Ronda notturna

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Ronda notturna
stefano simoncelli
Ronda notturna
piccola collana di poesia
diretta da Valerio Grutt
L’idea nasce dall’esigenza di dare alla
poesia una veste editoriale che
le restituisca un senso di segretezza
e preziosità, con la freschezza e la
creatività di un progetto nuovo e libero.
La collana si propone di pubblicare
pochi libri l’anno, tascabili e fatti a mano
in edizione limitata a 33 esemplari.
www.heket.it
nota introduttiva
Sono pagine di mare, di vento e di neve,
di fantasmi che se ne vanno per bar e
chioschi all’aperto, di ritrovamenti, ritorni,
nello spazio che c’è tra sonno e veglia,
tra sogno e realtà quotidiana. È la festa
silenziosa degli invisibili, la poesia di
Stefano Simoncelli, che tra ombre del
passato e bagliori del presente porta
il tempo fuori dal tempo, annulla il
pensiero per sprofondare più giù dove
non c’è confine tra alto e basso, dove si
sonda il mistero dell’esserci.
Valerio Grutt
stefano simoncelli
Ronda notturna
#3
«È il tuo autobus» mi grida qualcuno
tra richiami insistenti di un clacson.
Non so la destinazione del viaggio,
ma incomincio a correre e salgo
stringendo al petto i quaderni di Sul Porto
e le notti in cui sogno che sono tornati tutti
per una festa a sorpresa là, sul terrazzo,
davanti a una grande torta di neve.
È gennaio, il mio compleanno.
Ero sotto il portico che sfogliavo
il depliant di un viaggio esotico
quando ho avuto la sensazione
che mi fissassero alle spalle.
Mi sono girato di scatto
e per un attimo ho visto mia madre,
avvolta in un elegante mantello di foglie,
che mi guardava da sotto la magnolia.
Subito ho pensato di trovarmi
in uno di quei sogni in technicolor
dove sei sicuro di essere sveglio
mentre accadono cose dell’altro mondo,
ma mi è venuta in mente una notturna
e minacciosa penombra di ospedale
in cui dissi, carezzandole la fronte,
che l’avrei riconosciuta sempre.
Per farla contenta esageravo,
ma da un po’ stravedo
e trovarla mi è meno difficile.
Penso spesso all’amico che abitava
sulla sponda opposta del canale,
alla sua opera introvabile
e come portata via
da una silenziosa mareggiata anomala.
Cosa resta, mi domando, finito ogni avere,
ogni dare e la furia con cui verrà giù la neve?
Forse la testimonianza di chi passava di là
per sbaglio e giura: «L’ho visto sparire
nella tormenta di marzo. Rideva».
Si sciolgono i cortei, i funerali, le file
interminabili alle mense dei poveri
e salgo fino all’oblò del tetto
da cui intravedo il ragazzino che ero
correre sulle ombre dei casermoni popolari
verso lo stadio. Sono ormai senza fiato,
ma sento che incomincerò a volare.
Sul petto ho la catenina d’oro
che era di mia moglie
e tre bypass per l’eterno.
In un lampo, all’inizio di certe albe
in cui nevica o piove a dirotto,
ritornano gli invisibili
da fradici loculi
di cartone, gli angeli del fango
e le facce, soltanto le facce, di quelli
rattrappiti in carcasse antidiluviane di auto
abbandonate lungo i miei sogni
dove fingono di dormire
per non guardarmi.
Conosco una limpida vena di acqua sotterranea
in cui nuotano oche mute dai colli lunghissimi
racconterò più tardi, se me lo permetteranno,
qui dove volano coriandoli e stelle filanti
di ritorno da un antico carnevale.
Indosso il vestito da pierrot
cucito da mia madre
e una liquirizia mi annerisce i denti.
Non confiderò a nessuno che sono sceso
dove mio padre, ormai senza respiro,
voleva costruire un ascensore
che lo riportasse su
in fretta, sempre più in fretta,
nella camera con vista sui platani.
Oggi mi sembra di avere il suo sguardo
spiritato mentre immagino carrucole,
cavi d’acciaio e tiranti sospesi
tra il fondo del cortile
e un altro cielo.
Forse mi trovo sulla trasversale del nulla
in un dormiveglia di biacca e cartapesta
o in un presepio di statue semoventi
che qualcuno manovra dal buio
di un tabernacolo. Non so
cosa accadrà tra poco,
ma voglio farmi trovare pronto:
ho il nècessaire per la notte e la pila.
Le notti in cui non riesco a darmi pace
mi penso con gli amici di un tempo
lungo una ronda notturna che va
per chioschi e bar all’aperto
di una Cesenatico estiva
e quasi trionfale
come se non fossero spente
le feste, i fuochi e le luci sul mare.
Non fossero cenere quei corpi.
Non c’è più niente da custodire,
nemmeno una falsa reliquia
o la figurina Panini
del biondo calciatore svedese
soprannominato Raggio di Luna
che imitavo sui campi gelati del nord-est,
San Donà del Piave, Monfalcone o Porto Tolle
quando la bora stendeva a terra le bandiere
e io il gigantesco terzino sinistro
con un’agile finta di corpo.
Adesso, a guardarmi bene,
sembro un sacco pieno della neve
che viene giù, là fuori, a tradimento,
mentre simulo sull’out della vita
un paso doble alla Biavati
andandomene via.
nota biografica
Stefano Simoncelli è nato nel 1950 a
Cesenatico. Negli anni Settanta, con
Ferruccio Benzoni e Walter Valeri, è
stato redattore e ideatore di «Sul Porto»,
una rivista di letteratura e politica alla
quale collaborarono poeti come Pasolini,
Bertolucci, Caproni, Sereni, Fortini,
Raboni e Giudici. Ha pubblicato Via dei
Platani (Guanda, 1981), Poesie d’avventura
(Gremese, 1989), Giocavo all’ala (Pequod,
2004), La rissa degli angeli (Pequod, 2006),
Terza copia del gelo (Italic, 2012) e Hotel degli
introvabili (Italic, 2014).