti fondamentali alle
mogli che hanno contratto un matrimonio poligamico in un Paese in cui
è permesso è un problema. È possibile fare entrare nell’asse ereditario
tutte le mogli? Se il marito muore in
un incidente, le mogli hanno lo stesso diritto di ottenere il risarcimento
dei danni? Finora i giudici europei
IL CODICE PENALE ITALIANO
La poligamia è reato
N
el nostro Paese la legislazione vieta la poligamia. L’articolo n. 556
del codice penale italiano è molto chiaro e recita: «Chiunque, essendo
legato da matrimonio avente effetti civili, ne contrae un altro, pure avente
effetti civili, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena
soggiace chi, non essendo coniugato, contrae matrimonio con persona legata da matrimonio avente effetti civili. La pena è aumentata se il colpevole ha
indotto in errore la persona, con la quale ha contratto matrimonio, sulla libertà
dello stato proprio o di lei».
Il nostro ordinamento quindi punisce chi contrae più matrimoni aventi effetti
civili riconosciuti dalla legge italiana. Secondo la norma, il reato si estingue
solo se il precedente matrimonio è dichiarato nullo. Non è invece causa di
estinzione il divorzio o la morte del primo coniuge.
Alcune recenti sentenze della Corte di cassazione hanno però segnato aperture nei confronti della poligamia. Tra esse, vanno segnalati due pronunciamenti del 1999 che hanno riconosciuto la possibilità per un padre poligamo
di riconoscere come «figlio naturale» il figlio nato dal secondo matrimonio.
hanno risposto cercando di estendere
i diritti a tutte le mogli. Anche se ci
sono eccezioni. Una di queste è la
pensione di reversibilità. In Inghilterra, per esempio, non viene concessa a nessuna moglie; in Francia e
in Italia, solo alla moglie sposata con
una cerimonia avente effetti civili;
in Germania, è garantita a tutte le
mogli.
Com’è possibile che in Italia, nonostante il codice vieti la bigamia, vivano numerose famiglie poligame?
Nel nostro Paese non è possibile
contrarre due matrimoni con effetti
civili e non è neppure possibile per
uno straniero chiedere il ricongiungimento famigliare per le mogli non
sposate con matrimoni aventi effetti
civili. Uno straniero residente in Italia e sposato con due donne può però
chiedere un permesso di soggiorno
per ricongiungimento familiare per
una moglie e per l’altra (o le altre)
chiedere un visto per altri motivi
(turismo, lavoro, ecc.). Ma è anche
possibile crearsi una famiglia poligamica vivendo nel nostro Paese. La
prima moglie può essere sposata con
una cerimonia civile. La seconda con
un matrimonio religioso, come quello islamico, che non produce effetti
civili e quindi non è riconosciuto
dallo Stato.
Quale trattamento riserva la legge
italiana ai figli di un unico padre, ma
di madri diverse?
I figli di un’eventuale seconda moglie
sposata all’estero o in Italia con il rito
religioso sono riconosciuti co­me figli
naturali. Grazie alla legge approvata
il 29 novembre, tra figli na­turali e
legittimi non esiste più alcuna differenza di fronte alla legge. gennaio 2013 Popoli 33
inchiesta
Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello
Sanzio, conservato nella Pinacoteca
di Brera a Milano.
Alle radici della monogamia,
tra Bibbia e diritto romano
Stefano Cucchetti *
T
re ordini di idee si raccolgono attorno al prioritario riferimento monogamico nella cultura occidentale di matrice
giudaico-cristiana. Il legame tra
queste tre correnti può aiutarci a
comprendere meglio la radice di
questa proclamazione valoriale e a
entrare in dialogo con prospettive
culturali differenti.
Troviamo un primo riferimento
nello sviluppo storico-teologico
descritto dalle fonti scritturistiche
dell’Antico e Nuovo Testamento.
L’Antico Testamento mostra una
fluidità della situazione istituzionale del matrimonio in consonanza con le culture circostanti
il popolo di Israele. Due fattori
hanno condotto verso un progressivo affermarsi della monogamia
assoluta: da un parte l’esigenza
pratica di provvedere concretamente al mantenimento di più
famiglie e di evitare inutili contese
e frazionamenti del patrimonio
familiare; dall’altra la rilettura
teologica, sviluppatasi in ambito
profetico, che istituisce un legame
tra l’amore dell’uomo e della donna
e l’alleanza di Dio con il popolo.
Si ritrova il compimento di questa
linea nell’insegnamento cristiano
che evidenzia come all’origine del
legame che unisce uomo e donna
stia l’esclusività dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.
Un secondo riferimento spiega l’affermarsi della pratica monogamica: la traduzione del vincolo
matrimoniale all’interno dell’ordinamento giuridico occidentale, di
matrice romana. Il modello contrattuale per dire il patto coniugale
nel contesto romano assume la
34 Popoli gennaio 2013
fiducia nella libera responsabilità
dei soggetti in vista del bene comune tipica di quella cultura giuridica. Concretamente l’esigenza di
custodia del vincolo patrimoniale
e sociale si traduce nell’esclusività
del vincolo affidato alla libertà dei
coniugi.
UNA SCELTA DI LIBERTÀ
Dalla considerazione delle due
principali radici della cultura occidentale viene una terza riflessione
più antropologica ed etica. Entrambe le correnti appoggiano l’affermazione progressiva della monogamia alla considerazione della
consistenza reale della libertà.
Nel primo caso si evidenzia la profonda radice teologica: il decidersi
dell’uomo e della donna ha sempre
a che fare con la salvezza, con il
compimento che rimanda alla sua
figura assoluta in Dio. Nel secondo
caso si sottolinea invece la dimensione intrinsecamente sociale della
libertà: la decisione verso l’altro
coniuge è decisione per gli altri
che mi circondano, scelta che si
traduce nella costruzione di vincoli sociali precisi.
A queste due considerazioni, l’antropologia contemporanea ne aggiunge una terza: la consistenza
corporea della libertà. Non si dà
scelta che non sia incarnata in un
corpo. Per questo la decisione di
consegna di sé all’altro deve fare i
conti con l’unicità della carne. La
mia libertà di donarmi all’amato/a
si confronta con la consistenza
dell’uno e dell’intero che io sono
nel mio corpo: non posso donare
una parte di me. Perché il legame
che affermo sia vero, il dono deve
essere totale e quindi non lasciare
più nulla per altri.
Queste tre piste di riflessione indicano una direzione di cammino
utile sia all’approfondimento teorico, sia alla pratica nella nostra
società plurale: cartina di tornasole per misurare la tenuta di
forme istituzionali anche diverse
e per condurre un dialogo serio
è la considerazione della libertà
nelle sue dimensioni oggettive,
concrete e profonde. Il dialogo deve concentrarsi attorno alla figura
e al modello di libertà incarnato in
pratiche familiari anche differenti.
Ciò consentirebbe di poter meglio
comprendere le prassi a noi più
comuni e includere le diverse visioni in una seria pratica di (auto)
critica.
* Docente di Teologia morale
presso il Seminario di Milano
e l’Istituto superiore
di Scienze religiose di Milano
melanesia
Nuova Caledonia
o Kanaky?
Testo: Maria Luisa Lucchesi
Foto: Marc Le Chelard/ Afp
Nouméa (Nuova Caledonia)
I
Nell’arcipelago del Pacifico dominato dalla
Francia, il percorso a ostacoli verso l’indipendenza
rispecchia ideali e interessi, ma soprattutto
le fragilità del popolo autoctono
l 1º agosto 2012 il ministro francese dei Territori d’Oltremare, «Kanaky», il nome che dovrebbe asVictorin Lurel, dopo l’incontro sumere il più grande possedimento
di Parigi con Paul Néaoutyine, pre- francese nel Pacifico se diventasse
sidente di una delle province della davvero indipendente. Non prima,
Nuova Caledonia e fautore dell’in- però, del 2014. L’accordo di Nouméa,
dipendenza del Paese, ha detto alla siglato nel 1998, prevede infatti che
stampa che «il nuovo governo di tra il 2014 e il 2018 (ma tutto fa
Parigi si interessa al futuro della pensare che il referendum si possa
Nuova Caledonia-Kanaky». La fra- tenere già l’anno prossimo), il popolo caledoniano si possa
se dall’altra parte del
esprimere sull’indipenmondo ha suscitato forti L’attività
denza del proprio Paee contrastanti reazioni politica
se, scegliere una propria
perché, per la prima è legata
bandiera - forse quella
volta, un ministro della al referendum
indipendentista che già
Repubblica ha utilizza- che si potrebbe
dal 2010 affianca il trito, in una dichiarazio- tenere già
colore francese - e un
ne pubblica, il termine nel 2014 e
che vedrebbe
contrapposti gli
indipendentisti
e i caldoches
nuovo nome, Kanaky, appunto.
Ogni attività politica nell’arcipelago,
grande come il Veneto, è sempre
più finalizzata a questo obiettivo,
con una divisione molto netta tra
due schieramenti contrapposti. Da
una parte, il Fronte di liberazione
nazionale kanak e socialista (Flnks),
che raggruppa i diversi partiti e
movimenti favorevoli all’indipendenza, dall’altra i caldoches, i caledoniani di origine europea giunti
nel corso di un secolo e mezzo di
colonizzazione, che vogliono, invece, mantenere ben saldi i rapporti
con la métropole, come chiamano la
Francia da queste parti.
gennaio 2013 Popoli 35
melanesia
Una guida kanak nelle Isole della Lealtà. Sotto,
uno slum di Nouméa. Nella pagina precedente,
una donna sventola le bandiere francese e locale.
CRONOLOGIA
Isole della
Lealtà
Grande
Terre
Oceano Pacifico
NUOVA
CALEDONIA
Nouméa
>1774 Gli europei (James Cook) giungono
per la prima volta nell’isola di Grande
Terre, cui viene dato il nome di New
Caledonia (dal nome latino della Scozia).
>1841 Arrivo dei primi missionari, anglica-
ni (London Missionary Society) e cattolici
francesi (fratelli maristi).
>1853 Occupazione militare francese,
proclamazione della colonia e fondazione
di Nouméa.
>1864-1897 Istituzione della colonia penale che accoglie circa 40mila detenuti.
Scoperta dei giacimenti di nichel.
>1878 Prima grande rivolta kanak (1.200
indigeni vengono uccisi). Altre seguono
nel 1913 e 1917.
>1931 Un gruppo di kanak sono messi in
mostra come cannibali all’Esposizione
coloniale di Parigi.
>1946 Istituzione del Territorio d’Oltremare
e concessione della nazionalità francese
a tutti gli indigeni.
>1975 Prime rivendicazioni indipendentiste.
>1984 Nascita del Flnks. Escalation delle
violenze.
>1988 Accordo di Matignon e promessa
di un referendum entro il 2018.
>1989 Il leader indipendentista Jean-Marie
Tjibaou è assassinato da un estremista
kanak.
>1998 Accordo di Nouméa che amplia l’autonomia del Paese e le tutele dell’identità
kanak.
36 Popoli gennaio 2013
Il clima politico nell’isola durante le hanno investito nel Paese. «Non so
elezioni del 2012 per i due rappresen- che cosa succederà tra due anni»,
tanti locali al parlamento francese è dice Stephanie, seduta al tavolino
stato estremamente teso e i risultati di una gelateria dell’affollata Baie
hanno confermato la spaccatura in des Citrons, dal nome e dall’atmodue fronti. Alla fine hanno prevalso sfera fintamente italiana. Stephanie
i candidati di Calédonie Ensemble, è arrivata in Nuova Caledonia da
partito della destra sociale favore- Nizza con la famiglia: «Mio marito
vole al mantenimento
ha aperto una piccola
dei legami con la Fran- I blancs
azienda di informatica
cia. L’affermazione del temono, con
e per adesso tutto va a
partito indipendentista l’indipendenza,
gonfie vele. Ma noi non
(secondo, con il 27% di perdere tutto
avremo la possibilità di
dei voti) è stata consi- ciò che hanno
esprimere la nostra voderevole, ha raggiun- investito nel
lontà sulla questione into il 36% nella Grande Paese. Per alcuni dipendenza, perché siaTerre (se si esclude la è scontato
mo qui da meno di dieci
capitale). Sconfitti sono considerarlo
anni e non potremo
risultati i partiti mo- di proprietà
votare. Spero solo che
derati che sembrano francese
non ci saranno violenze
non rappresentare più
come trent’anni fa».
un elettorato stanco di
Non è un caso che tanti
compromessi. Si percefrancesi in cerca di lavopisce, anche parlando con la gente in ro arrivino sempre più numerosi: anstrada, come non sia più il momento che questa potrebbe risultare, infatti,
delle «vie di mezzo».
una forma di colonizzazione, meno
cruenta e più moderna, ma altrettanLE PAURE DI UNA SEPARAZIONE to efficace. Alcuni di loro, soprattutto
I blancs temono che, se la Nuova i più giovani, non sembrano pensare
Caledonia diventerà Kanaky, ci sarà che un giorno non molto lontano
il rischio di perdere tutto quello che la Nuova Caledonia possa diventare
indipendente. Forse per qualcuno è
scontato considerare la Nuova Caledonia di proprietà francese. Nessuno
lo dice, ma si comportano come se
fossero a casa propria.
Ma anche tra i caldoches qualcuno
pensa che la Nuova Caledonia debba
essere indipendente. «I francesi che
arrivano credono di poter fare come
in Francia», si sfoga Marie, francese,
insegnante in un piccolo villaggio
kanak nel nord-est della Grande
Terre. È arrivata trent’anni fa e non
ha nessuna voglia di tornarsene a
Nouméa né, tantomeno, in Francia.
«Spadroneggiano, ma non hanno capito che qui non siamo a casa nostra.
La maggior parte si ferma a Nouméa
dove possono fingere di essere in
Europa. Chi va tra i kanak e non ha
una predisposizione a cambiare vita,
appena può scappa in città. Non condividono, non vogliono conoscere».
Fra le tribù
Dall’altra parte, i kanak, subito dopo le elezioni, hanno avviato una
capillare azione di sensibilizzazione
delle genti delle tribù, perché comprendano l’importanza della loro
partecipazione attiva alla vita politica. Un limite all’affermazione
elettorale dei partiti indipendentisti
è proprio il fatto che molti autoctoni
non sono iscritti alle liste elettorali
né sentono come propria un’azione
politica che si svolge soprattutto
nella capitale. Ma sarebbero loro a
fare la differenza in un referendum.
Manca ancora un’unità di vedute.
«Non siamo capaci di gestire un
Paese - osserva Charline, guida turistica kanak di Farino, nel centro
dell’isola -: vedi queste terre? Qui
c’erano i coloni e tutto era coltivato
e rigoglioso, poi i kanak ne hanno
rivendicato la proprietà e i francesi
per non avere troppi problemi se ne
sono andati. Risultato? Ora tutto
è lasciato a se stesso!» Secondo
Charline, se i kanak non riescono a
gestire un piccolo territorio, come
potranno gestire il Paese? «Meglio
restare con la Francia», conclude.
Charline vive in piena brousse, dove
i caldoches sono presenti da lungo
tempo, sulla costa occidentale. È
nella costa orientale, nel Nord e
isole minori che la situazione è ben
diversa: tutti
i villaggi soLa consapevolezza
no molto più
della identità
legati alla traaborigena non è
dizione e alla
scomparsa sotto
cultura aborila pressione
gena e la vofrancese, anche
lontà di essere
grazie al contributo
indipendenti è
di Jean-Marie
più forte. C’è la
Tjibaou, fondatore
consapevolezdel Flnks, ucciso
za che la terra
nel 1989
è dei kanak e
devono essere loro a gestirne le ricchezze.
La consapevolezza della propria
identità non è scomparsa sotto la
pressione francese e a questo ha
contribuito Jean-Marie Tjibaou, il
fondatore del Flnks negli anni Settanta, ucciso nel 1989. Ciò che sembra mancare è la fiducia nelle politigennaio 2013 Popoli 37
melanesia
che attuate oggi dal partito. Di tribù
in tribù, da Tiendanite, nel nord
della Grande Terre, a Montfaoué, agglomerato kanak nelle montagne del
centro, fino alle Isole della Lealtà,
ci si sente ripetere che la questione
dell’indipendenza oggi non è più
decisa dal popolo, come ai tempi di
tata (papà) Tjibaou, ma da pochi uomini chiusi nelle stanze del potere.
Ma senza l’elettorato kanak, anche
i leader politici iniziano a comprendere che non andranno lontano.
LA VISIONE DI TJIBAOU
Durante il nostro soggiorno a Tiendanite, luogo simbolo per gli indipendentisti, dove Jean-Marie Tjibaou è nato ed è sepolto, abbiamo l’opportunità di assistere a una riunione
del consiglio della tribù, indetta per
organizzare un incontro tra i dirigenti del Flnks e i capi tribù di tutto
il Paese. Scopo dell’incontro nazionale, spiega Viané Tjibaou, fratello
del leader indipendentista e attuale
38 Popoli gennaio 2013
capo di Tiendanite, sarà fare il pun- tolico convinto, ma per sua stessa
to della situazione dopo le elezioni indole. Nel 1984 il Paese era sull’ornazionali francesi e rendere note lo della guerra civile, con scontri
le strategie per il referendum del violenti e tensioni continue: «La
2014, perché ogni capo tribù possa gendarmerie era ovunque - ricorda
convincere la propria gente a votare. Felix -. Quella notte [il 5 dicembre
Incontriamo anche Felix Tjibaou, 1984, ndr], morirono in dieci, tutti
cugino dell’ex leader e memoria di Tiendanite, uccisi dai caldoches in
storica della tribù. «Un giorno Jean- un’imboscata». Tra di essi anche due
Marie arrivò ci disse che voleva fratelli di Jean-Marie. «Sono sepolti
lasciare l’abito talare perché come là - aggiunge Felix, mentre indica
prete non poteva più aiutare il suo la fila di tombe accanto alla chiesa
popolo. Per noi fu uno choc. Suo della tribù -. I caldoches erano stati
fratello Louis, che allora era chef armati da chi voleva destabilizzadella tribù, gli disse che spettava re la Nuova Caledonia e favorire
solo a lui decidere. Jean-Marie ri- un intervento armato della Francia.
spose: «Se continuo a portare la ve- Jean-Marie sapeva che per noi l’uste, è come se voi foste davanti alla nico modo per non essere sopraffatti
montagna e io dietro:
era riportare la calma e
non posso difender- «Era un uomo di
riprendere il dialogo».
vi». Era il 1971 e Jean- pace - racconta
Bernard è tra i sopravMarie Tjibaou andava un cugino di
vissuti dell’imboscata,
incontro al suo destino. Tjibaou -, non
di cui porta ancora i
Felix lo descrive come solo perché era
segni. La sera, durante
un uomo di pace e non un cattolico
una cena nella veransolo perché era un cat- convinto. Si
da ci racconta di come
rifaceva al
concetto di
interdipendenza
dei kanak»
Tjibaou fosse un visionario, uno
che sapeva andare oltre il contingente. «La sua idea di indipendenza
- osserva - si rifaceva al concetto
di interdipendenza tipico del modello relazionale kanak, per cui
l’individuo è inserito in un contesto
fatto di rapporti reciproci in continua evoluzione, tra gli individui
stessi, i clan, le chefferies». Con la
sua azione Tjibaou ha tentato di
riformulare questo concetto in un
contesto moderno e in un ambito
di relazioni mondiali della Nuova
Caledonia, partendo dal presupposto che l’indipendenza assoluta non
esiste. Nel termine “popolo” egli
includeva anche le altre comunità caledoniane (asiatici, caldoches,
melanesiani), non solo i kanak, a
condizione che esse cominciassero
a sentirsi tali. Voleva che, una volta
composte le differenze tra le etnie,
il popolo sovrano e indipendente
avrebbe potuto avere una serie di
“interdipendenze” con il resto del
mondo, ma scelte in modo autonomo e non imposte».
Fuori da Nouméa, l’unica città intesa in senso occidentale, esistono
solo piccoli e piccolissimi villaggi
che si reggono sulle attività agricole, la pesca, l’estrazione del nichel
(di cui la Nuova Caledonia è il terzo
esportatore al mondo) e il turismo.
Felix Tjibaou di fronte a un ritratto
del leader kanak Jean-Marie Tjibaou.
Sotto, riunione in una casa tradizionale.
Qui le tante tribù kanak conducono
una vita in cui il tempo si dilata
fino a scomparire quasi del tutto.
Vivere in tribù vuol dire lasciarsi
guidare dalla natura e dalle sue
cadenze: ci si occupa quasi esclusivamente di coltivare e raccogliere
ciò che serve a mangiare, andare a
caccia e, da qualche anno a questa
parte, accogliere i turisti in spartane strutture che seguono le regole
della vita locale. Poche sono le case
in muratura, affiancate da capanne
che vengono preferite per trascorrere i mesi più caldi.
L’impatto della modernità porta con
sé un carico di contraddizioni e,
soprattutto, il fatto che a molti - i
più giovani, soprattutto - la vita
in tribù non basta più. Tv, telefoni
M.L. LUCCHESI
Nouméa, il Centro Tjibaou, progettato
nel 1998 da Renzo Piano e dedicato alla
cultura aborigena.
cellulari, internet, automobili, abiti
hanno un costo, la ricerca di denaro
e di un lavoro fuori dalla tribù si
fanno più pressanti. Molti uomini se ne vanno per lavorare nelle
miniere di nichel, fonte di reddito
sicuro, e si riducono le braccia per
coltivare igname e taro. Numerosi
giovani scelgono di studiare, partono per la capitale, talvolta per la
Francia, e non tornano più.
Alcuni, una volta in città, faticano ad adattarsi alle regole
Fuori dalla capitale
della moderNouméa, i villaggi
nità che non
sono legati alla
appartengono
tradizione e alla
alla cultura di
cultura aborigena.
origine. Così,
La consapevolezza
finiscono per
dell’identità è
trovarsi in un
rimasta forte,
limbo in cui
nonché il desiderio
non sanno più
di gestire le risorse
chi sono e, in
locali come il nichel
questa incertezza, possono diventare facili vittime di alcol e droghe. Gli atti di
violenza che li vedono protagonisti
sono frequenti e preoccupanti, soprattutto perché è proprio su questa
loro «inadeguatezza» che una delinquenza decisamente più organizzata fa leva per aprirsi un nuovo
mercato. A conferma delle fragilità
e dei condizionamenti che i kanak
vivono nel loro percorso verso l’indipendenza.
gennaio 2013 Popoli 39
idee
Pietro Bovati SJ
S
in dalle prime pagine, la
Bibbia parla della città, della
fondazione della città, cioè
del suo costituirsi come entità specifica e istituzionale. La prima sorpresa
è vedere che l’iniziativa di costruire
la città è attribuita ai figli di Caino,
anzi la prima città prende il nome
dal primo figlio di Caino, Enoch.
Quasi un rimedio contro la condanna dell’uomo al vagare nomadico per
costituirsi in entità collettiva.
Essere figli di Caino significa essere
portatori di una tradizione di violenza, che si manifesta nel fatto che
il primo costruttore della città è il
padre di Lamech, l’uomo della ritorsione, della vendetta, che salva la
propria vita mediante la minaccia.
E i figli di Caino sono coloro che
hanno promosso la tecnologia: sono
infatti gli inventori della fusione,
i primi fonditori del bronzo e
Abramo è un
del ferro, cioè
immigrato, non
solo un migrante. i creatori degli
strumenti del
È uno straniero
lavoro agricolo
che attraversa
perfezionato e
le frontiere,
si stabilisce in un degli strumenti della guerra,
altro territorio,
ma anche coloro
domanda
che applicano la
a questa terra
tecnica all’arte:
di essere accolto
sono poeti, suonatori di cetra e di flauto.
La tecnologia e la città vanno assieme e hanno in se stesse, per loro
natura, un’intrinseca propensione
alla violenza, quella di sopraffare
coloro che non sono della città,
di conquistare nuovi territori, di
coalizzarsi per dominare mediante
la minaccia.
IL PROGETTO DI BABELE
Questa visione critica della città nella
sua prima costituzione è emblematicamente tematizzata nella Scrittura
dal racconto della città simbolo, che
è Babele.
40 Popoli gennaio 2013
La città
e lo straniero
Il progetto di costruzione della prima «metropoli»,
Babele, si incrocia nel racconto biblico con la
figura dello straniero impersonata da Abramo,
personaggio che cerca e offre accoglienza.
Un noto biblista offre uno spunto di riflessione
in vista della Giornata mondiale delle migrazioni,
il 13 gennaio
Babele nasce perché gli uomini percepiscono che la divisione e la dispersione sono un male, perché la
divisione tra i popoli stabilisce quasi
necessariamente un confronto e conseguentemente una rivalità, e d’altra
parte si intuisce che la collaborazione, cioè il lavoro fatto insieme, può
portare a un migliore risultato.
Nasce quindi il progetto, la città come progetto di unificazione, basato
sulle risorse di una qualche lingua
comune, di una qualche convergenza nei valori e soprattutto di
una terra, di un contenitore nel
quale introdurre la molteplicità. E il
progetto della città prende la forma
di una costruzione, dove la tecnica
è una funzione essenziale, perché bisogna creare artificialmente
qualcosa che serva e che costituisca
il legame tra i cittadini: si creano
strade, piazze, luoghi di incontro, si
dà concretezza e forma al progetto.
Grande Torre di Babele di Pieter Bruegel
il Vecchio (Kunsthistorisches Museum di
Vienna): una delle più celebri opere d’arte
che hanno messo a tema il racconto biblico.
Ma questa città materiale deve es- re tutti a un unico modello. L’idea
sere collegata con forme di costru- del diverso sembra essere negata
zione di tipo spirituale, si devono dal principio di totalitarismo di cui
creare vincoli di natura giuridica, Babele è la prima manifestazione
assieme a legami di interesse, so- nella storia e che sarà seguita da
prattutto economico, e a strumenti tutte le altre città-Stato, da tutte le
di difesa dei propri diritti.
forme imperialiste che imporranno
In questa città, Babele, dove alcu- la stessa lingua, la stessa religione,
ni uomini decidono di unificare la stessa cultura, lo stesso diritto,
il mondo, si costruisce anche una lo stesso modo di vestire, lo stesso
torre che va fino al cielo, proba- modo di pensare a tutti gli uomini.
bilmente un edificio templare, un
grande santuario provvisto di gra- ABRAMO, STRANIERO
dini, che porti simbolicamente ver- CHE ACCOGLIE
so il cielo, cioè verso Dio. Ma anche L’intervento di Dio contro questo
un edificio che costituisca un punto progetto di uniformizzazione, cioè il
di raduno di tutti gli uomini della tentativo di obbligare tutti a essere
terra, i quali, vedendo questa alta uguali, con la stessa forma, è quello
torre, possano avere un principio di disperdere gli uomini, di confondi orientamento e di convergenza dere le lingue in modo che il pronell’unità.
getto non abbia efficacia. Tuttavia,
Tutto questo nella Scrittura è pre- questa modalità è parziale, poiché
sentato come una grande metafo- sarebbe esclusivamente punitiva nei
ra, quella del progetto
confronti di un’umaniumano che cerca la co- Il progetto di
tà che desidera andare
munione tra gli uomini. Babele è visto
verso un’unità. Allora la
E la sorpresa narrativa negativamente
Scrittura introduce l’eè che questo progetto da Dio perché
lemento dello straniero
così ambizioso, potrem- il tentativo è di
come guarigione del tomo dire così intriso di ricondurre tutti
talitarismo della città.
religiosità, viene criti- a unico modello.
La figura dello stracato da Dio, che vi vede L’idea del diverso niero, nella tradizione
il principio di un’azio- è negata
biblica, è impersonata
ne negativa, distruttiva dal principio
anzitutto dal personagdell’umanità stessa.
gio di Abramo. Abramo
di totalitarismo
È difficile comprendeè uno che attraversa le
re per quali ragioni il
frontiere, che non fa del
progetto della città sia
territorio, del possesso
visto così negativamente da Dio. di una terra, la fonte della sua diCi sono varie interpretazioni. Ad gnità, che osa entrare in zone dove
esempio quella del Midrash ebraico si parla un’altra lingua, che osa indice che tutti erano così interes- contrare persone che non sono della
sati al progetto che dimenticava- sua genealogia, cioè della sua etnia.
no la vita, si preoccupavano solo Questo straniero, che attraversa le
di costruire anziché accogliere i frontiere e si stabilisce in un altro
bambini e seppellire gli anziani. territorio, diventa un immigrato.
C’è l’interpretazione che vede nella Non è solo un migrante, è uno che
torre di Babele un progetto tita- entra in una terra e domanda a quenico, blasfemo, di sfida al divino. sta terra di essere accolto.
Ma quello che soprattutto è chiaro La condizione dell’immigrato è una
è che la città sembra essere un condizione sfavorevole, di debolezprogetto di uniformizzazione degli za. L’immigrato è solo desideroso
uomini, che cerca cioè di ricondur- di essere accolto, non può accam-
pare in maniera precisa nessuno
dei diritti che vengono di solito
riconosciuti al cittadino. Tuttavia,
secondo la Bibbia, Abramo è la
benedizione della città. È colui che,
proprio per la sua diversità, toglie
alla città la sua valenza totalitaria,
chiede alla città di aprirsi a una
meraviglia, a
un’attesa, a un
Per la Bibbia
volto che non
lo straniero è la
veniva prima
benedizione della
riconosciuto.
città. È colui
Si dice inoltre
che, proprio per
nella Bibbia che
la sua diversità,
Abramo è lui
toglie alla città
stesso benedetla sua valenza
to. Benedetto
totalitaria. Poi
perché accetta
lui sarà il primo
questa condiad accogliere
zione per essere
portatore di benedizione. Non solo:
Abramo, essendo un immigrato, capisce cosa vuole dire l’accoglienza.
E così, al capitolo 18 della Genesi
leggiamo che lui, immigrato, è il
primo che accoglie gli stranieri che
passano. E questa accoglienza dello
straniero nella sua tenda è il principio della sua propria fecondità. Poi
incontrerà la città di Sodoma, che
vuole condurre tutti a un’unica forma, che vuole sfruttare i suoi ospiti,
renderli strumenti della sua propria
vita. Tuttavia lui non agisce contro questa città combattendola, ma
diventa l’intercessore, cioè rimane
sempre figura di benedizione.
L’EVENTO E L’AUTORE
I
l testo è la trascrizione (rivista dall’Autore) dell’intervento tenuto il 6 ottobre
scorso in occasione di «Milano al plurale»,
rassegna organizzata da Popoli e Fondazione Culturale San Fedele sui temi della
pluralità culturale e religiosa nella città
contemporanea. Pietro Bovati, biblista gesuita, professore emerito di Esegesi al
Pontificio istituto biblico di Roma, è intervenuto insieme a Marc Augé, Maria Grazia
Guida, Amara Lakhous, Roberto Benaglia e
Maurizio Ambrosini, alla tavola rotonda «La
città plurale: da emergenza a risorsa». Altri
testi e alcuni video di «Milano al plurale»
sono disponibili su www.popoli.info e sul
nostro canale gennaio
YouTube.2013 Popoli 41
la foto
Etiopia, Epifania copta
Lalibela (Etiopia),
la Chiesa copto
ortodossa festeggia
l’Epifania (Timkat)
il 18 e il 19 gennaio.
Le celebrazioni
terminano con
una benedizione
collettiva dei fedeli.
(Foto: E. Casale)
42 Popoli gennaio 2013
gennaio 2013 Popoli 43
concilio/2
Pondicherry: la cattedrale cattolica
risalente alla colonizzazione francese
della città indiana.
Uno sguardo
indiano
In che modo le tre grandi intuizioni conciliari
sono state fatte proprie dalla Chiesa in India
e dalle Chiese locali? Secondo uno dei più noti
teologi del subcontinente molto resta ancora
da fare. Il secondo articolo della nostra serie
Michael Amaladoss SJ
Chennai (India)
G
uardando indietro al Concilio Vaticano II, mi sembra
che si possano individuare
in tre aree le sue maggiori spinte in
avanti: la Chiesa universale come
comunione di Chiese locali; la Chiesa
intesa innanzitutto come il popolo di
Dio, al cui servizio ci sono i ministri;
la Chiesa in dialogo con il mondo,
con le altre religioni e le altre Chiese.
COMUNIONE DI CHIESE LOCALI
Il primissimo documento del Concilio, incentrato sulla liturgia, ha
posto le basi per una visione della
44 Popoli gennaio 2013
struttura alla Chiesa come comunione di Chiese locali.
L’organizzazione della Chiesa, tuttavia, rimane fortemente centralizzata. Ma, mentre la liturgia ufficiale è protetta con attenzione, sono
visibili alcuni fenomeni nell’ambito
della religiosità, della spiritualità e
della teologia popolari. I cristiani si
pongono in dialogo con la società
intorno a loro, come testimoniano
le teologie legate ai dalit, ai tribali,
al femminismo ed all’ecologismo
che affondano le radici nelle culture locali. In un’epoca postcoloniale
le persone non possono essere completamente sottomesse. Una sfida ci
è stata lanciata quando Giovanni
Paolo II scrisse nella Fides et ratio:
«Un grande slancio spirituale porta
il pensiero indiano alla ricerca di
un’esperienza che, liberando lo spirito dai condizionamenti del tempo
e dello spazio, abbia valore di assoluto. [...] Spetta ai cristiani di oggi,
innanzitutto a quelli dell’India, il
compito di estrarre da questo ricco
patrimonio gli elementi compatibili
con la loro fede» (72).
Ma quanto siamo davvero liberi?
Quando i gruppi estremisti hindu
definiscono il cristianesimo una religione straniera noi non possiamo
davvero ribattere che siamo indiani, che ci finanziamo, ci diffondiamo e ci governiamo da soli. Abbiamo ancora molta strada da fare per
diventare una Chiesa propriamente
indiana. È un nostro compito, non
qualcosa che ci sarà donato da altri.
Chiesa universale come comunione
di Chiese locali. Esso parla della
necessità di inculturare la liturgia
e attribuisce la responsabilità alle
conferenze episcopali locali (Sacrosanctum Concilium, 37-40). L’uso
delle lingue e delle musiche locali POPOLO DI DIO
rende visibile la varietà delle Chiese La seconda grande acquisizione del
locali. La Gaudium et Spes (53-62), Concilio è il comprendersi della
parlando del dialogo tra il Vangelo Chiesa innanzitutto come popolo di
e le culture, indica coDio (Lumen Gentium,
me nasce davvero una Scopo della
9-17). Il Concilio, priChiesa locale. La vi- missione è allora ma di parlare della sua
sione della collegialità il Regno di Dio
struttura gerarchica,
dei vescovi e istituzioni e la Chiesa
presenta la Chiesa come
come il sinodo dei ve- come suo
il popolo di Dio. È il poscovi e le conferenze simbolo e serva.
polo della nuova alleepiscopali danno una Tutte le religioni
anza con la legge di Dio
sono viste come
compagne nel
pellegrinaggio
verso il Regno
scritta nel cuore (cfr Geremia 31,
31-34). San Pietro la definisce «la
stirpe eletta, il sacerdozio regale, la
nazione santa… voi che un tempo
eravate non-popolo, ora invece siete
il popolo di Dio» (1 Pietro 2, 9-10).
Il popolo è formato da sacerdoti che
partecipano al sacerdozio di Cristo,
che offrono in sacrificio non solo il
corpo di Cristo, ma anche se stessi.
I presbiteri hanno solo un ruolo
ministeriale o di servizio. Anche il
popolo di Dio partecipa dell’ufficio
profetico di Cristo. Il Concilio afferma che «la totalità dei fedeli [...] non
può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante
il senso soprannaturale della fede di
tutto il popolo, quando dai vescovi
fino agli ultimi fedeli laici mostra
l’universale suo consenso in cose di
fede e di morale» (Lumen Gentium,
12). C’è qui un sottile equilibrio tra
il «senso soprannaturale della fede»
e l’insegnamento ufficiale del Papa
e dei vescovi. Lo Spirito Santo distribuisce doni speciali alle persone
non a loro personale beneficio, ma
perché siano di servizio al popolo
(1 Corinzi 12, 7-11). Purtroppo la
Chiesa rimane ampiamente e fortemente guidata dal clero. Invece che
essere una democrazia consensuale,
non maggioritaria, la Chiesa è vista
essenzialmente come gerarchica e
autocratica, con leader che rivendicano una autorità assoluta.
CHIESA IN DIALOGO
La terza spinta in avanti è la più
importante nel sospingere la Chiesa a guardare al di fuori di sé.
Una sezione della Gaudium et Spes
riguarda il dialogo tra la Chiesa e
il mondo (n. 40-44). In vero stile
dialogico, essa è pronta non solo
a offrire, ma anche a ricevere dal
mondo. Non presenta una mera
visione negativa del mondo moderno, con la sua secolarizzazione o
addirittura con l’ateismo, ma cerca
di dialogare con esso, focalizzando l’attenzione in particolare sulla
famiglia, la cultura, lo sviluppo
socio-economico, la vita politica
e la pace. Di fatto il documento è
indirizzato all’umanità intera.
Nella Dignitatis Humanae la Chiesa
dialoga con le strutture politiche
chiedendo libertà, non solo per se
stessa ma per tutte le religioni. Possiamo dire che indirettamente essa
dialoga anche con le altre comunità
religiose riconoscendole come legittime detentrici di diritti umani
e politici. Il desiderio di dialogo
interreligioso è più esplicito nella
Nostra Aetate, in particolare riguardo al dialogo con islam ed ebraismo.
Si apre infine ad altre comunità
cristiane non cattoliche nella Unitatis Redintegratio. Altri documenti
più dogmatici (Lumen Gentium, Dei
Verbum e Ad Gentes) forniscono le
basi teologiche di tale dialogo.
CHI È MICHAEL AMALADOSS
G
esuita indiano, 76 anni, originario dello
Stato meridionale del Tamil Nadu, Michael Amaladoss è teologo impegnato nel
dialogo interreligioso. Formatosi a Parigi in
Teologia sacramentale, negli anni Settanta
ha insegnato a New Dehli, dove ha anche diretto la rivista di Teologia Vidyajyoti. Nel 1983
è nominato assistente del Padre generale
dei gesuiti, Peter-Hans Kolvenbach, e fino al
1995 resta a Roma incaricato di seguire i
temi dell’inculturazione e del dialogo ecumenico e interreligioso. Rientrato in India, riprende l’insegnamento e dal 1999 dirige l’Istituto
per il dialogo con le culture e le religioni di
Chennai (www.idcrdialogue.com). Tra le sue
opere, Life in Freedom: Liberation Theologies
from Asia (1997) e The Asian Jesus (2005).
Considerando tutti questi documenti
insieme, possiamo vedere dispiegarsi
una duplice visione della missione.
Da una parte c’è la necessità di proclamare Gesù Cristo come salvatore
e la Chiesa come tramite di salvezza.
È la missione come proclamazione.
Dall’altra parte c’è la visione della
«missione di Dio». La missione della Chiesa trae la sua origine «dalla
missione del Figlio e dalla missione
dello Spirito Santo. [...] Questo piano
scaturisce dall’amore nella sua fonte,
cioè dalla carità di Dio Padre. [...]
Egli per pura
generosità ha
Quando gli
effuso e contiestremisti hindu
nua ad effondedefiniscono il
re la sua divina
cristianesimo una
bontà, in modo
religione straniera
che, come di
non possiamo
tutti è il Crearibattere che
tore, così possa
ci finanziamo,
essere anche
ci diffondiamo
“tutto in tutti”
e ci governiamo
(1 Cor 15, 28)»
da soli
(Ad gentes, n.
2). La Parola e lo Spirito sono attivi
sempre e ovunque, offrendo a ogni
uomo una partecipazione al mistero
pasquale nei modi che Dio solo conosce (cfr Gaudium et Spes, n. 22).
Sulla base di questi testi, i teologi
asiatici sottolineano che primaria è
la «missione di Dio», e la «missione
della Chiesa» è al suo servizio. Scopo della missione è allora il Regno
di Dio e la Chiesa come suo simbolo
e serva. Tutte le religioni sono viste
come compagne nel pellegrinaggio
verso il Regno, dove i nostri veri
nemici sono Satana e Mammona.
Un dialogo che diventa la via della
missione. Oggi la tendenza nella
Chiesa sembra quella di serrare le
fila e proclamare il suo Vangelo
senza nessun serio tentativo di dialogo. Non dialogando, la Chiesa sta
perdendo l’opportunità di essere uno
strumento di pace e armonia in un
mondo diviso da tanti conflitti.
@
Gli articoli della serie dedicata al Concilio
Vaticano II sono su www.popoli.info
gennaio 2013 Popoli 45
ecumenismo
L’anno
tino, alla definizione dei programmi per il 500° anniversario della
Riforma protestante, che verrà celebrato nel 2017, con una sensibilità e un coinvolgimento ecumenico
francamente inimmaginabili fino a
pochi decenni orsono.
Né il focalizzarsi sulla scomparsa
di questi patriarchi e sulle dimissioni dell’arcivescovo di CanterbuIl 2012 è stato segnato dalla morte di quattro
ry significa che si possa cogliere il
patriarchi e dalle dimissioni del primate
anglicano. Una perdita significativa che però può polso della situazione ecumenica
ignorando quanto avviene quotiaprire una nuova stagione di dialogo. L’analisi
dianamente nel vissuto delle vadell’«Osservatorio ecumenico» di Popoli che, per
il terzo anno, traccia un bilancio dello stato delle rie Chiese. Anzi, paradossalmente,
una consapevolezza che si sta farelazioni tra le Chiese
cendo strada con sempre maggior chiarezza è che il movimento
Guido Dotti *
siano stati eventi significativi a ecumenico non può più ignorare
el mondo ecumenico il 2012 livello di dialogo tra le Chiese, l’enorme diffusione a livello monsarà ricordato come un an- anche se l’attenzione è caduta più diale del pentecostalismo e delle
no segnato dalla scomparsa sulla preparazione di eventi futuri: Chiese evangelicali: realtà eccledi quattro patriarchi - «papa» She- dalla prossima Assemblea generale siali con una struttura gerarchica
minima o inesistente
nouda III della Chiesa copta, Abu- del Consiglio ecumee per le quali solo rena Paulos della Chiesa ortodossa nico delle Chiese (che Il patriarca
centemente le Chiese
etiopica, i patriarchi Maxim di si svolgerà a Busan, in Ignazio IV Hazim
«storiche» hanno preBulgaria e Ignazio IV di Antiochia Corea del Sud, a no- è stato uno dei
- e dal ritiro di Rowan Williams, vembre), alle celebra- principali artefici disposto strutture e
organismi di dialogo
l’arcivescovo di Canterbury, pri- zioni per i 1.700 anni del dialogo.
mate della Comunione anglicana. dell’Editto di Milano Il patriarca Paulos e di ascolto. Come ha
giustamente osservato
Questo non significa che non vi promulgato da Costan- era uno degli
degli addii
N
46 Popoli gennaio 2013
otto presidenti
del Consiglio
ecumenico
delle Chiese
La fase finale del sorteggio che
ha portato all’elezione di Tawadros
a Patriarca della Chiesa copta.
Aram I, catholicos (primate) della questi patriarchi erano alla guida
Chiesa apostolica armena, durante delle rispettive Chiese dagli anni
la consultazione su «l’ecumenismo Settanta e il loro ministero aveva
conciliare» convocata a Beirut dal quindi attraversato una stagione
Consiglio ecumenico delle Chiese estremamente complessa, ricca di
(5-11 febbraio 2012), nel cristiane- fermenti e di dialoghi ecumenici e
simo contemporaneo assistiamo al- di relazioni con contesti sociali in
lo spostamento da un ecumenismo profonda mutazione.
istituzionale a uno di base, da un
ecumenismo multiconfessionale a TRA PRIMATO E SINODALITÀ
uno confessionale, da un ecumeni- La rilevanza ecumenica di questi
smo globale a uno regionale, locale. cambiamenti al vertice di Chiese
Perché allora focalizzare l’atten- così diverse va però al di là delle
zione sulla scomparsa di alcuni singole persone: sono le diverse
capi di Chiese ortodosse e orientali modalità di scelta dei loro succese sull’avvicendamento alla catte- sori a suscitare riflessioni di estredra di Canterbury? Innanzitutto mo interesse. A parte le implicazioperché almeno due dei patriar- ni sociali e politiche di scelte ecclesiali così importanti
chi scomparsi sono
prese o da prendersi
state figure altamente La diversità
in Paesi come Egitto e
significative nel mo- delle procedure
Siria nell’attuale convimento ecumenico. di elezione
testo mediorientale, o
Il patriarca greco-or- o nomina dei
come la Bulgaria, dove
todosso di Antiochia, patriarchi offre
tale elezione avviene
Ignazio IV Hazim, è l’opportunità
per la prima volta dopo
stato per decenni uno per riflettere
la caduta del regime
dei principali artefici sulla dialettica
comunista, è la diverdel dialogo ecumeni- tra sinodalità
sità delle procedure di
co: tra i fondatori della ed esercizio
elezione o nomina a
«Gioventù ortodossa» del primato
offrire all’insieme delle
in Libano e Siria nel
Chiese cristiane l’op1942, resta memorabile
portunità per riflettere
un suo discorso all’Assemblea ecumenica di Uppsala nel sul fondamentale equilibrio neces1968 sullo Spirito che fa nuove sario tra «l’uno, i pochi, i molti».
tutte le cose. Non a caso la Chie- Cioè sulla dialettica tra sinodalità
sa greco-ortodossa di Antiochia ed esercizio del primato, sulla difè stata una delle pochissime ad ferenza tra democrazie e conciliaaver risposto con un memoran- rità, sugli strumenti umani di cui
dum teologico all’invito espresso lo Spirito si serve per far sentire il
da papa Giovanni Paolo II nella suo soffio vitale nella Chiesa.
sua enciclica Ut unum sint (1995) a In particolare, vale la pena eviripensare insieme nuove forme di denziare la procedura seguita dalla
esercizio del ministero primaziale Chiesa copta in Egitto: da tutte le
del vescovo di Roma. Dal canto diocesi sono stati presentati all’apsuo, il patriarca Paulos della Chie- posita commissione, presieduta dal
sa ortodossa etiopica era uno degli locum tenens, 17 candidati, monaci
otto presidenti del Consiglio ecu- e vescovi; questi nominativi sono
menico delle Chiese eletti all’As- stati esaminati e la rosa è stata
semblea generale di Porto Alegre ridotta a cinque persone (due venel 2006, dopo esser stato membro scovi e tre monaci). A questo punto
della Commissione teologica di Fe- l’intero corpo elettorale - composto
de e Costituzione. Inoltre tre di da circa 2.500 persone: vescovi,
Ignazio IV di Antiochia
Abuna Paulos
Shenouda III
Maxim di Bulgaria
gennaio 2013 Popoli 47
ecumenismo
India, Rowan Williams, ex arcivescovo di
Canterbury e primate della Comunione
anglicana, di fronte a un tempio giainista.
monaci, preti e laici rappresentanti
tutte le diocesi e le istituzioni copte in Egitto e nella diaspora - ha
votato tre nominativi tra i quali il
18 novembre è stato poi eletto per
sorteggio (come Mattia negli Atti
degli apostoli) il nuovo patriarca.
Tutte le fasi di discernimento sono
state precedute e accompagnate
da giorni di digiuno e di preghiera vissuti intensamente dall’intera
Chiesa: atteggiamento e disposizioni, queste, che troppo spesso
dimentichiamo quando ragioniamo
di nomine e successioni.
Certo, nessuno strumento può garantire a priori che una scelta umana sia conforme alla volontà di
Dio, ma quando le nostre Chiese
si mostrano capaci di fare spazio
allo Spirito perché agisca e restano in ascolto della Parola di Dio,
allora anche le strutture ecclesiali
ritrovano la loro autentica qualità
di strumenti a servizio della comunione tra di noi e con Dio.
* Monaco della Comunità di Bose
@
Gli articoli 2011 e 2012 dell’«Os­servatorio
ecumenico» su www.popoli.info
CALENDARIO ECUMENICO
R
iportiamo alcune iniziative significative a livello di dialogo
ecumenico che si terranno nel 2013. Alcune di esse sono
il seguito di eventi organizzati nel 2012.
>Il 2012 si è aperto con una riunione del Comitato permanente sull’ecumenismo nel XXI secolo (un organismo costituito in seno al Consiglio ecumenico delle Chiese - Cec - e nel
quale sono rappresentate anche la Chiesa cattolica e le Chiese pentecostali, che non sono invece membri del Cec) che ha
stilato un rapporto sull’incidenza dei grandi mutamenti globali
sul movimento ecumenico e più in generale sulla testimonianza dei cristiani nel mondo contemporaneo. Il documento sarà
presentato alla X Assemblea del Cec che si svolgerà a Busan
a inizio novembre 2013.
>Tra gli eventi più significativi del 2012 a livello di dialogo
ecumenico va ricordata la conclusione del lavoro della Commissione Fede e Costituzione del Cec che ha approvato un
accordo teologico dal titolo: La Chiesa: verso una visione
comune. Un testo di «convergenza» - il secondo dopo quello su
battesimo, eucaristia, ministero (Lima, 1982) - che ora verrà
48 Popoli gennaio 2013
offerto a tutte le Chiese che fanno parte della Comunione per
una ricezione che mostrerà come le diverse Chiese cristiane
siano in grado di «convergere» sul significato dell’essere un’unica Chiesa di Gesù Cristo.
>Mentre la commissione di dialogo tra Chiesa cattolica
e Chiese ortodosse conosce una fase di ripensamento,
proseguono altri dialoghi bilaterali, come quello tra Chiesa
cattolica e Comunione anglicana (Arcic) e quello tra luterani e
anglicani, in vista di una sempre più approfondita conoscenza
reciproca e del conseguente pieno riconoscimento dell’altro
come condiscepolo dell’unico Signore.
>Le diocesi cattoliche di Terrasanta di rito orientale e di rito
latino hanno deciso di adottare per le festività pasquali il calendario giuliano, in uso agli ortodossi, così da poter celebrare
Pasqua nello stesso giorno, dando un significativo segno di
convergenza e facilitando la vita liturgica e la testimonianza di
fede delle numerose famiglie cristiane costituite da matrimoni
misti. Per questioni legate alla delicata gestione dei luoghi
santi, tale adeguamento non varrà per il Santo Sepolcro a
Gerusalemme e la Basilica della Natività a Betlemme.
libri
Guarire le ferite
delle divisioni
Frère Alois
N
Arriva in questi giorni in libreria un nuovo libro
di frère Alois, successore di Roger Schutz
alla guida della Comunità di Taizé. In vista
della Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani (18-25 gennaio), anticipiamo
un brano dedicato all’ecumenismo
el suo ultimo libro, apparso alcune settimane prima della morte, frère Roger
scriveva: «Il Cristo è comunione...
Egli non è venuto sulla terra per
creare una religione in più ma per
offrire a tutti una comunione in
Dio... “Comunione” è uno dei nomi
più belli della Chiesa» (Avverti una
felicità?, Elledici 2005).
Al centro della vita di frère Roger
e della nostra comunità si trovano
queste parole di Cristo: «Come tu,
Padre, sei in me e io in te, siano
anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai
mandato» (Giovanni 17,21).
Spesso queste parole vengono interpretate come un’esigenza da
mettere in pratica, mentre esprimono innanzitutto il dono che il Cristo
fa all’umanità: egli ci porta in sé, ci
fa entrare con lui nella comunione
della Santa Trinità, ci rende «partecipi della natura divina» (2 Pietro
1,4). Non prega soltanto perché
tutti siano una sola cosa, ma perché Maria è per sempre la garante che
siano una sola cosa «in noi».
questo scambio è reale: ella sostiene
Questa comunione in Dio è uno la nostra speranza che esso termiscambio. Incarnandosi, Dio sceglie di nerà con la vita dell’umanità in Dio.
rivestire la fragilità umana. Egli vie- Possiamo essere infinitamente rine ad abitare le nostre lacerazioni e le conoscenti alla teologia ortodossa
nostre sofferenze. Cristo ci raggiunge per aver evidenziato tutto questo in
là dove noi siamo più in
modo così profondo.
basso, si fa uno di noi La riconciliazione Quando scopriamo che
per meglio tenderci la non è una
la comunione con Dio
mano. In lui Dio acco- dimensione
è uno scambio, allora
glie la nostra umanità e, del Vangelo tra
comprendiamo meglio
in cambio, ci comunica le altre, ma ne
che la riconciliazione
lo Spirito Santo, la sua è il cuore stesso. non è una dimensione
stessa vita. La Vergine Essa coincide
del Vangelo tra le altre,
con ciò che sta
al centro della
nostra vita
di battezzati
ma ne è il cuore stesso. Essa coincide
con ciò che sta al centro della nostra
vita di battezzati: è il ristabilimento
per opera del Cristo della fiducia
reciproca tra Dio e l’uomo, inizio di
una nuova creazione. E ciò trasforma le relazioni tra gli uomini.
Gesù chiede che «tutti» siano una
sola cosa: questo dono non è riservato ad alcuni, ma è offerto a
tutti coloro che portano il nome
del Cristo ed è destinato a tutti gli
esseri umani.
Cristo fa di tutti i battezzati degli
ambasciatori di riconciliazione nel
gennaio 2013 Popoli 49
libri
Maggio 2012, frère Alois insieme
ad alcuni bambini nella chiesa
dei gesuiti di Lubiana (Slovenia).
mondo. Noi siamo il Corpo di Cristo,
non per stare bene tra noi e ripiegarci su noi stessi, ma per andare
verso gli altri. Il corpo umano ha
per vocazione lo scopo di esprimere la persona verso l’esterno. Allo
stesso modo, il Corpo di Cristo ha
la vocazione di esprimere che Cristo
vuole riconciliare tutta l’umanità.
La redenzione
contiene il dono
L’ecumenismo
dell’unità: unità
suppone
una purificazione dell’uomo con
Dio, unità intedel nostro
riore come guarimodo
gione di ciascuna
di credere, una
persona, unità di
«conversione»
tutta la famiglia
continua in una
umana e di tutta
Chiesa sempre
la creazione. Non
bisognosa
possiamo ricevedi riforma
re l’unità con Dio
senza ricevere l’unità tra tutti gli
uomini. La ragion d’essere della
Chiesa è di esserne il segno visibile,
il sacramento. Il Concilio Vaticano
II lo ha espresso con grande chiarezza, dicendo: «La Chiesa è, in
Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento
dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».
LA RICONCILIAZIONE TRA
CRISTIANI, UN SEGNO CREDIBILE
I giovani del mondo presente, con
la loro grande sete di autenticità,
ci portano a questa constatazione: perché l’impegno dei cristiani
a sostenere la riconciliazione nel possiamo diffondere attorno a noi il
mondo sia credibile è essenziale la messaggio di Cristo se non insieme.
ricerca interna di un’unità visibile. Osiamo allora andare verso l’unità
Siamo coscienti che, come cristia- visibile! Avrà ogni Chiesa il coragni, abbiamo il dono specifico di gio di non agire più senza tener
preparare cammini di pace e di conto delle altre?
fiducia sulla terra? Siamo il Corpo Se la comunione è un dono di Dio,
di Cristo; una profonda comunione allora l’ecumenismo non può essere
fra chi segue il Cristo può diventa- solo uno sforzo umano per armore un fermento unico di pace nella nizzare tradizioni diverse. Esso ci
famiglia umana. Tutti insieme, con deve porre nella verità della rela nostra unità, possiamo essere un denzione del Cristo che ha pregato:
segno di riconciliazione credibile «Voglio che quelli che mi hai dato
siano anch’essi con me dove sono
tra gli uomini.
Anche con i nostri limiti, anche in io» (Giovanni 17,24).
circostanze avverse, Dio ci rende cre- Il primo sforzo ecumenico è quello di
atori di riconciliazione insieme a lui. cercare di vivere la comunione con
Dio, nel Cristo, per mezCristo ci manda a guarizo dello Spirito Santo.
re le ferite di divisioni e Non possiamo
È vero che le Chiese e
violenza intorno a noi.
diffondere
le comunità ecclesiali a
I nostri tempi hanno bi- attorno a noi
volte mostrano cammisogno di donne e uomi- il messaggio
ni diversi per realizzani coraggiosi che espri- di Cristo
re questa comunione. E
mano con la vita la se non insieme.
chiamata del Vangelo Avrà ogni Chiesa tuttavia, più è profonda
alla riconciliazione. Ta- il coraggio di non l’appartenenza di ciascuno a Cristo, più è corretto
li donne e uomini non agire più senza
lo sguardo rivolto agli
devono essere necessa- tener conto
altri, visti come sorelle
riamente moltitudini. Il delle altre?
e fratelli. Bisogna anVangelo non paragona
dare ancora più avanti:
forse il Regno di Dio a
riconoscere negli altri
un pizzico di lievito che
delle sorelle e dei fratelli è il segno
fa lievitare tutta la pasta?
Si sono verificati dei periodi nella di un’autentica appartenenza a Cristo.
storia in cui, in nome della verità Ciò suppone una purificazione del
del Vangelo, i cristiani si sono se- nostro modo di credere, una «conparati. Oggi, in nome della verità versione» sempre ripresa in una Ecdel Vangelo, vorremmo cercare di clesia semper reformanda, una Chiefare tutto per riconciliarci. Non sa sempre bisognosa di riforma.
L
a Comunità di Taizé (Francia) è una comunità cristiana monastica ecumenica fondata nel 1940 da Roger Schutz, meglio
conosciuto come frère Roger. La tensione verso l’unità dei cristiani,
una spiritualità legata ai modelli del monachesimo occidentale, l’accoglienza dei giovani sono tratti distintivi della Comunità. Questa ha
assunto negli anni una dimensione internazionale, poiché piccole
fraternità si sono stabilite in quartieri poveri del Sud del mondo.
Sono numerosi anche gli incontri organizzati in varie città del
mondo; fra tutti spicca il «Pellegrinaggio di fiducia sulla terra»,
che si svolge alla fine di ogni anno in una metropoli europea (il
più recente a Roma, dal 28 dicembre al 2 gennaio).
Il volume da cui è tratto questo testo - Pellegrini di fiducia (Emi,
pp. 128, euro 10) - è una raccolta di testi di frère Alois, successore di Roger
Schutz,
ucciso2013
da una squilibrata il 16 agosto 2005.
50 Popoli
gennaio
WWW.TAIZE.FR
LA COMUNITà E IL LIBRO
il profilo
Justin Welby
N
Ex dirigente di
due multinazionali
petrolifere, vescovo
di Durham,
il 9 novembre 2012
Justin Welby è stato
nominato arcivescovo
di Canterbury e primate
della Comunione
anglicana. Succede
al dimissionario
Rowan Williams.
on era un compito facile quello della commissione incaricata di
designare il nuovo arcivescovo di Canterbury, chiamato a
succedere al dimissionario Rowan Williams quale primate
della Comunione anglicana.
Era molto difficile trovare un
vescovo con competenze bibliche, patristiche e teologiche
analoghe a quelle del predecessore, quasi impossibile individuare una persona che potesse a priori corrispondere alle attese delle varie sensibilità
presenti nella Comunione anglicana, divenute sempre più
contrapposte e di problematica
conciliazione. Di conseguenza
non era percorribile né una soluzione di compromesso, né la
forzatura a favore di una delle
prospettive propugnate dall’uno o dall’altro orientamento
ecclesiale.
La saggezza e il discernimento spirituale di vescovi, preti
e laici chiamati a questa scelta li hanno portati a scegliere
spostandosi su un altro piano,
evitando così non solo di scontentare tutti ma, soprattutto, di
accrescere le tensioni e di paralizzare la faticosa ricerca di
una comunione nella diversità.
Così è stato indicato al premier
e alla regina - cui spettava la
ratifica formale della nomina
- il nome di Justin Welby, vescovo di Durham.
Nato a Londra nel 1956, educato a Eton, il college dell’aristocrazia inglese, con studi in
storia e legge, Welby è stato
per undici anni dirigente in
due grossi gruppi petroliferi,
lavorando a lungo in Nigeria e
poi occupandosi del settore finanziario di uno di essi.
La svolta, per un laico molto impegnato anche ecclesialmente come Welby, avviene nel 1983, quando la
figlia di sette mesi avuta dalla moglie Caroline muore
in un incidente d’auto. Nel giro di pochi anni, Welby
lascia il lavoro nell’industria e intraprende la preparazione al sacerdozio.
Il suo ministero pastorale (dapprima nella diocesi di
Coventry, poi a Liverpool e, infine, come vescovo, a
Durham dove aveva iniziato i suoi studi teologici) ha
saputo unire una profonda conoscenza e una sollecita
cura delle realtà locali - da quelle più tradizionali
alle nuove forme di aggregazione ecclesiale - con
l’attenzione ai risvolti etici dell’economia e della finanza, e con l’impegno concreto sia per categorie a
rischio come i richiedenti asilo sia per il dialogo e la
Il neoprimate anglicano possiede una
profonda conoscenza delle realtà locali,
un’attenzione ai risvolti etici dell’economia
e un’esperienza di mediatore nei conflitti
con implicazioni religiose
composizione di conflitti sociali aventi implicazioni
anche religiose (Nigeria, Iraq e Medio Oriente). La
sua visione dei problemi politici ed economici trova
affinità con la dottrina sociale cattolica, mentre la sua
precedente esperienza lavorativa ha fatto sì che godesse di grande stima anche negli ambienti politici, al
punto da essere nominato membro della commissione
parlamentare per gli standard bancari.
Ora queste sue competenze, unite a una profonda
dimensione spirituale e al suo radicamento nella parola di Dio, gli saranno di grande aiuto nel difficile
ministero di presiedere all’unità nella carità, in una
perdurante stagione di contrasti e di incomprensioni
reciproche tra Chiese della stessa Comunione anglicana. Si tratta di saper custodire e rafforzare quei
«vincoli di affetto» che uniscono le varie province del
mondo anglicano, facendole crescere nel rispetto e
nell’accoglienza, nel riconoscimento dell’altro come
animato dallo stesso desiderio di sequela del Signore
Gesù, nell’obbedienza alla volontà di Dio. Obbedienza
che a volte passa dalla rinuncia ai propri punti di vista per ascoltare ciò che brucia nel cuore del fratello,
nel costante discernimento di «ciò che lo Spirito dice
alle Chiese».
Guido Dotti
GENNAIO 2013 Popoli 51
www.jsn.it
Fuori dal coro,
impostare una voce comune
P
romuovere una riflessione formare le persone al servizio, dispocondivisa su come comuni- nibili a cambiare se stessi nelle relacare ai mass media e alla zioni con chi soffre; impegnarsi per
società esperienze e storie quotidiane cambiare la cultura dominante della
di quegli «ultimi» che «non entrano deresponsabilizzazione; perseguire il
nei dibattiti se non nella cronaca, bene comune come impegno politico
quando i disperati intercettano la cu- contro le «strutture di peccato».
riosità morbosa della gente»: questo Sei racconti di sei minuti a partire da sei parole chiave
l’obiettivo dell’assemblea
hanno «costruito» una
dei soci del Jesuit social Come
fotografia di quello che
network (Jsn) che si è comunicare in
è oggi, nel quotidiano,
svolta a Roma dal 30 modo efficace
il disagio sociale nel nonovembre al 2 dicembre esperienze e
e che ha riunito le realtà storie quotidiane stro Paese.
Sicurezza. Il binomio
legate alla Compagnia di di quegli «ultimi»
sicurezza-immigrazione
Gesù che in Italia opera- che non fanno
in questi anni ha avuno nel sociale. «Voglia- notizia? È
to un rilevante impatto
mo stare fuori dal coro stato il tema
negativo, con un’Europa
per la responsabilità di dell’assemblea
che si presenta sempre
rappresentare una cor- annuale del Jsn
più come fortezza. «È ora
sia preferenziale, quella
di abbattere il muro che
di voci che non hanno
separa l’Europa da un’uvoce». Così il gesuita Alberto Remondini, presidente del Jsn, manità in viaggio», è stato detto.
ha spiegato il titolo dell’incontro: Fiducia. Come avere noi stessi fiducia
«Fuori dal coro. Impostare una voce nella realtà in cui operiamo, e come
ispirare fiducia? Tema quanto mai
comune».
Punto di partenza dei lavori è stata critico, ad esempio, in una regione
una rilettura del Preambolo dello come la Sicilia vissuta per decenni
Statuto del Jsn - che otto anni fa ne dentro una politica di distribuzione
ha fondato ispirazione e identità - di favori. Si crea fiducia allargando
compiuta da padre Fabrizio Valletti, sempre più la capacità di contatti in
che vive a Scampia, quartiere di rete, attraverso un coinvolgimento,
Napoli tristemente famoso. Valori per trovare risorse nella cittadinane principi radicati nell’esempio di za. In questo senso il Sud è portatore
Gesù e racchiusi in pochi punti fo- di risorse importanti da valorizzare.
cali: liberare l’uomo «per ristabilire Formazione - cultura. Il bivio a cui
relazioni di giustizia» e donare spe- ci troviamo è il seguente: per tanti
ranza; preferire i poveri in linea con o per pochi? L’esperienza di Scampia
il «binomio indissociabile del servizio mostra come sia necessario ricodella fede e della promozione della struire una consapevolezza e una
giustizia», vivendo a fianco della sof- progettualità di vita, prima ancora
ferenza alla ricerca di soluzioni con- dei contenuti.
divise; avere un approccio educativo, Precarietà e welfare. In questo mo52 Popoli gennaio 2013
mento è sempre più forte il rischio
di trasformare il welfare in qualcosa
di rigido, a compartimenti stagni,
calato dall’alto, evitando invece di
approntare strumenti di prevenzione
e accompagnamento.
Partecipazione. Reggio Non Tace è
stato il primo movimento che ha detto «basta» alle logiche conniventi e
omertose di una terra devastata dalla
‘ndrangheta, spronando i cittadini a
proporre e pretendere regole trasparenti per la partecipazione politica e
l’amministrazione pubblica.
«Pensare a quello che comunichiamo
o che vogliamo comunicare significa
comprendere quale percezione di noi
intendiamo trasmettere»: questa la
premessa su cui Flavio Bottaro, responsabile della comunicazione dei
gesuiti italiani, ha impostato la sua
relazione su come una realtà quale
il Jsn oggi dovrebbe comunicare.
Indicazioni preziose che sono poi
state collocate in un orizzonte di
riferimento più ampio da padre Carlo
Casalone, Provinciale d’Italia dei gesuiti, nel suo intervento conclusivo.
Giacomo D’Alessandro
e Pietro Barabino
uN NUOVO VOLTO ONLINE
R
accontare, denunciare, sollecitare,
informare: sono alcune delle parole
chiave (o forse sarebbe il caso di chiamarle tag, nel gergo 2.0) che potrebbero
essere associate al nuovo sito del Jesuit social network www.jsn.it. Costruito come strumento per dare voce alle
persone e alle situazioni che le realtà
della federazione incontrano ogni giorno
è organizzato per settori in cui opera il
Jsn, espressione della sua ricchezza e
complessità.
Notizie, commenti, attività di formazione,
eventi, racconti provenienti da ciascun
settore saranno strumenti per aggiornare
e fotografare la realtà sociale del nostro
Paese, da Nord a Sud, attraverso un
obiettivo particolare, quello di chi opera
a stretto contatto con le persone. È
possibile seguire le notizie del Jsn anche
sulla pagina Facebook.
www.magisitalia.org
Web, varato
il nuovo sito
Intenzioni di preghiera
I contenuti sono stati arricchiti per far conoscere i progetti
dell’Ong e rafforzare la rete di rapporti con la Compagnia di
Gesù e i gruppi aderenti
I
l Magis ha un nuovo sito web.
L’indirizzo resta lo stesso (www.
magisitalia.org), la grafica e i
contenuti cambiano, a cominciare
dal logo. «Non è un’operazione di
marketing, ce ne guardiamo bene
- spiega Renato Colizzi, gesuita,
responsabile per l’animazione missiologica -, ma è un modo nuovo e
più efficace di esistere nella Rete.
Con la nostra specificità. Con i
nostri progetti e campagne. Con il
nostro stile».
La navigazione ruota essenzialmente intorno a tre sezioni principali: «Chi siamo», «Cosa facciamo»
e «Come partecipare». La scoperta
delle attività può avvenire attraverso due percorsi: per Paese o per
programma di sviluppo. Il visitatore può, infatti, conoscere i progetti
navigando nella mappa del mondo
fino a raggiungere il Paese di interesse, oppure ricercare le iniziative
per settore di intervento (istruzione, formazione, idrico, adozioni,
agricolo, sanitario e sociale).
In «Come partecipare», sono presentati i diversi modi per unirsi al
Magis, dalla donazione in denaro,
anche online, a quella di tempo,
diventando un volontario in Italia
o all’estero.
Il nuovo sito è un punto di parten-
Le intenzioni sono proposte ogni mese
dall’Apostolato della preghiera (www.adp.
it), associazione della Compagnia di Gesù
diffusa in tutto il mondo.
gennaio
Generale - Perché in questo «Anno della fede» i cristiani possano approfondire
la conoscenza del mistero di Cristo e
testimoniare con gioia il dono della fede
in lui.
Missionaria - Perché le comunità cristiane del Medio Oriente, spesso discriminate, ricevano dallo Spirito Santo la
forza della fedeltà e della perseveranza.
za, non di arrivo. Il Magis non è
solo a rafforzare il suo cammino.
La collaborazione con i suoi gruppi
aderenti è sempre più partecipata,
a cominciare proprio dalla rivista
Popoli . Ogni gruppo ha una propria pagina Web per promuovere
i propri progetti o eventi. E in
home page, a fianco del nuovo
logo, è presente anche quello della
Provincia d’Italia dei gesuiti con
la dicitura «Missioni». Non è un
semplice scambio di link , ma rappresenta la volontà del Magis di
proporsi come punto di riferimento
per le missioni e la cooperazione
internazionale dei gesuiti italiani.
È inoltre testimonianza di una collaborazione che si è instaurata con
l’Ufficio comunicazione dei gesuiti
(www.gesuitinews.it). Tutto questo
in una nuova veste, che, grazie
all’imprescindibile accompagnamento e impegno di padre Flavio
Bottaro (il gesuita che cura il sito
della Provincia d’Italia), il Magis
può oggi presentare.
Maurizio Debanne
gennaio 2013 Popoli 53
Lega Missionaria Studenti
Un ponte con la Cina,
sulle orme di Matteo Ricci
comunione. Un piccolo seme che si
è poi ripetuto nell’anno successivo
e ha aperto la strada a visite d’istruzione dei ragazzi di maturità
delle scuole dei gesuiti italiani.
La Lms ha fatto dunque da apripiTra i vari Paesi in cui la Lega missionaria studenti realizza
esperienze di volontariato c’è, dal 2009, anche la Cina. Una sta per gruppi più numerosi, dando
avvio a un progetto che, grazie
«missione» sulla scia di grandi maestri che ha coinvolto
anche al favorevole accompagnaanche duecento ragazzi delle scuole dei gesuiti italiani
mento delle autorità diplomatiche
utto iniziò nel 2007 con di volontari. Ci si mise a servi- italiane, ha consentito a diverse
l’invio in missione del gio- zio dell’associazione Little flowers, centinaia di ragazzi, prima nel
vane gesuita italiano Emi- che si occupa di disabili neonati, 2010 e poi nel 2012, di aprirsi a
questo Nuovo Mondo,
lio Zanetti. Brillante e divertente, abbandonati per strada
offrendo nello stesso
generoso e creativo, aveva con- e raccolti dai servizi Non cerchiamo
tempo alla Chiesa loquistato il cuore dei ragazzi della sociali caritativi della tanto di fare
cale una testimonianza
Lega missionaria studenti (Lms) di Chiesa locale.
cose, quanto
di comunione sempliRoma. Con loro, o con altri gruppi È stata una grande no- di essere
ce, ma efficace, perdi ragazzi, in Italia avrebbe senza vità per noi e per la presenti,
ché offerta appunto da
dubbio lavorato magnificamente, stessa Chiesa cinese. Si di farci presenti,
giovani.
ma altri erano i progetti della è resa possibile perché di stimolare nei
Per la Lms e per le
Provvidenza su di lui. Dopo anni non si è dato troppo nostri giovani
scuole dei gesuiti
di ascolto della voce della co- nell’occhio, collabo- un interesse
italiani, dove essa è
scienza e di confronto con le guide rando con una realtà strategico verso
inserita come movispirituali e i superiori religiosi, si che si appoggia all’as- questo Paese
mento di animazione
è compreso che il Signore chiede- sociazione cattolica
alla mondialità e al
va a Emilio di lasciare davvero patriottica con la quale
servizio, la Cina retutto, il suo Paese, la gente cui fin la Santa Sede dal 2007,
a quel momento aveva voluto bene con decreto di Benedetto XVI, ha sta un obbiettivo prioritario. Non
e per la quale è diventato prete, stabilito contatto ufficiale e offerto si cercherà tanto di fare cose,
per partire verso la Cina: la sfida il riconoscimento di pienezza di quanto di essere presenti, di farsi
forse più impegnativa che hanno
oggi la Chiesa e la Compagnia di
Gesù.
Con non poca commozione salutammo Emilio e immediatamente
venne a qualcuno l’idea di promettergli che non solo avremmo
pregato e sostenuto «a distanza» le
sue opere di missionario, ma che
ci saremmo dati da fare per accompagnarlo e andarlo a trovare,
magari organizzando un «campo»,
così come avvenuto in Romania,
Cuba, Perù e, più precedentemente,
in Albania e Bosnia.
Un anno di rodaggio e nell’estate
2009 nacque il primo campo Lms
a Pechino, con una quindicina
T
54 Popoli gennaio 2013
www.legamissionaria.it
QUEL GIGANTE CHE ORA FA MENO PAURA
I
ntraprendenza, spirito d’iniziativa e
coraggio sono doti che hanno sempre
accompagnato i gesuiti nell’evangelizzazione attraverso cinque secoli di storia
e altrettanti continenti, dalle missioni
in Sudamerica all’opera di Matteo Ricci
in Cina. Alla tradizionale intraprendenza gesuitica devono aver fatto appello
anche i direttori delle scuole dei padri
gesuiti italiani, i quali, affiancati da alcuni membri del corpo docente, hanno
accompagnatoben 240 ragazzi a cavallo dei diciott’anni in
una città di quindici milioni di
abitanti, a circa 9mila chilometri da casa: Pechino.
È un’iniziativa che ha visto
gli alunni delle ultime classi
liceali degli istituti gesuitici di
Roma, Milano, Torino e Palermo riuniti per un viaggio che,
tra il 2 e l’8 novembre, li ha
condotti alla scoperta di un
mondo affascinante, troppo
a lungo isolato e certamente
differente dal contesto occidentale in
cui viviamo. Uno sguardo ravvicinato e
più umano sul Paese di cui molti, tra
noi studenti, avevano sentito parlare
solo come di un gigante in procinto di
fagocitare l’economia di Europa e Stati Uniti. L’«uomo nero» dell’economia
mondiale, quella massa minacciosa
rappresentata da una stella gialla in
campo rosso che sovrasta il continente
asiatico, si è dunque rivelata nella sua
complessità e nella pluralità di tante
storie individuali e collettive, che ci
hanno permesso di intuire la ricchezza
e il dinamismo dell’evoluzione socioeconomica e culturale di cui la Cina è
oggi protagonista. L’entità astratta, lontana, irraggiungibile che allunga i suoi
tentacoli contraffatti verso l’Occidente,
grazie a questo viaggio ha ricevuto un
volto, anzi, un miliardo e mezzo di volti
umani.
L’itinerario si è sviluppato a cavallo tra
antichità e modernità: gli echi dei fasti
della Città proibita, la pace del Palaz-
zo d’Estate e l’imperturbabilità della
Muraglia cinese hanno trovato una
controparte nelle caotiche vie commerciali del centro città e nell’innovazione
dell’Astrophisical Center. Tanti tasselli
che vanno a comporre l’incredibile
mosaico della cultura cinese: una civiltà antica di millenni che cerca di
conciliare progresso e produttività con
il rispetto della tradizione.
Il viaggio ha avuto anche un profondo
M. COSTA
presenti, di stimolare nei nostri
giovani un interesse strategico
verso questo Paese che, a detta di
tutti, governerà le trasformazioni
economiche e sociali dei prossimi
trent’anni. Un interesse che peraltro trova già alcune forme di
espressione nei programmi delle
scuole dei gesuiti italiani: presso
l’Istituto Sociale di Torino, per
esempio, è stato introdotto da un
anno un corso opzionale di lingua
cinese e qualcosa di analogo si sta
pensando di sperimentare anche
nelle altre sedi. Siamo ormai in
movimento.
È difficile prevedere dove ci condurrà questo percorso che la partenza di Emilio ha avviato. Ci
sentiamo in cammino verso qualcosa che appare immenso, un’opportunità epocale. Ci piace allora
iniziare con il racconto dell’ultimo
viaggio vissuto ai primi di novembre con circa 240 studenti delle
scuole dei gesuiti italiani.
Questo primo contributo inaugura
la nuova rubrica di Popoli dedicata alla Lega missionaria studenti,
alle sue iniziative e prospettive
educative. In oltre ottant’anni di
storia quest’associazione, promossa dai gesuiti italiani, ha espresso
in svariate forme la vivacità dello
slancio missionario alla portata dei
giovani e degli adolescenti.
Si sa che i ragazzi costituiscono
il futuro di una società. Aprire a
tanti di loro la possibilità d’incontro con la Cina s’inquadra in un
sogno antico, quello di Marco Polo
e di Matteo Ricci: costruire ponti,
legami non solo commerciali ma
di comunione profonda tra l’Occidente e l’Oriente più lontano e più
emergente. È una grande ambizione alla quale vogliamo aprirci con
coraggio e umiltà.
Massimo Nevola SJ
significato religioso. I ragazzi italiani e le loro guide hanno infatti avuto la possibilità, più unica che rara,
di partecipare alla celebrazione della
messa nelle cattedrali Nord e Sud di
Pechino. La cura pastorale di queste
due chiese è affidata sin dall’epoca
di Mao all’Associazione patriottica dei
cattolici cinesi. È stata un’occasione
straordinaria di confronto con realtà
della Chiesa cinese, che conta nel suo
insieme (considerando anche i cosiddetti «fratelli separati») diversi milioni
di membri e che cerca faticosamente
di superare tensioni e divisioni del
passato. Si tratta certo di una «cugina»
per certi aspetti ancora fragile rispetto
alle storiche Chiese d’Occidente, una
comunità in passato perseguitata, alla
ricerca di un difficile compromesso con
l’autorità statale, ma dotata di una
energia e di una forza vitale che fra le
nuove generazioni in Occidente appare sempre più rara.
Guglielmo Rezza
gennaio 2013 Popoli 55
www.centroastalli.it
Patente
per l’autonomia
I
l Centro Astalli, in collabora- tendo a disposizione i manuali della
zione con l’associazione Prime teoria e installando sui personal
Italia, il Centro salesiano del computer un software interattivo,
Sacro Cuore, e l’Automobile Club che, grazie a filmati, foto e simuladi Roma dal 2010 ha avviato un zioni, facilita l’apprendimento. Una
sala dotata di videoproprogetto: l’organizzaiettore è stata messa a
zione di un percorso Frequentare
disposizione dai saledi scuola di guida, con la scuola di
siani, proprio vicino all’obiettivo di preparare guida è un
la stazione Termini, faalcuni ragazzi titola- percorso utile
cilmente raggiungibile.
ri di protezione inter- per l’integrazione
Ormai sono numerosi i
nazionale a sostenere dei rifugiati. Un
ragazzi che frequental’esame teorico della progetto romano
no il corso.
patente. Il tutto è na- accompagna
Due sono i livelli del
to da una unione di alcune decine di
pre-corso: il primo (basforzi per risolvere un giovani tra quiz
se) ha come obiettivo
bisogno oggettivo: al- e prove pratiche
l’assimilazione del lescuni ragazzi rifugiati
sico tecnico presente
desideravano ottenere
nel codice stradale. È
la patente per avere più
opportunità nel mondo lavorativo, un primo modo di avvicinarsi alla
in quanto diverse offerte avevano materia, incominciando ad avere
come requisito l’essere automuniti confidenza con la simbologia della
o, almeno, poter guidare. Spedizio- segnaletica stradale, le norme di
niere, baby-sitter o assistente domi- comportamento presso gli incroci,
ciliare, a Roma è quasi impossibile le regole delle precedenze, ecc.
muoversi senza auto in una serie di Il secondo livello prepara lo studente
a sostenere l’esame teorico: come
professioni.
Dall’esigenza di pochi ragazzi alla affrontare i quiz, cercando di capicreazione di una vera e propria re quali sono le astuzie contenute
struttura organizzata il passo è sta- all’interno delle domande, stando
to breve; e così i volontari hanno attenti a rimanere all’interno del
ripassato il codice stradale, l’Aci ha tempo massimo a disposizione per
fornito un sostegno tecnico, met- eseguire il test. Sempre all’interno
dell’orario del corso (due volte a settimana per ciascun livello) è possibile esercitarsi su alcune postazioni
pc per fare le simulazioni d’esame,
perché spesso l’emozione o la fretta fanno brutti scherzi. Quando lo
studente in maniera continuativa fa
pochi errori per ogni scheda, si procede all’iscrizione alla vera scuola
di guida che lo porterà a sostenere
l’esame. Successivamente, superato
il test di teoria, insieme alla scuola
di guida imparerà a guidare sulle
trafficate strade romane per sostenere finalmente l’esame di pratica.
«Sono scappato dall’Eritrea senza
poter conoscere l’esito degli esami
che avevo sostenuto per la licenza
superiore - racconta Mikias, un giovane rifugiato che è stato il primo
a conseguire la patente seguendo il
corso -. Avevo studiato tanto ed era
un traguardo a cui ambivo da tempo. Poi la guerra ha vanificato ogni
sforzo e tutto ciò che era normale,
d’improvviso non lo era più. Oggi la
patente di guida, oltre a darmi una
possibilità in più nel lavoro in Italia,
è un riconoscimento al mio impegno e, per chi come me è scappato
dalla guerra poco più che bambino,
è il simbolo di una dignità acquisita
dopo tanto dolore».
L’iter non è semplice per molti rifugiati, ci vuole costanza, pazienza,
ma le statistiche mostrano che i
ragazzi che riescono a ottenere la
patente sono in costante aumento.
Fondazione Astalli
I numeri del progetto
A
56 Popoli gennaio 2013
d iscriversi al corso sono prevalentemente uomini,
con un’età media di 31 anni, provenienti soprattutto
dall’Eritrea (48%) e dall’Afghanistan (25%), La maggior
parte di loro è titolare di protezione sussidiaria (52%),
mentre il 35% ha lo status di rifugiato.
A un anno dall’avvio del progetto, 25 persone sono iscritte all’Automobile Club di Roma per sostenere l’esame
teorico e successivamente seguire le lezioni pratiche.
Di queste, dodici hanno conseguito la patente B, mentre
cinque hanno superato l’esame teorico e si stanno preparando per la prova pratica.
www.amo-fme.org
Un cappuccino
nella terra del çay
Paolo Raffaele, 34 anni, è uno dei giovani volti della Chiesa
latina in Turchia. Da tre anni fa parte della comunità che
custodisce Meryemana, la casa di Maria nei pressi di Efeso
F
ra Paolo, se dico «turco» a cosa
pensi?
Rispondo con un aneddoto.
Qualche tempo fa una delle due suore
che vivono accanto a noi frati stava
male, perciò mi recai in farmacia.
Tempo di comprare la medicina e
trovai una Tofaş parcheggiata davanti alla mia auto. Da buon romano,
la cosa non mi stupì più di tanto. Il
fatto interessante è che tutti i negozianti intorno uscirono e iniziarono a
cercare il maldestro parcheggiatore.
In cinque minuti trovarono il «colpevole» che, dopo essere stato debitamente redarguito, liberò il passaggio.
Ecco, a me «turco» evoca genuina
disponibilità e sana fierezza.
E se dico «Turchia»?
Beh, ci sono tante «Turchie». Ce
n’è una che mi ha condotto qui e
la descriverei unendola alla parola
«Scritture». Una terra ricca di storia e
attraversata da vari popoli e civiltà.
Terra profondamente segnata anche
dalle prime comunità cristiane e dal
monachesimo. Poi c’è la Turchia che
mi sorprende continuamente con la
sua natura maestosa e variegata. I
paesaggi turchi dilatano il cuore e
stupiscono per la bellezza del creato,
così vario e ambivalente. Povero e
ricchissimo, colorato e monocromo,
deserto e affollato: insomma una
sinfonia potente dal Mar Nero alla costa egea, dalla Cappadocia ai
monti Tauri. Poi c’è la Turchia della
gente, anche questa estremamente
varia per lingua, mentalità, usi e
costumi.
Normalmente dove vivi?
Vicino all’antica Efeso c’è una collinetta conosciuta come il monte
dell’Usignolo. Lì, quasi in cima, si
venera la casa di una donna ebrea,
approdata qui nella prima metà del I
secolo dopo Cristo. Il fatto insolito è
che la casa della donna ebrea è particolarmente venerata da cristiani e
musulmani.
Donna ebrea, cristiani, musulmani…
Spiegaci meglio.
Il nome della donna renderà la faccenda più semplice: Meryem in turco è Maria in italiano. Il piccolo
edificio dove viviamo è una chiesa
bizantina del XII secolo, con costruzioni sottostanti risalenti al I
secolo. La chiesa è venerata come la
casa dove la madre di Gesù sarebbe
vissuta dopo la morte del figlio. Noi
cappuccini custodiamo il luogo - ma
forse sarebbe meglio dire che noi
siamo custoditi da questo luogo - e
accogliamo chiunque arrivi qui. Incontriamo le persone più disparate,
ma in maggioranza sono cristiani
di diverse confessioni, musulmani
turchi (sunniti e aleviti) e sufi, che
vengono a Meryemana per pregare
da varie parti del mondo. A volte mi
trovo a celebrare la Messa davanti a
fedeli che non sono cristiani. Spesso
si tratta di turchi venuti a pregare,
che volentieri assistono in silenzio
e raccoglimento. Dio chiama tutti,
senza esclusioni. Perché Dio è Dio e
fa come gli pare a Lui!
Quindi il dialogo interreligioso è di
casa a Meryemana?
Dialogo è «parola tra». A volte questa
parola è tra i pellegrini e noi frati,
dunque tra persone per lo più di fedi
diverse, normalmente tra musulmani e cristiani. Più spesso la parola
si fa grido o bisbiglio a Dio. Qui il
Cielo inizia rasoterra… È il mistero
dell’Assunzione, che forse è avvenuta
proprio qui.
Monica Borsari
Çay, il tè che si beve nel bicchierino
L
a Turchia è tra i maggiori produttori e consumatori di tè al mondo. Secondo
i dati Fao, il consumo pro capite (2,5 kg all’anno) supera addirittura quello nel
Regno Unito. Prodotto sulla costa orientale del Mar Nero, il tè turco, chiamato
çay, è un tè nero, preparato usando due tipici bollitori sovrapposti (çaydanlık).
L’acqua è portata a bollire nel bollitore inferiore, più largo. Un po’ d’acqua viene
utilizzata per riempire quello superiore, più piccolo, in cui vengono versati alcuni
cucchiai di foglie sfuse di tè, producendo così un tè molto forte e deciso.
L’acqua restante è poi usata per diluire il tè a proprio piacere, dando la possibilità di scegliere tra «tè forte» (in turco koyu, «scuro») o «tè debole» (açık, «chiaro»).
Il çay è gustato in un bicchierino di vetro, dalla forma di tulipano - fiore simbolo
della Turchia - accompagnato da due micro zollette di zucchero. Intorno al bicchierino di çay ruota tutta la cultura della Turchia: è il primo gesto di benvenuto,
un modo per accogliere e socializzare. I turchi lo bevono
a tutte2013
le ore.
gennaio
Popoli 57
Promosso da Caritas Ambrosiana, Centro Documentazione Mondialità,
Ufficio Diocesano Pastorale Migranti, Ufficio Diocesano Pastorale Missionaria
in collaborazione con la rivista «Popoli»
Convegno
Auditorium San Fedele
2 febbraio 2013 – ore 9.30-17.00
ore 9.30
Lanterna e dragone: due simboli
che evocano bene, prima e più che
la Cina, gli stereotipi ai quali molto
spesso viene ridotto nell’immaginario
collettivo questo immenso e complesso
Paese: da una parte l’esotismo della sua
cultura, dall’altra l’aggressività della sua
economia. Obiettivo del convegno è
quello di superare queste semplificazioni
andando alla scoperta delle vicende e
delle sfide complesse che attraversano
la storia della Cina contemporanea:
dalla vastità e varietà dei suoi territori ai
costi sociali e ambientali della crescita,
dai movimenti migratori alle risposte
alla globalizzazione, dall’emergere della
società civile al problema del governo
politico di una realtà in profonda
trasformazione, dall’istanza complessiva
di un ‘sistema dei diritti’ a quella specifica
della libertà religiosa.
Cina: il riscatto del passato, le ambizioni del presente,
i problemi del futuro
Guido Samarani, Università Ca’ Foscari, Venezia
Sostenibilità dello sviluppo e armonia sociale:
un bilancio degli ultimi dieci anni di riforme
Valeria Zanier, Università Ca’ Foscari, Venezia
ore 11.00
Dreamwork China
Documentario-reportage sui giovani lavoratori cinesi
Il “modello cinese” alla prova della crisi: le linee di faglia
del cambiamento e gli scenari futuri per le relazioni italo-cinesi
Daniele Cologna, Università Milano-Bicocca
Francesco Wu, Associna
ore 14.30-17.00
Tre focus in contemporanea
La società civile cinese: un’esperienza sul campo
Laura Battistin, Istituto sindacale per la cooperazione e lo sviluppo
Migranti cinesi in Italia e la comunità di Milano
Daniele Cologna, Università degli studi di Milano-Bicocca
Angelo Ou, Comunità cinese di Milano
Il “revival delle religioni” nella Cina d’oggi
Ester Bianchi, Università di Perugia
Enti aderenti
ACLI Provinciali di Milano, Monza e Brianza – Associazione Giulio
Aleni onlus – Associazione L’avete fatto a me Cooperazione e Sviluppo
per la salute nei P.V.S. – Associna – Cappellania dei fedeli cattolici
di lingua cinese di Milano – Cappellania generale dei migranti di Milano
CeLIM Milano – CEM Mondialità – Centro Pime Milano – CESPI Centro
Studi Problemi Internazionali – COE Centro Orientamento Educativo
Fondazione Casa della carità A. Abriani – Fondazione Culturale San Fedele
IPSIA Milano – ISCOS Istituto Sindacale per la Cooperazione e lo Sviluppo
Parrocchia Santissima Trinità Milano – Pax Christi Milano – Scarp de’ tenis
Terre di mezzo – VISPE Volontari Italiani Solidarietà Paesi Emergenti
Luogo
Auditorium San Fedele, via Hoepli 3/b – 20121 Milano
Informazioni Centro Documentazione Mondialità
02.58391395 – [email protected]
Iscrizioni
Mediapartner
www.chiesadimilano.it/cdm
A cura della Redazione
e di Anna Casanova
Per segnalazioni scrivi a
[email protected]
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Babel
Jorge Canifa Alves
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Rengaine
Musica
Musica baltica, rock
e saghe pagane
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Pito
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Teatro
La nave fantasma
70 Un altro stile
Bici e metropoli,
connubio perfetto
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Imparare dal diavolo?
76 Mediterraneo
a fumetti
Le sette porte
di Damasco
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60
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Leggere
Segnalazioni Novità in libreria
La libreria Trame (Bologna)
Sul comodino di...
Beniamino Saibene
Carta canta
Babel Jorge Canifa Alves
Tre domande a... Siddartha
Deb Guardare
Cinema Rengaine
Antenne globali Televisa
Osservatorio Campagna
Usa 2012, trionfa la pubblicità
Documentari Israele-Palestina: due popoli, una terra
Invito a
teatro La nave fantasma Ascoltare
Musica Musica baltica, rock e saghe pagane
Strumenti
Cuatro
Eventi A Lugano suoni in mostra Benvivere
Unaltrostile Bici e metropoli, connubio
perfetto
Il colore dei soldi
Habitat Se il vecchio container diventa un mattone
Solidee
Accoglienza e assistenza, premiati i camilliani Gustare
Sapori&saperi L’anima orientale del
basilico
Sorseggi Pito
Retrogusto Kuriya (Roma) Inter@gire
Imparare dal diavolo?
Decode La moneta non tintinna più, squilla Mediterraneo a fumetti
Le sette porte di Damasco
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Leggere
novità in libreria
Marco Aime
African Graffiti.
Taxi Brousse e
altri racconti dalle
strade d’Africa
Il fascino dell’Africa non è solo nei
paesaggi mozzafiato, nella natura
rigogliosa, nelle tradizioni secolari,
ma anche e soprattutto nella sua
gente. Eppure il turismo di massa
non si interessa agli africani, le
vacanze si consumano in resort
lontani dai centri nevralgici della
vita pubblica. La chiave del libro
sta proprio nel mettere al centro gli
africani: non è un racconto dell’Africa, ma di alcune persone incontrate da Aime - antropologo, autore
di vari saggi, collaboratore di Popoli - nel corso di quasi trent’anni
di viaggi. Sono le storie di donne,
uomini, bambini incontrati nei villaggi all’ombra di un mango, nelle
locande male illuminate a bere birra, per le vie caotiche e inquinate
delle città, tra le bancarelle colorate
dei mercati, nel silenzio dei deserti. Senza la pretesa di capire fino
in fondo culture, tradizioni con
le quali è possibile familiarizzare
solo dopo una lunga convivenza.
[Stampa alternativa, Viterbo 2012,
pp. 158, euro 15]
Paolo Branca
Barbara De Poli
Islam
Quale ruolo hanno i musulmani
nelle trasformazioni della realtà
globale? Quale la loro visione del
60 Popoli gennaio 2013
mondo, che va oltre la semplice dimensione religiosa? Questo
piccolo saggio della collana «Fattore R - Religioni fra tradizione
e globalità», curata da Brunetto
Salvarani, risponde con chiarezza
alle domande, fotografando la religione islamica che oggi - insieme
al cristianesimo - è la più diffusa
al mondo, nei suoi rapporti con il
diritto, l’informazione e i nuovi
media, le relazioni con l’Occidente, l’estremismo politico, le sfide
della modernità. All’importanza e
all’attualità dei temi gli AA. sanno
aggiungere una visione d’insieme
dei fenomeni che aiuta a leggere le
complessità del presente. [Emi, Bologna 2012, pp. 159, euro 12]
il «pensiero unico» sul genocidio
imposto dal potere politico. [Emi,
Bologna 2012, pp. 192, euro 13]
Riccardo Cristiano
Il giorno dopo
la primavera
«Il problema arabo non è l’islam,
ma le dittature che da metà Novecento hanno annichilito le nostre
la libreria
Valentina Codeluppi
Le cicatrici
del Ruanda
6 aprile-15 luglio 1994: tra queste
due date è racchiuso l’ultimo genocidio del XX secolo, quello avvenuto
in Ruanda. In poco più di due mesi,
800mila persone vennero sterminate nel nome della più bieca contrapposizione etnica. Perché? Qual è
stata la scintilla che ha acceso una
tale esplosione di odio? Nel 1995 ai
Tribunali ordinari si è affiancato
un Tribunale penale internazionale
e nel 2002 si sono tenuti anche
numerosi processi di villaggio (gacaca). Nel 2012, infine, il presidente
ruandese Paul Kagame ha dichiarato
conclusa questa esperienza. Questa
imponente macchina giudiziaria è
riuscita a individuare le vere ragioni del genocidio? E, soprattutto, è
riuscita a favorire la riconciliazione
nazionale? La risposta offerta da
questo studio è in chiaroscuro e
mette sotto accusa, in particolare,
L
o scorso dicembre ha spento
sette candeline. Ancora giovane, ma radicata ormai nel territorio e punto di riferimento per chi
vuole respirare cultura, la libreria
Trame, di Bologna, gestita da tre
lettrici «forti»: Nicoletta Maldini,
Orsola Mattioli e Anna Vezzoli.
Oltre a ospitare un gruppo di lettura chiamato «Lettura sul sofà» e a
proporre corsi di scrittura, Trame
ha lanciato la singolare iniziativa
«La libreria incontra la scuola» in
cui gli studenti, partendo da un
libro, elaborano una pièce teatrale, un musical, un poema e a fine
anno lo presentano all’autore di
quel volume. Nei 50 mq della
libreria si possono trovare oltre
7.000 titoli con una sezione dedicata ai ragazzi, e con la possibilità
di ordinare libri in lingua originale
nonché di fare la «lista nozze libri». Tra gli ultimi scrittori ospitati,
il maliano Moussa Konatè.
TRAME
Via Goito 3/c - Bologna
www.libreriatrame.com
società». Parte di qui Samir Frangieh, uno dei più autorevoli intellettuali arabi, ideologo dell’intifada
che allontanò i siriani dal Libano
dopo l’assassinio di Rafiq Hariri,
per dire che la primavera araba è
un cambiamento irreversibile delle
società arabe che rende già attuale
la riconciliazione mediterranea. Infatti, con la probabile, imminente
caduta di Assad si porrà anche
termine alla guerra fredda mediorientale, nella quale Teheran svolge
il ruolo che fu di Mosca.
Cristiano maronita schierato con
le sinistre libanesi durante la
guerra civile, fondatore del primo centro per il dialogo islamo
cristiano, Samir Frangieh ricostruisce in questo libro-intervista
curato da Riccardo Cristiano giornalista Rai, esperto di Medio
Oriente - i grandi bivi della politi-
laboratore del Corriere della Sera e
psicologo, parte da questa domanda
per scandire le tappe principali del
cammino martiniano e delle sue
relazioni: con la Parola, le crisi sociali, la violenza, con papa Wojtyla
e l’istituzione ecclesiastica, con i non
credenti, la politica, la comunicazione, e in particolare con le città di
Milano e Gerusalemme.
Garzonio ci offre una biografia ricca
e sfaccettata di un uomo che ha saputo vivere la «tradizione orale» con
il suo popolo: nell’essere ascoltato
suscitando interesse, nell’insegnare
senza far pesare il suo sapere, nello
stupire e affascinare con la profondità essenziale della fonte biblica. In
questo modo, da una parte Martini
ha recuperato la dimensione profetica dell’essere cristiani, perché
«si faceva portavoce di un’epoca
recente della Chiesa e la rinverdiva»;
ca araba dalla fine dell’impero ottomano, ma soprattutto definisce
il modello di democrazia consensuale con cui uscire dall’epoca dei
totalitarismi e costruire lo Stato
civile, unica soluzione per garantire tutte le comunità etniche e
religiose. La prefazione è di Andrea Riccardi. [Mesogea, Messina
2012, euro 15]
Marco Garzonio
Il Profeta. Vita di
Carlo Maria Martini
Come si spiega lo straordinario affetto della gente verso il cardinale
gesuita appena scomparso? L’A, col-
Sul comodino di... Beniamino Saibene
Quando la cooperazione tradisce
T
Nato nel 1974, Beniamino
Saibene è tra i fondatori
di Esterni (www.
esterni.org), impresa
culturale che dal 1995
progetta spazi pubblici,
promuove e realizza
eventi di aggregazione,
sviluppa campagne di
comunicazione partecipata.
Dal 1995 al 2010 è stato
anche direttore del Milano
Film Festival.
rovo che L’industria della solidarietà. Aiuti
umanitari nelle zone di guerra, libro di Linda
Polman uscito nel 2009 (Bruno Mondadori, euro
16), sia un viaggio indimenticabile. Uno di quelli
che ti cambiano la vita. Soprattutto se sei una
persona che si interessa di cooperazione e di
tanto in tanto si interroga sulle sorti del mondo.
L’agenzia di viaggi che organizza questo itinerario
immaginario è Linda Polman e la meta che ti viene proposta è quella dei campi per rifugiati.
Il mondo della cooperazione internazionale che
scopriamo è agghiacciante. E non sono le condizioni di sopravvivenza dei rifugiati a gelare il sangue nelle vene, quelle le diamo tutti per scontate
(!). La sorpresa è nel sistema economico e nei
paradossi etici che stanno dietro a molti campi
per rifugiati, a molte campagne di «intervento
umanitario».
Rileggiamo con Polman la storia degli ultimi sessant’anni analizzando, oltre alle politiche governative e alle strategie militari, anche le scelte e i
comportamenti di un attore della contemporaneità finora rimasto ai margini della storia ufficiale:
le organizzazioni umanitarie.
Il «mercato della misericordia», che potrebbe
rappresentare per entità economica una delle
principali potenze mondiali, è un sistema in crisi,
soprattutto in crisi di identità. L’aura di neutralità
che da sempre distingue le organizzazioni umanitarie non regge agli occhi di chi, come Polman, ha
avuto il coraggio e l’intelligenza di andare oltre i
comunicati stampa e gli slogan di grandi e piccole organizzazioni umanitarie.
Così, per esempio, ci viene raccontata la «crisi
ruandese», quando l’eccesso di aiuti e la brama
delle Ong consentì agli estremisti hutu di portare
avanti, dai campi per i rifugiati dell’Unhcr a Goma,
una campagna di sterminio contro i tutsi.
Ogni intervento umanitario è una scelta politica
(consapevole o meno) e ogni missione umanitaria
ha conseguenze politiche (azzeccate o meno).
Leggendo il libro, viene il forte sospetto che i valori
su cui si basa ancora oggi la solidarietà internazionale siano spesso pretesti o invenzioni mediatiche
per giustificare una politica globale che mira a
sfruttare gli aiuti umanitari per fini disumani.
Devo scrivere a Linda Polman per ringraziarla del
viaggio.
Leggere
CARTA CANTA L’«altro» nella stampa periodica italiana
C
osa sappiamo realmente delle «guerre lontane? Quanto
spazio trovano nei mezzi d’informazione? E, soprattutto,
cosa può fare ciascuno di noi?». Apriamo il 2013 di Carta Canta
con gli interrogativi posti da Famiglia Cristiana (18 novembre 2012) nell’editoriale Nelle nostre case solo guerre
da «prima pagina»: qui il settimanale cattolico sintetizza
i contenuti dell’ampio capitolo dedicato all’informazione
nel volume Mercati di guerra, IV Rapporto di ricerca su
finanza e povertà, ambiente e conflitti dimenticati (Il Mulino). Si tratta di una ricerca annuale realizzata proprio da
Famiglia Cristiana in collaborazione con Caritas Italiana e
Il Regno. Tre i punti salienti della sintesi.
Anzitutto la constatazione che la grandissima parte dei
conflitti viene ignorata dai mezzi di informazione: «In
queste settimane tocca alla Siria. In Tv, nei giornali,
nel web (...) L’anno scorso era la volta della Libia. E
prima l’Afghanistan, il Darfur, la Somalia. Alcuni conflitti entrano
nelle nostre case, ma sono solo quelli “da prima pagina”. Nel
mondo, però, si combatte e si muore in almeno una trentina di
altri luoghi: Palestina, Sudan, Congo, Yemen, Nigeria, Ciad, tanto per fare i primi nomi [...] Sono i cosiddetti “conflitti a bassa
tensione”, ignorati da tutti».
La seconda annotazione consiste nel riscontrare che, nonostante sia un conflitto «da prima pagina», «la stessa guerra siriana
viene ricordata solo dal 10% degli italiani. Quelle africane sono
presenti nella coscienza solo di una esigua minoranza degli intervistati, fatta eccezione per il conflitto libico dello scorso anno
(26% del campione). Appena otto su cento ricordano il Darfur. E,
addirittura, uno su cento il Congo. Per non parlare di Pakistan,
Libano o Cecenia, menzionati solo dal 2% degli intervistati».
Infine, un segnale di speranza: nonostante quanto detto al
punto precedente, «la conoscenza dei singoli conflitti appare
in aumento. Ed è altissima, ormai, la percentuale (quasi otto
su dieci) di coloro che considerano la guerra “evitabile”, non
“ineluttabile”. C’è, poi, maggiore consapevolezza sulle cause
delle guerre: dalle questioni energetiche all’aumento del prezzo
del cibo, alle speculazioni economico-finanziarie».
Nel rispondere alla domanda di apertura - «Cosa può fare ciascuno di noi?» - Famiglia Cristiana in questo editoriale lascia
in secondo piano l’idea di un possibile impegno collettivo di
denuncia e richiamo delle istituzioni e dei vari attori protagonisti
del contesto globale, pur essendo questo un fatto richiamato in
Mercati di guerra. Privilegia invece il livello della responsabilità
personale, soprattutto per chi si occupa di informazione, invocando «una maggiore solidarietà dell’opinione pubblica nei confronti delle vittime delle guerre. Per questo, siamo tutti chiamati
a raccontare, al meglio delle nostre possibilità, quelle aree del
mondo troppo spesso oscurate dai media. E a porgere il microfono e dare voce ai popoli che non hanno voce tra le nazioni».
Elvio Schiocchet e Maria Grazia Tanara
62 Popoli gennaio 2013
dall’altra si è mosso agli occhi della
gente «come un antico Padre della
Chiesa»: un uomo che «è stato quel
che ha detto» con il patrimonio di
parole che ha consegnato. Pellegrino per il mondo, incontro a tutte le
genti. [Mondadori, Milano 2012, pp.
471, euro 19]
Ryszard Kapuściński
Se tutta l’Africa
A sei anni dalla morte di Ryszard
Kapuściński, vengono ripubblicati
dieci suoi reportage apparsi sul
settimanale Polityka tra il 1962 e
il 1966. Sono articoli, scritti con
un taglio narrativo, nei quali il
grande reporter polacco descrive
il periodo della decolonizzazione
degli Stati africani: la nascita di
nuovi Paesi, i profili dei capi che li
guidano, la crisi dei primi sistemi
politici e storie di persone comuni.
Storico per formazione e per passione, l’A. ha osservato ogni cosa sul
posto, rischiando talvolta la vita.
A distanza di più di quarant’anni,
questi articoli mantengono tutta la
loro attualità e continuano a essere
cruciali per andare alle radici dei
problemi africani. [Feltrinelli, Milano 2012, pp. 288, euro 13,60]
Opal
Affari di armi.
Percorsi di pace
Come hanno fatto armi italiane a
finire nelle mani di terroristi di Al
Qaeda? E chi ha armato per anni
Gheddafi prima di trovare più opportuno fargli la guerra? Queste e
altre domande strettamente legate
all’attualità occupano il primo capitolo del quinto Annuario di Opal
(Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e
difesa), Onlus promossa da diverse
realtà dell’associazionismo bresciano impegnate nel campo della nonviolenza e della pace.
Un approfondimento che da solo
giustificherebbe la lettura. Ma il
cuore del volume è, come ogni anno, la ricerca sulle dinamiche del
commercio internazionale di armi,
Italia compresa, con una messe di
dati aggiornati.
Completa il libro un capitolo intitolato «La memoria», dedicato alla rievocazione di buone pratiche
nonviolente e antimilitariste del
passato, ancora oggi dense di significati. [Emi, Bologna 2012, pp.
271, euro 17]
Martha C. Nussbaum
La nuova
intolleranza.
Superare la paura
dell’islam e vivere
in una società più
libera
Una difesa vigorosa della libertà
religiosa delle minoranze dinanzi
alla dilagante islamofobia che ha
interessato (con forme in parte diverse) sia l’Europa sia gli Usa dopo
l’11 settembre 2001. L’ultimo saggio
della filosofa Martha Nussbaum,
docente di Diritto ed Etica nell’Università di Chicago, si concentra
sulle questioni calde legate alla presenza delle minoranze musulmane
in Occidente.
Ma le tesi che avanza hanno una
valenza universale e non sono disgiunte dall’esperienza dell’A. che,
sposando un ebreo e convertendosi,
ha vissuto personalmente l’oppo-
sizione antisemita della famiglia
protestante di origine.
Nussbaum rimette in discussione
i nostri atteggiamenti legati alla paura e analizza le dimensioni
psicologiche e sociali di attitudini
che condizionano fortemente gli
orientamenti politici, attraverso
una serie di casi concreti: dal divieto svizzero di costruire minareti,
alle varie proibizioni di portare il
foulard in luoghi pubblici, all’incoerenza di alcune campagne contro
il burqa.
L’Europa, per la sua storia e la
costruzione degli Stati sul concetto romantico di nazione, è meno attrezzata degli Stati Uniti di
fronte all’intolleranza verso le minoranze religiose. L’identità degli
Usa, costruita invece intorno a
principi politici, li dovrebbe favorire nell’uguale rispetto per tutti i
cittadini. Oltre a indicare questo
presupposto, Nussbaum illustra
l’importanza di essere capaci di
un pensiero religioso critico e di
sviluppare un’immaginazione che
consenta di vedere il mondo anche
nella prospettiva degli altri. Pre-
supposti per costruire un futuro
aperto e inclusivo. [Il Saggiatore,
Milano 2012, pp. 260, euro 17]
Alessandro
Pellegatta
Agim. Alla
scoperta
dell’Albania
Albania, ultima frontiera d’Europa: questa immagine ha spinto
l’A. a viaggiare per il Paese delle
aquile, attraversarne i luoghi della
natura, le città, cercando i segni
di una storia di povertà e isolamento (dalla lunga dominazione
ottomana allo stalinismo interpretato in chiave locale). Nel racconto
vivo del reportage emergono mille
aspetti di una terra orgogliosa
e consapevole, geograficamente
vicina, ma sempre troppo poco
conosciuta in Occidente e anche
in Italia (dove vivono circa mezzo
milione di albanesi).
Con la passione del viaggiatore che
BABEL Radici straniere, parole italiane
È
appena uscita in formato eBook la raccolta Kronos
’90. Poesie in bianco, nero e grigio (della neonata
casa editrice digitale Freccia D’oro), di Jorge Canifa
Alves. Si tratta di una selezione di poesie - la maggior
parte scritte negli anni ’90 -, divise in base a tre «colori», appunto il bianco, il grigio e il nero. «ll grigio - scrive
in una nota il poeta - continuerà ad avere una parte
molto importante in me e nelle mie opere perché sono
Jorge Canifa Alves
convinto che il mondo di domani avrà quest’anima:
Kronos ’90.
grigia, creola, meticcia, perché rappresenta la libertà
Poesie in bianco,
di aver in sé due colture al prezzo di una, due culture
nero e grigio
che puoi coltivare insieme».
Freccia D’oro 2012
Questa la dichiarazione d’intenti del poeta capoverdiaeBook euro 5,50
no Jorge Canifa Alves, nato nel 1972 sull’isola di São
Vicente. Appassionato di letteratura (ha pubblicato
già diversi racconti in antologie edite da Fara Editore,
Mangrovie, Cadmos, Edizioni Dell’Arco) e di teatro, ha
fondato nel 2006 il gruppo teatrale Raiz Longe, portando in scena diversi spettacoli, tra cui Gli affamati. Dopo
alcuni anni trascorsi in Spagna, è tornato a Roma dove
gennaio 2013 Popoli 63
si occupa di migrazioni, teatro e scrittura.
Leggere
chiesa oggiSiddhartha
e domani Deb
Chi vince e chi perde
nella nuova India
I
l giornalista e scrittore Siddhartha Deb ha appena pubblicato il suo primo saggio
Belli e dannati. Ritratto della nuova India (Neri Pozza 2012, pp. 351, euro 18),
un lungo reportage frutto di quattro anni di viaggi, incontri, interviste nell’India
contemporanea. Siddhartha ci racconta l’India attraverso le storie di cinque personaggi rappresentativi: dal ricco «smanioso e impaziente, con abitudini di consumo
esasperate», all’ingegnere solitario ritenuto «l’emblema della nuova India», alla
cameriera con turni di lavoro alienanti che desidera fare la maestra.
Uno dei protagonisti del libro è il super ricco Arindam Chaudhuri, fautore del management in stile indiano. Ci può spiegare che cosa caratterizza il capitalismo indiano?
Il capitalismo indiano degli ultimi vent’anni è molto particolare. Non è cresciuto
intorno alla produzione industriale, come è successo per il vecchio capitalismo o
negli anni Ottanta, quando in India si produceva abbigliamento. Il nuovo capitalismo indiano gira intorno al mondo dei software, dell’IT (information technology),
dell’economia della conoscenza. E sicuramente Chaudhuri, un businessman che
viene dal mondo della pubblicità, fa parte di questo capitalismo: ha creato molte
scuole di management, appoggiate dal governo, ma anche mass media, riviste e
una casa di produzione cinematografica che ha prodotto film di successo in stile
Bollywood. Tutto gira intorno al marketing, all’immagine, ai simboli.
Durante il suo reportage ha anche visitato le Zes (Zone economiche speciali) che
stanno avendo un impatto notevole sul paesaggio indiano...
Per le Zes è stato preso come modello la Cina, dove si sono costruite zone in
cui esistono facilitazioni fiscali che permettono la creazione di nuove fabbriche e
industrie. Seguendo questo modello, si voleva trasformare l’India in una potenza
manifatturiera, ma questo non è avvenuto. La grande differenza tra Cina e India
oggi è che la ricchezza indiana è basata sull’economia della conoscenza. Io ho
visitato due Zes dove non sono state costruite industrie, ma enormi ville per ricchi,
hotel a 5 stelle... Insomma le detrazioni fiscali erano sussidi al consumo per classi sociali elevate e ciò ha creato problemi. Il territorio è cambiato profondamente.
In questi Zes sembra di essere a Dubai: enormi shopping mall, centri commerciali
con centri benessere, zone uniformi e anonime, insomma un paesaggio scollegato
dalla vera India. E per far questo si sono distrutti interi villaggi.
In questo inesorabile sviluppo indiano, infatti, i contadini sono i grandi assenti. Che
cosa sta succedendo all’agricoltura?
Il mondo dell’agricoltura sta conoscendo un periodo di
enorme difficoltà dovuta alla crisi generale. In India ci sono oltre 400 milioni di agricoltori sottoposti a forti pressioni dal mercato, obbligati a coltivare colture ad alto reddito,
come gli Ogm, che sappiamo essere costosi, richiedere
molti investimenti ed essere insostenibili perché richiedono enormi quantità di acqua. E la situazione della falda in
India è molto problematica. Dal 1997 al 2005 sono stati
più di 200mila i suicidi tra agricoltori dovuti a problemi
di debiti. Quando mi sono trovato a parlare con loro,
quasi tutti hanno espresso il desiderio che i loro figli non
diventassero agricoltori, un lavoro troppo duro e poco
redditizio, ma che lavorassero nel mondo dell’IT.
64 Popoli gennaio 2013
vuole abbattere stereotipi e pregiudizi xenofobi, il libro percorre gli
itinerari di alcuni grandi autori
come Byron o Rigoni Stern, che
già in passato hanno messo in luce
il fascino dei contrasti schipetari.
[Besa Editrice, Nardò (Le) 2012, pp.
164, euro 16]
Filippo Rizzi
Quelli che fecero il
Concilio. Interviste
e testimonianze
Filippo Rizzi, giornalista di Avvenire, raggiunge in questo libro
lo scopo dichiarato di dare vita
al Concilio Vaticano II attraverso
il ricordo appassionato di sedici
testimoni. Alcune testimonianze,
come quella del cardinale Carlo
Maria Martini sono brevissime,
altre più estese. Tutte, però, sono accomunate dall’intensità della
vita di fede di questi uomini che,
presenti o meno alle sedute dell’assise conciliare, nel mezzo secolo
successivo hanno cercato di mettere in pratica ciò che lo Spirito ha
suggerito alla Chiesa.
Ecco i nomi dei protagonisti intervistati: Loris Capovilla, Georges-Marie Cottier, Roger-Marie
Etchegaray, Paul Poupard, Achille
Silvestrini, Roberto Tucci, Carlo
Maria Martini, Albert Vanhoye,
Battista Mondin, Luigi Bettazzi,
Giovanni Canestri, Raniero La
Valle, Ettore Masina, Benny Lai,
Giovanni Coppa e Paolo Molinari.
La prefazione è affidata al direttore emerito della Civiltà Cattolica, Gian Paolo Salvini. [Edizioni
Dehoniane, Bologna 2012, pp. 121,
euro 9,90]
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Rengaine
Lei araba, lui nero, una relazione che infrange
molti tabù, anche nella periferia parigina in cui
vivono. Un film di grande potenza che merita
di uscire dai confini francesi
T
eso, sincero e «puro»
cinema, come un film
di Cassavetes aggiornato
al cinema digitale, Rengaine di Rachid Djaïdani
racconta una sorta di Romeo e Giulietta suburbano
e contemporaneo. Mosaico
di volti, persone, storie,
racconti periferici che s’intrecciano nella banlieue, la
periferia parigina, inattesa
culla di razzismi tra poveri
e di non integrazione tra
non integrati.
Il nero, anzi «negro», africano, cristiano e pacifico
Antenn
li
loba
eg
Dorcy vuole sposare - ricambiato - Sabrina, ragazza musulmana di origine
algerina, sorella di Slimane, il più vecchio di una
quarantina di fratelli. Slimane cerca Dorcy per le
strade per pestarlo, forse
ucciderlo. Slimane, razzista e violento, che ha anche allontanato dalla famiglia un fratello omosessuale, tuttavia nasconde a
tutti una relazione con una
ragazza ebrea.
Il film antirazzista più potente e libero - nel cuore,
nel pensiero e nel modo in
cui usa il linguaggio cinematografico - degli ultimi
Televisa
Il più grande network televisivo in lingua spagnola
al mondo è la rete messicana Televisa, fondata negli
anni Cinquanta e oggi guidata da Emilio Azcárraga
Jean, erede di una delle più ricche famiglie messicane. Con quasi duecento serie trasmesse dal 1958 a
oggi, è stata la rete incontrastata delle telenovelas,
seguite dalla California fino alla Terra del Fuoco.
Oltre a trasmettere in Messico, il gruppo raggiunge il
pubblico ispanofono di tutta l’America latina e degli
Usa. Inoltre dal 2012, con la nuova Televisa Usa, con
sede a Los Angeles, si sta lanciando nel mercato
televisivo in lingua inglese.
Televisa controlla il 70% degli ascolti in Messico.
Nel 2012 è stata accusata dal quotidiano britannico
The Guardian di avere formato un’unità segreta (equipo Handcock) in appoggio al candidato presidenziale del Partito repubblicano, Enrique
Peña Nieto, poi risultato vincitore.
Il gruppo Televisa è anche proprietario del celebre stadio Azteca di
Città del Messico.
anni: Rengaine (cantilena,
nenia) è stato accolto da
un applauso di venti minuti all’ultima Quinzaine
a Cannes. È uscito a metà
novembre nelle sale francesi, non ha ancora una
distribuzione italiana, ma
ci auguriamo che qualcuno se ne (pre)occupi al più
presto.
L’autore, di padre algerino e madre sudanese, è
cresciuto in una famiglia
di undici fratelli e sorelle.
Ex campione di boxe, ex
muratore, ex attore, ha realizzato Rengaine quasi a
costo zero, in nove anni
di lavorazione e 400 ore di
girato, per un montaggio
finale di quasi settantacinque minuti potenti.
Mostra i volti dei suoi attori dai colori diversi, visi
scuri nel buio notturno,
sguardi arrabbiati, sguardi
gentili, amori, ma soprattutto odio. Odio che - come la povertà rispetto alla
ricchezza - nella banlieue
è spesso più diffuso dell’amore. Non è un caso che
Djaïdani, qui al suo primo
lungometraggio da regista,
abbia cominciato a lavorare nel cinema (era addetto
alla sicurezza) proprio sul
set di La haine (L’odio) di
Mathieu Kassovitz, capolavoro sulle strade violente e
la rabbia degli emarginati,
degli esclusi dal festino del
potere e delle pance piene.
La periferia è il luogo dove
può ancora esplodere la
violenza più cieca, la logica delle «tribù» che non si
sono mai integrate fra loro
e ancora meno con il Centro. Nell’ideologia concentrazionaria, che da sempre
muove il Potere, bisogna
concedere una valvola di
sfogo alla rabbia. Che cosa
di meglio può esservi della
guerra fra poveri, fra i
«ghettizzati» e le minoranze schiacciate da altre minoranze? Rengaine racconta magnificamente come
questo avvenga attraverso
i razzismi tra «neri», chi
più nero di pelle chi meno. Cattolici, musulmani,
ebrei, omosessuali, neri:
tutti siamo minoranze e
feccia per qualcuno.
Puro cinema destabilizzante, disturbante e diretto, già ribattezzato
«cinéma-guérrilla» dalla
rivista Les Inrockuptibles,
Rengaine scorre veloce e
diretto come un rap di
strada, poetico, arrabbiato,
violento e sincero.
Luca Barnabé
gennaio 2013 Popoli 65
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A cura dell’Osservatorio Media Research di Pavia
Campagna Usa 2012,
trionfa la pubblicità
La propaganda elettorale delle presidenziali
è stata segnata da livelli record di spesa
pubblicitaria e numero di spot aggressivi
S
e un osservatore volesse esplorare le dinamiche e le logiche che hanno
caratterizzato la campagna
elettorale nonché il ruolo dei media nelle elezioni Usa del 2012, dovrebbe
dedicarsi alla visione delle
dieci puntate della serie tv
The Newsroom, ambientata
in una non troppo immaginaria redazione di una
Tv via cavo. Il potere dei
media nella definizione
dell’immagine pubblica dei
candidati, la competizione esasperata che plasma
tutto il processo elettorale,
gli scandali, i rumors e la
personalizzazione della politica, la crescente polarizzazione tra conservatori e
progressisti, il primato della
pubblicità elettorale, il ruolo di internet: questi sono i
nodi di una campagna elettorale che ha visto crescere
in maniera esponenziale le
spese elettorali e che ha testimoniato una progressiva
radicalizzazione del clima
politico.
In sintesi, due sono le caratteristiche principali emerse:
il volume della pubblicità
elettorale e dei fondi spesi per la campagna e la
crescente polarizzazione
della sfera politica e, conseguentemente, della sfera
mediatica, sia tradizionale
sia legata ai new media.
Gli investimenti in pubblicità elettorale sono stati
senza precedenti: negli Usa
non esistono limiti ai fondi che candidati, partiti o
gruppi di pressione possono spendere in propaganda
politica. Tale prerogativa
riguarda anche i cosiddetti super Pacs, i «Comita-
ti di spese indipendenti».
Tali gruppi non possono
finanziare direttamente i candidati, ma possono impegnarsi in attività
di campagna a favore o
contro un candidato, senza tetti di spesa. Inoltre,
possono raccogliere fondi
da corporations, sindacati
e altri gruppi senza alcuna
restrizione (dopo una sentenza del 2010 della Corte
suprema). Da giugno a ottobre 2012, si è generato un
circolo di investimenti pubblicitari da parte di questi
gruppi «esterni» superiore
al miliardo di dollari.
Secondo il Wesleyan Media
Project (Wmp), il numero di
spot trasmessi da candidati,
Documentari a cura di BiblioLavoro - Cisl Lombardia
Israele-Palestina: due popoli, una terra
HOW FAR I CAN GO
Regia di Ulrike Ramlow, Rimonda Mansour, Steffen Ramlow. Germania-Palestina
2009, 72’ (sott. inglese)
Ritratto di tre donne, tra ideologia e vita reale nei loro Paesi: Palestina e Israele.
Maha Nassar, palestinese di Ramallah, Nitza Aminov, israeliana di Gerusalemme,
Afnann Eghbaria, palestinese di Haifa. Apertamente parlano delle loro convinzioni
politiche e delle esperienze personali, riflettendo su questioni chiave come identità, frontiere, famiglia, vita e morte.
LA PACE COME l’ACQUA
Regia di Myrice Tansini. Italia 2000, 23’
Nel conflitto continuo tra Israele e Autorità Palestinese, mentre due popoli condividono lo stesso territorio, il problema dell’acqua sembra essere irrisolvibile. Il
documentario, oltre allo scorrere delle acque insegue un altro percorso possibile
e sempre più necessario, quello della pace. La relazione tra la pace e acqua
cambia i punti di vista e rimette tutto in discussione, racchiudendo la possibilità
di un futuro vivibile.
THE LAST ENEMY
Regia di Nitzan Gilady. Israele 2000, 58’ (sott. inglese)
Nel 1998 si forma un gruppo teatrale molto particolare nella sua composizione:
lavorano insieme attori provenienti da Israele, Palestina e Giordania, per portare
in scena un testo americano incentrato sul conflitto israeliano-palestinese. Tra
perplessità e speranze di una convivenza sostenibile.
Per il prestito dei video:
BiblioLavoro
(librigennaio
- video 2013
- archivi storici), tel. 02.24426244 - [email protected]
66 Popoli
17-23 gennaio
Trieste
XXIV edizione del Trieste
Film Festival, dedicato alla
cinematografia dell’Europa
centro-orientale.
www.triestefilmfestival.it
21-27 gennaio
Milano
Al Teatro Piccolo, La Rosa
Bianca, di Lillian Groag, in
memoria della resistenza
al nazismo.
www.piccoloteatro.org
Fino al 3 febbraio
Roma
Mostra Akbar. Il grande
imperatore dell’India. www.
fondazioneromamuseo.com
partiti e gruppi di pressione
da giugno 2012 ha superato
il milione, con un aumento del 39% circa rispetto
al 2008. Inoltre, i gruppi
esterni hanno investito in
pubblicità elettorale in misura nettamente superiore
rispetto ai candidati e ai
partiti stessi, con evidenti implicazioni rispetto al
ruolo esercitato da facoltosi
gruppi di interesse nel processo elettorale. Secondo il
codirettore del Wmp, Erika
Franklin Fowler, «è senza
dubbio il livello più alto di
investimento pubblicitario
mai visto sinora». I mercati mediatici dei cosiddetti
«swing States», gli Stati in
cui la vittoria di uno dei
due candidati non era data per certa, sono stati i
principali beneficiari della
campagna pubblicitaria.
La propaganda elettorale è
stata inoltre caratterizzata
da alti livelli di «negativi-
tà»: i dati del Wmp mostrano che la maggior parte dei
messaggi si è concentrata
sull’attacco o sulla critica
dell’avversario politico e
solo un’esigua parte degli
spot si è focalizzata sulla
reale proposta politica.
La negatività non ha solo improntato la pubblicità elettorale. Sia i dati
Pej (Pew Center’s Project),
sia quelli della missione
di osservazione elettorale
dell’Osce, hanno evidenziato come in alcuni canali
via cavo - in particolare
Msnbc (di stampo liberale)
e Fox News (a vocazione
conservatrice) -, la rappresentazione dei due candidati sia stata caratterizzata
da alti livelli di criticità e
di attacco esplicito. Msnbc
contro Mitt Romney (toni
negativi nell’80% dei casi),
Fox News contro Obama
(70% dei casi).
Internet, in continuità con
le tendenze osservate nel
2008, si è ormai affermato
come una delle principali
fonti d’informazione elettorale, anche se la Tv, in particolare quella locale, riveste ancora un ruolo cruciale
nella «dieta mediatica» degli
statunitensi. In questo contesto, i social media hanno
ricoperto un ruolo rilevante
nella definizione di temi e
toni della campagna. Secondo uno studio del Pej,
le conversazioni pubblicate
su Twitter, Facebook e una
serie di blog nell’ultima settimana di campagna sono
state estremamente negative verso i due principali candidati, in particolare
verso Mitt Romney.
Giovanna Maiola
Invito a teatro
La nave fantasma
S
i parla sempre poco in Italia di richiedenti asilo,
forse per la crisi economica che impone altre
priorità, forse per l’indifferenza di molti politici. Le
domande d’asilo sono in netto
calo, non perché vi siano soluzioni alle crisi umanitarie, ma
per le carenze nell’accoglienza o, peggio, per l’estrema
difficoltà nel raggiungere il nostro Paese da Corno d’Africa,
Afghanistan, ecc.
Per questo uno spettacolo come La nave fantasma, di Giovanni Maria Bellu, Bebo Storti
e Renato Sarti, da anni sui
palcoscenici dei teatri italiani e,
n e l
2005, vincitore del Premio Gassman, è uno spettacolo ancora tremendamente attuale. Racconta di un
fatto di cronaca avvenuto il 25 dicembre 1996 quando, al largo delle coste siciliane, affondò un battello
carico di migranti provenienti da Sri Lanka, Pakistan e
India. Ben 283 persone morirono nella più grave tragedia navale nel Mediterraneo dopo la seconda guerra mondiale. Della nave fantasma non
parlarono né i media né le istituzioni.
Furono i pescatori della zona a far
trapelare notizie della tragedia, perché recuperarono decine di cadaveri
con le loro reti a strascico. Nel 2001
il reportage di Giovanni Maria Bellu
e le immagini della nave affondata
rivelarono la vicenda che però non è
stato ancora indagata del tutto, né il
relitto è mai stato recuperato.
Lo spettacolo - in scena dal 22 al
27 gennaio al Teatro Cooperativa di Milano - è un
racconto forte che invita a non dimenticare questa
tragedia né il fatto che il fenomeno migratorio continua a seminare morti in mare, così come nel Sahara
e nei centri di detenzione-lager della Libia.
gennaio 2013 Popoli 67
Ascoltare
Musica baltica,
rock e saghe pagane
Le nuove produzioni pop in Estonia, Lettonia
e Lituania riprendono leggende antichissime
della tradizione musicale artica
T
erre di leggende pagane antichissime,
dove il mare e i boschi
sono abitati da divinità
capricciose da ingraziare
con riti di fuoco, i Paesi
baltici nascondono una
tradizione musicale antica che oggi si mescola
con una musica pop dalle
atmosfere eteree e impalpabili. Lituania, Lettonia
ed Estonia sono spesso
associate tra loro - e non
si può negare che siano
molti i punti di contatto
fra i tre Paesi -, ma pro-
prio la musica può essere
un’interessante via per
scoprire le peculiarità di
ciascuno di questi popoli.
Probabilmente la più famosa tradizione musicale
è quella dei daina lettoni: canti popolari in rima, carattere distintivo
della cultura nazionale,
che rappresentano una
forma di arte orale che
ha sopperito nei secoli
alla mancanza di manifestazioni letterarie più
tangibili e che ha svolto un importante ruolo
anche negli anni della la band, Ilga ha girato
lotta per la liberazione per anni nei villaggi della
dall’Urss che, non a caso, Lettonia raccogliendo le
viene ricordata come «la daina direttamente dalla
rivoluzione cantata». In voce degli anziani, per
estate i numerosi festival riarrangiarle e farne ogcanori animano le città e getto di proprie canzoni.
i villaggi più piccoli con Il cd Tur saulīte pērties
gāja (2011) ricori, danze in
esce a mescocostume tradilare le antiche
zionale e gransonorità a medi bevute di
lodie attuali
birra. Lunghe
suonate con
sere miti in cui
strumenti trai canti popodizionali e molari riechegderni, creando
giano in tutto Iļģi
u n’at mosfe r a
il paese come Tur saulīte
struggente e
nei secoli pas- pērties gāja
nostalgica.
sati. Interpre- 2011
Ma la musica
te attuale dei
daina è la folk band Iļģi, della Lettonia non è sofondata da Ilga Reizniece, lo daina. La band Brainviolinista dell’Accademia storm raggiunse la popomusicale lettone. Insieme larità internazionale clasagli altri componenti del- sificandosi terza all’Eu-
STRUMENTI
Cuatro
C
uatro sta per quattro corde: questo è il nome di una chitarra
di dimensioni ridotte tipica del folclore latino dell’America centrale e
del Sudamerica. Questo strumento è
presente nel panorama musicale di
Colombia, Giamaica, Messico e anche
di Suriname e Trinidad e Tobago, come
accompagnamento di danze e canti. A
Porto Rico e in Venezuela viene impiegato nella musica popolare e in quella
religiosa.
A prima vista è abbastanza simile all’ukulele polinesiano,
solo un po’ più grande, ma il suono è più ricco, a metà
strada tra quello della chitarra e del banjo, qualcuno dice
persino del mandolino. Il cuatro è uno dei lasciti della colonizzazione spagnola: gli iberici, infatti, portarono con loro
anche la tradizione musicale e, tra gli strumenti, la chitarra.
A Porto Rico il cuatro ha vissuto numerose trasformazioni e
adattamenti. Inizialmente (quello che ora viene definito cuatro antiguo) era a forma di buco della serratura con 4 corde
ricavate da viscere di animali, poi sono nati nuovi modelli,
portati
da contaminazioni
68 Popoli
gennaio 2013 esterne. Nel primo ventennio del
Novecento, gli artigiani abbandonarono la storica forma
per adottare quella a violino,
e rimpiazzarono le corde con
altri materiali, dando un tocco
più raffinato. Viene solitamente ricavato da un blocco di
legno di alloro, apprezzato per
la sua capacità di risonanza,
poi lucidato e non verniciato
per non sacrificarne il suono. Generalmente il cuatro
accompagna altri strumenti
simili e viene utilizzato durante le processioni religiose
legate al culto popolare della Vergine e dei santi. Sempre
nell’isola caraibica, è identificato storicamente come lo
strumento tipico dei jibaros, ovvero i contadini delle montagne. Il cuatro viene inoltre utilizzato per accompagnare
gli aguinaldos, le tradizionali canzoni natalizie dell’isola,
eseguite casa per casa.
Per averne un esempio in una versione pulita e classica,
niente di meglio delle canzoni del grande compositore portoricano Pedro Flores (scomparso nel 1979), autore di ballate
e bolero, come Perdón o Obsesión.
Alessandra Abbona
rovision song contest nel degli Skamp, che fondono XXI secolo, come fanno
2000. Il singolo in inglese un pop europeo con in- le Vanilla Ninja, tre bionMy star ha scalato le clas- cursioni hip-hop, anche dissime ragazze che cansifiche facendo conoscere grazie alla frontwoman tano in estone e inglese
la produzione musicale del gruppo, l’irlandese un pop-rock aggressivo
pop baltica al resto del Erica Jennings, come nel- che strizza l’occhio alle
mondo. Brainstorm, all’a- la hit You got style. E può girl-band d’Oltreoceano.
pice del successo, fu la essere interessante anche Ma è singolare come proprio il più fin15 gennaio
band di supporto ai Rol- ascoltare i Fojė,
nico dei Paesi
Venezia
ling Stones nel loro con- storica band di
baltici abbia
Andrius Ma­
All’isola
certo di Praga del 2003.
prodotto
i
della Giudecca,
La Lituania condivide con montovas, che
Metsatöll, una
concerto di tango
la Lettonia l’amore per ha accom­pa­
band che suoto con le
di Miranda Cortes,
i culti pagani che pre- gna­
na un folkfisarmonicista
cedettero la cristianizza- proprie canzoni
metal pagano
franco-spagnola.
zione del Paese. Durante le giovani geJurga Šeduikytė
(come
loro
di Aukso
www.mirandacortes.it
i Rasos dienos (i giorni nerazioni
pieva
stessi amadella rugiada) si salta at- vent’anni fa at- 2007
no definire
traverso il fuoco e ci si traverso la lotta
25 gennaio
cosparge il viso con la per l’indipendenza. Nieko la propria musica), con
Cervignano (Ud)
rugiada ritenuta magica, Panašaus è il brano culto, una profusione di batte Al Teatro Pasolini,
mentre nei fitti boschi anche in versione cover ria e chitarre elettriche
insieme a flauti e corni. Il
«Carmen. The land of
spiriti e folletti diventano proprio degli Skamp.
dances», concerto
reali, anche se solo sotto Tutti gli esponenti del- loro ultimo album, Tuska
di jazz con
forma di strambe sculture la musica folk baltica si (2011), raccoglie il meglio
contaminazioni
di legno. Jurga Šeduikytė riuniscono ogni estate a del gruppo registrato li
di musica etnica.
ha fatto propri i suoni e Tallin, in Estonia, per il ve durante un concerto a
www.teatropasolini.it
le allegorie mitiche delle Baltic folk festival, ma è Helsinki, in Finlandia.
feste pagane per produrre ogni cinque anni che ha
Danilo Elia
una musica pop melodica luogo un evento da guine onirica, soprattutto gra- ness, il festival della caneventi
zie alla sua voce velluta- zone estone, che culmina
ta. Vera e propria pop star con il coro più grande del
A Lugano suoni in mostra
mondo, formain Lituania,
to da 30mila
Jurga ha vinto
ifficile raccontare la mostra «Tü ta too. L’orecchio in viaggio»
elementi che
nel 2007 l’Mtv
(Lugano, fino al 10 marzo) perché è un’iniziativa tutta da
intonano canti
Music Awards
ascoltare: un viaggio nel patrimonio sonoro che ha come guida il
popolari.
come miglior
nostro orecchio nell’esplorazione del tema dell’identità individuaAnche in Estoartista baltile e collettiva.
nia non manca. Nel suo cd
Attraverso una selezione di registrazioni provenienti dagli archivi
cano ensemble
Aukso pieva ci
della Fonoteca nazionale svizzera si ragiona su suoni, voci, brani
che raccolgono
porta con domusicali che definiscono e contraddistinguono ciascun cantone:
Metsatöll
inni religiosi, sigle televisive, cori dei lavoratori, canti popolari.
nella propria
dici canzoni Tuska
Un’attenzione particolare è rivolta alla qualità dell’ascolto: in un
produzione
da ascoltare 2011
mondo tempestato da rumori, senza che quasi ce ne accorgiamo, i
musicale le antutte d’un fiato
suoni della società influiscono sulla nostra capacità di ascoltare:
direttamente sulle vento- tiche tradizioni con l’uso
una cosa è apprezzare il jazz nel proprio salotto, un’altra sentirlo
se coste del Mar Baltico. di strumenti del passato
nelle cuffie in mezzo al traffico. Il percorso interattivo ce ne dà un
Anche la Lituania non come Kiri-uu, il duo a
saggio e ci coinvolge nel gioco di associare delle voci ad altrettanti
è però impermeabile alla cappella dei fratelli Olev e
volti e di combinare insieme suoni d’atmosfera, rumori d’azione,
modernità, e dal punto di Arno Muska; oppure che
spezzoni musicali e dialoghi per comporre una storia. Seduti su
vista musicale lo si capi- si ispirano al folk per riuna panchina ci si può immergere nel mondo sonoro svizzero.
sce ascoltando le canzoni volgersi alle orecchie del
«Suona» curioso che quello che per molti è il cuore della finanza,
D
nell’immaginario dei suoi abitanti sia una terra dove prevalgono
ancora il cinguettio degli uccelli e i campanacci delle mucche.
gennaio 2013 Elisabetta
Popoli 69 Gatto
Benvivere
Bici e metropoli,
connubio perfetto
Il manifesto del movimento #salvaiciclisti
chiede che in città sia ridotta la velocità
dei mezzi a motore e siano create più piste
ciclabili. E intanto lancia una petizione...
A
metà dicembre erano oltre 7.500 i sostenitori della petizione
«30elode» che chiede di
aumentare la sicurezza
delle strade italiane per
chi va in bicicletta, in
particolare di imporre
un limite di velocità di 30 km/h
per auto e camion nelle
zone residenziali. La
pet i zione
inizia così: «Secondo
i dati Inail,
ogni giorno 57
pedoni sono coinvolti
in incidenti stradali, due
dei quali perdono la vita; di questi il 35% viene investito sulle strisce
pedonali. In totale fanno
730 pedoni morti all’anno
(…) ridurre la velocità media di 20 km/h significa
dimezzare i decessi sulla
strada». Negli ultimi dieci
anni 2.556 ciclisti hanno
perso la vita, mentre nei
primi dieci mesi del 2012,
217 ciclisti sono
stati investiti
mortalmente.
La petizione è stata
lanciata dal
mo­v imento
#salvaciclisti (www.
salvaiciclisti.
it) che, in generale, intende promuovere scelte politiche per
una «città a misura di
bicicletta». Il movimento
#salvaciclisti sostiene che
la bicicletta nella città sia
il vero mezzo sostenibile
da promuovere e diffondere. Ha fatto suo e rilanciato il manifesto in otto
punti «City fit for cyclist»
del Times, un manifesto in
cui si chiede, per esempio,
oltre a piste ciclabili e a
zone con traffico rallentato a 30 km/h, anche la
promozione di iniziative
di trasporto quali il bike
sharing, l’utilizzo del 2%
del budget dell’Anas per
nuove piste, la realizzazione di un Piano Bici. A
questo manifesto e all’ap-
pello che il movimento ha
rivolto ai diversi sindaci italiani hanno aderito
personalità quali Margherita Hack, Jovanotti, Marc
Augè e quotidiani quali
La Gazzetta dello Sport e
Il Fatto quotidiano.
L’ultima iniziativa lanciata dal movimento
è appunto la petizione
«30elode». Per aderire è
sufficiente visitare il sito
www.change.org, mentre
per diffondere la petizione
su Twitter si può utilizzare
l’hastag #30elode.
IL COLORE DEI SOLDI
I numeri
dell’inclusione
finanziaria
degli immigrati
1.
782.
400
S
ono 1.782.400 i conti correnti intestati
a cittadini migranti presso le banche
italiane e BancoPosta. Tradotto in termini
percentuali, significa che il 61% dei migranti
adulti, regolarmente residenti, ha un conto
corrente. Un dato che emerge dall’indagine
dell’Osservatorio nazionale sull’inclusione finanziaria dei migranti del CeSPI (Centro studi politica internazionale) su tutto il sistema
finanziario nazionale. Inclusione finanziaria
e integrazione sociale sono due aspetti che
si intrecciano e che vedono nel rapporto con
una banca il punto di accesso fondamentale.
Daniele Frigeri
Direttore scientifico
Osservatorio CeSPI (www.cespi.it)
70 Popoli gennaio 2013
25-26 gennaio
Bolzano
Convegno
«Casa clima»
sulle tecniche
di costruzione edile
orientate
al risparmio
energetico
www.fierabolzano.it
31 gennaio
Venezia
Termine ultimo per
presentare gli elaborati
del concorso «Affido
la terra anche a te».
Iniziativa ambientale del
Patriarcato, dedicata ai
bambini delle materne.
www.veneziastilidivita.it
Se il vecchio container diventa un mattone
P
arlare di vita nei
container porta subito alla mente spiacevoli
immagini legate a situazioni di emergenza e di
precarietà. Eppure il container, o più precisamente l’«Unità di trasporto
intermodale» (Uti), che
in pratica è un grosso
scatolone metallico impiegato per la spedizione
di merci, sta assumendo
un ruolo di rilievo nel settore della green economy.
L’accresciuto fabbisogno
abitativo della società
moderna ha portato a
scelte e soluzioni mai
sperimentate recuperando vecchi container e dotandoli di allestimenti standardizzati. Sono abitazioni destinate a utenze poco esigenti
e a basso reddito. Il più grande agglomerato di unità
abitative basate sul «modulo-container» è a Ketwonen,
una sorta di città per un migliaio di studenti, a mezz’ora
di bicicletta da Amsterdam. L’aspetto dell’insieme è
molto ordinato, piacevole e dipinto con colori vivaci.
Ogni sistemazione è costituita da due container uniti
sul lato corto per un totale di 25 metri quadrati di
superficie, con bagno, cucina e ampie vetrate. Grazie
alle semplici modalità di concessione degli alloggi e alle
sovvenzioni statali, il posto
è molto ambito. Anche in
Inghilterra, Container City nei
pressi di Londra si presenta
con lo stesse caratteristiche:
colori accesi, affitti esigui,
servizi centralizzati. E l’Università di Le Havre ha creduto in queste potenzialità
creando per gli studenti la
Citè U, impilando una moltitudine di abitazioni con un
ottimo effetto estetico. L’affitto è di a 280 euro al mese.
Ma nel mondo le soluzioni
di questo tipo sono moltissime e variegate. A Zurigo il
Freitag Shop si è aggiudicato
il primato di costruzione con container più alta del
mondo: 30 metri, con 17 vecchi container affiancati,
sovrapposti e collegati tra loro. A Berlino, invece, sulla
Schönhauser Allee sono 34 container che ospitano il
Platoon Kunsthalle, un luogo deputato alle arti. Grazie
alla trasportabilità e flessibilità di utilizzo queste abitazioni low cost sono ottimali per il social housing, come
succede a Yokoama (Giappone), o in Danimarca con
l’HomeLessHome realizzato a Copenaghen.
Roberto Desiderati
SOLIDEE
Accoglienza e assistenza, premiati i camilliani
L’
Onlus torinese Madian Orizzonti dei padri camilliani ha ricevuto, lo scorso novembre, il Premio
«torinese dell’anno» consegnato dalla Camera di commercio. Si è distinta sia per una preziosa attività di
accoglienza sul territorio italiano verso persone sofferenti, ammalati e famiglie e minori stranieri, sia per i
progetti sanitari in zone critiche come Armenia, Georgia e Haiti. Proprio ad Haiti, l’Onlus gioca un ruolo cruciale in quanto gestisce l’ospedale Foyer Saint Camille
(costruito nel 2001) una delle pochissime strutture sanitarie rimaste operative a Port-au-Prince anche dopo il
terremoto del 2010. Per far fronte alle nuove richieste
post-terremoto si stanno costruendo un nuovo blocco
operatorio per ortopedia e chirurgia generale e un nuo-
vo edificio con
40 stanze a due
letti. I camilliani
proporranno corsi di formazione
per il personale
infermieristico
e compreranno
nuove strumentazioni
mediche. Inoltre ogni
mese, grazie a un accordo con il Centro traumatologico
di Torino, medici e paramedici si recano nell’isola per
effettuare interventi chirurgici.
gennaio 2013 Popoli 71
Gustare
L’anima orientale
del basilico
La pianta aromatica conosciuta, ma non
sempre apprezzata appieno in Europa, è invece
valorizzata nella cucina del Sud-Est asiatico
a cucina, a volere
guardare, è attività pericolosa. Perché maneggia
il fuoco, ma soprattutto
perché vorrebbe rendere
inoffensive e commestibili
erbe che, di per sé, avrebbero altra vocazione. Erbe
che paiono innocenti e che,
invece, sono più a loro agio
nel mortaio del mago piuttosto che nella casseruola
della cuoca. Prendiamo, ad
esempio, il basilico. Pianta
reale, il cui nome verrebbe,
appunto, da basileus (cioè
re), sembra creata apposta, con il suo aroma di
gelso­mi­no, liqui­ri­­zia, chio­
di di garofano, per su­sci­
tare l’appetito e profumare
i piatti di tante tradizioni.
Ma, al contrario del mondo
asiatico nel quale è nato e
nel quale è associato alle divinità, cui piace inebriarsi del suo profumo, o
del voudou haitiano che
lo pensa legato alla passione amorosa (I. Allende,
Afrodita, Racconti, ricette
e altri afrodisiaci, Feltrinelli, Milano 1997), nel
Mediterraneo il basilico è
sempre stata una pianta
da maneggiare con cura.
Il sospetto sulle sue qualità
portò Plinio il Vecchio a
dichiarare che poteva generare stati di torpore e di
pazzia, Crisippo a ritenerlo
dannoso per il fegato, Giovan Battista della Porta a
sostenere che dalle foglie
essiccate potessero addirittura nascere scorpioni. Il
basilico, dunque, associato
più all’arte magica che alla
IL VOLUME
«S
apori & saperi - Cibi, ricette e culture
del mondo» non è il solito libro di
ricette. È piuttosto un viaggio nelle culture
culinarie. Un itinerario che mette in evidenza come il cibo non sia solo un alimento,
ma lo specchio delle identità e delle tradizioni di ogni popolo. L’A., antropologa, che
in questo libro ha raccolto gli articoli di etnogastronomia pubblicati su Popoli, racconta tradizioni, usanze, storie, miti e leggende
legate a singoli piatti, dei quali offre anche
ingredienti e sistemi di preparazione.
Anna Casella Paltrinieri
Sapori & Saperi - Cibi, ricette e culture
del mondo
Ed.it, Firenze 2012, pp. 236. euro 16
72 Popoli gennaio 2013
cucina, utilizzato, al massimo, per tenere lontani
insetti, zanzare e cattivi
odori. Si dovette attendere il genio dei genovesi
per trasformarlo, insieme
a pinoli e olio d’oliva, nel
pesto, condimento apprezzato in tutto il mondo.
I thailandesi conoscono
un basilico (ocimum te­nui­
florum), definito «sacro»,
dalle foglie piccole e con
fiori viola. Lo chiamano
horapa (nelle varietà bai,
kaprow e maglak). Ne fanno
un elemento fondamentale
della cucina: ne apprez­
zano la fragranza (del
resto il termine ocimum
significa «profumo») e per
questo lo aggiungono a
fine cottura.
Scrivendo nel 1923 delle
città asiatiche, Somerset
Maugham
affermava
che queste, nascondendo
l’anima indigena dietro
una facciata di modernità,
erano un enigma per
l’europeo. E aggiungeva:
«ma, quando la vivi, hai
la sensazione di aver
perso qualcosa e non si
può evitare di pensare
che ha qualche segreto
che essa ha osservato da
te». Come il basilico, del
quale gli asiatici hanno
saputo cogliere il segreto e
le qualità migliori.
Anna Casella Paltrinieri
La ricetta
L
POLLO AL BASILICO
Battere due spicchi di
aglio e da uno a tre peperoncini finché avranno
consistenza omogenea.
Riscaldare due cucchiai
di olio vegetale nel
wok, a fuoco medioalto, gettarvi il battuto
mescolando e facendo
cuocere per qualche minuto. Aggiungere 350 g.
di pollo tagliato a listarelle (sufficiente per due
persone) e far cuocere.
Poi aggiungere mezza
cipolla tagliata ad anelli,
mezza tazza di fagiolini
sminuzzati e continuare
la cottura con acqua
quanto basta. Insaporire
con un cucchiaio di salsa di soia, un cucchiaio
di salsa di soia dolce,
due cucchiai di salsa di
ostriche e spezie a piacere. Mettere alla fine il
basilico e rimuovere dal
fuoco. Servire con riso
jasmine cotto a vapore.
SORSEGGI
RETROGUSTO Locali etnici con una storia dietro
Pito
C
hi ha l’occasione di andare in Ghana per lavoro
o per turismo non può non assaggiare il pito. Di
basso grado alcolico (2-3%), di sapore lievemente
acido e di colore giallo-marrone chiaro, appartiene
alla grande famiglia delle bevande fermentate.
In Ghana sono le donne
di casa a preparare il pito
(che non deve mai mancare in famiglia). La ricetta
prevede che granaglie di
miglio o di sorgo vengano
lasciate in ammollo in un
recipiente pieno di acqua
per due giorni. Poi vengono scolate e lasciate per
altri cinque giorni in un
cesto avvolte in foglie di
banano. In questo modo
i grani germogliano. Una
volta germogliati li si mette in una pentola con un
po’ di acqua e si fa bollire
il tutto per due ore. Infine si scola e si lascia raffreddare e fermentare per una notte. Esistono quattro
tipi di pito (nandom, kokmba, togo e dagarti) che si
distinguono a seconda del tipo di granaglie utilizzate
e del grado di fermentazione della bevanda.
Fino al 6 gennaio 16-17gennaio
Rimini
Bologna
Marca Freshlab,
Equamente,
mostra-mercato
del commercio
equo e solidale
con la possibilità
di sostenere
progetti solidali.
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Kuriya
A
due passi dal Ghetto di Roma, non lontano dal Tevere e dall’isola Tiberina, il 25 maggio 2012 ha aperto
Kuriya, un ristorante che offre piatti della cucina di Hong
Kong. «Nella capitale - spiega Angela Li, la titolare - non
esisteva un locale che offrisse agli italiani un menù della
tradizione honkonese. Abbiamo così deciso di investire in
questo settore e i primi riscontri sono buoni».
La cucina di Hong Kong si inserisce nel solco della
cultura culinaria e gastronomica cinese, ma con piatti
propri che si differenziano da quelli della Cina continentale. «In realtà - continua Angela Li -, quella honkonese è
una cucina nata sì nel seno della cucina cinese, ma che
mescola diversi stili, generando menù ricchi. La nostra
specialità sono i dim sum al vapore. Li prepariamo ogni
giorno freschi. E sono molto apprezzati dai nostri clienti».
Il ristorante però offre anche un menù giapponese con
piatti noti quali il sushi, il sashimi, la tempura.
«Sono nata ad Hong Kong - osserva la titolare - e anche
la mia famiglia è originaria della città. Da anni però abitiamo a Roma. Quando abbiamo deciso di aprire questo
locale siamo tornati a Hong Kong e lì non solo abbiamo
contattato un cuoco esperto, che poi è venuto a lavorare
da noi, ma abbiamo anche approfondito le ricette e la
tradizione culinaria locale. Il nostro personale, fatta eccezione per un cameriere italiano, è tutto asiatico. Un
modo per sottolineare la natura asiatica del nostro ristorante. La nostra clientela invece è composta al 90%
da italiani, incuriositi della nostra cucina particolare».
KURIYA Via Arenula 48/49, Roma
>SEGNALACI UN LOCALE
Conosci un ristorante etnico «con una storia dietro»?
Presentacelo con un testo di circa 2.500 caratteri
o segnalalo all’indirizzo mail: [email protected]
La redazione sceglierà i locali e le storie più
interessanti. Se pubblicheremo la tua «recensione»
ti regaleremo un abbonamento a Popoli.
Se invece dalla tua segnalazione nascerà un articolo
gennaio
2013
Popoli 73
fatto da noi ti invieremo la chiavetta
Usb
di Popoli.
Inter@gire
Imparare
dal «diavolo»?
Nel mondo del non profit il marchio CocaCola è visto con sospetto o aperta antipatia,
identificato con un approccio smaccatamente
commerciale. In realtà può insegnare qualcosa
anche a chi lavora per una buona causa
I
l marketing nel sociale
spesso è visto se non
come un nemico quantomeno come un virus da
super corporation. L’unico antidoto è ignorarlo. Figurarsi parlare di
Coca-Cola, un brand globale che grazie alle sue
tecniche promozionali
raffinate e rodate vende
1,5 miliardi di prodotti
al giorno. Non solo: lo
fa praticamente ovunque nel mondo, anche nei
luoghi più poveri.
Come fa? È questo il bello,
per il mondo della cooperazione ovviamente. Due
anni fa Ted, un set globale di conferenze dedicate
a idee che meritano una
platea, ha pubblicato sul
suo sito ted.com un intervento di Melinda Gates,
co-chair della Bill & Melinda Gates Foundation.
Il tema era il seguente:
che cosa possono imparare dalla Coca-Cola le
organizzazioni no profit?
Il focus era concentrato
su tre tecniche.
Prima tecnica, l’uso dei
dati. Chi, dove, con quanti e quali punti di interazione con i beneficiari si
opera, con quale e quanta
DECODE
La moneta non tintinna più, squilla
S
aut d’Eau è una cittadina haitiana che prende il
nome dalla grande cascata che ogni anno in luglio
attira migliaia di pellegrini per la festa della Madonna
del Carmine: qualche piccolo negozio concentrato su
due vie a un’ora di distanza da Mirebalais, la città più
vicina. E il minibus con un biglietto a più di 2 euro non
è certo a buon mercato per un Paese dove il 55% della
popolazione vive con un dollaro al giorno. La situazione
non è certo migliorata con il terremoto del gennaio 2010,
che ha decimato la popolazione di Haiti: solo la capitale
Port-au-Prince ha registrato più di 230mila vittime.
La sfida qui non era solo quella di far fronte all’emergenza, ma di iniziare un lavoro a lungo termine di costruzione di un’economia più forte e autosufficiente. In questo
contesto, Mercy Corps ha identificato 100 beneficiari
che hanno ricevuto sui telefoni cellulari a loro distribuiti
una somma pari a 225 dollari, oltre a otto negozianti
che hanno dato la loro disponibilità ad accettare questa
particolare forma di moneta elettronica.
74 Popoli gennaio 2013
In Italia, un emendamento al recente decreto sviluppo
poneva il pagamento con il cellulare dei biglietti del bus
come frontiera da raggiungere nel 2014. La cosa fa un
po’ sorridere se leggiamo i risultati di un’indagine sulle
abitudini finanziarie globali svolta da Fondazione Gates,
Banca Mondiale e Gallup World Poll: sono stati individuati
20 Paesi in cui più del 10% degli adulti dichiarano di
aver utilizzato denaro «mobile» nel 2011, e 15 di questi
sono africani: in Kenya, Sudan e Gabon metà o più degli
adulti fanno uso di mobile money.
È una tecnologia relativamente semplice, che può cambiare davvero la vita collegando i telefoni cellulari a un
conto virtuale per trasferire facilmente denaro dal proprio
conto ad altri. Può essere un sostituto del denaro contante ed è strategico in Paesi in cui i collegamenti sono
difficili e risulta problematico, oltre che estremamente
costoso, inviare soldi alle famiglie nelle zone rurali.
Antonio Sonzini
[email protected]
comunicazione che funziona? Con quali risultati
giorno per giorno? Se si
hanno dati in ogni momento e un risultato è al
di sotto delle aspettative, si può intervenire e
correggere; questo non è
possibile se la valutazione
si fa alla fine del progetto:
i dati serve renderli utili
subito sul campo.
Seconda tecnica, attivare
risorse locali capaci di
assumere un ruolo guida.
Un esempio è Cesvi (cesvi.
org), che al St. Albert Hospital in Zimbabwe salva
neonati dall’Aids e offre
cure e prevenzione anche
con formazione e coinvolgimento dei caregiver
locali, praticamente uno
per famiglia. Sono loro
che sanno che cosa vogliono le famiglie, come
pensano, quali motivazioni stimolano le giuste
leve per promuovere la
salute.
Terza tecnica, marketing. La gente vuole una
Coca-Cola perché associa il prodotto alla vita
che vorrebbe vivere: lo
si chiami - in generale aspirazione alla felicità,
ma lo si declini a livello
locale. Così, negli Usa si
deve associare il brand
alla vita familiare, in
Sudafrica al rispetto da
parte della comunità, ecc.
Tradotto per il no profit,
nei casi in cui l’obiettivo
è la riduzione di un male,
la leva non è l’aspirazione ma l’assenza, il fatto
di evitare qualcosa. Usa
il preservativo, non sarai
contagiato dall’Aids; lava
le mani, non rischi la vita
per una diarrea. Ma è un
errore pensare che se un
uomo ha bisogno di qualcosa, allora lo desidera:
bisogna renderlo un’aspirazione (di assenza).
Oggi Coca-Cola è andata
ancora più avanti. In uno
scenario mondiale in cui
Facebook ha 1,2 miliardi
di utenti, il social sharing
sta conquistando il mobile, una persona su due
possiede uno smartphone,
mezzo miliardo di persone usa YouTube ogni
mese, ogni minuto vengono caricate 3.000 foto su Flickr, ogni giorno
vengono inviati 190 milioni di tweet, Coca-Cola
ha capito il messaggio di
Seth Godin - i mercati sono conversazioni - e lo ha
applicato a partire dal sito
corporate (coca-colacompany.com), trasformato
di recente in un progetto
editoriale. Digitale ovviamente.
La cooperazione prenda
nota. In un mondo in
cui per esempio l’Africa
vede una penetrazione
di telefoni cellulari pari
all’80% della popolazione, parole come condividere, pubblicare, post,
tweet, like sono all’ordine del giorno. Trasformare il proprio patrimonio di valori e progetti
in una relazione, anche
digitale, aprire questo
patrimonio alla condivisione in rete, sono passi
fondamentali e, in certa
misura, urgenti.
Giovanni Vannini
[email protected]
gennaio 2013 Popoli 75
Mediterraneo a fumetti
In collaborazione con
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Su quale città si affaccia la piscina?
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2. Ha un inno nazionale
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La risposta di novembre:
Kaliningrad (Federazione russa)
Silvano Fausti S.I.
Biblista e scrittore
La prima contestazione
nella Chiesa
Leggi Atti 6, 1-7
L
a comunità non è mai perfetta. Dopo la menzogna di Anania e Saffira (cfr articolo di dicembre
2012) c’è un’ingiustizia: gli apostoli favoriscono le
vedove della loro terra, trascurando le altre. La discriminazione etno-culturale suscita contestazione.
Se le persecuzioni esterne fanno crescere la Chiesa,
questa crisi interna potrebbe disgregarla. Difficoltà
e mancanze ci sono sempre. La norma è ignorarle
e lavorare per soffocare le voci critiche: «Troncare,
sopire!». Ma il rimedio è peggiore del male: uccide
la fraternità e la parola profetica che vorrebbe
ricostruirla. Negare il male produce cancri mortali!
Gli apostoli ci danno buon esempio: riconoscono la
loro inadempienza. Solo in questo modo capiscono
la propria identità. Non tutto spetta a loro. La comunità scelga chi serve alle mense, mentre loro si daranno alla preghiera e al servizio della Parola. Questo
è il compito degli apostoli, e dei loro successori! Così
costruiscono la Chiesa. Senza questa base, essa crolla
e va in rovina.
È l’anno della fede. Il pericolo di tutti i giubilei è
celebrare belle liturgie pur di non affrontare i dovuti
cambiamenti (cfr Is 1,10-17!). In questo racconto
degli Atti si dice cos’è la fede che gli apostoli dovranno trasmettere a ogni uomo. La fede non sta
nel credere a proprie idee o sapere a memoria il
catechismo: «Anche i demoni credono, ma tremano!»
(Gc 1,19). La fede è perseverare nella preghiera e
nel servizio della Parola. Sono i due mezzi con cui i
dodici patriarchi della Chiesa «fondano» la comunità
di uomini nuovi. Il patrimonio genetico che ci offrono sono la preghiera e la Parola. La prima ci mette
in comunione con il Padre e la seconda con tutti i
fratelli, ai quali siamo debitori del Vangelo (cfr Rm
1,14s). Altri servizi, pure utili o addirittura necessari,
spettano ad altri.
Ci sono doni diversi. Ognuno è responsabile di mettere il proprio a disposizione altrui. I nostri limiti sono
il bisogno che abbiamo dell’altro: creano comunione nella diversità. E questa è la nostra somiglianza
80 Popoli gennaio 2013
con Dio, Trini-unità d’amore. Preghiera e servizio
della Parola sono l’essenza della fede cristiana. Questo binomio è fecondo. Genera ogni dono e si fa carne
nel servizio ai poveri. Diversamente la nostra fede è
vuota (cfr Gc 2,26; Mt 25,40). Non amiamo a parole,
ma con i fatti e nella verità (1Gv 4,17).
Quest’anno si «celebra» anche il 17° centenario dell’Editto di Costantino. La libertà religiosa è cosa buona.
È da rispettare, soprattutto quella altrui. Tutte le religioni la esigono, ma ben poche la concedono. Forse
nessuna. La libertà cristiana nessuno ce la può togliere, neppure la persecuzione. Ce la toglie però il tradimento del Vangelo, quando diventiamo supporto dei
potenti. Il cristianesimo, quando diventa «religione di
Stato», impone il Vangelo con leggi ed eventuali roghi,
crociate, dittature e giochi vari per avere esenzioni e
privilegi. Che abominio: da perseguitati a persecutori.
Per difendere indebiti privilegi non riconosciamo più
il Signore nei poveri!
Spero che il 313 si celebri «con vergogna e rossore»
per la libertà pretesa per sé e negata agli altri. Unica
è la fonte delle cinque piaghe della Chiesa: l’oblio
della Parola che annuncia un Dio crocifisso. La Chiesa deve costantemente ripulire il suo volto di sposa
se vuol essere come lo Sposo. È un volto molto
offuscato: a livello pratico da pretese di dominio e a
livello più profondo dalla dimenticanza del Vangelo.
Al suo posto troviamo tanti documenti dottrinali e
normativi. Di essi il grande Tommaso d’Aquino ripeterebbe: «Palea, palea!», paglia che brucia. Per l’evangelizzazione non servono testi o linguaggi nuovi.
Il Vangelo da tempo è scritto con inchiostro sulla
carta. Attende di essere scritto dallo Spirito nella mia
carne, unico linguaggio comprensibile da tutti. Altre
parole sono trappole per accalappiare proseliti.
Per riflettere e condividere
> Accolgo le critiche?
> Propongo la fede in Gesù con la preghiera e la
Parola?
> Impongo il cristianesimo con la legge e il potere?