c .Regno - Dehoniane

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c .Regno - Dehoniane
c .Regno
f
Sulla martoriata vicenda
della Somalia, la rivista è
intervenuta negli anni a
più riprese. Segnaliamo,
tra gli altri, gli articoli
pubblicati in Regno-att.:
18,1989,535; 10,1991,343;
16,1992,518; 22,1992,664;
8,1993,232; 8,1993,230;
4,2003,120; 6,2005,165;
16,2005,529; 16,2005,528;
10,2006,312; 12,2006,382;
12,2006,380; 2,2007,18.
tanta – i militari etiopi, presenti dal
2006 e schierati al fianco del governo
di transizione, si sono spesso resi responsabili di violenze e abusi nei confronti dei civili. Lo conferma anche un
rapporto di Amnesty International,
dove si denunciano le condizioni di totale insicurezza in cui è costretta a vivere la popolazione, che subisce attacchi e vessazioni da parte di tutti coloro
che detengono le armi, compresi quelli che dovrebbero essere lì per difenderla. Rabbia e orrore aveva suscitato,
in particolare, la strage avvenuta in
una moschea di Mogadiscio a fine
aprile 2008; una ventina i morti, tra
cui sei religiosi, e alcune donne e bambini che si erano rifugiati lì per sfuggire ai combattimenti che imperversavano in città. La moschea era stata centrata da colpi di artiglieria pesante,
sparati dalle truppe etiopi.
In sostanza, quello che doveva essere un intervento-lampo per scacciare
le corti islamiche da Mogadiscio non
solo non è riuscito nel suo intento, ma
si è tradotto in un’estremizzazione del
movimento islamista, ben organizzato
anche dal punto di vista militare, e in
un’estensione della missione etiope
con effetti spesso nefasti sulla popolazione.
D’altra parte, è solo grazie all’intervento militare etiope, voluto e sostenuto dagli USA, che il presidente Yusuf si è mantenuto al potere in questi
anni. Ora, il ritiro dell’Etiopia potrebbe avere come duplice effetto quello di
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IL REGNO -
AT T UA L I T À
22/2008
lasciare campo libero ai movimenti
islamici più radicali e di accelerare il
processo di implosione del governo di
transizione.
Il movimento islamista Al Shabaab
– di cui fanno parte soprattutto elementi dei clan hawiye e rahanweyn –
sta infatti progressivamente conquistando le città del Centro-sud lasciate
dalle truppe etiopi (Merca Dhusa-Mareb, Arardhere, El Dhere e Elasha) oltre ad alcuni quartieri di Mogadiscio,
imponendo ovunque la legge della forza e della sharia.
D’altro canto, all’interno del governo di transizione, i contrasti tra il presidente Yusuf e il primo ministro Nur
Hassan Hussein sembrano ormai inconciliabili. Al punto che Yusuf – il cui
mandato scade nel 2009 e che rifiuta
di formare un nuovo governo di unità
nazionale – ha chiesto al leader libico
Muammar Gheddafi il trasferimento a
Tripoli dei negoziati che finora si sono
svolti a Gibuti, sotto l’egida dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo
dell’Africa orientale (IGAD), con la
mediazione di ONU e Unione Africana (UA).
Insomma, una volta di più il paese
sembra essere sull’orlo di un collasso.
Al punto che il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha chiesto l’invio di 27.000 peacekeeper. Di fatto, sono attualmente presenti in Somalia solo 3.400 caschi verdi burundesi e
ugandesi della missione dell’Unione
Africana per la Somalia (AMISOM),
operativa dal marzo 2007, che in questi anni non solo non sono riusciti a garantire la pace o a limitare le violenze,
ma sono diventati loro stessi bersaglio
di attacchi e attentati da parte di estremisti dell’Unione delle corti islamiche
che – dal 2007 e sino all’accordo dello
scorso ottobre – si sono battute contro
Yusuf e tutti i suoi alleati interni o
esterni al paese.
Crisi umanitaria
Questa incessante mancanza di
stabilità e sicurezza ha contribuito ad
aggravare la crisi umanitaria, provocata dall’ennesima siccità e da un’inflazione schizzata alle stelle. Secondo il
Programma alimentare mondiale
(PAM), circa il 44% della popolazione
è a rischio. Ma lo stesso PAM, che invia mensilmente in Somalia 35.000
tonnellate di aiuti alimentari, fatica a
far fronte alle necessità della gente. È
una situazione comune a tutte le agenzie umanitarie rimaste in Somalia, che
sono diventate obiettivo frequente di
attacchi e sequestri di personale. Inoltre, secondo fonti delle Nazioni Unite,
nel solo 2008 sarebbero stati uccisi 15
operatori umanitari. Recentemente i
camion del PAM sono stati assaliti a
Mogadiscio dalla popolazione inferocita per il deteriorarsi della situazione,
mentre le navi che trasportavano gli
aiuti alimentari sono state attaccate in
mare dai pirati somali, che agiscono
lungo le coste dell’Oceano indiano e
nel golfo di Aden.
Secondo l’International Maritime
Bureau gli episodi di pirateria sarebbero in continua crescita e avrebbero interessato, nei primi nove mesi del
2008, 32 navi straniere, tra la quali la
maxipetroliera saudita Sirius Star,
battente bandiera libanese, con a bordo un carico di oltre due milioni di barili di petrolio, e la nave ucraina Faina,
che trasportava una trentina di carri
armati e armi destinati al conflitto in
Darfur.
A causa dell’intensificarsi delle attività di questi nuovi pirati del XXI secolo, anche l’Unione Europea (UE) ha
deciso l’invio in dicembre di una forza
aereo-navale, con unità navali e reparti aerei di Belgio, Cipro, Francia, Germania, Gran Bretagna, Lituania,
Olanda e Svezia. Il quartier generale
ha sede a Londra. «Sono certo – ha dichiarato Javier Solana, alto rappresentante UE per la politica estera e la sicurezza – che questa forza navale darà
un contributo importante al Programma alimentare mondiale nella protezione delle navi che transitano al largo
della Somalia e alla lotta contro la pirateria. La pirateria si è insediata sulle
coste della Somalia, provocando danni
economici per 18-30 milioni di dollari.
Ciò ha trasformato l’area nella più pericolosa via marittima del mondo». È
la prima volta nella storia che l’UE trasferisce una propria forza militare nel
Corno d’Africa; forza che andrà ad affiancare quella della NATO (Standing
Naval Maritime Group 2 – SNMG2),
che opera sotto il comando della marina italiana ed è composta da unità militari di Germania, Gran Bretagna,
Grecia, Italia, Turchia e Stati Uniti.