12Diamanti - P.Branchina

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12Diamanti - P.Branchina
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DIAMANTI E ORO
Sembra una favola ma non lo è. Un bel giorno – era il 1867 – due ragazzini boeri, Erasmus e Louisa
Jacobs, giocando nei campi trovarono una grossa pietra che splendeva al Sole. La portarono a casa
e siccome era davvero bella pensarono di farne un ciondolo. Quella strana pietra cominciò a incuriosire un po’ tutti: i genitori, i vicini di casa e gli abitanti del piccolo villaggio di Hopetown, sulla
riva destra del fiume Orange in Sudafrica. Nonostante le chiacchiere e le congetture, nessuno però
era in grado di dire cosa fosse realmente. Così i signori Jacobs affidarono il ciondolo ai mercanti di
passaggio perché lo portassero a Colesberg, la cittadina più vicina, là dove speravano che qualcuno,
più istruito di loro, risolvesse l’enigma. A Colesberg la massima autorità era il capo della polizia e
fu proprio lui a decidere che la pietra era un grosso diamante di 21,25 carati e a battezzarla Eureka
(Ho trovato!), perché averla trovata faceva sperare in una prossima fortuna per i poveri contadini
della regione. Gli abitanti di Hopetown però continuarono a dubitare, così Eureka si rimise in cammino, passando di mano in mano, fino ad arrivare a Grahamstown, lontano centinaia di kilometri,
dove un gioielliere confermò ufficialmente che si trattava di uno splendido diamante. La faccenda
elettrizzò tutti: i contadini di Hopetown che, abbandonato il lavoro nei campi, si misero freneticamente a setacciare le pietre in riva all’Orange, e lo stesso governatore inglese della Colonia del
Capo che tenendo Eureka in mano profeticamente sentenziò: «Questo diamante è la pietra su cui
verrà fondato il futuro successo del Sudafrica». Ebbe ragione in pieno. Già due anni dopo, nel 1869,
sempre a Hopetown veniva trovato un diamante enorme, battezzato la Stella del Sudafrica, di 83,5
carati, mentre più a nord, nella fattoria dei fratelli De Beer, le prospezioni minerarie confermarono
l’esistenza di un ricchissimo «campo» diamantifero. Nei pressi di quella fattoria, sull’onda di una
corsa alla ricchezza sfrenata e disperata sarebbe nata, sempre nel 1869, Kimberley, la capitale dei
diamanti, costruita sopra quel campo diamantifero che diventò presto una immensa voragine scavata dai cercatori: il Big Hole, il Grande Buco.
Dopo la corsa ai diamanti fu la volta della corsa all’oro. Le prime pepite alluvionali furono trovate già nel 1830 a Spitakop, Mac-Mac, Pilgrim’s Rest nel Transvaal settentrionale. Per raggiungerlo i cercatori più intrepidi partivano dal porto di Lourenço Marques (oggi Maputo) in Mozambico
e si avventuravano nell’attraversata di quella che allora era una terra estremamente ostile: l’area su
cui oggi sorge il parco nazionale Kruger, popolato di bestie feroci e infestato dall’anofele (la zanzara della malaria) e dalla mosca tse-tse. Per proteggersi dagli insetti viaggiavano di notte e cospargevano se stessi, i portatori neri e le stesse bestie da soma di unguenti schifosi e puzzolenti (gli animali
domestici infatti, a differenza di quelli selvaggi, non sono immuni alla mosca tse-tse).
Ma l’oro, quello vero, fonte di ricchezze immense era racchiuso nelle viscere della Terra, nella
regione denominata Witwatersrand. Qui venne scoperto nel 1886 da George Walker e George
Harrison, i due George, nella loro fattoria di Langlaagte. Per verificare la scoperta, il presidente dell’allora Repubblica boera del Transvaal, Paul Kruger, inviò a Langlaagte due ispettori, Johannes
Rissik e Johannes Joubert, che confermarono la presenza di filoni auriferi e, memori del caos e del
disordine in cui era sorta Kimberley al tempo della corsa ai diamanti, scelsero un’area precisa in cui
cominciare a costruire una nuova città di cercatori. Così nel 1886 nacque Johannesburg, la città dei
due Johannes, che nel giro di soli tre anni diventò la città più grande di tutto il Sudafrica. L’oro del
Witwatersrand però era a grandi profondità, e sebbene i filoni fossero molto ricchi, il metallo era
estremamente disperso in tonnellate e tonnellate di roccia. Per estrarlo dunque occorrevano forti
investimenti (i capitali ce li misero i «signori dei diamanti»), ma soprattutto un vero e proprio esercito di forza lavoro a costo bassissimo. Così migliaia di africani furono cacciati dalla loro terra e
costretti ad andare a lavorare in miniera.
Idee per insegnare la geografia con TERRE, POPOLI, CULTURE
a cura di G. Sofri e F. Sofri © Zanichelli 2009
La riproduzione di questa pagina tramite fotocopia è autorizzata ai soli fini dell’utilizzo
nell’attività didattica degli alunni delle classi che hanno adottato il testo
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Approfondimenti
NOME
I PAESI
EXTRAEUROPEI
LEZIONI
L’AFRICA A SUD DEL SAHARA
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EXTRAEUROPEI
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APPROFONDIRE E COLLEGARE
I 10 paesi maggiori produttori di oro (in kg, 2004).
LEZIONI
Approfondimenti
Kirghizistan
Sudafrica
USA
Australia
Cina
Russia
Canada
Perú
Indonesia
Uzbekistan
553 000
344 000
247 000
242 000
210 000
180 000
171 000
160 000
140 000
90 000
(Fonte : Calendario Atlante De Agostini)
I 10 paesi maggiori produttori di diamanti (gemme, 1000 carati, 2003).
Australia
Russia
Rep. Dem. del Congo
Canada
Botswana
Angola
Sudafrica
Namibia
Israele
Ghana
32 499
23 000
18 556
12 618
11 100
6063
5144
1481
771
770
(Fonte: Calendario Atlante De Agostini)
Delle ricchezze del sottosuolo dell’Africa si parla alle
pp. 170, 171. A p. 177, nell’ambito di una digressione
storica sulla dominazione coloniale, si accenna ai
copiosi giacimenti minerari del continente e allo sfruttamento messo in atto dai dominatori europei (vedi
anche p. 179 sul tema della decolonizzazione). Alle pp.
186 e 187 la presenza di metalli preziosi viene messa in
relazione con i problemi economici dell’Africa. Nel
capitolo dedicato all’Africa australe (pp. 201-208) si
citano i paesi africani maggiori produttori mondiali di
oro e diamanti, anche se il primo produttore di dia-
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Idee per insegnare la geografia con TERRE, POPOLI, CULTURE
a cura di G. Sofri e F. Sofri © Zanichelli 2009
manti del continente è la Repubblica Democratica del
Congo (pp. 195, 196 e p. 198).
Film: Il suo nome è Tsotsi di Gavin Hood, vincitore
dell’Oscar come miglior film straniero nel 2006.
Bibliografia: O. Barlet, Il cinema africano – Lo sguardo
in questione, Edizione C.O.E. - L’Harmattan Italia, 1998.
Marcello Flores (a cura di), Verità senza vendetta.
L’esperienza della commissione sudafricana per la
verità e la riconciliazione, Manifestolibri, 1999.
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