La leggenda di san Giuliano - Lacan-con

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La leggenda di san Giuliano - Lacan-con
Jacopo Da Varagine
La leggenda di san Giuliano
Prefazione di Moreno Manghi
UN RIEDIZIONE DELL’EDIPO: LA “COPPIA GENITORIALE”
Nela Leggenda di san Giuliano di Jacopo da Varagine i corpi dei genitori che
giacciono, a sua insaputa, nel letto matrimoniale del figlio, non vengono da lui riconosciuti
come quelli del padre e della madre; Giuliano li scambia per ciò che in realtà sono: i corpi
di un uomo e di una donna a letto insieme, i corpi di due amanti. Immaginando di avere
scoperto la moglie a letto con l’amante, senza la minima esitazione, senza porsi la minima
questione, senza domandarsi e domandare nulla, senza avere finora mai avuto il più piccolo
sospetto di adulterio, senza riflettere un solo istante sull’assurdità di quella situazione, senza
rivolgere una parola o uno sguardo ai due dormienti, Giuliano passa all’atto, passandoli a fil
di spada.
Se lasciamo cadere il fragile alibi dell’adulterio, quale può essere il vero il motivo di un
simile stravagante assassinio se non il fatto che Giuliano non ha riconosciuto suo padre e sua
madre proprio perché li ha riconosciuti?1 Li ha riconosciuti, sì, ma come amanti, e non l’ha
sopportato. Potremmo anche dire che ha sorpreso il padre e la madre in flagrante delitto
“sessuale”, cioè che si è sorpreso di vederli in quanto uomo e donna, ed è proprio per
questo che non li ha riconosciuti: la scoperta del sesso dei genitori (la scoperta che i genitori
sono sessuati, che si desiderano) toglie loro ogni aspetto famigliare, distrugge il rapporto di
parentela e li rende due estranei.
Se il padre e la madre sono immaginati come una perenne “coppia genitoriale”, la
rivelazione del loro essere uomo e donna è un trauma, uno scandalo che li rende immorali.
Il figlio della “coppia genitoriale” si scandalizza dei genitori che osano avere una loro vita,
separata dalla sua, una vita “adulterina” dove si incontrano e stanno insieme al di fuori della
famiglia, del focolare, della vita professionale e dove non si parlano da genitori; ma il reato
più grave è quando si spingono a trascurare i “problemi” dei figli, che gli insegnanti zelanti
non mancano mai di segnalare, sollecitando i genitori a rivolgersi allo psicologo, che farà
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Non riconoscere e al tempo stesso riconoscere si dice “misconoscimento”.
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accertamenti sul loro grado di “genitorialità” 2, l’essenza che la Psicologia odierna vuole
sostituire alla sessualità dei genitori.
A ben guardare, la “genitorialità”, la “coppia genitoriale”, non sono forse delle
riedizioni, con un nuovo look, del vecchio “complesso di Edipo”?
La leggenda di San Giuliano ci rivela che un figlio – quando è figlio di una coppia
genitoriale – non può sopportare di pensarsi come il frutto generato dell’amore di un uomo
per una donna, di una donna per un uomo. Perché questo pensiero è così intollerabile?
Perché i genitori, a loro volta, sono così a disagio nel mostrare il loro desiderio davanti ai
figli?3 Risposta: perché se lo facessero, il legame di parentela sarebbe distrutto, e con esso
l’Edipo.
Infatti, non appena un figlio si pensa generato dall’amore dei propri genitori, non è
più “loro” figlio, non è più “figlio di” mamma e papà, ma è la metafora di quell’amore, il
discendente di quell’amore, la conseguenza di quell’amore. O anche: l’“incidente” di
quell’amore: ma questo cambierebbe forse qualcosa? 4 Ma al tempo stesso, un figlio con
quell’amore non ha niente a che fare, non può accampare nessun diritto su di esso e
proprio questo “non poterci entrare” costituisce la barriera dell’incesto, senza bisogno di
formulare alcun divieto, alcuna enunciazione di una Legge proibente. Quei due si amano, e
la questione è chiusa, non c’è modo di entrarvi, non c’è alcun appiglio perché la cosa debba
riguardare un figlio; ha un bel desiderare il padre o la madre: qualunque cosa faccia, dal
loro amore resta escluso. È questa impossibilità la “roccia della castrazione”. È la scoperta
che il padre e la madre si desiderano che “castra” un figlio, tagliandolo inesorabilmente fuori
da ogni accesso alla madre, proprio come l’amante più irriducibile deve arrendersi di fronte
a una donna che vuole possedere e vuole essere posseduta solo dal proprio uomo.
Quando il bambino scopre il desiderio dei genitori, non desidera più la madre perché
è proibita, interdetta (come nel complesso di Edipo), ma desidera proprio perché è
liberato dal desiderio della madre, che non è più affar suo. Il problema della “Legge del
Attenzione: se si ha un grado “genitorialità” insufficiente (si arriverà prima o poi a misurarla come avviene per
un alcol test), si rischiano molestie e sanzioni, e non solo morali; per esempio, non si potrà ottenere in
adozione un bambino.
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La questione era già stata affrontata da sant’Agostino.
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La cambierebbe solo se due amanti ne approfittassero per corrompere il loro amore.
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Padre” riguarda meno l’autorità della sua parola presso la madre che il suo desiderio per
quest’ultima, perché l’autorità stessa non sarebbe nulla senza questo desiderio, qualunque
sia l’importanza che una donna possa attribuire al prestigio sociale di un uomo (punto
debole, peraltro, attraverso cui si intrufola la questione isterica).
Ricordo lo sconvolgimento raccontato in un’intervista dalla figlia del pittore Amedeo
Modigliani quando scoprì casualmente, già avanti negli anni, le lettere del giovane, infuocato
e tragico amore di un uomo e una donna di nome Modì e Jeanne, lettere in cui la figlia non
riusciva a riconoscere i propri genitori.
La “coppia genitoriale” crea l’illusione che non ci siano mai stati un uomo e una donna,
dapprima estranei l’uno all’altra ma che un giorno si sono conosciuti e si sono desiderati. La
“genitorialità” esclude che ci sia stato un inizio, l’avvenimento di un taglio in seno alle
rispettive famiglie di origine, e immagina che i genitori abbiano sempre fatto parte della
famiglia, proprio come accade in quella arguta barzelletta in cui un bambino dice al suo
amico: “La tua famiglia è proprio strana... Nella mia invece, da sempre si sono sposati tra
parenti: mio padre si è sposato con mia madre..., il nonno con la nonna...”.
(Febbraio 2015)
Moreno Manghi
Jacopo Da Varagine
La leggenda di san Giuliano 1
Fue ancora, un altro Giuliano, il quale uccise il padre e la madre, a sé
niscentemente2. Uno die costui, il quale era un gentile giovane, intendea cacciare e
inseguiva un cerbio, il cerbio rivòltosi a lui sì li disse: – Tu mi vieni pure dietro, il quale
sarai micidiale 3 di padre e di madre? – Quegli, udendo ciò, fortemente isbigottìo, e
perché non li avvenisse quello che avea udito dal cerbio, in celato, lasciando ogni cosa,
si partìo; e vennesene a una contrada molto da lungi, e accostossi là a uno prencipe, e
pertòssi sì valentemente in ogni luogo, e in battaglia e in palazzo, che il prencipe il fece
cavaliere, e dielli per moglie una grande castellana vedova; e ricevette il castello per
dote. Infrattanto il padre e la madre di Giuliano, contristati molto de la perduta del loro
figliuolo, sì si mìssero ad andare per lo mondo sollicitamente, per ogni parte cercando
del loro figliuolo. A la perfine capitarono al castello del quale Giuliano era signore, e con
ciò fosse cosa che egli non vi fosse allora, e la moglie domandasse chi e’ fossero, coloro
le dissero ciò ch'era intervenuto loro e al figliuolo; sì ch'ella intese per quelle parole, che
Jacopo da Varazze (Varazze 1228 -1298) chiamato anche Jacopo o Giacomo da Varagine fu un frate
domenicano scrittore in latino di leggende e cronache. Entrò nell'ordine nel 1244 e nel 1265 diventò priore
del proprio convento: due anni dopo fu nominatore provinciale per la Lombardia. Dal 1292 fu vescovo di
Genova fino al 1298 anno della sua morte. La sua fama si deve ad una raccolta di vite di santi, scritta tra il 1255
e il 1266 dal titolo Legenda aurea (Legenda sanctorum). L'opera, che fu scritta in latino e in seguito diffusa in
versione volgarizzante, ottenne molta influenza sulla seguente letteratura religiosa e servì come importante
fonte iconografica per numerosi artisti. Una trad. parz. relativamente recente della Leggenda aurea è stata
pubblicata col titolo Le leggende dei santi, da Bollati Boringhieri, Torino, 1993. Il brano della Leggenda di san
Giuliano qui presentato è tratto da I prosatori del Duecento, Ricciardi.
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a sé niscentemente: senza saperlo.
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micidiale: assassino.
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ell'erano il padre e la madre del suo marito, come quella che avea udito dire ispesse
volte dal marito ogne cosa. Ricevetteli dunque benignamente e, per amore del marito,
diede loro a giacere nel letto suo, e ella fece un altro letto per sé in un altro luogo. Sì
che, fatta la mattina, la castellana se n'andò a la chiesa; e Giuliano, tornando la mattina,
entròe in camera, quasi come volesse isvegliare la moglie sua; e veggendo dormire due
insieme, pensò che la moglie fosse con uno adoltero: chetamente trasse fuori la spada, e
amenduo gli uccise.
E uscendo de la casa, vide la moglie tornare de la chiesa; e, meravigliandosi,
domandò ch'erano quegli che dormìano nel letto, e quella disse: – E' il vostro padre e la
vostra madre, che sono andati caendo 4 uno buono tempo, e io gli ho messi nel letto
vostro. – Quegli, udendo ciò, divenne quasi morto, e cominciò a piagnere
amarissimamente e a dire: - Oimé, misero, che farò? ché io hoe morto el mio dolcissimo
padre e la mia dolcissima madre! Ecco ch'è compiuta la parola del cerbio; la quale
volendo ischifare, io, misero, l'hoe adempiuta! Ora sta san, serocchia 5 mia dolcissima,
però che da qui innanzi non poserò insino a tanto ch'io sappia se Domenedio abbia
ricevuto la penitenza mia. – E quella disse: – Non piaccia a Dio, dolcissimo fratello, che io
ti lasci; ma perch'io sono stata teco parzonevole 6 d'allegrezza, sarò anche compagna di
dolore.
caendo: cercando.
serocchia: sorella.
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parzonevole: partecipe.
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