47 - Ragazzi di vita
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47 - Ragazzi di vita
5 L’arte del romanzo – Il romanzo storico, sociale e psicologico Pier Paolo Pasolini Ragazzi di vita Con il romanzo Ragazzi di vita, da cui è tratto il brano che ti presentiamo, Pier Paolo Pasolini ha dato espressione letteraria al sottoproletariato dell’estrema periferia romana, una realtà sociale formatasi con le grandi ondate migratorie dell’immediato dopoguerra. Il Riccetto e l’amico Caciotta, i due ragazzi romani protagonisti del seguente brano, avendo ricavato una piccola somma dalla vendita di alcune poltrone rubate, hanno comprato scarpe e vestiti; poi sono andati a Villa Borghese e si sono addormentati su una panchina. 1. riappennicarsi: riaddormentarsi. Questo, come altri che seguono è un termine dialettale romanesco. 2. fette: piedi. 3. pedalini: calzini. 4. Che,… ssera?: mi sono tolto le scarpe ieri sera? 5. ciocco: intontito. 6. sordi: soldi. 7. saccocce: tasche. 8. zaccagna: soldo. 9. spesarono: si avvia- rono. Il Riccetto fu svegliato da una specie di strano freschetto ai piedi. Si rivoltò un poco sulla panchina, cercò di riappennicarsi1, ma poi risollevò la capoccia per guardare che cosa cavolo succedeva alle sue fette2. Un raggio di sole, fresco fresco e abbagliante, che cadeva di sbieco tra il frascame, gl’illuminava i pedalini3 bucati. «Che, me so’ levate ’e zcarpe ieri a ssera?4», si chiese forte il Riccetto balzando a sedere. «No, nun me le so’ levate», si rispose, guardando sotto la panchina. «A Caciotta, a Caciotta», si mise a strillare scuotendo il Caciotta che ancora dormiva, «m’hanno rubbato ’e zcarpe!» «Ch’hai fatto?», disse il Caciotta ciocco5 di sonno. «M’hanno rubbato ’e zcarpe», ristrillò il Riccetto. «E pure li sordi6!», disse, cacciando le mani dentro le saccocce7. Benché ancora dormisse, pure il Caciotta si guardò in saccoccia: non c’era più manco una zaccagna8, e gli occhiali erano scomparsi. «Li mortacci sua!», gridava disperato il Riccetto. Pure gli altri s’erano svegliati, e se ne stavano là a guardare da lontano. «Io nun tenevo ’na lira», disse il Lenzetta, seduto sulla sua panchina. Il Calabrese invece guardava zitto con la sua faccia gonfia, scuotendo la testa, con gli occhi pieni dell’espressione di chi sa come stanno le cose, ma non vuol parlare. Il Riccetto e il Caciotta se ne andarono senza dir niente e senza nemmeno guardare gli altri, che facevano i tonti, dando un’aria preoccupata e innocente alle loro facce losche, che tanto, nessuno poteva azzardarsi a dir niente di loro. In tutta Villa Borghese, sbiancata dal sole già caldo, non si vedeva un’anima. Scesero giù nella prateria del galoppatoio e l’attraversarono. In fondo, dall’altra parte, a pancia in basso, dormiva ancora il Picchio. Teneva un paio di scarpe di pezza blu e bianche, tutte sfilacciate e con la suola bucata. Il Riccetto piano gliele sfilò, e se le mise, benché gli andassero un po’ strette; poi spesarono9 giù per Porta Pinciana. Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education 1 5 L’arte del romanzo – Il romanzo storico, sociale e psicologico 10. locchi locchi: stor- diti. 11. acchittati: vestiti. 12. non se la sbroccolarono: non scoppia- rono a ridere. 13. budellone: grasso- ne. 14. sciammannato : trasandato. 15. le generalità: i da- ti anagrafici. 16. Mo … magna?: quando si mangia? 17. quella pippa di gioco: quel gioco stu- pido. 18. allaccati: trafelati. Quel giorno andarono a mangiare dai frati, perché con tutto che avevano girato l’intera mattinata per piazza Vittorio, non avevano rimediato una lira. Bianchi per la fame, passarono locchi locchi10 sotto le impalcature della stazione, e arrivarono a via Marsala, dove al numero duecentodieci c’era un portoncino con sopra scritto «Refettorio», del Sacro Cuore o della Beata Vergine, uno di quei nomi lì. Misero dentro prima il naso, poi la capoccia, facendo un passo avanti e mezzo dietro, acchittati11 com’erano, e solo il Riccetto con le scarpe di pezza: e si trovarono dentro un corridoietto che dava in un cortile di terra battuta, pieno di tanti penitenti come loro due, che giocavano a pallacanestro, e si vedeva benissimo che lo facevano tanto per far contenti i frati. Il Riccetto e il Caciotta si diedero un’occhiata, per squadrare uno coll’altro che faccia avevano, e per poco non se la sbroccolarono12 vedendo quanto facevano pena. Un budellone13 d’un frate gli venne incontro tutto sudato e sciammannato14 e quelli un pochetto sbandarono, pensando tra di sé: «Mo che vole questo?». Ma il frate fece a gran voce: «Volete mangiare ragazzi?». Il Riccetto si voltò da quell’altra parte per non farsi vedere che gli scappava da ridere, mentre che il Caciotta, che c’era già stato un’altra volta, fece: «Sì, padre». Alla parola «padre» il Riccetto non si resse più e cominciò a gorgogliare, tanto che dovette far finta d’allacciarsi una di quelle scarpacce zozze che c’aveva per nascondersi la faccia. Il frate fece: «Venite avanti», e se li portò dentro un ingresso, dall’altra parte del cortile, dove c’era un tavolinetto con un registro e un blocchetto di tagliandi. Tirandosi su le sottane che quasi gli si vedeva il panzone, il frate gli chiese che gli dicessero le generalità15. «Le che?», fece il Riccetto, sorpreso ma tutto servizievole, mettendosi a sua piena disposizione. Quando seppero che cavolo erano queste «generalità», le diedero false, e, in compenso, presero rispettosamente dalle mani del frate il tagliando. Il Riccetto era tutto ben disposto nel vedere come le cose andavano lisce, e quasi quasi un poco commosso, nel suo insolito imbarazzo. «Mo quanno se magna?16», chiese, pieno di aspettativa. «Boh, fra poco», rispose il Caciotta. Intanto gli altri sbandati continuavano a giocare a quella pippa di gioco17, tutti allaccati18. «Aòh, giocamo pure noi», fece il Riccetto, deciso, con tutte le intenzioni di far valere i propri diritti. Andarono in mezzo al cortile, e si misero a giocare senza conoscere per niente la pallacanestro, ch’era un gioco che non avevano sentito mai. Poi i frati li chiamarono battendo le mani, li fecero entrare in uno stanzone dove c’erano dei tavoli di dieci metri l’uno con intorno delle panche: gli diedero due sfilatini asciutti per uno e due scodelle di pasta e fagioli, gli fecero dire: In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e li fecero mangiare. Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education 2 5 L’arte del romanzo – Il romanzo storico, sociale e psicologico 19. circolare: autobus. 20. pizzicarolo: ven- ditore di salumi, formaggi, burro e altri generi alimentari. 21. mancorrente: cor- rimano. 22. costato: petto. 23. una caciara, un cori-cori: un gran bacca- no, un corri-corri. Per una decina di giorni il Riccetto e il Caciotta andarono lì. Il mezzogiorno solo però, perché alla sera i frati chiudevano bottega. Così tante volte i due mangiavano un turno solo al giorno. La sera s’arrangicchiavano. O coi soldi che rimediavano di mattina alla stazione o al mercato di piazza Vittorio, o fregando qualcosa per le bancarelle. Finalmente una sera la fortuna gli sorrise. Fu sopra una circolare19, dov’era salita una signora con una borsa con dentro un borsellino: quel borsellino, attraverso la vetrina del pizzicarolo20 di via Merulana dove la signora poco prima era entrata, s’era mostrato gonfio in maniera promettente, e la signora, uscendo, l’aveva messo dentro la borsa ch’era piena fino all’orlo e chiudeva male. Il Riccetto e il Caciotta rincorsero la circolare già in moto e ci saltarono dentro in corsa. Ognuno entrò per conto suo e andarono a mettersi appresso alla signora. Quella se ne stava attaccata al mancorrente21, guardando con odio i vicini. Il Riccetto le si mise più accosto, perché era lui che se la doveva lavorare, e il Caciotta gli stette dietro per nascondergli i movimenti, mentre che il Riccetto, aperta piano piano la borsa, levava il borsellino con la mano destra, e se lo faceva scorrere contro il costato22 sotto il braccio sinistro, fino a stringerselo sotto l’ascella. Poi, sempre riparato alle spalle dal Caciotta, si fece largo in mezzo alla gente, e scesero alla prima fermata tagliando giù per i gradini di piazza Vittorio. Sparirono giù verso San Lorenzo, imboccando l’arco di Santa Bibiana. E già ch’erano da quelle parti, pensarono d’andarsi a fare una visitina a Tiburtino, per vedere come s’erano messe le cose dopo la loro fuga con le poltrone del tappezziere di via dei Volsci… Era la prima sera, e un bel freschetto rendeva allegra l’atmosfera nell’ora che gli operai tornano dal lavoro e le circolari passano piene come scatole d’acciughe, e bisogna aspettare tre ore sotto le pensiline per potercisi appendere ai predellini. Da San Lorenzo, al Verano, fino al Portonaccio c’era tutta una festa, una caciara, un cori-cori23. Il Riccetto cantava: Quanto sei bella Roma, quanto sei bella Roma a prima sera, 24 la grana: i soldi. a squarciagola, completamente riconciliato con la vita, tutto pieno di bei programmi per il prossimo futuro, e palpandosi in tasca la grana24: la grana, che è la fonte di ogni piacere e ogni soddisfazione in questo zozzo mondo. (da Ragazzi di vita, Einaudi, Torino, rid.) 3 Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education