Analisi biomeccanica della corsa su pista centrifuga (PDF

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Analisi biomeccanica della corsa su pista centrifuga (PDF
Analisi biomeccanica della corsa su pista centrifuga
Pietro Picerno1, Guido Brunetti2, Claudio Giorgi1, Aurelio Cappozzo1
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Dipartimento di Scienze del Movimento Umano e dello Sport, IUSM, Roma
Scuola dello Sport, CONI, Roma
[email protected]
ABSTRACT
In questo studio viene valutata l’efficacia della corsa su pista centrifuga come mezzo per l’allenamento a carattere speciale e in grado di
imporre carichi di lavoro superiori a quelli riscontrabili nella corsa in piano. Le caratteristiche dei due tipi di corsa sono state analizzate
mediante la l’analisi 3D del movimento dei segmenti corporei di quattro volontari. A tal fine ci si è avvalsi di una tecnica
stereofotogrammetrica. È stato possibile individuare le fasi in cui è possibile scomporre il gesto e analizzarle dal punto di vista
cinematico e dal punto di vista tecnico. Utilizzando una stima della posizione istantanea del centro di massa dell’atleta, è stato possibile
calcolare le variazioni di energia cinetica e potenziale gravitazionale a questo associate e il relativo lavoro meccanico delle forze
esercitate dai muscoli (lavoro esterno). I risultati hanno mostrato che, correndo ad una velocità di progressione intorno ai 7 m/s-1, la corsa
su pista centrifuga comporta un incremento del lavoro meccanico esterno del 24% rispetto alla corsa su pista piana. Essi hanno, inoltre,
permesso un’attenta revisione della terminologia descrittiva degli eventi analizzati.
Picerno P, Brunetti G, Giorgi V, Cappozzo A
Biomechanical analysis of running on the centrifugal track
Ital J Sport Sci 2006: 13: 44-52
This study aimed at verifying the validity of running on a centrifugal track as an instrument able to increase loads with respect to level
running. The kinematic and technical characteristics of this kind of run were analyzed by comparing four subjects filmed while running
on a flat and on a centrifugal track at similar speeds. Through a video-based motion analysis, a stereophotogrammetric technique was
used to reconstruct, in a 3D space, the athlete’s body segments, rendering possible the identification of the phases that compose the
running act and their analysis. The position of the athlete’s centre of mass was estimated, and its instantaneous speed and mechanical
energy were calculated, thus enabling the estimation of the mechanical work exerted by the muscular mass. Running on a centrifugal
track resulted in a 24% increase of the external mechanical work with respect to level running. Moreover, a careful review of the
appropriate terminology to describe the phases of the running motor act was conducted.
RASSEGNE E ARTICOLI
KEYWORDS: Special strength, Centripetal acceleration, Kinematics and dynamics of running,
Mechanical energy
INTRODUZIONE
La metodologia dell’allenamento definisce “a carattere speciale” «quelle esercitazioni che ripropongono
parti significative del modello cinematico e dinamico
della prestazione di gara» (Bellotti e Matteucci,
2000). Questa definizione qualitativa è ampiamente
accettata in ambito tecnico-sportivo. Nell’ambito della corsa veloce, i mezzi di allenamento per lo sviluppo della forza cosiddetta “speciale” vanno dalla corsa
in salita a quella con il traino, dalla corsa con sovraccarichi (zavorre) all’uso del paracadute.
Secondo Vittori (1990) il carico ottimale nelle esercitazioni di corsa con cinture è compreso fra il 10 ed il
15% del peso corporeo dell’atleta: l’entità del sovraccarico va adattata quindi alle caratteristiche del soggetto; ad esempio nella corsa con traino su 30 m
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l’entità del carico dovrebbe essere tale da indurre una
diminuzione del tempo di percorrenza rispetto alla
prestazione dell’atleta sulla stessa distanza senza carico, di 80-100 centesimi di secondo, in modo da attestare i tempi di appoggio intorno ai 160 millesimi
di secondo.
La differenza tra la corsa in piano e quella in salita è
stata valutata attraverso l’osservazione di parametri
cinematici da Paradisis e Cooke (2001). In questo
studio, dove la salita è stata riprodotta con una pedana inclinata di 3° rispetto all’orizzontale e la velocità
di corsa era di 7,8 ± 0,5 m·s-1, è stata messa in evidenza una riduzione dell’ampiezza del movimento
degli arti inferiori, con apprezzabili cambiamenti sia
nelle caratteristiche cinematiche che nell’assetto di
corsa dell’atleta. Nel primo istante della fase di apITALIAN JOURNAL of SPORT SCIENCES
poggio, durante la corsa in salita, rispetto alla corsa
in piano, sono state mediamente osservate le seguenti
variazioni: una aumentata flessione del tronco di 7
gradi, una aumentata inclinazione della gamba rispetto all’orizzontale di 4 gradi, ed una diminuzione dell’angolo compreso tra le cosce, misurato sul piano
sagittale, di 23 gradi. Alla fine della fase di appoggio,
i primi due angoli aumentano tutti e due di 6 gradi.
L’angolo fra le cosce non si modifica significativamente, mentre il ginocchio risulta più flesso di 8 gradi. Le ripercussioni sulla lunghezza del passo sono
quantificabili in un decremento di circa il 5%.
Nella corsa con il paracadute o con il traino l’incremento di carico è ottenuto con una forza approssimativamente orizzontale localizzata in genere alla vita.
Secondo Lockie e Murphy (2003), la corsa col
traino, con un carico corrispondente al 32% del peso
corporeo (velocità di progressione di 4,4 ± 0,4 m·s-1)
induce, rispetto alla condizione senza carico (velocità
di 5,7 ± 0,4 m·s-1), variazioni significative nella cinematica del tronco e degli arti inferiori. Alla fine della
fase di appoggio si notano un aumento della flessione
del tronco rispetto alla verticale e una maggiore flessione della coscia sul tronco, rispettivamente da 39°
± 5 a 45° ± 7 (circa 0° in postura eretta) e da 96° ± 7
a 91° ± 8 (circa 180° in postura eretta). Le velocità
prese in esame sono però notevolmente più basse rispetto a quelle raggiungibili dai velocisti (fino a 12
m·s-1).
Per quanto riguarda la corsa con sovraccarichi, la
letteratura non è estesa e riguarda per di più un ambito clinico e non sportivo. Ostering e Robertson
(1993) hanno valutato l’uso di un giubbetto zavorrato
(10% della massa corporea) durante la corsa su lunga
distanza effettuata su nastro trasportatore e si sono
concentrati sulla cinematica degli arti inferiori con e
senza giubbetto. Questi autori hanno registrato modificazioni statisticamente significative, durante le fasi
di ammortizzazione e spinta, degli angoli di flessoestensione dell’anca, del ginocchio e della caviglia,
con variazioni percentuali del 42% per anca e caviglia e del 31% per il ginocchio.
La letteratura sopra citata evidenzia come la corsa
con sovraccarichi localizzati o su superfici inclinate
induce significative modificazioni nell’assetto di corsa dell’atleta, le quali possono sollecitare in maniera
anomala la struttura muscolo-scheletrica.
La pista centrifuga, descritta nel dettaglio nel paragrafo successivo, costituisce una possibile alternativa
ai metodi sopra esposti. Scopo di questo studio è di
verificare se sia possibile collocarla tra i mezzi speciali di allenamento dimostrando che il gesto della
corsa, quando eseguito su di essa, non viene eccessivamente modificato, seppure in presenza di un aumento del carico di lavoro. Si ipotizza, inoltre, che,
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poiché le forze agenti sull’atleta sono distribuite e
non concentrate come nel caso dei metodi sopra illustrati, tale aumento possa essere ottenuto senza mettere a rischio l’integrità dell’apparato locomotore
della persona coinvolta. Questo obiettivo è stato perseguito attraverso una analisi biomeccanica comparata della corsa in piano e su pista centrifuga a velocità
simili. In particolare sono state messe a confronto
grandezze di tipo cinematico e energetico stimate utilizzando misure stereofotogrammetriche.
La pista centrifuga
La pista centrifuga ha essenzialmente la forma di un
catino. Il prototipo da noi valutato, progettato dall’ing. Giuseppe Scuderi (Scuderi, 1994), è caratterizzato da una pedana di corsa di sezione parabolica e
dunque dotata di un’inclinazione crescente. Il diametro passa da quattro metri circa del margine interno
fino ai sette di quello più esterno (Fig.1). La pedana è
contraddistinta da cinque corsie (anelli) ad inclinazione diversa e l’atleta deve correre seguendo una di
esse (Scuderi, 1994, cit.).
Figura 1 - La pista centrifuga
La corsa dell’atleta sulla pista centrifuga è caratterizzata da due moti diversi tra loro che contraddistinguono le fasi principali del gesto: fase di volo e di
appoggio. La prima è caratterizzata da un moto parabolico del centro di massa (CM) che compie traiettorie balistiche su un piano verticale; tale situazione è
identica a ciò che avviene durante la corsa in piano.
Durante la fase di appoggio si verifica, invece, un
cambio di direzione del CM che permette all’atleta di
seguire una traiettoria mediamente circolare e quindi
rimanere su una delle corsie della pista (Fig. 2). Il
cambio di direzione è reso possibile dall’azione della
componente orizzontale della reazione vincolare
agente sull’atleta verso il centro della traiettoria.
Questa forza conferisce al CM una accelerazione
centripeta e consente ad esso una traiettoria circolare.
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Calcolando le componenti della accelerazione centripeta data dalla eq. 1, nonché quelle della forza di gravità, si ha:
e quindi
Figura 2 - La traiettoria del centro di massa nella corsa su pista centrifuga
vista dall’alto: la parte limitata da IC (inizio contatto) e FC (fine contatto)
indica l’appoggio di un piede ed è evidente il cambio di direzione; durante la fase aerea (FC-IC) la traiettoria del CM è rettilinea (a meno degli errori di misura del software) e giace solo su di un piano verticale anteroposteriore.
In prima approssimazione e per facilitare l’analisi, si
ipotizzi che il CM si muova di moto circolare uniforme ad una velocità con modulo pari a v. Il raggio della relativa circonferenza sia pari ad r e uguale a quello della corsia utilizzata. Il CM è dunque sottoposto
ad una accelerazione agente in direzione centripeta
ed avente modulo pari a
Applicando al sistema atleta di massa m, sottoposto
alla forza peso e alla reazione vincolare del terreno,
l’equazione del moto relativa alle traslazioni e rappresentando le grandezze vettoriali coinvolte rispetto
al sistema di riferimento indicato nella figura 3,
Si ipotizza che l’atleta, che corre su uno specifico
anello di raggio r a cui è associata una inclinazione a
(Scuderi, 1994, cit.), tende ad assumere una velocità
per cui la componente della reazione vincolare secondo l’asse x (associata all’attrito) si annulla. Ne
consegue che, dalla prima equazione del sistema in
(4), si ha:
Sostituendo la (5) nella seconda equazione del sistema (4), si ottiene:
dove
Figura 3 - La dinamica dell’appoggio su pista centrifuga.
si ottiene:
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può essere interpretata come una accelerazione di
gravità apparente, sempre maggiore di g.
Dato, quindi, il raggio dell’anello su cui corre l’atleta, ovvero la relativa inclinazione della pista a, è possibile calcolare la velocità media di progressione con
l’equazione (5), nonché l’accelerazione di gravità apparente con l’equazione (6). Dalla figura 4 si osserva
che l’accelerazione apparente aumenta con una legge
approssimativamente quadratica in funzione dell’angolo a. Ciò comporta che l’atleta è sottoposto ad un
peso corporeo apparente superiore a quello reale che
aumenta con la stessa legge. Si ribadisce tuttavia che
ciò è vero solo durante la fase di appoggio, poiché è
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durante questo intervallo di tempo che si applicano le
considerazioni sopra riportate. Al contrario, durante
la fase di volo, l’atleta è soggetto esclusivamente alla
gravità terrestre.
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto su quattro soggetti maschi
di età compresa tra i 17 e i 24 anni, di statura 174 ± 4
cm e massa corporea di 72 ± 5 kg. Tutti i soggetti
erano ben avviati nella pratica dell’atletica leggera;
due di essi erano atleti di media qualificazione e specializzati nei cento e nei quattrocento metri rispettivamente. Idealmente l’analisi comparativa fra la corsa sulla pista centrifuga e in piano doveva effettuarsi
a parità di velocità. Tuttavia, si è incorsi nella impossibilità di soddisfare questo requisito vista la difficoltà di mantenere una uguale velocità durante l’esecuzione della corsa nelle due condizioni. Sul piano si
è infatti registrata una velocità media di circa 7 m·s-1,
mentre sulla pista centrifuga la velocità è stata di circa 6 m·s-1. L’anello, caratterizzato da r = 2,96 m e α =
44 gradi, è stato scelto spontaneamente dagli atleti,
dopo un periodo di familiarizzazione con la pista
centrifuga di circa un mese caratterizzato da due sedute settimanali, come quello che consentiva una più
naturale esecuzione del gesto. Le ragioni di questa
scelta rimangono da esplorare.
La velocità media di corsa è stata misurata utilizzando
due barriere ottiche Microgate (mod. “Polifemo”, risoluzione 1•10-3 s). Sulla pista in piano queste sono state
collocate ad una distanza di 60 m l’una dall’altra. Sulla pista centrifuga ne è stata utilizzata una in modo tale da registrare la velocità media sul giro. Data la breve distanza su cui è stata misurata la velocità media,
specie su quest’ultima pista, si è dovuto prestare attenzione a eventuali errori causati dalle possibili differenti posizioni degli arti in occasione di successivi attraversamenti della barriera ottica. Per questo, le barriere
sono state collocate all’altezza della pelvi.
L’atleta è stato rappresentato con un modello meccanico costituito da segmenti rigidi monodimensionali
e articolati con cerniere sferiche (Fig. 6).
Figura 5 - L’atleta in corsa sulla pista centrifuga. L’angolo ± rappresenta
l’inclinazione della pista rispetto al suolo a livello dell’anello (corsia)
lungo il quale l’atleta sta correndo.
Figura 6 - Il modello meccanico con cui è stato rappresentato l’atleta in
entrambe le tipologie di corsa.
Figura 4 - L’incremento dei valori di gravità “apparente” a cui è sottoposto l’atleta negli istanti di contatto durante la corsa su ognuna delle cinque corsie della pista centrifuga (±) alle rispettive velocità medie di percorrenza.
L’ipotesi formulata in precedenza e relativa al fatto
che l’atleta tende ad azzerare la forza di attrito agente
sul piede in appoggio in direzione medio-laterale,
porta con sé il fatto che il suo asse longitudinale è
mediamente ortogonale alla pista e che, di conseguenza, il gesto può godere di simmetria sagittale (Fig. 5).
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Ciascuna prova è stata ripresa ad inquadratura fissa
con due telecamere professionali che campionavano
a 50 fotogrammi al secondo (mod. Ikegami HC-200).
Nel campo di ripresa sono stati collocati 20 marcatori
in posizioni note rispetto ad un sistema di riferimento
inerziale (sistema di riferimento globale) la cui origine è stata definita in modo arbitrario. Utilizzando
questi punti di controllo e mediante l’uso di un
software, redatto allo scopo e che implementava un
modello stereofotogrammetrico, si è proceduto alla
calibrazione del volume di misura. Su ciascun fotogramma sono state misurate le coordinate immagine
di ciascun centro articolare rappresentato nel modello
meccanico dell’atleta (21 punti). Ciò è stato ottenuto
utilizzando una digitalizzazione manuale effettuata
sul monitor di un computer collocando una mira, la
cui posizione era controllata dal mouse, sui punti di
repere di interesse. Utilizzando le misure effettuate
su ciascuna coppia di fotogrammi ripresi simultaneamente, sono state quindi stimate dal software le tre
coordinate oggetto nel sistema di riferimento globale
di detti punti in ciascun istante di tempo campionato.
Il volume di misura ha consentito di ricostruire il
movimento di una falcata completa (dal primo contatto di un piede al successivo contatto dello stesso
piede). La sincronizzazione delle camere, onde evitare eventuali errori di ricostruzione della posizione dei
repere, è stata curata prendendo come punto di riferimento un evento riconoscibile chiaramente da entrambe le riprese (tipicamente l’istante di stacco dal
suolo).
Data la cinematica del modello meccanico ed avendo
assegnato a ciascun segmento corporeo in esso rappresentato una stima della relativa massa nonché posizione del CM (De Leva, 1996), è stato possibile stimare la posizione, nel sistema di riferimento globale,
del CM dell’intero corpo dell’atleta in ciascun istante
di tempo.
In un’analisi di questo tipo gli errori scaturiscono
dall’identificazione sull’immagine, da parte dell’operatore, dei punti di repere e dei punti di controllo utilizzati per la calibrazione; essi si ripercuotono sulla
determinazione della posizione del centro di massa e
di conseguenza sulle grandezze derivate quali velocità ed accelerazioni. La posizione del punto di repere nello spazio è identificata dall’intersezione delle
due linee di vista provenienti da ciascuna camera; in
caso di mancata intersezione (a causa degli errori di
digitalizzazione) il software considera il punto in cui
la distanza tra le due rette è minima. Tale distanza,
che è risultata essere in media di 15 mm, è da considerarsi rappresentativa dell’errore di misura.
Gli istanti di inizio e fine delle fasi di appoggio del
piede destro e sinistro sono stati identificati utilizzando le traiettorie dei marcatori all’uopo collocati sul
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tallone e sulla punta del piede. L’ampiezza del passo
è stata misurata come la distanza, lungo la direzione
media di corsa, tra la posizione dei marcatori collocati sulla punta dei piedi nell’istante di fine contatto di
due appoggi successivi. La frequenza del passo è stata calcolata come l’inverso della sua durata. Si consideri, inoltre, la fase aerea dell’arto, compresa tra l’istante di fine contatto della punta del piede e l’istante
di inizio contatto dello stesso piede. Va ricordato che
le misure di tempo erano caratterizzate da una risoluzione di 2 centesimi di secondo associata alla frequenza di campionamento delle telecamere (50 fotogrammi al secondo).
Le traiettorie dei marcatori collocati su ginocchio,
caviglia e punta del piede sono state analizzate e confrontate nelle due tipologie di corsa allo scopo di
analizzare qualitativamente il gesto di corsa per riscontrarne eventuali anomalie o incompletezze durante la corsa sulla pista centrifuga.
Utilizzando il modello meccanico dell’atleta e la posizione istantanea dei centri articolari, è stato possibile stimare la cinematica articolare degli arti inferiori,
ed in particolare quella del ginocchio durante la fase
di appoggio. Questa, rappresentata da un modello ad
un grado di libertà (flesso-estensione) ha come riferimento 180° per l’arto completamente esteso e 0° per
l’arto ipoteticamente completamente flesso (cfr. figura 7). È stata, inoltre, stimata l’energia meccanica totale del centro di massa e, dalle variazioni di questa,
il lavoro meccanico esterno compiuto dai muscoli degli arti inferiori dell’atleta.
Non disponendo di strumenti dinamometrici
adatti alla misura delle
forze scambiate tra l’atleta e la pista, è stata
calcolata la variazione
dell’energia meccanica
associata al centro di
massa, come sopra indicato, al fine di quantificare ciò che accade all’atleta durante la fase di
appoggio su pista centrifuga che, come detto in Figura 7 - Il riferimento angolare
precedenza, è caratteriz- per la cinematica del ginocchio:
zata da una dinamica dif- 180° per l’arto completamente
esteso e 0° per l’arto ipoteticaferente rispetto alla corsa mente completamente flesso.
sul piano. L’energia meccanica (Etot) è data dalla somma dell’energia cinetica
(Ec = 1/2 m v2) e potenziale gravitazionale (Ep = m g
h), dove la velocità di avanzamento e la quota del
CM, utilizzate per il calcolo rispettivamente di Ec e
Ep, sono valori istantanei. Il calcolo della velocità
istantanea del CM è stato eseguito tramite derivata
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numerica dopo aver filtrato i dati di posizione utilizzando un filtro “passa basso” con frequenza di taglio
di 16 Hz.
Il senso di corsa scelto sulla pista centrifuga era antiorario, cosicché l’arto esterno alla traiettoria era il
destro, ma ciò non esclude che un eventuale allenamento debba prevedere entrambi i sensi di corsa, per
ovvie ragioni cinestesiche e per evitare ogni eventuale pericolo di asimmetria.
RISULTATI
Tempi di volo e di contatto
La durata media del passo nella corsa sul piano è risultata essere di 290 ms, di cui il 48% rappresentato
dalla fase di contatto e il restante 52% da quella di
volo. Su pista centrifuga, su una durata totale media
di 260 ms, il contatto sale al 69% e il tempo di volo
risulta essere del 31% (Tabella A).
Durata complessiva passo
Tempo contatto
Tempo volo
Pista piana
[ms] %
Pista centrifuga
[ms] %
290 100%
140 48%
150 52%
270 100%
170 63%
100 37%
parametri descrittivi di questa fase. Come si evince
dai grafici della figura 8, l’andamento verticale delle
traiettorie sono, da un punto di vista qualitativo, sostanzialmente identiche, tuttavia, su pista centrifuga
la durata della fase di pendolazione dell’arto è ridotta. Ciò sta a significare che, sulla pista centrifuga, la
stessa traiettoria deve essere eseguita in tempi inferiori. Se, inoltre, si suddivide ulteriormente la fase di
pendolazione in una fase detta di “oscillazione” (dallo stacco fino al termine dell’avanzamento della coscia, con la progressiva riduzione dell’angolo al ginocchio) e una fase detta di “distensione” (durante la
quale l’angolo al ginocchio si apre fino al contatto
del piede con il terreno), si può notare come queste
mantengano la stessa proporzione sulla pista centrifuga rispetto alla pista piana (69% e 31%, rispettivamente).
Infine, la salita del ginocchio, intesa come massima
elevazione di questa articolazione, nella corsa su pista centrifuga rispetto a quella in piano risulta essere
minore di 8 ± 4 cm. Nonostante la deviazione standard piuttosto alta la differenza è statisticamente significativa (p<0,05): questo fatto, sommato alla considerazione precedente, esprime la circostanza che
nella corsa su pista centrifuga il ginocchio sale meno
ma più rapidamente.
Tabella A - Tempi di volo e di contatto in assoluto e in percentuale della
durata di un passo nelle due piste oggetto dell’indagine.
Ampiezza e frequenza del passo
L’ampiezza media del passo è risultata essere di 2 ±
0,2 m in piano e di 1,6 ± 0,2 m sulla pista centrifuga,
rispettivamente con un decremento medio, passando
dalla prima alla seconda, del 20% (p<0,05).
Per quanto riguarda la frequenza del passo, sono stati
osservati 3,4 ± 0,1 passi al secondo sul piano e 3,7 ±
0,3 su pista centrifuga, pari ad un aumento del 8%
circa. Non vi è, per questo parametro, differenza statisticamente significativa tra le due tipologie di corsa
(Tabella B).
Pista
piana
Pista
centrifuga
Incremento
Ampiezza
[m]
2 ± 0,2
1,6 ± 0,2
-20 % (p< 0.05)
Frequenza
[passi s-1]
3,4 ± 0,1
3,7 ± 0,3
+8 % (p> 0.05)
Figura 8 - Andamento verticale delle traiettorie del ginocchio, caviglia e
punta del piede come descrittive della fase aerea dell’arto durante la corsa su pista centrifuga (in alto) e sul piano (in basso).
Tabella B. Ampiezza e frequenza del passo sulle due piste oggetto
dell’indagine e relative variazioni percentuali.
Cinematica dell’arto inferiore: fase di pendolazione
Le traiettorie di tre punti, ginocchio, caviglia e punta
del piede, sono state prese in considerazione come
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Cinematica dell’arto inferiore: fase di appoggio
Il contatto con il terreno nella corsa su pista centrifuga, come spiegato nei paragrafi precedenti, dura nettamente di più. Si è cercato di scoprire che risvolto
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possa avere un maggior tempo di contatto sulla cinematica dell’articolazione del ginocchio, certamente la
più rappresentativa in questa fase. Nel grafico della
figura 9 sono rappresentate le curve relative agli andamenti degli angoli al ginocchio durante l’appoggio
nella corsa sul piano e su pista centrifuga in funzione
del tempo. Si è ipotizzato che l’appoggio destro fosse
uguale all’appoggio sinistro su tutte e due le piste. Si
evidenzia come l’arto si presenta al contatto con il
suolo con il medesimo angolo al ginocchio (a confermare ancora una volta il fatto che durante la fase di
volo sulla pista centrifuga non accade niente di particolarmente significativo, a parte la rapidità dell’esecuzione del gesto); si nota come gli andamenti delle
due curve rispetto al tempo cambino, e precisamente:
1. il piegamento dell’arto al ginocchio è più rapido
nella corsa sul piano; su pista centrifuga, invece,
dura di più e la massima chiusura dell’angolo al
ginocchio è raggiunta 2 centesimi di secondo più
tardi. Come si comprende dai grafici ciò non implica che l’arto si pieghi maggiormente;
2. la distensione dell’arto nella corsa su pista centrifuga è invece più veloce e, allo stesso modo, più
protratta nel tempo (di circa 2 centesimi di secondo) perché caratterizzata da una maggiore escursione angolare;
3. infatti, nell’ultimo istante di contatto, l’arto di
stacco risulta essere più disteso nella corsa su pista
centrifuga: l’angolo al ginocchio risulta essere
maggiore di circa 10° ± 1 rispetto alla corsa sul
piano.
di circa + 4,5 J/kg (∆Etot, energia normalizzata rispetto alla massa corporea) su pista centrifuga e di + 3,6
J/kg su pista piana, vale a dire un incremento del
24% del lavoro meccanico positivo compiuto dalla
muscolatura responsabile della spinta nella corsa su
pista centrifuga ad un’inclinazione della pedana di
44° (seconda corsia).
Figura 10 - Livelli di energia meccanica (Etot) del centro di massa durante la corsa su pista piana e centrifuga. I plateaux identificano le fasi di volo (le imperfezioni che li caratterizzano sono dovute all’errore indotto dal
calcolo delle derivate), mentre le deflessioni a “V” l’appoggio.
DISCUSSIONE
Per ciò che riguarda la durata dell’appoggio va detto
che il suo aumento è dovuto al fatto che l’atleta, negli
istanti di contatto con la pista, si trova a dover sostenere ed in seguito accelerare in avanti, una massa
sulla quale grava, per così dire, quell’accelerazione
gravitazionale “apparente”, maggiore di quella terrestre, di cui si è parlato precedentemente. Si ricordi
che la differenza tra le due tipologie di corsa sta unicamente nella fase di appoggio. La fase di volo sulla
pista centrifuga è, infatti, identica a quella della corsa
sul piano e ne dà ragione l’osservazione della traiettoria del centro di gravità dell’atleta ricavato dal modello 3D: come si nota dalla figura 11, essa è parabolica e, mediamente, non ha sviluppi differenti oltre
che su di un piano verticale.
Figura 9 - Flesso-estensione del ginocchio durante il 2° appoggio nella
corsa sul piano e su pista centrifuga (per il riferimento angolare cfr. Figura 7); IC = inizio contatto, FC = fine contatto.
Energia meccanica
La figura 10 riporta gli andamenti della energia meccanica (∆Etot) associata al centro di massa durante la
corsa sul piano e su pista centrifuga nei tre appoggi
considerati (nella corsa su pista centrifuga i livelli di
Etot sono minori perché minore era la velocità di progressione). La variazione positiva di Etot è, in media,
50
Figura 11 - Corsa su pista centrifuga. La traiettoria del CM durante la fase di volo: essa è parabolica ed avviene unicamente, come nella corsa rettilinea, su di un piano longitudinale. Tale piano è diverso, però, per ciascuna fase aerea a causa dei cambi di direzione.
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Per quel che concerne la frequenza del passo, nonostante la non significatività statistica dei risultati, si è
cercato comunque di spiegare il lieve aumento di
questo parametro nei seguenti termini: l’atleta applica una sorta di adattamento aumentando la frequenza
degli appoggi e simultaneamente diminuendo il tempo di contatto con la pista; in questo modo ottiene
una minor “esposizione” alla forza di reazione vincolare restituita dalla pista. Cioè tenta di attenuare
l’impatto con la pedana “diluendolo” su un numero
più elevato di azioni successive. Non è detto, tuttavia, che questa osservazione sia conclusiva. Infatti, i
soggetti partecipanti allo studio erano relativamente
poco esperti nella corsa su pista centrifuga e non si
può escludere che, dopo un più lungo periodo di addestramento, gli atleti si abituino ad affrontare l’impatto con la pedana ricercando un’ampiezza del passo adeguata e quindi usufruendo di ulteriori benefici
allenanti.
Volendo suddividere gli istanti di appoggio del piede
in una fase di ammortizzazione-tenuta e in una di
spinta, e stando a quanto detto nel paragrafo riguardante la cinematica dell’appoggio, l’aumento del
tempo di contatto che caratterizza l’appoggio su pista
centrifuga coincide con l’ammortizzazione, durante
la quale si verifica la flessione del ginocchio che, come si è visto nello stesso paragrafo, dura di più. La
causa di tutto ciò va attribuita al cambio di direzione
che avviene proprio durante questa fase. Durante la
spinta, infatti, il cambio di direzione è stato già effettuato. Queste considerazioni sono frutto di un confronto tra riprese video e traiettoria del centro di massa vista dall’alto.
Anche se il piegamento dell’arto al ginocchio su pista centrifuga dura di più, ciò non comporta che l’angolo interessato si chiuda maggiormente (come sarebbe meccanicamente presumibile): questo è spiegato da una minore velocità di chiusura, dovuta evidentemente ad un maggiore sostegno della muscolatura
estensoria del ginocchio.
Il grafico della figura 10 mostra l’andamento dell’energia meccanica associata al CM durante la corsa in
piano e su pista centrifuga. La variazione di Etot è
uguale al lavoro che i muscoli compiono o aumentando l’energia del CM (variazione positiva, lavoro
meccanico positivo) o dissipandola (variazione negativa, lavoro meccanico negativo). Questo tipo di lavoro meccanico è detto “esterno” poiché fatto sul
CM del soggetto, e va distinto dal lavoro meccanico
“interno”, per il quale si considera, invece, l’energia
associata ai singoli segmenti corporei. Ritornando all’andamento mostrato dalla figura 10, i plateaux
identificano la fase di volo del CM, durante la quale
l’energia meccanica resta costante (trascurando la resistenza dell’aria). Per definizione, questi dovrebbero
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essere piatti, ma, a causa dell’inevitabile errore indotto dal calcolo delle derivate, il risultato non è quello
teorico atteso. Nonostante questo, le fasi di volo sono
comunque ben distinguibili dalle deflessioni a “V”
che identificano, invece, l’appoggio: più precisamente, la rampa discendente corrisponde all’ammortizzazione (chiusura dell’angolo al ginocchio), in cui il
CM perde energia a causa del contatto con il suolo; il
vertice rovesciato della “V” corrisponde grossomodo
all’istante in cui il CM si trova nel punto più basso
della sua traiettoria (essendo Ec e Ep in fase); la rampa ascendente corrisponde alla spinta (apertura dell’angolo al ginocchio), in cui i la muscolatura degli
arti inferiori compie lavoro positivo sul CM dell’atleta per riportare il sistema ai livelli di energia precedenti (Cavagna et al., 1976). Il lavoro meccanico
esterno positivo è perciò un indice dell’apporto muscolare in un gesto sportivo: è per questo che esso è
stato utilizzato come indicatore dell’aumento del carico durante la corsa su pista centrifuga.
L’aumento del lavoro meccanico positivo è da attribuirsi al livello di energia meccanica che il centro di
massa perde durante il cambio di direzione, e che va
recuperato in fase di spinta per mantenere, in media,
costanti i livelli di energia del sistema-atleta. Da qui
si deduce che, almeno da un punto di vista energetico
(e non dinamico), lo stimolo allenante nella corsa su
pista centrifuga si manifesta durante il cambio di direzione. Esso porta ad una notevole perdita di energia
meccanica, che va recuperata dalla muscolatura degli
arti inferiori nella spinta successiva, compiendo un
lavoro meccanico positivo maggiore rispetto a ciò
che si fa sul piano. L’inclinazione della pedana permette, però, di effettuare il cambio di direzione mantenendo il proprio asse cranio-caudale sempre perpendicolare alla pista (a quella specifica velocità),
mantenendo quindi il giusto assetto di corsa. Si ricordi che questo incremento del lavoro meccanico esterno positivo va rapportato all’inclinazione della corsia
della pista centrifuga sul quale si sceglie di correre.
In altri termini, ci si aspetta un incremento del lavoro
meccanico all’aumentare dell’inclinazione della pista
e quindi del carico.
Mettendo in relazione l’andamento dell’energia meccanica con il grafico relativo all’andamento degli angoli al ginocchio durante la fase di appoggio su pista
centrifuga (Fig. 9 e 10), si può dedurre che la perdita
di energia meccanica è sostenuta dalla muscolatura
che in questi istanti sostiene l’arto attraverso una fase
di ammortizzazione più lunga, evitando che esso si
pieghi eccessivamente, come sarebbe, invece, meccanicamente presumibile.
Se sulla pista centrifuga, durante l’ammortizzazione,
si perde più energia meccanica rispetto a quanto avviene sul piano, allora ne va riacquistata altrettanta
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durante la fase di spinta attraverso una maggiore produzione di forza. Ne dà ragione la curva relativa all’andamento degli angoli al ginocchio, che sale molto
più ripida dopo l’istante di massima chiusura del ginocchio; ciò comporta una apertura più rapida e maggiore dell’angolo al ginocchio.
CONCLUSIONI
Le prove fin qui svolte, anche se hanno coinvolto solo quattro soggetti, mostrano che certamente la corsa
su pista centrifuga è in grado di proporre carichi di
lavoro superiori a quelli riscontrati nella corsa sul
piano.
Per quanto riguarda la validazione della pista come
mezzo d’allenamento speciale, ossia all’atto di valutare di quanto la corsa su pista centrifuga si discosti dai
parametri tecnici che caratterizzano la corsa sul piano,
va notato il fatto che non vi è differenza statisticamente significativa per quel che riguarda la frequenza
del passo, e che le variazioni nell’ampiezza devono
probabilmente essere messe in relazione anche con un
non sufficiente livello di addestramento degli atleti
nei confronti di un tipo di corsa “di impatto”, alla
quale tentavano di adattarsi aumentando in maniera
cospicua la frequenza; in ciò, inoltre, ha forse influito
l’imposizione di una velocità di corsa non massimale,
bensì, come visto, relativamente moderata.
Al contrario di altri mezzi di allenamento dedicati allo sviluppo della forza speciale, la corsa su pista centrifuga, pur non provocando variazioni importanti
nella cinematica della corsa, conduce ad alcune modificazioni vantaggiose del gesto (come, per esempio, la più completa distensione dell’arto inferiore
nella fase di spinta) e non comporta carichi localizzati, che possono provocare scompensi sulla struttura
muscolo-scheletrica dell’atleta, visto che il carico responsabile dello stimolo efficace “compare” lungo
l’asse longitudinale dell’atleta.
D’altra parte, l’aumento della durata della fase di ammortizzazione si associa con un evidente incremento
dell’intensità delle contrazioni eccentriche della mu-
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scolatura dell’arto inferiore, che è stato possibile
quantizzare solo in maniera indiretta attraverso le variazioni di energia meccanica del CM, ma che gli
atleti coinvolti nella ricerca hanno evidenziato, in
particolare a livello della muscolatura del piede.
È necessario, dunque, proseguire lo studio, estendendolo ad un numero più elevato di soggetti, ed accompagnandolo ad altre metodiche di indagine, come l’uso di accelerometri e l’analisi elettromiografica, per
poter accertare la validità di questo strumento come
mezzo d’allenamento speciale per la velocità.
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ITALIAN JOURNAL of SPORT SCIENCES