A che ruolo giochiamo? Il teatro al servizio della formazione

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A che ruolo giochiamo? Il teatro al servizio della formazione
Learning News
Giugno 2012, anno VI - N. 6
A che ruolo giochiamo?
Il teatro al servizio della formazione
di Francesco Marino∗
Una premessa: “di che cosa parliamo quando parliamo di…”
Parleremo di teatro (che forse non conosciamo), ma sarà facile
confonderci e immaginare di parlare della vita, la nostra (che
conosciamo bene).
Parleremo dell’attore e del suo lavoro sul personaggio, ma sarà facile
pensare che parliamo di noi e di come ci vedono gli altri o di come ci
presentiamo agli altri.
Parleremo di scrittura teatrale o del lavoro dell’autore, di regia o del
lavoro del regista, di costruzione del personaggio o del lavoro dell’attore,
ma sembrerà di parlare della nostra vita, dei nostri obiettivi e delle
relazioni che costruiamo giorno dopo giorno.
Già, perché sia il teatro sia la vita sono fatti di relazioni, di rapporti che
costruiamo, distruggiamo o ignoriamo. Sia il teatro, sia la vita sono pieni
di conflitti e sarà forse per tutto questo che il teatro e la vita si somigliano
tanto.
Attore, secondo l’etimologia del termine, è colui che agisce. Ma è anche
hypocritès: colui che assume su di sé, pur non essendo suoi, sentimenti,
emozioni, passioni. E recitare è anche giocare, jouer, to play...
Parliamo di Teatro
Il teatro, lo dicevamo, è il luogo delle relazioni e dei conflitti per
eccellenza. Non esiste narrazione che non racconti di uomini, delle loro
∗
Attore, insegnante, regista, laureato in Discipline dello Spettacolo. Esperto di Comunicazione, Public
Speaking, Comportamento Organizzativo. Sperimenta la Metodologia Teatrale nella Formazione, in
tutte le declinazioni del Teatro d’Impresa. E-mail [email protected]
relazioni e dei loro conflitti. I conflitti nascono quando un personaggio,
nel soddisfare il suo desiderio, incontra un altro personaggio con un
desiderio diverso o più semplicemente una situazione che diventa
ostacolo al suo desiderio. E allora che fa?
C’è una formula, che io chiamo “formula magica”, che bisognerebbe
avere sempre con sé e usare ogni qualvolta ci sembra di trovare un
ostacolo o un intoppo al nostro percorso, oppure per essere sicuri che
stiamo andando nella direzione desiderata.
La formula è: CHI SONO IO / CHE COSA VOGLIO / CHE COSA
FACCIO PER OTTENERLO
L’analisi e le risposte alle tre domande (legate indissolubilmente l’una
all’altra) ci aiutano sempre a superare la difficoltà del momento (a patto
ovviamente di non mentire a se stessi!).
Se analizzeremo una qualsiasi scena di un testo teatrale, ci troveremo di
fronte a dei personaggi che agiscono mossi, sempre, da una o più
ragioni, da una o più motivazioni.
Ma che cosa succede se un personaggio, che si prefigge un obiettivo,
pur perseguendo una strategia, non ottiene il risultato sperato? Succede
anche nella vita, o sul lavoro, di prefiggersi degli obiettivi, impegnarsi
(con o senza strategia) e non ottenere il risultato sperato.
In teatro, il personaggio, forse perché disegnato da un autore, mosso da
un regista, fatto vivere da un attore, cambia strategia, modifica il
percorso, reagisce agli eventi negativi che incontra e insiste nuovamente
per ottenere il risultato ambito.
Nella vita, vittime come siamo degli automatismi, delle resistenze al
cambiamento, del nostro orgoglio o anche delle piccole comodità, cui
difficilmente rinunciamo, e spesso isolati in un’autosufficienza a volte
limitata, ci proponiamo e riproponiamo con le stesse dinamiche anche
quando queste non portano ai risultati sperati.
Mi viene in mente quella barzelletta dell’ubriaco che tornando a casa
s’accorge d’aver perso le chiavi di casa. Si ferma a cercarle sotto la luce
d’un lampione. Dopo un po’ un metronotte gli s’avvicina offrendogli aiuto
nella ricerca. Le chiavi non si trovano e allora il metronotte chiede se è
sicuro d’averle perse proprio li dove le stanno cercando e l’ubriaco
risponde “no, le ho perse laggiù, ma li è troppo buio!”.
Ecco che la formula del CHI SONO, COSA VOGLIO e soprattutto CHE
COSA FACCIO PER OTTENERLO, quando si tratta di riallineare
obiettivo e risultato, esprime tutta la sua necessità di esistere.
Le tre domande sono strettamente legate tra di loro e sono in qualche
modo consequenziali e dipendenti. Se è vero che ognuno di noi è ciò
che pensa, fa, mangia, dice ecc., è pur vero che ciò che dice, mangia, fa
o pensa lo definisce come soggetto.
Quindi il desiderare e il fare sono sì frutto del “chi sono” ma nello stesso
tempo contribuiscono moltissimo alla sua costruzione. In una formula
potremmo dire: Io sono ciò che desidero e faccio (o non faccio) e ciò che
desidero e faccio (o non faccio) definisce chi sono.
Il compito
Ma andiamo per ordine e ritorniamo in teatro. Ogni personaggio,
dicevamo prima, è mosso da motivazioni, bisogni e desideri. Anche nella
vita è così: niente succede per caso, rispondiamo sempre ad un impulso,
un bisogno, un desiderio. La vita altro non è che: stimoli e risposte,
azioni e reazioni, potremmo dire cause ed effetti. Ma restiamo in teatro.
Nell’analisi che facciamo per la costruzione del personaggio andiamo a
cercare qual è il suo compito. Cerchiamo di capire quello che vuole e
quale è il compito cui deve assolvere per ottenere ciò che desidera.
Il personaggio, nel testo teatrale, sarà costretto a chiedersi: che cosa ho
bisogno di fare?
La parola compito può anche essere tradotta con “problema” per il quale
il personaggio deve trovare una soluzione. Il compito/problema fornisce il
bisogno che guida le attività, i discorsi, i rapporti e il comportamento di
un attore su un palcoscenico nella costruzione del suo personaggio.
Chiaramente quando parlo di attore e di costruzione del personaggio
non bisogna pensare esclusivamente all’unicità del teatro. Tutti noi nella
vita facciamo lo stesso nella “definizione” di noi stessi. Tutte le risposte
che diamo agli stimoli che ci arrivano sono scelte nella costruzione e ridefinizione della nostra identità negli innumerevoli ruoli che viviamo:
come figli, genitori, coniugi, lavoratori, amici, e così via.
Se la trama degli spettacoli è complicata, la trama della nostra vita non lo
è di meno.
L’azione
Un’azione è ciò che si compie in scena per realizzare il compito. L’azione
si esprime con un verbo perché è qualcosa che fai. L’azione non è mai
uno stato d’essere. Il personaggio non vuole essere qualcosa, bensì
vuole fare qualcosa.
Mi spiego meglio. Noi tutti, persone e personaggi, tendiamo ad avere
condizioni di vita ottimali, tendiamo, se non alla felicità, alla gioia, o alla
serenità o quanto meno all’assenza di dolore, sofferenza e noia. Ma
questi stati dell’essere sono il risultato di qualcos’altro, lo sappiamo
bene.
E’ il nostro agire quotidiano che costruisce e definisce lo stato dei nostri
sentimenti. Per cui se io voglio essere qualcosa, prima devo fare
qualcosa. L’azione è Re (o Regina). Attore è colui che agisce, e dal
momento che si agisce sempre spinti da qualcosa o verso qualcosa o
qualcuno, il verbo dell’azione sarà un verbo transitivo. Un verbo
transitivo che ti mette in relazione con qualcosa o con qualcuno. La
recitazione è l’arte dei rapporti umani. E’ per questo che il teatro diventa
utile strumento per capire e cogliere meglio le dinamiche relazionali ed
emozionali.
Il desiderio
Freud diceva che le emozioni e il comportamento sono funzioni del
desiderio. Le persone non fanno brutti sogni perché mangiano troppo, o
male, prima d’andare a dormire. Le persone fanno ciò che fanno (nella
vita o nei sogni) perché hanno dei desideri. I desideri sono alla base
delle nostre azioni, si può dire che strutturano il nostro comportamento.
Non solo, possiamo anche dire che ciò che desideri nella vita e non
ottieni, significa di più di ciò che desideri e ottieni. I desideri frustrati
determinano il carattere più dei desideri soddisfatti.
Per essere felici, qualcuno ci suggerisce, dovremmo “avere ciò che si
desidera e (molto più importante) desiderare ciò che si ha”.
Per avvicinarci alla felicità di cui sopra bisogna ridurre la distanza che ci
separa dalle cose e dalle persone (a volte anche da sé stessi). In un’altra
occasione dicevo: ciò che si conosce, ci conosce e ci protegge. La
famosa formula del conosci te stesso va nella stessa direzione e con gli
stessi obiettivi.
Proviamo a chiudere il cerchio
In una relazione di reciprocità e d’interdipendenza, qual è quella degli
uomini nella loro vita quotidiana, “essere è essere percepiti”. Ma noi tutti
siamo percepiti a partire da ciò che facciamo. Agire quindi e, se l’azione
è carattere, se l’azione è ciò che ci fa, è lì che dobbiamo giocare la
partita. L’azione è tutto.
E ora usciamo dalla metafora teatrale e guardiamo alla nostra vita, a tutti
gli spazi di cui si compone, o i piani su cui si muove, i ruoli che
esercitiamo (o giochiamo), le relazioni che intrecciamo, i conflitti che
viviamo, i desideri, le frustrazioni, e tutto quello che facciamo o non
facciamo per raggiungere i nostri obiettivi. Se riguardiamo questo
panorama alla luce delle cose dette sin qui ci accorgeremo che lo studio
e il lavoro che l’attore compie per la costruzione del suo personaggio può
tornare molto utile per la costruzione del nostro percorso professionale e
di vita.
Gli obiettivi che abbiamo, gli strumenti a disposizione, il modo in cui
usiamo, i tempi, le strategie, noi stessi, tutto diventerà più chiaro
leggibile come un gioco, con le sue regole ferree, che ci aggiungiamo
scoprire o riscoprire, come il gioco del TEATRO che ci accingiamo
giocare.
li
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a
Parliamo della formazione
Gli esercizi che uso nella Formazione, e che sono tutti estrapolati dal
training teatrale, toccano vari ambiti, ma hanno tutti un unico obiettivo e
usano tutti la stessa strategia. L’obiettivo è la conoscenza, la crescita
personale e la sicurezza di sé. La strategia è l’universo delle relazioni
che stabiliamo, con noi stessi o con gli altri che abbiamo di fronte o che
ci circondano.
Intanto possiamo dire che tutto il nostro lavoro ha un obiettivo intermedio
e sarebbe la riduzione della distanza che ci separa dalle cose o dalle
persone (a volte anche da sé stessi), la conoscenza e la consapevolezza
di sé e degli altri.
Inoltre è opportuno ricordare che sia l’uomo nella vita o sul lavoro, sia
l’attore sul palcoscenico (scelto come metafora) usano sé stessi come
strumento, per cui se vogliono avere buoni risultati nella vita, sul lavoro o
sulla scena devono conoscere bene lo strumento che usano, cioè sè
stessi.