In classe: la storia personale di un bambino adottato

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In classe: la storia personale di un bambino adottato
In classe: la storia personale di un bambino adottato
Domenica 29 Agosto 2010 20:48
Chiedete a mamma e papà di aiutarvi a portare le vostre cose di quando eravate appena nati:
la prima foto, le scarpette, il ciuccio…
Facciamo un piccolo quaderno con la vostra storia: qui disegnatevi nella pancia della
mamma, qui tra le braccia della mamma, qui nella vostra culla.
Ecco come si nasce: la pancia della mamma cresce mese per mese... e poi nascete voi.
Questi sono alcuni dei progetti che sono stati presentati da insegnanti a bambini del secondo
anno delle elementari (talvolta della scuola dell'infanzia), al fine di iniziare un percorso di
comprensione dello scorrere del tempo, partendo dalla storia personale. Si tratta di progetti
solo apparentemente neutri e facili da gestire, quando in classe ci sono bambini che hanno
storie non standard alle spalle. In particolare possono creare problemi a chi ha una storia di
adozione, una storia dove il nascere passa attraverso un abbandono e dove il crescere passa
il più delle volte attraverso un istituto. Un percorso che porta un bambino di tre, quattro, sette
anni a confrontarsi col fatto di avere avuto una madre di origine che non c'è più e di avere ora
una madre adottiva che non l'ha generato.
E allora? Cosa può fare un insegnante? Per alcuni la tentazione è di rinunciare ad un
qualsiasi progetto, ma sarebbe davvero una grave perdita per tutti, si perderebbe per esempio
l'occasione per raccontare ai bambini con semplicità la realtà di come si possa diventare
famiglia anche oltre la procreazione biologica.
Pochi accorgimenti possono davvero aiutare: mantenere apertissimo il dialogo con la famiglia
avvertendo per tempo dei progetti previsti e ascoltando tutto quello che i genitori adottivi hanno
raccolto sulla vita del figlio (non si tratta in realtà della storia di un singolo bambino ma di
un'intera famiglia); rispettare il desiderio dei bambini di raccontarsi o viceversa di non
raccontarsi affatto; mantenere i progetti flessibilissimi. Una struttura flessibile permetterà a tutti
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i bambini di descrivere il proprio passato come meglio credono, una struttura troppo rigida
porterà qualcuno a sentirsi "irrimediabilmente differente" dal gruppo. È importante infine essere
pronti, preparati ad accogliere le varie emozioni che potranno emergere sia da parte di chi
racconta (con parole, immagini, disegni) sia da parte di chi ascolta. Scoprire cosa significa
nascere da una mamma e restare soli è difficile per qualsiasi bambino, anche per chi ascolta la
storia di un amico adottato.
Ecco alcune idee che possono essere utili.
La pancia della mamma. La nascita: questo è il
momento centrale dell'esistenza di ogni bambino. Tuttavia tra i figli adottivi c'è chi non sa
neanche il nome della madre di origine, c'è chi da questa madre di prima è stato lasciato in
istituto o maltrattato, c'è chi soffre al pensiero di non ricordarne il volto. Dunque frasi come
"Tutti nasciamo dalla pancia della mamma" non sono scontate.
Questo è particolarmente vero per i bambini adottivi della scuola dell'infanzia che stanno
appena iniziando a costruirsi internamente un'idea della propria storia. Per loro, specialmente
se adottati piccolissimi, la mamma è quella di ora, quella adottiva. Disegnarsi nella pancia di
una mamma che, sanno bene, non li ha avuti in grembo, li spiazza. Immaginare il grembo di
una madre mai vista, può essere doloroso e basta.
Quello che un insegnante può fare è soprattutto trasmettere l'idea che la maternità non è un
fatto solo biologico e che si può esser madri avendo concepito il desiderio del figlio nel proprio
cuore, avendo atteso questo figlio e avendolo magari incontrato in una terra lontana.
Portare una foto. Portare a scuola foto di quando si è nati, di quando la mamma era incinta…
è in genere impossibile per un bambino adottato. La soluzione migliore è lasciar liberi i
bambini di portare "qualcosa di quando erano piccoli", qualcosa scelto da loro. C'è chi troverà
l'occasione di parlare della mamma d'origine, chi dell'istituto, chi dell'incontro con i genitori di
adesso. Altro accorgimento è quello di lavorare attraverso i disegni piuttosto che attraverso le
foto. Certe foto narrano di realtà che i bambini desiderano tenere per sé (per esempio un
istituto o una realtà sociale e culturale veramente molto diversa da quella dei compagni), un
disegno è una produzione creativa personale che facilmente una bambina o un bambino
possono condividere coi pari.
L'albero genealogico. Uno degli strumenti potenzialmente usati in una classe elementare è
quello dell'albero genealogico; eppure è uno strumento di difficile uso perché sempre più
bambini provengono da famiglie non standard. Chi è adottato trova nell'albero genealogico un
bel dilemma. La parola genealogico contiene in sé la radice della parola "generare" eppure un
figlio adottivo non è generato dai suoi genitori. E ancora, si inserisce solo la famiglia di ora, o
si fa spazio anche a quella di prima?
Allora, se l'albero genealogico serve soprattutto a descrivere le relazioni affettive, perché non
immaginare qualcosa di radicalmente diverso? Si disegna un disco al cui centro sta il nome del
bambino. Attorno al disco vengono disegnati altri settori distribuiti a formare un anello. Un
settore è per i genitori, uno per i nonni, uno per i fratelli e le sorelle, uno per gli zii e i cugini ed
uno per le persone importanti della propria vita. Qualcosa potrà restare vuoto (non tutti hanno
fratelli o sorelle), ma qualcos'altro potrà riempirsi a sorpresa col nome di una madre d'origine,
o di una persona che per qualche tempo lo ha accudito come una nonna o una zia. Lo stesso
progetto va bene per tutti i bambini.
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(Testo adattato da Oggi a scuola è arrivato un nuovo amico di Anna Guerrieri e Maria Linda
Odorisio, Armando Editore e da
A
scuola di adozione
di Anna Guerrieri e Maria Linda Odorisio, per il Manuale di Genitori si diventa di prossima
pubblicazione)
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