Gli indicatori di sostenibilità - CO.SE.A. Consorzio Servizi Ambientali
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Gli indicatori di sostenibilità - CO.SE.A. Consorzio Servizi Ambientali
Gli indicatori di sostenibilità Rispetto agli indicatori ambientali presentati in precedenza gli indicatori di sostenibilità cercano di fornire una misura della distanza esistente nell'uso dell'ambiente fra la situazione effettiva e quella considerata come "sostenibile". Come si capisce gran parte della difficoltà risiede nella determinazione delle soglie di sostenibilità di lungo periodo, che dipendono strettamente dalla interpretazione del concetto di sostenibilità. Nel caso in cui si abbia a che fare con un indicatore sullo stato dell'ambiente, per esempio la concentrazione di un inquinante in un certo media ambientale, l'indicatore di sostenibilità si ottiene generalmente rapportando quel valore (o comunque confrontandolo) con quello definito sostenibile. Il concetto di "sostenibilità" è stato (ed è) largamente dibattuto nella letteratura economica ed ecologica, ma non possiamo dire di poter definire un criterio semplice da poter applicare ad ogni singolo indicatore per identificarne la rispettiva soglia di sostenibilità. Nella letteratura economica-ecologica sono stati comunque definiti tre principi relativi alla gestione sostenibile delle risorse (Daly, 1990; Pearce, Turner, 1990): per le risorse rinnovabili i tassi di utilizzo non devono superare i tassi di rigenerazione delle risorse stesse; le emissioni di inquinanti non devono superare la capacità di assimilazione degli ecosistemi; le risorse non rinnovabili devono essere utilizzate in una maniera “quasi sostenibile”: ovvero limitare il tasso del loro utilizzo al tasso di creazione di sostituti rinnovabili. I principali passi per derivare degli indicatori da queste regole di base sono (Opschoor, Reijnders, 1991): identificazione dei principali elementi del capitale naturale e delle loro funzioni economiche; selezione degli elementi ritenuti più importanti rispetto alla possibilità che sia minacciata la loro integrità, per determinare un insieme di indicatori; determinazione degli standard (valori soglia) sulla base delle regole precedenti di gestione sostenibile; costruzione degli indicatori che riflettano le effettive condizioni dell'ambiente comparate con gli standard di sostenibilità. Per il momento sono stati fatti alcuni tentativi di indicatori che vanno in questa direzione. In effetti l'ostacolo più grande rimane quello della quantificazione della capacità di carico degli ecosistemi, che richiede senza dubbio ancora molti studi e ricerche. Questo non significa però che nel frattempo non sia possibile fornire alcuni indicatori ancorché "rozzi" (Rennings, Wiggering, 1997). D'altra parte come è esplicitamente sottolineato da alcuni autori (Nilsson, Bergstrom, 1995) nella costruzione di un sistema di indicatori valgono, tra gli altri, due principi guida: il principio "di colpire il bordo", che afferma che impreciso ma rilevante è preferibile a preciso ma inutile; in sostanza avvicinarsi all'obiettivo, ovvero "colpire il bordo" è sufficiente quando centrare l'obiettivo richiede troppo tempo, sforzi e risorse; il principio del "gruppo": se per l'analisi del problema è necessaria un'informazione molto affidabile e gli indicatori a disposizione sono considerati troppo imprecisi, è meglio utilizzare un gruppo di tali indicatori che non uno solo perfetto. Se tutti gli indicatori del gruppo danno lo stesso segnale, questo può essere considerato affidabile. Al momento gli indicatori di sostenibilità che sono stati elaborati sono raggruppabili in tre categorie: gli indicatori di carico critico e livello critico; gli indicatori socio-ecologici; gli indicatori di misurazione di sviluppo sostenibile (SDR, Sustainable Development Records.); Gli indicatori di carico e livello critico sono stati sviluppati nell'ambito della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l'Europa in (UN-ECE, 1993) e hanno trovato applicazione in Germania (Rennings, Wiggering, 1997) e in Olanda (Gilbert, Feenstra,1994). Con questo approccio si cerca di definire il livello critico delle deposizioni (soprattutto di inquinanti dell'aria) che può determinare impatti negativi rilevanti nel lungo periodo sugli ecosistemi. Nella terminologia UN-ECE i carichi e i livelli critici sono stime di una esposizione al di sotto della quale non si manifestano danni significativi per l'ambiente. Il termine "carico" è utilizzato per le deposizioni, il termine "livello" è utilizzato per le concentrazioni di tali deposizioni. L'obiettivo di tali indicatori è di stabilire degli standard che possano essere presi come riferimento per le politiche almeno nel lungo periodo. Il processo di determinazione dei livelli e dei carichi critici è diviso in quattro fasi: calcolo di valori di riferimento per gli impatti da emissioni tramite analisi degli ecosistemi ed esperimenti; discussioni per trovare un consenso nella comunità scientifica; caratterizzare gli impatti sul territorio attraverso una mappatura dei carichi critici; discussione sugli obiettivi di riduzione per mantenere le deposizioni sotto il livello critico. L'ultima fase è quella più importante e delicata: sulla base delle informazioni scientifiche e gli obiettivi di lungo periodo si tratta di stabilire le politiche di riduzione, considerando soprattutto i costi e i benefici sociali legati a tali politiche. In Germania si è giunti a sviluppare la fase della mappatura del territorio rispetto ai livelli critici (per il biossido di zolfo, nel 1990 circa un terzo della superficie forestale superava i livelli critici stabiliti; per l'ozono il livello critico era superato nel 90% di tutto il territorio tedesco). I carichi critici sono stati calcolati rispetto all'effetto di acidificazione dei suoli, attraverso l'analisi del legno, e di certi ecosistemi acquatici. La mappa delle aree forestali tedesche mostra che in più dell'85% delle aree i carichi critici sono superati. In Olanda (Gilbert, Feenstra,1994) è stato seguito sostanzialmente lo stesso approccio per la costruzione di un indicatore di sostenibilità per la dispersione del cadmio. La rappresentazione grafica mostrata in figura 2 aiuta ad analizzare la situazione attuale e a valutare eventuali politiche previste. Fig. 2: esempio di costruzione di un indicatore di sostenibilità A seconda infatti del quadrante in cui si colloca la situazione attuale, potremmo avere diverse implicazioni per la politica ambientale. Gli indicatori socio-ecologici sono stati sviluppati da alcuni autori svedesi (Azar, Holmberg, Lindgren, 1996). Tali indicatori a differenza di quelli calcolati a partire dagli indicatori di pressione o di stato, si concentrano sulle prime fasi della catena causale che va dalle cause nella società agli effetti nell'ambiente, fornendo così dei segnali in anticipo rispetto agli altri indicatori di qualità ambientale. In effetti nella costruzione degli indicatori di sostenibilità vanno tenuti presenti due aspetti: il fatto che molto spesso c'è un grande ritardo temporale tra una specifica attività e la corrispondente manifestazione del danno ambientale imputato. Questo significa che un indicatore sullo stato dell'ambiente può fornire un segnale d'allarme con troppo ritardo, o in molti casi può solo indicare se certe passate attività erano sostenibili o meno. La complessità degli ecosistemi rende impossibile prevedere tutti i possibili effetti di una certa attività della società: molti danni ambientali sono conosciuti ma molti altri non lo sono ancora. Gli indicatori di sostenibilità generalmente presentati si basano solo sui danni conosciuti e provati scientificamente. Per fornire allora un insieme di indicatori socio-ecologici in grado di avvisare in anticipo gli autori considerano quattro principi di sostenibilità: Principio 1. Le sostanza estratte dalla litosfera non devono sistematicamente accumularsi nell'ecosfera. Tale accumulazione si determina se la somma delle emissioni antropogeniche e dei flussi naturali (dalla litosfera all'ecosfera) eccede il tasso di sedimentazione e il tasso di smaltimento finale della litosfera. A causa della complessità e del meccanismo di ritardo dei processi nell'ecosfera, è molto difficile definire il livello di accumulazione che origina danni all'ecosfera. Esempi di indicatori derivati da questo principio sono quelli ottenuti, per ogni singolo elemento, rapportando il tasso di estrazione da parte dell'uomo al tasso naturale di immissione dalla litosfera all'ecosfera (un valore dell'indicatore vicino all'unità significa che la perturbazione antropica ai cicli biogeochimici naturali è elevata, e che sono attese variazioni significative nella concentrazione dell'elemento in questione nell'ecosfera). Principio 2. Le sostanza prodotte dalla società non devono accumularsi sistematicamente nell'ecosfera. Un esempio di indicatore calcolato sulla base di questo principio è il volume di sostanze chimiche (non presenti in natura) prodotte annualmente. Principio 3. Le condizioni fisiche per la produzione e la diversità nell'ecosfera non devono deteriorarsi sistematicamente. Per condizioni fisiche si intendono i servizi ambientali degli ecosistemi, come il rinnovamento e il mantenimento della fertilità dei suoli, il ciclo dei principali nutrienti e i cicli di smaltimento dei residui, il controllo delle malattie e l'impollinazione. Quei servizi cioè che garantiscono la produttività della terra e la biodiversità degli ecosistemi. In questo ambito alcuni indicatori presentati sono quelli attinenti ai cambiamenti nell'uso della terra disposti dall'uomo: rapporto tra suolo coltivato con sufficiente grado di copertura e totalità della terra coltivata; variazione nel bilancio nutritivo del suolo; massimo prodotto sostenibile (rapporto tra tasso di utilizzo e tasso di rigenerazione di una risorsa). Principio 4. L'uso delle risorse deve essere efficiente e giusto rispetto al soddisfacimento dei bisogni umani. In questo caso si tratta di considerare l'efficienza complessiva nello sfruttamento delle risorse naturali e indicatori attinenti al rispetto dei principi di equità (fra generazioni presenti e fra generazioni presenti e future). Complessivamente si tratta di indicatori che richiedono informazioni di base che sono disponibili a livello globale, ma che possono risultare di più difficile reperimento a livello locale. In ogni caso si tratta di indicatori che hanno lo scopo di dare segnali ex-ante su possibili fonti di insostenibilità nel lungo periodo. Gli indicatori di misurazione dello sviluppo sostenibile, sono stati definiti con l'intenzione di applicazioni pratiche (Nilsson, Bergstrom, 1995) e sono stati derivati dall'approccio della gestione imprenditoriale strategica: si utilizza cioè la metafora dell'impresa per capire lo sviluppo di una società. L'oggetto dell'analisi è capire le interazioni tra istituzioni sociali e ambiente, e il modello di riferimento è strutturato in tre parti: la base delle risorse, il sistema e il servizio. La base delle risorse è costituita dall'ecosistema, dalle risorse finanziarie e dalla conoscenza. Tutte e tre le componenti sono considerate essenziali per far funzionare l'istituzione sociale. Il sistema è costituito da capitale fisso e operativo mentre il servizio è il prodotto del sistema.