Lallo - Daniele Leone

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Lallo - Daniele Leone
www. m a h e l . i t
EDITO DA ME
http://leone.freeweb.org
EDITATI DA TE
Mario Dari
http://www.mahel.it/
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Lallo
Mario Dari
Il mondo di Mahel
foglio 1a
– Ho litigato con mia moglie – fa a un certo punto. –
Di brutto. Che cervello di gallina! Non mi meraviglierei si mettesse a fare anche le uova. Ma ti pare
possibile …
L’altra sera prendo dalla rastrelliera la pipa, lo sai
che ora fumo la pipa, no? mi metto in poltrona e
riempio accuratamente il fornello. Poi accendo. Tiro
la prima boccata, l’assaporo, “strano” penso. Tiro
un’altra boccata e capisco. Per la miseria, dico, ma
questa non è la pipa del Giovedì. Tutto un altro
aroma. Corro alla rastrelliera, guardo con attenzione
le pipe e mi accorgo che è un casino. Chiamo Pina.
“Ma tu hai toccato le pipe?” le chiedo. Lei mi guarda
con aria di sufficienza. “Beh? Cosa c’è? Per spolverare la rastrelliera le ho tolte e poi le ho rimesse a
posto. Non le ho mica mangiate.” Capito? Le aveva
rimesse a posto. A capocchia. Non ce n’era una nel
giorno giusto. Allora mi sono incavolato …
Lallo è tornato a sedersi sul divano.
– Il problema è il cane – Spara all’improvviso. –
L’hai visto il mio cane, no?
– Mi pare di sì. L’anno scorso, mentre lo portavi a
spasso. Un bel cagnone.
– L’anno scorso? – Ride – Allora era ancora un
cucciolone. Devi vederlo ora: sembra un vitello
obeso.
– Ma che razza è? – Domando.
– E chi lo sa? Chi ce lo regalò ipotizzò fosse un
husky, ma non ne era sicuro. Era una palla di pelo con
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due occhi vivacissimi. Zampettava comicamente e io
e Alina ce ne innamorammo subito. Ora ci ritroviamo
con un bestione unico nel suo genere. A me pare un
incrocio tra un bulldog e un sanbernardo, ma non è
così semplice definirlo. Bene, questo è il problema.
Se non trovo da sistemarlo, addio vacanza – mi
guardò e, quasi avesse intuito i miei pensieri, riprese
con un tono scandalizzato – no, metterlo in un albergo
per cani, neanche da pensare. Lei si metterebbe a
piangere fino al ritorno. E anche a me la cosa non va
proprio giù. Gli siamo troppo affezionati …
– E allora? – Chiesi ingenuamente.
– Allora ho pensato a te.
Non soffro di attacchi di panico, ma quello che
provai doveva essere qualcosa di simile.
– Roberto, ascolta: – ora sparava tutte le sue cartucce
– sei l’unico che può farlo. Non ti darà molto fastidio.
Tu, hai un lavoro che ti lascia molto tempo libero. Ti
farà compagnia. Si tratta solo di 7 o 8 giorni. È pulito,
ha anche il collare antipulci. Basta che tu lo porti fuori
un paio di volte al giorno. Qui hai molto posto. Per il
mangiare non è un problema, mangia di tutto …
Sono un debole? No, sono uno che pensa alla salute.
Se non gli do subito il benestare, Lallo è capace di
torturarmi per altre due ore. Spaccanapoli taglia in
due una città. Ed io, che sono solo un uomo, come
potrei salvarmi?
– Va bene, – dico rassegnato – te lo tengo. Quando
me lo porti?
– Domattina, sul presto. Così, poi, possiamo partire
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– È visibilmente soddisfatto. – Chissà come sarà
contenta Alina. Non so come ringraziarti.
Sono ormai più di sei mesi che io e Alina abbiamo
una relazione. All’inizio, un incontro fortuito, una
bibita bevuta insieme al tavolo di un bar, la sensazione di avere molto da dirci, la simpatia reciproca,
un appuntamento per rivederci.
Ci rivedemmo. Quando il discorso cadde su Lallo, lei
non nascose la sua insoddisfazione. Non era capita,
era trascurata. Noi invece stavamo bene insieme. Io la
capivo, la facevo sorridere, avevo tempo da dedicarle.
– Ma tu che lavoro fai? – Mi chiese.
– Faccio l’allibratore. Ho un picchetto all’ippodromo. – Le spiegai di cosa si trattava. – Si corre 3 o
4 volte la settimana al massimo, per questo ho molto
tempo libero.
– Che bello! – disse con un gran sorriso.
Poi si decise e venne a trovarmi a casa. Fu molto
piacevole e divertente. Le sue mutandine erano nere
ed avevano una scritta bianca: “Scopri il nido del
cucù.”
Ridemmo insieme per quell’indumento della linea
Freegirl e mi disse che c’era anche la linea maschile
Freeboy.
Sarò un cinico, ma onestamente devo ammettere che
non ho mai avuto il benché minimo rimorso verso
Lallo. E, fino ad ora, nemmeno lei.
E se ho deciso di tenere il cane, a prescindere dallo
spaccanapoli, l’ho fatto, più che altro, per lei.
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pipa ha bisogno di riposare. Usale seguendo i giorni
della settimana. Il Lunedì una, il Martedì un’altra e
così via. Per ognuna il suo tabacco, in modo da non
mescolare aromi. Quando finisce la settimana, riparti
da quella del Lunedì. Mi raccomando.
E finalmente se ne andò. Avvertii un bisogno impellente di fumare una sigaretta. Me ne accesi una,
aspirai voluttuosamente un paio di boccate, presi la
rastrelliera e la misi su un mobiletto in un angolo
della sala. Come già sapete, è ancora lì.
Con me era andata così e immagino che qualcosa di
simile fosse accaduto a tutti gli altri amici. Ma non
tutti l’avevano relegata come soprammobile. C’era
anche chi, spinto dalla curiosità di provare le voluttuose sensazioni declamate da Lallo, aveva cominciato a fumare attenendosi scrupolosamente alle
regole consigliate.
La moglie di Emilio, incontrata per strada, mi
confidò che da quando il marito aveva iniziato a
fumare la pipa, le serate in casa erano diventate burrascose. Oltre che, a sentir lei, puzzolenti.
– È una cosa impossibile. Lui accende la pipa e io
comincio a tossire per il fumo e devo scappare in
un’altra stanza. Non posso più vedere un film in pace
alla TV. Un tanfo che non ti dico. Fa delle nuvole di
fumo che sembrano quelle di un temporale. Sono
incazzatissima.
Qualche giorno dopo viene a trovarmi Daniele, per
fare quattro chiacchiere, dice lui. In realtà voleva
sfogarsi.
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EDITO DA ME
I giorni passano ed io non posso fare a meno di
pensare a Lallo e alla sua lettera.
Ora, mio malgrado, credo di cominciare a capire
quell’uomo. In un sol colpo è riuscito a sbolognarmi
la moglie e il cane.
Senza contare le due rastrelliere di pipe.
E pensare che non so nemmeno cos’è il “flock”.
tutto ciò che ha intorno emettendo tragici e sconsolati
muggiti. Solo in compagnia è tranquillo e si limita a
masticare una scarpa o un pezzo di pelle strappato dal
divano.
Guai a rimproverare od inveire contro quel degenerato incrocio di geni. Alina diventa una belva. Il suo
cuore di “mammina” sanguina.
Ogni tanto, la sera, possiamo andare tutti a mangiare
una pizzetta dal “Pirata”, l’unico posto dove Crock è
accettato. Un mesto locale poco frequentato, dove lui
è accolto con esultanza. Forse in considerazione del
fatto che, mentre noi mangiamo una pessima
“margherita”, lui ingurgita quattro pizze con salsiccia
e due calzoni farciti.
Alina è scontenta, imbronciata e pronta al litigio.
Addossa a me la colpa della monotonia delle serate.
Mi accusa di non avere inventiva.
Lallo
Mario Dari
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anno ti ritrovi un pezzo da collezione. Che ne dici?
Era inutile dicessi qualcosa. Non facevo in tempo ad
aprire bocca che lui già riprendeva quello che mi
pareva un soliloquio. Ora aveva in mano una pipa e
me la mostrava con ammirazione.
– Guarda. Guarda la perfezione, la precisione di
questo flock …
Mi sforzai di non chiedergli che cosa era il flock per
il terrore di un’altra mezzora di spiegazioni e, sfinito,
cedetti.
– Va bene. Prendo la rastrelliera. – Credevo d’aver
posto fine alla penitenza.
– Bravo, un giorno mi ringrazierai. – Era euforico. –
Ah, ma non credere che ti lasci così, senza qualche
consiglio. Sono un amico o no? Intanto ti lascio una
confezione di scovolini: devi sempre pulire il
cannello e il bocchino con lo scovolino dopo ogni
fumata. Poi ti regalo tre confezioni di tabacco: un
Virginia, un Kentucky e un Burley.
Non prendere mai miscele orientali. Il caricamento
della pipa è molto importante. Devi sfilacciare il
tabacco rendendolo arioso ed inserirlo nel fornello in
piccole quantità, premendolo a poco a poco col
curapipe, in modo che rimanga ancora elastico …
Non so quanto continuò a parlare. Ero semiincosciente. Finalmente parve aver finito.
– Ciao, allora. – disse avviandosi alla porta. Stava
per aprirla, quando si voltò di nuovo verso di me.
– Dimenticavo la cosa più importante: tieni sempre
le pipe nei loro alloggiamenti. Dopo una fumata la
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Erano esattamente le 9 e 11 minuti, quando il cane
entrò in casa. Lallo gli tolse il guinzaglio e quella
massa di carne e pelo mi si avvicinò e mi annusò. Ero
un po’ intimidito da quella specie di pachiderma dal
muso poco raccomandabile, ma Lallo trovò subito
parole rassicuranti.
– Non ci far caso, si sta ambientando. Vedrai, è
buonissimo.
– Speriamo. – dissi poco convinto.
– Piuttosto, non lasciare delle scarpe in giro. Ci si
diverte moltissimo: le mastica come chewing-gum.
– Hai altri consigli, prima d’andartene?
– Beh, se gli vuoi dare una lavata, perché effettivamente lui dopo un paio di giorni non manda un buon
odore, non ci sono problemi. Lo puoi fare tranquillamente sotto la doccia. Dopo però non prendere il phon
per asciugarlo, ti si avventerebbe contro. Si asciuga
da solo, vedrai. Ah, dimenticavo, si chiama Crock..
Bene, adesso scappo. E grazie, grazie di cuore.
Permetti un abbraccio?
Non riuscii ad evitare l’abbraccio.
– Un’ultima cosa. Non lasciare mai una porta chiusa
tra te e lui: l’abbatte.
Rimasi solo con Crock. Girava per la stanza come se
cercasse qualcosa. Fece cadere due sedie, e con una
musata contro un’anta della libreria fece tintinnare i
vetri della parte superiore.
– Crock! – Urlai – Vieni qui!
Mi fissò sorpreso e rimase immobile.
Allora mi sedetti sul divano.
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Questa collana di racconti umoristici è curata da Mario Dari
© Editodame / Editodate
© Il mondo di Mahel
maggio 2004
È passato un mese da quel giorno, ma a me sembra
molto di più. Alina si aggrappò a me come ad una
ciambella di salvataggio. Era disperata: non sapeva
come affrontare la nuova situazione. Le dissi di venire
a stare con me e per lei fu un sollievo. Portò,
indumenti, biancheria, cianfrusaglie varie e la rastrelliera delle pipe che io misi sul mobiletto accanto
all’altra.
Dopo un mese di vita in comune, rallegrata dall’ingombrante e costante presenza di Crock, il mio
consueto ottimismo, si è dileguato. Sono diventato lo
schiavo del bestione che, due volte al giorno, mi
trascina nei posti più impensati e maleodoranti come
le discariche di rifiuti.
La sera non possiamo uscire da soli, perché lui, mi ha
spiegato Alina, non regge la solitudine e viene preso
dall’angoscia dell’abbandono che lo porta a devastare
arrangiarti perché io non ti lascio niente. Volevo
portarmi dietro anche la rastrelliera delle pipe, ma te
l’ho lasciata in un impulso di generosità. Tienila
cara.
Tu sei giovane e bella. Non ti sarà difficile sistemarti, conoscendo il tuo amore per i cucù.
Come tutte le mattine, ho dovuto portare Crock a
bighellonare. Per poter sparire, l’ho lasciato da
Roberto che, se è ancora vivo, merita i miei più sentiti
ringraziamenti per la sua disponibilità.
A mai più.
Lallo”
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– Qui, ho detto! – Ordinai, indicando il pavimento
vicino a me. Devo avere insospettate doti da
domatore, perché, contro ogni mia aspettativa,
obbedì. Venne e si sdraiò ai miei piedi. Un attimo
dopo ne aveva uno in bocca: con la scarpa, s’intende.
Non senza fatica riuscii a riprendermi il piede. Misi le
estremità sul divano. Mandò uno uggiolìo di disappunto, quindi abbassò la testa. Provai ad accarezzarlo
sul dorso, ma ci rinunciai subito per timore di
graffiarmi la mano. Aveva un pelo così ispido e
grosso che, così sdraiato, somigliava ad un lettino da
fachiro.
Mi convinsi che passare sette giorni con lui sarebbe
stata un’esperienza indimenticabile. Semprechè ne
fossi uscito intero.
La sorpresa fu, quando poco dopo mezzogiorno, mi
telefonò Alina. Il cellulare mi portò la sua voce preoccupata.
– Stamani Lallo ha portato fuori il cane e non è
ancora rientrato …
– Credevo foste già partiti – la interruppi – avrà
avuto qualche contrattempo. Dove ha deciso di
portarti? Stai tranquilla per il cane: farò del mio
meglio.
Ci fu un attimo d’imbarazzato silenzio.
– Ma di che cosa parli? Scusa Roberto, stai dando i
numeri? Quale cane?
Mi ci volle un po’ per spiegarle tutto. Sembrava che
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dono del pezzo forte del suo campionario.
La piccola rastrelliera in legno pregiato con sette
pipe. Un pezzo d’alto artigianato, adeguatamente
sagomato per accogliere, in bella vista, sette diverse
pipe una accanto all’altra. Sulla base della pregevole
opera, sotto ogni pipa, delle piccole targhette d’ottone
con incisi i nomi dei giorni: Lunedì, Martedì e così
via fino alla Domenica.
Toccò anche a me cedere alle sue martorianti
pressioni.
– Le sigarette. D’accordo, ti piacciono le sigarette, –
macinava instancabile – ma devi credermi, devi
provare. Tra fumare una sigaretta e fare una bella
fumata con una buona pipa c’è la stessa differenza che
passa tra bere un bicchiere di Tavernello e degustare
a piccole sorsate un Brunello d’annata. Mi capisci?
No, io Lallo non riuscivo a capirlo. Mi guardava con
occhi da ipnotizzatore e i suoi baffetti erano lucidi di
sudore.
– Vedi, Lallo…
– Ma tu pensa: credi che sia qui per fare un affare? –
Scuoteva la testa. – Io ti voglio fare un favore. Un
articolo come questo viene venduto a 1.170 Euro. Ma
mica con le pipe che ti voglio dare io. Con robetta.
Ascolta, io te lo regalo a 560 Euro con delle pipe di
Manganaro, di Armellini ed anche di Posella. Una
serie ben differenziata anche nella forma, con delle
Billiard, un paio di Bent, una bella Bulldog ed anche
una Pot. Puoi sceglierle tra lisce, sabbiate e rusticate.
Una rastrelliera così si rivaluta nel tempo. Tra qualche
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“Alina,
sono sparito. Volatilizzato. Ti assicuro: introvabile. Anche se è difficile cambiare vita all’improvviso, io me la caverò. Con le pipe o senza. Ho preso
questa decisione perché in me si è rotto qualcosa
d’importante: il limite di resistenza alle tue continue
lamentele, ai tuoi rimproveri e a quel fetente animale
che ostinatamente vuoi tenere in casa, avversando
ogni mia ragionevole proposta di trasferimento, come
quella di liberarlo in una savana. Sparisco, con
l’unico paio di scarpe ancora rimastemi, prima che
anch’esse vengano masticate dalla bestia. Tu dovrai
Quel “mammina” mi sembrò un termine inappropriato per quel bestione.
– Senti, – le dissi – riesci a farlo star fermo per un
po’? Mi sembra che noi dovremmo parlare.
Il suo tono di voce cambiò subito. Divenne secco e
tagliente.
– Crock! Subito a cuccia! – Ordinò.
Il cane abbassò la testa e si sdraiò per terra.
Ci sedemmo sul divano e lei scoppiò in lacrime. Le
presi una mano tra le mie e attesi pazientemente che
cominciasse a parlare.
Ad un certo punto, si scosse, aprì la borsetta che
aveva a tracolla, tirò fuori una busta e me la porse.
– Me l’ha portata un’ora fa un Pony Express …
Robeeerto, sono disperata – e riprese a singhiozzare.
La busta conteneva un foglio dattiloscritto. Lo lessi
in silenzio.
Il campanello suonò ed io andai al citofono. Mi sentii
cadere le braccia: era quello spaccanapoli di Lallo.
– Scusa se ti disturbo …
Aprii il portone e, mentre lui, inesorabilmente, saliva
con l’ascensore, passai rapidamente in rivista le cose
che potevo fare per salvarmi: sbattergli la porta in
faccia e mandarlo a quel paese; uscire di corsa così
com’ero (voglio dire in mutande) gridandogli che
avevo una cosa urgentissima da sbrigare e che ci
saremmo rivisti un altro giorno; fingere un malore e
gorgogliargli di chiamare un’ ambulanza: conoscendolo sarebbe sicuramente svenuto e l’ambulanza, che
avrei chiamato io, avrebbe portato lui in Ospedale;
oppure subirlo.
Non c’era scampo.
– Entra, che cosa c’è? – Dissi impassibile. Il mio
self-control certe volte mi fa veramente schifo.
Lallo abbozzò un sorrisetto di ringraziamento ed
entrò in casa. Si guardò intorno, mi guardò.
– Senti, – fece – io non ho fretta. Se devi vestirti fallo
pure. Aspetto.
Stavo benissimo in mutande e avrei voluto
rimanerci, ma con lui, lì a guardare, quell’indumento
intimo di Freeboy, che sul davanti portava la scritta
“Spingi un bottone per vedere il cucù”, mi procurava
un certo disagio. Lo lasciai per andare a mettermi
qualcosa addosso.
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– Non sono un indovino.
– Non ha importanza. Comunque, sempre in casa,
sempre le solite cose, qualche volta una pizzetta.
Capisco che si annoi. Ha quasi smesso di sorridere, è
irritabile, immusonita. A volte risponde male.
– Ma portala a fare un viaggio, allora. Che aspetti? –
Esclamai convinto di chiudere l’argomento.
– Meno male che hai capito e che la pensi come me.
È già un bel risultato. – Fece esprimendo soddisfazione. – Mi fa piacere che tu sia d’accordo.
Ebbe un attimo d’esitazione, quindi riprese:
– Solo che il problema è un altro…
Cominciavo a sentire lievi accenni di capogiro.
Quanto sarebbe durato ancora il martirio?
Lallo si era alzato ed era andato davanti a un
mobiletto.
– Ma allora non le vuoi proprio provare? – Esclamò
con un tono di rimprovero.
– Come? – Chiesi, non rendendomi conto di cosa
parlasse.
– Le pipe. Hai un set di pipe da fare invidia e tu le
lasci lì, sul mobiletto, a prendere polvere. D’accordo,
tu sei abituato alle sigarette, ma provare, per la
miseria, che ti costa? Mi dispiace perché ti privi di un
piacere …
Già, le pipe. Lallo non si limitava a venderle alle
tabaccherie specializzate, ma si dava da fare anche
con i privati. Per amicizia, s’intende. Nella cerchia
degli amici nessuno era riuscito a sottrarsi all’offerta8
lei non sapesse niente della vacanza.
– Forse vuole farti una sorpresa – dissi con poca
convinzione – ritelefonami appena sai qualcosa di
nuovo. Io sono in casa.
– Si, ma porta un po’ fuori Crok. Trattalo bene. Sento
già la sua mancanza.
Sbagliavo o stava piangendo?
Mangiai qualcosa in fretta, anche perché Crock
cercava d’impossessarsi di qualsiasi cosa portavo alla
bocca con delle linguate rapide come lampi. E il più
delle volte ci riusciva. Avevo la faccia bagnata. Inutile
gettargli dei bocconi per terra. Lui prediligeva il
metodo descritto. In sostanza mangiai ben poco in
confronto alla quantità di cibo che lui era riuscito a
carpirmi e a trangugiare.
Non avevo voglia di pensare. Misi il guinzaglio a
Crock e lo portai fuori. Vicino a dove abito ci sono dei
giardinetti pubblici. Provai a dirigermi in quella
direzione, ma Crock aveva altre idee. S’impuntava e
mi trascinava in direzione opposta. Sembravo un
aratro dietro ad un bue. Se non lasciavo solchi era
perché sotto i piedi avevo dell’asfalto e non terra.
Allora invertii la marcia. Mi diressi dove lui sembrava
intenzionato ad andare ed in poco tempo irruppi nei
giardinetti come un fantoccio legato ad un trattore.
Dopo aver innaffiato abbondantemente non so più
quanti alberelli che si agitarono come fossero stati
percossi, Crock si diresse deciso verso un gruppetto
di bambini che stavano giocando sotto gli occhi delle
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madri. Il suo arrivo causò un’improvvisa ondata di
panico nelle donne. I bambini, invece, sulle prime, si
misero a ridere, ma quando Crock li salutò allegramente con una specie di ruggito, s’impaurirono e
scapparono piangendo.
Mi si avvicinò un vigile che era nei paraggi.
– Lo porti via – ordinò – ma che cos’è?
Rinunciai a rispondergli. Se avessi detto “un cane”
poteva credere che volessi prenderlo per i fondelli.
Con il solito metodo di tirarlo dalla parte opposta,
Crock mi trainò velocemente a casa. Mi pareva che le
braccia mi si fossero allungate di una decina di centimetri. Dopo avergli sganciato il guinzaglio, mi buttai
sul divano per riprendere fiato. Lui si stese per terra
ansimando.
Da Alina nessuna notizia. Cominciavo a sentirmi
preoccupato, ma non ebbi molto tempo per stare a
rimuginare pensieri, perché avvertii uno strano odore.
Era penetrante e leggermente disgustoso. Aumentava
di momento in momento e stava permeando la stanza.
Ci volle poco a capire che ad emetterlo era il cane.
Dalla gita era rientrato affaticato e sudato. Il calore
del suo corpo faceva fumigare il suo sudore che si
disperdeva per l’aria. Pareva un incensiere. Dovetti
farmi forza e trascinarlo in bagno per dargli una
lavata. Se non l’avessi fatto, il rischio sarebbe stato
l’asfissia.
Capii che era un habitué, perché si dimostrò docilissimo. Lo misi sotto la doccia, feci scrosciare l’acqua,
gli versai addosso un flacone di shampoo e, con un
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– Ho un grosso problema – Disse non appena mi
sedetti sul divano vicino a lui. Mi limitai a guardarlo.
– Ora non pensare a chissà cosa. – Continuò. Grosso ma risolvibile. E poi, grosso, forse ho esagerato. Dipende dai punti di vista: a me pare grosso, tu,
magari, puoi trovarlo una sciocchezza. Potessi
conoscere in anticipo il tuo pensiero, potrebbe anche
non esserci alcun problema. Capisci?
Non volevo che cominciasse a triturare.
– Insomma, vuoi dirmi di cosa si tratta? – Chiesi.
– Per me sei un grande amico e se sapessi di arrecarti
disturbo, non avrei il coraggio di parlartene.
Comunque, se lo faccio, è per Alina.
– Alina?
– Certo. Ma lo sai quanto tempo è che non trovo il
modo di portarla a fare una vacanzetta? Di farla divertire un po’?
avere già i coglioni costipati. Sciocchezze. Quando
attaccò a parlare del suo lavoro, faceva il rappresentante di articoli per fumatori ( in pratica pipe e
tabacchi pregiati), avvertimmo, senza ombra di
dubbio, che quell’uomo non si limitava a rompere, ma
arrivava a macinare, triturare, a ridurre in poltiglia i
nostri desolati ed inermi attributi. A guardare bene i
movimenti della bocca, mentre parlava, pareva te li
masticasse.
Beh, adesso era lì che mi aspettava. Non era una
bella prospettiva, ma mi feci forza e uscii dalla mia
camera.
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In camera mentre m’infilavo i jeans e una camicia il
pensiero correva a Lallo. “Ma cosa diavolo è venuto
a fare? Cosa vorrà?”
Il suo vero nome era Raffaello Piromallo, ma non ho
mai sentito nessuno chiamarlo così. Lo conobbi una
sera ad una cena. Doveva essere una cena limitata ad
amici ed amiche che si conoscevano da tempo. Quasi
una cenetta intima.
– Siamo solo noi. Sette o otto in tutto. Anzi, c’è la
Miriam, che non sa se riesce a venire …
Arrivai sul luogo dell’appuntamento, e mi ritrovai in
mezzo ad una ventina di persone. Più della metà non
le avevo mai viste. Tutti avevano invitato qualcuno.
Presentazioni, strette di mano, sorrisi. La Miriam
c’era. Anche lei con una coppia di conoscenti.
– Conosci i signori Piromallo? – Mi chiese con un
tono che parve rivelare la sua grande sorpresa nel
constatare che ignoravo la loro esistenza. – Ti
presento Alina e Lallo.
Ecco, lo conobbi così.
Alina, la moglie, era una bella ragazza, giovane e dal
volto molto dolce. La trovai attraente e simpatica, ma
lui m’ispirò antipatia ancor prima che aprisse bocca.
Durante la cena, la prima impressione, si tramutò in
certezza. S’intrometteva in ogni discorso, distribuiva
consigli non richiesti, dava giudizi sulle pietanze
indicando, con un’ incredibile quantità d’inutili particolari, quali ingredienti o modi di cottura avrebbero
potuto migliorarle. Un mini Raspelli pignoleggiante e
logorroico. Qualcuno, di nascosto, mi faceva cenno di
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guanto-spugna, lo strofinai a lungo. Quindi lo sciacquai. Feci per afferrare il phon, ma ricordai quello
che mi aveva detto Lallo. Restai in attesa, curioso di
vedere il suo metodo per asciugarsi. Fu un attimo: si
scrollò con forza due o tre volte facendo un rumore di
panni fradici sbattuti ed io fui investito e inzuppato
d’acqua come sotto ad un nubifragio. Quando tornò il
sole, tutto era bagnato intorno a me. Dal soffitto
cadevano grosse gocce d’acqua.
Mi ero cambiato da poco quando, finalmente, Alina
si fece viva. Singhiozzava, piangeva, era disperata.
– Alina, che hai? Che è successo? – Le chiesi inutilmente. – È accaduto qualcosa a Lallo?
– Sììììì. – Riuscì a dire. Un’altra serie di singulti
prima di dire altre poche parole. – Vengo da te. Voglio
il mio Crock …
Quella telefonata non prometteva niente di buono.
Attesi impaziente il suo arrivo facendo mille congetture, non riuscendo a darmi spiegazioni logiche.
Quando le aprii, si presentò con gli occhi arrossati e
gonfi.
Protese le braccia verso di me ed io mi preparai ad
accoglierla tra le mie, ma quel tentativo d’abbraccio
fu vanificato dall’intrusione di Crock che, alla vista di
Alina, pareva impazzito. Le saltellava attorno colpendola con i fianchi e facendola traballare.
– Crock! – Chiamava lei in evidente stato di improvvisa felice ebbrezza – Crock! Buono, Croccolone
mio. Sì, sono qui. La tua mammina è qui.
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