edoardo della torre
Transcript
edoardo della torre
E. Della Torre - L. Solari High Performance Work Systems e attori del cambiamento organizzativo nelle PMI (Questo lavoro si basa su una parte dei risultati raggiunti dal progetto di ricerca “Medie imprese e competitività: il ruolo dell’innovazione organizzativa” svolto congiuntamente dal Centro Studi di Assolombarda e del Centro di ricerca Work Training and Welfare dell’Università degli Studi di Milano. La responsabilità di quanto contenuto in questo articolo è attribuibile solo agli autori) La letteratura internazionale degli ultimi anni ha dedicato molta attenzione ai cosiddetti High Performance Work Systems (HPWS). Si tratta di nuovi modelli organizzativi che attraverso l’innalzamento del grado di commitment dei lavoratori verso l’organizzazione generano vantaggi competitivi per l’impresa in termini di guadagni di produttività e di qualità (ma anche di bassi tassi di assenteismo e di turnover) e accrescono il grado di benessere e soddisfazione dei lavoratori grazie alla spartizione dei maggiori guadagni e alla valorizzazione del capitale umano posseduto. Opportunità di partecipare alla scelte organizzative (attraverso ad esempio pratiche di decentramento decisionale e di consultazione dei lavoratori), programmi sviluppo delle competenze (formazione, ampliamento delle mansioni, opportunità di carriera) e presenza di meccanismi retributivi incentivanti legati alle competenze e ai risultati raggiunti (retribuzioni superiori alla media, elevata quota di premio variabile) sono gli elementi essenziali che compongono il modello degli HPWS (Appelbaum et al. 2000). Lo studio dei legami tra l’adozione tali pratiche organizzative e le performance aziendali rappresenta il filone principali di analisi dei nuovi sistemi di lavoro e l’attenzione verso gli HPWS è cresciuta sensibilmente dalla metà degli anni novanta, quando le evidenze circa l’esistenza di un legame positivo tra tali pratiche organizzative e le performance aziendali si sono fatte più solide e numerose (per tutti McDuffie 1995, Ichniowski et al. 1997; per l’Italia vedi Cristini e al. 2003, Pini 2005). Più di recente, inoltre, è stato osservato che gli esiti delle innovazioni di questo tipo sono positivi non solo per le grandi imprese, ma anche in contesti di piccola e media impresa (Way 2002, Bloom e Van Reenen 2007; per l’Italia vedi Mancinelli e Mazzanti 2007, Della Torre e Solari 2010). Molto meno studiati sono invece gli aspetti legati agli attori decisionali dei processi di innovazione verso modelli organizzativi high-performance e più in generale si registra una carenza di studi che indagano gli aspetti governance dell’organizzazione del lavoro. Ciò vale soprattutto per i contesti di piccola e media impresa, che come è noto rappresentano un segmento fondamentale dell’economia italiana. Dal punto di vista di questo studio, comprendere tali aspetti è utile soprattutto per identificare i fattori che favoriscono (od ostacolano) il cambiamento organizzativo verso i modelli high-perfomance e quindi a spiegare come mai la scelta di innovare è stata seguita da alcune imprese e non da altre. Infatti, nonostante le imprese siano sottoposte alle stesse pressioni esterne (volatilità e turbolenza dei mercati, concorrenza spinta, nuove tecnologie, etc.) verso l’adozione di un’organizzazione “snella, piatta e processiva” (Leoni 2008) e nonostante le evidenze appena citate circa l’impatto positivo dei nuovi modelli organizzativi sulla performance aziendale, gli studi esistenti mostrano che tali cambiamenti hanno riguardato sino ad ora una quota solo parziale di esse (Osterman 2000, Guest 2005) e che sono prevalentemente le imprese di grandi dimensioni a muoversi in quella direzione (EC 2002). L’obiettivo di questo lavoro è quindi aumentare il grado di comprensione delle dimensioni di processo dell’introduzione delle nuove pratiche di lavoro nelle piccole e medie imprese, e in particolare del ruolo ricoperto dai diversi attori (proprietà, management, lavoratori e rappresentanze sindacali) e delle problematiche legate all’implementazione (canali di accesso, problemi incontrati, interventi di aggiustamento), anche al fine di trarre alcune indicazioni di policy per favorire la diffusione e l’adozione efficace delle pratiche di lavoro high-performance nelle PMI italiane. L’analisi è basata sulle informazioni raccolte tramite una survey svolta su più di cento PMI dell’area milanese e tramite otto studi di caso aziendali svolti attraverso interviste al top management. La metodologia della ricerca segue un approccio mixed-methods (Creswell 2004), che combina in un unico disegno di ricerca strumenti di indagine di tipo quantitativo (survey) e qualitativo (studi di caso). Gi approcci di questo tipo non sono molto diffusi nel panorama delle poche ricerche italiane in tema di HPWS, ma permettono di cogliere meglio la dimensione complessiva del fenomeno. L’universo di riferimento dell’analisi quantitativa è costituito da 114 imprese manifatturiere e dei servizi iscritte all’Associazione Industriale Lombarda (Assolombarda) che occupano tra i 50 e i 250 addetti. I risultati del test di Marbach (1992) mostrano che complessivamente il campione ha una probabilità campionaria superiore al 90%; la rappresentatività è più alta per le imprese di piccole dimensioni. Le otto imprese degli studi di caso sono state scelte sulla base dei risultati dell'analisi quantitativa avendo cura di mantenere un grado di rappresentatività generale dei diversi livelli di innovazione registrati. In particolare sono state scelte sia imprese che hanno mostrato di aver completato il processo innovativo, sia imprese in cui le innovazioni organizzative sono ancora parziali, seppur consistenti. I casi sono stai analizzati attraverso interviste semi-strutturate di circa due ore al middle e topmanagement, prevalentemente imprenditori, amministratori delegati, direttori generali, responsabili HR e direttori di produzione. I risultati dell’analisi mostrano, in primo luogo, che la diffusione delle pratiche di innovazione organizzativa è buona, ma circa la metà delle imprese presenta una situazione che può essere definita “di transizione” verso un modello diverso di organizzazione. Questa fase è particolarmente delicata perché fino a quando il nuovo modello non è completamente sviluppato i risultati possono essere controversi (Becker e Huselid 1998). La transizione viene considerata una fase critica durante la quale l'impresa deve accettare anche un peggioramento dei risultati economico-finanziari (e non solo) in funzione di un percorso di apprendimento che rivela i suoi risultati nel medio-lungo periodo. Complessivamente le imprese preferiscono l'investimento nella qualità del lavoro e delle competenze ed una maggiore rigidità nell'articolazione dei processi decisionali e nella ricomposizione dei processi di trasformazione. Le forme più spinte di appiattimento organizzativo (decentramento decisionale e gruppi di lavoro autonomi) sembrano aver bisogno di condizioni particolari per essere introdotte, probabilmente a causa dei maggiori rischi connessi con il loro utilizzo. Tuttavia, quando le imprese decidono di investire in questi processi organizzativi lo fanno con convinzione, coinvolgendo una quota maggiore di lavoratori rispetto a quanto avviene per le altre pratiche. Riguardo agli attori, l’analisi mostra l’esistenza di un legame piuttosto chiaro tra presenza della funzione HR e grado di innovazione organizzativa. Tuttavia, la decisione finale riguardo all’organizzazione del lavoro è una prerogativa dei vertici aziendali e solo in rari casi sono le funzioni di gestione delle risorse umane o i responsabili delle unità coinvolte nel cambiamento a decidere in autonomia. Emerge quindi un quadro in cui la funzione HR ricopre un ruolo importante in fase propositiva e, successivamente, nella gestione delle innovazioni, ma il momento decisionale è riservato alle funzioni che definiscono le strategie complessive dell’impresa. Anche l’attore decisionale centrale, specialmente se si tratta dell’imprenditore, gioca un ruolo determiniate nel proporre soluzioni innovative e quindi nello stimolare il cambiamento. Riguardo all’implementazione delle innovazioni emerge una sorta di dualizzazione delle modalità di gestione: da un lato, le imprese più piccole e quelle con un basso grado di innovazione organizzativa privilegiano la via unilaterale; dall’altro lato le imprese più grandi e con un livello di innovazione organizzativa più avanzato mostrano anche un maggior grado di partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori (o dei loro rappresentanti). Nel primo caso il rischio di insuccesso delle innovazioni è maggiore: alcuni studi hanno infatti messo in evidenza che i vantaggi derivanti dall’utilizzo delle nuove pratiche di lavoro non si raggiungono sempre e in ogni caso, ma solo quando certe condizioni aziendali sono soddisfatte e quando si segue un processo di tipo partecipativo (Antonioli e Pini 2004). Il cambiamento organizzativo si configura inoltre come un processo complesso, che procede per aggiustamenti progressivi. Le difficoltà principali incontrate sono legate al superamento della cultura organizzativa pre-esistente così come già emerso da altri studi (EC 2002, Batt 2004) e l’approccio sistemico al cambiamento, indicato come elemento fondamentale per il successo delle innovazioni (Milgrom e Roberts 1995, Black e Lynch 2001), è anche il più complesso da portare a compimento. Considerando la debolezza del contesto istituzionale che caratterizza il caso italiano, questi risultati suggeriscono alcuni ambiti in cui l’intervento pubblico potrebbe utilmente manifestarsi. Il primo è la promozione di iniziative nazionali volte ad incentivare il cambiamento organizzativo, che sfruttino i meccanismi di investimento di risorse pubbliche (ad esempio i fondi per la formazione professionale) come meccanismo per incentivare l’innovazione organizzativa. Un secondo ambito riguarda la progettazione di meccanismi che vincolino altre forme di intervento alla adozione di nuovi modelli di organizzazione, in quanto gli interventi di sostegno che non avvengano nel quadro di una politica di innovazione organizzativa soffrono per la mancata gestione delle complementarità. Infine, il terzo e ultimo ambito di intervento che si propone riguarda la programmazione di investimenti sulle competenze organizzative dell’imprenditore e del management, in quanto gli attori centrali del cambiamento devono possedere gli elementi basilari degli approcci all’organizzazione basati sul miglioramento continuo.