UN GRAFFITO DI CANTIERE DAGLI SCAVI DEL DUOMO DI
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UN GRAFFITO DI CANTIERE DAGLI SCAVI DEL DUOMO DI
UN GRAFFITODI CANTIEREDAGLI SCAVI DEL DUOMO DI S. ANDREA DI VENZONE (UD) * di AURORA CAGNANA Posto al limite nord-orientale della pianura friulana, poco distante dal punto in cui il Fella confluisce nel Tagliamento, il borgo di Venzone è situato in corrispondenza di una serie di rilievi che rappresentano una sorta di sbarramento naturale alle strette vallate alpine, poste improvvisamente alle spalle della pianura. La frequentazione del sito in epoca tardo-romana, attestata dal ritrovamento di reperti ceramici e numismatici nella zona del Duomo (CLONFERO 1988, p. 95) è forse da porre in relazione con il passaggio di importanti arterie stradali per il collegamento fra l’Italia e il Norico. Proprio dopo Venzone il percorso proveniente da Aquileia, Tricesimo, Gemona, doveva infatti dividersi in due tronconi: uno più occidentale saliva verso Zuglio e il valico di monte Croce Carnico, mentre l’altro era diretto al passo di Tarvisio (RIGONI 1972). La posizione strategica di Venzone rispetto alla rete viaria emerge con chiarezza nella più antica citazione scritta che si conosca del luogo, contenuta in un diploma del 923, col quale Berengario I dona alla chiesa di Belluno, fra altri beni terrieri, anche le «clusas de Abintione quae pertinent de marchia Foriiuli» (SCHIAPPARELLI 1903, p. 358). Passate al patriarca di Aquileia, in seguito a una donazione di Ottone III, Venzone e la sua terra risultano, nel XIII secolo, sotto il dominio della famiglia sveva dei Mels (PASCHINI 1971, pp. 65-70). È un loro esponente, Glizoio, che attorno alla metà del Duecento fa costruire la chiesa di S. Andrea, munisce il borgo con fortificazioni poste sulle due rive del Tagliamento, fa edificare porte a sbarramento della strada e tenta di istituire un mercato in città, suscitando, con tali azioni, l’ostilità aperta del potere patriarcale. Declinata la signoria dei Mels, la terra di Venzone è contesa fra il duca di Carinzia, il conte di Gorizia e i Patriarchi di Aquileia, che finiscono per assicurarsene il dominio, durato fino alla soppressione del loro potere temporale, nel 1420 (Ibidem, pp. 71-110). Una nuova e intensa stagione costruttiva si registra all’inizio del XIV secolo, quando, alla presenza del patriarca Bertrando di San Genesio, viene inaugurata, nel 1338, la nuova fabbrica del Duomo. Di questa facies gotica del monumento, che ha inglobato notevoli resti della fase glizoiana, si conosce il nome dello scultore: magister Johannes, menzionato in un’iscrizione incisa sulla facciata settentrionale (CLONFERO 1987, pp. 66-67; VAY, pp. 31-37). In seguito alla distruzione quasi totale del monumento, dovuta al violento terremoto del 1976, presero avvio i lavori di restauro, che ebbero come coraggiosa finalità la ricostruzione completa per anastilosi (DOGLIONI 1986, pp. 79-92). L’analisi filologica e la schedatura sistematica del materiale di crollo (condotta alla luce del rilievo fotogrammetrico che era stato realizzato dopo le prime scosse) e le concomitanti ricerche archeologiche nel sottosuolo, effettuate fra 1988 e 1989, hanno offerto l’opportunità di conoscere molti aspetti della storia costruttiva del duomo venzonese. Durante gli scavi è inoltre venuto alla luce un manu- * Il presente testo è la rielaborazione di un intervento da me presentato al convegno di Studi ‘Fabrica Ecclesiae’ tenutosi a Venzone nell’ottobre del 1995. Desidero ringraziare gli organizzatori, proff. Doglioni F., Cacitti R., Rossignani M.P. per avermi coinvolta in quella occasione stimolante e per avermi consentito di studiare il graffito di Venzone. fatto di singolare interesse, la cui importanza oltrepassa il valore di documento della fase gotica del duomo, per porsi, su un piano più generale, come testimonianza preziosa per la storia dell’organizzazione del cantiere nel Medioevo. Alla profondità di m 1,20 rispetto all’attuale piano di calpestio, sul pavimento in cocciopesto della chiesa glizoiana, si è posto in luce un grande disegno, inciso nella pavimentazione con una punta o uno scalpello, per una profondità di pochi millimetri. Questo graffito riproduce due triangoli, di diverse dimensioni e impostati sulla stessa linea di base, e un arco leggermente acuto, in parte sovrapposto al triangolo minore e completamente fuori asse rispetto ad entrambi. Il confronto con le parti architettoniche del duomo trecentesco ha reso evidente che tale graffito riproduce, in scala reale, il timpano della facciata settentrionale (ben identificabile per la presenza del pinnacolo posto al culmine), il timpano minore di uno dei due portali laterali e l’arco dei finestroni gotici del braccio meridionale del transetto. È evidente che il significato di questi graffiti, destinati a essere nascosti con il completamento della fabbrica gotica, che prevedeva il rialzo del pavimento duecentesco, era unicamente funzionale e legato all’organizzazione del lavoro di cantiere. Tale conclusione è suggerita anche dalla disposizione dei motivi, che non presentano alcun ordine compositivo generale, essendo parzialmente sovrapposti e talora realizzati sfruttando una stessa linea di base, come nel caso dei due timpani. Al tempo stesso va però rimarcata anche la regolarità dell’esecuzione, che, con ogni evidenza, è stata realizzata con l’uso di regole, squadre e compassi. È logico pensare che l’incisione abbia ‘ripassato’ un disegno-guida forse eseguito con gessi. Fin da un primo esame è dunque possibile stabilire che si tratta di particolari architettonici, realizzati in scala reale con estrema precisione, graffiti allo scopo di rimanere fin quando servivano, ma al tempo stesso funzionali solo al cantiere e destinati ad essere ricoperti dopo il loro utilizzo. Questo manufatto non sembra interpretabile come un ‘progetto’, ovvero uno strumento di dialogo fra committente e maestranza, poiché per tale finalità erano generalmente usati disegni su pergamena, o modellini in scala ridotta, più comodi e maneggevoli. Piuttosto, il disegno sembra costituire una guida per l’esecuzione e uno strumento di dialogo fra diverse figure artigianali operanti nel cantiere. Per cercare di comprendere la funzione del graffito occorre tenere conto dei caratteri della tecnica muraria della chiesa trecentesca, uno dei rari esempi di ‘opera quadrata’ (ovvero formata da conci squadrati) nel panorama dell’architettura medievale friulana, dove prevalgono invece le murature costituite da elementi sbozzati. La riquadratura di un concio, come è noto, è un’operazione complessa, che richiede anche sei-otto ore del lavoro specializzato di uno scalpellino. Attraverso successive operazioni di spianatura, eseguite con il controllo continuo di squadra e righello, il lapicida giunge a ottenere elementi parallelepipedi, con facce definite da angoli regolari di 90° (MANNONI 1997, pp. 16-17). Le murature in opera quadrata, come quelle della fase trecentesca di S. Andrea, sono perciò strettamente basate sulla litotecnica e sulla conoscenza della geometria. Proprio l’accurato lavoro di anastilosi ha permesso di capire, sperimentalmente, come ogni concio lavorato del duomo venzonese fosse destinato a occupare una posizione ben precisa e univoca nella muratura. La complessità di lavorazioni necessarie a ottenere un solo elemento squadrato e il peso di un concio di media grandezza (compreso fra i 70-100 chilogrammi) imponevano inoltre di evitare errori o trasporti a vuoto di materiale. È importante osservare che sono proprio le parti terminanti ad arco o a triangolo quelle più complesse da realizzare, dato che in quei punti, più che altrove, la posizione di ogni singolo concio è univoca e ogni elemento deve essere squadrato in modo da ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 1 Fig. 1 – Il Duomo di Venzone (facciata meridionale). occupare una precisa posizione, che non può essere invertita o sostituita. In questo, soprattutto, l’opera quadrata si differenzia da quella a elementi sbozzati (detta anche ‘filaretto’), usata nella fase glizoiana della chiesa. In questo caso le bozzette, realizzate con più semplici lavorazioni a spacco, generalmente di dimensioni ridotte, non avevano una posizione univoca nella muratura, ma potevano essere impiegate in qualsiasi punto. In questo secondo tipo di tecnica anche la realizzazione degli archi delle finestre o dei timpani non era condizionata dalla forma dei blocchetti, poiché ogni elemento poteva essere scambiato di posto, oppure adattato con l’aggiunta di una scaglia lapidea, di un frammento laterizio, eccetera. In questo caso, perciò, non era necessario uno schema generale di partenza, dato che, di volta in volta, il muratore procedeva nella posa in opera adattando ciò che aveva a disposizione e cercando le combinazioni migliori. Questi aspetti vanno considerati in relazione al fatto che, nei graffiti in esame non sono raffigurate né piante né sezioni, ma solo i prospetti di alcuni dettagli, corrispondenti proprio alle porzioni murarie terminanti ad arco o ad angolo. La mancanza di disegni relativi alle zone ad andamento rettilineo, insieme alla precisione geometrica riscontrata, sembrano rendere evidente che questi graffiti erano finalizzati a guidare il lavoro dei lapicidi nella realizzazione delle parti più complesse. Il confronto con manufatti simili al nostro permette, come si vedrà, di avvallare tale interpretazione e consente di elaborare osservazioni ulteriori. In tutta Europa si conoscono poche decine di graffiti di cantiere analoghi a quello scoperto a Venzone. I più antichi si datano al XII secolo, mentre la maggior parte si colloca nel XIII e nel XIV secolo, ma non mancano esempi di XV e anche di XVI secolo (SCHÖLLER 1989). I casi francesi sono quelli esaminati più a fondo e da più tempo (DENEUX 1925; CLAVAL 1988), mentre più rari sono gli studi relativi agli esempi italiani (PERONI 1984; p. 279; AMBROSI 1990; BIANCHI 1997) o inglesi (PRITCHARD 1967). Vale la pena ricordare che già in epoca classica è attestato l’uso di graffiti simili, sempre in scala 1:1, finalizzati a dare indicazioni agli scalpellini, come nell’esempio relativo alla costruzione del Pantheon, rinvenuto a Roma durante gli sterri di epoca fascista, ma studiato e compreso solo recentemente (HASELBERGER 1994). Dal panorama di studi attualmente noto sembra possibile confermare che la comparsa e la diffusione di tali tracciamenti vada parallela con quella dell’opera quadrata: usati in età classica, non sono più attestati nell’Altomedioevo e ricompaiono a partire dal XII secolo, per conoscere la maggior diffusione nel XIII e nel XIV secolo, epoche di grande sviluppo della litotecnica. La pratica dei tracciamenti doveva essere in questi periodi molto più frequente di quanto non sia possibile argui- ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 2 Fig. 2 – Il graffito di cantiere di Venzone (da VAY 1995). Fig. 4 – Il frontone settentrionale del duomo di S. Andrea. Fig. 3 – Particolare del graffito del pinnacolo (foto di F. Doglioni). re dalla rarità delle testimonianze a noi pervenute. Se nell’esempio di Venzone è l’innalzamento del calpestio che ha consentito di preservare il graffito nel sottosuolo, sono attestati altri casi nei quali i tracciamenti si sono conservati perché erano stati eseguiti su superfici murarie. Ne sono esempio quelli realizzati sulle pareti del triforium della cattedrale di Reims, celebri anche perché fra i primi a essere studiati (DENEUX 1925; KURMANN 1987, p. 100 e ss.), e molti altri attestati in Francia (Soisson; cfr. SCHÖLLER 1980), in Inghilterra (Cambridge; cfr. SCHÖLLER 1989), in Italia (Bari; cfr. AMBROSI 1990). In altri casi si sono conservati invece i tracciamenti eseguiti sul pavimento della terrazza superiore di alcune cattedrali gotiche, negli spazi rimasti liberi fra le basi degli archi rampanti. Fra questi sono noti tre gruppi risalenti al XIII secolo: quelli di Limoges, individuati nel secolo scorso (DE VERNEILH 1847), in seguito distrutti e ormai documentati solo dai rilievi ottocenteschi; quelli di Narbonne; quelli della cattedrale di Clermont-Ferrand, oggetto, alcuni anni or sono, di un’accurata analisi (CLAVAL 1988). Disegni di cantiere incisi sulle lastre della terrazza superiore sono attestati anche nella cattedrale di Trogir, nella seconda metà del XV secolo, (GIBSON-WARD PERKINS 1977, p. 299 e segg.). Tutte queste testimonianze riguardano graffiti realizzati su parti dell’edificio stesso, conservatisi per puro caso; tuttavia non di rado i tracciamenti dovevano essere eseguiti in appositi locali, come è suggerito dai riferimenti contenuti nelle fonti scritte: di una stanza destinata a eseguire disegni pavimentali si parla, ad esempio, nei conti del cantiere del duomo di Milano (ASCANI 1991, p. 113 n. 19), mentre precisi riferimenti a tracing houses si incontrano a partire dal XIV secolo in alcuni documenti inglesi (SALZMAN 1967, p. 21 e segg.). Nonostante le differenze riscontrabili nei vari tipi di supporti (pavimenti, terrazze superiori, superfici murarie, stanze apposite) si può comunque sottolineare l’esistenza di caratteristiche costanti. In primo luogo la realizzazione è sempre, come nel caso di Venzone, geometricamente accurata: tutti i disegni manifestano, infatti, l’evidente uso ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 3 Fig. 5 – I graffiti della terrazza superiore della cattedrale di Limoges (da CLAVAL 1988). Fig. 7 – Il graffito di un timpano e di un arco dalla chiesa del Santo Sepolcro di Barletta (Bari) (da AMBROSI 1990). Fig. 8 – Il rosone inciso su una parete della cattedrale di Soisson (da SCHÖLLER 1989). Fig. 6 – Un graffito della terrazza superiore della cattedrale di Clermont-Ferrand (da CLAVAL 1988). di strumenti quali regole, compassi, squadre da 45° e da 60°. In molti casi è tracciato un asse di simmetria, come quello visibile nel pinnacolo del timpano maggiore di Venzone. Ciò conferma l’idea che questi graffiti costituissero uno ‘studio’ geometrico per la litotecnica delle parti più complesse da realizzare. Un’altra caratteristica comune e assai frequente è poi il fatto che tratti appartenenti a disegni diversi si sovrappongono fra loro e che in alcuni casi un’unica linea sia stata utilizzata per l’esecuzione di due motivi, ciò che ne conferma la funzione puramente esecutiva e la destinazione tutta interna al cantiere. Vediamo ora quali parti architettoniche vengono solitamente tracciate. Gli elementi a terminazione triangolare sono abbastanza attestati, anche se non sono i più frequenti. Due timpani sono incisi, ad esempio, nel citato graffito rinvenuto a Roma e, analogamente a quelli di Venzone, sono stati costruiti su una stessa linea di base. Quello di dimensioni maggiori corrisponde perfettamente (con uno scarto di errore di 1 cm ogni m 4,50) al frontone del Pantheon (HASELBERGER 1994). Questi disegni, incisi nella pavimentazione, dovevano costituire, secondo l’interpretazione più recente, una guida per gli scalpellini che tagliavano i blocchi lapidei. È stato infatti osservato che la zona in cui erano stati eseguiti, su un piazzale antistante il Mausoleo di Augusto, era sede di officine di marmisti e lapicidi, e, benché distante dal Pantheon circa 800 metri, vi era collegata dal corso del Tevere, sul quale i materiali squadrati potevano essere trasportati per mezzo di chiatte o zattere (Ibidem, pp. 279-308). Un frontone costituito da un arco a sesto acuto sormontato da un timpano è presente nel citato gruppo di disegni, di recente edizione, incisi sulle superfici murarie di alcune chiese trecentesche del territorio di Bari (AMBROSI 1990, p. 83). In questo caso il motivo (al quale si sovrappone quello di un altro arco) corrisponde esattamente a un portale della chiesa e reca essenziali indicazioni per il taglio del concio di chiave. Più frequenti sono però i tracciamenti di archi. Sulla terrazza della cattedrale di Limoges, ad esempio, erano state incise porzioni di arconi grandi di portali e due archetti più piccoli, completi, corrispondenti, come nel caso di Venzone, alla parte superiore di finestre gotiche (CLAVAL 1988, p. 207). Sulla terrazza della cattedrale di ClermontFerrand si trova un grande tracciamento (m 9×6) che raffigura la parte alta di un portale ad arco e timpano, realizzato solo per metà e costruito attorno a un asse centrale di simmetria (Ibidem, pp. 186-192). Poco lontano è raffigurata (solo nella metà destra) la struttura architettonica della parte superiore di un altro portale ad arco acuto, costituito da cinque archivolti con indicazioni delle modanature (Ibidem, pp. 193-195). Quasi tutti archi sono i tracciamenti recentemente censiti nel territorio di Bari, più sopra menzionati (AMBROSI 1990). In questi casi i motivi sono realizzati interamente e non solo per metà; talora presentano la ghiera completa, con indicazione del concio di chiave o degli altri giunti; talora invece è stato tracciato soltanto l’intradosso. In alcuni casi sono stati evidenziati anche i centri utilizzati per la costruzione geometrica. I motivi decisamente più frequenti sono però quelli rela- ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 4 tivi a parti modanate o a vere e proprie sculture: rosoni, finestre traforate, guglie, pinnacoli, sezioni di pilastri a fascio. Fra le prime attestazioni di tracciamenti medievali è appunto un rosone, realizzato a grandezza naturale su un pavimento dell’abbazia di Byland, nello Yorkshire, corrispondente a quello della facciata Ovest della chiesa abbaziale, databile al 1190 circa (SCHÖLLER 1989, p. 228). È interessante osservare che un dettaglio corrispondente alla parte centrale, esapartita, dello stesso rosone, è stato inciso sul muro della facciata interna della chiesa, al livello superiore. Esso risulta pressoché identico a una altro graffito realizzato su un muro perimetrale della Collegiale di Notre Dame de Vaux, a Chalon sur Marne, edificata nello stesso periodo. Due rosoni incisi sui muri della cattedrale di Soisson e datati all’inizio del XIII secolo, presentano un’analoga suddivisione in dodici parti, funzionale alla costruzione geometrica del motivo, piuttosto che alla sua realizzazione pratica (SCHÖLLER 1980). Simili motivi di finestre traforate, graffiti in scala reale e su supporto verticale, sono attestati anche nella chiesa priorale di Christ Church, a Faurndau, Saint Quenti, Aix la Chappelle, in edifici databili fra XIII-XIV secolo (Ibidem, pp. 234-235 ). La parte superiore di una elaborata finestra a traforo, con motivi caratteristici del gotico inglese, è stata incisa sul pavimento della cattedrale di York (CADEI 1991, p. 85; fig. 7). Nei citati cantieri di Limoges, Narbonne, Clermont-Ferrand, i motivi più frequenti sono proprio quelli relativi a finestre a traforo, guglie, pinnacoli, sezioni di pilastri a fascio, sempre realizzati a grandezza naturale (CLAVAL 1988). Ciò che accomuna tutti questi tracciamenti è il fatto che generalmente corrispondono a dettagli di parti architettoniche. Sovente è indicato lo schema di costruzione geometrica (assi di simmetria, raggi, centri). È importante sottolineare come, in tutti i casi studiati, i tracciamenti siano stati interpretati come funzionali a guidare gli scalpellini nel lavoro di taglio della pietra È inoltre da sottolineare come l’uso dei tracciamenti sia comune per le parti architettoniche (archi e timpani) e per le modanature, a riprova che la realizzazione dei conci e quella dei motivi scultorei avvenivano secondo le stesse regole di base. Sembra invece da escludersi un utilizzo dei graffiti per eseguire prove di montaggio dei pezzi lavorati, prima della posa in opera. Se infatti tale uso poteva essere ipotizzato per i tracciamenti eseguiti su pavimentazioni, è ovviamente impossibile per quelli su supporti verticali. L’uso dei graffiti per prove di montaggio è stato rigettato anche per quelli realizzati sui pavimenti delle terrazze superiori delle cattedrali, poiché, è stato giustamente osservato, è del tutto impensabile che i pesanti blocchi lapidei venissero trasportati così in alto per provarne l’assemblaggio. A ciò si aggiunga che i motivi tracciati spesso corrispondono a elementi architettonici impiegati al piano terra, cosa che porta ad escludere anche l’ipotesi che sulle terrazze venissero lavorati solo i pezzi destinati alle parti alte degli edifici (CLAVAL 1988, p. 219 e ss.). A ulteriore riprova della funzione dei tracciamenti in relazione alla litotecnica va osservata, sia a Venzone, sia negli atri esempi, la presenza di linee che possono essere interpretate come indicazioni per il taglio. Nel triangolo maggiore del graffito venzonese, ad esempio, si osserva, all’estremità destra, la presenza di un motivo costituito da un quadrato sormontato da un trapezio, non concluso. Esso corrisponde al profilo del pinnacolo troncoconico visibile sul timpano della facciata settentrionale, proprio nella stessa posizione del disegno. Sembra perciò del tutto probabile che tali linee costituissero una precisa indicazione di taglio per lo scalpellino che doveva realizzare il pezzo. Segni del tutto simili si riconoscono anche a circa metà frontone, in corrispondenza del punto in cui, nel timpano reale, si trova un altro pinnacolo, sormontato da una statua. Annotazioni litotecniche analoghe a quelle di Venzone si trovano anche in altri graffiti: un pinnacolo e alcune finestre traforate raffigurate a Clermont-Ferrand, ad esempio, recano incise le linee orizzontali e verticali dei giunti corrispondenti ai punti esatti in cui il pezzo andava tagliato. Uno dei graffiti di Reims che riproduce, su una parete, gli stipiti del portale principale, riporta esattamente il contorno dei giunti di sette conci, su ciascuno dei quali è indicata anche (con simboli in numero crescente) la posizione cui ogni blocco era destinato. Se dunque la presenza di linee-guida per il taglio, identificabili anche su altri manufatti europei, conferma la stretta relazione dei graffiti con la stereotomia, resta da capire in che modo essi venissero materialmente utilizzati dai lapicidi per il loro lavoro. Poiché il luogo del tracciamento non doveva corrispondere a quello in cui veniva eseguito il taglio, è assai convincente l’ipotesi che i disegni servissero a realizzare dei modelli (o seste) in legno, più facilmente trasportabili. Con questa spiegazione concorderebbe anche il fatto che in alcuni casi è stata raffigurata solo la metà di un motivo, costruito secondo un asse verticale di simmetria. È facile immaginare che il modello in legno potesse essere ribaltato, in fase di lavorazione della pietra, in modo da ottenere tutto il motivo nella sua completezza. L’uso di modelli non contrasta, d’altra parte, con l’esistenza di disegni realizzati su supporto verticale. Si è detto all’inizio (e l’analisi fin qui condotta sembra confermarlo) che i tracciamenti vanno considerati come uno strumento di dialogo interno al cantiere, fra artigiani diversi. Gli esecutori dei graffiti appaiono, infatti, come figure di coordinamento delle varie operazioni, essi dimostrano dimestichezza con l’uso degli strumenti da disegno e padronanza della geometria empirica; al tempo stesso, però, conoscono profondamente l’arte della pietra, dato che sono in grado di suggerire ai lapicidi le principali direzioni di taglio. Il raffronto con le fonti documentarie sembra confortare una tale interpretazione. Nel cantiere per la ricostruzione della cattedrale di Canterbury, ad esempio, dove la successione dei lavori è ricostruibile sulla base di dettagliate fonti cronachistiche, sappiamo che fu l’architetto Guglielmo di Sens che tracciò, fra 1174 e 1175, la stereotomia delle pietre e i profili delle modanature e consegnò i suoi disegni ai lapicidi (AUBERT 1961, p. 194). Anche dai conti di cantiere della cattedrale di Troyes, della metà del XIV secolo, si apprende che l’architetto disegnò i contorni delle finestre (Ibidem, p. 198). Dall’analisi dei graffiti emergono però altri dati circa il rapporto fra tracciamento ed esecuzione vera e propria. Laddove è stato possibile il confronto con l’opera finita si è potuta rilevare, non di rado, una divergenze anche notevole rispetto al motivo disegnato. Che al lapicida venissero proposti dei modelli, ma lasciando un buon margine alla sua libertà di scelta, è dimostrato anche dal fatto che, nei disegni stessi, erano talora previste diverse opzioni, fra le quali quella definitiva spettava, evidentemente allo scalpellino. È il caso di una polifora di Clermont-Ferrand, costruita lungo un asse di simmetria centrale e disegnata solo a metà, per la quale il graffito presenta due possibili schemi: uno costituito da motivi quadrilobati ravvicinati, e l’altro da motivi trilobati posti a maggior distanza (CLAVAL 1988, p. 186, fig. 4). È probabile che in questo senso vadano interpretati anche i due tracciamenti del pinnacolo che corona il timpano maggiore del graffito di Venzone e che presentano dimensioni e profilo sensibilmente diversi. In conclusione, il manufatto fin qui analizzato e il panorama di confronti passato in rassegna sembrano confermare ulteriormente l’articolata serie di operazioni necessarie ad ottenere edifici in pietra squadrata. Questo sistema costruttivo, percepito (oggi e in passato) come sontuosa regolarità del paramento, è in realtà frutto di una complessa e costosa organizzazione di cantiere, basata sulla centrale importanza della litotecnica e conseguentemente su una precisa conoscenza della geometria. ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 5 Se l’archeologia dell’architettura consente di cogliere, sempre più in dettaglio, le caratteristiche tecnologiche di tali opere (che Mannoni ha giustamente definito ‘da scalpellino’), resta ancora da ricostruire il quadro storico, geografico e sociale della loro diffusione. In generale sembrano molto più utilizzate nelle zone mercantili, dove la consistente disponibilità di ricchezza e la spinta concorrenziale fra diversi poteri economici e politici dovevano determinare un fortissimo investimento (materiale e ‘ideologico’) nell’architettura. Più rarefatta sembra la presenza dell’opera quadrata nelle zone segnate da poteri feudali meno contrastati, dove il livellamento sociale non doveva favorire meccanismi di competizione. Nonostante manchi ancora un quadro preciso delle tecniche murarie medievali del Friuli, si direbbe che in tale regione l’opera quadrata sia davvero piuttosto rara: la sua presenza a Gemona e Venzone, borghi stradali segnati da un’economia spiccatamente mercantile, risulta perciò particolarmente significativa. BIBLIOGRAFIA AMBROSI A. 1990 Testimonianze sul tracciamento degli archi medievali in Terra di Bari e Capitanata, in Il modo di costruire, Atti del Convegno (Roma 6-7-8 giugno 1988), pp. 79-96. 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