L`immagine-movimento - Dipartimento di Arti e Scienze dello

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L`immagine-movimento - Dipartimento di Arti e Scienze dello
GILLES DELEUZE, L’immagine-movimento e
immagine-tempo
Gilles Deleuze, in "L'immagine-movimento" e in
"L'immagine-tempo", scritti entrambi negli anni
Ottanta, sostiene la tesi secondo la quale i grandi
autori del cinema possono essere paragonati non
soltanto ad altri artisti, quali architetti, pittori o
musicisti, ma anche a dei pensatori, che pensano
attraverso delle "immagini-movimento" e delle
"immagini-tempo" al posto dei concetti. Deleuze
riallaccia le sue riflessioni sul cinema alle
concezioni di Henry Bergson sulla natura del
movimento e del tempo (Materia e memoria).
Nella contrapposizione elaborata da Bergson tra il
tempo inteso come durata nella coscienza e il
tempo misurabile della matematica e degli orologi, il
cinema si presenta come l'esempio tipico del falso
movimento: esso, infatti, procede con due dati
complementari, delle sezioni istantanee che si
chiamano immagini e un movimento, o tempo
impersonale, uniforme e astratto, che è nella
macchina da presa e con cui si fanno "sfilare" le
immagini. Il cinema attraverso il montaggio arriva
a dare un'immagine del tempo che può essere
diretta se legata alle immagini-tempo o indiretta se
proveniente dalle immagini-movimento e dai loro
rapporti.
Il cinema dunque ricostruisce il movimento con
delle sezioni immobili. Tuttavia, sostiene Deleuze,
non si può concludere l'artificialità del risultato a
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partire dall'artificialità dei mezzi: infatti il cinema,
sebbene proceda con fotogrammi che sono delle
sezioni immobili di tempo (sequenze di 18 o 24
immagini al secondo), ci restituisce un'immagine
media (ovvero risultante dalla somma di tutti i
fotogrammi) a cui il movimento non si aggiunge
astrattamente, ma che appartiene invece
all'immagine come dato immediato.
Attraverso la cinepresa mobile e il montaggio, il
cinema non ci offre un'immagine alla quale
aggiungerebbe, solo in un secondo momento, il
movimento, ma ci dà immediatamente
un'immagine-movimento. Attraverso
l'inquadratura, la macchina da presa ritaglia dallo
spazio aperto del mondo un sistema chiuso, una
sezione mobile del tempo-durata, un sottoinsieme
fatto di immagini, di personaggi e di oggetti posti in
relazione dinamica tra di loro. A differenza di
quelle arti fatte di pose (scultura, pittura, fotografia),
le quali rimandano a forme e idee eterne ed
immobili, il cinema, come la danza e il mimo, libera
valori "non-posati", riporta il movimento all'istante
qualsiasi; esso non cerca il "tutto", poiché il
movimento si fa solo se il tutto non né può essere
dato: appena ci si dà il tutto, il tempo diviene
immagine dell'eternità e di conseguenza non c'è più
posto per il movimento reale che è puro divenire
senza sosta.
Secondo Deleuze, la cosiddetta classica narrazione
deriva direttamente dalla composizione organica
delle immagini-movimento (montaggio), secondo
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le leggi di uno schema senso-motorio. Come dice
lui, le forme moderne di narrazione derivano dalle
composizioni e dai tipi dell’’immagine-tempo,
compresa la “leggibilità”. La narrazione non è mai
un dato apparente delle immagini, o l’effetto di una
struttura che le sottende; è una conseguenza delle
immagini apparenti stesse, delle immagini sensibili
in se, cosi come si definiscono, prima di tutto, per
se.
L’origine della difficoltà sta nell’assimilazione
dell’immagine cinematografica ad un enunciato.
Questo enunciato narrativo, dunque, agisce
necessariamente per somiglianza o per analogia, e,
per quanto proceda con dei segni, questi sono
“segni analogici”. La semiologia necessita dunque
di una doppia trasformazione, da una parte la
riduzione dell’immagine a un segno analogico
appartenente a un enunciato, dall’altra la
codificazione di questi segni per mettere allo
scoperto la struttura relativa al linguaggio (non
analogica) sottostante a questi enunciati. Tutto
avverrà tra l’enunciato per analogia e la
struttura “digitale” o digitalizzata dell’enunciato.
Ma per l’appunto, dal momento che si è sostituito
un enunciato all’immagine, si è attribuita
all’immagine una falsa apparenza, le si è sottratto il
proprio carattere apparente più autentico, il
movimento. Perché l’immagine-movimento non è
analogica nel senso della somiglianza, non
assomiglia a un oggetto che rappresenterebbe.
Deleuze sviluppa il pensiero di Bergson, in senso
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che se si estrae il movimento dal mobile, non esiste
più alcuna distinzione tra l’immagine e l’oggetto,
perché questa distinzione vale soltanto per
immobilizzazione dell’oggetto.
Deleuze ammette che, l’immagine-movimento è
l’oggetto, è la cosa stessa colta nel movimento
come funzione continua. L’immagine-movimento
è la modulazione dell’oggetto stesso. Lui dice
che qui ritroviamo l’analogico, ma in un senso che
non ha più nulla a che vedere con la somiglianza e
che designa la modulazione, come nelle macchine
cosiddette analogiche. Si obietta che la
modulazione a sua volta rinvia da una parte alla
somiglianza, non fosse altro che per valutare i gradi
in un continuum, dall’altra ad un codice capace di
“digitalizzare” l’analogia. Ma, ancora una volta,
questo è vero solo se s’immobilizza il movimento.
La modulazione invece è tutta un’altra cosa; è
una messa in variazione dello stampo, una
trasformazione dello stampo a ogni istante
dell’operazione. Se rinvia a uno o più codici, lo fa
attraverso innesti, innesti di codici che moltiplicano
la sua potenza (come nell’immagine elettronica).
Per se stesse, somiglianze e codificazioni sono
mezzi poveri; non si può fare granché con dei
codici, anche se li si moltiplica, come si sforza di
fare la semiologia. è la modulazione che nutre i
due stampi, che ne fa dei mezzi subordinati, anche
a costi di trarne nuova potenza. Perché la
modulazione è l’operazione del Reale, in quanto
costituisce e continua ricostruire l’identità fra
l’immagine e l’oggetto.
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Deleuze critica la nozione di Metz di cinema come
linguaggio e non lingua, dicendo che in verità
questa lingua della realtà (cinema) non è affatto un
linguaggio. È il sistema dell’immagine-movimento,
che si definisce sull’un asse verticale e un asse
orizzontale, assi che non hanno nulla a che vedere
con il paradigma e il sintagma e che costituiscono
due “procedimenti”. Da una parte l’immaginemovimento esprime un tutto che cambia e si
insedia tra degli oggetti: è un procedimenti di
differenziazione.
L'inquadratura, il piano e il montaggio sono i
mezzi attraverso i quali il cinema costruisce il suo
sistema di relazioni tra immagini. L’immaginemovimento (il piano) ha due facce, una secondo il
tutto che esprime, l’altra secondo gli oggetti tra i
quali passa. Le due facce; specificazione e della
differenziazione, costituiscono una materia
segnaletica che comporta tratti di modulazione
d’ogni tipo, sensoriali (visivi e sonori), cinestetici,
intensivi, affettivi, ritmici, tonali, e anche verbali
(orali e scritti).
Ejzenstejn prima li comparava a degli ideogrammi,
e poi profondamente, al monologo interiore come
proto-linguaggio o lingua primitiva. Ma nonostante i
propri elementi verbali, non è ne una lingua ne un
linguaggio. Secondo Deleuze è una massa plastica,
una materia a-significante e a-sintattica, una
materia non linguisticamente formata, benché non
sia amorfa ma semioticamente, esteticamente,
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pragmaticamente formata. È una condizione,
virtualmente anteriore a ciò che condiziona. Non è
un’enunciazione, non sono degli enunciati. È un
enunciabile.
Cosa esattamente voleva dire Deleuze è che
quando il linguaggio ci impadronisce di questa
materia, che necessariamente lo fa, allora essa da’
luogo a enunciati che domineranno o persino
sostituiranno le immagini e i segni e che rinviano
per loro conto a tratti pertinenti della lingua,
sintagmi e paradigmi, del tutto diversi da quelli di
partenza. Quello che dice lui, è che dobbiamo
quindi definire non la semiologia ma la “semiotica”
come il sistema delle immagini e dei segni,
independemente dal linguaggio in genere.
Quando viene ricordato che la lingua è soltanto una
parte della semiotica, non si vuole più dire, come
per la semiologia, che esistono linguaggi senza
lingua, ma che la lingua non esiste che nella sua
reazione a una materia non relativa al linguaggio,
che essa trasforma. Per questo, enunciati e
narrazioni non sono un dato delle immagini
apparenti, ma una conseguenza che deriva da
questa reazione. La narrazione è fondata
nell’immagine stessa, ma questa non è data.
Quanto alla questione di sapere se esistono
enunciati propriamente cinematografici,
intrinsecamente cinematografici, scritti nel cinema
muti, orali nel cinema parlato, questa e tutt’altra
questione, che riguarda la specificità di questi
enunciati, le condizioni della loro appartenenza al
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sistema delle immagini e dei segni, insomma la
reazione inversa.
Queste riflessioni aprono la possibilità per una
nuova filosofia: mentre la filosofia antica si
proponeva di pensare l'eterno, l'universale, il
cinema diventa il portavoce dell'altra filosofia,
capace di un modo di pensare nuovo che cerca il
singolare, in ogni istante qualsiasi. L'inquadratura,
il piano e il montaggio sono i mezzi attraverso i
quali il cinema costruisce il suo sistema di relazioni
tra immagini. L'inquadratura è il punto di vista, il
sistema chiuso che comprende tutto ciò che è
presente nell'immagine. Essa può comporsi
secondo schemi geometrici, dinamiche di luci e
ombre, "disinquadrature" e fuori campo, e il suo
scopo è rendere l'immagine leggibile, oltre che
visibile, dallo spettatore.
Il piano rappresenta il movimento stesso, il
rapporto tra le parti e il cambiamento che ne
scaturisce l'immagine-movimento stessa, la sezione
mobile della durata secondo la visione bergsoniana.
Attraverso esso si rende possibile una modulazione
spazio-temporale grazie alla quale il tempo assume
il potere di dilatarsi o concentrarsi e il movimento
assume il potere di rallentare o accelerare.
Infine, il montaggio che rappresenta il tutto del film,
l'idea che ci fa dono di un'immagine della durata e
del tempo effettivi. Deleuze, ripercorrendo la storia
del grande cinema d'autore, individua diverse
scuole di montaggio che sembrano segnare un
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percorso di trasformazione da un cinema classico a
un cinema moderno che si differenziano per la
diversa immagine del tempo che hanno saputo
dare: mentre il cinema classico ha veicolato
un'immagine indiretta del tempo, proveniente dalle
immagini-movimento e dai loro rapporti, il cinema
moderno ha dato un'immagine diretta del tempo
grazie ad immagini-tempo che hanno instaurato nel
cinema un regime di scambio tra immaginario e
reale, tra soggettività e oggettività, con il fine di
comunicare l'idea del passaggio, del cambiamento
quale natura stessa del tempo.
Tra gli autori di immagini-movimento, Deleuze
individua diverse forme di montaggio utilizzate: la
tendenza organica della scuola americana, la
tendenza dialettica della scuola sovietica, la
tendenza quantitativa della scuola francese
d'anteguerra e infine la tendenza intensiva della
scuola espressionista tedesca. La scuola
americana concepisce con Griffith un'idea di
montaggio in cui i personaggi e le azioni sono presi
in rapporti binari che costituiscono un montaggio
alternato parallelo, con l'immagine di una parte che
succede a quella di un'altra seguendo un ritmo,
un'alternanza delle parti differenziate; ad esempio, il
mondo dei poveri e il mondo dei ricchi, oppure il
mondo dei buoni e quello dei cattivi, vengono
presentati come sfere in conflitto, indipendenti le
une dalle altre, appunto come modi paralleli,
opposti, mentre si trascura il fatto, commenta
Deleuze, che le parti in opposizione sono in realtà il
frutto di una stessa causa, le due facce della stessa
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realtà sociale di sfruttamento. Le parti distinte
entrano in conflitto, ma le azioni tendono a
ricongiungersi, fino ad arrivare ad una situazione
trasformata che costituisce una grande unità
organica.
Nei film russi di Eisenstein, Vertov, Pudovkin e
Dovzenco l'obiettivo del montaggio è quello di
comunicare l'idea di una meta unitaria da
raggiungere (presa di coscienza, azione politica)
attraverso una giustapposizione di situazioni legate
tra loro e in evoluzione. L'opposizione dialettica, il
passaggio da un opposto all'altro si realizzano
attraverso il ricorso al patetico (l'immagine viene
caricata di una tensione emotiva fino ad esplodere,
ed emergere dall'insieme come "immagine al
quadrato"; e al montaggio di opposizione: questo si
differenzia dal montaggio parallelo poiché l'unità a
cui riporta non è un semplice assemblaggio di parti
giustapposte, ma una spirale organica che cresce
attraverso le contraddizioni per arrivare ad un'unità
più elevata, appunto ad una sintesi dialettica.
Il cinema francese degli stessi anni è
profondamente legato, invece, allo spiritualismo. Il
movimento della macchina da presa rispecchia il
movimento dell'anima, la passione. Le diffuse
immagini d'acqua (mare, fiumi, riprese subacquee)
diventano la forma di quanto non ha consistenza
organica: l'astratto, lo spirito (ne "L'Atalante" di Jean
Vigo l'acqua diventa il luogo dell'apparizione di
fantasmi). Attraverso il montaggio accelerato, la
polivisione, la sovrimpressione delle immagini, il
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tempo e il movimento diventano smisurati,
incommensurabili: il sublime matematico kantiano
fa così la sua apparizione nel cinema.
Il senso del sublime dinamico, invece, emerge dai
giochi di luce nei film dell'espressionismo tedesco. Il
contrasto diventa la matrice del montaggio, luce e
ombra creano un mondo striato, lo spazio è
costruito attraverso una geometria gotica. La luce
che si oppone alle tenebre, la vita che lotta con
l'inorganico per emergere atterrisce
l'immaginazione, ma dà vita allo stesso tempo ad
una facoltà pensante attraverso cui ci sentiamo
superiori rispetto a tutto ciò che ha il potere di
annientarci. Con l'immagine-tempo il montaggio
tende quasi a scomparire a vantaggio del piano
sequenza e della profondità di campo: l'uno
trasmette il senso della continuità di durata, l'altro
(sperimentato da Welles), facendo comunicare lo
sfondo con il primo piano, il lontano con il vicino,
rappresenta il rapporto tra passato e presente,
ovvero un'immagine-tempo diretta.
Mentre l'immagine classica costruiva sequenze di
montaggio secondo leggi di associazione o
opposizione che sfociavano poi in concetti,
l'immagine moderna instaura un "regno degli
incommensurabili", in cui le immagini non si
associano più in maniera razionale, ma vengono
spezzettate per poi essere riconcatenate. Il fuori
campo e il falso raccordo assumono un nuovo
senso. In Godard, ad esempio, a differenza del
cinema classico dove persisteva l'ideale dell'identità
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e del sapere come totalità e armonia, il mixage
sostituisce il montaggio: le immagini appaiono
dissociate, non c'è più unità tra autore, personaggi
e mondo; il rapporto tra il sonoro e il visivo diventa
asincronico, la voce fuori campo si fa indipendente
dalle immagini e la sua funzione è quella di
produrre un sistema di sganciamenti e intrecci tra
presente e passato.
Qualunque sia la forma di montaggio scelta, la
macchina da presa agisce come una coscienza
giudicante, ritaglia una visione particolare dal flusso
continuo della materia e, isolando una sezione
nell'insieme infinito delle immagini, agisce come lo
schermo nero posto dietro la lastra fotografica che
fa sì che l'immagine si distacchi.
Deleuze costruisce una vasta tassonomia di
immagini cinematografiche, elaborandola sulla
scia del sistema di classificazione generale delle
immagini e dei segni stabilito dal Peirce. Se
un'immagine può esprimere un concetto, possiamo
pensare allora che esistono convenzioni simboliche
e discorsive per interpretare i segni
cinematografici? Ovvero esiste un repertorio
codificato d’immagini-significato come nella lingua
oppure un'immagine, a differenza di una parola,
non significa sempre la stessa cosa? Deleuze
afferma, che nel cinema troviamo 3 (6) tipi di
immagini a costituire l'immagine-movimento:
immagini (percezione), affezione e (pulsione),
(che rappresentano la "primità", secondo la
semiotica di Peirce), immagini azione e
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(riflessione) ("secondità"), immagini relazione
("terzità").
Vi sono immagini che hanno una relazione per così
dire "naturale" con le cose che rappresentano,
come nel caso di un ritratto che viene associato
automaticamente al suo modello. Ciò che lega le
due entità è soprattutto l'abitudine a vederle
associate, il patrimonio comune di gesti che tutti noi
compiamo; così, ad esempio, l'apparizione di
un'arma richiama subito un significato di violenza o
di dolore. Queste immagini sono dei cliché. In
questo senso l'immagine filmica, come l'immagine
poetica, non significa ma mostra, non è segno ma
intuizione lirica, senso immanente all'immagine
stessa, realtà direttamente presente senza
mediazione simbolica o riformulazione del reale
stesso.
Il primo piano cinematografico è un'immagine
affezione e il suo ruolo è quello di astrarre
l'immagine dalle coordinate spazio-temporali per
trasformarla in icona, espressione pura di un affetto
che non esiste separatamente da ciò che lo
esprime: nel vedere un volto sofferente vediamo la
sofferenza in persona.
L'immagine affezione esprime qualità o potenze
considerate in sé, senza riferimento a
nient'altro. L'affetto è impersonale, esprime il
possibile senza attualizzarlo e si distingue da ogni
stato di cose individuato, ma allo stesso tempo
esprime qualcosa di singolare, all'interno di una
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storia che lo presenta come l'espressione di
un'epoca o di un ambiente. Il film affettivo per
eccellenza è, secondo Deleuze, La passione di
Giovanna D'Arco di Dreyer. Il regista astrae la
passione dal processo attraverso una
predominanza di primi piani del volto della santa,
mentre il piano medio e quello generale sono
costruiti con assenza di profondità come fossero
anch'essi primi piani. Anche un spazio qualsiasi
può esprimere qualità e potenze ed essere
quindi un'immagine affezione.
A metà strada tra l'immagine affezione e l'immagine
azione troviamo l'immagine pulsione, la quale
rappresenta un affetto degenerato che si manifesta
in un'azione "embrionata", informe o perlomeno non
formale. Troviamo immagini pulsione in tutti i
film naturalisti; le pulsioni rappresentate sono
spesso semplici come la fame o la sette e sono
inseparabili dai comportamenti perversi che
producono e animano. Buñuel, considerato con
Stroheim e Losey uno dei massimi naturalisti del
cinema, ha arricchito l'inventario di pulsioni e
perversioni spirituali ancora più complesse,
riguardanti questioni teologiche e filosofiche. A
differenza del realismo che si esprime attraverso
immagini azione, il naturalismo esprime una
violenza statica, interiore, che si impossessa dei
personaggi e fuoriesce da essi fino a penetrare
l'ambiente e a degradarlo.
L'immagine-azione o "secondità" rappresenta
tutto ciò che esiste solo opponendosi a
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qualcos'altro, come in una relazione duale:
azione-reazione, eccitazione-risposta,
situazione-comportamento. Ci troviamo all'interno
della categoria del reale, dell'attuale, dell'esistente,
dove le qualità e le potenze si attualizzano in stati di
cose particolari. Siamo nell'ambito del realismo, il
genere che ha fatto trionfare universalmente il
cinema americano. Nel regno della "secondità" la
situazione e il personaggio (o l'azione) sono due
termini correlativi e antagonisti: l'ambiente agisce
sul personaggio, il personaggio reagisce a sua volta
in modo tale da rispondere alla situazione e
modificare l'ambiente, pervenendo dunque ad una
nuova situazione.
Molti generi di film hanno una simile struttura: tutti i
film di guerra; i film-documentario, dove si vede
l'uomo, o la natura in genere, fronteggiare le sfide
dell'ambiente; i film psico-sociali (Gran Torino),
dove da una comunità emerge la figura di un capo
in grado di rispondere alle difficoltà della situazione
(qui il realismo descrive una patologia dell'ambiente
e le reazioni ad essa da parte dei personaggi che la
subiscono); i film western, dove il duale, lo scontro
tra due forze antagoniste si esprime attraverso la
rappresentazione del duello; i film storici, etc.
Comunque, l'immagine azione ha tuttavia anche
un'altra forma, una piccola forma sostiene Deleuze,
dove questa volta è l'azione che svela la situazione,
o un aspetto di essa, la quale a sua volta dà inizio
ad una nuova azione.
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La nuova immagine azione procede per indizi,
per ellissi e per equivoci. L'azione svela una
situazione non data che viene dedotta dall'azione
stessa, oppure una piccolissima differenza tra due
azioni produce una grandissima distanza tra due
situazioni, delle quali una sola è reale e l'altra
apparente o menzognera. Questa nuova formula
dell'immagine è comune a molti film gialli o
polizieschi e al burlesque.
All'ultima categoria, detta "terzità",
appartengono quelle specie d’immagini
(immagini relazione) che hanno una relazione
"astratta" con il senso che veicolano. Questa
relazione è costruita su una convenzione e di
conseguenza queste immagini rendono il film più
difficile: esse vanno interpretate in quanto non sono
leggibili intuitivamente e il loro senso va cercato
nella storia che le riguarda, nella loro funzione di
simbolo all'interno della cultura a cui appartengono,
nel tessuto relazionale in cui sono inserite. Per
esempio i gabbiani che attaccano gli uomini nel film
Gli uccelli di Hitchcock (massimo creatore
d’immagini relazione secondo Deleuze) sono il
simbolo (relazione astratta) dell'inversione del
rapporto uomo-natura, e soltanto intuendo questa
relazione siamo in grado di comprendere il senso
dell'intero film.
Ma sono proprio queste immagini ad avvicinare il
cinema al pensiero e ad allontanarlo dai luoghi
comuni. Deleuze si serve della classificazione delle
figure del discorso di Fontanier per descrivere le
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diverse forme assunte dall'immagine relazione: così
un'immagine può avere il valore dei tropi letterari
(come nella Poetica di Aristotele), ed essere letta
come una metafora, una metonimia o una
sineddoche oppure valere come allegoria, simbolo,
sillogismo, e animare delle figure di pensiero.
Il cinema, come filosofia, può porre ora delle
domande trascendenti o esistenziali, domande su
Dio o sulla vita, e le pone attraverso delle immagini
mentali che non rappresentano il pensiero di
qualcuno, ma concernono gli stessi oggetti che
possiedono un'esistenza propria al di fuori del
pensiero e la relazione che si stabilisce tra essi.
L'interpretazione si fa necessaria per la
comprensione di queste immagini, per cogliere la
relazione che le lega, poiché esse non sono unite
naturalmente nello spirito, ma in virtù di una legge
esterna. Il mentale mette in crisi l'immagine
tradizionale del cinema e anche se si continuano a
fare film d'azione, essi non esprimono più la
vecchia anima del cinema che ora esige sempre più
pensiero.
La crisi dell'immagine azione dipende, secondo
Deleuze, da molte variabili, dalla guerra e dalle sue
conseguenze, dal vacillare del sogno americano,
dall'inflazione delle immagini nel mondo esterno e
nella mente della gente e dall'influenza sul cinema
delle nuove tipologie del racconto, già sperimentate
dalla letteratura. Con la tecnica digitale
l’illusionismo e il realismo non sono più in grado di
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raccontare il nuovo stato di cose. L'immagine non
rinvia più a una situazione sintetica, ma dispersiva; i
personaggi sono molteplici e non è più possibile
distinguere un personaggio principale da uno
secondario. La realtà stessa sembra lacunosa e
confusa e il caso sembra essere il solo filo
conduttore che lega gli avvenimenti.
Il nuovo progetto estetico, e politico, che nasce con
digitale ha le sue radici in Europa con il
Neorealismo, Nouvelle Vague, e nuovo cinema
americano. Con l'immagine mentale, l'immaginemovimento arriva al proprio limite, aldilà di essa
troviamo l'immagine-tempo, costituita a sua volta da
immagini ottico-sonore pure, immagini ricordo,
immagini sogno, fino ad arrivare alle immagini
cristallo. La nuova immagine allude a visioni del
mondo alternative dove il tempo può seguire una
linea spezzata o un percorso circolare e non essere
più strutturato secondo l'idea di un fine a cui
tendere. La realtà assume una nuova forma che
è errante, ellittica, sempre ambigua. Alle
situazioni senso-motorie del vecchio cinema
d'azione realista si sostituiscono delle situazioni
puramente ottiche e sonore: i personaggi dei nuovi
film sembrano essere divenuti essi stessi degli
spettatori di una situazione che subiscono senza
poter reagire. Il personaggio è come consegnato a
una visione piuttosto che impegnato in un'azione.
Gli ambienti e gli oggetti che popolano le
inquadrature acquistano valore per se stessi. La
banalità quotidiana oppure i ricordi d'infanzia, i
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sogni e le immagini soggettive animano le nuove
immagini fino a confondere la realtà con lo
spettacolo; la realtà trascorre nell'immaginario e ne
esce deformata dal pensiero, diviene una nuova
realtà, creata dalla mente attraverso la parola e la
visione, finché attuale e virtuale, reale e
immaginario si fanno indiscernibili.
Spesso nella sceneggiatura è assente ogni
intreccio, proliferano i tempi morti e le conversazioni
banali, oppure il silenzio. Le nuove immagini che
esprimono il divenire, il passaggio, rappresentano
l'essenza del tempo. Immagini visive e sonore
rendono sensibili il tempo e il pensiero e fanno di
essi uno strumento di conoscenza. L'immagine
ottico-sonora rievoca un'immagine ricordo:
l'immagine attuale (descrizione) si concatena
con un'immagine virtuale (ricordo) componendo
un circuito che va dal presente al passato per
tornare al presente, attualizzando il ricordo
attraverso il meccanismo del flash-back.
Attraverso questo tipo di montaggio si
producono delle relazioni non lineari tra le
situazioni, si impongono delle svolte nella
narrazione, delle rotture di causalità che creano
degli enigmi. Ancora una volta si instaura un
circuito di indiscernibilità tra l'immagine attuale del
presente e l'immagine attualizzata del virtualericordo, mentre le immagini sogno emergono
quando non si riesce a ricordare e l'immagine
attuale del presente entra in contatto con l'elemento
virtuale del sogno o del déjà-vu. Da questo nuovo
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tipo d’immagine nasce il confronto tra cinema e
psicanalisi e da qui ha anche origine il Surrealismo.
Il montaggio è fatto da dissolvenze e
sovrimpressioni che esprimono l'idea di un
coinvolgimento del passato nel presente in una
forma anarchica e da tagli improvvisi delle
sequenze che producono l'idea di uno
sganciamento, di una rottura. Si tratta per Deleuze
(che riprende la teoria bergsoniana del sogno) di
falde di passato fluide che emergono
disordinatamente incarnandosi in delle metafore,
senza presentarsi direttamente in immagini
attualizzate del passato (come avviene nel ricordo).
Tra le immagini sogno Deleuze pone anche i film
della commedia musicale, in cui le danze sembrano
voler riprodurre un mondo onirico, creare un sogno
gigantesco ed esprimere il passaggio da questo alla
realtà in un andirivieni che di nuovo marca
l'indiscernibilità tra reale e immaginario.
Infine, viene definito l'immagine cristallo. Essa si
produce quando "l'immagine ottica attuale si
cristallizza con la propria immagine virtuale",
quando l'immagine presenta una doppia faccia
insieme attuale e virtuale, producendo una nuova
forma di indiscernibilità. Deleuze parla di immagini
doppie per natura nelle quali l'indiscernibilità tra
attuale e virtuale, presente e passato, reale e
immaginario, vero e falso non si produce nella
mente dello spettatore, ma è un vero e proprio
carattere oggettivo di questo tipo di immagini. Un
esempio efficace di immagine cristallo è l'immagine
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allo specchio: "l'immagine allo specchio è virtuale in
rapporto al personaggio attuale che lo specchio
coglie, ma è attuale nello specchio che lascia al
personaggio soltanto una semplice virtualità e lo
respinge fuori campo". Tra i numerosi autori di
immagini cristallo ricordati da Deleuze ci sono
Orson Welles (ne la Signora di Shangai si ricorda la
celebre sequenza della stanza degli specchi),
Tarkovskij (un suo film si intitola appunto Lo
specchio), Resnais (la confusione di passatipresenti di L'anno scorso a Marienbad),etc.
L'immagine reciproca del cristallo, presente e
passata contemporaneamente, somiglia all'illusione
della paramnesia, al déjà-vu: ricordo del presente,
passato contemporaneo al presente stesso.
Tuttavia l'immagine cristallo non ha una natura
mentale o psicologica, ma esiste fuori della
coscienza e nel tempo, quasi come un frammento
di tempo allo stato puro. Il passato si forma
contemporaneamente al presente e non dopo di
esso e dunque il tempo si sdoppia in ogni istante e
l'immagine attuale del presente che passa si forma
simultaneamente all'immagine virtuale del passato
che si conserva, fino a formare un circolo. Il reale si
colloca all'esterno dell'immagine cristallo, l'avvenire
è al di fuori del circolo, oltre l'eterno rinvio tra
passato e presente.
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