Elenco dei veleni

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Elenco dei veleni
Storia della fotografia
Nel 1727 SCHULZ scoprì che i sali d'argento diventavano scuri se esposti alla luce, ma non trovò un'applicazione
pratica.
Altri studiosi provarono con nitrato d'argento e cloruro d'argento, ma solo nel 1827 JOSEPH NIECEPHORE NIEPCE fece
la prima fotografia vera e propria; trattò una lastra di peltro con bitume di Giudea e la espose per 8 ore. Alcuni anni
dopo DAGUERRE inventò il dagherrotipo; usava lastre d'argento, che sensibilizzate con vapori di iodio formavano lo
ioduro d'argento; la lastra veniva sviluppata con vapori di mercurio e fissata con iposolfito di sodio (presente anche
negli attuali fissaggi).
FOX TALBOT fece il primo negativo con una soluzione di NITRATO D'ARGENTO e sale comune spalmato su carta, ma
era un sistema molto lungo e non poteva competere con quello di DAGHERRE. TALBOT continuò gli esperimenti e nel
1841 con una soluzione di NITRATO D'ARGENTO e ACIDO GALLICO riuscì a fare esposizioni inferiori ai 30 secondi. Nel
1847 ABEL NIEPCE, cugino del famoso JOSEPH, sviluppò un metodo che consisteva nel ricoprire il vetro con albume
montato e miscelato con IODURO DI POTASSIO; induritosi questo strato, si trattava la lastra con NITATO D'ARGENTO,
la si esponeva e la si sviluppava con ACIDO GALLICO.
Nel 1850 circa SCOTT ARCHER incominciò a sperimentare il collodio. ARCHER aggiungeva al collodio dello ioduro di
potassio, immergeva le lastre in un bagno di NITRATO D'ARGENTO e le esponeva ancora umide; questa emulsione
consentiva pose inferiori ai tre secondi; per lo sviluppo usava acido PIROGALLICO o solfato ferroso; per il fissaggio
CIANURO di POTASSIO. Con questa tecnica, nel 1855, per fotografare il Monte Bianco, BISSON si avvalse di ben 25
portatori. Nel 1864 BURNE fotografò la Catena dell'Imalaja accompagnato da 40 portatori, un gruppo di servitori e 6
guide. Il collodio dava buoni risultati, ma era troppo complicato e ingombrante; furono allora sperimentate nuove
tecniche e si arrivò alla pellicola di celluloide ricoperta da uno strato di emulsione in gelatina. Nel 1888 GEORGE
ESTMAN presentò una nuova fotocamera: con lo slogan "voi premete il bottone, il resto lo facciamo noi": era la
famosa KODAK.
La KODAK era leggera, compatta e non era necessario che il fotografo sviluppasse da sè le sue foto; la fotocamera era
fornita di una pellicola con cui si facevano 100 fotografie: finita la pellicola la si portava alla KODAK che la sviluppava e
restituiva le lastre adatte per la stampa a contatto.
Verso la fine degli anni '20, la Germania, propose i più sostanziali miglioramenti tecno-ottici e nel 1924 la LEUTZ
presentò la famosa LEICA. Nel 1947 l'invenzione da parte di EDWIN LAND della POLAROID bianco e nero.
Possiamo far risalire la nascita della fotografia a colori al 1861, allorché il fisico scozzese JAMES MAXWELL tenne una
conferenza in cui dimostrò come fosse possibile creare tutte le sfumature cromatiche mediante equilibrate addizioni
di luce di colore uguale a quello dei 3 colori primari (rosso, verde, blu). Questa era la prima applicazione del sistema
che verrà definito SINTESI CROMATICA ADDITIVA.
Il francese LOUIS DUCOS nel suo libro "LES COULEURS EN FOTOGRAFIE: SOLUTION DU PROBLEME", nel 1869 stabilì
tutti i principi basilari della moderna fotografia a colori, sia quella della sintesi additiva, sia quello della sintesi
sotrattiva.
Nel 1906 WRATTEN e WANWRIGHT presentarono a Londra la lastra pancromatica sensibile a tutti i colori dello
spettro; ma questa invenzione era una copia di quello che fu realizzato nel 1904 da AUGUSTE e LOUIS LUMIERE che
successivamente la brevettarono.
Tra gli anni 30-40 due musicisti MANNES e GODOWSKY con un lavoro d'équipe, con i tecnici della ESTMAN-KODAK
produssero la prima pellicola KODACHROME, che si usa tuttora.
Nel 1942 la KODAK rende disponibili le prime pellicole per la fotografia all'infrarosso.
L'ultimo notevole progresso verificatosi nell'ambito della fotografia a colori, è stato nel 1963, con l'invenzione di un
sistema per ottenere all'istante e automaticamente stampe a colori: il processo sviluppato per le proprie fotocamere
della POLAROID.
I Fertilizzanti Potassici
La scelta dei fertilizzanti potassici viene fatta in base all’anione associato al nutriente. Per le specie sensibili al cloro
(tabacco, vite, fruttiferi, patata, pomodoro, cipolla, ecc), è preferibile il solfato di potassio e/o il nitrato di potassio al
cloruro di potassio.
Nei suoli caratterizzati da elevata capacità di ritenzione per il potassio si raccomanda la concimazione localizzata che
consente di ridurre il contatto tra il nutriente e le superfici degli scambiatori.
I principali fertilizzanti potassici sono prodotti utilizzando sali di potassio estratti da giacimenti costituiti da carnallite
(cloruro idrato di magnesio e potassio, cristallizzato nel sistema rombico), kainite (clorosolfato di potassio e
magnesio, appartenente al sistema monoclino. Si rinviene in depositi salini di origine evaporitica), Silvite (Cloruro di
potassio).
Sono utilizzati come fertilizzanti potassici:
Il cloruro di potassio
E’ il più economico ed il più utilizzato tra i concimi potassici. Viene commercializzato allo stato polverulento o
granulare con titolo in potassio come ossido di potassio solubile in acqua del 60%.
Il solfato di potassio
Viene preparato industrialmente facendo reagire l’acido solforico con il cloruro di potassio. Ha titolo in ossido di
potassio del 50-52%. Il contenuto massimo di cloro non deve superare il 3%; per quantità percentuali inferiori è
consentita la dichiarazione in etichetta, “a basso titolo di cloro”.
Il nitrato di potassio
E’ il più costoso. E’ un fertilizzante NK caratterizzato dal 13% di azoto nitrico e dal 46% di ossido di potassio. Molto
solubile in acqua, il nitrato di potassio è un fertilizzante di buona qualità, contenendo due degli elementi più
importanti per la crescita e il sostentamento delle piante, il potassio e l’azoto, in forme facilmente assimilabili, viene
utilizzato per la fertirrigazione in colture specializzate. Fonte: 1)La grande guida dei fertilizzanti, ARVAN. 2)Chimica
del Suolo e della Nutrizione delle Piante, Edagricole.
Veleni e dosi mortali
Antimonio
Il suo acutissimo sapore metallico costringe l’avvelenatore a usare bassissimi dosaggi protraendo nel tempo l’azione
criminale. L’accumulo di antimonio provoca nausea, vomito, aritmia e tachicardia fino all’arresto cardiaco.
Arsenico
È un minerale grigio da cui si ricava una polvere biancastra comunemente sciolta nell’acqua. Nell’avvelenamento per
ingestione i sintomi insorgono nel giro di poche ore, con gastroenteriti violente, vomito, sapore di aglio in bocca,
disidratazione, vertigini e collasso. La morte sopravviene per paralisi cardiaca o respiratoria.
Acido prussico HCN
È un liquido incolore, di odore penetrante, analogo a quello delle mandorle amare, poco solubile nell’acqua, presente
in molte piante. Il cianuro agisce quasi istantaneamente, tanto per ingestione quanto per la sua applicazione sulle
mucose e sulla cute; la sua azione produce paralisi respiratoria.
Cianuro di potassio (KCN)
Questo sale è bianco, inodoro, di sapore acre, caustico, alcalino ed amaro; è solubilissimo nell'acqua e meno solubile
nell'alcool. Lo si usa nei laboratori quale mezzo riducente, nell'indoratura ed argentatura galvanica e nella fotografia.
È uno dei veleni più formidabili che si conoscano; i sintomi sono simili a quelli prodotti dall'acido prussico. Le dosi
mortali variano da 5 a 10 centigrammi.
Idrogeno solforato (H2S).
Ha un odore d'uova putride molto sgradevole e penetrante; è molto tossico quando venga respirato, ma si può bere
senza pericolo delle grandi quantità della sua soluzione nell'acqua (acque solforose). L'idrogeno solforato causa una
morte istantanea quando venga inalato puro; In casi più gravi si nota perdita di coscienza, dispnea, cianosi,
convulsioni, paralisi, morte.
Cloruro di potassio (KCl)
A temperatura ambiente si presenta come una polvere cristallina bianca solubile in acqua. La maggior parte del
cloruro di potassio prodotto è impiegata nella produzione di fertilizzanti. È inoltre la materia prima per la produzione
di potassio metallico e idrossido di potassio. Dosi eccessive o molto concentrate causano iperkaliemia, che può
produrre parestesia, aritmia cardiaca, fibrillazione e arresto cardiaco.
Potassa caustica (Idrato di potassio, KOH)
La potassa del commercio o idrato potassico è una sostanza bianca, estremamente solubile nell'acqua. Il suo uso è
popolarissimo ed assai frequente; basterà ricordare il consumo che ne fanno le lavandaie e le fabbriche di saponi. Per
ingestione la temperatura si abbassa, il polso si fa vieppiù raro, la coscienza è alterata, e la morte può avvenire in
capo a qualche ora, con o senza sintomi nervosi.
Nitrato di potassio (Nitro, salnitro, KN03)
È una sostanza bianca che cristallizza in prismi esagonali, solubile nell'acqua, insolubile nell'alcol puro, di sapore
fresco dapprima, poi piccante, salato ed amaro. È molto usato nella fabbricazione della polvere da sparo, dell'acido
nitrico e di altri composti chimici; serve pure a conservare le carni. Un quarto d'ora o mezzora dopo l'ingestione
insorge un senso interno di freddo. Rapidamente compaiono i sintomi d'un collasso generale e profondo: cute
fredda, polso debolissimo, crampi muscolari, vertigini, sincopi, convulsioni e coma. La morte sopravviene
ordinariamente in poche ore (2-5).