Tovo Michela - Collegio IPASVI di Vicenza

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Tovo Michela - Collegio IPASVI di Vicenza
INTRODUZIONE
Gli anni novanta ed i primissimi anni del ventunesimo secolo sono stati segnati da un
gran numero di statistiche sull’errore clinico e sui conseguenti danni subiti dai pazienti,
da una serie di casi di fallimenti delle cure e da un numero crescente di rilevanti
rapporti dei Governi, degli Ordini e delle Associazioni professionali sulla necessità di
rendere la Sanità più sicura.
La possibilità di arrecare danno è intrinseca alla pratica della medicina soprattutto ora
che risulta essere complessa, efficace e quindi potenzialmente pericolosa.
Le innovazioni portano a nuovi rischi, le aumentate potenzialità comportano elevate
probabilità di danno e le nuove tecnologie offrono nuove possibilità di risultati imprevisti
e di rischi letali.
La consapevolezza dei danni provocati dalla medicina e gli sforzi per ridurli sono
vecchi quanto la medicina stessa. Nel 1863 Florence Nightngale nell’introduzione alle
sue Notes on hospital scrisse:
“Può sembrare strano enunciare che il primo requisito per un ospedale sia quello di
non danneggiare il malato. E’ opportuno, infatti, richiamare tale principio, perché la
mortalità negli ospedali, specialmente in quelli delle grandi città, è considerevolmente
più alta di quella attesa per la stessa classe di patologia nei pazienti trattati al di fuori
dell’ospedale”.(1)
In passato l’errore medico e di altri operatori sanitari era considerato una colpa della
persona, mentre oggi sappiamo che è spesso l’evento conclusivo di una complessa
catena di fattori ambientali, organizzativi ed umani, nella quale il contributo della
persona che lo ha effettivamente commesso è solo l’ultimo anello e non
necessariamente il più rilevante. Studiare la catena permette di individuare dove è
meglio intervenire per prevenire gli errori o per verificare dove sono più frequenti.
La gestione dei rischi come oggi la intendiamo, lungi dall’avere uno scopo punitivo, è
diventata un processo decisionale che tende a promuovere la partecipazione attiva del
personale garantendo che sarà supportato dall’organizzazione nel caso venga
accusato di aver causato danni iatrogeni.(2)
Anche l’infermiere, come cita l’articolo 29 del Codice Deontologico, “concorre a
promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell’assistito e dei familiari e lo sviluppo
dell’imparare dall’errore. Partecipa alla iniziative per la gestione del rischio clinico.” (3)
La sicurezza del paziente e la gestione del rischio clinico quindi sono oramai obiettivi
centrali in tutte le organizzazioni sanitarie. A livello nazionale stanno nascendo
1
iniziative e programmi di gestione del rischio clinico e di miglioramento della sicurezza.
Gli approcci utilizzati sono molteplici ed includono generalmente la formazione,
l’applicazione di strumenti di tipo retrospettivo per l’identificazione degli eventi avversi o
dei near miss e l’implementazione di strumenti di analisi del processo, mirati alla
prevenzione dell’errore e all’identificazione dei rischi e delle vulnerabilità presenti nel
sistema sanitario.
Nell’ Azienda Sanitaria ULSS 3 di Bassano del Grappa, presso la quale lavoro, è
iniziato da qualche anno un percorso di gestione del rischio clinico attraverso
l’implementazione e l’utilizzo di questi strumenti.
In questo contesto organizzativo, che promuove e valorizza la cultura della sicurezza,
si colloca, quindi, la proposta di applicazione di un nuovo strumento ideato per rilevare
gli eventi avversi che causano danno al paziente, il Global trigger tool, creato e
proposto dall’Institute of Healthcare Improvement (IHI) di Boston: un’organizzazione
no-profit che persegue il miglioramento della qualità nelle organizzazioni sanitarie.(4)
Questo
strumento, che prevede la revisione della documentazione del paziente,
consente di ottenere una fotografia dello stato di sicurezza dell’organizzazione,
offrendo la possibilità di rilevare in modo accurato e semplice gli eventi avversi,
misurandone l’occorrenza nel tempo e valutando l’efficacia dei cambiamenti intrapresi.
La scelta di fare una tesi sul rischio clinico è nata dallo studio del risk management
avvenuto durante il Master in Coordinamento e dalla partecipazione al gruppo di lavoro
aziendale di applicazione della FMEA.
Queste esperienze di studio ed applicazione di strumenti di gestione del rischio hanno
fatto nascere in me l’interesse di approfondire il tema e la volontà di implementare
l’utilizzo di questo nuovo strumento, poco conosciuto e poco utilizzato soprattutto in
Italia.
Lo strumento è stato applicato, per ora solo su un piccolo campione di 40 cartelle
cliniche di pazienti ricoverati nella S.C. di Medicina Interna presso la quale lavoro. Lo
scopo era implementare lo strumento, facendolo entrare nella prassi aziendale di
gestione del rischio e creare un team di lavoro addestrato all’utilizzo dello stesso.
2
1. I PARADIGMI DELL’ERRORE: L’APPROCCIO SISTEMICO
Il tema dell’errore e del come ridurlo possono essere affrontati con differenti approcci.
Secondo Deborah Lucas e James Reason si possono distinguere quattro prospettive
dell’errore le quali portano a diverse soluzioni al problema dell’errore:
-
Prospettiva tecnologica
-
Prospettiva individuale: il modello basato sulla persona
-
Prospettiva psicologica
-
Prospettiva organizzativa: il modello sistemico
Il modello sistemico è senz’altro quello più utilizzato in sanità. L’idea essenziale alla
base di questo approccio è che la maggior parte degli incidenti in organizzazioni
complesse è generato dall’interazione fra le diverse componenti del sistema:
tecnologica, umana ed organizzativa. (1)
All’inizio degli anni novanta James Reason è riuscito a spiegare ed illustrare
efficacemente il problema degli errori nei sistemi complessi attraverso il modello del
“formaggio svizzero”. Questa metafora è utile per la comprensione delle complessità e
disomogeneità intrinseche al sistema.
Figura n°1 Swiss Cheese Model Reason1990
I buchi nelle fette di formaggio rappresentano le insufficienze latenti che sono presenti
nei processi sanitari; quando si modificano più fattori che normalmente agiscono come
barriere protettive, i buchi si possono allineare e permettere il concatenarsi di quelle
condizioni che portano al verificarsi dell’evento avverso.
In sanità esistono due tipologie di rischio: un rischio di impresa intrinseco alle
tecnologie, ai meccanismi di produzione della organizzazione sanitaria e proporzionale
alla complessità del sistema ed un rischio definito rischio puro che dipende dal
3
concatenarsi di situazioni che favoriscono l’insorgenza di un evento avverso, non è
prevedibile o quantificabile.(5)
2. CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI
La teoria dell’errore umano di Rasmussen propone una classificazione del
comportamento dell’uomo in tre diverse tipologie:
1.Skill-based behaviour: comportamenti automatici ad una data situazione;
2. Ruled-based behaviour: comportamenti prescritti da regole;
3. Knowledge-based behaviour: comportamenti messi in atto quando ci si trova
difronte ad una situazione sconosciuta e si deve attuare un piano per superarla.
ERRORE
SKILL-BASED BEHAVIOUR
Reazione automatica ad uno stimolo
RULED-BASED BEHAVIOUR
Scelta di una norma/regola adeguata
KNOWLEDGE-BASED
Pianificazione di una strategia
Figura n° 2: Teoria dell’errore umano Rasmussen 1987
I tre tipi di comportamento si acquisiscono in sequenza: non esistono comportamenti
skill-based innati, ma questi derivano dalla pratica in situazioni che all’inizio
richiedevano impiego della conoscenza e capacità di risolvere i problemi.
L’errore può nascere ad ogni livello di comportamento ma diverse sono le cause:
l’interpretazione errata dello stimolo a livello skill-based, scelta di una norma non
4
adeguata per i comportamenti ruled-based, pianificazione di una strategia non adatta a
raggiungere gli obiettivi specifici della situazione a livello knowledge-based.
Sulla base del modello proposto da Rasmussen, Reason delinea tre diverse tipologie
di errore:

Errori d’esecuzione che si verificano a livello d’abilità (slips)
In questa categoria vengono classificate tutte quelle azioni che vengono eseguite in
modo diverso da come pianificato, cioè il soggetto sa come dovrebbe eseguire un
compito, ma non lo fa, oppure innavertitamente lo esegue in maniera non corretta
(ad esempio, il paziente riferisce un’allergia all’infermiere che si dimentica di riferirlo
al medico).

Errori di esecuzione provocati da un fallimento della memoria (lapses)
In questo caso l’azione ha un risultato diverso da quello atteso a causa di un
fallimento della memoria. A differenza degli slips, i lapses non sono direttamente
osservabili.

Errori commessi durante l’esecuzione pratica dell’azione (mistakes)
Si tratta di errori pregressi che si sviluppano durante i processi di pianificazione
Possono essere di due tipi:
-
Ruled-based: si è scelto di applicare una regola o una procedura che
non permette il conseguimento di quel determinato obiettivo.
-
Knowledge-based: sono errori che riguardano la conoscenza, a volte
troppo scarsa, che porta ad ideare percorsi d’azione che non
permettono di raggiungere l’obiettivi prefissato. In questo caso è il piano
stesso ad essere sbagliato, nonostante le azioni compiute siano
eseguite in modo corretto.(6)
5
6
3. IL RISCHIO CLINICO: ASPETTI CULTURALI
Nei sistemi complessi che richiedono elevato controllo dei rischi è stata storicamente
costruita una “cultura del rischio e dei sistemi di prevenzione”.
In questi sistemi l’errore è contemplato come evento possibile e, pertanto, i processi e i
possibili modi di errore sono sistematicamente oggetto di analisi e verifica.
Reason ha evidenziato le molteplici caratteristiche della cultura della sicurezza:
1. È competente: i professionisti hanno la precisa conoscenza dei fattori tecnici,
organizzativi, ambientali ed umani che concorrono a determinare gli errori;
2. E’ equa: vi è nella organizzazione un clima di fiducia che favorisce la
segnalazione dei rischi ed errori da parte degli operatori i quali sono
consapevoli di ciò che mette a rischio la sicurezza;
3. Considera le segnalazioni: sia il personale che la direzione sono consapevoli
dell’importanza della accuratezza dei dati e premiano la segnalazione degli
errori e dei quasi errori (near miss);
4. E’ flessibile: la responsabilità di adottare soluzioni immediate per la sicurezza
viene attribuita a chi lavora sul campo.
La promozione della cultura della sicurezza non è solo una dichiarazione di intenti, ma
deve prevedere una strategia sistematica di comunicazione e formazione che richiede
una preliminare indagine per conoscere le condizioni di partenza e quindi agire sugli
specifici aspetti di miglioramento. (5)
Secondo la UK Health and Safety Commission (la Commissione Britannica sulla salute
e la sicurezza): “la cultura della sicurezza di una organizzazione è il prodotto di schemi
di comportamento, competenze, attitudini e valori di un gruppo che determinano
l’impegno, lo stile ed il livello di capacità, dei programmi per la sicurezza e la salute
dell’organizzazione stessa. Le organizzazioni con una cultura della sicurezza positiva
sono caratterizzate da una comunicazione basata sulla reciproca stima, sulla
percezione condivisa dell’importanza della sicurezza e sulla fiducia nell’efficacia delle
misura preventive” (1)
7
8
4. METODI PER L’ ANALISI DI RISCHIO
In conseguenza della necessità di osservare gli errori umani sotto un nuovo punto di
vista Reason ha distinto gli errori attivi (active failure), che provocano immediate
conseguenze, dagli errori latenti (latent failure), cioè tutti gli sbagli che restano “silenti”
nel sistema finchè un evento scatenante (triggering event) non li renderà manifesti in
tutta la loro potenzialità, causando danni più o meno gravi. In questo caso, l’operatore
umano è la causa più prossima all’evento incidentale, ma la cosidetta root cause
(la causa generatrice) è da ricondurre a decisioni manageriali e scelte organizzative
sbagliate. Fino ad oggi la maggior parte degli sforzi compiuti per ridurre gli errori si
sono concentrati sull’individuazione degli errori attivi, ovvero gli errori materiali compiuti
dal personale medico ed infermieristico. Ultimamente si è posto in evidenza che hanno
un ruolo importante anche gli errori di origine organizzativa, i cosiddetti errori latenti.
Non tutti gli errori latenti producono un errore attivo, né tutti gli errori provocano un
danno. Infatti, perché il danno si verifichi, devono sussistere condizioni tali da
permettere all’errore di superare tutte le barriere di sicurezza tecniche e organizzative
predisposte all’interno della struttura per contenere gli effetti di possibili errori.
La sicurezza del paziente deriva, pertanto, dalla capacità di progettare e gestire
organizzazioni in grado sia di ridurre la probabilità che si verifichino errori
(prevenzione), sia di recuperare e contenere gli effetti degli errori che comunque si
verificano (protezione).
ERRORE
ATTIVO
Sequenza incidentale
FATTORI DEL POSTO
DI LAVORO
Percorso di analisi
FATTORI ORGANIZZATIVI /LATENTI
Percorso di analisi
Figura n°5: Reason 1991
9
La metodologia, di cui è possibile disporre per fare ciò, si avvale di due tipologie di
analisi: un’analisi di tipo reattivo ed un’altra di tipo proattivo.(6)
In una organizzazione sanitaria dove si introducono processi per la gestione del
rischio, entrambi gli approcci possono essere utilizzati.(5)
4.1. Analisi reattiva
I metodi di analisi reattiva, di cui fanno parte i global trigger tool, prevedono uno studio
a posteriori degli incidenti e sono mirati ad individuare le cause che hanno permesso il
loro verificarsi.
L’analisi di un incidente va condotta, quindi, a ritroso rispetto alla sequenza temporale
che lo ha generato, per avere una ricostruzione che, dagli errori attivi, individui i fattori
di rischio sul posto di lavoro e il cui risultato finale sia mirato a conoscere le cause
profonde, organizzative che lo hanno generato.
Gli approcci reattivi maggiormente utilizzati comprendono:
1) Incident reporting;
2) Utilizzo dei dati amministrativi ed informative;
3) Review;
4) Root Causes Analysis;
5) Indizi (triggers).(6)
4.1.1. Incident reporting
E’ una modalità strutturata per la raccolta di informazioni relative al verificarsi di eventi
avversi e/o di quasi eventi. Lo scopo è di disporre di informazioni sulla natura degli
eventi e sulle relative cause per poter apprendere ed intervenire con le appropriate
misure preventive e, più in generale, per diffondere le conoscenze e favorire la ricerca
specifica nelle aree a maggior criticità.
Per quanto riguarda i contenuti, il sistema può essere:
-
Aperto, ovvero raccogliere qualunque tipo di dato relativo ad eventi avversi o
quasi eventi, riferiti a tutte le gamma di prestazioni;
-
Predefinito, ovvero raccogliere dati relativi ad una lista definita di eventi (ad
esempio eventi sentinella) o ad una area specifica (ad esempio farmaci).(5)
Le informazioni che sono richieste per ogni evento riguardano: il luogo di accadimento,
le persone coinvolte, chi ha individuato l’evento, la tipologia delle prestazioni fornite al
momento dell’errore, la gravità dell’evento.
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Si raccolgono, inoltre, informazioni sulla percezione delle cause del possibile errore da
parte di chi lo segnala: casualità o errore, fattori coinvolti distinti tra umani,
organizzativi, tecnologici e infrastrutturali. (6)
Per quanto riguarda la modalità di segnalazione, essa può avvenire tramite formato
prefissato o testo libero, inviato via mail, telefono, invio elettronico su web, mettendo in
atto le opportune forme di tutela della riservatezza della segnalazione.(5)
Si può attuare l’incident reporting a diversi livelli dell’organizzazione, dal livello
dell’Unità Operativa, a quello del presidio o dell’Azienda, fino al livello nazionale.
Più ampio è il bacino di raccolta delle informazioni maggiore sarà la possibilità di
apprendere dagli errori commessi.
Il report deve essere compilato in modo accurato, completo e chiaro, così da
consentire un adeguato trattamento di ogni evento segnalato. L’estensore del report
deve di norma evitare qualsiasi valutazione circa la responsabilità dell’evento, inoltre
per motivi di riservatezza il report non deve essere inserito nella cartella clinica o in
documenti destinati all'utente.(6)
4.1.2. Utilizzo dei dati amministrativi ed informativi
L’utilizzo dei database amministrativi per la valutazione di qualità è possibile, purchè
siano conosciute le limitazioni inerenti alla qualità dei dati e le criticità connesse a
modalità d’estrazione e sintesi delle informazioni e delle interpretazioni dei risultati.
Tra i vantaggi nell’utilizzo dei database amministrativi si possono evidenziare:
l’immediata accessibilità, il costo aggiuntivo trascurabile per recuperare le informazioni
d’interesse, l’esaustività del contenuto, la facilità nell’identificare le popolazioni
d’interesse.
Oltre ai dati delle SDO, le fonti informative finora utilizzate nei programmi aziendali di
gestione del rischio clinico sono state molteplici: il sistema degli indicatori, le
dichiarazioni volontarie o obbligatorie d’incidente, le revisioni di storie cliniche, le
revisioni dei reclami degli utenti.
4.1.3. Le review
Molti studi sugli errori in medicina utilizzano la metodologia della revisione della
documentazione sanitaria. La validità scientifica ad essa conferita è sicuramente
attribuibile alla validità statistica, all’interdipendenza delle variabili, ai fenomeni di sotto
e sovra stima e alla confrontabilità dei risultati.
11
Nell’ambito delle review, un approccio molto utilizzato per individuare gli errori in
medicina è quello della revisione della documentazione clinica a due stadi da parte di
esperti.
4.1.4. Root Causes Analysis
Le Root Causes Analysis (RCA) sono analisi che, a partire dagli errori riscontrati in un
sistema, ne ricercano le cause attraverso un metodo induttivo che procede in
profondità mediante domande che esplorano il perché di ogni azione e di ogni sua
possibile deviazione. Le cause individuate vengono organizzate in categorie, ad
esempio, mediante diagrammi causa-effetto che mostrano graficamente le interazioni
esistenti.
Le RCA si focalizzano prima sul sistema e sui processi e successivamente sulla
performance personale. E’ importante sottolineare come ad ogni errore umano siano
sempre associate delle cause che nascono da problemi del posto di lavoro e/o carenze
nell’organizzazione del sistema. L’analisi delle cause deve determinare i fattori umani
direttamente associati all’incidente, all’evento sentinella o evento avversi, i fattori latenti
associati ad essi e identificare i cambiamenti necessari per evitare il ripetersi
dell’evento.
Per le RCA è essenziale che l’intervento sia focalizzato sulla causa piuttosto che sul
problema. Agire sul problema o “sintomo”, e non sulla causa, è probabilmente
inefficace.(6)
Le RCA richiedono dei requisiti:

la costituzione di un gruppo interdisciplinare in cui devono essere inseriti esperti
della material;

la partecipazione di coloro che sono stati coinvolti nell’evento;

l’imparzialità nell’evidenziare potenziali conflitti di interesse.
Ulteriori requisiti che garantiscono accuratezza e credibilità della RCA sono: la
partecipazione della direzione e di tutti coloro che sono maggiormente interessati nel
processo e nel sistema e la riservatezza, ovvero le informazioni di cui si viene a
conoscenza devono essere protette, non divulgate, con livelli di protezione dei dati
stabiliti a priori.(5)
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5. GLOBAL TRIGGER TOOL
5.1. La storia
Il concetto di “trigger” (o indizio) per identificare gli eventi avversi nella documentazione
clinica è stato introdotto da Jick Hershel in uno studio del 1974 pubblicato sul New
England Journal of Medicine riguardante alcuni farmaci altamente tossici. (7)
In seguito nel 1992 Classen mise appunto un metodo per monitorare gli eventi avversi
da farmaco in ospedale che prevedeva sia l’utilizzo di trigger elettronici, attraverso un
sistema informatizzato
ospedaliero che dava degli allarmi di riconoscimento
automatico dei potenziali eventi avversi, sia attraverso la revisione di documentazione
clinica.(8)
L’utilizzo dei trigger mediante la revisione delle cartelle cliniche fu introdotto
inizialmente dall’ Institute for Healtcare Improvement nel 1999 per identificare
solamente gli eventi avversi correlati alla terapia farmacologica.
Successivamente la metodologia venne adattata ad altri contesti ospedalieri come
l’area critica.
Recentemente la metodologia è stata modificata per identificare tutti gli eventi avversi
in pazienti adulti, senza alcuna esclusione, in tutte le aree ospedaliere.
L’IHI ha selezionato i trigger attraverso una revisione della letteratura sugli eventi
avversi che riguardano le varie aree ospedaliere, testandoli in centinaia di ospedali.(4)
5.2. L’evento avverso
Un evento avverso si può definire come un danno o un disagio imputabile, anche se
in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che
causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di
salute o di morte”. (6)
L’OMS in collaborazione con il Centers for International Drug Monitoring definisce
l’evento avverso da farmaci come: “una reazione dannosa e non intenzionale, che si
verifica con dosi di farmaco normalmente adoperati nell’uomo per la profilassi, la
diagnosi e la terapia di una malattia o per modificare una funzione fisiologica”.(4)
L’evento avverso ha tre caratteristiche principali: la negatività (evento non voluto, non
desiderabile, dannoso), il coinvolgimento del paziente ( danno reale o rischio di danno)
e il legame causale con il processo di cura (non avviene per cause esterne al processo
stesso).(9)
13
Il IHI Global Trigger Tool include sia gli eventi avversi da farmaco che altri eventi
associati alla cure sanitarie e definisce un evento avverso con danno come: “un danno
fisico non intenzionale che è il risultato o il contributo di cure sanitarie e che richiede
ulteriore monitoraggio, trattamento, ospedalizzazione o che esita in decesso del
paziente”.
La metodologia dell’IHI si focalizza ed include solo gli eventi avversi relativi
all’erogazione delle cure (errori di commissione) mentre esclude i problemi relativi a
prestazioni effettuate inferiori allo standard (errori di omissione).
Gli eventi avversi che causano omissioni di trattamento vengono più comunemente
presi in considerazione da programmi di miglioramento della qualità e non vengono
misurati con il IHI Global Trigger Tool.
Per esempio un paziente, non trattato in maniera appropriata per un’ipertensione e che
subisce di conseguenza uno stroke certamente è stato vittima di una catastrofe clinica
dovuta a cure scarse ed inefficaci, ma non si può considerare che abbia subito un
evento avverso da errore (quindi misurabile dall’IHI), bensì un evento di omissione
delle cure.
Se invece un paziente in terapia anticoagulante subisce uno stroke da emorragia
cerebrale, questo può essere considerato un evento avverso incluso nell’IHI, perché
l’uso dell’anticoagulante ha causato l’evento (errore di commissione) .
Durante la revisione gli atti di omissione possono venire in ogni caso rilevati ed essere
collegati a opportunità di miglioramento.
Vengono inclusi tutti gli eventi involontari conseguenti a cure sanitarie, siano essi
evitabili o meno e per ognuno di loro è necessario definirne il danno.
L’IHI ha adattato ed utilizzato l’indice per la classificazione degli errori del National
Coordinating Council for Medication Error Reporting and Prevention (NCC MERP)
Sebbene originariamente sviluppato per la classificazione degli eventi avversi da
farmaco, queste categorie possono essere semplicemente adattate ad ogni tipo di
errore o evento avverso.
Tenendo conto solo degli eventi avversi che causano danno al paziente sono state
escluse le seguenti categorie che descrivevano errori che non provocavano danno:

Categoria A: Circostanze o eventi che hanno la capacità di causare danno;

Categoria B: Un errore che non raggiunge il paziente;

Categoria C: Un errore che raggiunge il paziente ma non causa danno;
14

Categoria D: Un errore che raggiunge il paziente e richiedono monitoraggio o
intervento perché non si riscontri un danno al paziente.
Sono state utilizzate invece le categorie:

Categoria E: Danno temporaneo al paziente che richiede intervento;

Categoria F: Danno temporaneo al paziente che richiede ospedalizzazione o
prolungamento della degenza;

Categoria G: Danno permanente al paziente;

Categoria H: Danno che necessita di un intervento “salvavita” urgente;

Categoria I: Decesso del paziente.
Al fine di assegnare una categoria univoca all’evento è consigliabile che i revisori e il
medico si incontrino per concordare la classificazione.
5.3. Regole e metodi
L’IHI Global Trigger Tool richiede una revisione manuale di cartelle cliniche chiuse e
complete.(4)
Per quanto riguarda il contesto degli ospedali italiani questo significa cartelle complete
di scheda dimissione ospedaliera (SDO) e relativi codici.
L’utilizzo del metodo prevede il rispetto di precise regole e tempi di revisione, nonché
criteri definiti di scelta e randomizzazione del campione.
5.3.1. Team di revisione
Il team di revisione deve essere composto da almeno tre persone:

Due persone che conoscano l’impostazione ed il contenuto delle cartelle.
Negli ospedali in cui è stata implementata la metodologia dell’IHI, i
professionisti che si sono dedicati all’applicazione del global trigger tool, erano
infermieri, farmacisti, terapisti respiratori; tuttavia gli infermieri sono risultati
essere i migliori revisori, anche se è possibile includere altre figure sanitarie.
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
La terza figura del team è rappresentata da un medico che non deve rivedere
tutta la documentazione del paziente ma confermare quello che è emerso
durante la revisione. Il medico autentica gli eventi avversi trovati durante la
revisione e ne valuta la gravità, provvede eventualmente a rispondere alla
domande o dubbi che possono essere emersi durante la revisione.
E’ possibile l’inclusione nel team di altre persone tenendo tuttavia presente che con
l’aumentare del numero di revisori aumenta la variabilità nell’identificazione degli eventi
avversi, in modo particolare per la categoria E: danni temporanei al paziente che
richiedono intervento.
Il team di lavoro dovrebbe rimanere lo stesso per più tempo possibile, poiché la
presenza degli stessi professionisti in un arco temporale lungo assicura una maggior
precisione dei dati.
Molti ospedali hanno adottato il metodo di tenere la stessa persona (revisore o medico)
per un anno in modo di assicurare una maggiore precisione e affidabiità dei dati e
perchè questa figura possa addestrare i nuovi membri del team al corretto utilizzo dello
strumento.
Il gruppo di lavoro dovrebbe incontrarsi mensilmente per rivedere tutti gli
eventi
avversi di quel mese e risolvere le differenze tra revisori sull’identificazione di eventi
avversi e sull’attribuzione del grado di severità.
Questo continuo confronto può essere importante per utilizzare al meglio lo strumento
e per rendere più affidabili i risultati.
Il tempo richiesto è di circa tre ore ogni due settimane per i revisori e di 30 minuti ogni
due settimane per il medico.
5.3.2. Campionamento delle cartelle cliniche
L’applicazione del Global Trigger Tool prevede una metodologia di campionamento
che utilizza campioni piccoli nel tempo.
La raccomandazione è di selezionare 10 cartelle cliniche tra tutti i pazienti adulti
dimessi dall’ospedale ogni due settimane (per esempio il primo campione viene
selezionato dal totale dei pazienti dimessi dall’1 al 15 del mese e il secondo dai
pazienti dimessi dal giorno 16 all’ultimo giorno del mese), per un totale di 20 pazienti al
mese.
L’IHI raccomanda di utilizzare due punti di rilevazione mensile che permetteranno di
definire il trend delle variazioni riguardo al numero e ai tipi di eventi avversi nella
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propria organizzazione e di monitorare di conseguenza le misure di controllo
implementate.
I dati che emergono dai due punti di rilevazione potrebbero evidenziare ampie
variazioni da campione a campione, tuttavia aggregando i dati nel tempo aumenterà la
precisione dei risultati.
Alcuni ospedali utilizzano lo strumento IHI come una parte di un learning system che
include la raccolta di altri outcome misurabili
come incident reporting volontari,
infezioni del sito chirurgico ecc.
Poiché la riammissione in ospedale entro 30 giorni è un trigger, le cartelle selezionate
devono essere relative a pazienti dimessi almeno 30 giorni prima.
L’IHI fornisce alcune linee guida sulla selezione del campione:

Randomizzare 10 cartelle per ogni due settimane del mese, selezionare alcune
cartelle in più nel caso non corrispondano ai criteri di inclusione;

Non selezionare 20 cartelle per l’intero mese ma estrarre il campione in modo
indipendente (un campione tra i dimessi della prima quindicina del mese, un
campione per la seconda quindicina).
I criteri di selezione sono:

Le cartelle cliniche devono essere chiuse e complete.

Degenza superiore almeno alle 24 ore;

Età del paziente superiore ai 18 anni;

Vengono esclusi pazienti psichiatrici e in riabilitazione.
Poiché la revisione è basata su un campionamento per rilevare eventi avversi, è
raccomandata una randomizzazione per selezionare le cartelle.
E’ possibile utilizzare vari metodi, tra i più validi:

estrarre un numero tra 1 e 9 e selezionare 10 cartelle con il numero nosologico che
termina con il numero estratto;
oppure

possono essere elencati tutti i dimessi e selezionate 10 cartelle per la revisione.
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Se la cartella clinica selezionata non è disponibile, selezionare la cartella successiva
presente nella lista.
Il team di lavoro deve avere l’accessibilità a tutta la documentazione clinica del
paziente, le cartelle del paziente potrebbero essere utili nel momento in cui i revisori
devono consultare la documentazione relativa al paziente per valutare per esempio le
cause di una riammissione.
Nel caso venga consultata una cartella, per ricercare un trigger associato ad una
riammissione, questa non deve durare più di 5 minuti.
5.3.3. Il processo di revisione
I revisori devono consultare le cartelle cliniche indipendentemente. Il medico dovrebbe
essere comunque disponibile a fornire chiarimenti in caso di dubbi che possono
emergere durante il processo di revisione.
L’IHI Global Trigger Tool contiene 6 moduli o gruppi di trigger.
Quattro di questi sono relativi agli eventi avversi che comunemente avvengono in
particolari aree ospedaliere:
-
Area Chirurgica;
-
Terapia Intensiva;
-
Area Perinatale;
-
Dipartimento di Emergenza.
Gli altri due gruppi di trigger sono relativi alle Cure e alla Terapia Farmacologica e sono
utilizzabili per indagare gli eventi avversi in qualsiasi area dell’ospedale.
Per identificare la presenza di trigger nella cartella clinica questa non deve essere letta
pagina per pagina, pregresse revisioni hanno rilevato che seguire la seguente
sequenza di documentazione ottimizza il lavoro:

Scheda di dimissione;

Lettera di dimissione;

Termografica, documentazione relativa alla terapia;

Risultati di laboratorio;

Diario clinico;

Documentazione riguardante
procedure (es. cartella anestesiologica e
operatoria);
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
Cartella infermieristica.
Per revisionare ogni cartella clinica è stato fissato un limite di 20 minuti,
indipendentemente dallo “spessore” della cartella. Normalmente in media si impiegano
10-15 minuti.
Il limite è stato definito inizialmente dall’IHI in quanto c’era una tendenza a revisionare
le cartelle cliniche più “piccole” e quindi più semplici.
E’ probabile che non vengano identificati tutti gli eventi avversi contenuti in una cartella,
ma questo non è lo scopo della metodologia del Global Trigger Tool.
Il tempo designato e la selezione randomizzata delle cartelle
mirano a fornire un
campionamento sufficiente a definire il livello di sicurezza delle attività in ospedale.
Se si identifica un trigger positivo questo non necessariamente indica un evento
avverso ed in questo caso è sufficiente rivedere solo la parte di documentazione che
serve ad evidenziare un eventuale correlazione tra trigger ed evento avverso.
Se non si trova la correlazione tra trigger ed evento avverso si procede con
l’identificazione di altri trigger.
Le revisioni solitamente fanno emergere numerosi trigger ma pochi eventi avversi,
occasionalmente si potrebbero rilevare eventi avversi in assenza di trigger positivi che
vanno comunque inclusi.
Alcuni trigger sono eventi avversi per definizione come ad esempio le infezioni
nosocomiali e la lacerazione da parto di 3°- 4° grado.
5.3.4. Determinazione di un evento avverso
Quando un revisore identifica un trigger positivo, deve andare a ricercare nella cartella
tutte le informazioni che possono confermare o meno l’avvenuto evento avverso.
Ad esempio, un valore di INR superiore a 6 è un trigger positivo: i revisori, per
associare il trigger all’evento avverso, devono cercare nella documentazione clinica la
presenza di sanguinamento o un calo dei valori dell’Emoglobina con eventuale
trasfusione di emoderivati o altri eventi avversi che possono essere avvenuti a causa
della scoaugulazione.
Nel determinare l’evento avverso bisogna considerare che esso per definizione è un
danno non intenzionale al paziente e vederlo perciò dal punto di vista del paziente
stesso e ci si deve chiedere cosa ha sperimentato quest’ultimo, non cosa è successo
in ospedale.
19
Si può essere facilitati ponendoci alcune domande:

Saresti felice se l’evento fosse capitato a te? Se la risposta è no è probabile che si
tratti di un evento avverso con danno;

L’evento è parte del naturale processo di malattia, o una complicanza del
trattamento correlato al processo di malattia? Il danno potrebbe essere il risultato di
trattamenti medici, spetta al medico definirlo se errore di omissione o commissione;

L’evento è stato il risultato atteso delle cure? (esempio una cicatrice permanente in
seguito ad un intervento chirurgico). Se la risposta è sì, non si tratta di evento
avverso.

I danni psicologici per definizione non sono da includere negli eventi avversi
Un evento avverso presente al momento dell’ammissione in ospedale deve essere in
ogni caso incluso, a condizione naturalmente che sia legato alla cure sanitarie.
L’esperienza sul campo ha dimostrato che il 10% circa degli eventi avversi individuati
attraverso l’IHI Global Trigger Tool sono già presenti al momento del ricovero. Tale
dato, benché non riguardi la sicurezza all’interno dell’ospedale, potrebbe essere un
opportunità per collaborare con altre persone, strutture, ospedali al fine di migliorare la
sicurezza del paziente in tutti i contesti di cura.
5.3.5. Raccolta e presentazione dei dati
I risultati raccolti possono essere presentati in tre modi differenti:
1. numero di eventi avversi per 1.000 giorni/paziente;
2. numero di eventi avversi/100 ricoveri;
3. percentuale di ricoveri con un evento avverso.
Il primo metodo è senz’altro il più vantaggioso. Il “numero di eventi avversi per 1.000
giorni/paziente”, infatti è la misura tradizionale e raccomandata per tracciare i danni
arrecati ai pazienti in un arco di tempo.
20
Il “numero di eventi avversi su 100 ricoveri” è un’altra alternativa per presentare i dati
raccolti, è senz’altro una modalità di rappresentazione del danno semplice e
comprensibile per la leadership.
Da notare che la conversione da “eventi avversi su 1000 giorni” a “eventi avversi su
100 ricoveri” comporta una differenza rispetto al numero di cartelle revisionate.
L’ultimo metodo “percentuale di ricoveri con evento avverso” è un modo sì
conveniente di presentare i dati alla leadership non esperta, ma tende a sottostimare il
numero di eventi, perché alcuni pazienti potrebbero sperimentare più di un evento
avverso per ricovero. E’ per questo motivo considerata meno sensibile rispetto agli altri
due metodi.
Gli eventi avversi possono essere presentati anche in base alla tipologia di evento
avverso (infezioni, complicanze procedurali o da terapia).
Questa classificazione ha permesso, agli ospedali che l’hanno utilizzata, di fissare un
ordine di priorità rispetto alla aree dove migliorare gli interventi.
Nelle organizzazioni che hanno utilizzato l’IHI Global Trigger Tool, si sono rilevati circa
90 eventi avversi su 1000 giorni/paziente o 40 eventi avversi su 100 ricoveri.
Approssimativamente sul 30-35% di tutti i ricoveri si sono rilevati degli eventi avversi.
Si consiglia di proseguire la raccolta dei dati tramite la metodologia IHI per almeno 612 mesi.
5.3.6. Training
Un buon training è fondamentale nell’utilizzo corretto della metodologia, la situazione
ideale sarebbe che i revisori ed il medico venissero addestrati da qualcuno che
conosce già lo strumento. Se questo non è possibile, è importante leggere e seguire il
manuale dell’IHI e utilizzare i gruppi di discussione presenti nel sito dell’IHI, in
particolare se i risultati riguardo gli eventi avversi rilevati discostano molto dai tassi
medi rilevati negli altri ospedali.
E’ necessario accordarsi bene e avere lo stesso metodo di lavoro tra revisori,
potrebbero esserci delle discordanze sull’identificazione degli eventi avversi e sulla
determinazione della categoria di danno (in particolare sulla categoria E).
Durante la fase di training, tutta la documentazione del paziente va revisionata insieme
dal team, questo permette di risolvere dei dubbi e standardizzare il processo.
Se ci sono più di due revisori, questo potrebbe essere un beneficio per poter sostituire
con facilità un revisore che non potesse più partecipare al team di lavoro.
21
Durante il training, i 20 minuti, raccomandati dall’IHI per le revisione della
documentazione, non necessariamente devono essere rispettati, prendere confidenza
ed imparare la metodologia può richiedere più tempo.
È raccomandato discutere in team tutti i trigger e gli eventi avversi rilevati compresa la
validità dell’identificazione e la severità dell’evento, in questa occasione è
indispensabile rinforzare la differenza tra trigger positivo ed evento avverso.
Durante il debriefing vanno definiti anche eventuali parametri che potrebbero essere
soggettivi, per esempio quando il vomito è considerato un evento avverso: subito o
dopo quattro ore?
Il secondo step, è la revisione di un campione di 5 cartelle provenienti dall’ospedale in
cui si applica la metodologia da parte di tutti i componenti del team.
I dati rilevati durante il training non verranno tenuti in considerazione.
5.4. Descrizione dei Global Trigger Tool
Se viene identificato un trigger positivo, nella documentazione clinica revisionata,
questo indica solo la presenza di un trigger positivo e non necessariamente è
collegabile ad un evento avverso.
Di seguito si riportano i trigger contenuti nel manuale dell’ IHI Global Trigger Tool con
la relativa
descrizione e cosa i revisori dovrebbero guardare per determinare la
presenza di un evento avverso.
Se nei trigger, relativi alla terapia farmacologica, viene decritto un farmaco non in uso
nel’ospedale nel quale viene adottata la metodologia, lo si può sostituire con un
farmaco analogo, presente nel prontuario farmaceutico ospedaliero.
5.4.1.Trigger relativi alle cure
C1 - TRASFUSIONE DI SANGUE O EMODERIVATI
Le procedure chirurgiche possono richiedere la trasfusione di emoderivati per
ripristinare perdite ematiche, evento meno frequente da quando è in uso la Chirurgia
laparoscopica. Tuttavia tutte le trasfusioni vanno indagate per ricercare le cause quali
l’eccessivo sanguinamento, un trauma non intenzionale di un vaso sanguigno ecc.
Le trasfusioni di sangue o emoderivati entro le 24 ore dall’intervento potrebbero invece
essere correlate ad un evento avverso intra o post operatorio . I casi di sanguinamento
preoperatorio invece non sono da includere come eventi avversi.
22
I pazienti in terapia con farmaci anticoagulanti che hanno ricevuto trasfusioni di plasma
fresco o piastrine potrebbero aver sperimentato un evento avverso correlato al
trattamento in questione.
C2 - EMERGENZA, ARRESTO POLMONARE O CARDIACO O ATTIVAZIONE DI
UN INTERVENTO SALVAVITA
Tali eventi vanno indagati attentamente perché potrebbero culminare in un evento
avverso. Tuttavia non sempre si tratta di eventi avversi, in quanto potrebbero essere
correlati alla naturale progressione della malattia.
Un arresto cardio-respiratorio durante un intervento o in seguito all’anestesia non
dovrebbe essere sempre considerato evento avverso, così come se avviene nelle
prime 24 ore post-operatorie.
Al contrario, un’improvvisa aritmia cardiaca che provoca arresto cardiaco potrebbe
essere attribuibile ad una patologia cardiaca. Il mancato riconoscimento di segni e
sintomi potrebbe configurarsi come errore di omissione e quindi non va incluso come
evento avverso, sebbene il cambiamento delle condizioni cliniche del paziente siano il
risultato di un trattamento clinico.
C3 - DIALISI ACUTA
La nuova necessità di essere sottoposto a dialisi, potrebbe essere la conseguenza di
un processo di malattia o il risultato di un evento avverso.
Esempi di eventi avversi sono alterazioni della funzionalità renale indotta da farmaci o
reazioni ai mezzi di contrasto utilizzato per le indagini radiologiche.
C4 - EMOCOLTURA POSITIVA
Una emocoltura positiva durante il ricovero deve essere indagata perché può essere
un indicatore di un evento avverso
in modo particolare correlata ad infezioni
nosocomiali.
Generalmente, gli eventi avversi associati a questo trigger includono le infezioni che si
manifestano 48 ore dopo il ricovero, come ad esempio le infezione correlate a
dispositivi intravascolari e le sepsi da altre procedure (es. cateterismo vescicale
associato ad infezioni del tratto urinario). Le emocolture positive associate ad altre
infezioni come quelle comunitarie non devono essere considerate come eventi avversi.
23
C5 - INDAGINI RADILOGICHE O DOPPLER PER EMBOLIA O TROMBOSI DELLE
VENE PROFONDE
Il manifestarsi di trombosi delle vene profonde (DVT) o embolia polmonare durante il
ricovero ospedaliero in molti casi si rivela essere un evento avverso. Rare eccezioni
possono riguardare embolie e trombosi associate a patologie tumorali o disfunzioni
piastriniche. Comunque in molti pazienti questi eventi avvengono anche se erano state
messe in atto tutte le misure preventive per evitare che succedessero.
Se il ricovero è successivo alla comparsa di tali patologie, vanno indagate le cause
correlate alla cure mediche o chirurgiche avvenute prima dell’ammissione in ospedale.
La mancata profilassi che non esita in embolia o DVT non è da considerare un evento
avverso, bensì un errore di omissione.
C6 - AUMENTO O DIMINUZIONE DEL VALORE DELL’EMOGLOBINA O
DELL’EMATOCRITO DEL 25%
Un aumento o diminuzione del valore dell’emoglobina (Hg) e/o dell’ematocrito (Hct)
deve essere indagato soprattutto quando si verifica in un arco di tempo breve, ad
esempio 72 ore o meno. Gli eventi avversi di sanguinamento sono comunemente
identificati come trigger e possono essere correlati all’uso di anticoagulanti, aspirina o
a intervento chirurgico. Se l’incremento dell’emoglobina e/o ematocrito è collegato a
trattamenti medici o è la conseguenza di un processo di malattia, non è attribuibile ad
un evento avverso.
C7 - CADUTE DEL PAZIENTE
Una caduta in un contesto sanitario rappresenta un fallimento delle cure e potrebbe
essere associata alla terapia farmacologica, ai dispositivi e presidi, allo staff
inadeguato.
Solo le cadute che causano danno al paziente sono da considerare eventi avversi.
Le cadute con danno, avvenute prima del ricovero, vanno indagate in ogni caso per
rilevarne le cause. Quando una caduta è la conseguenza di cure mediche (esempio
terapia farmacologica) deve essere sempre considerata un evento avverso anche se
si è verificata fuori dal contesto ospedaliero.
C8 - LESIONI DA PRESSIONE
Le lesioni da pressione o decubito sono eventi avversi; le lesioni croniche vengono
incluse solo se l’evento si è manifestato durante la degenza del paziente; al contrario,
24
se si è verificato in un contesto extra ospedaliero, vanno indagate le cause (es.
sedazione eccessiva ecc.) per capire se si tratta di un evento avverso.
C9 - RIAMISSIONE IN OSPEDALE ENTRO 30 GIORNI
La riammissione in ospedale in particolare
entro i 30 giorni successivi il ricovero
potrebbe celare un evento avverso che si è manifestato dopo la dimissione (soprattutto
in caso di degenze brevi), esempi di eventi avversi potrebbero essere l’infezione della
ferita chirurgica, la trombosi delle vene profonde o l’embolia polmonare.
C10 - USO DELLA CONTENZIONE
Qualora venga utilizzata la contenzione, revisionare la documentazione clinica del
paziente per
valutare la possibile
relazione tra l’utilizzo di contenzione e stato
confusionale da terapia farmacologica che potrebbe indicare un evento avverso.
C11 - INFEZIONI CORRELATE A PRATICHE ASSISTENZIALI
Qualsiasi infezione che si manifesta dopo il ricovero potrebbe essere un evento
avverso specialmente se correlata a procedure o utilizzo di dispositivi medici.
Se le infezioni sono uno dei motivi del ricovero va indagato se le cause sono dovute
all’utilizzo di dispositivi medici (procedure precedenti, cateterismo urinario a domicilio o
a dimora) piuttosto che a patologie (polmoniti comunitarie).
C12 - STROKE IN OSPEDALE
Valutare se la causa dello stroke è associata ad una procedura (chirurgica,
cardioversione per fibrillazione atriale) o ad un trattamento anticoaugulante.
Quando le procedure o i trattamenti hanno evidentemente contribuito al verificarsi
dello stroke, si tratta di un evento avverso.
C13 - TRASFERIMENTO AD UN LIVELLO PIU’ ALTO DI CURA
Il trasferimento ad un livello più alto di cura all’interno della struttura, in altre strutture o
in altri ospedali va indagato, tutti i trasferimenti sono probabilmente correlati ad un
evento avverso e le condizioni del paziente possono avere un deterioramento
secondario a causa di questo. Per esempio, in caso di ricovero in Terapia Intensiva
per arresto respiratorio e successiva intubazione,
va valutato se l’arresto è una
naturale conseguenza dell’esacerbazione di una patologia polmonare cronico ostruttiva
(COPD), in questo caso non è un evento avverso. Se invece un’embolia polmonare si
instaura a seguito di un intervento o è il risultato di un’eccessiva sedazione di un
paziente con COPD si è in presenza di un evento avverso.
25
Un livelli più alto di cure può includere telemetria, cure intermedie o semi-intensiva se il
paziente è stato trasferito da una medicina generale o da una chirurgia.
C14 - COMPLICANZE DI PROCEDURE
Una complicanza in seguito ad esecuzione di una qualsiasi procedura è considerata
evento avverso. Spesso nei referti non sono segnalate le complicanze specialmente se
si manifestano dopo ore o giorni dopo l’esecuzione della procedura; revisionare le
schede di dimissione ospedaliera, i diari clinici, le cartelle infermieristiche.
C15 - ALTRO
Spesso quando si revisiona la documentazione clinica si trovano eventi avversi che
non sono correlati ad un trigger. Questi eventi possono essere inclusi nella categoria
C15. Un evento non necessita della presenza di un trigger per essere considerato
come avverso.
5.4.2. Trigger relativi alla terapia farmacologica
M1 - POSITIVITA’ DELLA COPROCOLTURA AL CLOSTRIDIUM DIFFICILE
Un campione di feci positivo al Clostridium Difficile è un evento avverso se
si
evidenzia una storia di antibioticoterapia.
M2 – TEMPO DI TROMBOPLASTINA PARZIALE (PTT) SUPERIORE AI 100
SECONDI
Si evidenzia un PTT elevato quando il paziente è in trattamento con Eparina, è
necessario ricercare evidenze di sanguinamento per definire se è avvenuto un evento
avverso.
Infatti il PTT elevato in sé non è un evento avverso ma solo un trigger positivo, lo
diventa quando è causa di sanguinamento, ecchimosi o calo dell’Emoglobina e/o
dell’Ematocrito.
M3 – INR (TASSO INTERNAZIONALE NORMALIZZATO) SUPERIORE A 6
Il valore elevato di INR in sé non è un evento avverso, bisogna cercare evidenze di
sanguinamento perché lo sia.
26
M4 – GLICEMIA INFERIORE A 50 MG/DL
Indagare eventuali sintomi come letargia ed agitazione documentati nella cartella
infermieristica e l’eventuale somministrazione di glucosio, bevande zuccherate o altri
interventi. Se i sintomi sono presenti cercare l’associazione con la somministrazione di
insulina e ipoglicemizzanti orali. Se il paziente è asintomatico, non si tratta di evento
avverso.
M5 – AUMENTO DEL VALORE DELLA CREATINEMIA O AZOTEMIA 2 VOLTE
SUPERIORE AL VALORE NORMALE
Se i valori di creatinina sierica o
dell’azotemia sono due volte superiori al valore
standard è necessario rivedere le termografiche o le schede di terapia per valutare se
sono stati somministrati farmaci che possono avere avuto effetti nefrotossici.
E’ consigliato revisionare anche il diario clinico e l’anamnesi medica per evidenziare
eventuali pregresse cause di insufficienza renale come patologie renali già presenti o
diabete, in questo caso non si tratterebbe di un evento avverso ma di una progressione
della malattia.
M6 – SOMMINISTRAZIONE DI VITAMINA K
Se la vitamina K è stata somministrata come risposta ad un INR elevato, va ricercata la
presenza di sanguinamento.
Si è verificato un evento avverso se i referti di laboratorio indicano cali improvvisi
dell’Ematocrito o presenza di sangue nelle feci. La documentata presenza di ecchimosi
importanti, sanguinamenti gastrointestinali, emorragie cerebrali o ematomi estesi, sono
esempi di eventi avversi.
M7 – SOMMINISTRAZIONE DI DIFENIDRAMINA
La Difenidramina è un antistaminico frequentemente utilizzato per le reazioni allergiche
ai farmaci ma può essere anche somministrato
come sonnifero, come pre-
medicazione pre-intervento o per le allergie stagionali. Se nella documentazione del
paziente si rileva che, durante o prima del ricovero, il farmaco è stato somministrato a
seguito di sintomi di una reazione allergica a farmaci o emotrasfusioni, si tratta di
evento avverso.
27
M8 – SOMMINISTRAZIONE DI FLUMAZENIL
Essendo un antagonista delle benzotiazepine, va indagato il motivo per il quale il
farmaco è stato usato. Può essere correlato ad un evento avverso se si rilevano segni
di severa ipotensione o marcata e prolungata sedazione.
M9 – SOMMINISTRAZIONE DI NALOXONE
Il Naloxone (Narcan) è un potente antagonista degli oppiacei, il suo utilizzo
rappresenta un evento avverso ad eccezione dei casi di abuso di droga o di farmaci
oppiacei o di overdose.
M10 – SOMMINISTRAZIONE DI ANTIEMETICI
La nausea e il vomito sono comunemente associati alla somministrazione di farmaci,
sia in ambito chirurgico che non, e per questi sintomi vengono somministrati spesso
farmaci antiemetici. Se i sintomi interferiscono con l’alimentazione, il recupero
postoperatorio o se per tale causa viene ritardata la dimissione, si tratta probabilmente
di evento avverso. Uno o due episodi di nausea e vomito trattati con successo con
farmaci antiemetici non vengono considerati eventi avversi.
M11 - ECCESSIVA SEDAZIONE/IPOTENSIONE
E’ necessario revisionare il diario medico e infermieristico, la termografica e la scheda
dei parametri vitali per evidenziare eventuali episodi di sedazione eccessiva o letargia
associati alla somministrazione di farmaci sedativi, analgesici o miorilassanti.
L’overdose intenzionale da parte del paziente non è da considerare un evento avverso.
M12 – IMPROVVISA INTERRUZIONE DELLA TERAPIA
Benché l’interruzione della terapia sia un evento abbastanza frequente, un’improvvisa
interruzione rappresenta un trigger positivo da indagare per identificare le cause. Un
repentino cambiamento nelle condizioni del paziente che richiede modifiche improvvise
della terapia è frequentemente correlato ad evento avverso. Un cambiamento
improvviso si po’ descrivere come una sospensione inaspettata o una deviazione
rispetto alla pratica standard.
Per esempio la sostituzione di un antibiotico per via endovenosa con uno per via orale
non è considerato un’interruzione della terapia.
28
M13 – ALTRO
Utilizzare questo trigger per
segnalare eventi avversi
non correlati ad un trigger
relativo alla terapia precedentemente descritto.(4)
Di seguito elencherò solamente i rimanenti 4 moduli di trigger poiché non saranno
oggetto di indagine nella revisione delle cartelle cliniche della S.C. di Medicina.
5.4.3.Trigger relativi all’area chirurgica
S1 – RE-INTERVENTO
S2 – CAMBIO DI PROCEDURA
S3 – RICOVERO IN TERAPIA INTENSIVA POST-OPERATORIA
S4 – INTUBAZIONE, RE-INTUBAZIONE O UTILIZZO DI BIPAP NEL POSTINTERVENTO
S5 – RADIOGRAFIA INTRAOPERATORIA O NELLA FASE POST-ANESTESIA
S6 – DECESSO INTRA O POST-OPERATORIO
S7 – VENTILAZIONE MECCANICA POST-OPERATORIA ENTRO 24 ORE
S8-
SOMMINISTRAZIONE
INTRA-OPERATORIA
DI
EPINEFRINA,
NORADRENALINA, NALOXONE O FLUMAZENIL
S9 – INCREMENTO DEI VALORI DI TROPONINA OLTRE 1,5 NANOGRAMMI/ML
NEL POST-OPERATORIO
S10 – DANNO, RIPARAZIONE O ROMOZIONE DI UN ORGANO DURANTE UN
INTERVENTO CHIRIURGICO
S11 – COMPARSA DI COMPLICANZE POST-OPERATORIE
29
5.4.4.Trigger relativi alla Terapia Intensiva
I1 – POLMONITE NOSOCOMIALE
I2 – RIAMISSIONE IN TERAPIA INTENSIVA
I3 – PROCEDURE IN TERAPIA INTENSIVA
I4 – INTUBAZIONE/RE-INTUBAZIONE
5.4.5.Trigger relativi all’area perinatale
P1 – UTILIZZO DI TERBUTALINA
P2 – LACERAZIONE DI TERZO O QUARTO GRADO
P3 – PIASTRINOPENIA INFERIORE A 50.000
P4 -
PERDITE EMATICHE DURANTE IL PARTO: SUPERIORI A 500 ML NEL
PARTO VAGINALE, SUPERIORI A 1000 ML NEL PARTO CESAREO
P5 – CONSULENZE SPECIALISTICHE
P6 – SOMMINISTRAZIONE DI AGENTI OSSITOCICI NEL POST-PARTUM
P7 – PARTO STRUMENTALE
P8 - SOMMINISTRAZIONE DI ANESTESIA GENERALE
5.4.6.Trigger relativi al Dipartimento di Emergenza
E1 – RIAMISSIONE IN PRONTO SOCCORSO ENTRO 48 ORE
30
E2 – PERMANENZA IN OBI (OSSERVAZIONE BREVE INTENSIVA) PER PIU’ DI 6
ORE (4)
31
32
6. REVISIONE DELLA LETTERATURA: GLOBALTRIGGER TOOL ED ALTRI
SISTEMI DI RILEVAZIONE DEGLI EVENTI AVVERSI
6.1. Metodi di studio degli eventi avversi
Esistono differenti modalità di studio e di analisi degli errori e degli eventi avversi,
ciascuna delle quali si è evoluta nel tempo adattandosi ai diversi contesti.
Ognuna di queste modalità offre vantaggi e punti di forza, ma non è priva di peculiari
debolezze e limiti.
Eric Thomas e Laura Petersen (2003) hanno suddiviso questi metodi in otto gruppi e
ne hanno rivalutato i rispettivi vantaggi e svantaggi.
Metodo di studio
Morbidity and Mortality
Conferences
(Audit di morbosità e mortalità)
Autopsie
Vantaggi
Può suggerire i fattori
interferenti
Familiare agli operatori sanitari
Analisi del caso
(root cause analysis)
Può suggerire i fattori
interferenti
Approccio sistemico strutturato
Include i dati delle interviste
Sistemi di segnalazione degli errori
Fornisce prospettive multiple
(pazienti, erogatori, avvocati)
Analisi di dati amministrativi
Offre molteplici prospettive
anche a distanza di tempo
Può essere parte delle
operazioni di routine
Utilizza dati subito disponibili
Usata comunemente
Revisione di cartelle cliniche/schede
Osservazione dell’assistenza al paziente
Potenzialmente accurata e
precisa
Fornisce dati altrimenti non
disponibili
Individua più errori attivi
rispetto
Sorveglianza clinica attiva
Potenzialmente accurata e
precisa per gli eventi avversi
Svantaggi
Hindsight bias
Errori di segnalazione
Focalizzato sugli errori
diagnostici
Usato raramente
Hindsight bias
Tende a focalizzarsi sugli
eventi gravi
Difficile da standardizzare
nella pratica
Hindsight bias
Errori di segnalazione
Sorgente di dati non
standardizzata
Può basarsi su dati
incompleti o non accurati
I dati sono disgiunti dal
contesto clinico
I giudizi sugli eventi avversi
non sono affidabili
Le cartelle cliniche sono
incomplete
Hindsight bias
Richiede tempo ed è costosa
Difficoltà di formare
osservatori attendibili
Potenziali preoccupazioni
sulla riservatezza
Possibilità di essere
sommersi dalle informazioni
Richiede tempo ed è costosa
Tabella n°1: Metodi di studio degli errori e degli eventi avversi (adattato da Thomas &
Petersen 2003)
33
I vari metodi differiscono tra loro per molteplici aspetti. Sono differenti, ad esempio, per
fonte dei dati: cartelle cliniche, osservazioni dirette, informazioni derivanti da reclami,
ed altro ancora. Alcuni studi pongono attenzione a singoli casi o ad un ristretto numero
di casi con caratteristiche peculiari, mentre altri conducono un campionamento
randomizzato di una popolazione definita. Alcuni metodi sono orientati alla
determinazione dell’incidenza degli errori e degli eventi avversi (cioè: quanti si
verificano), mentre altri indirizzati alle cause e ai fattori di rischio (cioè: perché le cose
vanno male).
Thomas e Peterson suggeriscono che i metodi possono essere collocati lungo un
continuum, indicando la sorveglianza attiva di specifici tipi di eventi avversi, come il
metodo migliore per valutarne l’incidenza, mentre l’analisi dei sinistri e la descrizione
della morbosità e mortalità sono più orientati verso la ricerca delle cause. Non esiste
un modo perfetto per valutare l’incidenza degli eventi avversi o degli errori.
Il termine hindsight bias cui fanno cenno Thomas e Peterson deriva dalla letteratura
psicologica, ed in particolare da studi sperimentali che indicano come le persone
amplifichino, nella rielaborazione, le loro conoscenze presenti prima del verificarsi di un
evento avverso: l’effetto del “sempre saputo”. (1)
6.2. Esperienze internazionali di identificazione degli eventi avversi
Il sistema sanità, in questo ultimo decennio, si è velocemente indirizzato verso il
problema degli errori prevenibili in medicina partendo dall’identificazione degli eventi
avversi.
Una particolare rilevanza ha avuto l’autorevole pubblicazione To err is human
dell'Insitute of Medicine del 1999 (10). Lo scopo del rapporto era di rivedere e
sintetizzare i risultati in letteratura riguardanti la qualità delle cure fornite nel sistema
sanitario americano, rendendo noto quello che fino ad ora sapevano solo gli addetti ai
lavori e sviluppando strategie di incentivazione per migliorare la qualità e la sicurezza
nonché sensibilizzare l’opinione pubblica e la leadership sanitaria.
La pubblicazione ebbe un grande rilevanza, anche nell’opinione pubblica, soprattutto
per i numeri che riportò riguardanti gli eventi avversi:
44.000 pazienti americani
muoiono ogni anno a causa di errori medici, più delle morti per incidenti stradali, cancro
al seno, AIDS.
34
Uno degli studi più importanti sulla qualità e sulla sicurezza delle cure, che descrisse
l’entità degli eventi avversi in sanità e su cui si basò il rapporto To err is human fu
l’Harvard Study Medical Practice .(11)
Furono analizzate 30.195 cartelle di pazienti ricoverati in ospedali per acuti dello stato
di New York nel corso del 1984, fu identificato un tasso del 3,7 % di eventi avversi
con danno (1133 pazienti) ed un 0,7% di eventi avversi che esitarono in disabilità grave
o decesso. Lo studio evidenziò che di questi eventi avversi il 27,6% era stato
conseguenza di negligenza, questi eventi avversi interessavano maggiormente i
pazienti anziani.
Vari e molteplici sono gli studi che hanno identificato, quantificato e definito gli
incidenti ed i danni derivanti dalle cure sanitarie, utilizzando una metodologia di
revisione retrospettiva della documentazione clinica.
Uno studio analogo allo Harvard condotto nel Utah in Colorado (12) su 15.000 cartelle
rilevava un tasso del 2,9%.
Un studio condotto in Australia nel 1995 su 14.000 cartelle riportava un 16,6% di eventi
avversi. (13)
Un altro importante studio australiano (QAHCS) condotto su 14.179 cartelle (8747
mediche e 5232 chirurgiche) rilevò invece eventi avversi con danno sul 21,9% degli
episodi di ricovero ed il 4% relativi a eventi avversi con esito in disabilità grave o
decesso del paziente.(14)
In UK uno studio pubblicato da Charles Vincent sul BMJ nel 2001, si prendeva in
considerazione una revisione retrospettiva di 1014 cartelle di due ospedali per acuti di
Londra, si riporta che il 10,8% dei pazienti ha presentato un evento avverso, circa
metà degli eventi erano considerati prevedibili.(15)
Secondo la letteratura scientifica internazionale, quindi, un consistente numero di
pazienti subisce danni ed effetti indesiderati causati da trattamenti sanitari e il
fenomeno coinvolge tutte le strutture sanitarie di tutti i paesi in cui l’argomento è stato
studiato.
E’ inconfutabile la variabilità dei risultati evidenziati dai vari studi, si va da un tasso del
2,9% (studio Utah/Colorado) al 21,9% dello studio australiano.
Proprio in riferimento a questo nel 2000 alcuni ricercatori misero a confronto lo studio
Utah Colorado (UTCOS) con lo studio australiano (QAHCS).
Dal primo studio risultava che il 16,6% di ricoveri si associavano ad eventi avversi,
mentre nel secondo il tasso era solo del 2,9%. Per approfondire le differenze tra i due
studi i ricercatori misero a confronto metodi e caratteristiche impiegati e ne
35
identificarono le differenze. A questo scopo i dati del QAHCS furono analizzati
impiegando i metodi del UTCOS.
Furono identificate alcune discrepanze metodologiche che potevano rendere ragione
delle differenze dei risultati ottenuti nei due studi. Entrambe le ricerche impiegavano un
processo di revisione delle cartelle in due stadi per portare alla luce gli eventi avversi
(screening da parte di infermieri seguito da una revisione di un medico come
conferma); ma si trovarono cinque importanti difformità metodologiche.
1. – Gli infermieri revisori del QAHCS, riguardo al criterio 1 (riammissione legata ad un
precedente ricovero) tennero conto di tutte le cartelle che documentavano qualsiasi
connessione a ricoveri precedenti, mentre quelli del UTCOS avevano delle limitazioni
di tempo legate all’età (criterio positivo se il paziente era stato ricoverato di nuovo entro
6 mesi se aveva più di 65 anni, o entro 12 mesi se più giovane);
2. – Lo studio QAHCS impiegava una soglia più bassa di livello di confidenza per
attribuire la causa di un evento avverso al trattamento medico;
3. – Lo studio australiano impiegava due medici revisori, mentre quello del UtahColorado uno solo;
4. – Il QAHCS, per calcolare l’incidenza annuale, prendeva in considerazione tutti gli
eventi avversi associati con un ricovero indice (cioè il ricovero selezionato casualmente
per la revisione), anche se gli eventi erano stati scoperti durante ricoveri precedenti o
posteriori a quella ammissione, mentre il UTCOS contava soltanto quegli eventi che si
erano manifestati durante il ricovero;
5. – Lo studio australiano includeva alcuni tipi di eventi non compresi in quello
americano.
Quando i dati del QAHCS furono analizzati applicando i metodi del UTCOS, la
percentuale di ricoveri con eventi avversi si ridusse al 10,6% (dal primitivo 16,6%)
Le differenze di metodo riportate sopra possono senz’altro spiegare una parte delle
differenze di risultati tra le due ricerche epidemiologiche. Altre ragioni che si
aggiungono sono probabilmente il fatto che la qualità dell’assistenza in Australia sia
peggiore e che il contenuto delle cartelle cliniche e/o il comportamento di giudizio dei
revisori dei due Paesi siano differenti.(16)
Questo studio mette in evidenza come la variabilità della metodologia di revisione delle
cartelle ha portato a risultati infinitamente diversi, consapevoli in ogni caso che non
esiste un metodo migliore rispetto ad un altro; dipende dall’obiettivo che si desidera
perseguire, dalle risorse a disposizione e dal contesto in cui si svolge l’indagine.
36
Le ricerche epidemiologiche hanno, non solo quantificato gli eventi avversi, ma anche
utilizzato un approccio qualitativo.
Uno studio, pubblicato nel 1999, nel The Medical Journal of Australian, ha analizzato le
cause degli eventi avversi rilevati in precedenza dallo studio QAHCS. Furono presi in
considerazione i 2353 eventi riportati, l’obiettivo era categorizzare gli eventi e definire
delle strategie per minimizzare gli errori.
Le cause più frequenti di eventi avversi furono identificate come:

Complicanze o fallimento di una performance tecnica di una procedura o
intervento (34,6%);

Incapacità di sintetizzare, decidere e/o utilizzare le informazioni disponibili
(15,8%);

Mancanza di richiedere o far eseguire una indagine, procedura o consultazione
(11,8%);

Mancanza di cura o attenzione nella cura di un paziente (10,9%)
Agli eventi, le cui cause erano dovute ad errori di tipo cognitivo, furono assegnati
maggiori scores di prevedibilità rispetto a quelli dovuti ad errori di tipo tecnico.
Lo studio propose anche alcune strategie di prevenzione degli eventi avversi:

Nuovi e/o migliori protocolli (23,7% delle strategie);

Migliore monitoraggio della qualità dei processi (21,2%);

Migliore formazione ed addestramento (19;2%);

Consultazioni più frequenti con specialisti e fra pari (10,2%). (17)
6.3. Applicazione dell’IHI Global Trigger Tool per l’identificazione degli eventi
avversi
Lo strumento del Global Trigger Tool è stato implementato ed è in uso in centinaia di
ospedali in diversi Paesi, è stato maggiormente utilizzato e valorizzato negli Stati Uniti
dove è nata la metodologia.
Nella città di Orlando, nel Florida Hospital (comprende 8 ospedali ciascuno con un
numero di letti che va da 50 a 1000), la metodologia è stata implementata nel 2006 ed i
risultati furono pubblicati su Journal of Patient Safety. (18)
Inizialmente furono coinvolti sei ospedali con l’obiettivo di
ampliare l’utilizzo dello
strumento su tutti. Nell’implementazione e nella formazione del team di lavoro furono
coinvolti infermieri, farmacisti, terapisti del respiro e medici. L’identificazione degli
eventi avversi e dei danni conseguenti, aiutarono ed indirizzarono la leadership verso
37
un’allocazione ottimale delle risorse, rendendo la sicurezza del paziente un punto di
forza della mission dell’organizzazione.
Circa il 55% degli eventi avversi rilevati erano relativi alla terapia farmacologica, in
particolare rispetto all’infezione da C. Difficile, aumento degli elettroliti, alterazioni
glicemiche, sedazione eccessiva da farmaci e sanguinamenti
causati
da
anticoaugulanti.
L’ospedale, grazie ai risultati emersi dall’utilizzo della metodologia, mise in atto
programmi di analisi del rischio e sistemi di contenimento orientati in particolare verso
questi specifici eventi.
La Mayo Clinic (Rochester, Minnesota) ha iniziato ad utilizzare la metodologia nel 2004
per misurare gli eventi avversi e di conseguenza per migliorare, all’interno
dell’organizzazione, il livello di sicurezza dell’assistenza.
Tre sedi della clinica (Rochester, Arizona e Jacksonville) che hanno utilizzato il Global
Trigger Tool, si confrontavano trimestralmente, attraverso video-conferenza, per
confrontare le revisioni, discutere i casi difficili e scambiare idee ed opinioni circa il
miglior utilizzo dello strumento.
Dopo il primo anno di raccolta dei dati, i risultati furono presentati alla Mayo’s senior
Quality Committee.
Attualmente alla Mayo Clinic, il tasso di eventi avversi viene misurato regolarmente
attraverso la metodologia IHI e durante il primo periodo di implementazione si è
verificata una riduzione degli errori, grazie anche ad un programma di sicurezza del
paziente progettato in base ai risultati dell’applicazione dello strumento.
L’OSF Healthcare System (Peoria, Illinois) ha iniziato ad utilizzare nei suoi sei ospedali
l’IHI Global Trigger Tool nel 2004. Come previsto dalla metodologia, ogni mese, il team
sceglieva
a random
20 cartelle che venivano revisionate da infermieri designati.
Durante il primo anno, i revisori, hanno messo in atto un sistema di incontri periodici di
discussione su come migliorare l’affidabilità del metodo e su come i risultati potevano
essere interpretati.
L’OSF cercò definire il valore dell’utilizzo del metodo a due livelli. Il primo è che rispetto
alle organizzazioni che utilizzano altri metodi di identificazione degli eventi avversi e
degli errori, l’IHI Global Trigger Tool può offrire dei dati accurati ed affidabili nel tempo
e possono essere degli indicatori che misurano il danno ed offrono una fotografia del
livello di sicurezza dell’organizzazione. Secondo, il team di revisione può utilizzare i
risultati delle revisioni per scoprire in quale direzione orientare le attività di
miglioramento.
38
Per esempio un ospedale notò che le riammissioni riguardavano spesso pazienti
dimessi con terapia con Walfarin, si chiesero se era necessario una riospedalizzazione
o se bastava creare ed implementare dei programmi educativi
per i pazienti di
gestione della terapia anticoagulante.
La letteratura riporta diversi studi di identificazione degli eventi avversi tramite l’utilizzo
dell’IHI Global Trigger Tool.
Uno studio recente, pubblicato sul New England Journal of Medicine, nel 2010 aveva
come obiettivo indagare, a dieci anni dalla pubblicazione del testo To Err is Human, se
gli sforzi intrapresi per migliorare la sicurezza avessero portato a dei risultati tangibili.
Fu condotto uno studio retrospettivo su un campione casuale stratificato preso da 10
ospedali del North Carolina. Furono esaminati 100 ricoveri per trimestre da gennaio
2002 a dicembre 2007 da revisori interni e revisori esterni utilizzando l’IHI Global
Trigger Tool. Gli eventi dubbi, identificati dai revisori, sono stati rivalutati da due medici
revisori indipendenti.
Nei 2341 ricoveri presi in considerazione, i revisori interni hanno identificato 588 eventi
avversi, c’è stata una riduzione negli eventi rilevati dai revisori esterni, ma non
statisticamente significativa.
Lo studio giunse alla conclusione che tra i 10 ospedali non vi sono significative
differenze di errori ed auspica la necessità di compiere ulteriori sforzi per creare
interventi di monitoraggio della sicurezza dell’assistenza sanitaria nel tempo.(19)
L’IHI Global Trigger Tool è stato utilizzato spesso in combinata con altri strumenti.
Per esempio in uno studio condotto nel Baylor Health Care System (BHCS) nel North
Texas tra il 2006 ed il 2007, fu utilizzato l’IHI assieme ad un altro metodo, l’MS Access
Tool,
appositamente
creato,
come
integrazione
per
permettere
un’ulteriore
caratterizzazione degli eventi avversi individuati.
I primi risultati riportarono tassi di eventi avversi di 68,1 ogni 1000 giorni paziente e nel
39,8% dei ricoveri fu riscontrato eventi avversi maggiori o uguali a 1. Di tutti gli eventi
avversi identificati, il 61.2% era avvenuto all’interno dell’ospedale e di questi il 10,1%
era associato a categorie di danno H o I ( vicino alla morte o morte).(20)
Alcuni studi presenti in letteratura, oltre che utilizzare lo strumento dell’IHI
per
quantificare ed identificare gli eventi avversi, si sono posti anche l’obiettivo di testare lo
strumento e di valutarne la sua applicabilità.
Uno dei primi studi coinvolse 62 Terapie Intensive in 54 ospedali statunitensi nel
periodo tra il 2001 ed il 2004. La prevalenza di eventi avversi osservati, su 12.074
ricoveri, con l’approccio dell’IHI fu di 11,3 eventi ogni 100 giorni pazienti; relativamente
39
a 13 Terapie Intensive è stata revisionata la documentazione di 1.294 pazienti
identificando 1450 eventi avversi con una prevalenza di 16,4 eventi ogni 100 giorni
paziente. Il 55% di questo sottoinsieme di cartelle conteneva almeno un evento
avverso. Le conclusioni dello studio furono che l’IHI Global Trigger Tool si è rivelato un
approccio pratico per migliorare la rilevazione degli eventi avversi in Terapia I., la
valutazione di questi eventi può essere utilizzata per orientare al meglio le risorse
necessarie ai programmi di miglioramento.(21)
Uno studio scozzese, pubblicato nel 2009, testò l’efficacia dello strumento dell’IHI per
misurare gli eventi avversi nell’ambito dell’assistenza primaria.
La metodologia è stata utilizzata da revisori addestrati, che hanno lavorato in coppia
per condurre degli audit, su 100 cartelle elettroniche selezionate a random per ognuna
delle cinque zone urbane della Scozia Centrale.
Furono quindi revisionate 500 cartelle, fu identificato un evento avverso in 47 cartelle
(9,4%), di questi 27 furono giudicati prevedibili (42%). La gravità del danno fu
considerata bassa o moderata per la maggior parte dei pazienti coinvolti in eventi
avversi (82,9%). Errori e danni più gravi erano presenti maggiormente in pazienti con
età superiore ai 60 anni ed erano relativi alla terapia farmacologica.
Lo studio giunge alla conclusione che l’IHI Global Trigger Tool è uno strumento
affidabile per rilevare gli errori ed i danni nell’ambito dell’assistenza primaria.
Tuttavia pone dei limiti all’utilizzo e alla fattibilità dell’applicazione nella prassi
quotidiana, lo strumento viene visto più adatto ad essere utilizzato nella ricerca e come
audit tecnico. (22)
Per verificare le caratteristiche di performance e l’appropriatezza del Global Trigger
Tool al fine di misurare i danni dei pazienti conseguenti all’assistenza sanitaria in un
ospedale e a livello nazionale, nel Nord Carolina è stato condotto uno studio
retrospettivo nel periodo compreso tra il 2002 e il 2007.
La metodologia dell’IHI fu applicata su 10 cartelle cliniche per trimestre, selezionate tra
10 ospedali per acuti.
Lo studio prevedeva il coinvolgimento di un team di revisori interni ed esterni
all’ospedale e di un team di revisori esperti della metodologia che doveva rivedere il
10% della documentazione revisionata dagli altri due gruppi. Non sono emerse
sostanziali differenze nella identificazione di eventi avversi. Lo studio ha concluso che
considerato il livello di accordo tra i revisori il global trigger tool può essere una misura
appropriata per gli eventi avversi con danno, sia a livello di singola organizzazione che
a livello nazionale.(23)
40
Lo strumento dell’IHI è stato comparato, in letteratura, con altri metodi di rilevamento
degli eventi avversi.
Uno studio pubblicato nel 2009 confronta i tre metodi maggiormente utilizzati a livello
internazionale:

I Patient Safety Indicators set (PSIs): set si indicatori per la sicurezza del
paziente, proposti dall’Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ):
sono algoritmi utilizzati per rilevare eventi avversi potenziali mediante i codici
(ICD-9) secondari di diagnosi sulle schede di dimissione ospedaliera.

I Provider-reported Events (eventi riportati dagli operatori) sono eventi
segnalati in tempo reale che giungono da parte dell’Unità Operativa ad un
sistema centralizzato. Sono esclusi dal sistema i near miss o gli eventi che
non hanno raggiunto il paziente e quelli senza danno.

I Global Trigger Tool mediante il quale è possibile o meno correlare un evento
avverso.
Il campione era rappresentato da tutti i pazienti dimessi nel 2005 dalla Mayo Clinic
Rochester hospitals.
Dei 60.599 pazienti presi in considerazione il 4% ha avuto un evento avverso
identificato da almeno uno dei tre metodi, gli eventi identificati con un metodo
solitamente non venivano identificati dagli altri.
I risultati hanno confermato come indicato in letteratura che gli approcci dovrebbero
essere integrati tra loro al fine di migliorare la sicurezza del paziente poiché i tre
approcci identificano diverse tipologie di eventi avversi. (24)
Uno studio di recente pubblicazione (Aprile 2011), ha confrontato tre strumenti di
identificazione degli eventi avversi in ospedale: l’IHI Global Trigger Tool, un sistema di
reporting volontario e degli indicatori di qualità e sicurezza, ogni strumento è stato
testato sullo stesso campione di pazienti provenienti da tre ospedali.
Utilizzando l’IHI Global Trigger Tool furono identificati un numero di eventi avversi dieci
volte superiore a quelli trovati con gli altri due metodi. (25)
Frank Federico, direttore di una delle sezioni dell’IHI, sostiene l’utilità del Global Trigger
Tool in quanto i metodi tradizionali di segnalazione degli errori e degli eventi avversi
non sono affidabili nei contesti sanitari. In effetti la letteratura riporta che i sistemi
volontari tendono a sottostimare gli eventi e si concentrano su quello che viene
considerato prevenibile. La metodologia dell’IHI consente di identificare in modo facile
e senza l’ausilio di tecnologie complesse gli eventi avversi correlati al danno. (26)
41
Nell ’applicazione del Global Trigger Tool, il risultato di 12 punti di raccolta dati (pari a
sei mesi) dovrebbe mediamente aggirarsi sul 4% di eventi avversi rilevati.
Le evidenze relative a centinaia di organizzazioni che hanno utilizzato la metodologia
hanno delineato un valore atteso di danno nell’organizzazione. Questi dati sono da
intendere come valori generali da non utilizzare come confronto tra organizzazioni.
Dopo qualche iniziale variabilità la maggior parte degli ospedali ha riportato circa 90
eventi avversi ogni 1000 giorni paziente, 40 eventi avversi ogni 100 ricoveri e circa il
30% di eventi avversi sul totale dei ricoveri.
Il modello utilizzato nel Global Trigger Tool non è basato su una valutazione della
specificità e sensibilità ma piuttosto su base empirica e sull’applicazione di un
campionamento randomizzato e una metodologia strutturata in modo rigido. (27)
42
7. GESTIONE DEL RISCHIO NELL’AZIENDA ULSS 3 BASSANO DEL GRAPPA
A livello istituzionale l’attività di gestione del rischio clinico viene sviluppata a tutti i
livelli di programmazione e controllo sanitario: nazionale, regionale, aziendale e di
singole strutture operative.
La Regione del Veneto ha da tempo attivato una serie di iniziative orientate al
mantenere e sviluppare ulteriormente l'alto livello qualitativo che caratterizza i servizi
sanitari, socio sanitari e sociali e le prestazioni erogate.
In relazione alle strategie di promozione della sicurezza il Veneto con la DGR n. 4445
del 28 dicembre 2006 (28) la Giunta Regionale del Veneto ha istituito, con sede presso
l’ARSS, il “Coordinamento regionale per la sicurezza del paziente” con le seguenti
competenze:

individuare e proporre alla Giunta Regionale gli obiettivi in tema di sicurezza del
paziente;

definire il piano annuale delle azioni per l’implementazione delle strategie per la
sicurezza del paziente, individuando per le singole azioni le Direzioni e le strutture
coinvolte;

monitorare le iniziative in tema di gestione della sicurezza del paziente poste in
essere dalle Aziende Sanitarie;

armonizzare le iniziative regionali nell’ambito della sicurezza in tutte le componenti
di cui risulta composta;

sviluppare azioni di confronto con le associazioni scientifiche, con i rappresentanti
dei cittadini, con gli istituti assicurativi privati e con i produttori di farmaci, presidi
sanitari e tecnologie elettromedicali;

approvare la relazione annuale sull’attività svolta;

promuovere e coordinare le iniziative di formazione a livello regionale in materia di
sicurezza del paziente.
Il “Coordinamento regionale per la sicurezza del paziente”, ha successivamente
proposto i seguenti obiettivi:
 attivazione di un modello organizzativo;
 realizzazione di un sistema informativo regionale integrato;
 realizzazione di un programma di formazione di base e avanzato.
43
Con riferimento all’attuazione del primo successivamente la Regione con la DGR n.
1831 del 01/07/2008, ha definito un modello organizzativo per la gestione della
sicurezza del paziente nel sistema socio-sanitario del Veneto.
Tale modello organizzativo regionale per la gestione della sicurezza costituisce un
sistema gestionale che coinvolge più attori dell’organizzazione:

il Responsabile delle funzioni per la Sicurezza del Paziente che coordina
il Comitato Esecutivo;

il Comitato Esecutivo per la Sicurezza del Paziente;

il Collegio di Direzione;

il Nucleo Aziendale per la gestione dei sinistri. (29)
Con Delibera n° 817/08, l’Azienda ULS3 ha adottato il modello organizzativo per la
gestione della sicurezza come previsto dalla Regione. (30)
La politica dell’Azienda Sanitaria ULSS 3, relativa al rischio clinico, si esplica mediante
lo sviluppo di un sistema di gestione del rischio orientato ad un approccio sistemico,
con lo scopo di prevenire gli errori evitabili e contenere i loro possibili effetti dannosi.
Le strategie aziendali sono rappresentate dal miglioramento della sicurezza del
paziente attraverso lo sviluppo di un sistema di gestione del rischio clinico in linea con
le sopra citate indicazioni Nazionali e Regionali.
Per attuare tali strategie l’Azienda ha costruito un network aziendale sul rischio clinico
coinvolgendo attivamente gli operatori sanitari, l’attivazione di un sistema informativo
sul rischio clinico ha consentito, in questo modo, ai diversi attori di prendere decisioni
in modo consapevole e responsabile.
Prioritario è stato, nel corso degli anni, l’attivazione e l’implementazione di strumenti di
gestione del rischio secondo logiche di priorità.
In particolare è stato fatta una mappatura dei rischi a livello aziendale, definendola
sulla base dei dati e/o eventi storici raccolti, sono state poi individuate le barriere
applicabili e fatto un set-up con le Unità Operative coinvolte.
Ad ogni singola barriera è stato assegnato un punteggio e ri-mappati i rischi anche
tramite interviste con il personale. Sulla base degli esiti della mappatura sono stati
attivati gli strumenti finalizzati al contenimento dei rischi.
Nelle aree ad alto rischio si sono sviluppati ed applicati strumenti pro-attivi (FMEA), in
quelle a medio rischio strumenti con approccio reattivo (Incident Reporting e RCA)
(vedi figura n°6)
44
2
1
Analisi dei dati
(eventi) storici
• Individuazione
della tipologia di
dati relativi ad
eventi da analizzare
• Definizione
dell’arco temporale
di riferimento
• Raccolta dei dati
relativi e
valutazione della
loro significatività
Mappatura iniziale
dei rischi
• Normalizzazione
dei dati disponibili
al fine di renderli
confrontabili:
applicazione del
modello di Heinrich
3
Scelta delle
barriere / difese
• Individuazione
delle barriere /
difese applicabili e
set-up con le
UU.OO. coinvolte
• Determinazione
del ranking di
rischio aziendale
iniziale per singola
UU.OO.
• Definizione della
mappatura iniziale
dei rischi
4
Mappatura dei
rischi con
barriere
• Assegnazione dei
punteggi per ogni
singola barriera
(punteggio da 1barriera presente e
applicata a 2 barriera non
presente): attività
effettuata presso
ogni UU.OO.
Tramite interviste
con il personale
• Determinazione
del nuovo ranking di
rischio aziendale
(con barriere)
5 Piani e strumenti
per il contenimento
dei rischi
• Sulla base degli
esiti della
mappatura,
attivazione di
strumenti finalizzati
al contenimento dei
rischi:
Aree ad alto rischio:
sviluppo e
applicazione di
strumenti pro-attivi
(es. FMEA)
Aree a medio
rischio: sviluppo e
applicazione
strumenti con
approccio reattivo
(es. Incident
reporting, Root
cause analysis, etc.)
Figura n. 6: pianificazione della mappatura dei rischi ed individuazione degli strumenti
per il contenimento nell' Azienda ULSS 3 Bassano del Grappa
L’incident reporting è identificato, a livello aziendale, come lo strumento principale
della diffusione della cultura della segnalazione e di conseguenza come un opportunità
di miglioramento della sicurezza del paziente. Per implementare l’incident reporting è
stato attuato un progetto formativo il quale scopo era conoscere il processo di gestione
dello strumento applicandolo nell’ambito delle attività quotidiane con un tutoraggio
specifico nelle diverse fasi, raccogliere ed analizzare gli incident reporting definendo i
rischi prioritari ed i relativi piani di contenimento, dare seguito operativo alle attività
pianificate per la riduzione del rischio clinico valutando successivamente l’impatto.
L’Azienda ha investito molto anche nell’implementazione della FMEA, consapevole che
è uno strumento che migliora non solo la conoscenza di ciò che si attua
quotidianamente sul paziente ma migliora soprattutto il processo assistenziale
introducendo barriere preventive di sicurezza.
La formazione sul campo, che ha coinvolto gruppi multi professionali, ha permesso di
conoscere la FMEA, di applicarla in un processo critico individuato, sviluppando delle
attività di contenimento per i rischi prioritari attraverso: individuazione delle soluzioni,
confronto e condivisione con gli operatori coinvolti sulle soluzioni adottate, valutazione
dell’impatto del cambiamento.
45
Nell’ambito della gestione del rischio, sono state messe in pratica diverse “buone
pratiche”, alcune della quali sono:

Sistemi automatici per la preparazione ed etichettatura delle provette per i
prelievi;

Sistema automatico di identificazione del paziente tramite bracciale con codice
a barre e verifica della corrispondenza tra paziente e provette tramite palmare;

Progetto "Save lives: clean your hands"

Audit clinici

Monitoraggio eventi sentinella

Sistema
di
sorveglianza
attiva
"alert
organism”:
giornalmente
i
dati
microbiologici vengono immessi in un database dal personale che si occupa
delle infezioni che può quindi correlare rapidamente i dati e identificare un
aumento di numero in un breve arco di tempo dello stesso microrganismo nello
stesso reparto;

Prevenzione delle cadute: progetto pilota in fase di sperimentazione nell’U.O. di
Geriatria che prevede la valutazione dei pazienti a rischio di caduta, la
valutazione della sicurezza di ambienti e presidi, la rilevazione, l’analisi e la
gestione dell’evento caduta;

Check list operatoria;

Progetti riduzione rischio gestione terapia farmacologica.
Per favorire lo sviluppo della cultura della sicurezza l’Azienda ha coinvolto gli operatori
indagando tutti gli aspetti organizzativi e procedurali che sottendono all’errore in sanità.
Questo ha consentito di costruire indicatori di processo e di performance che hanno
prodotto risultati significativi poiché riferiti al sistema considerato nel suo complesso e
non rivolti al solo miglioramento dell’operato del singolo.
46
8. APPLICAZIONE DEL GLOBAL TRIGGER TOOL NELLA S.C. DI MEDICINA
AZIENDA SANITARIA N° 3 BASSANO DEL GRAPPA
I risultati preliminari di seguito riportati riguardano il lavoro iniziale di applicazione
sperimentale del metodo su un piccolo campione di cartelle di pazienti ricoverati
nell’Unità Operativa di Medicina.
La scelta della popolazione del campione è stata fatta in base alla facile reperibilità
delle cartelle cliniche, essendo pazienti della struttura dove presto servizio e
di
conseguenza anche per la maggior conoscenza della documentazione, tipologia di
pazienti e del loro percorso clinico-assistenziale. Abbiamo scelto intenzionalmente di
revisionare cartelle di un periodo molto recente
per avere una fotografia
dell’organizzazione molto vicina alla condizioni attuali.
Data la tipologia di pazienti è stato scelto di prendere in considerazione solo i trigger
relativi alla cure e quelli relativi alla terapia farmacologica.
La S.C. di Medicina Interna ha come finalità istituzionale preminente la diagnosi, il
trattamento e l’assistenza in fase acuta di tutte le patologie internistiche con specifiche
competenze per la prevenzione diagnosi e cura delle malattie cardiovascolari,
dell’ipertensione arteriosa (in particolare per le forme secondarie), della malattia
tromboembolica, delle malattie endocrino-metaboliche, reumatologiche, patologie
osteo-fragilizzanti ed infettive nonchè diagnosi e cura del piede diabetico.
Di seguito sono riportati i principali DRg relativi all’anno 2010.
DRg
N° casi in degenza ordinaria
Insufficienza cardiaca e shock
137
Insufficienza renale
106
Polmonite semplice e pleurite, età ≥ 17 con cc
68
Versamento pleurico con cc
63
Segni e sintomi respiratori con cc
54
Embolia polmonare
50
Anomalie dei globuli rossi, età ≥ 17
44
Diabete età ≥ 35
42
Polmonite semplice e pleurite, età ≥ 17 senza cc
47
37
Tabella n° 2: principali DRg in ordine di frequenza Medicina Interna anno 2010
La struttura accoglie 48 posti letto, i ricoveri totali nel 2010 sono stati 1734 con una
degenza media di 9,27 giorni ed un tasso di occupazione del 91,7%.Come la maggior
parte delle strutture dell’Azienda Sanitaria, anche la Medicina è stata coinvolta ed ha
partecipato attivamente al programma aziendale di gestione del rischio clinico. La
struttura è coinvolta nella compilazione degli incident reporting e nell’anno 2010 ha
partecipato alla FMEA aziendale attivandone una riguardante la gestione della terapia
farmacologica con conseguente applicazione di un piano di contenimento tutt’ora in
corso.
8.1. Formazione del team di revisione
Per la parte logistica mi sono avvalsa della collaborazione del Risk Manager
ospedaliero che, oltre ad avermi supportata metodologicamente, ha coperto il ruolo di
medico revisore.
La formazione del team è avvenuta sulla base delle raccomandazioni fornite
dal
manuale dell’IHI.
Oltre alla sottoscritta, il team era composto da un medico internista della S.C. di
Medicina e da un medico igienista della Direzione Medica Ospedaliera.
Il medico revisore era il Risk Manager nonché Direttore del Dipartimento Medicina dei
Servizi e della S.C. di Medicina di Laboratorio.
Abbiamo ritenuto importante aggiungere ai due revisori, indicati dalla metodologia, un
terza figura per garantire che le conoscenze acquisite, rispetto al metodo, non vengano
perdute in caso di trasferimenti o spostamenti dei componenti del team.
Inoltre, la diversa provenienza e ambito lavorativo dei membri del team non poteva
essere che un valore aggiunto favorente un’applicazione dello strumento con un’ottica
di integrazione e multidisciplinarietà, l’infermiere poteva cogliere maggiormente i trigger
relativi alla cure assistenziali, il medico internista più rivolto verso
la clinica ed il
medico igienista con un approccio più pragmatico e globale.
Dopo una prima riunione informativa, dove è stato presentato lo strumento e dove ci
siamo accordati su come svolgere logisticamente il lavoro, ogni componente del
gruppo ha letto in maniera individuale e
approfonditamente il manuale di utilizzo
dell’IHI Global Trigger Tool.
La formazione del team e il piano di lavoro è stato condiviso con il Direttore Medico
Ospedaliero.
48
8.2. Addestramento
In un secondo incontro, con i quattro membri del team, è stata condiviso l’utilizzo dello
strumento e come prevede il manuale sono state revisionate cinque cartelle non
comprese nel campione.
Ogni cartella è stata revisionata dai quattro membri in forma condivisa, ciò ha
permesso di uniformare la metodologia, di scambiarsi informazioni utili ( es. l’infermiere
ha fornito indicazioni su dove reperire alcuni dati all’interno della documentazione
infermieristica) e di definire alcuni parametri che potrebbero essere soggettivi ( es. i
valori pressori indicativi dello stato ipotensivo).
La regola dei “20 minuti” in fase di addestramento non è stata utilizzata come indicato
dall’IHI.
Durante la revisione delle cartelle cliniche, utilizzate per l’addestramento, sono stati
evidenziati i medesimi trigger. In alcuni casi una persona su tre non ha colto qualche
trigger; tuttavia la correlazione tra trigger ed eventi avversi ha prodotto i medesimi
risultati.
I risultati della revisione delle cinque cartelle non è stata inserita nei dati finali.
8.3. Processo di selezione delle cartelle cliniche
La popolazione campione erano i pazienti dimessi dall’Unità Operativa di Medicina
Interna dal 1 Febbraio al 31 Marzo 2011.
Sono state selezionate, con metodologia di campionamento casuale, 20
cartelle
cliniche per ogni mese (Febbraio, Marzo 2011) prendendo 15 cartelle tra i dimessi
della prima quindicina e 15 per la seconda quindicina del mese. Oltre alle 20 mensili
sono state aggiunte 4 cartelle di riserva da utilizzare qualora non rientrassero nei criteri
di selezione.
I criteri di selezione dei pazienti sono stati i seguenti:

tutti i pazienti dimessi dall’unità operativa di Medicina Interna dal 1 Febbraio al
31 Marzo 2011 esclusi i degenti con età inferiore ai 18 anni e pazienti
psichiatrici ed in riabilitazione, con cartella clinica chiusa e completa;

tutti i ricoveri ordinari esclusi Day Hospital e Day Service;

tutti i ricoveri superiori alle 48 ore di degenza. Il protocollo raccomanda le 24
ore, tuttavia per identificare una infezione correlata a pratiche assistenziali, il
Centers for Disease Control and Prevention (CDC) definisce un tempo di
incubazione di almeno 48 ore dopo il ricovero in ospedale. (31)
49
8.4. Processo di revisione delle cartelle cliniche
In relazione alla tipologia di pazienti selezionati, la revisione ha preso in considerazione
solo i trigger relativi alla cure e alla terapia farmacologica.
La revisione è stata fatta su cartelle cartacee, solo per i trigger relativi ai dati
laboratoristici ci siamo serviti di un report informatizzato per ciascun paziente preso in
considerazione.
La ricerca di eventuali riammissioni è stata fatta consultando il data base aziendale di
gestione dei ricoveri.
Le cartelle cliniche sono state consultate dai tre revisori in maniera indipendentente
anche se vi sono stati dei momenti di confronto tra i revisori.
Ogni revisore seguiva una sequenza di consultazione della documentazione
precedentemente stabilita in base a criteri di logica ed ottimizzazione del lavoro:
-
lettera di dimissione;
-
verbale di accesso in pronto soccorso;
-
diario medico;
-
termografica;
-
diario infermieristico.
Il tempo medio di consultazione è stato di circa 10-15 minuti a cartella.
Per registrare i trigger ci siamo serviti della scheda presente nel sito dell’IHI.
8.5. Identificazione e classificazione dei trigger e degli eventi avversi
I revisori, una volta rilevata la presenza di un trigger, hanno subito definito se fosse
correlato ad un evento avverso ed in tal caso determinato la categoria di danno.
Al temine della revisione è stato coinvolto il medico revisore del team per valutare i
trigger positivi che potevano rappresentare l’indizio di un evento; alcuni eventi non
sono stati ritenuti tali e quindi esclusi dall’elenco, il momento di confronto finale è stato
molto importante per risolvere dei dubbi insorti durante la revisione e per confermare o
meno la correlazione tra trigger ed eventi avversi.
50
9. RISULTATI PRELIMINARI
I risultati di seguito riportati sono preliminari, riguardando solo un campione di 40
cartelle, e quindi non significativi statisticamente, visto che l’IHI raccomanda almeno un
campione di 240 cartelle. Sono dati in ogni caso rilevanti per poter definire un tasso di
eventi
avversi
preliminare
e
per
offrire
un’iniziale
e
parziale
fotografia
dell’organizzazione.
9.1. Caratteristiche della popolazione campione
Lo strumento IHI Global Trigger Tool prevede una selezione di 10 cartelle ogni quindici
giorni indipendentemente dal numero di ricoveri mensili.
La popolazione di riferimento, è risultata essere di 308 ricoveri, di questi ne sono stati
selezionati un campione di 40 con metodologia di campionamento casuale e
rispondente ai criteri sopracitati.
La media e la mediana del numero di ricoveri relativi ad un periodo di quindici giorni
sono rispettivamente di 77 e 78 ricoveri.
Grafico n. 1: n° di ricoveri per periodo esaminato: 1 Febbraio 2011-31 Marzo 2011
51
L’età del campione selezionato è per il 10% (4 pz) formato da pazienti con età tra i 50
e i 60 anni, il 40% (16 pz) con età tra i 61 e i 70 anni, il 37,5% (15 pz) con età tra i 71 e
gli 80 anni ed il 12,5% (5 pz) con età superiore a 81 anni.
Grafico n.2: suddivisione campione per fascia di età
I pazienti del campione preso in considerazione erano per il 52,5% (21) maschi e per il
47,5% (19) femmine.
Grafico n.3: suddivisione sesso pazienti selezionati
52
I giorni di degenza totali della popolazione campione sono stati di 393 giorni con una
media di 9,8 giorni di degenza: da un minimo di 3 giorni ad un massimo di 41 giorni.
Grafico n. 4: giornate di degenza
9.2. Trigger positivi
Durante la revisione sono stati presi in considerazione solo i trigger relativi alle cure e
alla terapia farmacologica.
Nelle 40 cartelle sono stati identificati 50 trigger: 26 trigger relativi alle cure (52%) e 24
relativi alla terapia farmacologica (48%).
Grafico n°5:
categorie di
trigger
53
Sono stati rilevati da 0 a 4 trigger per paziente con una media di 1,25 per paziente ed
una mediana di 2.
Nel 32% delle cartelle non è stato rilevato nessun trigger, nel 22% 1 trigger, nell’ 8% 3
trigger e nel 3% 4 trigger.
Grafico n° 6: numero trigger per cartelle esaminate
I trigger rilevati almeno una volta sono rappresentati nel seguente grafico
Grafico n°7: trigger rilevati
54
I trigger rilevati con maggior frequenza sono:
-
C5: indagini per embolia/DVT;
-
M11: eccessiva sedazione e/o ipotensione;
-
C1: emotrasfusione:
-
C9: riammissione entro 30 gg.
9.3. Eventi avversi
La presenza di un trigger non necessariamente è correlata a un evento avverso.
L’IHI raccomanda di indagare con accuratezza ciascun trigger per rilevare se ci si trova
di fronte ad un evento che ha provocato danno al paziente.
Rispetto ai 50 trigger identificati, l’88% (44 trigger) non è stato associato ad un evento
avverso mentre il 12% (6 trigger) erano correlati ad un evento avverso.
Grafico n° 8: eventi avversi per categoria
55
Gli eventi avversi rilevati sono stati:

2 eventi avversi attribuibili a lesioni da decubito di prima insorgenza;

2 eventi avversi da reazione da farmaci: una reazione allergica in seguito a
somministrazione di Levofloxacina® e.v. e una trombocitopenia da utilizzo di
Eparina a basso peso molecolare;

1 evento avverso da infezione della ferita chirurgica;

1 evento avverso da sanguinamento post-intervento di angioplastica arti
inferiori.
La distribuzione degli eventi avversi nel periodo di raccolta dati è rappresentata nel
grafico n.9.
Grafico n° 9: numero eventi avversi per periodo esaminato
Cinque eventi su sei hanno coinvolto pazienti con età superiore ai 65 anni, 1 ha
coinvolto un paziente con età compresa tra i 18 ed i 65 anni.
Secondo la metodologia dell’IHI, l’evento avverso viene definito tale solamente quando
provoca un danno al paziente; al fine di classificare gli eventi avversi sulla base della
gravità del danno provocato al paziente, è stata adottato l’indice di categorizzazione
degli errori del National Coordinating Council for Medication Errors reporting and
prevention (NCC MERP).
56
Alla totalità degli eventi avversi rilevati è stato assegnata la categoria E di danno:
danno temporaneo al paziente che richiede intervento.
La metodologia dell’IHI prevede tre diversi modi di presentazione dei dati raccolti,
abbiamo scelto il primo metodo che è senz’altro il più vantaggioso. Il “numero di eventi
avversi per 1.000 giorni/paziente”, infatti è la misura tradizionale e raccomandata per
tracciare i danni arrecati ai pazienti in un arco di tempo.
Grafico n° 10: numero eventi avversi/1000 giorni paziente
Il numero di eventi avversi rilevati nel periodo tra il 1 Febbraio ed il 31 Marzo 2011 è
pari a una media di 15,35 eventi avversi per 1000 giorni/paziente.
L’IHI raccomanda di non confrontare i dati emersi dall’applicazione del Global trigger
tool con altre organizzazioni sanitarie ma eventualmente di fare riferimento ai dati
presenti a livello nazionale.
57
58
CONCLUSIONI
Nelle organizzazioni sanitarie gli interventi volti all’identificazione degli eventi avversi si
focalizzano soprattutto sulla segnalazione volontaria da parte degli operatori sanitari.
Tuttavia la letteratura internazionale riporta che solo il 10-20% degli errori vengono
notificati attraverso sistemi di incident reporting e tra questi, il 90-95% sono eventi che
non hanno causato un danno al paziente. (4)
Le strutture sanitarie, quindi, hanno la necessità di strumenti efficaci per identificare
gli eventi avversi che causano un danno al paziente, per stimarne il grado e la severità
e di conseguenza per trovare e sperimentare soluzioni per ridurre i danni al paziente.
Tra i vari strumenti di gestione del rischio il Global trigger tool si è rivelato essere
quello più innovativo in quanto capace di un approccio multidisciplinare e
multiprofessionale nonché di una gestione integrata del rischio.
Solo una gestione integrata del rischio può infatti portare a cambiamenti nella pratica
clinica, promuovere la crescita di una cultura della salute più attenta e vicina al
paziente ed agli operatori, contribuire indirettamente ad una diminuzione dei costi delle
prestazioni e, infine, favorire la destinazione di risorse su interventi tesi a sviluppare
organizzazioni e strutture sanitarie sicure ed efficienti.
I dati raccolti finora, sebbene non di grande rilevanza, hanno permesso di avere una
fotografia anche se parziale dei principali eventi avversi.
Vista nell’ottica del Coordinatore, questi dati potrebbero senz’altro venire utilizzati per
orientare i processi assistenziali verso il raggiungimento di un livello ottimale di
sicurezza per il paziente, attraverso la progettazione e l’implementazione di piani di
miglioramento ad esempio riferiti alle lesioni da pressione insorte in ambito ospedaliero
o alla infezioni nosocomiali.
Anche il dato relativo alle riammissioni merita un’attenta analisi ed alcune riflessioni.
L’ IHI Global trigger Tool può diventare uno strumento di trait d’union tra le evidenze
scientifiche e la prassi assistenziale perché offre indicatori specifici e misurabili sul
livello di sicurezza della propria organizzazione.
Sicuramente la promozione della cultura della sicurezza e le competenze per
l’adozione di strumenti come questo necessitano di azioni formative coerenti e
consistenti nonché di risorse.
Il percorso verso la sicurezza del paziente è quindi un processo che richiede tempo,
impegno e lavoro di squadra multiprofessionale. I rischi operativi minacciano ogni
giorno la sicurezza di tutti i processi assistenziali e non si è a conoscenza di quanti e
quali eventi avversi coinvolgono i pazienti nella struttura sanitaria, gli strumenti di
59
segnalazione degli eventi avversi in uso in Azienda danno una fotografia parziale dello
stato di sicurezza dell’organizzazione.
L’esigenza di integrare gli strumenti già in uso e l’impegno dell’Azienda nella diffusione
di una cultura della sicurezza lasciano ampio spazio all’implementazione dello
strumento IHI Global Trigger Tool, sicuri che lo strumento permetterà di identificare le
aree di miglioramento sulla base di priorità e di conseguenza faciliterà la progettazione
di appropriate azioni preventive.
Concludo con una frase del filosofo Karl Popper: imparare soltanto dai propri errori
sarebbe un processo lento e doloroso ed inutilmente costoso per i propri pazienti. Le
esperienze devono essere condivise in modo da poter imparare dagli errori degli altri.
Questo richiede l’umiltà nell’ammettere di aver sbagliato e nel discutere i fattori che
hanno influenzato l’errore. Richiede un atteggiamento critico nei confronti del proprio
lavoro e di quello degli altri.
60
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio innanzitutto il gruppo di lavoro dei trigger, il Dott. Michele Urso per la sua
affidabile e fondamentale collaborazione, la Dott.ssa Francesca Camilli per la sua
disponibilità, la Dott.ssa Matilde Carlucci che ha creduto in questo progetto e mi ha
permesso di realizzare questa tesi.
Un particolare ringraziamento va al
Dott. Giorgio
Da Rin, che ha messo a
disposizione molto del suo prezioso tempo per questo progetto e per la mia tesi
offrendomi un valido aiuto e sostegno oltre che consulenza statistica e metodologica.
Questa tesi è un traguardo conclusivo di un percorso di crescita
professionale e
personale, per questo ringrazio il mio primario Dott. Giampietro Beltramello che ha
sempre creduto in me, mi ha sostenuta, valorizzata e mi ha insegnato a lavorare per il
paziente e con il paziente.
Un enorme grazie va al mio Coordinatore Gabriele Bergamin, mio mentor, che in tutti
questi anni
mi ha sostenuto e cresciuto professionalmente valorizzando
le mie
capacità e trasmettendomi tutta la sua pratica di leadership.
Ringrazio anche i miei colleghi e i miei compagni di master perché da loro ho imparato
molte più cose che sui libri.
Infine ringrazio mio marito Francesco che mi ha sempre amorevolmente sostenuta,
supportata e sopportata in questi anni di studio e sacrifici e il mio piccolo Elia che ogni
giorno mi rende una donna migliore.
61
62
BIBLIOGRAFIA
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Tartaglia R. Roma: Esse editrice 2006.
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2011).
28. Decreto Giunta Regione Veneto n. 4445 del 28 dicembre 2006. Istituzione del
Coordinamento Regionale per la sicurezza del paziente.
29. Decreto Giunta Regione Veneto n°1831 del 1 Luglio 2008. Adozione del modello
organizzativo per la gestione della sicurezza del paziente.
30. Delibera del Direttore Generale n° 817 del 2008. Azienda ULSS 3 Bassano del
Grappa.
31. Centers for Disease Control and Prevention. CDC Definitions of Nosocomial
Infections. Am J Infect Control: 1988;16:128-40.
65
66