580 Rassegna bibliografica
Transcript
580 Rassegna bibliografica
580 Rassegna bibliografica Aa. Vv., “Didon se sacrifiant” d’Étienne Jodelle, textes recueillis par Bruna Conconi, Bologna, Emil de Odoya, 2014 («Analyses textuelles»), pp. 266. Il volume raccoglie gli interventi presentati in occasione del seminario di Cesenatico del 13-15 ottobre 2011 dedicato alla Didon se sacrifiant. Il contributo di Jean-Claude Ternaux (Dramaturgie et figures féminines dans “Didon se sacrifiant”, pp. 7-26) evidenzia diverse tematiche centrali della tragedia: innanzitutto la predominanza delle figure femminili, il cui spazio di parola è il più esteso – ma non per questo il più efficace (il fallimento della parola persuasiva decreta infatti la morte della protagonista). Viene poi analizzato il percorso che conduce al suicidio attraversa le tappe del dolore, morale e fisico, e del furore, in cui ritroviamo l’eco delle analisi di F. Dupont sulla tragedia senecana. Infine si mostra come la figura di Didon si sovrapponga a quella di altre due eroine del mito, evocate nella tragedia stessa: Medea e Arianna. Un altro dei temi cardine della pièce, quello della menzogna e dell’interpretazione della parola dell’Altro, è affrontato da Éric Lysøe (D’un mensonge qu’on nomme ici littérature, pp. 27-75). L’A. rileva inoltre come l’opposizione fra personaggi maschili e femminili si articoli sotto molteplici aspetti, e in particolare nell’ambito dei simboli associati ai due protagonisti (e ai rispettivi campi) che suggeriscono di leggere il confronto fra Didon ed Énée come un dibattito fra tragedia ed epopea. Gilles Polizzi (Le sein cassé: la topique de l’envie et l’invention du tragique dans “Didon se sacrifiant” de Jodelle, pp. 77115), rifacendosi agli studi della psicanalista Melanie Klein, si interessa al tema dell’invidia quale patologia che, nelle sue diverse forme, colpisce i principali personaggi della pièce determinandone le sorti. Motivo peraltro fortunatissimo nel secondo Cinquecento, l’invidia contribuisce in larga misura alla creazione di personaggi complessi e contraddittori e alla definizione della drammaturgia jodelliana, in cui «l’exploration statique de la profondeur des caractères se substitue à l’action» (p. 110). L’ultimo contributo, di Didier Souiller (“Didon se sacrifiant” de Jodelle et “Dido, Queen of Carthage” de Marlowe: renaissance de la tragédie ou tragédie de la Renaissance?, pp. 117-150) istituisce un confronto fra le Dido(n) di Jodelle e di Marlowe, soffermandosi in particolare su questioni di carattere morale, filosofico e teologico ma toccando anche questioni legate alla translatio generica. Ai contributi originali che abbiamo elencato si aggiunge la traduzione di un articolo di Ruggero Campagnoli (Le sentiment du tragique dans “Didon se sacrifiant” de Jodelle, pp. 249-266, apparso originariamente in «Studi di letteratura francese», 18 (1990), pp. 17-31) e la trascrizione delle discussioni che hanno animato il seminario (pp. 151-245). [maurizio busca] Aa. Vv., “Didon se sacrifiant” d’Étienne Jodelle, sous la direction de Charlotte Bonnet, Anne Boutet, Christine de Buzon et Élise Gauthier, Tours, Presses Universitaires François-Rabelais, 2015 («Perspectives littéraires»), pp. 202. Il presente volume, che va ad arricchire il nutrito corpus delle pubblicazioni sulla Didon se sacrifiant apparse negli ultimi tre anni, riunisce i contributi dei cinque specialisti che hanno animato la giornata di studi del 19 ottobre 2013 presso il CESR di Tours. Alcuni degli studi raccolti (segnatamente quelli di Buron e Polizzi) riprendono questioni già affrontate recentemente dai rispettivi autori, proponendo comunque nuovi sviluppi. Ogni contributo è accompagnato da una bibliografia selettiva, mentre alle pp. 17-21 è presente un repertorio delle ultime pubblicazioni dedicate alla tragedia di Jodelle che integra le bibliografie curate da Sabine Lardon e Jean-Claude Ternaux (aggiornate, queste ultime, al 2013-2014). I contributi raccolti sono i seguenti. Emmanuel Buron, Le sacrifice de Didon, Réseau d’allusions et scénario sous-jacent dans “Didon se sacrifiant” d’Étienne Jodelle, pp. 23-47; John Nassichuk, «Ceste gent tromperesse…»: «foi», «feinte» et éthique de la parole dans “Didon se sacrifiant” pp. 49-113; Gilles Polizzi, Didon sur la scène de l’envie: propositions dramaturgiques, pp. 115-150; Sylvain Garnier, Les chœurs chez Jodelle: évolution des fonctions dramatique, lyrique et morale et de leur articulation, pp. 151-182; Mathilde Lamy-Houdry, Héros épique, héros tragique: la figure d’Énée de Virgile à Jodelle, pp. 183-196. Buron si interroga sul tema del sacrificio, che Jodelle introduce nella sua riscrittura del mito assimilando la figura di Didon a quelle di Ercole morente e di Cristo («sacerdos et hostia», così come la regina di Cartagine è «prestresse et victime»). Assimilazione, questa, certamente problematica: in Didon è assente la componente divina che la condurrebbe all’apoteosi, e la sua morte non apre a una prospettiva di salvezza collettiva. Tuttavia, osservando come Jodelle faccia ricorso anche altrove al motivo della resurrezione di Cristo non già nelle sue implicazioni religiose ma quale immagine del trionfo dell’uomo sulla morte (e in particolare dell’immortalità del poeta), l’A. riconosce in Didon un personaggio che incarna la «vengeance de l’homme» (v. 1966) contro l’umiliazione della caduta imposta dagli dei: attraverso il suicidio, Didon diviene «une figure exemplaire de la grandeur foudroyée» (p. 36). Istituendo infine un parallelo con l’Abraham sacrifiant di Bèze, l’A. mostra come l’Énée di Jodelle, negazione del modello virgiliano del pius Aeneas, rappresenti una sorta di versione esecrabile della figura di Abramo. Il contributo di Nassichuk parte da uno studio del lessico e della retorica dell’amore nell’opera poetica di Jodelle per verificare la presenza dei medesimi tratti caratteristici nell’opera drammatica. Il tema della «foi» e della «constance», già presente nelle poesie e centrale nella Didon (ma pensiamo anche alla sua rilevanza in altre tragedie coeve, come la Médée di La Péruse), solleva interrogativi di natura morale intorno all’uso ambiguo della retorica politica e amorosa, strumento di persuasione e quindi, potenzialmente, di inganno. La trasposizione di genere operata sul canto IV dell’Eneide, peraltro, crea spazi di espressione della dimensione dell’interiorità che permettono a Jodelle di interrogare i silenzi del testo virgiliano, esplorando il motivo dell’incertezza e del sospetto dell’altro. Anche l’articolo di Polizzi guarda all’interiorità dei personaggi, muovendo dagli studi psicanalitici di Melanie Klein sull’invidia e la gratitudine per illustrare le declinazioni e gli effetti dell’envie (invidia, ingratitudine, maldicenza) nei protagonisti della tragedia. L’A. individua nel trattamento jodelliano dell’envie il principale motore della pièce, nonché un’occasione di riflessione morale ed esistenziale. Garnier esamina invece il problema del ruolo del coro nelle tragedie di Jodelle. Nella Cléopâtre abbiamo un coro che nei primi due atti non interviene nell’azione ma porta su di essa il proprio sguardo, mentre negli ultimi tre diviene un vero e proprio personaggio: in questo modo il drammaturgo può dare ampio spazio a tutte le funzioni (drammatica, lirica, morale) Cinquecento581 prescritte dall’Ars poetica oraziana. Nella Didon invece Jodelle opera una scelta originale, scindendo il coro in due sezioni (passando quindi dall’espressione di una doxa morale a quella di due posizioni opposte e inconciliabili) e prediligendone la funzione drammatica a discapito di quella lirica; l’A. rileva, inoltre, «un appauvrissement drastique du lyrisme [dont l’inspiration] passe d’une logique poétique enthousiaste à une logique de clarté rhétorique» (p. 176). L’ultimo contributo, di Lamy-Houdry, indaga invece le implicazioni del passaggio di genere nella definizione dei personaggi di Énée e Didon. «De l’intertexte épique à l’amplification tragique, l’héroïsme devient problématique» (p. 188); tuttavia, secondo l’A., l’Énée di Jodelle, personaggio epico posto in una situazione tragica, rimane un modello etico positivo che si oppone a Didon, personaggio epico che diviene tragico soccombendo alla passione (in ciò l’A. si distanzia dalla lettura proposta da Buron). [maurizio busca] «Revue des Amis de Ronsard», XXVII, 2014, pp. 98. Ce bulletin annuel de la Société des Amis de Ronsard du Japon 2014 comporte quatre contributions. Chihiro Hayashi (L’effondrement des visions oniriques – autour du “Songe” (1558) de Joachim Du Bellay, pp. 1-20, article en japonais suivi d’un résumé en français, pp. 21-23) s’inscrit dans la continuité des études de D. Russel, qui a souligné le rapport entre l’emblème et les visions du Songe, et de M.-M. Fontaine qui a étudié la construction du recueil, marquée par l’alternance métrique des décasyllabes et alexandrins et par la mise en page de l’imprimeur. C. Hayashi attire ainsi l’attention sur la valeur structurante d’expressions évoquant la vision, sur la fin des sonnets, sur la progression temporelle du recueil et sur l’incertitude entre songe et veille que maintient sa structure cyclique, pour interroger le rapport entre la poésie et les arts visuels, architecture et peinture. Akira Hamada (Trois étapes des “Quatrains” de Pibrac, pp. 25-40, article en japonais suivi d’un résumé en français, pp. 4142) considère les Quatrains de Pibrac en reconstituant leur publication progressive: 50 quatrains en 1574, 51 nouveaux quatrains en 1575 et 25 supplémentaires en 1576 (édition définitive de 126 quatrains donc) pour tenter de percer la logique de leur ordonnance respective. L’étude est complétée par un tableau récapitulatif des quatrains et de leur place selon les trois éditions successives. Jean-Pierre Dupouy (La figure de Peithô, déesse de la persuasion, dans la poésie de Ronsard, pp. 43-65), part du sonnet 32 des Amours de 1552 pour suivre la figure de Peithô dans plusieurs recueils de Ronsard ou de ses contemporains, afin d’en dégager la dimension érotique, mais également métapoétique comme symbole de la volonté de séduction exercée par l’auteur sur son lecteur. Jean Braybrook (Robert Garnier et l’orchestration du deuil, pp. 67-85) étudie l’importance du motif des pleurs dans le théâtre de Garnier à travers un parcours de l’ensemble de ses pièces, afin d’en dégager les enjeux dramaturgiques (fonction cathartique, représentation scénique), mais également politiques et sociaux (cohésion communautaire et opposition au tyran), en resituant la question dans le contexte de l’époque. Devant l’intérêt de ces communications, nous nous permettrons seulement de regretter de ne pouvoir ac- céder à l’intégralité des deux articles en japonais, dont le résumé permet de mesurer l’apport. [sabine lardon] Jacques Yver, Le Printemps d’Yver, édité par MarieAnge Maignan en collaboration avec Marie Madeleine Fontaine, Genève, Droz, 2015, pp. cli-756. Viene finalmente ripubblicata un’opera che, malgrado il successo di cui godette negli ultimi decenni del Cinquecento (circa trenta edizioni, tutte postume, fra il 1572 e il 1600, oltre a due edizioni secentesche e una fortunatissima traduzione inglese del 1578), non aveva finora beneficiato di un’edizione moderna, ad eccezione di quella di P. Lacroix apparsa nel 1841 e riproposta da Slatkine nel 1970. In assenza del manoscritto originale, il testo di riferimento adottato è quello dell’edizione che, basandosi su argomenti convincenti, M.-A. Maignan ritiene essere la princeps. La curatrice ha scelto di non uniformare le grafie differenti, né di correggere i problemi di accordo delle persone verbali, dei participi e degli aggettivi; è però intervenuta, oltre che in caso di inintelligibilità o di errore manifesto, dissimilando i/j e u/v, sciogliendo le abbreviazioni, introducendo o sopprimendo alcuni apostrofi e spazi, e armonizzando le finali in -é(es). Gli interventi sulla punteggiatura e l’impaginazione sono consistenti ma condotti in maniera tale da non modificare la scansione ritmica originale. Le varianti significative delle prime edizioni sono segnalate in apparato. Il testo, corredato da un corposo apparato di note, è preceduto da un’introduzione suddivisa in tre parti. Nella prima (pp. ix-xxxix) viene dapprima tracciata la vicenda biografica di Jacques Yver basandosi sugli scarni documenti d’archivio disponibili, per poi ricostruirne l’ambiente religioso e intellettuale nel quale si è formato e ha vissuto. Se non è possibile stabilire dove abbia condotto i suoi studi, si può affermare che con tutta probabilità Jacques Yver abbia ricevuto una formazione in diritto a Poitiers, e che negli ultimi anni di vita abbia soggiornato a Parigi entrando probabilmente in contatto con Belleforest. Incerta anche la sua appartenenza religiosa: spesso annoverato dalla critica fra le file dei riformati, le sue frequentazioni sembrerebbero invece suggerire un’adesione al cattolicesimo. La seconda parte dell’introduzione (pp. xxxix-cii) è dedicata alla presentazione dell’opera. Testo difficilmente classificabile nei limiti di un genere, il Printemps testimonia la vastità degli interessi letterari ma anche politici, storici e geografici del giovane Yver (in linea con il gusto dell’epoca per le grandi cosmographies). La curatrice traccia i contorni della biblioteca yveriana, in cui spiccano fra gli antichi Ovidio, Plutarco e Plinio (oltre a traduzioni di romanzi alessandrini: Dafni e Cloe, Leucippe e Clitofonte), mentre fra i moderni, accanto a diversi storici francesi, italiani e inglesi, troviamo Rabelais e l’Orlando Furioso, numerosi novellieri italiani (Boccaccio, Bandello, Arlotto…) e francesi (Boaistuau, Belleforest, Marguerite de Navarre…), e ancora gli Asolani e il Cortegiano, Bracciolini e Domenichi, e fra i poeti contemporanei Ronsard, Du Bellay e Belleau. La questione dei rapporti fra prosa e poesia, e fra poesia, musica e danza è affrontata alle pp. lxx-lxxix, in cui Maignan sottolinea peraltro la distanza del Printemps dalle bergeries e dalle raccolte di poesie commentate dall’autore. Nelle pagine seguenti la curatrice conduce invece un’analisi della prosa poetica di Yver. La terza ed ultima parte dell’introduzione (pp. cii-cl) è infine dedicata alla posterità del Printemps in Inghilterra, do-